Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

samedi, 20 mars 2010

J'aime pas le téléphone portable

le téléphone portable

 

Oui, le téléphone portable a bouleversé notre quotidien, mais surtout pour le pire ! Otages des opérateurs, esclaves de la technologie, nous en sommes tous désormais des usagers incurables et pathétiques. Est-il opportun de déclarer sa flamme en moins de 15 lettres : " Tu E L RYON 2 ma vi "? Ou indispensable de se photographier en descendant l'Alpe d'Huez? À verser aussi à la magie du mobile : la note salée qu'engendre son usage compulsif avec en prime la paranoïa qu'il induit et, bien entendu, la terreur des effets des ondes électromagnétiques sur le cerveau... Le constat des auteurs est sans appel : en moins de dix ans, le portable nous a métamorphosés en demeurés, accros à ce gadget comme les fumeurs à leur tabac, les bébés à leur tétine et les déprimés à leurs anxiolytiques.

Ex: http://zentropa.splinder.com/

Le fragilità dell'impero americano

Le fragilità dell' impero americano

di Niall Ferguson

Fonte: Corriere della Sera [scheda fonte]


Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

niall.jpgPer secoli gli storici, i teorici della politica, gli antropologi - ma anche la gente comune - hanno perlopiù pensato ai processi politici in termini ciclici. Le grandi potenze, come i grandi uomini, nascono, crescono, dominano e poi lentamente scompaiono. Il declino delle civiltà di solito si protrae per un lungo periodo. Anche le sfide che gli Stati Uniti si trovano ad affrontare sono spesso viste come processi graduali. È la tendenza costante del fattore demografico - che fa salire la quota dei pensionati rispetto ai lavoratori attivi -, non una cattiva politica a condannare la finanza pubblica degli Stati Uniti a sprofondare nei debiti. È l' inesorabile crescita dell' economia cinese, non la stagnazione americana, a far sì che il Pil della Repubblica Popolare supererà quello degli Stati Uniti entro il 2027. Che cosa succederebbe, però, se la storia non fosse ciclica né si muovesse solo lentamente, ma avesse un andamento irregolare - a tratti quasi immobile, ma anche capace di improvvise accelerazioni? E se il crollo non si verificasse dopo secoli, ma arrivasse all' improvviso? Le grandi potenze sono sistemi complessi, fatti di un gran numero di componenti che interagiscono tra di loro. Il loro modo di funzionare si colloca tra l' ordine e il disordine. Per un certo periodo di tempo sembrano procedere in maniera stabile, sembrano aver trovato un equilibrio, ma in realtà continuano ad adattarsi. Poi arriva un momento in cui i sistemi complessi entrano in crisi. Una spinta anche modesta può innescare il passaggio da uno stato di proficuo equilibrio a uno di crisi. Poco dopo il verificarsi di una crisi del genere entrano in scena gli storici. Che però, nel decodificare questi eventi, spesso ne valutano male la complessità. Sono addestrati a spiegare le calamità ricercando cause di lungo periodo, magari lontane decenni. In realtà la maggior parte dei fenomeni anomali che gli storici studiano non sono il culmine di un processo lungo e deterministico, ma piuttosto sconvolgimenti, a volte il crollo completo, di sistemi complessi. Tutti i sistemi complessi hanno alcune caratteristiche in comune. In un sistema del genere, ad esempio, una minima variazione, uno shock relativamente piccolo, possono produrre cambiamenti enormi, spesso imprevisti. Perciò, quando in un sistema complesso le cose vanno male, l' entità dello sconvolgimento è quasi impossibile da prevedere. Tutte le grandi entità politiche sono sistemi complessi. La maggior parte degli imperi hanno un' autorità centrale nominale - un imperatore ereditario o un presidente eletto -, ma in realtà il potere di ogni singolo governante è funzione di una rete di relazioni economiche, sociali e politiche sulle quali lui o lei esercita il suo controllo. Sotto questo profilo gli imperi mostrano molte delle caratteristiche di altri sistemi complessi e adattabili, tra cui la tendenza a passare molto rapidamente dalla stabilità all' instabilità. L' esempio più recente e noto di rapido declino è il crollo dell' Unione Sovietica. Col senno del poi, gli storici hanno individuato ogni genere di marciume nel sistema sovietico, fino all' era Breznev e oltre. Allora però non sembrava fosse così. L' arsenale nucleare dei sovietici era più grande di quello degli Stati Uniti, e i governi di quello che allora era chiamato il Terzo Mondo in quasi tutti i 20 anni precedenti si erano schierati dalla parte dei sovietici. Eppure, meno di cinque anni dopo l' ascesa al potere di Gorbaciov, l' impero sovietico nell' Europa centro-orientale si sgretolò, e poco dopo, nel 1991, fu la volta della stessa Unione Sovietica. Se gli imperi sono sistemi complessi che prima o poi soccombono a crisi improvvise e catastrofiche, quali conseguenze dobbiamo trarne per gli Stati Uniti di oggi? Anzitutto che discutere degli stadi del declino è probabilmente una perdita di tempo. Uomini politici e cittadini dovrebbero preoccuparsi piuttosto di una caduta improvvisa e inaspettata. Inoltre, il crollo di un impero quasi sempre avviene in seguito a una crisi finanziaria. Quindi i campanelli d' allarme dovrebbero suonare molto forte visto che gli Stati Uniti prevedono di avere un deficit di più di 1.500 miliardi di dollari nel 2010, il più alto dopo la Seconda guerra mondiale. Questi numeri non sono buoni, ma nel campo della politica sono altrettanto importanti le percezioni. Nei periodi di crisi degli imperi non sono tanto le reali basi del potere a contare, quanto le attese sugli sviluppi futuri. Le cifre che abbiamo citato non possono da sole erodere la forza degli Stati Uniti, ma possono indebolire la fiducia che per tanto tempo gli americani hanno avuto nella capacità del loro Paese di superare qualsiasi crisi. Un giorno o l' altro una brutta notizia apparentemente casuale - magari un rapporto negativo di un' agenzia di rating - comparirà sulle prime pagine dei giornali in un periodo altrimenti abbastanza tranquillo, e all' improvviso non saranno più solo pochi addetti ai lavori a preoccuparsi della sostenibilità della politica fiscale degli Stati Uniti, ma chiunque, compresi gli investitori all' estero. È questo passaggio a essere fondamentale: un sistema complesso e adattabile è seriamente nei guai quando i suoi componenti perdono la fiducia nella sua capacità di rigenerarsi. La prossima fase della crisi attuale potrebbe incominciare quando la gente inizierà a mettere in discussione la credibilità delle radicali misure finanziarie e fiscali prese per risanare l' economia. Nessun tasso a interesse zero o stimolo finanziario potrà produrre un risanamento sostenibile se la gente, negli Stati Uniti e all' estero, deciderà collettivamente, da un giorno all' altro, che queste misure alla fine porteranno a tassi di inflazione molto più alti o a un vero e proprio crollo. Combattere una battaglia perdente sulle montagne dell' Hindu Kush è già stato il segno premonitore della caduta dell' impero sovietico. Quel che è avvenuto 20 anni fa dovrebbe ricordarci che gli imperi non nascono, si sviluppano, dominano, entrano in declino e cadono secondo un ciclo ricorrente e prevedibile. Gli imperi si comportano piuttosto come tutti i sistemi complessi adattabili. Restano per un certo periodo in apparente equilibrio e poi, improvvisamente, crollano. Washington, sei avvertita. (traduzione di Maria Sepa)

 

vendredi, 19 mars 2010

L'Allemagne, Israël, l'Iran et la bombe: entretien avec M. van Creveld

L’Allemagne, Israël, l’Iran et la bombe

 

Entretien avec l’historien militaire israélien Martin van Creveld

 

creveldxxxxcccvvv.jpgNé en 1946 à Rotterdam, Martin van Creveld est un historien attaché à l’Université Hébraïque de Jérusalem. Cet expert israélien est considéré comme l’un des théoriciens les plus réputés au monde en histoire militaire. Il étonne ses lecteurs en énonçant des thèses non conventionnelles, notamment quand il écrivait récemment dans les colonnes de l’ « International Herald Tribune » : « Si les Iraniens ne tentaient pas de se doter d’armes nucléaires, c’est alors seulement qu’il faudrait les considérer comme fous ! ». Ses ouvrages principaux sont « The Transformation of War » (1991), où il avait prévu les formes de guerre nées après les événements du 11 septembre 2001. En 2009, il a publié en allemand « Gesichter des Krieges » (= « Visages de la guerre ») où il décrit les conflits armés de 1900 à aujourd’hui et émet des prospectives sur le 21 siècle.  

 

Q. : Professeur van Creveld, la Chancelière Angela Merkel menace l’Iran de sanctions. Les Iraniens sont-ils impressionnés par cette menace ?

 

MvC : Je me permets d’en douter. D’après mes estimations, les Iraniens considèrent que leur programme nucléaire est une question d’importance nationale. Les sanctions, par conséquent, ne les impressionnent pas ; au contraire, elles conduiront les Iraniens à se ranger tous derrière Ahmadinedjad.

 

Q. : Dans un essai pour l’hebdomadaire « Die Zeit », vous avez récemment posé un constat provocateur, en écrivant que l’Iran, s’il devenait puissance nucléaire, « ne serait pas plus dangereux qu’Israël ou les Etats-Unis »…

 

MvC : Oui, de fait, et pas plus dangereux que l’autre « Etat voyou », comme on le décrit, qu’est la Corée du Nord. Force est d’ailleurs de constater que cet Etat, depuis la fin de la Guerre de Corée, n’a plus fait la guerre à personne. C’est une prestation que les deux autres Etats, que vous mentionnez, ne peuvent pas se vanter d’avoir réalisé.

 

Q. : D’après vous, dans quelle mesure les Etats-Unis et Israël sont-ils des Etats dangereux ?

 

MvC : Oui, longue histoire. Pour faire simple, posez la question à Slobodan Milosevic ou à Saddam Hussein. Ces deux personnalités politiques ont directement expérimenté la dangerosité que déploient les Etats-Unis lorsqu’un pays exprime son désaccord avec la politique américaine. Et pour l’expérimenter, il faut ajouter deux conditions supplémentaires : le pays visé doit d’abord être inférieur aux Etats-Unis sur le plan conventionnel ; ensuite il ne doit pas posséder d’armes nucléaires. Quant à la dangerosité d’Israël, posez la question aux habitants du Liban ou de la Syrie…

 

Q. : Donc, pour vous, le danger que représenterait un Iran devenu puissance nucléaire est largement exagéré…

 

McV : C’est évident et le calcul qui se profile derrière cette stigmatisation de l’Iran saute aux yeux : les Etats-Unis ont toujours tout entrepris pour empêcher les autres puissances de posséder des armes dont ils disposaient eux-mêmes depuis longtemps. Dans le cas d’Israël, le motif est différent : officiellement, il s’agit d’obtenir de l’argent d’autres pays, comme l’Allemagne et les Etats-Unis. Les sionistes jouent ce petit jeu depuis cent ans, et avec grand succès, m’empresserai-je d’ajouter.

 

Q. : Et vous dites tout cela sans la moindre réticence…

 

McV : Je suis un historien et je peux me permettre de dire ouvertement la vérité, telle que je la vois. Bien sûr, vous n’entendrez jamais pareil aveu de la part d’un représentant gouvernemental. Israël a attaqué l’Irak en 1981 et la Syrie en 2007. Dans ces deux actes hostiles, la surprise a été décisive : c’est elle qui a fait le succès des opérations. Mais, alors, ne vous étonnez-vous pas que dans le cas de l’Iran nous parlons depuis des années de lancer des opérations similaires et que nous ne faisons rien ? Le fait qu’on en parle depuis tant de temps éveille le soupçon : l’enjeu doit donc être autre ; en l’occurrence, obtenir des armes et de l’argent.

 

Q. : La Chancelière Merkel est allée dans ce sens…

 

MvC : Non, les choses ne s’agencent pas tout à fait  ainsi. Le Président Bush était peut-être un idiot, mais ni Obama ni Merkel ne le sont. La possibilité d’une attaque israélienne n’est pas à exclure à 100%. C’est la raison pour laquelle on tente de donner à Israël suffisamment d’argent et d’armes pour que l’Etat hébreu s’abstienne de toute initiative malheureuse. Pour tous les intervenants, le jeu s’avère extrêmement délicat car il implique des éléments de Realpolitik, de tromperie et d’hypocrisie.

 

Q. : En 2008, Angela Merkel a prononcé des paroles historiques en déclarant que le droit d’Israël à l’existence relevait de la raison d’Etat allemande. Cette déclaration d’amour vous touche-t-elle ?

 

MvC : Des déclarations de ce genre me rendent certes très heureux mais en cas d’urgence les possibilités de Madame Merkel seraient très limitées.

 

Q. : Pensez-vous que l’Allemagne risquerait sa propre existence et enverrait la Bundeswehr pour intervenir dans une grande guerre en faveur d’Israël ?

 

MvC : Bien sûr que non. Mais à l’évidence, je dois vous révéler quel était l’objectif poursuivi au moment où l’on a fondé l’Etat d’Israël. Pendant 2000 ans, les Juifs n’ont pas pu dormir tranquilles parce qu’ils se faisaient du souci : devaient-ils se défendre eux-mêmes ou, si ce n’était possible, quelle puissance allait-elle prendre leur défense ? Israël a été créé pour que les Juifs puissent enfin dormir d’une traite pendant toute la nuit, parce qu’ils n’auraient plus à se casser la tête pour répondre à cette question. Donc, très logiquement, tout en respectant les propos de Mme Merkel, et en tenant compte de cette nécessité impérieuse de toujours dormir tranquille, je ne souhaite pas me poser la question de savoir si mon sommeil paisible doit dépendre ou non de l’armée allemande actuelle. Israël doit pouvoir se fier à lui seul. Et si l’improbable survenait et si Israël devait faire face à son propre anéantissement, je ne m’étonnerais pas d’apprendre que nous voudrions entrainer le plus de monde possible dans l’abîme avec nous.

 

Q. : Que voulez-vous dire par là ?

 

MvC : Songez à l’histoire du héros juif Samson.

 

Q. : « Qui en mourant tua plus de monde que pendant toute sa vie », comme le dit la Bible. Mais concrètement, qu’est-ce que cela signifie ?

 

TransformationGuerre.jpgMvC : Je laisse votre imagination répondre à cette question.

 

Q. : Pourquoi Angela Merkel se trompe-t-elle lorsqu’elle semble nous dire qu’un Iran devenu puissance nucléaire serait plus dangereux que les autres puissances atomiques ?

 

MvC : Que voulez-vous que je vous dise ? Je n’ai encore jamais rencontré d’expert iranologue qui croit vraiment que Khamenei (l’homme qui, en réalité, tire toutes les ficelles en Iran), Ahmadinedjad et le peuple perse en général sont tous fous et souhaitent voir leur magnifique pays réduit à un désert radioactif.

 

Q. : Vous voulez dire que le principe de la dissuasion fonctionne également chez les Iraniens ?

 

MvC : Sans aucun doute. Comme partout, il y a également en Iran des scientifiques qui savent très bien ce que signifierait une guerre nucléaire pour leur pays. Et si ce n’était pas le cas, je leur conseillerais de lire le travail réalisé par mon bon ami Anthony Cordesman, ancien membre du Conseil National de Sécurité des Etats-Unis, travail dans lequel il explique ce qu’Israël pourrait infliger à l’Iran avec les mégatonnes qu’il possède dans ses arsenaux.

 

Q. : Pourquoi l’Iran veut-il la bombe ?

 

MvC : Pour attaquer Israël ? Non, très vraisemblablement non. Ce serait trop dangereux car toute puissance qui utilise des armes nucléaires risque, tôt ou tard, de voir d’autres puissances en utiliser contre elle. L’Iran veut-il menacer ou faire chanter ses voisins ? Peut-être. Mais sans doute pas tout de suite, plus tard vraisemblablement.

 

Q. : Et cela ne vous inquiète pas ?

 

MvC : Non. Ceux qui devraient s’inquiéter, ce sont les Etats du Golfe. D’ailleurs ils le sont. Parce qu’ils sont très éloignés d’Israël et qu’Israël, pour sa part, n’a ni l’intérêt ni les moyens d’aider ces Etats sans la moindre réticence. Nous avons donc affaire à un problème qui ne concerne que les Etats-Unis : eux devront l’affronter.

 

Q. : Ahmadinedjad ne planifie-t-il pas un nouvel holocauste ?

 

MvC : Je suppose qu’il le ferait si seulement il en avait les moyens…

 

Q. : Et cela, non plus, ne vous inquiète pas ?

 

MvC : Israël dispose de ce qu’il faut pour l’en dissuader.

 

Q. : Dans l’essai que vous avez récemment publié dans « Die Zeit », vous dites qu’Ahmadinedjad ne veut pas construire la bombe par conviction antisémite ; vous dites qu’il veut la construire pour des motifs d’intérêt national.

 

MvC : Cela ne fait aucun doute qu’Ahmadinedjad hait Israël. Certes, il éradiquerait bien ce pays de la surface de la Terre, mais seulement s’il en avait les moyens. Mais ce n’est pas la raison pour laquelle il cherche à se doter d’armes nucléaires. Alors pourquoi ? Depuis 2002, la situation stratégique de l’Iran s’est considérablement détériorée. En effet, les mollahs peuvent tourner leurs regards vers n’importe quel point cardinal, le nord-est, le sud-est, le sud ou l’ouest, toujours ils verront des troupes américaines déployées. Autour de l’Iran stationne un quart de million de soldats américains, pour être précis. Le cas irakien a appris deux choses aux mollahs : d’abord, qu’avec leur armée, ils n’ont aucune chance contre les troupes américaines. Ensuite, ils ne peuvent pas exclure l’hypothèse qu’un jour un président américain voudra quand même les attaquer. C’est en y réfléchissant qu’ils ont eu l’idée de fabriquer une bombe car se doter d’armes nucléaires est le seul moyen auquel ils peuvent recourir pour échapper au déséquilibre des forces.

 

Q. : Pourquoi ces raisons-là ne sont-elles jamais évoquées dans les médias allemands ?

 

MvC : Pourquoi me posez-vous cette question ?

 

Q. : Pourquoi ne la poserais-je pas ? Vous êtes un expert : que supposez-vous en constatant ce silence ?

 

MvC : Non, je ne peux pas répondre à la place des médias allemands.

 

Q. : Peter Scholl-Latour aime vous citer, et surtout cette phrase-ci : « Si j’étais iranien, je voudrais aussi avoir la bombe ! »…

 

MvC : Oui, et alors ?

 

Q. : Pourquoi les Allemands aiment-ils citer des Juifs pour donner plus de poids à leurs arguments ?

 

MvC : D’accord, cette question s’explique quand on connaît la situation allemande, mais en soi que signifie-t-elle ? Toutefois, ce n’est pas mon problème, mais le vôtre, à vous Allemands, de trouver une voie pour vous réconcilier avec votre passé, en l’occurrence avec l’holocauste…

 

Q. : Le gouvernement allemand sait-il de quoi il parle quand il évoque la question iranienne ou bien tous les propos qu’il tient sont-ils oblitérés par le besoin de surmonter le passé récent de l’Allemagne aux dépens de toute politique étrangère rationnelle ?

 

MvC : Je n’ai pas à émettre de jugement à ce propos. Posez la question à Madame Merkel elle-même.

 

Q. : En tenant des propos qui minimisent le danger de la bombe iranienne, ne vous attirez-vous pas des inimitiés en Israël ?

 

MvC : Ces derniers mois, j’ai eu maintes fois l’occasion de m’exprimer publiquement sur ce thème et je puis vous dire que non, en fait ma position ne m’attire aucune antipathie particulière. Les gens réagissent surpris, c’est évident, mais ils ne se mettent pas en colère. Aussi peu en colère d’ailleurs qu’Ehud Olmert, lorsque j’ai discuté avec lui de ces choses-là, quand il était encore premier ministre.

 

Q. : Dans votre longue contribution à « Die Zeit », vous insistez sur le véritable danger qui guette la région et qui n’est pas la bombe iranienne…

 

MvC : … ce véritable danger qui serait une attaque contre l’Iran pour l’empêcher de construire sa bombe. Pour vous en rendre compte, il suffit de jeter un coup d’œil sur la carte du Golfe Persique, la région la plus riche en pétrole du monde ; vous comprendrez alors pourquoi. Une attaque de cette nature pourrait précipiter l’économie mondiale dans une crise qui serait pire que toutes les autres qui l’ont précédée. Or, c’est bien connu, les crises économiques peuvent avoir des conséquences politiques et militaires très lourdes.

 

Q. : Comment une attaque contre l’Iran pourrait-elle se dérouler et, dans le pire des cas, que se passerait-il ?

 

MvC : L’Iran est un pays trop grand pour être occupé ; donc on aurait recours plutôt à l’engagement d’unités de commandos ou l’on mènerait une guerre aérienne, celle du tapis de bombes. Plusieurs stratégies sont alors possibles mais aucune d’entre elles ne garantirait la destruction totale du programme nucléaire iranien. Ensuite, il serait bien possible qu’une attaque contre l’Iran déclencherait une guerre entre Israël et la Syrie ou le Liban. Une telle guerre aurait de terribles conséquences sur le prix du pétrole, donc sur l’économie européenne et sans doute aussi sur la structure qu’est l’Union Européenne. Vous pouvez aisément imaginer tout cela…

 

Q. : L’attaque contre l’Iran se déclenchera-t-elle tôt ou tard ? Et si oui, quand ?

 

MvC : Depuis des années, je défends l’opinion qu’une telle guerre n’aura jamais lieu. Mais pour être honnête, il m’est arrivé de me tromper dans le passé et certains de mes pronostics se sont avérés faux. Il est toujours possible qu’un fou arrive à  prendre le pouvoir…

 

(entretien paru dans l’hebdomadaire berlinois « Junge Freiheit », n°11/2010, mars 2010 ; propos recueillis par Moritz Schwarz ; trad..  franç. : Robert Steuckers).  

 

Altbundeskanzler H. Schmidt vergleicht Obama mit Hitler

HelmutSchmidt.jpg

 

Altbundeskanzler Helmut Schmidt vergleicht Obama mit Hitler

Gerhard Wisnewski / http://info.kopp-verlag.de/

»Beckmann« am 22. Februar 2010: War da was? Eigentlich nicht. Vielleicht bis auf die Kleinigkeit, dass Altbundeskanzler Helmut Schmidt den US-Präsidenten Barack Obama in eine Reihe mit Hitler und Stalin stellte. Skandal? Aufschrei? Nicht doch. Stattdessen eisernes Schweigen. Das Zentralorgan »Spiegel Online« erklärte auch warum: Der darf das!

Man schrieb den 22. Februar 2010. In der Talksendung Beckmann saßen dem Moderator zwei Talkgäste gegenüber. Ein weißhaariger, qualmender Helmut Schmidt im Rollstuhl und der jüdische Historiker Fritz Stern. Beide sollen an diesem Abend von Beckmann ordentlich Publicitiy für ihr politisch korrektes Gesprächsbuch Unser Jahrhundert bekommen. Doch dann wird es plötzlich alles andere als politisch korrekt.

»Es gibt eine Regel bei Diskussionen über aktuelle Themen: die sich jeder Teilnehmer merken sollte«, schrieb einmal der jüdische Journalist Henryk M. Broder: »Wer zuerst Hitler, Nazis, Drittes Reich sagt, hat die Arschkarte gezogen. So einer ist entweder NS-Sympathisant oder – noch schlimmer – er missachtet das 11. Gebot: Du sollst nicht vergleichen!«

Nur ganz besondere Persönlichkeiten können sich über dieses 11. Gebot hinwegsetzen, ja, eigentlich gibt es nur einen Deutschen, bei dem man sich das vorstellen kann. Und das ist der quasi unantastbare Altbundeskanzler Helmut Schmidt, der nun auch noch mit seinem jüdischen Freund im Studio saß.

Was Helmut Schmidt »an der Redeart von Barack Obama« nicht gefalle, wollte Gastgeber Reinhold Beckmann (ARD) wissen.

Darauf Schmidt: »Ich habe nichts gegen die Art der Rede. Aber ich habe erlebt, dass Charismatiker hinterher mehr Unheil gestiftet haben, als sie sich selber vorgestellt haben. Immerhin – Adolf Hitler war auch ein Charismatiker.«

Pause. Beckmann und Stern hat es die Sprache verschlagen. Im Studio und in Millionen von Wohnzimmern konnte man eine Stecknadel fallen hören. Stalin und Mao Tse-Tung seien auch Charismatiker gewesen, sagte Schmidt in die Stille hinein, was die Sache nicht besser, sondern nur noch »schlimmer« machte.

Nur, um das einmal festzuhalten: Der ehemalige und wahrscheinlich beste Bundeskanzler, den Deutschland je hatte (was eine relative Wertung ist, keine absolute), stellte den amerikanischen Präsidenten Obama in eine Reihe mit Massenmördern, die Abermillionen von Menschen auf dem Gewissen haben. Und das sollte man nie vergessen – denn eines ist sicher: unüberlegt oder zufällig hat Helmut Schmidt das bestimmt nicht getan.

Daher lautete die spannende Frage: Wie würden Politik und unsere »Qualitätsmedien« reagieren? Antwort: Man erlebte den Versuch, ein aufflackerndes Feuer durch Brennstoffmangel auszuhungern. Aber eine Sendung, die von Millionen Zuschauern gesehen wurde, kann man doch nicht totschweigen! Oh, doch. Man mag es nicht glauben, aber selbst vor einem Millionenpublikum ausgebreitete Skandale und Sensationen kann man ungeschehen machen, indem man sie einfach nicht wahrnimmt und nicht über sie berichtet.

Nehmen wir an, jemand würde einen riesigen Felsbrocken ins Wasser werfen, und auf dem Wasser würden sich nicht die kleinsten Wellen bilden – wäre das nicht der beste Beweis, dass mit diesem Wasser etwas nicht stimmen kann?

Erdogan cancella la sua visita in Svezia

erdoganetsafemme-5afb0.jpgErdogan cancella la sua visita in Svezia

Ankara richiama il suo ambasciatore nella capitale svedese dopo la mozione che riconosce il genocidio armeno

Andrea Perrone

L’ambasciatore di Svezia ad Ankara, Christer Asp, è stato convocato venerdì mattina dal ministero degli Esteri turco in seguito all’adozione, da parte del parlamento svedese, di una mozione che riconosce come genocidio i massacri di armeni avvenuti all’inizio del secolo scorso, ai tempi dell’Impero Ottomano.
La mossa segue di poche ore la decisione del premier turco Recep Tayyip Erdogan (nella foto) di cancellare la visita in Svezia prevista per la prossima settimana e di richiamare in patria a tempo indeterminato l’ambasciatore turco a Stoccolma, Zergun Koruturk. Dure le critiche di Erdogan che in una nota ha dichiarato: “Il nostro popolo e il nostro governo respingono tale decisione presa sulla base di gravi errori e senza fondamento”, precisando che il voto svedese è frutto di “calcoli di politica interna” alla luce delle elezioni previste a settembre di quest’anno.
“È naturale che si manifesti disappunto per questa decisione del Parlamento e che si esprima il proprio punto di vista sulla questione”, ha commentato l’ambasciatore Asp, affermando che il tema, uno dei più controversi per la Turchia moderna, avrà inevitabili ripercussioni sui rapporti diplomatici ed economici tra Turchia e Svezia. “Naturalmente sono a rischio anche le relazioni commerciali - ha aggiunto - lavoreremo per evitare che questo accada”.
La risoluzione ha ottenuto il voto favorevole di 131 deputati e quello contrario di 130 ed è stata fortemente contrastata dal governo svedese. Il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, ha definito “un errore” l’approvazione da parte del Parlamento - per un solo voto espresso da un deputato che non ha seguito le indicazioni  del partito - ma ha ribadito che questo non cambia la posizione del governo, che sostiene l’ingresso della Turchia nell’Unione europea.
Il voto del Parlamento svedese arriva a meno di una settimana da quello della commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti con cui, anche in quel caso solo per un voto, è stata approvata una risoluzione non vincolante in cui si chiede al presidente Barack Obama di usare la parola genocidio nel riferirsi al massacro degli armeni. Anche il quel caso il governo turco ha   protestato, richiamando il suo ambasciatore a Washington ed accusando il governo statunitense di non aver fatto abbastanza per impedire il passaggio della risoluzione.
“Sono contrariata e sorpresa, mi aspettavo che il parlamento svedese decidesse che non è lavoro da deputati ma da storici decidere se c’è stato o meno un genocidio”, ha dichiarato la Koruturk. 
L’ambasciatore turco in Svezia ha quindi precisato che gli ottimi rapporti tra Ankara e Stoccolma non possono che risentirne. “Tutto è destinato a fare un passo indietro - ha osservato - questa decisione avrà un impatto drastico sulle relazioni bilaterali”.


13 Marzo 2010 12:00:00 - http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=1043

mercredi, 17 mars 2010

Obama: Yes, we can kill

Obama: Yes, we can kill

Gerhard Wisnewski / Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Tja, unser Barack Obama. Hat man doch gleich geahnt, dass »Yes, we can« irgendwie unvollständig ist. Der gute Barack wollte uns einfach nicht sagen, was wir nun eigentlich können. Nun wissen wir es: »Yes, we can kill« …

obama-chosen-one.jpgIrgendwie sind seine Fans ziemlich still geworden. Kein Wunder: Da killt er in Pakistan fröhlich vor sich hin und knipst »Terroristen«, aber auch Zivilisten von der Luft aus ab. Mit ferngelenkten Drohnen. Ist ungefähr so wie ein Videospiel. Jemand sitzt an einem Bildschirm und betätigt einen Stick – und »paff«: Weg ist der Terrorist. Oder wer auch immer. Denn natürlich kann man Terroristen von Zivilisten gar nicht unterscheiden. Es ist ja das Wesen des Terroristen, dass er in zivil unterwegs ist. Uniformiert ist nur eine reguläre Truppe. Befindet sich der Terrorist in Wirklichkeit also gar nicht am Boden, sondern quasi am anderen Ende des Sticks? Oder gar im Weißen Haus? Das zu beweisen, erfordert nur ein wenig simple Logik.

»Darf ein demokratischer Rechtsstaat per Mausklick töten?«, grämt sich das Zentralorgan »Spiegel Online« angesichts des US-Drohnenkrieges gegen »Al-Qaida« in Pakistan. Eine gute Frage, die aber zu kurz greift. Denn entscheidend ist ja nicht die bloße Technik, sondern die Frage, ob ein demokratischer Rechtsstaat überhaupt relativ wahllos Menschen massakrieren darf – ohne Gerichtsverfahren, ohne Urteil. Und selbstverständlich auch ohne Beweise. Denn wen die USA nun warum zum »Terroristen« ernennen – womöglich h.c. –, bleibt im Wesentlichen ihr Geheimnis. Die wirkliche Frage muss daher lauten: »Kann ein Staat, der relativ wahllos Menschen tötet, ein demokratischer Rechtsstaat sein?« Und die Antwort lautet natürlich nein. So etwas kann nur ein menschenverachtendes Regime tun.

