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dimanche, 11 octobre 2009

Il bilancio occulto della "difesa" americana

pentagono

A fine giugno, Mother Jones ha pubblicato un’approfondita analisi sul bilancio militare degli Stati Uniti d’America, partendo dalla richiesta del presidente Barack Obama al Congresso di stanziare 534 miliardi di dollari per il Dipartimento della Difesa. Ma l’ammontare reale di ciò che gli USA spendono per la “difesa” è molto maggiore. Per rendere il tutto più facilmente digeribile, ve ne proponiamo una sintesi divisa in quattro parti.
L’Office of Management and Budget ha elaborato un calcolo totale che tiene in considerazione le diverse parti del governo, e comprende i soldi assegnati al Pentagono, le attività relative alle armi nucleari svolte presso il Dipartimento dell’Energia ed alcuni esborsi nel campo della sicurezza effettuati dal Dipartimento di Stato (il ministero degli esteri statunitense) e dall’FBI. Nel bilancio 2010 (che in realtà ha il suo momento iniziale nell’ottobre 2009) la cifra ammonta a 707 miliardi, più della metà della spesa governativa cosiddetta “discrezionale” per l’anno prossimo. La spesa discrezionale è quella per cui gli stanziamenti sono decisi annualmente dal Congresso, a differenza di programmi quali ad esempio quello sanitario denominato Medicare il cui finanziamento è obbligatorio e ricorrente.
Ma la cifra reale è ancora più alta perché, fra le varie cose, l’ufficio governativo del bilancio non tiene conto della spesa aggiuntiva per le guerre in Iraq ed Afghanistan. Riepilogando tutte le diverse fonti di spesa in campo militare per l’anno 2010 che emergono dai documenti contabili, si ha:

  • bilancio del Pentagono: 534 miliardi
  • stanziamenti extra per il personale militare: 4,1 miliardi
  • stanziamenti aggiuntivi Iraq-Afghanistan (anno fiscale 2010): 130 miliardi
  • stanziamenti aggiuntivi Iraq-Afghanistan (anno fiscale 2009, ancora da legiferare): 82,2 miliardi
  • armi nucleari ed altra spesa “atomica” (Dip. dell’Energia): 16,4 miliardi
  • sostegno militare ed economico ad Iraq, Afghanistan e Pakistan (Dip. di Stato): 4,9 miliardi
  • sicurezza, controterrorismo ed aiuto militare a Paesi stranieri, incluso il Medio Oriente ed Israele (Dipartimento di Stato): 8,4 miliardi
  • Guardia costiera (Dipartimento per la Sicurezza Interna): 583 milioni

Spesa totale: 780,4 miliardi di dollari

In questo calcolo sono incluse solo le risorse direttamente collegate ad attività militari, non viene quindi preso in considerazione il Dipartimento dei Veterani la cui spesa di 55,9 miliardi porterebbe il totale a 836,3; e la parte restante del Dipartimento per la Sicurezza Interna (altri 54,5 miliardi), arrivando così alla colossale cifra di 890,8 miliardi di dollari, rispetto ai 534 ufficialmente stanziati.
Si tenga poi presente che i bilanci degli apparati di intelligence (CIA, NSA…) sono segreti e che perciò non possono essere aggiunti a questa contabilità.

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Nel 2008, il Pentagono ha calcolato che gli impegni correnti per i programmi di armamento costeranno al governo, ad ultimazione avvenuta, 1.600 miliardi di dollari. Una parte consistente – 296 miliardi – è rappresentata da costi aggiuntivi. Questi 296 miliardi non sono il risultato di grandi programmi che, in via eccezionale, hanno sfondato il tetto di spesa e sbilanciato i conti, ma rappresentano la norma. Tali incrementi di costo sono spesso significativi: considerando tutti i programmi, la media dell’aumento rispetto alle stime iniziali è pari al 26%. Rappresentano la normalità anche i ritardi nel loro completamento, che riguardano ben il 72% dei programmi.
Incrementi di costo e ritardi hanno subito un peggioramento durante le due amministrazioni Bush terminate nel 2008, ma se si volge lo sguardo ancora più all’indietro si scopre che i costi aggiuntivi sono aumentati ad un ritmo serrato per tutti gli ultimi quindici anni, ad una media del 1,86% annuo per essere precisi. Se la spesa del Pentagono continuerà a crescere al tasso attuale, la media degli incrementi di costo raggiungerà il 46% in dieci anni.
Facendo qualche confronto, lo spreco militare USA è quattro volte tanto l’intera spesa per la difesa della Cina (che oggi rappresenta il secondo bilancio militare nazionale al mondo con 70 miliardi di dollari) ed è anche superiore al bilancio militare di tutti i Paesi dell’Unione Europea messi insieme (pari a 281 miliardi).