Die Faustregel für uns heißt daher: Terrorist ist der, der von irgendeinem Terroristen in der CIA, im US-Militär oder in der US-Regierung dazu ernannt wird. »Terroristen« in der US-Regierung? Na klar: Denn während der erklärte Terrorist relativ irreal und unbestimmt bleibt, ist der unstreitig reale Terrorist der, der den Joystick betätigt – und natürlich der, der die Befehle dazu gibt. Denn dass er wirklich abknallt, wer ihm gerade vor die Drohne läuft, wird ja ganz offiziell eingeräumt. Ob dagegen das arme Schwein, das da unten am Boden von Raketen zerfetzt wird, wirklich ein Terrorist ist, ist durchaus unklar.

Klar dagegen ist, dass die Befehlshaber und -empfänger in den USA gegen jedes Menschenrecht andere Menschen töten. Und das ist ziemlich genau die Definition von »Terrorist«. Ja, es ist sogar der Wesenskern des Terrorismus (von lat. »terror« = Schrecken), dass er ebenso wahl-  wie scheinbar sinnlos zuschlägt. Dass also jeder ständig unter der Todesdrohung leben muss. Was man auch die »Strategie der Spannung« nennt. Denn klar ist ferner, dass zumindest die Dutzenden von Zivilisten um die »Zielperson« herum mit Terrorismus in der Regel überhaupt nichts zu tun haben, und dennoch liquidiert werden – einfach, weil sie in der Nähe waren.

Aber zum Glück haben wir ja noch die freie Presse, wie etwa Spiegel Online, die das alles aufdeckt. Allerdings bestimmt nicht, um einen Skandal zu entfachen oder Obama an den Pranger zu stellen. Sondern um die Massen an den Gedanken zu gewöhnen,  dass es gerechtfertigt sein kann, wahllos Zivilisten umzubringen.

Am 5. August 2009 zum Beispiel sei es gelungen, einen Baitullah Mehsud zu töten – im 16. Anlauf. »An jenem Tag schwebte eine Drohne vom Typ Predator gut drei Kilometer über dem Haus von Mehsuds Schwiegervater in der pakistanischen Provinz Südwaziristan. Ihre Infrarotkamera sandte in Echtzeit gestochen scharfe Bilder an die CIA-Zentrale in Langley im US-Bundesstaat Virginia. Der Top-Talib saß auf dem Dach des Hauses. Seine Ehefrau, sein Onkel und ein Arzt leisteten ihm Gesellschaft. In diesem Moment wurde Tausende Kilometer entfernt, in den USA, ein Auslöser betätigt. Zwei Hellfire-Raketen schossen aus der Drohne – und trafen ihr Ziel. Am Ende waren Baitullah Mehsud und elf weitere Menschen tot.«

Toll. »16. Anlauf« heißt: Man hat halt ein wenig herumprobiert: »Insgesamt, so die Schätzungen, starben bei den 16 Angriffsversuchen zwischen 207 und 321 Personen – und nicht alle waren Taliban, das ist gewiss.«

Was sich ganz so anhört, als veranstalteten die USA mit ihren Drohnen in Pakistan ein mehr oder weniger lustiges Tontaubenschießen, bei dem sie jeweils einige hundert Menschen abknallen, um dann hinterher zu behaupten: Der zweite Turbanträger von rechts, das war der bekannte Terrorist Mohammed al-Satan.

Na und – ist doch in Afghanistan! Oder in Pakistan! Ja, aber nicht mehr lange. Das ist nur ein Testgebiet mit billigen, recht- und namenlosen Versuchskarnickeln. Sobald das US-Imperium die ganze Welt beherrscht und die Serienproduktion angekurbelt hat, werden die Drohnen den ganzen Globus umschwirren wie Schmeißfliegen. Ortungen aus Handy- und GPS-Netzen werden mit  Identitäten verknüpft und an die Drohnen weitergeleitet. Im Prinzip braucht's dazu auch keine »Piloten« mehr. Sondern die Drohnen übernehmen die Pflege der Landschaft vollautomatisch.

Obama will Guantanamo schließen? Kein Wunder. Denn in Wirklichkeit will Obama überhaupt keine Gefangenen mehr machen. Und das wiederum hört sich so an, als wäre der große Friedensnobelpreisträger Obama in Wirklichkeit ein Kriegsverbrecher.

 

Mittwoch, 10.03.2010

Kategorie: Geostrategie, Politik, Terrorismus

© Das Copyright dieser Seite liegt bei Gerhard Wisnewski


Dieser Beitrag stellt ausschließlich die Meinung des Verfassers dar. Er muß nicht zwangsläufig die Meinung des Verlags oder die Meinung anderer Autoren dieser Seiten wiedergeben.

mardi, 16 mars 2010

Presseschau 03/März 2010

Presseschau

03/ März 2010

Einige Links. Bei Interesse anklicken...

###

„Die iranische Atombombe ist keine Gefahr für Israel“
BERLIN. Die Gefahr, die von einem atomaren Iran ausgeht, wird übertrieben. Diese Ansicht vertritt der israelische Militärexperte Martin van Creveld im Interview mit der JUNGEN FREIHEIT.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M596d14f6b99.0.html

vendeur_20journaux.jpgArmenien-Resolution im US-Kongreß
Türkische Politiker drohen USA wegen Völkermord-Vorwurf
Der Ton zwischen Ankara und Washington verschärft sich drastisch: Türkische Spitzenpolitiker verlangen von der US-Regierung, die Armenien-Resolution des Kongresses zu blockieren. Andernfalls seien die bilateralen Beziehungen gefährdet.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,681900,00.html

Streit um Armenien-Resolution
Türkei ruft Botschafterin aus Schweden zurück
Schweden zieht den Zorn der türkischen Regierung auf sich: Das Parlament hat die Tötung Hunderttausender Armenier und Mitglieder anderer Volksgruppen zu Beginn des 20. Jahrhunderts als Völkermord eingestuft. Die Türkei rief sofort ihre Botschafterin zurück, Premier Erdogan sagte einen Besuch ab.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,683127,00.html

USA prangern Islam-Feindlichkeit in Europa an
Die US-Regierung sorgt sich um die Menschenrechte in Europa. Laut einem jetzt veröffentlichten Bericht ist sie unzufrieden mit der Situation der Muslime. Kritisiert werden das Minarettverbot in der Schweiz, das Kopftuchverbot an deutschen Schulen und gewalttätige Übergriffe in mehreren Staaten.
http://www.welt.de/politik/article6737100/USA-prangern-Islam-Feindlichkeit-in-Europa-an.html

Chopin und Chauvinismus
Von Christian Rudolf
Das geschichtsbewußte Polen feiert seine Jahrestage, und während in der vergangenen Woche im Erdgeschoß des eleganten „Hauses des Auslandspolentums“ in Warschau zu Ehren Fryderyk Chopins ein Konzert gegeben wurde, richtete im Spiegelsaal das Posener West-Institut eine Experten-Konferenz zu Geschichte und Gegenwart der „Polnischen nationalen Minderheit in Deutschland“ aus.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M516acd6160c.0.html

Belohnung im Kanzleramt
Merkel läßt engen Berater zum General befördern
Angela Merkel will ihren obersten Bundeswehrberater im Kanzleramt halten: Damit Oberst Erich Vad in Berlin bleibt, soll er nach Informationen des SPIEGEL zum General befördert werden. Die Kanzlerin belohnt damit offenbar auch seine Hilfe in der Kunduz-Affäre.
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,682123,00.html

Teures Militärflugzeug
Käufer bezahlen 3,5 Milliarden mehr für A400M
Sieben Staaten und der Flugzeugbauer Airbus einigen sich auf die Finanzierung des Militär-Transporters A400M. Das Flugzeug wird teurer als geplant. Die Käufer-Länder sind bereit, insgesamt 3,5 Milliarden Euro zu den Mehrkosten beizutragen. Ab Ende 2012 soll der erste A400M ausgeliefert werden.
http://www.welt.de/wirtschaft/article6659832/Kaeufer-bezahlen-3-5-Milliarden-mehr-fuer-A400M.html

Drohneneinsätze
„Sie nennen es Kriegsporno“
„Als wärst Du ein Feuerwehrmann, und es brennt jeden Tag.“ Drohnenflieger seien einem Streß ausgesetzt, der ganz anders als an der Front sei, erklärt der US-Politologe Singer im Interview mit SPIEGEL ONLINE. Die gesamte Erlebniswelt des Krieges werde durch die neuen todbringenden Waffen verändert.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,681007,00.html


Tolles „Zukunftsmodell“ ...
Koalitionen
Deutschland – heimliche schwarz-grüne Republik
Von Mariam Lau
Union und FDP haben bei den Wählern viel Kredit verspielt. Das zeigt auch die neueste Forsa-Umfrage. In Nordrhein-Westfalen ist deshalb immer wieder von Schwarz-Grün die Rede. Ein Zukunftsmodell, für das sich in ganz Deutschland interessante Beispiele finden lassen.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6690660/Deutschland-heimliche-schwarz-gruene-Republik.html

Politisch korrekt abgefertigt
Was man in Deutschland sagen darf
Von Katja Bigalke
Das Interview, das der ehemalige Berliner Finanzsenator Thilo Sarrazin im Herbst letzten Jahres der Zeitschrift „Lettre International“ gab, sorgte wochenlang für Aufregung. Da war unter anderem von Türken die Rede, die den Staat nicht anerkennen, aber von ihm leben und immer neue „Kopftuchmädchen“ produzieren. Die türkisch-arabische Bevölkerung Berlins stempelte Sarrazin unmißverständlich als zu einem großen Teil „unproduktiv“ ab.
http://www.dradio.de/dkultur/sendungen/zeitfragen/1131145/
http://www.sezession.de/13073/deutschlandradio-ueber-sarrazin.html

Podiumsdiskussion: Hahn hält an Sarrazin fest
Einladung verteidigt
http://www.morgenweb.de/nachrichten/politik/20100305_srv0000005510972.html

Winnenden-Gedenkfeier
Bundespräsident fordert schärferes Waffenrecht
Bei der Gedenkfeier zum Amoklauf von Winnenden hat Bundespräsident Köhler weitere Beschränkungen für den Zugang zu Waffen gefordert. Der Innenexperte der CDU, Wolfgang Bosbach, wies diese Forderungen strikt zurück.
http://www.spiegel.de/panorama/0,1518,682982,00.html

Währungen
Griechen-Hilfe ermöglicht deutschen Euro-Ausstieg
Von Daniel Eckert
Eine finanzielle Unterstützung der Griechen könnte Deutschland in eine Verfassungskrise stürzen: Sie verletzt die Vereinbarkeit von Grundgesetz und Maastricht-Vertrag. Die Folge: Das Verfassungsgericht könnte die Euro-Mitgliedschaft der Bundesrepublik beenden. Der Weg für eine Rückkehr der D-Mark wäre offen.
http://www.welt.de/finanzen/article6657646/Griechen-Hilfe-ermoeglicht-deutschen-Euro-Ausstieg.html

Spiegel-Titel:
„Der Euro ist unter Beschuß wie nie zuvor, er ist angreifbar geworden, weil sich die Versprechen, auf denen er gegründet wurde, als Lügen erwiesen.“
http://www.spiegel.de/spiegel/print/index-2010-10.html

Bundeshaushalt: Der Staat versinkt in Schulden
Noch vor wenigen Wochen konnte Finanzminister Steinbrück keine klare Auskunft über die Größe des Lochs im Bundeshaushalt geben. Jetzt kommt Licht ins Dunkel. Wie das Handelsblatt aus Regierungskreisen erfahren hat, steuert der Bund auf eine Mega-Neuverschuldung zu. Im kommenden Jahr wird demnach der Schuldenrekord von Theo Waigel von 1996 genackt.
http://www.handelsblatt.com/politik/deutschland/der-staat-versinkt-in-schulden%3B2364818
http://www.finanznachrichten.de/nachrichten-2009-06/14216147-steinbrueck-neuverschuldung-2010-fast-90-mrd-eur-015.htm
http://www.tagesschau.de/multimedia/sendung/ts18028.html
http://www.faz.net/s/Rub594835B672714A1DB1A121534F010EE1/Doc~E9A6CA630BCEF404B83813CDB79C49B8D~ATpl~Ecommon~Scontent.html

EU-Finanzministerium: Belgien will Entmachtung von Nationalstaaten
http://www.mmnews.de/index.php/201003055076/MM-News/EU-Finanzministerium-Entmachtung-von-Nationalstaaten.html

Äußerst sehenswert ...
Trigema-Chef Wolfgang Grupp bei Sandra Maischberger (2.3.2010)
http://www.youtube.com/watch?v=GC40VTCJWU0
http://www.trigema.de/shop/index.jsf?fromAdwords=Trigema_Allgemein&cm_mmc_o=TBBTkwCjCH0zLfCjCzpcByplCjCfybTwFz

O-Ton Deutschland
„Ich bekomme Hartz IV und putze ehrenamtlich“
Martina T. ist Hartz-IV-Empfängerin und säubert die Toilette einer Grundschule – ehrenamtlich. Den unbeliebten Job macht sie gern, auch ohne Geld. Er gibt ihr das Gefühl, daß sie den Steuerzahlern etwas zurückgeben kann und erspart ihr das tatenlose Herumsitzen zu Hause. Arbeiten ist für sie Lebensqualität.
http://www.welt.de/politik/article6719341/Ich-bekomme-Hartz-IV-und-putze-ehrenamtlich.html

Bei der Libertären Plattform ist am 5. März 2010 eine verblüffende Sendung eingetroffen. Der Briefumschlag mit dem Poststempel vom 3. Februar 2010(!), der an ein Mitglied der Libertären Plattform adressiert ist, enthielt eine CD mit der Aufschrift „Fin_Pol_Germany_2010“(!). Darauf enthalten sind Daten, die namentlich genannten deutschen Politikern und Behördenmitarbeitern in- und ausländische Konten und Finanzinformationen zuordnen.
Mehr unter:
http://libertaere-plattform.de/lp-erhaelt-finanzdaten-von-politikern/

FDP-Kreisvorsitzender spendete vor der Landtagswahl im Saarland 47.500 € an die Grünen:
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6685752/Gruene-nahmen-FDP-Spenden-vor-der-Wahl-an.html

Ralph Boes: 1000 Euro bedingungsloses Grundeinkommen
http://www.freiewelt.net/nachricht-3577/ralph-boes:-1000-euro-bedingungsloses-grundeinkommen.html

Dr. Kerstin Funk: Grundeinkommen zerstört Arbeitsmoral
http://www.freiewelt.net/nachricht-3576/dr.-kerstin-funk:--grundeinkommen-zerstört-arbeitsmoral.html

Aus den taz-Sonderseiten zum Frauentag
Die Männer-Rechte
Männer machen Front gegen den Feminismus. Jetzt müsse Schluß sein mit der „Besserstellung der Frau“. Antifeministische Aktivisten schrecken selbst vor Kooperationen mit Rechtsradikalen nicht zurück. VON THOMAS GESTERKAMP
http://www.taz.de/1/leben/alltag/artikel/1/die-maenner-rechte/

Abgeordnetenwatch und der Moderations-Codex
„Abgeordnetenwatch.de und Parlamentwatch e. V. sind überparteilich“, heißt es hochtrabend in den FAQs von abgeordnetenwatch.de. Daß dem nicht immer so ist, mußte jetzt User J.H. erfahren, der dem Chef der SED-Nachfolgepartei Gregor Gysi, eine unangenehme Frage zu den Opfern der SED-Herrschaft stellen wollte.
http://www.pi-news.net/2010/03/abgeordnetenwatch-und-der-moderations-codex/#more-123759

Vera Lengsfeld
Sie lügen wie gedruckt. Stasioffiziere stellen ihr Buch vor
http://www.freiewelt.net/blog-1579/sie-lügen-wie-gedruckt.-stasioffiziere-stellen-ihr-buch-vor.html

Hakenkreuzschmierereien: Gefahr für das Abendland. Milliardenschwere Investitionen gefordert.
http://www.tagesschau.de/multimedia/video/video666680_bcId-_ply-internal_res-flash256_vChoice-video666680.html
http://blog.zeit.de/stoerungsmelder/2010/03/08/10-jahre-kampf-gegen-rechtsextremismus-eine-bilanz_2871#more-2871

„Gesicht zeigen!“
Uwe-Karsten Heye: Milliardeninvestition in Bildung soll Kampf gegen Rechts forcieren
http://www.derwesten.de/nachrichten/Milliardeninvestition-in-Bildung-soll-Kampf-gegen-Rechts-forcieren-id2690701.html

George Grosz und der deutsche Michel
Von Thorsten Hinz
Am vergangenen Sonntag habe ich mir in der Berliner Akademie der Künste am Pariser Platz eine Ausstellung zu George Grosz (1893–1959) angesehen. Seine Collagen und Zeichnungen sind professionell, aber politisch eindimensional. Ab einem bestimmten Punkt hat man von den schweinsköpfigen und stiernackigen Militärs, die er bevorzugt malte, genug. Für ihre Rolle als doppelt Geschlagene – zuerst durch die militärische Übermacht, dann durch den Versailler Vertrag, in deren Gefolge sie demobilisiert und gesellschaftlich und sozial herabgesetzt wurden – hatte er kein Empfinden. Grosz gehört zu den linken Künstlern und Publizisten, die das Elend der Weimarer Republik nur verschlimmert haben.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5244ead32a5.0.html

Wolfskinder
„Ich dachte, Deutschland gibt’s nicht mehr“
Keine Eltern, kein Zuhause, keine Identität: Kurz nach Kriegsende wurde Marianne Beutler als Zehnjährige von ihrer Mutter getrennt und mußte alleine überleben – eines von bis zu 25.000 „Wolfskindern“, die durch das zerstörte Osteuropa irrten. Über ihr Schicksal sprechen können sie erst heute. Von Matthias Pankau
http://einestages.spiegel.de/static/topicalbumbackground/6202/_ich_dachte_deutschland_gibt_s_nicht_mehr.html

Eklat am Nockherberg
Fastenprediger Lerchenberg wirft hin
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,682033,00.html

Das Holocaust-Gedenken ist zu einer Art Religion geworden.
Pilgerfahrt nach Auschwitz
KOMMENTAR VON IRIS HEFETS
http://www.taz.de/1/debatte/kommentar/artikel/1/pilgerfahrt-nach-auschwitz

Dazu ein Video, das die zum Teil erschreckende Neurotisierung der deutschen Bevölkerung infolge der holocaustzentrierten Geschichtspolitik zeigt ...
„Der Holocaust“ – Das Trauma der Deutschen
http://www.youtube.com/watch?v=2JwPFW4123c

Artikel vom Januar, aber dennoch sehr interessant...
Holocaust-Gedenken
„Bist du Jude?“
Zwei Deutschtürken versuchen, die deutsche Geschichte zu erklären – und treffen auf hartnäckige Vorurteile
http://www.zeit.de/2010/04/Umfrage-Reportage?page=all

Forderung nach „Ausländer-Rückführung“ ist keine Volksverhetzung
KARLSRUHE. Die Forderung nach einer „Ausländer-Rückführung“ kann nicht ohne weiteres als Volksverhetzung gewertet werden. Das geht aus einer am Freitag veröffentlichten Entscheidung des Bundesverfassungsgerichtes hervor.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M537215b98be.0.html

Verfassungsrichter werten „Ausländer raus“ nicht als Volksverhetzung
http://blog.zeit.de/stoerungsmelder/2010/03/05/verfassungsrichter-werten-auslander-raus-nicht-als-volksverhetzung_2864
http://www.bundesverfassungsgericht.de/pressemitteilungen/bvg10-013.html

Islamisten sollen britische Parteien unterwandert haben
LONDON. Der zur Labour-Partei gehörende britische Umweltminister Jim Fitzpatrick hat mit der Behauptung Aufsehen erregt, radikale Moslems hätten seine und andere Parteien unterwandert.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5fb6511b1a6.0.html

Hans-Peter Uhl (CSU): „Eine Islamisierung gibt es nicht“
http://www.n-tv.de/politik/dossier/Eine-Islamisierung-gibt-es-nicht-article766325.html

Thilo Sarrazins These
Satellitenschüsseln verhindern Integration
Von Gisela Kirschstein
Thilo Sarrazin nimmt beim Disput mit Hessens Integrationsminister kein Wort seiner Kritik zurück, sondern legt nach: Er sieht Ausländer gefordert, sich selbst zu bilden – und meint vor allem die Türken. Sie sollten nicht nur türkische Zeitungen lesen und türkisches Fernsehen schauen. Russen würden sich mehr anstrengen.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6722174/Satellitenschuesseln-verhindern-Integration.html

Leverkusen: Anschlag auf Pro-Funktionär
Zwei Monate vor der Landtagswahl in Nordrhein-Westfallen spitzt sich die Situation für Funktionäre von pro-NRW zu: In der Nacht zum Montag wurde im multikulturellen Leverkusener Problemstadtteil Rheindorf-Nord die Garage des pro-NRW-Mitglieds Markus H. beschmiert und sein Wohnzimmerfenster eingeworfen. H. hatte im Juni des vergangenen Jahres eine Demonstration der Bürgerbewegung gegen den Bau einer marokkanischen Prunkmoschee in Rheindorf (PI berichtete) mit organisiert, auf der es zu massiven Protesten der marokkanischen Anwohner kam. Neu in Rheindorf ist, daß anders als in Köln nicht die deutsche Antifa, sondern mohammedanische Immigranten gewaltsam in den Wahlkampf eingreifen.
http://www.pi-news.net/2010/03/leverkusen-anschlag-auf-pro-funktionaer/

FAZ berichtet über die direkte Einwanderung in die Sozialsysteme ...
Von 1970 bis 2003 stieg die Zahl der Ausländer in Deutschland von drei auf 7,3 Millionen. Die Zahl der sozialversicherungspflichtigen Ausländer blieb dagegen mit 1,8 Millionen konstant. Ein Großteil der Einwanderung nach Deutschland ging also am Arbeitsmarkt vorbei in das Sozialsystem.
http://www.arminen.net/wp/wp-content/uploads/2010/02/faz_steltzner_sozialstaat-in-schieflage_s-1_260110.pdf

Das hat er ja früh gemerkt ...
Helmut Schmidt: Der deutsche Exkanzler glaubt nicht an ein Zusammenleben mit dem Islam
http://www.arminen.net/wp/wp-content/uploads/2010/03/kurier_brd_schmidt_auslander_integration_kriminalitat_islam_interview_s-4_010310.pdf

70 „unzufriedene Schweine“ gegen Quick-halal
70 Mitglieder der „Jungen Identitären“, einer Jugendbewegung zur „Rückeroberung“ Frankreichs, haben eine Quick-halal-Filiale besucht, in der es nachweislich kein Schweinefleisch mehr auf der Speisekarte gibt. Die „Identitären“ demonstrierten als „unzufriedene Schweine“ verkleidet, um damit gegen die Finanzierung der Islamisierung durch die Halal-Ketten, die Lebensmittelapartheid gegen Nicht-Muslime in Halal-Restaurants und die Tierquälerei durch die islamische Schlachtung zu protestieren.
Das Video der „unzufriedenen Schweine“ sehen Sie hier.
http://www.pi-news.net/2010/03/70-unzufriedene-schweine-gegen-quick-halal/#more-123218

Versuchter Raub in Neu Isenburg
Am Samstag, 06.03.10 um 16:16 Uhr, wurde die PSt. Neu- Isenburg telefonisch über einen vers. Raubüberfall unterrichtet. Ein unbekannter Täter hatte einen 75jährigen Rentner erst um eine Zigarette gebeten und dann, als der Nichtraucher dem vermeintlichen Wunsch nicht Folge leisten konnte, zugestochen. Ein Verwandter des Opfers meldete den Vorfall, als das Opfer zu Hause war und bereits durch einen Rettungswagen versorgt wurde. Der Vorfall hatte sich kurz zuvor an der Fußgängerbrücke der Friedhofsstrasse ereignet.
http://www.ad-hoc-news.de/pressemitteilung-polizeipraesidium-suedosthessen--/de/Polizeimeldungen/21108994

Gastkommentar: Wenn Pädagogen zu Verbrechern werden
Lehrer sind keine Väter
Von Birgitta vom Lehn
Der Mißbrauch von Schülern in Internaten ist jahrzehntelang vertuscht worden.Nicht nur renommierte katholische Einrichtungen sind betroffen.Auch eine Vorzeigeeinrichtung der Reformpädagogik – die hessische Odenwaldschule – gerät nun ins Visier der Öffentlichkeit. Besonders erschütternd ist dort, daß die Vorfälle offenbar seit langem bekannt waren, aber die Behörden nicht gehandelt hatten.Ein Schlag ins Gesicht muß das vor allem für die „Homeschooler“ sein, denen die Behörden regelmäßig streng zusetzen, weil sie ihre Kinder nicht zur Schule schicken, sondern daheim unterrichten wollen.
http://www.welt.de/die-welt/debatte/article6697974/Lehrer-sind-keine-Vaeter.html

Jugendkultur Emo
Entdeck das Mädchen in dir
Von Carola Padtberg
Sie tragen lange Haare, schminken sich, zeigen Gefühle. Die düster-kitschigen Emos sind die erste Jugendszene, in der sich Jungs an Mädchen anpassen. Sie stellen das Rollenmodell auf den Kopf, ernten dafür Spott und Unverständnis – und manchmal Schläge.
http://www.spiegel.de/schulspiegel/leben/0,1518,676835,00.html

Kontrastprogramm ...
Assauer über schwule Fußballer
Wer sich outet, wird plattgemacht
Rudi Assauer ist für seine markigen Machosprüche bekannt. Nun hat der frühere Schalke-Manager wieder losgeledert und sich über Homosexuelle im Profifußball ausgelassen. Seine tollen Tips dürften jedoch nicht gerade für Begeisterung sorgen.
http://www.spiegel.de/panorama/leute/0,1518,683002,00.html

Konservative sind doof!
So ungefähr betitelte Spiegel-Online vor einigen Tagen voller Freude einen Artikel über eine Studie des Psychologen Satoshi Kanazawa. Da der Autor des linksliberalen Qualitätsmediums sich selbstverständlich nicht zu den tumben Massenprodukten der Evolution zählt, kann er diese Weisheit sogar noch feiner formulieren – „Konservative haben geringeren IQ“ – und wählt zur Illustration ein Foto von Horst Seehofer mit Bierhumpen im Gesicht.
Da kann man ja eigentlich nur zustimmen und bräuchte diese Untersuchung gar nicht zur Kenntnis zu nehmen, hätten es nicht doch womöglich einige Konservative bis in die London School of Economics and Political Science und sogar in die Redaktionsstuben des Spiegel geschafft. Die dummen Konservativen sind eben überall und wissen beispielsweise mit Statistiken nicht recht umzugehen.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5db098cc941.0.html

Stuttgart 21. Der Superbahnhof von Stuttgart
http://www.zdf.de/ZDFmediathek/beitrag/video/986616/Der-Superbahnhof-von-Stuttgart#/beitrag/video/986616/Der-Superbahnhof-von-Stuttgart

Flasche leer, Mauer hoch
Sie sind in vielen Ländern ein Müllproblem – dabei sind Plastikflaschen ein hervorragendes Baumaterial. Für Haiti wäre es ideal geeignet.
http://www.zeit.de/2010/09/PET-Haus

Seuchen
Chronik einer Hysterie
Von Philip Bethge, Katrin Elger, Jens Glüsing, Markus Grill, Veronika Hackenbroch, Jan Puhl, Mathieu von Rohr und Gerald Traufetter
Fast ein Jahr lang hielt die Schweinegrippe die Welt in Atem. Eine gigantische Impfkampagne sollte ihr Einhalt gebieten. Dabei handelte es sich nur um einen eher harmlosen Virenstamm. Wie konnte es zu solch einer Überreaktion kommen? Eine Rekonstruktion.
http://www.spiegel.de/spiegel/0,1518,682149,00.html

Dazu auch:
„Bereits 2003 hat sie (die WHO) ihre Mitgliedstaaten aufgefordert, bei den Risikogruppen bis zum Jahr 2010 eine Impfrate von 75 Prozent zu erreichen. Daß Deutschland von diesem Ziel noch weit entfernt ist, verdeutlicht die Grippe-Durchimpfungsrate von nur 56 Prozent bei den über 60jährigen in der Saison 2007/08. Inakzeptabel, so Wutzler, ist die Impfrate von lediglich 28 Prozent bei chronisch Kranken. Als ‚Situation, die mit Ratio nicht nachzuvollziehen ist‘ kritisierte der Mediziner die extrem niedrige Impfbereitschaft des medizinischen Personals, von dem sich nicht mal jeder Vierte impfen ließ.“
http://www.pharmazeutische-zeitung.de/index.php?id=30886&type=0

Nicht zuletzt für Vegetarier interessant ...
Angriff der Killerpflanzen
Von Ulli Kulke
Forscher haben festgestellt, daß es weit mehr fleischfressende Gewächse gibt als bisher bekannt
http://www.welt.de/die-welt/vermischtes/article6663350/Angriff-der-Killerpflanzen.html

Heimataerde – Brueder
Für dieses Musikstück wurde eine Textpassage aus der Shakespeare-Verfilmung „Henry V.“ von und mit Kenneth Branagh verwendet. Die berühmte Rede Heinrichs vor der Schlacht bei Azincourt (St. Crispin’s Day Speech) ist immer wieder erhebend.
http://www.youtube.com/watch?v=yBAlcgfzxCo

Les Malouines ou la porte vers l'Antarctique

Falklands_Jeremy_3.jpg

Bernhard TOMASCHITZ:

 

Les Malouines ou la porte vers l’Antarctique

 

La réactivation du conflit anglo-argentin pour les Malouines: l’enjeu, c’est le contrôle des matières premières!

 

 

Les relations entre l’Argentine et le Royaume-Uni entrent à nouveau en zone de turbulences. Le motif? Une fois de plus, les Iles Malouines dans l’Atlantique Sud, dont les Argentins réclament la rétrocession. L’entreprise britannique « Desire Petroleum » a entamé, fin février, début mars, des prospections et commencé des forages à 500 km au nord des Iles et devant les côtes argentines, afin de trouver du pétrole. Les réserves pétrolières dans cette région inhospitalière sont estimées, par les spécialistes, à 60 milliards de barils (de 159 litres chacun). A titre de comparaison, citons quelques chiffres : l’Arabie saoudite dispose des plus grandes réserves de pétrole au monde, avec 260 milliards de barils.

 

falklands_6_yomp.jpgFace à ces prospections, l’Argentine cherche à marquer des points sur le front diplomatique. Jorge Taiana, ministre argentin des affaires étrangères, a demandé, lors d’un entretien avec le secrétaire général de l’ONU, Ban Ki-Moon, l’intervention des Nations Unies. Il avance pour argument que les forages britanniques à proximité des Iles sont « un acte illégal qui offense le droit des gens », alors que « des résolutions explicites des Nations Unies exigent qu’aucune des deux parties ne pose d’actes unilatéraux qui pourraient aggraver la situation ». En 1982, le Royaume-Uni et l’Argentine s’étaient affrontés lors d’une guerre de dix semaines pour la maîtrise de l’archipel malouin. Un millier de soldats avaient laissé leur vie dans ce conflit, tous camps confondus.

 

Aujourd’hui, l’Argentine reçoit le soutien des pays d’Amérique latine gouvernés à gauche. Le Président du Venezuela, Hugo Chavez,  a exigé, lors d’une rencontre à Mexico, rassemblant les responsables de 32 Etats d’Amérique centrale et d’Amérique du Sud, que la Reine d’Angleterre, Elizabeth II, retourne à l’Argentine les Iles occupées depuis 1833 par les Britanniques. Le président brésilien, Lula da Silva, quant à lui, a demandé pour quelle raison d’ordre géographique, politique ou économique l’Angleterre maintient-elle sa présence dans les Malouines ; aussitôt sa question posée, il a donné la réponse : « Il se pourrait bien que la raison en est que l’Angleterre est membre permanent du Conseil de Sécurité de l’ONU ». Le Président bolivien Evo Morales est pour sa part convaincu « que toute l’Amérique latine et tous les Etats des Caraïbes se rangeront derrière l’Argentine pour défendre les Iles Malouines ».

 

En constatant le soutien général dont bénéficie l’Argentine dans le Nouveau Monde, les Etats-Unis cherchent à éviter de perdre encore du crédit et de l’influence en Amérique latine, à cause d’un nouveau conflit pour les Malouines. Pour cette raison, le Président Obama a pris une position neutre, au grand dam de la Grande-Bretagne. « Les Etats-Unis reconnaissent de facto l’administration britannique des Iles Malouines mais ne prennent pas position face aux revendications de souveraineté des parties concernées », a fait savoir Obama. En Grande-Bretagne, où l’on aime se revendiquer des « special relationships » (des relations spéciales) entre Londres et Washington, cette posture de neutralité prise par les Etats-Unis a provoqué une tempête d’indignation. « L’Amérique trahit la Grande-Bretagne quand l’heure est grave » titrait le quotidien Daily Telegraph. Le Royaume-Uni se dit prêt à défendre les Malouines seul s’il le faut. « Nous avons pris toutes les mesures nécessaires pour nous assurer que les habitants des Iles soient correctement protégés », a déclaré Gordon Brown. Pour le premier ministre britannique, le conflit avec l’Argentine arrive au bon moment. Car en mai, il y aura en Grande-Bretagne des élections pour la Chambre des Communes : les sondages estiment à l’unanimité que les travaillistes de Brown doivent escompter une défaite. Or une attitude de fermeté dans la défense des intérêts britanniques offrirait une occasion magnifique de détourner l’attention des électeurs des problèmes de politique intérieure et du triste état de l’économie anglaise. Ce ne serait sans doute pas un hasard si les forages entrepris par les Britanniques à proximité des Malouines se soient déroulés quelques semaines avant les élections pour la Chambre des Communes, élections qui laissent entrevoir un changement de direction au profit des conservateurs.

 

A cela s’ajoute que les Britanniques ont considérablement renforcé leur présence militaire dans les Iles au cours de ces dernières années. Dans la base militaire de Mount Pleasant, à 35 miles de la capitale de l’archipel malouin, Stanley, quelque deux mille soldats britanniques sont stationnés. Ils sont équipés de missiles sol-air et appuyés par un destroyer et des avions de combat de type Eurofighter. Fin décembre 2009, les forces armées britanniques ont exécuté des manœuvres devant les Iles Malouines, « simulant l’invasion de l’archipel par l’ennemi ».

 

Les Iles Malouines n’ont pas seulement une importance économique pour Londres mais aussi une grande importance stratégique. A la fin janvier 2010, l’analyste militaire russe Ilya Kramnik a rédigé une longue contribution pour l’agence de presse RIA Novosti, où l’on peut lire « que les Iles Malouines et les autres îles de l’Atlantique Sud contrôlées par les Britanniques constituent de facto la porte d’entrée vers l’Antarctique ; c’est cela qui explique l’attitude résolue de Londres de vouloir garder à tout prix la souveraineté britannique non seulement sur les Malouines mais aussi sur la Géorgie du Sud et sur les Iles Sandwich du Sud ; les Britanniques veulent en outre maintenir leur volonté de souveraineté sur les Shetland et les Orcades du Sud, selon les dispositions du Traité de l’Antarctique ». Depuis de longues années, Londres s’efforce, devant la Commission de l’ONU responsable des plateaux continentaux, d’obtenir pour la Grande-Bretagne, dans cette région maritime, la souveraineté sur environ un million de km2.

 

Le Traité de l’Antarctique, en vigueur depuis 1961 et résultant d’une convention internationale, stipule que l’Antarctique, continent inhabité, doit être réservé exclusivement à des activités pacifiques, surtout scientifiques. Juste avant l’entrée en vigueur de ce traité, les revendications territoriales des uns et des autres, en l’occurrence celles du Royaume-Uni qui revendiquaient plus d’un million de km2, ont été « gelées ». Mais sous la carapace de glace de l’Antarctique se trouvent des réserves énormes de matières premières, dont l’exploitation pourrait s’avérer fort intéressante, et pas uniquement pour les Britanniques.

 

Bernhard TOMASCHITZ.

(article tiré de l’hebdomadaire viennois « zur Zeit », n°9/2010 ; trad.. franc. : Robert Steuckers).

 

lundi, 15 mars 2010

Faut-il se garder d'une "russophilie" excessive?

omon.jpgFAUT-IL SE GARDER D’UNE « RUSSOPHILIE » EXCESSIVE ?

 

Entretien avec Pascal LASSALLE

 

Pascal LASSALLE est historien, professeur et conférencier. Il a fait ses classes militantes au sein des réseaux de la « Nouvelle Culture » (G.R.E.C.E, Synergies Européennes, Terre et Peuple), et reste plus que jamais attaché à la promotion d’une Europe-puissance souchée sur ses patries charnelles.

Il s’intéresse depuis quelques années aux problématiques est-européennes, en particulier celles qui concernent la Russie et son « étranger proche ».

Il est déjà intervenu à plusieurs reprises dans le cadre du G.R.E.C.E , Terre et Peuple (Tables rondes de 1999 et 2006, bannières locales), du cercle Sainte Geneviève ainsi que sur les ondes de Radio Courtoisie et Radio Bandiera Nera.

Il a dirigé les adaptations françaises des ouvrages de Gabriele Adinolfi, Noi Terza Posizione  (Nos belles années de plomb, l’Aencre, 2004) et Tortuga, l’isola che (non) c’è. (Pensées corsaires, abécédaire de lutte et de victoire, Editions du Lore, 2008) et collabore occasionnellement au mensuel le Choc du mois, à l’agence d’informations Novopress et au site d’analyses et de débats métapolitiques Europe maxima.

 

 

 

ID Mag: L’opposition grandissante de la Russie rénovée à la toute puissance américaine, associée à la personnalité « volontariste et patriote » de Vladimir Poutine, engendre un très vif engouement des milieux nationalistes et identitaires pour la patrie des Tsars et son actuel gouvernement. De votre côté, tout en soulignant les forces et les réalisations de la Russie nouvelle, vous mettez en garde contre un soutien systématique et sans nuance à toutes les prises de positions russes et une vision étroitement et uniquement  « géopolitique » de nos relations avec « l’empire de l’Est ». Pouvez-vous préciser et expliciter votre position ?

 

 

PL : Je suis depuis plus d’une vingtaine d’années partisan pour des raisons géopolitiques et civilisationnelles d’une synergie continentale euro-russe qu’un Guillaume Faye a pu qualifier d’ eurosibérienne . Depuis la prise de pouvoir par Vladimir Vladimirovitch Poutine, j’observe l’œuvre de redressement et de restauration en cours avec beaucoup d’intérêt, dans un premier temps assez captivé par la figure de cet Octave/Auguste de l’Est ou plutôt ce nouveau Mikhaïl Romanov qui a mis fin aux « temps des troubles » eltsiniens.

Les événements ukrainiens de 2004 et une découverte approfondie de ce pays « fantôme de l’Europe » pour reprendre l’expression de l’historien Benoist-Méchin ont agi sur moi comme un puissant révélateur de tendances et de phénomènes à l’oeuvre en Russie qui peuvent aisément nous échapper, vu que la patrie de Pouchkine a constitué de tous temps une réalité qui ne se laisse pas facilement appréhender.

Depuis, je m’efforce d’être un observateur attentif, dépassionné et lucide des évolutions en cours dans la Fédération russe et son « étranger proche », car lire régulièrement la presse locale ou regarder quotidiennement le journal télévisé de RTR Planeta pour ne citer que ces exemples vous permet d’entrevoir d’autres réalités pas toujours perceptibles au premier abord.

Je le fais en ayant toujours à l’esprit l’impératif civilisationnel d’une fédération impériale grande-européenne respectueuse de ses patries constitutives, sans négliger les intérêts géopolitiques et stratégiques d’une AlterEurope à venir.

À partir de là, je crois que tout patriote identitaire européen conséquent devrait se faire plus critique sur plusieurs aspects de la politique russe mis en œuvre depuis quelques années.

Un tel engouement confinant parfois à une certaine « russolâtrie » ne m’étonne pas vraiment quand il émane de cénacles nationalistes et souverainistes communiant encore et toujours dans le culte d’un état-nation jacobin, l’illusion d’un renouveau républicain, la promotion d’une Europe des nations, voire une europhobie et un antifédéralisme primaires (alors qu’au contraire, le machin de Bruxelles est beaucoup plus jacobin qu’autre chose).

Pour autant, une adhésion inconditionnelle au régime de Poutine chez des représentants de la mouvance identitaire ou néo-droitiste, voire nationaliste-révolutionnaire, me surprend davantage.

Encore que, je suis bien conscient des motifs avancés pour cela.

On peut évoquer la nécessité de faire contrepoids à l’hégémonie américaine et de contribuer à l’émergence d’un monde multipolaire, des phénomènes de compensation psychologiques (« c’est un Poutine qu’il nous faudrait ») ou l’espoir d’un « salut » venu de l’Est (« les divisions russes vont nous sortir de notre décadence et assainir nos banlieues »).

On soulignera également l’impératif d’une construction continentale de Brest à Vladivostok et l’affirmation que la Russie est pleinement européenne d’un point de vue identitaire, avec le constat que certaines réalités déplaisantes ne peuvent être que des épiphénomènes pudiquement évacués, voire occultés au nom d’une realpolitik bien pensée et de la crainte de faire le jeu du camp atlantiste.

Un désenchantement et une déception à l’égard des pays frères d’Europe centrale et orientale est palpable chez beaucoup, indéniablement à la hauteur des espoirs soulevés en 1989-91.

L’auteur de ces lignes fut l’un d’entre eux, mais il s’efforce de faire la part des choses,  ayant pris acte du fait que la plupart de ces pays ex-communistes ont embrassé la cause de l’atlantisme : ce positionnement plus que regrettable ne les transforme pas pour autant en états parias[1]

On trouvera aussi la fascination de certains pour les constructions intellectuelles néo-eurasistes et le statut envié d’un Alexandre Douguine qui s’est propulsé d’une marginalité nationale-bolchevique jusqu’aux périphéries du pouvoir poutinien.

Le numéro 131 d’avril-juin 2009 de la revue Eléments intitulé « Demain les Russes ! », illustre bien ces positionnements et se révèle d’ailleurs bien décevant dans son conformisme convenu, son absence de point de vue propre (pas d’articles étoffés, seulement un éditorial et trois longs entretiens) et de débat constructif : le sujet méritait incontestablement mieux ![2]

Qu’en est-il de ces réalités et équivoques que je m’efforce régulièrement de mettre en évidence ?

Tout d’abord le fait que la Russie du tandem Poutine/Medvedev entrevoit son avenir en regardant dans le rétroviseur d’une histoire mythifiée, voire falsifiée lorsqu’on se réfère aux « vérités » d’une historiographie soviétique dont la rigueur scientifique est devenue proverbiale. Entre amnésie sélective, raccourcis fulgurants, manipulations du réel et réhabilitations posthumes (le généralissime Staline), celle-ci a permis d’éviter à la Russie de connaître une culpabilisation collective à l’allemande, mais l’a fait tomber dans l’excès inverse, celui d’une « Histoire qui ne veut pas passer » et qui bégaye à nouveau, de manière durable semblerait-il.

Ces enjeux mémoriels et historiques ne doivent pas être négligés et considérés comme un épiphénomène somme toute secondaire.

Bien au contraire, ils apparaissent primordiaux dans l’esprit du pouvoir russe actuel avec l’écho démesuré qui leur est accordé. En témoignent par exemple l’ouvrage d’une Natalia Narotchnitskaia[3], qui, à l’exception de Dominique Venner[4], a souvent suscité des réactions plutôt complaisantes dans les mouvances précitées, l’importance donnée aux commémorations du 9 mai et de la « Grande guerre patriotique »[5] ou la mise en place le 19 mai 2009 d’une commission chargée de lutter contre les falsifications de « l’histoire commune » contraires aux « intérêts » russes dans les pays baltes ou en Ukraine[6].

On peut également évoquer la guerre culturelle qui se déploie sur les écrans avec la promotion de superproductions historiques nationales-patriotiques souvent sponsorisées par le Kremlin.

Ces longs-métrages, souvent intéressants et bien réalisés, n’hésitent pas à dépeindre sous les traits les plus sombres  un Occident éternellement hostile, que ce soient les Polonais (1612 de Vladimir Khotinenko, Taras Boulba de Vladimir Bortko) ou les Suédois (Alexandre,la bataille de la Neva de Igor Kalenov), alors que les cosaques zaporogues ukrainiens sont dépeints comme des combattants pour la « terre russe orthodoxe » ! (encore Taras Boulba). Attendons de voir le film de Fëdor Bondartchouk sur Stalingrad, en cours de production …

De fait, les Russes ont le grand mérite de cultiver une longue mémoire historique que nous avons ici reléguée aux oubliettes afin se reconstruire légitimement une identité post-soviétique.

Mais ils le font sur des bases problématiques et discutables, autant pour eux que pour nous.

On y perçoit l’extrême difficulté, voire l’incapacité qu’ils ont de se penser en dehors de l’empire, un empire originellement expansionniste (« tout territoire ayant un jour été russe est destiné à le rester ou le redevenir ») aux frontières toujours mal définies, centralisateur et russificateur. Cette tendance lourde, déclinée sur le mode d’un complexe post-impérial, n’a jamais disparu depuis la chute de l’URSS et me semble destinée à empoisonner durablement les relations de la Russie avec ses voisins.

Ce phénomène est renforcé par la quête obsessionnelle d’une puissance largement illusoire qui néglige des défis domestiques persistants, place ses priorités dans des enjeux symboliques et dans la reconstitution d’un espace, ou du moins, d’une aire d’influence exclusive recouvrant l’espace ex-soviétique, le fameux « étranger proche ».

Moscou devrait accepter de s’inscrire dans des frontières sécurisées et internationalement reconnues, prenant comme base solide celles de la Fédération actuelle.

Les dirigeants russes sont-ils bien conscients que dans leur situation particulière, celle d’un territoire immense au climat souvent hostile, l’espace est un considérable réducteur de puissance ?

Dès lors, je pense qu’il faut arrêter de victimiser systématiquement une Russie qui, pour être l’objet de réelles menées américaines dans sa périphérie, n’en porte pas moins une part de responsabilité dans le maintien de contentieux historiques régulièrement ravivés avec ses voisins, permettant de maintenir un levier commode et rêvé pour la Maison-Blanche.

Je ne suis pas loin de penser qu’un Zbignew Brzezinski à Washington s’accommode fort bien du renforcement des tendances chauvinistes, néo-impériales et néo-soviétiques en Russie, plutôt qu’être confronté à un pays régénéré sur des bases saines et solides, constituant un pôle attractif pour ses voisins (beaucoup de progrès à faire à Moscou dans le domaine du soft power), entretenant des relations normales avec eux et se rebâtissant un projet politique et identitaire connecté aux moments européens de son histoire.

 

ID Mag : Certains rêvent d’une Europe « de Brest à Vladivostok ». Selon vous, peut-on affirmer que la Russie est historiquement, culturellement et ethniquement « européenne » ?

 

 

PL : La Russie se révèle incontestablement européenne dans ses fondements originels.

L’ensemble grand-russien découle d’une ethnogénèse entre adstrats slaves orientaux et tribus finno-ougriennes sur la périphérie coloniale septentrionale d’un vaste empire patrimonial, communément et incorrectement qualifié de « Russie de Kiev » et qu’il vaudrait mieux nommer dans un souci d’objectivité historique, Rou’s (ou Ruthénie) de Kiev (Kyiv en ukrainien), un ensemble relié dynastiquement[7], économiquement et culturellement au reste de l’Europe du Haut Moyen Age.

L’invasion mongole constituera une rupture radicale dont les effets se feront sentir jusqu’à nos jours.

La Moscovie, noyau fondateur du futur empire russe (terme officialisé sous Pierre le Grand) se construira dès lors sur des ressorts politiques et culturels doublement asiatisés et orientalisés car relevant de l’influence tataro-mongole de la Horde d’Or et d’un modèle byzantin tardif, bien éloigné de ses racines helléno-européennes, introduit sous Ivan III[8].

Un modèle monarchique autocratique, patrimonial et prédateur, un fort messianisme politico-religieux (mythe de la « Troisième Rome », Orthodoxie figée) et certaines dispositions mentales en constituent les manifestations les plus patentes.

Ensuite, à partir des réformes de Pierre le Grand, la Russie « retardée » de plusieurs siècles par rapport aux évolutions civilisationnelles du reste de l’Europe, ne va cesser d’osciller dans un récurrent mouvement de balancier entre des relations passionnelles de fascination/répulsion avec l’Europe « romano-germanique », dilemme illustré par les débats entre occidentalistes, slavophiles, panslavistes et (néo)eurasistes.

Ce dernier n’a jamais été tranché jusqu’à aujourd’hui et une analyse rigoureuse du contexte russe le démontre régulièrement.

À mon sens, il serait de la responsabilité des mouvances identitaires de sensibiliser avec tact et franchise les interlocuteurs russes sincères et ouverts à la nécessité d’opérer un retour à l’Europe en activant dans leur héritage politique, culturel, ce qui ressort indiscutablement d’un héritage commun.

Commençant à connaître la mentalité russe, je ne me fais pas forcément beaucoup d’illusions. Aujourd’hui la tendance dominante, au sein des élites comme dans l’opinion, est de considérer la Russie comme une réalité singulière, une civilisation en soi, entre Europe et Asie.

Dans mes moments de doute, j’arriverais presque à me persuader que cette rupture est insurmontable et que la branche grande-russienne s’est radicalement coupée de l’arbre boréen.

Mais sachant qu’il n’y a pas de fatalité en Histoire, je me dis que nous devons œuvrer inlassablement pour favoriser une prise de conscience et un retour à notre Europe de frères prodigues souvent attachants, mais parfois bien distants et irritants…

 

ID Mag : Les « révolutions de couleurs » qui agitent certains pays de l’ex-bloc de l’Est  sont généralement présentées comme de pures manipulations et orchestrations américaines. Ici encore, vous appelez à la mesure et à la nuance. Quelle est, selon vous, la réalité de la situation, notamment dans le cas ukrainien ?

 

 PL : Le traitement de la fameuse question des « révolutions de velours » dans les mouvances (méta)politiques précitées renvoie souvent à un schéma réducteur, ou témoigne parfois d’une imprégnation pure et simple par les théories du complot, déclinées sur le mode du vieux complexe obsidional de la forteresse assiégée, très en vogue ces dernières années à Moscou.

Cette tendance très ancienne en Russie s’explique par une histoire troublée, mais en dernier lieu, cela me semble relever d’une infirmité politique et constituer sur un mode incapacitant une facilité empêchant les autorités russes de se remettre en cause et de se poser parfois les bonnes questions.

Dans le cas ukrainien, le postulat d’un mouvement mécaniquement téléguidé et prémédité de l’étranger ne tient pas et cette « révolution orange » n’aurait jamais eu lieu si de nombreuses conditions n’avaient pas été réunies avec l’espoir d’un profond changement, sans parler du lancinant contentieux historique avec le voisin russe.

Les ONG américaines, maintes fois évoquées, ont bien injecté des dollars et formé les militants de structures activistes comme Pora, mais l’ampleur du phénomène, répétition sur une plus grande échelle d’un mouvement de contestation semblable réprimé au printemps 2001, démontre que d’autres ressorts ont joué.

L’Ukraine, pivot géopolitique selon Zbigniew Brzezinski, a été à cette occasion l’objet d’ingérences répétées de la part des Américains, de l’UE, mais aussi de son « grand voisin du nord ».

Vladimir Poutine a commis là-bas, de l’avis de nombreux observateurs politiques, la première erreur marquante de son « règne ». Il s’est cru chez lui et ses visites répétées en faveur d’une présidence Koutchma corrompue et complètement déconsidérée ont été très mal reçues, y compris dans l’Est et le Sud russophones du pays.

Ces empiètements russes furent principalement motivés par le fait que l’accession au pouvoir d’une présidence « orange » remettait en cause le processus d’intégration programmé de l’Ukraine au sein d’un Espace Economique Commun dominé par Moscou, en plus d’interrompre la mise en place d’un régime autoritaire à la bélarussienne.

Ils ont une fois de plus révélés que l’Ukraine n’avait depuis 1991 qu’une indépendance formelle et que, gouvernée par des oligarchies créoles post-communistes, elle oscillait, notamment sous Koutchma, entre Occident et Russie au gré des intérêts de la nomenklatura en place.

Rappelons aux amateurs de vérités simples que c’est sous le « pro-russe » Viktor Ianoukovytch, alors Premier ministre, que se sont déroulées les premières participations de l’Ukraine au Partenariat pour la Paix, antichambre de l’Otan et que c’est le président « pro-russe » Leonid Koutchma qui a envoyé un contingent ukrainien en Irak.

C’est également ce dernier qui a écrit le livre « L’Ukraine n’est pas la Russie », réalité que les Russes dans leur ensemble, opinion publique et classe politique confondues, des libéraux pro-occidentaux aux nostalgiques de Staline, se refusent toujours à admettre, considérant l’Ukraine comme « le berceau » de la Russie et comme partie intégrante de leur ethnos.

L’élection de Viktor Iouchtchenko a été à ce moment-là perçue par beaucoup d’Ukrainiens comme la promesse d’une véritable indépendance et d’un «retour à l’Europe » si longtemps différé. C’était bien sûr à tort, l’impéritie, les rivalités personnelles et les choix funestes de la présidence « orange » se chargeant de rattraper la bourde initiale de Poutine.

Mais le contentieux historique est plus que jamais vivace et Moscou n’a pas manqué une occasion pour faire jouer tous les leviers en sa possession (Gaz, Crimée, flotte russe de Sébastopol, question linguistique et controverses historiques) afin de faire pression sur un état dont elle n’a jamais admis l’existence[9].

Cette querelle de couple dans laquelle l’épouse ukrainienne a fini par divorcer d’un conjoint moscovite insupportable, n’en finit pas de se prolonger pour le plus grand bonheur du notaire américain : il faudra bien pourtant que monsieur finisse par se rendre à l’évidence.

Ce n’est pas l’élection récente de Viktor Ianoukovytch[10] le 7 février dernier au poste de président qui devrait significativement changer la donne. Celui-ci, pour de multiples et récurrentes raisons, risque de s’en tenir à une politique multivectorielle de non-alignement. Les Russes restés prudents au cours de ce scrutin ne se font d’ailleurs pas beaucoup d’illusions ainsi qu’en témoignent par exemple les écrits de Douguine ou  des journalistes de RIA Novosti à propos de  l’homme de Donetsk[11].

Pour un patriote identitaire européen, s’opposer à l’entrée de l’Ukraine dans l’OTAN est une chose nécessaire et légitime, nier son identité propre et son droit à construire un état souverain en est une autre, à laquelle nous ne pouvons et ne devons nous résoudre.

Je souhaiterais que tous ceux qui, par méconnaissance ou calcul, proclament que « l’Ukraine et la Russie sont consubstantielles » fassent preuve d’un peu plus de rigueur, de discernement et de cohérence intellectuelle ou idéologique. Ils seraient bien avisés de cesser de répéter pieusement la version de l’Histoire made in Moscow, de se contenter d’un strict positionnement géopolitique et de relayer les scénarios russes, peu crédibles d’ailleurs, d’annexion ou d’éclatement du pays.[12]

Des ouvrages relativement objectifs et impartiaux sont aujourd’hui disponibles pour qui veut se donner la peine d’y voir plus clair.

Jean Mabire fut l’une des rares figures de la mouvance identitaire à avoir défendu le droit des Ukrainiens à une existence propre.

Effectivement l’Ukraine a eu, comme la Russie, une histoire tourmentée. À l’inverse de sa puissante voisine, elle a vu sa construction étatique maintes fois contrariée, mais elle est restée arrimée au noyau européen et ses fractures internes actuelles résultent d’une domination plus ou moins longue, selon les régions, du grand voisin du nord.

Elle a mené au cours des siècles une lutte pour sa liberté contre les dominateurs russes et polonais avec une opiniâtreté qui force l’admiration et ne va pas sans évoquer le combat des fils de la verte Erin contre la domination britannique.

L’Ukraine, identité enracinée sur un territoire, appartient de plain-pied à l’ensemble géopolitique et civilisationnel européen. Il est de notre devoir de le faire savoir et de convaincre les Russes que des relations apaisées, étroites et véritablement fraternelles entre peuples apparentés ne peuvent se baser que sur une pleine reconnaissance de l’identité de chacun.

Le pays des cosaques zaporogues a, de plus, toujours contribué à ancrer la Russie en Europe (Pierre le Grand a, par exemple, assis ses réformes à l’aide de cadres politiques et ecclésiastiques ukrainiens), d’où l’idée qu’une Ukraine réintégrée dans son cadre originel pourrait encourager la Russie à se déterminer significativement et à tourner une fois pour toutes son regard dans notre direction, loin de ses tentations eurasistes…

 

ID Mag: On parle de plus en plus d’une vague de « nostalgie », en Russie », pour la période soviétique et même de volonté de réhabilitation de celle-ci. Qu’en est-il exactement ?

 

 

PL : Comme je le signalais plus haut, une certaine nostalgie soviétique, l’idéologie communiste en moins, est à l’ordre du jour et ce processus s’est amplifié depuis le deuxième mandat de Poutine.

Nostalgie chez les petites gens qui, ayant subi les effets désastreux de l’ère Eltsine, ont tendance à idéaliser une période durant laquelle les besoins vitaux de la population, l’ordre public et d’autres choses comme l’accès généralisé à la culture étaient largement assurés.

Dans le domaine sportif, les piètres performances des athlètes russes aux jeux olympiques d’hiver de Vancouver ont ravivé cette sovietalgie.

La mémoire populaire se révèle généralement sélective  et il est de plus propre à l’être humain de refouler les peurs et agressions qu’un système oppressif a générées chez cet homo sovieticus brossé en son temps par un Alexandre Zinoviev et qui est bien loin d’avoir disparu.

Dans la Korpokratoura (Jean-Robert Raviot) actuellement au pouvoir où sphères politiques et économiques sont étroitement imbriquées, outre que cette période, pour la majorité d’entre eux, continue de structurer une bonne partie de leur paysage mental, on retient surtout de l’ère soviétique la grandeur apparente d’une grande puissance redoutée et respectée, qui, sous Staline notamment, avait porté les frontières de l’empire à son zénith.

Mêlée à des éléments de l’ère tsariste (symboles nationaux notamment), cette composante soviétique doit servir à renforcer un patriotisme officiel assis sur l’idée étatique (derjavnost’) et celle d’Unité affirmée sur un mode mobilisateur.

Dans le contexte d’un système de représentations si ambivalent, on referme l’accès aux archives d’Etat et on réécrit l’Histoire en faisant la part belle aux mensonges et fables de l’ère soviétique tout en déniant aux voisins de l’ « étranger proche » le droit de créer (sur un mode, il est vrai, parfois passionnel et polémique) leurs historiographies nationales et d’honorer ceux qu’ils considèrent comme des héros de la lutte anti-communiste (souvent ravalés par Moscou aux rangs de simples collaborateurs des nazis, dans la plus pure langue de bois soviétique).

Encore une fois, on pourrait s’étonner du relatif silence de ceux qui ont en leur temps justement condamné la reductio ad hitlerum dans notre beau pays et évitent de faire de même lorsqu’il s’agit de la Russie. Et qu’on ne vienne pas me dire que c’est de bonne guerre !

Moscou désire assurer une « continuité » dans son histoire récente sans risquer de fragiliser par l’évocation des « heures sombres » une identité problématique, encore convalescente après la chute de l’Union soviétique, « plus grande catastrophe géopolitique du XXème siècle » (Poutine).

Plusieurs déclarations du président Medvedev démontrent que remettre en cause le petit catéchisme officiel concernant la « Grande guerre patriotique » et « l’histoire commune »  aurait pu devenir difficile, voire judiciairement risqué (projet de loi de la Douma daté du 6 mai 2009 réprimant le « révisionnisme historique », finalement rejeté par le gouvernement le 29 juillet de la même année)[13], à l’intérieur comme à l’extérieur des frontières de la fédération.

Le drame pour le peuple russe est que la voie tracée par un Alexandre Soljenitsyne sur un traitement lucide et responsable de la période communiste n’ait pas été suivie et approfondie.

Le Kremlin se fait l’écho aujourd’hui de représentations majoritaires encore agissantes au sein de la population autour d’un passé récent qui continue à être mythifié par la nouvelle histoire officielle.

Poser ainsi les bases du futur me semble fâcheusement lourd d’impasses, d’équivoques et de contradictions qui ne manqueront de s’amplifier et de continuer à compromettre davantage l’image de la Nouvelle Russie.

 

ID Mag: Le redressement de la Russie est spectaculaire, il n’en est pas pour autant sans failles. Quelles sont selon vous les principales faiblesses qui le menacent ? La chasse aux oligarques a-t-elle été menée jusqu’au bout ? Où en sont- la démographie et la maîtrise de l’alcoolisme endémique ?

 

PL : Ce redressement spectaculaire, comme vous dites, a été freiné par les effets de la crise systémique mondiale qui a fini par toucher la Russie de plein fouet : Il semblerait que le pays commence timidement à s’en remettre, bien que des soubresauts sociaux transparaissent ça et là au travers du voile posé par les médias plus ou moins sous contrôle. L’avenir proche nous dira davantage ce qu’il en est dans ce domaine.

La Russie a le plus grand mal à faire le deuil de son empire et à se faire à l’idée que seule, elle est condamnée à rester une puissance régionale ayant hérité d’un arsenal nucléaire vieillissant, dont il est admis en haut lieu qu’il ne pourra être que partiellement modernisé (missiles stratégiques Topol-M et Boulava).

Sans l’Europe et une synergie bien pensée dont les contours ne peuvent encore être définis, elle me semble condamnée à rester une « puissance pauvre ».

Ce redressement pour avéré qu’il soit dans de nombreux domaines reste néanmoins fragile et peut même apparaître comme un phénomène « Potemkine » qui cache un envers du décor beaucoup moins reluisant.

Société civile embryonnaire en proie depuis des siècles aux prédations d’un pouvoir patrimonial, état faible contrairement aux idées reçues, phagocyté par une Korpokratoura, dont le mode d’exercice du pouvoir plébiscitaire et non compétitif préfigure peut-être les formes de régime post-démocratiques en voie de renforcement rapide en Occident.

Économie de rente dont les actifs sont plus ou moins affectés par une certaine baisse des cours du gaz et du pétrole, outil industriel dépassé (y compris la branche militaire, souvent incapable de satisfaire la demande étrangère et qui a perdu une grande partie de ses savoir-faire), infrastructures dignes d’un pays du Tiers-monde (une fois sorti de Moscou, Saint-Pétersbourg et de quelques îlots urbains « développés »).

La liberté d’expression est réelle sur des thématiques fondamentales qui nous sont chères, mais il ne vaut mieux pas s’aventurer à enquêter sur des affaires précises touchant des personnes bien identifiables...

La société est minée par une corruption structurelle qui n’est pas nouvelle (voir Les âmes mortes de Gogol par exemple) et dont on se demande si le pouvoir actuel s’en accommode ou montre son impuissance à la combattre efficacement, tellement le mal est profond, ceci en dépit de  sanctions conjoncturelles et exemplaires, fortement médiatisées.

L’armée doit être rapidement réformée à la lumière des enseignements du conflit géorgien, avec une professionnalisation et un « dégraissage » pour lequel la haute hiérarchie militaire freine des quatre fers. Sans parler du remplacement de matériels largement obsolètes dont le faible rythme de renouvellement pourrait être mis à mal par une baisse annoncée des crédits militaires : beaucoup d’effets d’annonce en général à l’occasion par exemple du vol récent du prototype d’un chasseur de 5ème génération, le Sukhoi PAK-FA T-50 qui est loin d’être entré en service et ne le sera qu’au prix d’une coopération avec l’Inde.

Les négociations au sujet de l’achat de bâtiments de projection et commandement français type Mistral, outre leurs arrière-pensées géopolitiques, démontrent qu’un savoir faire technologique s’est perdu depuis l’éclatement de l’URSS (les chantiers navals de Mykolaiv qui avaient conçu les porte-avions de la classe Kuznetsov sont aujourd’hui situés dans l’Ukraine indépendante).

Concernant les oligarques, on a éliminé ceux qui ont été associés à l’ancien pouvoir eltsinien (Boris Berezovski) ou qui ont eu des velléités de s’opposer au Kremlin en s’associant à des intérêts politiques et économiques étrangers (Mikhail Khodorkovski). Les autres, comme Roman Abramovitch ou Oleg Deripaska sont toujours là, plus discrets, rentrés dans le rang ou étroitement associés au pouvoir. Ils servent parfois de boucs émissaires pour le bon peuple et c’est l’occasion de réprimandes de la part du père fouettard Poutine sous l’œil attentif des caméras.

Selon certaines sources récurrentes, le judoka préféré des Russes ne serait pas dépourvu d’une fortune personnelle conséquente.

La population reste préservée de flux migratoires massifs venus de l’étranger. Elle connaît cependant quelques problèmes de cohabitation avec des ethnies non-slaves. Le pouvoir oscille entre une définition ethnique et étatique de l’appartenance russe (deux termes différents existent dans la langue de Dostoïevski pour désigner l’une ou l’autre) avec une certaine préférence donnée officiellement à cette dernière. I’année dernière, les Nachii, jeunesses poutiniennes « antifascistes » se sont vues confier dans plusieurs villes du pays la tâche de vider la rue de ses groupes nationalistes.

Groupes qui, lorsqu’ils ne sont pas infiltrés, voire purement et simplement générés par le FSB, sont largement instrumentalisés et tolérés au gré des intérêts et de la conjoncture du moment.

Je ne parle même pas de « l’ultranationaliste »  guébiste Vladimir Volfovitch Eidelstein alias Jirinovski qui, à la tête du LDPR  (Parti Libéral-démocrate de Russie) constitue l’exemple même de ces partis «pro régime » qui captent à la fois un certain électorat et constituent une tribune pour des prises de positions provocatrices et extrémistes que le Kremlin ne peut pas toujours assumer au grand jour, lâchées comme ballons d’essai à destination de l’opinion intérieure et internationale .

Le pouvoir joue clairement la carte de la cohésion ethnique et religieuse  de la population.

Cette dernière, qui bénéficie encore d’un haut niveau d’études et de qualification grâce à un système éducatif sélectif (malgré la corruption d’une partie du corps enseignant), connaît un collapsus démographique structurel malgré les mesures natalistes adoptées par le Kremlin et la très légère embellie de la dernière année (solde naturel à peine positif) : elle pourrait s’établir dans le pire des scénarios autour de 80-100 millions de personnes vers 2050 !

Son état sanitaire général reste préoccupant (je ne m’étendrai pas davantage sur les ravages de l’alcoolisme à tous points de vue) et son univers mental reste marqué par l’empreinte communiste dont les effets délétères seront longs à extirper.

Un nihilisme ambiant, empreint de matérialisme, de cynisme et d’une certaine dépolitisation prévaut dans une bonne partie de la jeunesse. Celle-ci subit un processus d’occidentalisation accéléré qui n’est pas efficacement contrebalancé par le « patriotiquement correct » au goût du jour et la mise en place d’organisations comme les Nachii.

Les fervents admirateurs du régime poutinien auront ainsi remarqué qu’il n’entreprend rien de significatif pour enrayer ce phénomène préoccupant et s’accommode fort bien de cette situation où la quête effrénée d’argent, le goût de l’informe, du strass et des paillettes n’a trop souvent rien à envier à  celui de nos sociétés occidentales, décliné de plus au tamis de la démesure russe comme en témoigne par exemple le cinéaste Andreї Mikhalkov-Konchalovsky dans son film Gloss (Glyanets en vo).

La population russe semble trouver un puissant dérivatif à un quotidien souvent gris dans une fierté nationale entretenue par le pouvoir, vis-à-vis duquel elle ne nourrit aucune illusion (« eux » et « nous »). Fierté nationale non condamnable en soi bien entendu, mais déclinée sur un mode excessif avec une paranoïa obsidionale et toujours une phobie atavique de l’ennemi intérieur et extérieur.

Je suis toujours frappé par le fait que le système communiste aux mensonges duquel presque personne ne croyait a réussi à tuer chez beaucoup d’anciens ressortissants soviétiques toute forme d’engagement politique et social au service d’un idéal collectif qui les dépasse : je me suis souvent heurté à des réactions empreintes de scepticisme désabusé.

Je n’ai pas vraiment développé, conformément à votre question les points positifs dans le tableau partiel parfois sombre et pessimiste que j’ai donné de ce peuple jeune (Moeller van den Bruck), mais nous savons que rien n’est jamais joué et que là où il existe une volonté, il y a un chemin.

 

ID Mag : Dans le cadre du monde multipolaire auquel nous aspirons, comment envisagez-vous l’évolution des relations entre la Russie et la puissance chinoise ?

 

PL : La Chine et la Russie ont établi un partenariat stratégique au sein de l’Organisation de coopération de Shanghai pour tenter de faire un tant soit peu contrepoids à la puissance hégémonique américaine.

Cette entente ne repose pas sur des fondements civilisationnels et stratégiques solides et n’est pas, selon moi, destinée à un grand avenir.

Pour l’instant, les deux pays font des manœuvres militaires communes fortement médiatisées. L’armée chinoise modernise son arsenal à grands renforts d’armes russes, bien que Moscou veille à limiter autant que possible les transferts de technologie.

Posture devenue récurrente, le Kremlin penche ostensiblement vers son voisin asiatique dès que des désaccords politiques ou économiques interviennent avec l’Union Européenne.

Cela n’empêche pas que l’avenir des relations sino-russes reste pavé de lourdes incertitudes.

Moscou ne peut que craindre le colossal différentiel démographique avec son voisin qui peut lorgner demain sur les immenses ressources minérales et stratégiques de l’hinterland sibérien.

Une immigration chinoise croissante pourrait poser un problème stratégique majeur dans un avenir très proche.

Bien que les contentieux territoriaux aient été récemment résolus, les Chinois n’ont pas oublié les « traités inégaux » du XIXème siècle et n’ont peut-être pas renoncé à récupérer un jour les territoires de la « Mandchourie du nord » avec Khabarovsk et Vladivostok[14].

Les Russes doivent comprendre qu’ils auront besoin de nous pour mettre en valeur ce « Grand Est » sibérien et que des contingents européens ne seront pas de trop pour assurer une veille vigilante sur le fleuve Amour, nouvelle frontière d’une Grande Europe à bâtir.

 

 

 

ID Mag : Un mot pour conclure et peut-être quelques conseils de lecture sur ce sujet ?

 

PL : Je suggèrerais à ceux qui sont intéressés par la question de faire l’effort de s’imprégner des réalités russes en essayant de franchir la barrière de la langue et en se plongeant dans ce monde passionnant (presse, littérature, cinéma, télévision), ce qui n’empêche pas de voyager et de faire des rencontres...

Je pense qu’un militant identitaire sérieux et sincère doit appréhender ces réalités de manière lucide et détachée en restant fidèle aux valeurs et principes qui sont les siens tout en faisant preuve d’intelligence (méta)politique.

Ce n’est pas en manifestant une adhésion aveugle et inconditionnelle aux évolutions en cours dans la Russie poutino-medvédienne que nous rendrons un grand service à notre cause et aux Russes eux-mêmes.

À nous de faire preuve d’une bienveillance critique qui n’empêche pas la ferme condamnation de phénomènes négatifs et contre-productifs et d’éviter l’écueil d’un pacte russo-européen qui abandonnerait à nouveau plusieurs peuples frères aux séculaires et incorrigibles convoitises de Moscou, car la tentation est réelle chez certains de lui  reconnaître une sphère d’influence exclusive en terre européenne[15].

Une observation attentive de la politique internationale de Moscou montre qu’elle a le plus grand mal à s’accommoder de l’Union Européenne, perçue, malheureusement à juste titre, comme une structure bâtarde, acéphale et vassalisée par Washington.

De ce fait, prenant compte de l’existence d’une nouvelle Europe proaméricaine, elle privilégie les relations bilatérales avec les états du noyau carolingien comme l’Allemagne, la France ou l’Italie, perçus comme des entités solides ayant fait leur preuve sur la scène de l’Histoire, sans perdre de vue le classique adage divide et impera .

Je pense qu’une avant-garde européenne telle que prônée par le Forum Carolus et Alain de Benoist par exemple, vertébrée par le noyau dur carolingien, élargi à l’Autriche et à la Hongrie, ne doit être envisagée que dans la perspective d’une grande Europe-puissance qui n’exclue pas nos frères européens de l’ex Pacte de Varsovie pour l’instant encore sensibles aux sirènes étatsuniennes.

Hypothèse pro-vocante et devant nous pousser à la réflexion : une Russie qui résonne toujours en terme de sphère d’influence exclusive sur son ancien « espace historique » (Narotchnitskaia), englobant des pays incontestablement européens comme le Belarus et l’Ukraine serait-elle prête à admettre l’existence à ses frontières d’une Grande Europe-puissance unifiée, détachée de la vassalité américaine et amicale qui affirmerait ses intérêts légitimes sans complexe ? Serait-elle prête à jouer avec nous la carte d’une fédération impériale paneuropéenne, à terme intégrée, une véritable entité eurosibérienne et non celle d’un empire simplement russe ou eurasiatique ?

Poser la question en embrassant la longue durée historique, c’est déjà commencer à apporter quelques éléments de réponse…

Un tel édifice respectueux de ses entités nationales et ethniques, pensé selon un nouveau jus publicum europaeum et un sain principe de subsidiarité aurait, entre autres choses, l’avantage de réduire à néant la plupart des contentieux territoriaux persistants et pesants.

Quoi qu’il en soit, pour survivre dans un nomos planétaire en pleine recomposition et rester dans l’Histoire, Européens et Russes devront entamer, chacun à partir de prémisses et de situations différentes, un mouvement de régénération convergeant vers un héritage boréen plurimillénaire, base matricielle commune d’un renouveau et d’un destin envisagés ensemble. Favorisons donc l’émergence d’un véritable courant altereuropéen et eurosibérien en Russie.

Sinon, dans le cas où le Kremlin s’obstinerait dans une perspective vétéro-impériale autocentrée et obsidionale, je crains fort que la Troisième voie, position risquée et peu aisée à assumer, ne puisse redevenir tôt ou tard d’actualité.

Quelques conseils de lecture ?

Pour la Russie, Les ouvrages de Gustave Welter (Histoire de Russie), Gonzague de Reynold (Le monde russe) et Andreas Kappeler (La Russie, Empire Multiethnique) peuvent offrir un cadre de réflexion historique solide. On pourra y ajouter les « classiques » de Nicolas Riazanovsky (Histoire de la Russie), Michel Heller (Histoire de la Russie et de son empire) ou Jean-Pierre Arrignon (Culture Guide Russie). Pour mieux saisir les réalités politiques et sociologiques d’un univers à la fois si loin et si proche, on pourra se référer aux ouvrages de Iouri Afanassiev (De la Russie), Jean-Robert Raviot, Marlène Laruelle, Jean-Sylvestre Mongrenier (La Russie menace-t-elle l’Occident ?), Georges Nivat, André Ropert (La misère et la gloire, histoire culturelle du monde russe), Alla Sergueeva (Qui sont les Russes ?), Lorraine Millot (La Russie nouvelle) ou d’Igor Kliamkine et Lev Timofeev (La Russie de l’ombre).

Signalons également un curieux ouvrage anonyme intitulé Projet Russie. Je peux également citer les remarquables biographies d’Henri Troyat sur les tsars et écrivains russes, ainsi que naturellement les grands classiques de la littérature, de Pouchkine à Soljenitsyne.

Mention particulière pour les romans « au marteau » d’un enfant terrible de la nouvelle littérature russe, Vladimir Sorokine  (notamment Journée d’un opritchnik, La glace ou la voie de Bro).

Les amateurs de polar pourront par exemple se plonger dans les œuvres de Thierry Marignac (Fuyards), Alexandra Marinina (Ne gênez pas le bourreau) ou Leif Davidsen (L’épouse inconnue)

Sur l’Ukraine, il serait indispensable de lire attentivement les travaux incontournables de Iaroslav Lebedynsky (Ukraine, une histoire en questions)[16], Mykola Riabtchouk (De la « Petite-Russie » à l’Ukraine) et Andreas Kappeler (Petite histoire de l’Ukraine) sans oublier le mythique Benoist-Méchin (Ukraine, le fantôme de l’Europe). On pourra compléter par Léonid Pliouchtch (Ukraine : à nous l’Europe !), Annie Daubenton (Ukraine : les métamorphoses de l’indépendance), Alain Balalas (De l’Ukraine) ou Arkady Joukovsky (Histoire de l’Ukraine). Les amoureux du mythe cosaque pourront parcourir le maître-livre de Iaroslav Lebedynsky, Les cosaques, une société guerrière entre libertés et pouvoirs, Ukraine 1490-1790.

 

 

Version révisée en mars 2010 d’un entretien recueilli en juillet 2009 par Xavier Eman pour ID magazine n°16 (automne 2009)



[1] Un fossé psychologique s’est considérablement creusé entre nous et nos frères de « l’Est ». Nous avons généralement une extrême difficulté à appréhender ce qu’ils ont vécu durant la période communiste et c’est bien sûr un peu normal. Néanmoins, rien ne nous empêche et c’est même fortement recommandé, de faire un réel effort d’empathie (je n’ai pas dit complaisance) à leur égard, par des rencontres et une connaissance accrue de ces réalités. Un survol de leurs représentations est tout à fait instructif : je signalerai par exemple ces entretiens avec l’Ukrainien Mykola Riabtchouk (http://www.europemaxima.com/?p=665) ou le Lituanien Richard Backis (http://www.diploweb.com/L-heritage-mental-du-sovietisme.html).

[2] Dans l’éditorial de ce numéro, Robert de Herte/Alain de Benoist ne fait pas mystère de son engouement pour la figure et les positions d’Alexandre Douguine, dont l’œuvre, nonobstant de nombreux points dignes d’intérêt, se présente fondamentalement comme les habits neufs d’une récurrente vision impériale russocentrée, sans parler de ses propos à l’emporte pièce dans les médias télévisés russophones où l’éminent penseur disserte sur la partition et l’invasion militaire de l’Ukraine avant de théoriser l’existence dans la partie orientale et méridionale du pays d’un fantasmatique peuple « nouveau-russe » (http://tap-the-talent.blogspot.com/search/label/Dugin).

En 1993, la figure historique de la Nouvelle droite écrivait dans une réponse au publiciste allemand Wolfgang Strauss publiée dans la revue Europa Vorn ( n°57, 15 septembre 1993, p: 3 , citée par Pierre-André Taguieff in Sur la Nouvelle droite, Descartes & Cie, 1994, p:311) : « Je suis en particulier hostile à toute forme de jacobinisme ou d’impérialisme. Je ne confonds pas l’idée traditionnelle d’Empire (…) avec les impérialismes modernes : français, anglais, américain, russe ou allemand. Je soutiens le droit des peuples à disposer d’eux-mêmes, qu’il s’agisse des Ukrainiens, des Géorgiens, des Tchétchènes, des habitants des pays baltes, des Irlandais du Nord, des Corses, des Bretons (…). Je ne crois pas que les Russes résoudront les problèmes auxquels ils sont affrontés en tentant de soumettre à nouveau à leur joug des peuples qui n’ont que trop évidemment manifesté le désir de s’en affranchir. Pour dire les choses autrement, je crois que leur avenir n’est pas dans l’imitation- qu’il s’agisse de l’imitation de l’Occident ou de l’imitation du passé (tsariste ou stalinien). Les Russes ont  certainement, compte tenu de leur histoire, un rôle à jouer en Asie. Je suis en revanche plus que réservé vis-à-vis de toute construction eurasiatique, qui me paraît être essentiellement fantasmagorique ».

Plus récemment, interrogeant longuement Douguine dans un captivant entretien publié dans la revue Krisis (N°32, juin 2009, p :143-146), Alain de Benoist n’a pas manqué cependant de lui poser une question reprenant nos informations sur les activités anti-ukrainiennes du Mouvement de la jeunesse eurasiste, question à laquelle son honorable interlocuteur n’a pas jugé bon de répondre franchement…

[3] « Que reste-t-il de notre victoire ? » Editions des Syrtes, Paris, 2008. Nous renvoyons les lecteurs à notre critique de cet ouvrage consultable sur (http://www.polemia.com/article.php?id=1674).

Madame Narotchnitskaia est par ailleurs à la tête d’une ONG mise en place avec l’aval du Kremlin, sise à Paris et New-York, L’Institut de la Démocratie et de la Coopération (IDC) qu’elle anime avec le journaliste britannique conservateur John Laughland.

[4] Dans un long et pertinent article intitulé « Mémoire russe et mémoire européenne » publié dans le numéro 38 de La Nouvelle Revue d’Histoire, septembre-octobre 2008, pages 32-35

[5] Comme l’affirmait Boris Gryzlov, président en exercice de la Douma russe que je cite de mémoire, la « Grande guerre patriotique » est le seul événement récent de l’histoire nationale susceptible de rassembler un maximum de citoyens autour d’un nouveau consensus identitaire.

Une véritable mythologie impulsée par Vladimir Poutine lors de sa fameuse allocution du 9 mai 2005 qui ne supporte donc aucune forme de critiques ou de remises en cause, aussi ténues soient-elles. Au besoin, intimidations et répression s’abattent sur les « contrevenants » ainsi qu’en témoigne le cas de Mikhaïl Suprun, un historien russe enquêtant sur le sort d’Allemands emprisonnés en Union soviétique durant la Seconde Guerre mondiale, qui a été arrêté en septembre 2009.L’historien a été brièvement détenu par des officiers des services de sécurité russes. Ils ont fouillé son appartement et emporté l’ensemble de ses archives. Accusé d’atteinte à la vie privée ( !), il risque en cas de condamnation une peine maximale de quatre ans de prison. Professeur d’histoire à l’Université Pomorskyi d’Arkhangelsk, ses travaux portaient notamment sur les prisonniers de guerre allemands capturés par l’Armée rouge et sur les minorités russes d’origine germanique, la plupart en provenance de Russie méridionale, déportés par Staline dans les camps d’Arkhangelsk.

 

[6] Cette commission comprenait deux personnalités présentées comme des historiens, l’incontournable Natalia Narotchnitskaia et Alexandre Tchoubarian, auteur d’un livre au titre prometteur, mais au final bien décevant, La Russie et l’idée européenne, (Editions des Syrtes, 2009). Ce dernier, interpellé par nos soins lors d’une présentation parisienne de l’ouvrage en octobre 2009, sur le fait de siéger dans une telle commission pour des historiens de métier, a  « dédramatisé » l’enjeu et magnifiquement botté en touche dans la plus pure tradition de la rhétorique soviétique, version perestroïka.

[7] Citons la princesse Anne, fille de Iaroslav le Sage qui a épousé notre bon roi Henri 1er en 1051, à propos de laquelle, en cette année France-Russie et d’exposition sur « La Sainte Russie » au Louvre, on a pas fini d’entendre parler de princesse « russe »…

[8] L’article d’Aymeric Chauprade, « Byzance écartelée entre deux mondes » publié dans la Nouvelle Revue d’Histoire  (n°15, novembre-décembre, 2004, p : 56-58) est, à cet égard, très éclairant.

[9] La question de la résistance nationaliste ukrainienne durant la seconde guerre mondiale n’en finit pas de susciter des réactions indignées à Moscou, qui pour l’occasion n’hésite pas à se joindre au chœur  planétaire (http://fr.rian.ru/world/20100127/185945143.html). La politique d’affirmation historique et mémorielle menée par la présidence Iouchtchenko était justifiée et légitime sur le fond ; même si sur la forme, elle est critiquable sur de trop nombreux points.

Les décrets faisant de Roman Choukhevytch (commandant suprême de l’Armée Insurrectionnelle Ukrainienne, l’UPA) et de Stepan Bandera (chef de l’aile révolutionnaire de l’Organisation des Nationalistes Ukrainiens OUN-R :  http://fr.novopress.info/35214/anniversaire-de-l%E2%80%99assassinat-de-stepan-bandera-notre-longue-memoire/) des héros de l’Ukraine ont créé des remous y compris à l’intérieur du pays tant les clichés mensongers de l’époque soviétique sont encore prégnants dans une bonne partie de la population. Dans le cas de Bandera, le calendrier choisi (en janvier dernier, entre les deux tours de scrutin présidentiel) révélait des arrière-pensées politiciennes évidentes et maladroites. Il n’empêche que l’accusation infâmante et diabolisante de collaboration avec les nazis ne tient pas stricto sensu et il est regrettable de voir les autorités russes user cyniquement de ces questions hautement sensibles dont elles bien connaissent la charge émotionnelle pour un public occidental.

Que ces hommes aient été tentés de jouer brièvement la carte allemande avant de déchanter (en camp de concentration dès l’été 1941 pour Bandera ou devant un peloton d’exécution pour d’autres) est l’évidence même. Etait-ce collaborer aux plans nazis et leur politique raciale que d’avoir été soutenus par certains secteurs de la Wehrmacht et de l’Abwehr pour former deux bataillons de volontaires en 1940-41 ? Il est bien facile de juger après-coup quand on connaît la fin de l’histoire.

L’amalgame entre la résistance de l’OUN/UPA et la division SS ukrainienne « Galicie » ne résiste pas à un examen historique sérieux, ni les accusations conjointes de la part des nazis puis des soviétiques d’avoir participé à des pogroms antijuifs, notamment à L’viv en 1941.

Par contre, si on veut rester sur le registre de la collaboration avec le régime national-socialiste, que dire du grand Staline qui a livré quantité de communistes allemands, parfois juifs, aux autorités hitlériennes entre septembre 1939 et juin 1941, sans parler des matières premières stratégiques qui ont alimenté la machine de guerre nazie dans sa guerre à l’Ouest ?

Il est confondant de voir des compatriotes issus souvent de milieux traditionnellement anticommunistes embrayer docilement le pas aux vieilles lunes de l’historiographie soviétique joignant leurs voix au concert des derniers dinosaures staliniens de l’université française qui s’évertuent, dans un registre voisin, à nier l’existence du Holodomor, la famine-génocide ukrainienne de 1932-33.

[10] Il est intéressant de noter que le nouveau président ukrainien a recouru, dès 2005, aux services du consultant politique américain Paul Manafort, républicain convaincu qui a notamment travaillé pour John McCain, rival malheureux de Barack Obama en 2008.

[11] Lors d’une conférence de presse commune entre Medvedev et Ianoukovytch, à l’occasion de la visite officielle de ce dernier à Moscou le 5 mars 2010, les deux hommes ont fait de belles déclarations de principe dans une atmosphère cordiale et détendue, mais se sont bien gardé de fixer des échéances précises. Une nouveauté cependant dans la bouche de Medvedev qui a évoqué un possible statut de la langue ukrainienne en Russie avec l’octroi de chaînes de télévision ukrainophones.

[12] À cet égard, l’Ukraine n’est pas comparable aux Balkans. Ce pays a payé le prix du sang au XXème siècle et son peuple a un tempérament généralement plus « doux », moins convulsif que ceux d’autres ethnies slaves. La guerre culturelle a cependant fait rage à Moscou tout au long de l’année 2009, avec toute une littérature clairement ukrainophobe qui allait des techno thrillers de gare, catégorie sous-Tom Clancy (comme Ukraine champ de bataille : le trident brisé de Georgiy Savitsky ) à des écrits assez délirants comme le fameux American salo d’O. Volia (http://www.kyivpost.com/news/nation/detail/38758/)

[13] Voir : http://www.lph-asso.fr/index.php?option=com_content&view=article&id=135%3Aderniere-heure-par-nikolay-koposov&catid=31%3Adossier-russie&Itemid=78&lang=fr

[14] Voir l’intéressant dossier du n° 995 du Courrier international (du 26 novembre au 2 décembre 2009) intitulé « Far East, quand la Sibérie sera chinoise ».

[15] Cela semble être le cas, par exemple, pour le géopoliticien Aymeric Chauprade, qui  avait déjà repris à son compte le théorème « mécaniste » de la révolution orange selon un storytelling simplificateur. Dans un article publié dans La Nouvelle Revue d’Histoire  (N°20, septembre-octobre 2005, p:38, texte repris dans la 3ème édition de Géopolitique, constantes et changements dans l’Histoire, Ellipses, 2007, p:558) et intitulé « les frontières de l’Europe », il exposait l’existence de cinq ensembles géopolitiques européens en affirmant que « même si elle présente d’incontestables traits civilisationnels européens (…), l’Ukraine, immense plaine ouverte sur l’Est, n’a pas vocation à faire partie du bloc européen ». Il écrit ultérieurement, dans un entretien donné à la revue Eléments (N° 131, avril-juin 2009, p : 32) qu’ « avec un peu moins de 50 millions d’habitants, l’Ukraine représente tout de même le tiers du poids démographique de la  Fédération de Russie. Mais c’est surtout le berceau de la Moscovie : historiquement, l’Ukraine et la Russie sont consubstantielles, d’autant que la première offre à la seconde un débouché sur la mer Noire, donc sur la Méditerranée ». De tels propos me paraissent démontrer les limites du pur exercice géopolitique lorsque ses critères d’analyse priment excessivement sur les impératifs civilisationnels et identitaires.

[16] Voir notre recension : http://www.polemia.com/article.php?id=1719

vendredi, 12 mars 2010

Is de oorlog om de olie en gas uitgebroken?

Is de oorlog om olie en gas uitgebroken?

Ex: Nieuwsbrief Deltastichting - n°33 (maart 2010)
Het is duidelijk dat we ons al een tijdje in een overgangsfase bevinden, een interregnum: de oude zekerheden van vorige eeuw zijn weggevallen, de opdeling van de wereld in ‘goeden’ – de NAVO, het vrije Westen, West-Europa, Amerika – en de ‘slechten’ – de communistische staten rond de USSR en China – is ongedaan gemaakt, en in de plaats daarvan is een ingewikkelde wereld met veel en tegenstrijdige krachten. China botst met Rusland, Amerika botst met iedereen, China eist een stuk van de markt in Afrika, Rusland zoekt toenadering met Europa, dat nochtans een veilige afstand wil bewaren. De globalisering van de economie – waarvan het einde nu ook al voorspeld wordt door Chinakenner Jacques Martain in De Tijd (06.03.2010) – zorgt ervoor dat nog meer dan vroeger de controle over de energiebronnen een, zoniet dé inzet wordt van de strijd tussen de grote spelers op de wereldmarkt.
 
Het mag dan al zo zijn, dat we in snel tempo aan het afstevenen zijn naar het einde van het tijdperk van de fossiele brandstoffen, feit is nochtans dat de strijd ook en nog steeds gaat om de controle van onder andere olie. Maar ook in toenemende mate gas. Daarover willen we het hier hebben.
 
Rusland was in de jaren 80 van vorige eeuw de grootste producent van petroleum, maar met het ineenstorten van de Sovjet-Unie zakte ook de productie in elkaar. Met Poetin aan de macht in het Kremlin werd hieraan grotendeels verholpen en moet men vaststellen dat Rusland opnieuw is opgeklommen tot de tweede producent van petroleum, na Saoedi-Arabië. Rusland is goed voor ongeveer 6% van ontdekte wereldreserves, maar gelet op het feit dat nog heel wat grondgebied niet volledig is onderzocht, zou dit aandeel wel eens kunnen stijgen in de komende jaren. Maar Rusland speelt vooral een grote rol op het vlak van de gasproductie, haar reserves zijn goed voor 30% van de wereldvoorraad. Daarnaast bevinden zich 25% van de steenkoolreserves op het Russische grondgebied. Zij is dus een hoofdspeler op de wereldenergiemarkt.
 
Op dat vlak is ze de perfecte tegenspeler op het vlak van energievoorziening: het islamitische deel van het Midden-Oosten (Saoedi-Arabië, Irak, Iran, de Golfemiraten). Dit politiek en economisch belangrijke stuk van het Midden-Oosten controleert 2/3de van de wereldreserves van aardolie en meer dan een derde van alle gasvoorraden.

 

Wie doet beroep op en is afhankelijk van de Russische energievoorziening? De Europese Unie eerst en vooral (ze koopt er de helft van haar gas en zo’n 20 van haar petroleum), Japan, China, India, Korea. Tegen 2020 zal een belangrijk deel van de energie-export van Rusland in de richting van Zuid-Oost-Azië gaan, rekenen economische commentatoren ons voor.
 
Zo bekeken was het voor Poetin al heel lang overduidelijk dat de energievoorziening de joker wordt van de Russische heropstanding. Met dit onderwerp heeft de Russische politicus zijn doctoraat aan de universiteit van Sint-Petersburg gehaald, en met dezelfde vaststellingen bouwt hij zijn politiek verder uit. Niet alleen zal de export van energie Rusland de middelen verschaffen om haar dominante militaire, economische en politieke rol in de wereld te vestigen, de staten die voor hun energievoorziening afhankelijk zijn van de toevoer vanuit Rusland, zullen dit ook politiek vertaald zien.

Aan de andere kant van het geografische spectrum blijven de VSA natuurlijk ook op een zeer prominente manier aanwezig. Niet alleen hebben zij sinds de oorlog tegen Irak hun controle op de petroleum in het Midden-Oosten versterkt, maar daarenboven domineren zij met hun enorme oorlogsvloot zowat alle grote zeevaartroutes ter wereld. Terwijl Amerika dus met haar oorlogsvloot Rusland wil verzwakken door haar te omsingelen, gebeurt eigenlijk hetzelfde door Rusland, dat Amerika wil verzwakken door continentale aanvoerroutes op te zetten van aardolie en gas. Op die manier wil Rusland haar positie van wereldspeler veilig zetten, terwijl Amerika er alles aan doet om haar eerste rangsrol te verdedigen. De oorlog om het gas en de olie is dus inderdaad losgebroken. De Europeanen zitten in deze ‘vreedzame’ oorlog op een uitermate ongemakkelijke plaats: ze hebben een militaire alliantie met de VSA, maar zij economisch sterk afhankelijk van de olie- en gastoevoer vanuit Rusland.
 
Misschien als uitsmijter het volgende meegeven: de strijd van Poetin om de energiemarkt is een strijd op twee fronten. Hierboven hebben we al een kleine inkijk gegeven op de strijd buiten de grenzen van Rusland. Maar de strijd werd eerst intern gevoerd, en die strijd heeft Poetin grotendeels gewonnen. Ik heb het dan over de strijd tegen de grote olie-oligarchen op het Russische grondgebied. Een aantal namen zijn wellicht bij onze lezers blijven hangen: Gazprom en Rosneft, maar vooral Joekos en Michaël Khodorchovski. Sommigen hebben het in dat verband zelfs over petroleumnationalisme. 

(Peter Logghe)

jeudi, 11 mars 2010

Carrefour: "We maken winst, dus we gaan mensen ontslaan!"

Carrefour: “We maken winst, dus we gaan mensen ontslaan!”

Het is volop in het nieuws momenteel. Carrefour zal in België 1.672 banen schrappen. Blijkbaar zou Carrefour zoveel verlies maken dat ze niet anders kunnen. Maar een artikel in Trends doet wel anders vermoeden:

De winkelketen Carrefour maakte in ons land eind 2008 nog 66 miljoen euro nettowinst. Ook het bedrijfsresultaat klokte dat jaar nog af op 46 miljoen euro. De 1,6 miljard aan geldbeleggingen maakten de situatie van Carrefour België helemaal minder zwartgallig dan de berichten de afgelopen week deden vermoeden.

Bron: http://trends.rnews.be/nl/economie/nieuws/bedrijven/de-nettowinsten-van-carrefour-belgie/article-1194668433895.htm

Wat is hier aan de hand? Heel simpel, Carrefour doet zoals zovele bedrijven, namelijk aan winstmaximalisatie. An sich is dat geen probleem zolang de bedrijven verankerd zijn in de lokale gemeenschap, en dan spreek ik meer dan over een economisch belang (zijnde winst maken en jobs maken). Het gaat ook over het besef van de beheerders van een bedrijf wat de rol en impact van hun bedrijf is op de maatschappij. Iets dat bij multinationals maar zéér zelden aanwezig is, want men nu ook vandaag de dag bij Carrefour ziet. Werk in eigen streek is belangrijk, werk voor en door eigen volk is de logische én noodzakelijke aanvulling daarop.

Wanneer men enkel aan (nog meer) winst denkt, dan krijgt men dit soort toestanden. Het walgelijkste voorbeeld hiervan is bij momenten het pleidooi voor lagere lonen, etc… van bepaalde organisaties met het dreigement dat ze anders naar China gaan. Wel, dat ze dan maar vertrekken. Wij moeten niet gaan denken dat wij op enig moment kunnen gaan werken voor de Chinese lonen zonder enig moment zeer zwaar in te boeten op levenskwaliteit.

Terre & Peuple/Lorraine: Rompre avec le système

flyer20mars2010.jpg

mercredi, 10 mars 2010

Nouveautés sur le site "Vouloir"

Nouveautés sur le site

http://vouloir.hautetfort.com/

 

Landsknecht16JH.jpgDossier “Géopolitique”:

 

Robert STEUCKERS:

Rudolf Kjellen (1864-1922)

 

Louis PALLENBORN:

Introduction à la géopolitique (entretien)

 

René-Eric DAGORN:

La géopolitique en mutation

 

Hervé COUTAU-BEGARIE:

Critique de la géopolitique

 

Dossier “Guerillas”:

 

Christian NEKVEDAVICIUS:

Guerilla dans les forêts de Lituanie

 

Arnaud LUTIN:

La longue nuit d’un “Frère de la Forêt”

 

Dag KRIENEN:

Nouvelles études sur la guerre des partisans en Biélorussie (1941-1944)

 

Dossier “Participation”:

 

Robert STEUCKERS:

Participation gaullienne et “ergonisme”: deux corpus d’idées pour la société de demain

 

Ange SAMPIERU:

La participation: une idée neuve?

 

Pascal SIGODA:

Charles De Gaulle, la “révolution conservatrice” et le personnalisme du mouvement l’Ordre Nouveau

 

Jean-Jacques MOURREAU:

De Gaulle, visionnaire de l’Europe

 

Dossier “Synergies Européennes”:

 

Robert STEUCKERS:

Discours pour l’Europe

(Paris, 9 novembre 1988)

 

Robert STEUCKERS:

Réflexions sur le destin et l’actualité de l’Europe

(Paris, mai 1985, colloque “Troisième Voie”)

 

Robert STEUCKERS:

Pour préciser les positions de SYNERGIES EUROPEENNES

(Questions de Pieter Vandamme)

 

Hors dossiers:

 

Thierry MUDRY:

L’itinéraire d’Ernst Niekisch

 

Alois PRESSLER:

Réflexions sur le voyage de Guillaume II en Palestine

 

Robert STEUCKERS:

Herman Wirth (1885-1981)

 

De eilandsgroep Palestina

De eilandengroep Palestina

Ex: http://yvespernet.wordpress.com/

Voor u denkt dat ik compleet doorsla door te beweren dat het Nabije Oosten een eilandengroep is, zal ik het even uitleggen. Men denkt vaak dat de Westelijke Jordaanoever helemaal door de Palestijnse overheid wordt bestuurd. Niets is echter minder waar. Israël controleert nog steeds grote belangrijke stukken, vooral de grote verbindingswegen en het gebied daarond, en ook zijn er Joodse kolonies aanwezig op dat gebied.

Deze kaart heeft alle gebieden op de Westelijke Jordaanoever dat niet door de Palestijnen wordt bestuurd als water aangegeven en de effectieve Palestijnse gebieden als land. Een zeer interessante en mooie kaart die helaas een schrijnende werkelijkheid laat zien.

Tot slot nog een woordje uitleg van de maker hiervan:

The Bible contains at least two stories equating the aquatic with the amoral. As Red Sea pedestrians, Moses and the Israelites didn’t even get their sandals moist, while the Lord did some expert smiting on the pursuing Egyptians, by way of the gurgling waters closing in on them. And a few thousand years earlier, Noah kept his binary boatload afloat while all the rest of humanity (and the now extinct species of the animal kingdom) met their watery grave.

Even though this map of L’archipel de Palestine orientale (‘The Archipelago of Eastern Palestine’) is set in the same area and uses a similar theme, the cartographer behind it refutes any allegation that it is meant to reflect the same Biblical dry = good, wet = bad analogy. “The map is not about ‘drowning’ or ‘flooding’ the Israeli population, nor dividing territories along ethnic lines, even less a suggestion of how to resolve the conflict,” gasps Julien Bousac, the Frenchman who created this map.

A small excerpt of the map (focusing on the Greater Jerusalem area) was published a bit earlier on this blog, but the map in its entirety (sent in by Mr Bousac but also earlier by Baptiste Hautdidier) merits a separate entry, not only because “without a legend, it […] gives ground to various misinterpretations, due to the high sensitivity of the subject,” as Mr Boussac relates – but also because it just looks so nice. And strange, of course.

“Maybe posting the full map would help to take it for what it is, i.e. an illustration of the West Bank’s ongoing fragmentation based on the (originally temporary) A/B/C zoning which came out of the Oslo process, still valid until now. To make things clear, areas ‘under water’ strictly reflect C zones, plus the East Jerusalem area, i.e. areas that have officially remained under full Israeli control and occupation following the Agreements. These include all Israeli settlements and outposts as well as Palestinian populated areas.”

Mr Boussac took advantage of the resulting archipelago effect “to use typical tourist maps codes (mainly icons) to sharpen the contrast between the fantasies raised by seemingly paradise-like islands and the Palestinian Territories grim reality.” The map does have a strong vacationy vibe to it – but whether that is because of the archipelago-shaped subject matter, or due to the cheerful colour scheme is a matter for debate.

Those colours, incidentally, denote urban areas (orange), nature reserves (shaded), zones of partial autonomy (dark green) and of total autonomy (light green). Totally fanciful are of course the dotted lines symbolising shipping links, the palm trees signifying protected beachland, and the purple symbols representing various aspects of seaside pleasure. The blue icon, labelled Zone sous surveillance (‘Zone under surveillance’) has some bearing on reality, as the locations of the warships match those of permanent Israeli checkpoints.

Some of the paradisiacally named islands include Ile au Miel (Honey Island), Ile aux Oliviers (Isle of the Olive Trees), Ile Sainte (Holy Island) and Ile aux Moutons (Sheep Island), although the naming of Ile sous le Mur (Island beneath the Wall) constitutes a relapse into the grimness of the area’s reality.

Afghanistan-Offensive der NATO: für Frieden - oder für Opium und Uran...

photo_verybig_105294.jpg

Afghanistan-Offensive der NATO: für Frieden – oder für Opium und Uran …

F. William Engdahl / Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Bei der »Operation Moshtarak«, einer vorab angekündigten massiven NATO-Offensive in der Stadt Marjah in der afghanischen Provinz Helmand, ging es offensichtlich nicht in erster Linie darum, die »Taliban« »auszulöschen« oder die versprengten Überreste einer angeblichen »Al Qaida« zu zerschlagen – die ohnehin immer mehr das Fantasieprodukt amerikanischer schwarzer Propaganda zu sein scheint. Welches Ziel hatte dann aber die Tötung so vieler unschuldiger afghanischer Zivilisten, darunter auch Frauen und Kinder?

Die Operation Moshtarak begann damit, dass Ort und mehr oder weniger die genaue Zeit des Angriffs in einer bizarr anmutenden Erklärung bereits vorab bekannt gegeben wurden. Bei ernsthaftem militärischem Vorgehen zeugt es nicht gerade von brillanter Taktik, den Gegner zuvor davon in Kenntnis zu setzen. Die Bombenangriffe umfassten den Einsatz ferngesteuerter amerikanischer Drohnen und anderer Flugzeuge, sie waren begleitet von einer Bodenoffensive von etwa 6.000 US-Marines, britischen und anderen NATO-Soldaten sowie Truppen der afghanischen nationalen Streitkräfte, insgesamt waren in der kleinen Stadt Marjah ca. 15.000 Soldaten im Einsatz. Das Weiße Haus spricht von der größten gemeinsamen US-NATO-afghanischen Militäroperation der Geschichte, die erste Großoffensive von Einheiten, die zu der von Barack Obama angeordneten »Aufstockung« um 30.000 Soldaten gehören.

Wie die New York Times berichtete, sind in den ersten Tagen der Offensive, die von der Propaganda des Pentagon als »humanitäre« Militärmission bezeichnet wird, fünf Kinder beim Einschlag einer Rakete in ein Gelände getötet worden, auf dem sich »afghanische Zivilisten aufhielten«. Insgesamt kamen bei dem Angriff bis zu zwölf Zivilisten ums Leben. Die computergesteuerten Raketen wurden von einer mehr als zehn Meilen entfernten Basis abgeschossen.

»Wir versuchen, dem afghanischen Volk zu vermitteln, dass wir die Sicherheit in ihrem Wohnumfeld erhöhen«, erklärte US-General Stanley McChrystal.

 

»Lächerliche Militärstrategie«

Zunächst einmal wird – wie viele zuverlässige Berichte aus Afghanistan bestätigen – der Begriff »Taliban« von den Militärplanern in Washington als Begründung für jede Form amerikanischer militärischer Besetzung des Landes ins Feld geführt. Viele, die da als Taliban bezeichnet werden, sind in Wirklichkeit lokale Aufständische, die das Land nach über 30-jähriger ausländischer Besetzung endlich von den Besatzern befreien wollen.

Malalai Joya, eine gewählte Abgeordnete des afghanischen Parlaments, hat den jüngsten Militärschlag offen als »lächerliche Militärstrategie« bezeichnet. Im einem Interview mit der Londoner Zeitung Independent erklärte sie: »Einerseits fordern sie Mullah Omar auf, dem Marionettenregime beizutreten. Andererseits führen sie diesen Angriff, dem vor allem schutzlose, arme Menschen zum Opfer fallen. Wie in der Vergangenheit werden sie bei Bombenangriffen der NATO getötet und dienen den Taliban als menschliche Schutzschilde. Die Menschen in Helmand leiden seit Jahren und Tausend von Unschuldigen sind bereits ums Leben gekommen.«  

Joya betont, das Ziel der USA und des McCrystal-Plans seien nicht die Taliban. Es gehe vielmehr um die Sicherung der Kontrolle über die wertvollen Rohstoffe in der Provinz Helmand, nämlich um Uran und Opium.

Die Polizeikräfte in Afghanistan bezeichnet Joya als »die korrupteste Institution in Afghanistan. Bestechung ist an der Tagesordnung, wer das Geld hat, um die Polizei von oben bis unten zu bestechen, der kann praktisch tun, was er will. In weiten Teilen Afghanistans hassen die Menschen die Polizei mehr als die Taliban. So haben beispielsweise die Menschen in Helmand Angst vor der Polizei, die gewaltsam gegen sie vorgeht und Unruhe schürt. Die meisten Polizisten in dieser Provinz sind opium- oder cannabisabhängig.« Zu der jüngsten multinationalen Afghanistan-Konferenz in London war Joya nicht eingeladen, sie gilt als »wandelndes Pulverfass«, weil sie zu offen über die Wirklichkeit in Afghanistan spricht. Berichten zufolge hat sie genau deswegen in Afghanistan sehr viele Anhänger.

Nach Angaben im neuesten Afghanistan-Gutachten der UN ist die Provinz Helmand mit 42 Prozent der Weltproduktion die größte Opium produzierende Region der Welt. Hier wird mehr Opium hergestellt als in ganz Burma, dem zweitgrößten Opiumproduzenten nach Afghanistan. Über 90 Prozent des weltweiten Opium-Angebots stammt aus Afghanistan. Wenn Washington nun einerseits behauptet, die Taliban hätten sich die Kontrolle über die Opiumproduktion in Helmand verschafft, um ihren Aufstand zu finanzieren, oder wenn sich andererseits die Opium-Warlords weigern, mit den amerikanischen und anderen NATO-Geheimdiensten zusammenzuarbeiten, die selbst im Verdacht stehen, den weltweiten Opiumhandel zu kontrollieren, um mit den Einnahmen ihre schwarzen Operationen zu finanzieren, dann geht es bei der derzeitigen Militäroffensive eindeutig nicht darum, Afghanistan dem Frieden näher zu bringen oder die ausländische militärische Besetzung zu beenden.

Dienstag, 02.03.2010

Kategorie: Enthüllungen, Wirtschaft & Finanzen, Politik, Terrorismus

© Das Copyright dieser Seite liegt, wenn nicht anders vermerkt, beim Kopp Verlag, Rottenburg


Dieser Beitrag stellt ausschließlich die Meinung des Verfassers dar. Er muß nicht zwangsläufig die Meinung des Verlags oder die Meinung anderer Autoren dieser Seiten wiedergeben.


samedi, 06 mars 2010

Gallovacantisme

Gallovacantisme

par Georges FELTIN-TRACOL

france_2040_interrogant.jpgIl est fréquent dans les milieux dits non-conformistes et d’engagement national, droitier ou identitaire, de s’échauffer contre l’actuel Système globalitaire, de vilipender l’oligarchie dominante, de déplorer le tournant pris par les mœurs, de stigmatiser nos contemporains, de dénoncer leurs défauts, leurs travers, leurs lâchetés et leurs bassesses, avant de conclure finalement par un vibrant « Vive la France quand même ! ».

Ce comportement proprement schizophrène n’est pas récent. Qu’on se souvienne des déchirements tragiques du camp patriotique entre 1940 et 1945 ! En remontant le temps, soulevons la faute magistrale de Maurras et de l’Action française qui, par germanophobie viscérale, conclurent un « compromis historique » avec la IIIe République dans le cadre de l’« Union sacrée ». Au même moment et dans le même élan de communion nationale, le prétendant légitimiste aux trônes de France et d’Espagne, le duc d’Anjou et de Madrid, demandait à ses partisans espagnols, les carlistes, d’atténuer leur germanophilie et de prier pour le salut de la France. Mentionnons aussi l’erreur considérable du pape Léon XIII d’appeler les catholiques de France au « Ralliement »… Passons charitablement sur l’énorme bourde des légitimistes de se retirer, par fidélité indéfectible à la dynastie légitime, dans leurs manoirs campagnards après 1830, délaissant ainsi le champ politique. Et que penser des discrètes manœuvres de l’ambassadeur du Piémont-Sardaigne, Joseph de Maistre, à Saint-Pétersbourg afin de freiner l’appétit territorial des Coalisés en 1814 – 1815 ?

À l’énoncé de ces quelques exemples, on a l’impression que les « conservateurs », les « réactionnaires », les « contre-révolutionnaires », se fourvoient avec les meilleurs intentions dans un incroyable jeu de dupe. La préservation des principes spirituels de légitimité et d’aristocratie traditionnelle semble passer après des intérêts politiques plus immédiats.

Il ressort de ces brèves considérations que de nombreux patriotes ne parviennent plus à distinguer la France idéale qui se perpétue en leur for intérieur et un Régime toujours plus détestable. Dans un essai bien senti, malheureusement passé assez inaperçu, Les deux patries (1), l’historien Jean de Viguerie relevait une dichotomie entre une patrie traditionnelle irriguée par des corps intermédiaires florissants et une patrie républicaine, abstraite, régie par des valeurs universalistes et individualistes. Ce distinguo est plus que jamais d’actualité au moment où Fadala Amara rêve publiquement d’une « République métissée » (2). Lentement mais sûrement, l’Hexagone dissout la France aux indéniables racines européennes, notre France historique. Arnaud Guyot-Jeannin remarque fort bien que « les nationalistes aiment la France. Tout le problème vient de ce que la France ne les aime pas. Non pas la France traditionnelle et enracinée, mais la France fraternitaire et cosmopolite Black-Blanc-Beur. L’atomisation du corps social qui en résulte, standardise alors les comportements individuels et collectifs. L’uniformisation qui découle de l’individualisme désagrège tous les modes de vie soudant les communautés naturelles » (3). Ne serait-il pas temps de prendre acte de cette césure fondamentale et d’agir en pleine connaissance de cause ?

Quitte à choquer, la défense acharnée de ce qu’on croît être la France et qui n’est en fait qu’une république francophage, variante spécifique et locale de l’idéologie mondialiste, n’est plus soutenable et se montre même en certaines circonstances contre-productive pour la mouvance rebelle et anticonformiste. Plus abruptement dit, les patriotes authentiques ne devraient plus se ranger de manière systématique et quasi-pavlovienne derrière un « patriotisme » officiel ou une volonté de « défense nationale » en fait délétère pour une conception du monde traditionnelle ou non-moderne. On pense combattre pour la France et on favorise au final l’assassinat systématique des cultures, des peuples et des identités.

La France que nous chérissons meurt étranglée par un mondialisme rapace, des instances eurocratiques pesantes et une République subrepticement totalitaire. Comme le fut jadis l’U.R.S.S. pour la Russie, la République hexagonale représente pour les Français les plus lucides un organisme parasitaire meurtrier de masse : le populicide vendéen, l’ethnocide des langues vernaculaires perpétré par les « hussards noirs », les massacres répétitifs de la paysannerie au cours des guerres de la Révolution, de l’Empire et de 1914 – 1918 en sont des preuves flagrantes et terribles !

Ce processus criminel, cette lente extermination des peuples enracinées de France, se poursuit et s’accélère avec la substitution en cours des populations autochtones par une immigration extra-européenne incontrôlée. La diversité ethnique et confessionnelle grandissante de la société oblige les pouvoirs publics et para-publics à recourir au seul ciment civique à leurs yeux valable, les dénommées « valeurs républicaines ».

Il en découle un martèlement croissant du discours républicain en tout lieu et à tout moment. Cette propagande suscite une phobie anti-discriminatoire qui frôle la pathologie mentale lourde. La quête harassante en faveur d’une diversité de façade imposée – s’il le faut par la contrainte – par la H.A.L.D.E., peint de couleurs exotiques variées une domination sur les esprits centrée sur la marchandisation, l’individualisme et le rejet de toute spiritualité.

L’Hexagone républicain n’est pas la France. Sait-on d’ailleurs que dans les réunions internationales, les documents officiels ne parlent jamais de France et toujours de République française ? Certes, s’il existe une République algérienne démocratique et populaire, il y a surtout une République fédérale d’Allemagne, une République de Pologne, une République populaire et démocratique de Corée, et non une République fédérale allemande, une République polonaise ou une République populaire coréenne… L’Hexagone reprend (fortuitement ?) la titulature du dernier Louis XVI, de Napoléon Ier, de Louis-Philippe et de Napoléon III qui était « roi (ou empereur) des Français ». Les masses se substituent à l’idée sapientielle ! Nullement français, l’Hexagone black-blanc-beur ne peut être une res publica au sens que l’entendaient les Anciens, ni un oïkos post-moderne (ou une République-site).

Les « hexagonophobes » doivent-ils pour autant délaisser la patrie nationale, s’en détourner irrémédiablement ? Nullement ! Ils doivent au contraire accompagner la métamorphose, la mutation en cours, fut-ce au prix d’entériner l’éclipse de la France. Oui, la République jacobine a volontairement occulté la France traditionnelle dont la légitimité a disparu irrémédiablement le 24 août 1883 à Froshdorf. Depuis, et à part l’exception incarnée par Charles de Gaulle entre 1940 et 1969, la légalité sert de pis-aller. En attendant qu’une nouvelle légitimité européenne et impériale surgisse des aléas de l’histoire, la seule posture désormais satisfaisante est le francovacantisme ou le gallovacantisme (4).

Le gallovacantiste ou francovacantiste postule d’abord que les structures républicaines occupent l’espace géographique et mentale de la France, ensuite qu’il est vain de soutenir un Hexagone qui est l’anti-France par excellence. On ne cesse d’invoquer l’« identité républicaine », le « civisme républicain », l’« école républicaine »… Ira-t-on bientôt jusqu’à expulser royalistes, européistes et régionalistes qui n’adhèrent pas au républicanisme laïc, gratuit et obligatoire ?

Bousculons donc les douillettes certitudes des souverainistes et autres nationalistes qui agissent en parfaits valets du Système. Dissocions la France historique de l’Hexagone républicain mondialiste. Repensons globalement le combat essentiel des identités autochtones d’Europe, et abandonnons aux fétichistes de l’État-nation républicain La Marseillaise, Marianne, le coq, sa devise inepte et le drapeau tricolore. Osons nous affirmer anti-républicains, Français d’Europe et localistes enracinés!

Telle est la véritable révolution intellectuelle qui s’ouvre à nous ! C’est au nom des valeurs républicaines prépondérantes qu’on exige l’assimilation, qu’on célèbre l’intégration et qu’on chasse la burqa. Dans le même temps, le Régime délaisse les zones rurales ou péri-urbaines, fait fermer hôpitaux de proximité, agences postales de villages et petites gares ferroviaires et prépare l’imposition des ménages rurbains fuyant l’exécrable multi-ethnicité des centres urbains au moyen de la fameuse  « taxe carbone ».

Les patriotes identitaires se doivent d’exprimer une dissidence radicale à la République. Loin de la préserver, ils doivent préparer son effondrement en se tenant prêts à l’imprévu. Qu’ils s’inspirent pour la circonstance de l’exemple des républicains sous le Second Empire. En effet, le 4 septembre 1870, dès l’annonce de la défaite française de Sedan et de la reddition de l’Empereur aux Prussiens, les républicains parisiens profitèrent du désarroi gouvernemental pour proclamer la République alors que cinq mois plus tôt, un plébiscite confirmait massivement l’assise populaire de l’institution impériale. Certes, les républicains mettront presque dix ans pour s’emparer définitivement de l’ensemble des pouvoirs, mais le mouvement initial, décisif, fondateur, était lancé. Soyons par conséquent aux aguets, aptes à répondre au Kairos. Le gallovacantisme doit nous aider à penser autrement notre vision de la France.

Georges Feltin-Tracol

Notes

1 : Jean de Viguerie, Les deux patries. Essai historique sur l’idée de patrie en France, Dominique Martin-Morin Éditeur, 2004, première édition en 1998.

2 : « Nous sommes en train d’accoucher d’une France diverse, d’une République métissée. Le mouvement n’est pas spectaculaire et ne se voit pas devant des caméras. » Amara Fadala, in Le Monde, 4 et 5 octobre 2009.

3 : Arnaud Guyot-Jeannin, « Une Europe néo-carolingienne est-elle envisageable pour l’avenir ? », in Benjamin Guillemaind (s.d.), La subsidiarité. Un grand dessein pour la France et l’Europe, Éditions de Paris, coll. « Les Cahiers de l’As de Trèfle », 2005, p. 99.

4 : « Gallovacantisme » ou « francovacantisme » sont deux néologismes dont il appartient à l’usage de valider l’un ou l’autre. Ces deux termes se construisent sur le modèle du sédévacantisme. Sans entrer dans les détails, le sédévacantisme considère que, depuis le concile Vatican II, tous les papes qui occupent le siège de Saint-Pierre sont illégitimes et hérétiques. Il en découle une vacance de la papauté. Une frange moins radicale de ce courant, le sédéprivatisme, considère que le siège pontifical est occupé dans les faits par une personne qui n’en est toutefois pas digne si elle entérine les conclusions conciliaires. Sédévacantistes et sédéprivatistes suivent donc des messes non in cum, c’est-à-dire hors de toute communion avec la hiérarchie ecclésiastique et les souverains pontifes.

vendredi, 05 mars 2010

Restaurer la souveraineté monétaire

Restaurer la souveraineté monétaire

Par Jean Claude Werrebrouck

Comment solder les différences de niveaux de prix intra européens, lorsqu’a disparu l’arme de la dévaluation ? La réponse classique consiste à prôner la déflation salariale – entendre blocage ou baisse des salaires, qui entraînerait une baisse relative de l’inflation et des coûts par rapport à la zone euro et permettrait de restaurer la compétitivité des économies du sud. En clair, plusieurs années d’éreintantes vaches maigres en perspective.

billets_euros_469_300_2636b.jpgL’économiste Jacques Delpla, reprenant une étude d’Olivier Blanchard, du FMI, propose une mise en œuvre à marche forcée de ce programme. Les États du sud, propose-t-il, devraient imposer une réduction coordonnée des salaires et des prix, de l’ordre de 10 à 30%. Jean Claude Werrebrouck s’inquiète des conséquences de cette mesure « abracadabrantesque », aux effets de bord imprévisibles, et qui de plus aurait pour conséquence remarquable d’être favorable aux rentiers. Face à la grande crise qui menace, le temps n’est plus aux bricolages, juge-t-il : il convient de « rétablir la souveraineté monétaire ».

L’économiste en chef du FMI, Olivier Blanchard, propose de sanctionner les « GIPEC » (Grèce, Irlande, Portugal, Espagne et Chypre), encombrants passagers clandestins du navire Euro. Puisqu’il est impossible de les « amincir » par des progrès rapides de productivité, leur permettant tout à la fois de rétablir l’équilibre extérieur, le plein emploi et l’équilibre des comptes publics, il faut en monnaie unique, passer par une dévaluation interne. Le schéma proposé est ambitieux. Puisque la monnaie unique interdit toute manipulation de la valeur externe de la monnaie, il est urgent de procéder à une révolution des prix internes.

Concrètement il s’agit d’une déflation imposée et généralisée des prix, et si possible déflation coordonnée pour assurer l’homothétie du recul. Plus concrètement encore il est proposé une baisse générale, par exemple de 30%, de tous les prix, salaires, loyers, transferts sociaux, retraites, etc.

Il s’agirait bien d’une dévaluation puisqu’il y aurait diminution du pouvoir d’achat international des résidents, en particulier celui les salariés. En même temps, la capacité exportatrice augmenterait en raison de la baisse du niveau général des coûts et des prix. Et, en principe, l’évolution positive du solde commercial serait porteuse d’un ré enclenchement dynamique de la demande globale, et donc porteuse d’emplois nouveaux. Jacques Delpla voit dans cette proposition, un keynésianisme d’un genre sans doute nouveau, marqué par le double sceau de l’acceptabilité politique (hypothèse d’homothétie dans la déflation et donc d’équité) et de l’efficience économique (ajustement plus rapide que les politiques traditionnelles de rigueur). Remarquant toutefois que le poids relatif du stock de dettes serait accru dans les mêmes proportions, il propose à enveloppe constante des budgets bruxellois, un redéploiement des fonds structurels et de la politique agricole commune vers les « GIPEC » soumis à la dévaluation interne. On peut imaginer que les dettes privées pourraient également bénéficier de ce redéploiement.

Un tel projet laisse place à de lourdes interrogations. Tout d’abord il semble bien qu’il s’agit d’une déflation organisée. Cela signifie le rétablissement d’un contrôle des prix avec toutes les difficultés correspondantes. D’abord la mise en place d’une bureaucratie nouvelle chargée du contrôle et de la gestion des litiges. Mais aussi d’inextricables difficultés d’application : dans quelle mesure les prix des marchandises, dont le contenu en input importations est infiniment variable, doivent ils baisser au même rythme que les marchandises locales ? Faut-il établir des barèmes en fonction du contenu importation de marchandises pourtant produites localement ? Plus encore, faut-il prévoir une diminution des prix des crédits nouveaux, ce qui suppose le contrôle des banques et donc du taux de l’intérêt ? La baisse des salaires pourra t’elle être uniforme ? Et surtout peut-on sérieusement imposer une telle baisse, sans voire apparaitre de gigantesques comportements opportunistes, comme dans le cas des heures supplémentaires à la française dans le cadre de la loi « TEPA » ? La liste des questions n’est évidement pas exhaustive, et seule la mise en pratique peut faire apparaitre l’étendue des problèmes, notamment l’étendue imprévisible d’externalités elles mêmes imprévisibles. Levitt et Dubner (cf « Superfreakonomics ») et plus généralement les bons connaisseurs de la micro économie savent à quel point toute intervention développe des conséquences pour le moins inattendues.

Mais au-delà, une question fondamentale se doit d’être évoquée. Si tous les prix diminuent, il est logique que la valeur du stock d’actifs financiers soit rognée dans les mêmes proportions. Pourquoi Jacques Delpla semble soucieux de ne pas déflater la dette existante, et en contre partie mobiliser à ce titre les fonds européens devenant indisponibles par ailleurs ? Le coût d’opportunité d’un tel choix a-t-il fait l’objet d’évaluation ? Pourquoi faut-il ainsi « sacraliser » la dette existante ? Et la réponse consistant à dire qu’une bonne partie de la dette est détenue par des non résidents est insuffisante car l’autre partie est détenue par des résidents qui eux – mais pour quelle raison ?- ne seraient pas soumis à la même déflation. Pourquoi faudrait-il ainsi créer 2 catégories de résidents, les titulaires de la rente s’opposant à tous les autres ?

Mieux, attendu que durant la période de déflation autoritaire, il faudrait continuer à assurer la gestion de la dette publique avec les moyens habituels des agences des Trésors, lesquels passent toujours par des adjudications, faut-il penser que les dites adjudications seraient « déflatées » comme les autres prix ? En clair les agences pourraient-elles imposer le prix de la dette souveraine nouvelle en imposant un taux ? Dans quel Traité de Sciences Economiques a-t-on pu lire qu’un acteur de marché – fusse t-il en situation de monopole – pouvait simultanément fixer et les quantités et les prix ?

Les dérapages des économistes qui – très imprudemment – se déclarent libéraux sont saisissants : au nom de l’ajustement et donc du marché, certains sont prêts à restaurer un ordre, à tout le moins autoritaire, porteur de bien des déconvenues. Comme quoi il est difficile de sacraliser l’ordre spontané de Hayek en édifiant un ordre organisé. Comme quoi il est difficile de conserver le cercle si on le transforme en carré.

Mais s’agit-il par la voie de l’autorité, de protéger des marchés libres, ou plutôt de protéger les ardeurs prédatrices de la rente ?

Car enfin, il est une façon plus simple pour sortir de l’étau les « petits un peu ronds », et ce peut-être sans même renoncer à la monnaie unique : rétablir une souveraineté monétaire dont le blog La Crise des années 2010 se fait l’ardent défenseur.

La rencontre européenne des marchés politiques nationaux a débouché sur le drame de la dénationalisation monétaire dans les années 80 et 90. Bien des mises en gardes furent étouffées dans le climat idéologique de ces années, climat porteur de sacralisation. Et la Raison – comme toujours et partout- s’est effacée devant le nouvel objet sacré. C’est que rien ne peut être entrepris contre le sacré. La violence de ce que certains commencent à appeler – à très juste titre – la « grande crise » met à nu – peut-être plus rapidement que prévu- les incohérences des choix nationaux et européens qui furent promulgués. Et les adeptes de la dénationalisation monétaire sont aujourd’hui terrorisés par l’énormité des conséquences résultant des décisions des années 90. Face à l’énormité des coûts associés au démantèlement de la zone euro ces mêmes adeptes poursuivent leur fuite en avant en imaginant des dévaluations internes abracadabrantesques. Et bien évidemment les entreprises politiques sont encore bien plus démunies devant l’épaisseur du brouillard.

Contre-Info

lundi, 01 mars 2010

Les présidentielles ukrainiennes signalent le recul de l'hégémonie américaine

K. Gajendra SINGH :

Les présidentielles ukrainiennes signalent le recul de l’hégémonie américaine

 

Le 13 février dernier, l’ambassadeur e. r. K. Gajendra Singh, correspondant de la revue italienne « Eurasia », a publié son commentaire sur le résultat des dernières présidentielles en Ukraine. Le texte qui suit en est une synthèse, due à la plume d’Andrea Bogi.

 

Ukraine_federation_svg.pngLes résultats du second tour des présidentielles ukrainiennes ont sanctionné la victoire du candidat pro-russe Viktor Yanoukovitch, avec 48,95% des voix, contre Ioulia Timochenko, avec 45,47%. Environ 70% des citoyens inscrits ont exercé leur droit de vote lors de ces élections qui revêtaient une importance capitale dans la lutte stratégique qui oppose, en Ukraine, le camp occidental au « camp oriental ».

 

Le déroulement régulier de cette élection a été confirmé par plus d’un organisme international et par tous les observateurs, tant russes qu’américains, malgré les protestations de Mme Timochenko, que le vainqueur des élections a accusé, dans un entretien accordé à CNN, de trahir ses propres principes, avancés lors de la fameuse « révolution orange » de 2004 (financée et téléguidée par les Etats-Unis et par les organisations, fondations et marionnettes qu’ils manipulent partout en Eurasie).

 

Dans les commentaires que publiait le New York Times, on pouvait lire : « Timochenko a œuvré à diffuser la révolution orange qui a apporté, pour la première fois, la démocratie de type occidental en Ukraine. Sa défaite pourrait suggérer un reflux des principes de cette révolution orange, mais le fait que le pays a réussi à assumer des élections présidentielles controversées, qu’on considère désormais comme parfaitement régulières, nous fait au contraire croire que l’héritage de la révolution orange a survécu ».

 

Cet avis est partagé par le Professeur Olexej Haran, qui enseigne la politique comparée à l’Université Mohyla de Kiev : il souligne que la démocratie a obtenu un grand succès parmi les Ukrainiens, qui ont été fortement déçus de l’échec des réformes sociales et économiques qu’on leur avait pourtant promises.

 

Le Président américain Barack Obama a félicité à son tour Yanoukovitch, en lui adressant le commentaire suivant : « Le pas en avant en direction du renforcement de la démocratie en Ukraine est un pas positif », ce qui, pour Obama, constitue simultanément l’affirmation de la nécessité de continuer la coopération réciproque dans le but «d’étendre la démocratie et la prospérité, de protéger la sécurité et l’intégrité territoriale, de renforcer la légalité, de promouvoir la non prolifération et de soutenir les réformes économiques et énergétiques en Ukraine ».

 

Yanoukovitch a pourtant déclaré qu’il ne prendrait pas en considération l’adhésion de l’Ukraine à l’OTAN : « L’Ukraine s’intéresse aujourd’hui au développement d’un projet visant la création d’un système collectif de sécurité européenne. Nous sommes prêts à en faire partie et à soutenir l’initiative du Président russe Dimitri Medvedev ». C’est là une indication des plus claires : Yanoukovitch veut restaurer les liens avec la Russie, rompus à partir de 2004 à cause des politiques pro-occidentales de Youchtchenko.

 

Suite à la défaite de Yanoukovitch, il y a cinq ans, Youchtchenko avait opté pour une politique d’opposition à Moscou pour plaire à ses « mécènes », c’est-à-dire, aux Etats-Unis, au Royaume-Uni et aux autres, ce qui a causé de profonds dommages et pertes pour le pays. La situation qui en a résulté fut une querelle permanente avec Moscou pour fixer le prix du transit gazier vers l’Europe centrale et occidentale, querelle où les Ukrainiens n’ont vraiment pas gagner grand chose. Cette dispute a en outre permis aux organes de propagande occidentaux, comme la BBC et CNN, d’inventer force arguments pour médire de la Russie parce que celle-ci avait manifesté l’intention de fournir son gaz au prix du marché à l’Ukraine qui, en réaction, subtilisait ce gaz ou jugulait sa livraison aux pays d’Europe centrale et occidentale.

 

L’Allemagne entendait garder des relations économiques stables et fructueuses avec la Russie pour échapper à l’emprise de l’arrogance américaine. Berlin a garanti pour un milliard d’euro le coût du projet North Stream, qui veut faire passer un gazoduc sous la Baltique pour éviter tout transit par le territoire ukrainien ou par d’autres pays jugés peu sûrs ; l’ancien Chancelier Gerhard Schroeder a ainsi accepté d’être nommé par Gazprom au poste de chef du conseil d’administration. Le changement à Kiev est de bon augure pour les Ukrainiens, qui n’étaient plus que de simples pions sur l’échiquier Est/Ouest.

 

Immédiatement après la victoire de Youchtchenko, il y a cinq ans, les marines américains faisaient leur apparition dans la région pontique pour un exercice naval en Crimée, un territoire russe qui a été donné à l’Ukraine par le leader soviétique Nikita Khrouchtchev, d’origine ukrainienne et où stationne encore la flotte russe. La population russophone avait protesté et chassé les Yankees, les obligeant à quitter rapidement le terrain.

 

(K. G. Singh a été ambassadeur de la République Indienne en Turquie, en Azerbaïdjan, en Jordanie, en Roumanie et au Sénégal. Aujourd’hui, il préside la « Foundation for Indo-Turkic Studies »).

(Ce texte est tiré du site de la revue italienne « Eurasia », http://www.eurasia-rivista.org/ ).

samedi, 27 février 2010

Maniobras militares conjuntas entre Turquia e Israel

Maniobras militares conjuntas entre Turquía e Israel

Finalmente el ministro turco de defensa, Vecdi Gonül mencionó que después de la crisis del octubre de 2009 en las relaciones de este país y el régimen sionista, el ejército de este régimen ha participado dos veces en maniobras celebradas en el territorio de Turquía. El gobierno turco el mes de octubre de 2009 anuló el programa de la celebración de entrenamientos militares conjuntos con el régimen sionista en protesta a los crímenes de este régimen en la franja de Gaza.

Pero Vecdi Gonül finalmente frente las preguntas de los diputados de diferentes partidos en el parlamento, confesó que una de estas maniobras fue celebrada de forma trilateral entre Turquía, el régimen sionista y Jordania el mes de noviembre de 2009 en Ankara y la segunda en mes de diciembre en la misma ciudad.

Esta confesión de Gonül tuvo amplios ecos en los medios noticieros turcos, de forma que el diario Vakit publicado en Turquía escribió que el ejército de este país sigue actuando de forma obstinado y no acata plenamente al gobierno de este país.


Esto significa que el ejército de Turquía al contrario que los políticos de este país, persigue sus intereses en relaciones con el régimen sionista.

Al mismo tiempo algunos analistas no rechazan la posibilidad de que teniendo en cuanta las relaciones estratégicas de Turquía y el régimen sionista, haya un acuerdo entre el ejercito y el gobierno de Turquía de forma que los mandatarios de este país tomen postura contra el régimen sionista con el fin de responder las reclamaciones de la opinión publica del país ante los crímenes de este régimen en Gaza, y por otro lado, el ejercito mantenga sus relaciones militares con el régimen sionista.

De forma que algunos medios noticieros de Turquía anunciaron la ejecución del acuerdo de varios millones de dólares de este país y el régimen sionista para la compra de aviones no tripulados Heron el mes de marzo.
Otro punto de vista es que el ejército del régimen sionista, con el fin de destruir la posición y lugar del primer ministro de Turquía, Recep Tayyip Erdogan y separar este país del mundo islámico, insiste en mantener relaciones militares con Turquía.

Después de la fuerte disputa verbal el año pasado entre Erdogan y Simon Pérez, presidente del régimen sionista al margen del foro de Davos, los políticos israelíes incluso calificaron a Erdogan de anti judío.
Mientras tanto dirigente del partido Kadima del régimen sionista, Tzipi Livni, dijo de forma explicita que Turquía debe elegir entre el mundo islámico e Israel.

Parece que el Partido Republicano del Pueblo de Turquía como mas grande partido de oposición en el parlamento, teniendo en cuenta la sensibilidad de la opinión publica de la población musulmana de Turquía a la forma de la relación de su país con este régimen, intenta llevar bajo la tela de juicio la actuación del gobierno dirigido por Erdogan y aprovechar de ello a su favor en las próximas elecciones generales.

Extraído de IRIB.

~ por LaBanderaNegra en Febrero 20, 2010.

Die tiefe Krise der Männer

Die tiefe Krise der Männer

Eva Herman : Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Das männliche Geschlecht befindet sich auf rasanter Talfahrt: Während die Emanzipation die Frauen in den zurückliegenden Jahrzehnten allerorten in ungeahnte Machtpositionen hievte, und weltweite Gender-Mainstreaming-Maßnahmen ebenso ausschließlich die Förderung von Frauen vorsehen, kämpfen die Männer zunehmend um die Existenz ihres Geschlechtes. Schon die Feministinnen in den 1970er-Jahren predigten die Männer entweder als Weicheier oder Machos schlecht. Dazwischen gab es kaum etwas, was männlich und gleichzeitig etwa sympathisch oder normal sein konnte.

manliness-1.jpgDie verhängnisvolle Entwicklung der Männerverachtung findet für den Vertreter des männlichen Geschlechts ihren frühen Anfang heutzutage schon in Kindergarten und Schule: Ein Blick auf das derzeitige Schulsystem allein genügt, um festzustellen: Hier werden haufenweise Verlierer produziert, die Mehrheit ist männlich.

In Kinderkrippen, Kindergärten und in den Schulen fehlen überall männliche Vorbilder! Die Kinder werden vorwiegend von Frauen betreut und erzogen, diese bevorzugen in aller Regel, teils bewusst, teils unbewusst, die Mädchen.

Durch die Feminisierung in der Erziehung werden für die Kinder hier die künftig geltenden Verhaltensstandards festgelegt: Diese werden nahezu ausschließlich aus dem Verhalten der Mädchen entwickelt. Ohne Rücksicht darauf, dass Jungen naturgemäß ein völlig anderes Benehmen haben. Männliches Verhalten wie durchaus natürliche Rangeleien und hierarchiebedingte Kämpfe werden allermeist durch aus weiblichem Harmoniestreben resultierende Maßnahmen im Keime erstickt. Dadurch geraten die Jungs ins Hintertreffen, die Gefahr, dass sie ihre Geschlechteridentität nicht naturgemäß ausbilden können, schlägt sich auf die Leistungen nieder. 

Der Vorsitzende des Bayerischen Philologenverbands, Max Schmidt, betonte in einem Spiegel-Interview: »Sowohl in der Grundschule, aber auch während der Pubertät, ist es wichtig, dass Jungen und Mädchen in männlichen und weiblichen Lehrkräften positive Rollenvorbilder erleben.« Das zunehmende Verschwinden von Männern aus den Schulen erschwere gerade den Jungen die Auseinandersetzung mit der eigenen Rollenidentität.

Das sehen auch andere Experten so: Eine letztjährige Studie des Aktionsrates Bildung bestätigt, dass der Grund für die Zensurenlücke vornehmlich darin zu finden ist, dass Jungen in Kindergarten und Schule massiv benachteiligt würden. Nicht mehr die Mädchen, sondern die »Jungen sind die Verlierer im deutschen Bildungssystem«, sagt der Ratsvorsitzende und Präsident der Freien Universität Berlin, Dieter Lenzen. Statt auszugleichen, verstärke die Schule den Bildungs- und Leistungsrückstand der Jungen. Jungen haben laut Lenzen oftmals gar nicht die Chance, eine ausgereifte Geschlechtsidentität zu bilden, da sie im Kindergarten und in der Grundschule meist mit Erzieherinnen und Lehrerinnen konfrontiert seien. In keinem Bundesland liegt der Anteil männlicher Erzieher in den Kindertagesstätten bei mehr als zehn Prozent.

Auch das Bundesbildungsministerium bestätigt diese verhängnisvolle Entwicklung. Eine Untersuchung ergab: In der Grundschule sehen sich Jungen einer weiblichen Übermacht an Lehrkräften gegenüber – und werden von den Lehrerinnen häufig benachteiligt. Der Hallenser Bildungsforscher Jürgen Budde stellte in dem Bericht fest, dass Jungen in allen Fächern bei gleicher Kompetenz schlechtere Noten bekommen als ihre Mitschülerinnen. Selbst wenn sie die gleichen Noten haben wie Mädchen, empfehlen die Lehrer ihnen seltener das Gymnasium. Einfach ausgedrückt: Jungen werden bei gleicher Leistung schlechter behandelt.

Der Schulabschluss bestimmt den weiteren Lebensweg, die persönliche Arbeitsbiografie wird hier festgelegt. Dementsprechend sind junge Männer häufiger erwerbslos. Aus einem individuellen Problem erwächst inzwischen längst eine hoch gefährliche Gesellschaftskrise.

Jungs werden häufig von Anfang nicht richtig eingeschätzt und verstanden. Ihre männlichen Verhaltensweisen sollen denen der Mädchen angepasst werden, dementsprechend werden sie nicht selten unter falschen Voraussetzungen erzogen. Oft können sie ihr wahres männliches Inneres nicht leben, der Kern ihres Mannseins wird unterdrückt.

Vielen Jungen fehlt außerdem die männliche Vorbildfigur, an der sie sich orientieren könnten und dies auch dringend tun müssten. Jungen, die bei ihrer alleinerziehenden Mutter aufwachsen, sind in weitaus höherem Maße gefährdet. Schon der Psychologe Alexander Mitscherlich sprach einst von der »vaterlosen Gesellschaft« und meinte damit die Nachkriegsgeneration, deren Väter entweder im Krieg gefallen waren oder gebrochen zurückkehrten. Heute hat der Begriff wieder neue Aktualität bekommen. Väter verlassen die Familien, entziehen sich oder wollen schlicht keine starken Vorbilder mehr sein, aus Angst, sie könnten als hirnlose Machos gelten.

Auch unsere unheilvolle Geschichte hat tiefe Spuren hinterlassen. Ist ein starker Mann nicht schon ein Faschist? Ist einer, der sich zum Mannsein bekennt, nicht schon ein Soldat? Stärke wurde ein Synonym für das Böse, das unterworfen werden musste. Wer offensiv auftritt, ist einfach nicht politisch korrekt. Eroberer haben keine Chance.

Und so flüchten sich Jungen und Jugendliche häufig in Traumwelten, die sie im Fernsehen und bei den Abenteuer- und Ballerspielen auf dem Computer, der Playstation oder dem Gameboy finden. Hier, in der Fantasy-World, herrschen ausgesprochen männliche, körperlich starke, kämpfende Helden, die souverän alle Feinde besiegen und töten. Mit ihnen lässt es sich trefflich  identifizieren, wenigstens in der Fantasie. Immer mehr Jungen und junge Männer verbringen täglich viele Stunden vor interaktiven Medien, die sie zusehends von der Außenwelt, vom sozialen Miteinander abtrennen, die sie weiter in die gesellschaftliche Isolation treiben und zunehmend den Realitätsbezug verlieren lassen. Dieses Phänomen ist nicht auf die Kindheit und die Pubertät beschränkt, auch erwachsene Männer spielen lieber den omnipotenten Helden in der Fantasie, als im Leben ihren Mann zu stehen.

Was bleibt ihnen auch anders übrig?, könnte man fragen. Wenn Männer ihre Rechte einfordern wollen, stürzt sich alsbald ein Haufen wütender Frauen auf sie und verteidigt energisch das ständig größer werdende Stück Land, das sie in den letzten Jahrzehnten einnahmen. Rechte für die Männer? Die haben doch alles, was sie brauchen! So lautet das Vorurteil. Die Zeit der Alphatierchen sei vorbei, verkündete die ehemalige Bundesfamilienministerin Ursula von der Leyen, die sich stets auf die Seite erwerbstätiger Frauen schlägt, im März 2007 im Stern.

Männer sollen durch politische Maßnahmen wie ein zweimonatiges Elterngeld für Väter und eine neue öffentliche, mit aller Macht forcierte Geisteshaltung nach Hause gezwungen werden. Sie sollten mehr als »nur den Müll runterbringen«, schließlich arbeite die Frau schwerer als sie, weil sie zusätzlich noch die Kinder versorgen müsse.

Unbehagen macht sich breit. Auch wenn nur ein geringer Prozentsatz der Männer wirklich auf diese Forderungen eingeht, so plagt ihn doch das schlechte Gewissen, das man ihm einredet. Wer aber will sich auf Dauer nur noch verteidigen? Dann doch lieber die Flucht nach vorn, die Flucht in den Job, wo man auch mal jemanden anbrüllen darf, die Flucht auf den Fußballplatz, wo man sich aggressiv zu seiner Mannschaft bekennt. Oder die finale Flucht aus der Familie.

Während alle Jugendstudien die Mädchen zur »neuen Elite« küren, mehren sich die mahnenden Stimmen, die vor einer »entmännlichten Gesellschaft« warnen.

Experten fordern zu drastischen Maßnahmen auf: Der Jugendforscher Klaus Hurrelmann verlangt eine Männerquote für Lehrer und Erzieher. Der Deutsche Philologenverband will eine Leseoffensive für Jungen an Schulen einrichten.

Alle Studienergebnisse über die Leistungskrise der Jungs sprechen ihre eigene Sprache:

– Jungs bleiben doppelt so oft sitzen wie Mädchen, fliegen doppelt so häufig vom Gymnasium und landen doppelt so oft auf einer Sonderschule. An Haupt-, Sonder- und Förderschulen machen Jungen heute rund 70 Prozent der Schüler aus;

– Schätzungen zufolge leiden zwei- bis dreimal so viele Jungen unter Leseschwäche;

– 62 Prozent aller Schulabgänger ohne Abschluss sind Jungen;

– 47 Prozent aller Mädchen gehen auf ein Gymnasium, bei den Jungen sind es nur 41 Prozent;

– Ein Drittel der Mädchen macht Abitur oder Fachabitur, aber nur ein knappes Viertel der Jungen;

– Abiturnoten von Jungen sind im Schnitt eine Note schlechter, als die ihrer Mitschülerinnen;

– Junge Frauen stellen die Mehrheit der Hochschulabsolventen und brechen ihr Studium seltener ab;

– 95 (!) Prozent der verhaltensgestörten Kinder sind männlichen Geschlechts;

– Jungen stellen zwei Drittel der Klientel von Jugendpsychologen und Erziehungsberatern;

– Aggression ist ein Problem, das vor allem Jungs betrifft: Unter den Tatverdächtigen bei Körperverletzungen sind 83 Prozent Jungen;

– Unter »jugendlichen Patienten, die wegen der berüchtigten ›Aufmerksamkeitsdefizit-Hyperaktivitätsstörung‹ (ADHS) behandelt werden müssen«, sind laut Spiegel Online »überdurchschnittlich viele Jungen: Auf sechs bis neun Zappelphilippe komme, meldet das Universitätsklinikum Lübeck, lediglich eine Zappelphilippine«.  (Erziehungstrends.de)

Der Präsident der Vereinigung der Bayerischen Wirtschaft (vbw), Randolf Rodenstock, warnte im vergangenen Jahr angesichts der vielen männlichen Schulabgänger ohne Abschluss, dass man es sich nicht leisten könne, so viele junge Männer auf dem Bildungsweg zu verlieren. Deutschland steuere langfristig auf einen Arbeitskräftemangel zu, der durch die aktuelle wirtschaftliche Lage nur verzögert werde.

In Ostdeutschland sieht die Lage übrigens noch trostloser aus, hier laufen die Frauen den Männern gleich scharenweise davon. Nicht nur, weil sie im Westen bessere Berufs- und Ausbildungsmöglichkeiten bekommen, sondern weil sie dort auch Männer finden, die ihrem starken Selbstbewusstsein etwas entgegenzusetzen haben. So titelten denn auch unlängst gleich mehrere Tageszeitungen in etwa so: Frauen verlassen Osten! Männer erheblich benachteiligt! Oder: Ist der Mann im Osten bald allein?

Diesen alarmierenden Aussagen lag eine Studie des Berliner Instituts für Bevölkerung und Entwicklung zugrunde, der zufolge in den Neuen Bundesländern »eine neue, männlich dominierte Unterschicht« entstanden sei. Während vor allem gut ausgebildete Frauen zwischen 18 und 29 Jahren ihre Heimat verließen, würden viele junge Männer mit schlechter Ausbildung und ohne Job zurückbleiben. In manchen strukturschwachen Regionen fehlten bis zu 25 Prozent Frauen, diese Gebiete seien besonders anfällig für rechtsradikales Gedankengut, so die Studie. Das Frauendefizit in Ostdeutschland wurde übrigens als einmalig in Europa bezeichnet. »Selbst in Polarregionen, im Norden Schwedens und Finnlands reiche man an die ostdeutschen Werte nicht heran«, hieß es.

Abgesehen davon, dass Deutschland zunehmend der männliche Aspekt verloren geht, der jedoch unverzichtbar für eine Gesellschaft des natürlichen Ausgleichs ist, müssen Männer die Frauen immer häufiger als Konkurrentinnen sehen, weil diese, gestützt durch sämtliche, gesetzlich verankerte Gender-Mainstreaming-Maßnahmen, bevorzugt werden und somit selbstverständlich und offensiv auftreten, zudem sie auch immer besser qualifiziert sind.

Frauen erobern eine männlich geprägte berufliche Domäne nach der anderen. Schwere körperliche Arbeit, die Männer leichter bewältigen können als Frauen, wird durch die zunehmende Technisierung der Arbeitswelt nahezu überflüssig und existiert kaum noch. Frauen können in jeden beliebigen Beruf einsteigen: als Pilotin ebenso wie als Soldatin, Lkw-Fahrerin, Managerin, Ministerin, Kanzlerin.

Und während die holde Weiblichkeit alle Erfolgsgrenzen sprengt, ziehen sich die Männer zunehmend zurück. Zwar sollen sie durch Brüssels Gesetze nun vermehrt den Hausmann geben und sich der Kindererziehung widmen, damit sie den gestressten, erwerbstätigen Ehefrauen den Rücken freihalten. Doch sind diese Maßnahmen wohl kaum dazu geeignet, männliches Verhalten in seiner ursprünglichen Natur zu fördern.

Der Medienexperte Norbert Bolz macht vielmehr auf die Gefahr aufmerksam, dass Männer sich wieder an ihrer Muskelkraft orientieren würden, wenn sie sich ihrer sexuellen Rollenidentität als klassischer Vater und Versorger beraubt sehen. Das erklärt die rasante Zunahme aller möglichen sportlichen Aktivitäten, die bis ins Rauschhafte gesteigert werden können. Die Männer brauchen den Sport. »Sport als Asyl der Männlichkeit ist eine genaue Reaktionsbildung darauf, dass die Zivilisation als Zähmung der Männer durch die Frauen voranschreitet«, so Bolz. »Vormodern war die Aufgabe, ein ›richtiger‹ Mann zu sein, vor allem eine Frage der Performanz; man musste gut darin sein, ein Mann zu sein. Heute gilt das nur noch im Sport. Er bietet den Männern einen Ersatzschauplatz für die Kooperation der Jäger. Nur im Sport können Männer heute noch den Wachtraum erfolgreicher gemeinschaftlicher Aggression genießen, also die Gelegenheit, körperlich aufzutrumpfen.«

Bolz schätzt  dies als offensichtliches Kompensationsgeschäft ein, das unsere moderne Kultur den Männern anbietet: »Seid sensible, sanfte Ehemänner und fürsorgliche Väter – am Samstag dürft ihr dann auf den Fußballplatz und am Sonntag die Formel eins im Fernsehen verfolgen: heroische Männlichkeit aus zweiter Hand.«

Aber werden solche Männer tatsächlich von den Frauen begehrt? Hier sind erhebliche Zweifel wohl angebracht. Denn so erfolgreich die Frauen auch werden mögen, so wenig wollen sie als männliches Pendant den Windelwechsler und Küchenausfeger, sie wollen vielmehr einen echten Mann!

Die meisten Frauen verachten »schwache Typen« gar, spätestens, wenn es um ihre eigene Beziehung geht. So ist es ja umgekehrt auch kaum vorstellbar, dass eine Frau einen Partner vorzieht, der sich von anderen Männern dominieren lässt, der also nicht in der Lage ist, sich Respekt und Achtung zu verschaffen. Frauen wollen Männer, die erfolgreich sind. Weicheier jedoch sind weit von Erfolgs- und Überlebensstrategien entfernt. Die Evolutionsforschung ist da eindeutiger und klarer, so Norbert Bolz: »Frauen tauschen Sex gegen Ressourcen, während Männer Ressourcen gegen Sex tauschen. Das funktioniert aber nur unter Bedingungen strikter Geschlechterasymmetrie – in der modernen Gesellschaft also: nicht!«

Die Untersuchung der amerikanischen Hirnforscherin Louann Brizendine in ihrem Buch Das weibliche Gehirn weist überzeugend nach, dass männliche und weibliche Gehirne sich wesentlich unterscheiden, was eine Fülle von spezifischen Wahrnehmungs- und Verhaltensweisen nach sich zieht. So ist beispielsweise das Sprachzentrum der Frauen ungleich stärker herausgebildet, als das der Männer. Louann Brizendine formuliert dies äußerst humorvoll: Dort, wo die Sprache verarbeitet wird, existiere bei Frauen gewissermaßen ein mehrspuriger Highway, bei den Männern dagegen nur eine schmale Landstraße.

Was im naturwissenschaftlichen Zusammenhang als Tatsache hingenommen wird, gilt aber plötzlich als rückständig, wenn es um die sozialen Beziehungen geht. Eine ernsthafte Betrachtung der klassischen Geschlechterbestimmungen ist heute längst in den Hintergrund gerückt und so gut wie überhaupt nicht mehr möglich. Politisch und gesellschaftlich korrekt und gewollt ist vielmehr das Herbeiführen »modernerer Verhaltensweisen«, die Mann und Frau gleichmachen.

Es geht nicht mehr um Respekt für »das Andere« bzw. »den Anderen« oder um den Mann an sich, sondern um Gleichberechtigung für Frauen. Die Medien tragen kräftig zu dieser Sicht der Dinge bei: Sie fördern einseitig das Erfolgsmodell »berufstätige Mutter«, die Multitaskerin, die Kind, Küche und Karriere locker unter einen Hut bringt. Frauen, die Familien- und Hausarbeit leisten, werden als fantasielos, rückständig und dumm dargestellt. Die Medien verleugnen und missachten damit häufig zugleich den Erfolg berufstätiger Väter, die eine ganze Familie mit ihrer Erwerbsarbeit ernähren. Das »Allein-Ernährer-Modell« wird nur noch selten honoriert, selbst da, wo es funktioniert, stehen die Männer schnell unter dem Verdacht, typische Unterdrücker zu sein. 

Umgekehrt fordern jetzt auch immer mehr Männer, dass Frauen ihr eigenes Geld dazu verdienen sollen. So wird aus dem einstigen Emanzipationswunsch der Frauen, die ihre Berufstätigkeit als Beweis für Selbstbestimmtheit und Selbstverwirklichung betrachteten, ein Bumerang. Im Klartext: Frauen, die auch nur für wenige Jahre aus der Erwerbstätigkeit aussteigen möchten, um sich um die Familie zu kümmern, gelten nun als Drohnen.

Was diese Gesellschaft erlebt, ist eine erschreckende Mobilmachung der Ressource Frau für den Arbeitsmarkt. Um das zu rechtfertigen, müssen die Männer herhalten: »Väter sind mindestens ebenso gut für die Erziehungsarbeit der Kleinsten qualifiziert wie die Mütter und sollten diese auch unbedingt wahrnehmen«, befand die amtierende Bundesfamilienministerin. Eine Schutzbehauptung, die Frauen zur Erwerbstätigkeit motivieren soll.

Wenn die Männer als Kinderbetreuer eingesetzt werden, ist das allerdings nicht so simpel, wie die Rollentauschfantasie der Ministerin es glauben machen will.

Und die Männer? Sie schweigen. Sie wollen nicht mehr reden. Sie wollen sich vor allem nicht mehr verteidigen. Sie wollen nicht mehr die willigen Versuchskaninchen in einem gesellschaftlichen Experiment sein, dem sie ihre Wünsche und ihre Identität opfern sollen. Hinter ihnen liegt oft ein Hindernis-Parcours der Streitigkeiten und Auseinandersetzungen, die alle Liebe, alles Vertrauen, alle Selbstverständlichkeit aus den Beziehungen vertrieben haben. Achselzuckend gehen sie ihrer Wege, überzeugt, dass sie eine feste Beziehung nicht mehr ertragen können.

Die moderne Gesellschaft täte gut daran, sich endlich entschieden gegen die durch die künstliche Geschlechterwelt der durch Feminismus und Gender-Mainstreaming übergestülpten Programme zur Wehr zu setzen, um den für alle Gesellschaften natürlichen Ausgleich durch das männliche und das weibliche Prinzip zurückzuerobern und als für alle Zeiten notwendiges Überlebensprogramm festzuschreiben. Anderenfalls kann man getrost für die Spezies Mensch schwarz sehen!

 

Mittwoch, 17.02.2010

Kategorie: Allgemeines, Wissenschaft, Politik

© Das Copyright dieser Seite liegt, wenn nicht anders vermerkt, beim Kopp Verlag, Rottenburg


Dieser Beitrag stellt ausschließlich die Meinung des Verfassers dar. Er muß nicht zwangsläufig die Meinung des Verlags oder die Meinung anderer Autoren dieser Seiten wiedergeben.

vendredi, 26 février 2010

Cinco paises pediran a Washington que retire su arsenal atomico de Europa

Cinco países pedirán a Washington que retire su arsenal atómico de Europa

Alemania, Bélgica, Holanda, Luxemburgo y Noruega

Alemania, Bélgica, Holanda, Luxemburgo y Noruega van a pedir de forma conjunta a Estados Unidos la retirada de todas las armas nucleares que el Pentágono mantiene en suelo europeo. Así lo anunció este viernes el primer ministro belga, Ives Leterme.

Los cinco socios de la OTAN tienen previsto presentar esa iniciativa en el marco de la revisión del concepto estratégico de la Alianza Atlántica, explicó el mandatario en un breve comunicado: “Bélgica está a favor de un mundo sin armas nucleares y defiende esta postura en el seno de la OTAN en preparación de la conferencia de revisión del Tratado de no proliferación de mayo en Nueva York”.

Según Leterme, “los avances concretos sólo serán posibles a través de una concertación seria con los socios de la OTAN y teniendo en cuenta los progresos en las negociaciones en el campo del desarme”. El primer ministro aseguró que su Gobierno “quiere aprovechar la oportunidad brindada por el llamamiento del presidente Barack Obama a un mundo sin armas nucleares”, añadió.


El comunicado de Leterme es una respuesta al mensaje de dos antiguos primeros ministros belgas, Guy Verhofstadt y Jean-Luc Dehaene, y dos ex responsables de exteriores, Willy Claes y Louis Michel, publicado este viernes en la prensa. En él, los cuatro urgen a la retirada del arsenal atómico estadounidense en Europa y aseguran que éste “ha perdido toda su importancia militar”. “La Guerra Fría ha terminado. Es el momento de adaptar nuestra política nuclear a las nuevas circunstancias”, señalan los cuatro políticos.

Extraído de Radio Mundial.

~ por LaBanderaNegra en Febrero 20, 2010.

Stillgestanden, Pappkameraden: Europäische Armeen verkommen zu militärischen Pleitegeiern

Stillgestanden, Pappkameraden: Europäische Armeen verkommen zu militärischen Pleitegeiern

Udo Ulfkotte / http://info.kopp-verlag.de/

Europäische Armeen waren einmal wehrhaft. Sie wurden aufgestellt, um jederzeit Land und Bürger zu verteidigen. Doch verweichlichte Politiker haben aus europäischen Demokratien Bananenrepubliken gemacht. Und aus den europäischen Armeen arme Pappkameraden. Für Verteidigung ist kein Geld mehr da. Denn Feinde sind aus der Sicht unserer Politiker ja inzwischen zu angeblichen »Kulturbereicherern« mutiert. Jeder Böswillige wird als »kulturelle Bereicherung« hofiert. Und so wächst das innere Aggressionspotenzial in den europäischen Bananenrepubliken unaufhaltsam. Die Folge des Geldmangels der Armeen: Die Schweizer haben inzwischen nur noch Medikamenten-Attrappen in den Sanitätszelten. Und die Bundeswehr hat für das ganze Jahr 2010 keinen Schuss Munition mehr für das Standardgewehr G36. Ein Bundeswehreinsatz im Innern wäre 2010 deshalb wohl eher eine satirische Lachnummer.

spielzeug_musik_g.jpgAm 26. Januar wurde auf dem Schweizer Infanterie-Gebirgsschiessplatz Rothenthurm-Altmatt ein Soldat durch eine explodierende Handgranate schwer verletzt. Doch statt – wie geschehen – die Sanitätskompanie-7 zu Hilfe zu rufen, hätte man besser sofort das nächste Krankenhaus und einen Notarzt informiert. Wegen der Finanznot der Armee verfügen Schweizer Sanitäter nur noch über Medikamenten-Attrappen. Dem vor Schmerzen stöhnenden Opfer, das in Beinen, Brust und Bauch Granatsplitter hatte, konnten die Armee-Sanitäter nur eine einfache Infusion mit einer Salzlösung anbieten. Inzwischen gehören nicht einmal mehr Schmerzmittel bei Wehrübungen zur Grundausstattung Schweizer Sanitäter. Das Opfer wurde in einer Notoperation in einer privaten Klinik gerettet.

Bei der deutschen Bundeswehr sieht es nicht besser aus: Sie gibt zwar Milliarden für neue Rüstungsgroßprojekte aus, kann aber den Soldaten nicht einmal mehr die einfachsten Patronen aushändigen. Der Etat für Handfeuerwaffen der Bundeswehr ist schon jetzt für das komplette Jahr 2010 aufgebraucht. Es wurden bislang 30 Millionen Patronen des Typ 5,65 Millimeter Doppelkern (für das G36) verschossen. Das Verteidigungsministerium sucht nun einen Sponsor, der deutschen Soldaten 31,2 Millionen Euro für den Munitionsbedarf bis Ende 2010 zur Verfügung stellt. Auch wenn sich morgen ein Geldgeber finden würde, hilft das nicht sofort weiter: Die Lieferzeit für die Munition beträgt derzeit mehr als ein halbes Jahr. Wenn deutsche Politiker also über einen Bundeswehreinsatz im Innern fabulieren, dann ist das vor diesem Hintergrund eine Satire erster Klasse.

 

Mittwoch, 17.02.2010

Kategorie: Allgemeines, Enthüllungen, Wirtschaft & Finanzen, Politik

© Das Copyright dieser Seite liegt, wenn nicht anders vermerkt, beim Kopp Verlag, Rottenburg


Dieser Beitrag stellt ausschließlich die Meinung des Verfassers dar. Er muß nicht zwangsläufig die Meinung des Verlags oder die Meinung anderer Autoren dieser Seiten wiedergeben.

mercredi, 24 février 2010

Kriegsvorbereitungen: Nach 28 Jahren rüsten sich Argentinier und Briten vor den Falkland-Inseln für die nächste Schlacht

FalklandFOGL1.gif

Kriegsvorbereitungen: Nach 28 Jahren rüsten sich Argentinier und Briten vor den Falkland-Inseln für die nächste Schlacht

Udo Ulfkotte / Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Unbemerkt von deutschen »Qualitätsjournalisten« rüsten sich Briten und Argentinier für einen neuen Falkland-Krieg. Der letzte hat rund tausend Menschen das Leben gekostet. In der kommenden Woche wird sich der Ton verschärfen, die Argentinier durchsuchen nun alle Schiffe, die auf die Falkland-Inseln wollen. Denn die Briten wollen dort die Ölförderung aufnehmen. Die Argentinier aber sehen die Inselgruppe weiterhin als ihr Staatsgebiet an.

Zwischen April und Juni 1982 führten Großbritannien und Argentinien Krieg um die Falkland-Inseln (auch Malwinen – argentinisch »Islas Malvinas« – genannt), die Sandwich-Inseln und um Südgeorgien. Der damalige amerikanische Präsident Ronald Reagan sagte zu jener Zeit, er können  nicht verstehen, warum sich zwei Verbündete um »einige eisige Felsen« stritten. Doch es ging nicht um die kaum bewohnten Felsen. Es ging schon damals um die vermuteten reichen Ölvorkommen. Argentinien beharrt seither weiterhin auf dem Besitzanspruch in Bezug auf die Inseln. Der Konflikt zwischen beiden Staaten um die Rohstoffe der Region ist zwar seither in Vergessenheit geraten, aber nicht gelöst.

Vor dem Hintergrund der schweren britischen Wirtschaftskrise sucht die Londoner Regierung nun nach neuen Einnahmen und nach einer Möglichkeit, die immer unzufriedender werdende britische Bevölkerung geschlossen hinter sich zu vereinen. Mit einem neuen Krieg um die Falkland-Inseln könnte sie beides erreichen: Die Briten patriotisch hinter sich aufreihen und Großbritannien nach den versiegenden Nordeefeldern endlich große neue Ölvorkommen dauerhaft sichern lassen. In aller Ruhe hat die Lononer Regierung in den vergangenen Wochen Ölbohrungen auf den Falkland-Inseln vorbereitet – und parallel dazu »rein zufällig« immer mehr Kriegsschiffe und Truppen in die Region verlegt.

Die Argentinier kontrollieren nun alle Schiffe, die in Richtung der umstrittenen Inselgruppe fahren und durchsuchen diese. Ein britisches Schiff mit Ölbohrausrüstung haben sie gerade beschlagnahmt.

Nun will Buenos Aires offiziell wieder die Kontrolle über den gesamten Seeverkehr zwischen Südamerika und der Inselgruppe ausüben, die ohnehin energisch von Argentinien beansprucht wird, auch wenn dort Briten leben. Mit der Entdeckung gewaltiger Erdöl- und Gasvorräte in dem Seegebiet um die drei großen Inseln geht der Streit nun in die nächste – möglicherweise kriegerische – Runde. Denn die großen britischen Ölkonzerne vermuten allein unter einem einzigen Feld südlich der Falklands mindestens 60 Milliarden Barrel Öl. Wenn das zutrifft, dann wäre es etwa ein Drittel mehr, als bislang in der gesamten Nordsee gefördert wurde. Man muss, um sich die gewaltige Dimension vorstellen zu könenn, auch wissen: Das größte Ölfeld der Welt, Ghawar in Saudi-Arabien, wird auf 80 Milliarden Barrel geschätzt.

Großbritannien hat zum Schutz der genannten Ölvorkommen schon wieder mehr als tausend Soldaten auf der Inselgruppe stationiert, vor der Küste zudem Fregatten und einen Zerstörer. Luftlandetruppen werden derzeit verlegt. In den nächsten Tagen wird eine Ölbohrinsel zu den Inseln geschleppt. Die Argentinier sehen das als offene Kriegserklärung an. Wenn die Londoner Regierung will, dann kann sie die unzufriedene eigene Bevölkerung nun jederzeit mit einem spontanen Krieg von den inneren Problemen ablenken.

 

Donnerstag, 18.02.2010

Kategorie: Allgemeines, Geostrategie, Enthüllungen, Wirtschaft & Finanzen, Politik

© Das Copyright dieser Seite liegt, wenn nicht anders vermerkt, beim Kopp Verlag, Rottenburg


Dieser Beitrag stellt ausschließlich die Meinung des Verfassers dar. Er muß nicht zwangsläufig die Meinung des Verlags oder die Meinung anderer Autoren dieser Seiten wiedergeben.

mardi, 23 février 2010

Some Geopolitical Remarks on the Arctic Region

Tara_Francis%20Latreille-ADO_XS.jpg

 

 

Some Geopolitical Remarks on the Arctic Region

Tiberio Graziani

Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici

direzione@eurasia-rivista.org

www.eurasia-rivista.org

 

 

 

The geopolitical cycles of the Arctic

 

The geopolitical history of the Arctic – leaving aside ancient references to the region and the Viking explorations, that cannot easily be evaluated in typically geopolitical terms – can be divided, in a preliminary approximation, into at least three cycles. 

 

A first great cycle, which we can call the cycle of great exploration and of the initial Arctic maritime activity (maritimisation) can be defined starting around 1553, that is, when the English navigator Hugh Willoughby began searching for a North-East passage, and going to the second half of the 1820s. This first cycle – during which the “maritimisation” process of the Arctic basin took place, set off by the construction of ports and the planning of commercial routes – falls under the heading of the search for new routes to the Orient, an undertaking supported mainly by European nations. At the end of the eighteenth century and the beginning of the nineteenth the regional actors were Denmark and the British and Russian empires. The rivalry between Russia and Great Britain, that is, between a great land-based and a great sea power, is the key to understanding the principal geopolitical tensions in this region in the course of the first years of the nineteenth century. 

 

The agreement signed in 1826 between St. Petersburg and London delimiting the frontier between the so-called “American” Russia and the English possessions in North America inaugurated a new phase in the history of the polar region. Even though that agreement was aimed at reducing frictions between the two geopolitical entities, it wasn’t successful in its intent. The geopolitical tension between the two empires in this part of the planet was mitigated only in 1867, when Russia, in order to block the British from taking root in the Arctic, ceded Alaska to the emerging United States of America for $7.5 million.

Far from being Seward’s Folly, as it was called after the then-Secretary of State, the acquisition of Alaska represented, for the era, the arrival of Washington’s “Nordic” policy. In fact, the US, intending to project its power toward the Arctic pole, had entered into negotiations with Denmark to acquire Greenland. As noted, the USA reached its strategic objective of controlling the majority of the arctic circle only after the Second world War, installing the Thule military base in Greenland.

With the new entrant in the circum-polar navigation club, frictions arose that marked the successive phase of the geopolitical history of the Arctic. This is the cycle of sovereignty or territorial claims, which began in 1826 with the delimitation of the frontier and terminated in 1991 with the dissolution of the USSR. It was characterized by the expression of theories on the partition of the region and its growing militarization, which, started over the course of two World Wars, was, without interruption continued and intensified in the context of the Cold War. The area’s important geostrategic function, which it still plays today, as one of the main platforms for nuclear dissuasion, was fully recognized by the main regional actors, particularly the US and the USSR, and also Canada, and it was fully integrated in the respective geopolitical doctrines of the time.

 

The third cycle, which we can define as Arctic regional identity or multilateralism, placed between 1990 and the first years of this century, is marked by Moscow’s slight commitment – geopolitically fallen back into itself after the collapse of soviet structure – in supporting its own regional interests, by the renewed tensions between Canada and the US, by the timid presence of the European Union, which states the so-called policy of the Nordic Dimension, and, in particular, by some international or multilateral initiatives. These initiatives, based principally on the common Arctic identity, on the idea of an “Arctic Mediterranean,” with regard to minorities and the environment and the so-called sustainable development, are aimed both at reinforcing the internationalisation of the area, and at attenuating the frictions that have emerged in the restricted club of the circum-polar nations regarding sovereignty. It must still be observed that on the plane of real power relationships, especially those concerning military and geostrategic settings, the USA holds, in this brief cycle, the position of dominant nation in the entire zone, both directly and through the Atlantic alliance. The other actors play a marginal cameo role.

 

The Arctic in the multipolar scenario 

 

The Arctic is now, in the structuring of the new multipolar system, one of the most contested areas of the planet, not only because of its energy and mineral resources under the ice pack, but for its particular geostrategic position, the effects that global warming could produce regarding its practical use, and especially because of the return of Russia as a global actor.

Considered for a long time to be of limited geopolitical interest, mainly because of its inaccessibility, the Arctic circle has in fact become – as of August 2, 2007, when the crew of two submarines set the Russian tricolour on the Arctic ocean floor at a depth of 4200 metres – an area of increasing conflict among circum-polar countries and of great interest to China and Japan. This date,  which probably marks the opening of a new geopolitical era for the Arctic region, highlights first of all the renewed interest of Russia to defend its continental and coastal territory as well as the determination followed by the Kremlin to participate in the constitution of a new planetary order after the long period of bipolarism and the shorter, geopolitically catastrophic “unipolar moment.”  

The Russian “claim” on the Arctic space is fully included in the Putin Doctine aimed at re-establishing, in a mulipolar prospective, the due weight of Russia in the entire and complex world space. This is one “claim,” or rather an assumption of responsibility regarding the new world scenario, that  President Medvedev, currently in the  Kremlin, seems to support with conviction.

Moscow, after having reacquired prestige in the Caucasus and in Central Asia, renewed its relationship with China and, especially limited, as much as possible, the crumbling of its “near abroad”, is now turning toward the North.

This shouldn’t in fact be surprising, with the Russian territory, as Pascal Marchand reminds us, being the result of a historical process marked by two geographical natures: continentality,  that is, expansion on the Eurasian continent, and nordicity, expansion towards the Arctic.

These two policies, beyond the push toward the Indian Ocean, indicate again Russia’s destiny in the new great 21st century.

In the frame of reference the Arctic, mythical home of Vedic peoples according to studies carried out by the Indian politician and intellectual Bal Gangadhar Tilak, will become one of the main places in play in the next twenty years.

 

 

 

Presseschau 03/Februar 2010

425731069_1f8611e310.jpg

Presseschau

 

03 / Februar 2010

Einige Links. Bei Interesse anklicken...

###

Atomstreit
Irans Außenminister Mottaki brüskiert die Welt
Keine Zusagen, nur heiße Luft: Wenn das ein Versöhnungsversuch war, ist er gescheitert. Irans Außenminister Mottaki hat bei seinem Auftritt auf der Münchner Sicherheitskonferenz die Mächtigen der Welt enttäuscht. Nun stehen Sanktionsdrohungen im Raum.
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,676364,00.html
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,676412,00.html

Atomstreit
US-Senator Lieberman droht Iran mit Krieg
Den Auftritt von Irans Außenminister Mottaki bei der Münchner Sicherheitskonferenz nennt er „lachhaft“ und „unredlich“: Jetzt hat US-Senator Joseph Lieberman mit einem Militärschlag gedroht, wenn Wirtschaftssanktionen nicht wirken sollten.
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,676380,00.html

Jerusalem
Berlusconi wirbt für Aufnahme Israels in die EU
http://www.focus.de/politik/ausland/jerusalem-berlusconi-wirbt-fuer-aufnahme-israels-in-die-eu_aid_476208.html

Türkische Schulen
„Wir erklären sogar den Dreisatz mit Atatürk“
Aus Istanbul berichten Markus Flohr und Maximilian Popp
In der Schule lernen Kinder lesen, rechnen, schreiben. In der Türkei lernen sie außerdem: Staatsgründer Atatürk bedingungslos zu lieben. Sie können seinen Lebenslauf auswendig und singen seine Kampflieder – als Schutz gegen den Islamismus, sagen Befürworter. Die Kritiker leiden unter der Indoktrination.
http://www.spiegel.de/schulspiegel/ausland/0,1518,675820,00.html

Visumpolitik
Türkei ärgert EU mit Grenzöffnung nach Nahost
Von Boris Kalnoky
Ankara hebt die Visumpflicht für mehrere Länder des Nahen Ostens auf, darunter Syrien und Libyen. Für die Harmonisierung mit der EU ist das ein Rückschlag. Denn über die Türkei reisen schon jetzt zahlreiche illegale Migranten in EU-Länder ein. Die Entscheidung ist nur ein Beispiel für einen neuen Konfrontationskurs.
http://www.welt.de/politik/ausland/article6353908/Tuerkei-aergert-EU-mit-Grenzoeffnung-nach-Nahost.html

Türkei „unschätzbar kostbar“ für Deutschland
Der deutsche Botschafter in der Türkei Dr. Eckart Cuntz (Foto) meint, sein Land sei dazu verpflichtet, dafür zu sorgen, daß die Beitrittsverhandlungen der Türkei in die EU fortgeführt würden. Eine privilegierte Parnerschaft als Alternativlösung komme nicht in Frage. Cuntz stützt sich mit dieser Ansicht explizit auf Außenminister Westerwelle, der bei seinem Besuch in der Türkei am 6. Februar versprochen hatte, Deutschland werde seine besondere Verantwortung in diesem Prozeß wahrnehmen.
http://www.pi-news.net/2010/02/tuerkei-unschaetzbar-kostbar-fuer-deutschland/#more-117967

Militärtechnologie
Chinas Massenarmee wandelt sich zur Hightech-Truppe
Von Markus Becker
Tarnkappenflugzeuge, U-Boote, Anti-Satelliten-Waffen und sogar ein eigener Flugzeugträger: China modernisiert seine Streitkräfte in enormer Geschwindigkeit. Schon bald könnte die militärtechnologische Überlegenheit der USA wanken.
http://www.spiegel.de/wissenschaft/mensch/0,1518,676549,00.html

Jemen: Tummelplatz für „al Qaida“ oder geopolitischer Engpaß für Eurasien
F. William Engdahl
Am 25. Dezember 2009 wurde in den USA der Nigerianer Abdulmutallab verhaftet, weil er versucht hatte, ein Flugzeug der „Northwest Airlines“ auf dem Flug von Amsterdam nach Detroit mit eingeschmuggeltem Sprengstoff in die Luft zu sprengen. Seitdem überschlagen sich die Medien, von CNN bis zur „New York Times“, mit Meldungen, es bestehe der „Verdacht“, daß er im Jemen für seine Mission ausgebildet worden sei. Die Weltöffentlichkeit wird auf ein neues Ziel für den „Krieg gegen den Terror“ der USA vorbereitet: Jemen, ein trostloser Staat auf der arabischen Halbinsel. Sieht man sich jedoch den Hintergrund etwas genauer an, dann scheint es, als verfolgten das Pentagon und der US-Geheimdienst im Jemen ganz andere Pläne.
http://info.kopp-verlag.de/news/jemen-tummelplatz-fuer-al-qaida-oder-geopolitischer-engpass-fuer-eurasien.html

Regierung: „Bewaffneter Konflikt“ in Afghanistan
Westerwelle wirbt im Bundestag für neues Mandat – Oberst Klein vor Kundus-Ausschuß
Die Bundesregierung stuft die Situation in Afghanistan jetzt offiziell als „bewaffneten Konflikt im Sinne des Völkerrechts“ ein. Die Lage klar zu benennen, habe rechtliche Folgen für die deutschen Soldaten, sagte Außenminister Westerwelle im Bundestag.
http://www.heute.de/ZDFheute/inhalt/31/0,3672,8031487,00.html

Klein: Angriff war legal und gerechtfertigt
Oberst vor Untersuchungsausschuß
Legal und gerechtfertigt: Oberst Klein steht zu seinem Befehl vom September, der den Luftschlag auf die beiden Tanklaster in Afghanistan ausgelöst hat. Das teilte sein Anwalt mit. Klein steht heute vor dem Untersuchungsausschuß des Bundestages.
http://www.heute.de/ZDFheute/inhalt/5/0,3672,8031557,00.html

Klingt nach guter Arbeit des KSK (was hat dieser „Spiegel“-Schreiberling überhaupt für ein Problem?) ...
Kunduz-Untersuchungsausschuß
Die dunklen Geheimnisse der KSK-Krieger
Von Matthias Gebauer
Mit dem Auftritt von Oberst Klein startet der Kunduz-Ausschuß – doch gleich danach werden sich die Parlamentarier mit dem Kommando Spezialkräfte beschäftigen müssen. Geheime Nato-Unterlagen belegen: In der Bombennacht spielten KSK-Elitekämpfer eine entscheidende Rolle.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,676923,00.html

Abstellen!
Demütigung bei der Bundeswehr
Soldaten mußten rohe Schweineleber essen
Der Bundeswehr droht ein neuer Mißbrauchsskandal: Ein ehemaliger Wehrpflichtiger hat sich einem Zeitungsbericht zufolge beim Wehrbeauftragten über entwürdigende Mutproben und Aufnahmerituale beschwert – demnach mußten Soldaten rohe Schweineleber essen und bis zum Erbrechen Alkohol trinken.
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,676897,00.html

Das Stigma besiegen!
Von Carlo Clemens
Wenn ich Interviews mit vermeintlich „konservativen“ Hoffnungsträgern der Union lese, bleibt bei mir immer die Frage: Geht es diesen Leuten eigentlich um Deutschlands Zukunft, oder um die Zukunft ihrer Partei? Um Prozente und Posten oder um Inhalte und Überzeugungen?
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5d8d4b42199.0.html

Koalition plant „Löschgesetz“
Schwarz-Gelb rückt von Internetsperren ab
Von Stefan Berg und Marcel Rosenbach
Kurswechsel nach monatelangem Hickhack: In einem Brief an Bundespräsident Köhler geht die Regierung nach Informationen des SPIEGEL auf Distanz zum umstrittenen Internet-Sperrgesetz. Schwarz-Gelb kündigt nun eine neue Initiative für ein „Löschgesetz“ an.
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,676669,00.html

Kommentar zu Hartz IV
Der Staat muß die Spendierhosen ablegen
Von Dorothea Siems
Die Hartz-IV-Regelsätze müssen neu berechnet werden. Das heißt nicht unbedingt, daß die Transferempfänger künftig mehr Geld in der Tasche haben. Schon heute leben sie manchmal besser als andere Arbeitnehmer. Der Staat sollte unbedingt dafür sorgen, daß nicht der Steuerzahler der Dumme ist.
http://www.welt.de/debatte/article6315717/Der-Staat-muss-die-Spendierhosen-ablegen.html

Wie man mit viel Geld Armut vermehrt
Von Gunnar Heinsohn
Höhere Sozialleistungen steigern die Geburtenrate von arbeitslosen Frauen. Bill Clinton kürzte in Amerika die Bezüge – mit Erfolg.
[Heinsohn hat vieles begriffen – vom „youth bulge“ bis eben zur Sozialstaatsproblematik. Seine Weisheit hat jedoch enge Grenzen, wie seine grandiosen Vorschläge zur massenhaften Aufnahme von Chinesen aus rein wirtschaftlichen Erwägungen offenbaren. Darauf, daß das Hauptaugenmerk auf die demographische Stabilisierung des deutschen Volkes und die Verhinderung der Abwanderung bzw. die Rückgewinnung qualifizierter Deutscher gelegt werden müßte, ergänzt um ethnisch-kulturell kompatible europäische bzw. europäischstämmige Zuwanderung, kommt er nicht. Er bleibt halt doch der alte 68er, der er immer war: jemand, dem die Zukunft seines Volkes letztlich vollkommen gleichgültig ist.]
http://www.welt.de/die-welt/debatte/article6311869/Wie-man-mit-viel-Geld-Armut-vermehrt.html

Debatte um Hartz-IV-Urteil
Westerwelles Worte schlagen Wellen
In Deutschland herrscht „geistiger Sozialismus“ – das findet zumindest FDP-Chef Guido Westerwelle, wenn es um die Hartz-IV-Regelsätze geht. Ein einmaliger verbaler Ausrutscher des Vizekanzlers? Keineswegs, denn nun legte er noch einmal nach: „Die Diskussion über das Hartz-IV-Urteil des Bundesverfassungsgerichts hat sozialistische Züge. Von meiner Kommentierung dieser Debatte habe ich keine Silbe zurückzunehmen“, sagte Westerwelle der „Passauer Neuen Presse“. Und schob als Erklärung hinterher: „Wenn man in Deutschland schon dafür angegriffen wird, daß derjenige, der arbeitet, mehr haben muß als derjenige, der nicht arbeitet, dann ist das geistiger Sozialismus.“
http://www.tagesschau.de/inland/westerwellehartziv100.html

Krisenprophet Max Otte
„Die Welt steht kurz vor dem Crash“
Schon 2006 warnte Max Otte vor der Krise – kaum einer hörte zu. Jetzt meldet sich der Ökonom erneut zu Wort: warum das Schlimmste noch kommt.
http://www.focus.de/finanzen/boerse/finanzkrise/tid-16399/krisenprophet-max-otte-die-welt-steht-kurz-vor-dem-crash_aid_458118.html

„PIGS“
Von Michael Paulwitz
Sage noch einer, Banker hätten keinen Humor. Für die inflationsgeneigten Hochrisikostaaten der Eurozone, die mit ihren Schuldenbergen immer munter an der Klippe zum Staatsbankrott entlangschrammen, für Portugal, Italien, Griechenland und Spanien also, hat die Finanzwelt seit kurzem ein prägnantes Sammelkürzel: PIGS.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5636df48d98.0.html

Schuldenkrise
Europa fürchtet die verflixten Fünf
Von Stefan Schultz
Erst Griechenland, dann Portugal und Spanien – schließlich Italien und Irland? Die Krise hat die Schulden von fünf EU-Problemstaaten so hochgetrieben, daß es Ökonomen vor einem Euro-Crash graut. SPIEGEL ONLINE tastet die Risikozonen des Kontinents ab: Wieviel Grund zur Panik gibt es wirklich?
http://www.spiegel.de/wirtschaft/soziales/0,1518,676966,00.html

Politisches Gangsterstück
Von Thorsten Hinz
Und es kommt, wie’s kommen mußte. Europa (also vor allem Deutschland) wird für den Schlendrian in Griechenland (und danach in Portugal, Spanien, Italien, Irland) einstehen. Darüber läßt sich nicht mehr nur in politischen Kategorien reden.
Wir befinden uns mitten in einem Gangsterstück. Nichts gegen supranationale Strukturen in Europa, allein schon aus der Erwägung heraus, daß die europäischen Nationalstaaten im globalen Konkurrenzkampf sich nur gemeinsam behaupten können. Vielleicht war und ist auch die Idee des Euro im Prinzip richtig, aber daß man keine Rennpferde mit einer mediterranen Schindmähre wie Griechenland in dasselbe Gespann zwingen kann, hätte klar sein müssen.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M54303cf8937.0.html

Brüsseler Roulette
Vor knapp zwölf Jahren, im Sommer 1998, wohnte ich zum ersten und bisher letzten Mal einer Partei-Wahlveranstaltung bei. Die Partei wurde damals als eine vielversprechende nationalliberale Neugründung und aufstrebende Alternative für von der verkrusteten CDU/FDP-Koalition enttäuschte Wähler gehandelt. Ihr Name tut nichts zur Sache, denn sie verschwand – wie auch bis heute auf dieser Seite der politischen Arithmetik üblich – wieder in der Versenkung.
http://www.pi-news.net/2010/02/bruesseler-roulette/#more-118046

Extremismus
BKA beklagt zunehmende Gewalt gegen Polizisten
http://www.focus.de/politik/deutschland/extremismus-bka-beklagt-zunehmende-gewalt-gegen-polizisten_aid_475545.html

Umstrittene Studie zu Gewalt gegen Polizisten startet
http://www.welt.de/die-welt/politik/article6275916/Umstrittene-Studie-zu-Gewalt-gegen-Polizisten-startet.html

Die deutsche Sprache vor Gericht
Von Thomas Paulwitz
Der Vorstoß, Englisch zur Gerichtssprache in Deutschland zu machen, trifft nun endlich auf entscheidenden Widerstand. Kein Geringerer als der Präsident des Bundesgerichtshofs (BGH) äußerte nun Bedenken. Das kommt genau zur rechten Zeit, denn in knapp einer Woche soll angeblich der Gesetzesentwurf Hamburgs und Nordrhein-Westfalens im Bundesrat beraten werden.
Der BGH wäre von einer Änderung des Gerichtsverfassungsgesetzes (GVG) unmittelbar betroffen. So soll Paragraph 184 GVG unter anderem mit dem Satz ergänzt werden: „Vor dem Bundesgerichtshof kann in internationalen Handelssachen das Verfahren in englischer Sprache geführt werden.“
http://www.jungefreiheit.de/index.php?id=154&tx_ttnews%5Btt_news%5D=85959&tx_ttnews%5BbackPid%5D=468&cHash=4fbf0e01c1&MP=154-576

Angeblich Schlamperei vor Einsturz von Kölner Stadtarchiv
Bei den Ermittlungen zum Einsturz des Kölner Stadtarchivs liegt der Staatsanwaltschaft einem Zeitungsbericht zufolge ein erstes Geständnis vor: Wie der „Kölner Stadt-Anzeiger“ berichtet, räumte ein Bauarbeiter der U-Bahnlinie unter der Kölner Südstadt ein, daß an der Unglücksstelle bewußt nachlässig gearbeitet worden sei.
http://portal.gmx.net/de/themen/nachrichten/panorama/9836648-Schlamperei-bei-Koelner-U-Bahnbau.html#.00000002?CUSTOMERNO=39290822&t=de1201636392.1265920406.4704aac2

Platzeck nennt Stasi-Kritiker „Revolutionswächter“
POTSDAM. Brandenburgs Ministerpräsident Matthias Platzeck (SPD) hat die Kritiker der Stasi-Vergangenheit von Abgeordneten der Linkspartei scharf zurechtgewiesen. „Wir haben eine Schar von Revolutionswächtern, die gehen mir auf den Keks“, zitieren ihn die „Potsdamer Neuesten Nachrichten“.
http://www.jungefreiheit.de/index.php?id=154&tx_ttnews%5Btt_news%5D=85957&cHash=6accd4a8e0

Stasi-Fälle
Kritik an Lötzsch wegen IM-Fürsprache
http://www.focus.de/politik/deutschland/stasi-faelle-kritik-an-loetzsch-wegen-im-fuersprache_aid_478013.html

Gründung vor 60 Jahren
Die tödlichen Methoden der DDR-Staatssicherheit
Von Sven Felix Kellerhoff
Lauschen, spähen, schnüffeln: Vor 60 Jahren wurde die DDR-Staatssicherheit gegründet. Mehr als 91.000 hauptamtliche und doppelt so viele inoffizielle Mitarbeiter garantierten der SED die Macht. Ein Geheimdienst im klassischen Sinn war der Apparat nie, eher schon eine kriminelle Vereinigung mit tödlichen Methoden.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6299413/Die-toedlichen-Methoden-der-DDR-Staatssicherheit.html

Konstanz
Rechter Professor sorgt für Wirbel
An der Universität Konstanz erwächst Widerstand gegen den rechtskonservativen Professor Jost Bauch. Die Studenten beschlossen per Vollversammlung eine Ablehnung seiner Lehre. Der Universitätsleitung sind zwar juristisch die Hände gebunden, sie weist jedoch darauf hin, daß jeder entscheiden könne, ob er die Veranstaltung besuchen wolle.
http://www.suedkurier.de/region/kreis-konstanz/konstanz/Rechter-Professor-sorgt-fuer-Wirbel;art372448,4158892

Österreichischer Südtirol-Aktivist in Integrationsrat gewählt
MEERBUSCH. Der österreichische Arzt Erhard Hartung ist am vergangenen Sonntag in den Integrationsrat der nordrhein-westfälischen Stadt Meerbusch gewählt worden. Wegen seiner Beteiligung am Freiheitskampf in Südtirol in den sechziger Jahren hatte ihn die Unabhängige Wählergemeinschaft (UWG) im Rat der Stadt vor der Wahl zum Verzicht auf die Kandidatur aufgefordert.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5588583cc6b.0.html

Video: Dumm, dümmer, Antifa
http://www.youtube.com/watch?v=aOFfVD248gI

Produzieren Nazis Bioessen?
Wer Bio-Produkte kauft, kann sich nicht sicher sein, wen seine Einkäufe da unterstützen: Es gibt tatsächlich völkisch-nationalistische Biobauern, die mit nett-nachbarschaftlichem Auftreten auf NPD-Stimmenfang gehen. Proteste führten bisher bei den Bioprodukte-Vertrieben nicht wirklich zu Reaktionen. Betrachtungen aus Mecklenburg-Vorpommern.
http://www.netz-gegen-nazis.de/artikel/produzieren-neonazis-bioessen-3412

Brandanschlag
Feuer in Berliner Stiftung Wissenschaft und Politik
http://www.focus.de/panorama/vermischtes/brandanschlag-feuer-in-berliner-stiftung-wissenschaft-und-politik_aid_476306.html

Brände
Brandanschlag auf Haus der Wirtschaft in Berlin
http://www.zeit.de/newsticker/2010/2/4/iptc-bdt-20100204-60-23763212xml

Republik und Terror
Ein eiserner Windhauch
Von Jan Puhl
Die Erfinder der Guillotine waren beseelt vom Geist der Aufklärung.
http://www.spiegel.de/spiegelgeschichte/0,1518,674286,00.html

Vertriebenenstiftung
Regierungsfraktionen beenden Streit mit Steinbach
Der monatelange Konflikt über die Besetzung des Stiftungsrats der Vertriebenengedenkstätte ist beigelegt. Künftig wird der Bundestag die Mitglieder des Rats benennen, der Bund der Vertriebenen soll sechs statt wie geplant drei Sitze in dem Gremium bekommen. Steinbach sprach von einer „guten Lösung“.
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,677268,00.html
http://nachrichten.rp-online.de/article/politik/Einigung-im-Fall-Steinbach/67619
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,677350,00.html
http://www.tagesschau.de/multimedia/video/video653194.html
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6358384/Opposition-Steinbach-Einigung-ist-beschaemend.html
http://www.rp-online.de/politik/deutschland/Steinbach-Kompromiss-Beschaemend-und-enttaeuschend_aid_819140.html

Kommentar
Sieg und Niederlage für Erika Steinbach
Von Marcus Schmidt
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b9c8efd5d0.0.html

Verräter
Von Stefan Scheil
Das Münchner Institut für Zeitgeschichte gibt in der neuesten Ausgabe seiner Vierteljahrshefte sechzehn Seiten frei, auf denen Kurt Neuhiebel eine Attacke auf Manfred Kittels angebliche „Entkoppelung von Krieg und Vertreibung“ ausbreiten darf. In Neuhiebels Argumentationsgang treten dabei die altbekannten Kausalitäten auf.
http://www.jungefreiheit.de/index.php?id=154&tx_ttnews%5Btt_news%5D=85951&tx_ttnews%5BbackPid%5D=154&cHash=06dc287194&MP=154-594

Stefan Scheil im Gespräch: „Der Bombenkrieg war für die Westalliierten ein geeignetes Mittel zur Kriegsführung und Tötung“
Der Historiker Stefan Scheil forscht zu den Ursachen des Zweiten Weltkriegs. Er ist langjähriger Autor der „Jungen Freiheit“ und der „Frankfurter Allgemeinen Zeitung“. 2005 erhielt er den „Gerhard-Löwenthal-Preis für Journalismus“. BlaueNarzisse.de sprach mit ihm im Vorfeld des 65. Jahrestags der Bombardierung Dresdens über die Ergebnisse der Dresdner Historikerkommission, Flüchtlinge in Dresden und die politischen Schatten der Bombardierung.
http://www.blauenarzisse.de/v3/index.php/aktuelles/1331-stefan-scheil-im-gespraech-der-bombenkrieg-war-fuer-die-westalliierten-ein-geeignetes-mittel-zur-kriegsfuehrung-und-toetung

Kontrovers diskutiert ...
Deutschland, halt’s Maul
Von Martin Lichtmesz
Wenn man noch irgendeinen Beweis dafür braucht, daß die Deutschen des beginnenden 21. Jahrhunderts das degenerierteste Volk auf diesem ganzen Erdball sind, dann sollte man sich den alljährlichen Hickhack um die Gedenkfeiern von Dresden zu Gemüte führen. Was hier geschieht, ist international beispiellos, und daß der Grad der Verkommenheit kaum mehr jemandem auffällt, ist Teil der Krankheit.
http://www.sezession.de/11660/deutschland-halts-maul.html

Unbedingt auch noch lesen ...
Sodom und Gomorrah (nochmals Dresden)
Von Martin Lichtmesz
Die Genesis, das 1. Buch Mose des Alten Testaments, berichtet, wie Gott in Begleitung zweier Engel bei Abraham einkehrte, dessen Neffe Lot mit seiner Familie in der vom Glauben abgefallenen Stadt Sodom lebte.  Gott war gekommen, um Abraham trotz des fortgeschrittenen Alters seines Weibes Sara die Geburt eines Sohnes anzukündigen. Als er sich anschickte weiterzuziehen, zögerte Gott:„Wie kann ich Abraham verbergen, was ich tue, sintemal er ein großes und mächtiges Volk soll werden, und alle Völker auf Erden in ihm gesegnet werden sollen?“
http://www.sezession.de/11993/sodom-und-gomorrah-nochmals-dresden.html

„Perlensamt“ von Barbara Bongartz
Von Götz Kubitschek
Möchte man ein Jude sein, heutzutage, ein Broder etwa, der ausstoßen darf, was er will, weil er weiß, daß ihm niemand kann? Vielleicht, manchmal. Aber es gibt auch einen anderen Weg: Man könnte der Erbe einer Nazigröße sein und sehr öffentlich zeigen, daß man alles wiedergutmachen will. Darum gehts in Perlensamt, und es gibt – nach einigem Nachdenken und wiederholter Lektüre dieses Buches – keinen Zweifel:
Perlensamt ist ein Schlüsselroman des deutschen Schuldstolzes um die Jahrtausendwende, und zwar ein sehr gelungener.
http://www.sezession.de/11787/perlensamt-von-barbara-bongartz.html#more-11787

Judenvergleich
Jesuiten distanzieren sich
http://www.tagesspiegel.de/weltspiegel/art1117,3023254
http://newsticker.welt.de/?module=dpa&id=23781084
http://www.wienerzeitung.at/DesktopDefault.aspx?TabID=3941&Alias=wzo&cob=470392

„Max Manus“ in den Kinos
Historien-Drama
http://www.filmstarts.de/kritiken/104143-Max-Manus.html

Einbeinige, rollstuhlfahrende, blinde Puppen oder siamesische Zwillinge aus Plastik sind auch noch viel zu wenig in Spielwarenläden verbreitet ...
Hanau
Ausstellung im Puppenmuseum hinterfragt Rollenklischees in Kinderzimmern
Mama kocht, Papa schaut fern
http://www.op-online.de/nachrichten/hanau/mama-kocht-papa-schaut-fern-620970.html

Diskriminierte Puppen
Von Ellen Kositza
Ans Puppenmuseum der Brüder-Grimm-Stadt Hanau hab ich noch folgende Erinnerung: Als uns in der sechsten Klasse mitgeteilt wurde, daß der nächste „Wandertag“ eine Fahrt in ebendieses Puppenmsueum bedeuten würde, ertönte Jubel, 25 Armpaare erhoben sich in frenetischer Begeisterung, zwei blieben unten – jene Mädchen haßten Puppen.
http://www.sezession.de/11939/diskriminierte-puppen.html

Verfassungspatriotismus funktioniert nicht ...
Regierungsbilanz
Frankreichs Nationaldebatte stigmatisiert Ausländer
Von Gesche Wüpper
Die von Staatspräsident Nicolas Sarkozy angestoßene Debatte über die nationale Identität ist gescheitert. Statt zu einer besseren Integration führte sie zu einer weiteren Stigmatisierung von Ausländern und vor allem der etwa fünf bis sechs Millionen in Frankreich lebenden Muslime. Profitiert haben die Rechtsextremen.
http://www.welt.de/politik/ausland/article6306935/Frankreichs-Nationaldebatte-stigmatisiert-Auslaender.html

Furchtbare Juristen ...
Abgeschobener Asylbewerber darf nach Deutschland zurückkehren
FRANKFURT/ODER. Ein nach Griechenland abgeschobener Iraker muß nach Deutschland zurückgeholt werden. Das entschied das Verwaltungsgericht Frankfurt/Oder. Das Gericht begründete nach einem Bericht der „Berliner Zeitung“ seine Entscheidung damit, daß die in Griechenland für Asylbewerber herrschenden Verhältnisse dem Iraker nicht zuzumuten seien. Zur Zeit müsse dieser als Obdachloser in einem Park leben.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M595ecc094db.0.html

Kolat: Migranten wollen Nestwärme fühlen
Kenan Kolat, Chef der Türkischen Gemeinde in Deutschland, findet, daß die Migranten so viel zur Integration geleistet hätten, daß jetzt mal die Deutschen dran sind. Die Kanzlerin solle sich gefälligst persönlich einbringen und ein Willkommensfest für Zuwanderer organisieren.
Angesichts zunehmender Fälle von Migrantengewalt auf unseren Straßen, tun wir nichts lieber, als die moslemischen Zuwanderer und ihre Kinder bei uns herzlich willkommen zu heißen. Herr Kauder hatte dies ja bereits auch von uns gefordert.
http://www.pi-news.net/2010/02/kolat-migranten-wollen-nestwaerme-fuehlen/#more-117159

Berliner Polizisten müssen immer öfter flüchten
Die Islamisierung Berlins schreitet zügig voran. In den „Tagesthemen“ vom 2. Februar lieferte die ARD einen tiefen Einblick in die dramatische Situation der Berliner Polizei. Die Sendung ist zwar schon über eine Woche alt, aber ihr Inhalt ist hochbrisant und brandaktuell.
http://www.pi-news.net/2010/02/berliner-polizisten-muessen-immer-oefter-fluechten/#more-118021

Gewalt gegen Polizisten
Bespuckt, beschimpft, bedroht
Von Jörg Diehl
Freund und Helfer war gestern – heute treffen Polizisten immer öfter auf Verachtung, Ablehnung, Aggression. In einer großen Studie soll der beunruhigende Trend jetzt untersucht werden: „Bullen aufzumischen“ sei längst zum Hobby gewalttätiger Jugendgangs geworden, klagen Beamte.
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/0,1518,677320,00.html

Kölner Polizei sucht sonnengebräunten Südländer
Die Kölner Polizei sucht nach einem brutalen Überfall am Donnerstag auf eine 26jährige Frau nach einem „südländisch wirkenden, schlanken Mann zwischen 30 und 40 Jahren, der stark sonnengebräunt ist“. Der Täter soll der Frau mit der Faust ins Gesicht geschlagen und sie am Boden liegend getreten haben.
http://www.pi-news.net/2010/02/koelner-polizei-sucht-sonnengebraeunten-suedlaender/#more-117098

München: Zivilcourage mit Messerstich bezahlt
Wenn demnächst kaum mehr einer Zivilcourage zeigen will, dann liegt es an Fällen wie diesem, die in letzter Zeit immer häufiger passieren: In München – in der Stadt also, wo vor einigen Monaten Dominik Brunner zu Tode getreten wurde – mußte in der Nacht zu Samstag auch ein 18jähriger fast mit seinem Leben bezahlen, weil er einem Bekannten helfen wollte. Einer der Angreifer, laut Münchner tz türkischstämmig, stach ihn mit dem Messer nieder.
http://www.pi-news.net/2010/02/muenchen-zivilcourage-mit-messerstich-bezahlt/

Dieser Fall ist schon etwas älter ...
Brutale Attacke vor der Disco
Mehrjährige Haftstrafen für gefährliche Schlägerei
Darmstadt (ddp). Das Darmstädter Landgericht hat drei brutale Schläger im Alter zwischen 19 und 42 Jahren zu mehrjährigen Haftstrafen verurteilt. Das Gericht sah es als erwiesen an, daß die Angeklagten den 29 Jahre alten Fabian S. aus dem südhessischen Bensheim im September 2008 bewußtlos geschlagen und ihn hilflos auf der Straße zurückgelassen hatten.
Das Opfer wurde von einem Taxi überrollt und starb vier Wochen später. Der 29jährige war zuvor in einer Bensheimer Diskothek einem jungen Mann zu Hilfe geeilt, der von den Schlägern verprügelt wurde.
Ein vierter Tatbeteiligter hatte sich vor Prozeßeröffnung in die Türkei abgesetzt. Vor Gericht verantworten mußten sich der 42jährige Erdogan M. aus Bensheim, sein 19jähriger Sohn Haydar M. und dessen gleichaltriger Halbbruder Volkan T. Auch weil er als Vater besondere Verantwortung trug, verurteilte das Gericht Erdogan M. zu sechs Jahren Gefängnis. Sein Sohn muß drei Jahre und sechs Monate in Haft, Volkan T. für drei Jahre und drei Monate. Alle drei Angeklagten wurden wegen gemeinschaftlich begangener gefährlicher Körperverletzung sowie anschließender Aussetzung mit Todesfolge schuldig gesprochen.
http://www3.e110.de/index.cfm?event=page.detail&cid=2&fkcid=1&id=46571

Dietzenbach/Offenbach
Polizei läßt Bande auffliegen
http://www.fr-online.de/frankfurt_und_hessen/nachrichten/kreis_offenbach/2271619_Dietzenbach-Offenbach-Polizei-laesst-Bande-auffliegen.html

Multikulturelle Bereicherung zum Après-Ski
Die multikulturelle Bereicherung hat inzwischen auch einen der letzten Horte der Freiheit erreicht, die Skigebiete. Im österreichischen Mayerhofen gingen beim Après-Ski zwölf Türken u.a. mit Schlagringen, Messern und einer zerbrochenen Flasche auf sieben Niederländer los.
http://www.pi-news.net/2010/02/multikulturelle-bereicherung-zum-apres-ski/#more-117806

Türke
Mordversuch
„Ich hab halt einfach zugestochen“
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/0,1518,676782,00.html

Da können sie sich wohl vor allem bei ihren Landsleuten bedanken ...
Bewerber-Diskriminierung
Tobias wirft Serkan aus dem Rennen
Von Christoph Titz
Und ist der Lebenslauf noch so toll – klingt ein Name türkisch, haben Jobbewerber schlechtere Chancen. Forscher haben Namenslotto mit fiktiven Studenten gespielt. Sie bestätigen, was immer vermutet wurde: Tobias und Dennis bekommen meist das Praktikum, Serkan und Fatih gehen oft leer aus.
http://www.spiegel.de/unispiegel/jobundberuf/0,1518,676649,00.html

Vorurteil? Vorurteil!
Von Karlheinz Weißmann
„Und ist der Lebenslauf noch so toll – klingt ein Name türkisch, haben Jobbewerber schlechtere Chancen.“ Wir glauben es der jüngsten „Spiegel“-Ausgabe, – unbesehen. Ein aufwendiges „Namenslotto“ mit fiktiven Bewerbungsunterlagen, fiktiven Zeugnissen von fiktiven Studenten, die sich um ein Praktikum in einem realen Unternehmen bemühen und trotz gleichartiger Leistungen verschieden behandelt wurden.
http://www.sezession.de/11849/vorurteil-vorurteil.html#more-11849

Bewährung für Straftat in der Bewährung
Eigentlich können sie machen, was sie wollen, so lange ein Migrations- und kein rechtsradikaler Hintergrund vorliegt. Wegen mehrfacher Körperverletzung in der Bewährungszeit wurde jetzt ein türkischer Hatz IV-Empfänger vom Amtsgericht Dortmund (Foto) erneut zu einer Bewährungsstrafe verurteilt. Der Richter hob aber drohend den Zeigefinger.
http://www.pi-news.net/2010/02/bewaehrung-fuer-straftat-in-der-bewaehrung/

NRW: Schöffe bestätigt Migrantenbonus
PI hat unzählige Male über den Mythos des Migrantenbonus berichtet. Von den Gutmenschen stets vehement bestritten, wird nun das Offensichtliche sehr rasant immer offensichtlicher. Ein Schöffe aus Nordrhein-Westfalen hat sich in einer mehr als eindrucksvollen E-Mail an den Bestsellerautor Udo Ulfkotte gewandt. Lesen Sie auch bei PI, was Udo Ulfkotte diesbezüglich geschildert wurde.
http://www.pi-news.net/2010/02/nrw-schoeffe-bestaetigt-migrantenbonus/

Migrationsbericht
Statistik – Mehr Abwanderung als Zuzug
(Böhmer sieht Zuwanderung als wirtschaftlichen „Gewinn“)
http://www.focus.de/politik/weitere-meldungen/migrationsbericht-statistik-mehr-abwanderung-als-zuzug_aid_476800.html

Wulff will neuerdings wohl Armin Laschet Konkurrenz machen ...
Migranten
Wulff fordert mehr Zuwanderer in deutschen Firmen
Niedersachsens Ministerpräsident Christian Wulff hat sich dafür ausgesprochen, daß deutsche Firmen mehr Zuwanderer einstellen sollen. „Es muß uns gelingen, auch ohne Quote den Anteil von Migranten zu erhöhen“, sagte der CDU-Politiker. Die Türkische Gemeinde in Deutschland sieht dies anders.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5972271/Wulff-fordert-mehr-Zuwanderer-in-deutschen-Firmen.html

Ismail Tipi wird erster türkischstämmiger CDU-Landtagsabgeordneter Hessens
„Kenne Wünsche der Migranten“
http://www.op-online.de/nachrichten/heusenstamm/kenne-wuensche-migranten-613285.html

Nach Text zu Minarettverbot
Linke: CDU-Abgeordneter Irmer ein „Haßprediger“
http://www.faz.net/s/Rub5785324EF29440359B02AF69CB1BB8CC/Doc~E526283E3CBBB4841966F4D8F5812DA8F~ATpl~Ecommon~Scontent.html?rss_googlenews

Angst vor Rockerkrieg
Die Polizei rechnet mit Racheakten nach Wechsel von Bandidos zu Hells Angels
Der Wechsel des Bandido-Unterstützer-Clubs „El Centro“ zu den verfeindeten Hells Angels hat in der Szene für Verwirrung gesorgt und am Sonnabend die Polizei auf den Plan gerufen. Ein Großaufgebot von Beamten kontrollierte ab 18 Uhr mehr als 280 „Höllen-Engel“ in Alt-Hohenschönhausen. Unter ihnen befanden sich auch der bisherige Anführer von „El Centro“ und ein Begleiter. Diese beiden hatten wie berichtet mit knapp 80 Angehörigen ihrer Bruderschaft in der vergangenen Woche die Seiten gewechselt. Anführer der Hells Angels hatten am Sonnabend zu einer Sitzung am Vereinshaus ihres Unterstützer-Clubs „Brigade 81“ an der Gärtnerstraße geladen. Dabei sollte es um die neue Situation und um Risikoabwägungen gehen.
Denn nicht alle Hells Angels sind nach Aussagen eines Ermittlers glücklich über die neue Entwicklung. In Polizeikreisen heißt es: „Diese Rocker haben ihre Aufnahmekriterien stets restriktiv durchgesetzt, Ausländer wurden nicht aufgenommen. Mit dem Übertritt der ehemaligen Bandidos-Unterstützer haben sie gleich eine Vielzahl von Türken in den eigenen Reihen.“ Zudem müsse jetzt jederzeit mit Racheakten der alteingesessenen Bandidos gerechnet werden. Darauf bereiten sich offenbar auch die Hells Angels vor – bei dem Einsatz in Alt-Hohenschönhausen wurden Brechstangen, Teleskopschlagstöcke, Äxte und Axtstiele, Quarzhandschuhe und Pfefferspray sichergestellt.
http://www.welt.de/die-welt/regionales/article6297568/Angst-vor-Rockerkrieg.html
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/0,1518,675823,00.html

Paris
Posträuber kamen im Ganzkörperschleier
http://derstandard.at/1263706915410/Postraeuber-kamen-im-Ganzkoerperschleier

Alltagswahnsinn, britisch
Von Michael Paulwitz
Wer bei der Lektüre heimischer Gazetten glaubt, der alltägliche politisch korrekte und Multikulti-Irrsinn wäre nicht mehr zu toppen, der werfe gelegentlich mal einen Blick in die englische Boulevardpresse. In „Daily Mail“ zum Beispiel war gestern die groteske Geschichte des griechisch-zypriotischen Grundschullehrers Nicholas Kafouris zu lesen.
http://www.sezession.de/11881/alltagswahnsinn-britisch.html#more-11881

How Labour threw open doors to mass migration in secret plot to make a multicultural UK
http://www.dailymail.co.uk/news/article-1249797/Labour-threw-open-doors-mass-migration-secret-plot-make-multicultural-UK.html
http://www.pi-news.net/2010/02/blairs-multikulti-politik-war-kampf-gegen-rechts/

Ärtzin entschuldigt sich nach Wirbel um „Cihad“
http://www.focus.de/panorama/welt/gesellschaft-aertzin-entschuldigt-sich-nach-wirbel-um-und132cihadund147_aid_477303.html

Bundesweite Razzia
Ermittler durchsuchen Wohnungen von Islamisten
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,675741,00.html

Kontakte zu Sauerland-Gruppe?
Gericht bestätigt Ausweisung von Haßprediger Sadat
http://www.faz.net/s/Rub8D05117E1AC946F5BB438374CCC294CC/Doc~EA8FC9730674E496792483A31C86A8472~ATpl~Ecommon~Scontent.html?rss_googlenews
http://www.op-online.de/nachrichten/offenbach/offenbach-darf-imam-ausweisen-618714.html

Verhandlungen abgebrochen
Einigung über Hamburger Schulreform geplatzt
Von Jochen Leffers
Abbruch in der sechsten Runde: Die Verhandlungen über die Schulreform in Hamburg sind gescheitert, der schwarz-grüne Senat und Reformgegner fanden keinen Kompromiß. Damit dürfte es im Sommer zum Volksentscheid kommen – in einem bundesweit bisher beispiellosen Schulkampf.
http://www.spiegel.de/schulspiegel/wissen/0,1518,676103,00.html

Neukuhren soll Moskau entlasten
In Pionerskij, dem ehemaligen Neukuhren, wird eine Residenz der russischen Zentralregierung gebaut. Als deren Fundment dienen die Reste eines so genannten Bismarckhauses.
http://www.koenigsberger-express.com/main/show_artikel.php?id=2050&kat=6&PHPSESSID=452f50112656d243970ed1ce7372d440

Welch Wunder: Die Russen sind Europäer. Vom Gegenteil waren wohl nur Napoleon und Hitler überzeugt ...
Wie viele europäische Gene stecken im Russen?
Von Manfred Quiring
Im Moskauer Kurtschatow-Institut hat man sein Erbgut entschlüsselt – Tataren-Erbe geringer als erwartet
http://www.welt.de/die-welt/wissen/article6328010/Wie-viele-europaeische-Gene-stecken-im-Russen.html

Die Sentinelesen – das isolierteste Volk der Welt
„Man kann nicht so tun, als gäbe es sie nicht“
Mit dem Tod der letzten Angehörigen ist nun der Stamm der Bo auf der indischen Inselkette Andamanen ausgestorben. Die Bo waren ein Unterstamm des Großen-Andamanesen-Stamms, der einmal aus zehn Untergliederungen bestand und zu dem auch die Sentinelesen gehören.
http://www.faz.net/s/RubCD175863466D41BB9A6A93D460B81174/Doc~EACBD0D488D1F4E5AACE4FA58DC1F8AE6~ATpl~Ecommon~Scontent.html

Zetazeroalfa – Nella mischia
http://www.youtube.com/watch?v=bXGlEz1T8f4&feature=related

Casapound Italia
http://www.casapounditalia.org/

JF-Interview mit der Musikerin Dee Ex ...
„Ich habe die Freiheit gewählt“
Von Moritz Schwarz
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5cf2873145a.0.html
http://www.youtube.com/watch?v=BsN72OyUwxk&feature=PlayList&p=834B04231ED4A176&index=0
http://www.youtube.com/watch?v=3fF7IWB1u2k

Skurriles aus dem Orient ...
Vereinigte Arabische Emirate
Diplomat annulliert Ehe mit verschleierter Braut
Ein arabischer Botschafter hat unmittelbar nach seiner Hochzeit die Scheidung eingereicht, weil er sich durch den Gesichtsschleier seiner Braut getäuscht sah. Beim ersten Kuß habe er festgestellt, daß sie im Gesicht stark behaart sei und schiele, berichtete die emiratische Zeitung „Gulf News“. Vor einem Scharia-Gericht in Dubai machte der Diplomat geltend, die Familie der Braut habe seiner Mutter bei der Eheanbahnung Fotos der Schwester gezeigt.
http://www.welt.de/die-welt/vermischtes/article6343752/Diplomat-annulliert-Ehe-mit-verschleierter-Braut.html

Da es halbwegs glimpflich ausging, darf man auch hier lachen ...
Unfall in Istanbul: Kipplaster rammt Fußgängerbrücke
http://www.spiegel.de/video/video-1043411.html