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Passiamo ora in rassegna i principali programmi militari statunitensi:

- cacciabombardiere F-22 Raptor: progettato per sfidare i velivoli di concezione sovietica, un F-22 costa 351 milioni di dollari, più del doppio delle stime originali.
Fu messo in produzione ancora prima di essere pienamente testato e – non sorprendentemente – è incorso in ogni genere di intoppi; non ha partecipato a nessuna azione di combattimento in Afghanistan né in Iraq. Il titolare del Pentagono Robert Gates ha deciso di acquistarne altri quattro, per un totale di 187 rispetto ai 243 che inizialmente l’USAF voleva.
Addirittura, all’inizio di quest’anno, 194 deputati e 44 senatori statunitensi hanno scritto ad Obama per sollecitarlo ad acquistare più F-22, ed a metà giugno i parlamentari del comitato militare della Camera hanno previsto uno stanziamento per altri 12 caccia. Sollecitazioni che però non sono servite a rianimare la morente linea di produzione del velivolo, almeno per l’uso domestico. Infatti
è notizia fresca il via libera da parte del comitato finanziario del Senato statunitense allo sviluppo di una versione del F-22 per l’esportazione, privato degli accorgimenti tecnologici “segreti” presenti nella versione originale. Probabilmente la decisione vuole far fronte alla perdita di migliaia di posti di lavoro causata dallo stop della produzione per l’aviazione USA; fra i probabili acquirenti figurano Giappone, Corea del Sud, Australia ed Israele;
- aereo da trasporto C-17 Globemaster III: l’aeronautica USA ne possiede 205 esemplari e non ne chiede di ulteriori,
ma il Senato intende introdurre nel bilancio per la difesa del 2010 l’importo di 2,5 miliardi per comprarne altri 10;
- Future Combat Systems: si tratta di apparati in cui armi, veicoli e robot coesistono, uniti da un comune sistema di comunicazione, ed è un altro caso in cui le intenzioni di spesa sono state messe in pista prima che la tecnologia in questione sia stata effettivamente testata. Dal 2003, il costo totale è aumentato del 73% fino ad arrivare a 159 miliardi, tanto che Gates nei mesi a venire vuole ripensare l’intero programma;
- elicottero presidenziale VH-71: Lockheed Martin ed Agusta Westland (del gruppo Finmeccanica) vinsero nel 2005 la commessa per il sostituto dell’attuale “Marine One”, un Sikorsky VH-60 entrato in servizio nel 1989. La flotta di 28 (!) esemplari doveva costare inizialmente 6 miliardi di dollari, ma poi i correttivi introdotti durante l’amministrazione Bush avevano portato il conto totale quasi a raddoppiare fino ad 11,2 miliardi (400 milioni ad esemplare). Il programma è stato cancellato a maggio, ed una conferma pubblica del suo annullamento è stata data dallo stesso presidente Obama ad agosto in un discorso ai veterani di guerra;
- DDG-1000 Destroyer: navi che dovrebbero costare 4 miliardi di dollari ma fonti alternative stimano un costo reale vicino ai 6 miliardi. Mentre la marina statunitense inizialmente desiderava acquistarne fra un minimo di 16 ed un massimo di 24, Gates tenterà di ridurre il programma a soli 3 Destroyers.

E’ comunque inquietante notare come Gates abbia dato il via libera ad un paio di palesi catorci. Del primo abbiamo già parlato su questo blog, si tratta del Littoral Combat Ship (LCS), un altro progetto Lockheed Martin sviluppato prima di completare i test. Nonostante i suoi costi siano quasi raddoppiati rispetto alle prime stime, Gates si è impegnato ad acquistare 55 di queste unità navali.
Ma
forse l’indizio più evidente della continuità del bilancio militare USA è la decisione di più che raddoppiare l’ordine di cacciabombardieri F-35 Lightning II Joint Strike Fighter (JSF), facendone il più grande programma di acquisizione del Dipartimento della Difesa (quasi a voler placare l’industria produttrice, l’onnipresente Lockheed Martin, per la cancellazione del F-22). Ciò nonostante l’F-35 sia ben lontano dall’essere pronto, visto che a novembre 2008 era stato implementato solo il 2% dei voli di prova previsti.
Secondo l’attuale calendario, gli Stati Uniti spenderebbero 57 miliardi di dollari per acquistarne 360 unità prima che i test siano completati. Per velocizzare i tempi, la Lockheed ha elaborato un piano per svolgere solo il 17% delle prove richieste mediante test di volo, il restante 83% affidandole ai simulatori. Sfortunatamente, secondo un rapporto della Corte dei Conti americana (GAO) “la capacità di sostituire i voli di prova con laboratori di simulazione non è stata ancora dimostrata”.
Ciò non fa che aumentare i dubbi sulla decisione del Dipartimento della Difesa di acquistarne 2.456 (sì, avete letto bene, duemilaquattrocentocinquantasei!).
Fonti ufficiali hanno stimato un costo per l’intero programma superiore al trilione di dollari (più di mille miliardi) – circa la stessa cifra del deficit nazionale -, sommando ai 300 miliardi per l’acquisizione dei velivoli i 760 miliardi per la loro operatività, manutenzione compresa. Ma poiché il Pentagono ha deciso di comprarne così tanti esemplari prima di verificare l’efficienza della tecnologia, ritardi ed incrementi di costo saranno inevitabili.

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Il Dipartimento della Difesa è presente dal 1995 nell’elenco di apparati governativi ad alto rischio stilato dalla Corte dei Conti statunitense. Per gestire gli acquisti, la contabilità e la logistica, le varie agenzie e servizi del Pentagono mantengono 2.480 diversi sistemi informatici, molti dei quali non sono interconnessi. Di conseguenza, nessuno conosce con sicurezza quanto il Pentagono abbia speso in passato, stia spendendo adesso e spenderà in futuro. Al contrario, esso fonda le sue decisioni di bilancio prevalentemente sulle informazioni delle aziende private vincitrici degli appalti.
Un rapporto del Defense Science Board Task Force on Developmental Test and Evaluation rileva che, fra il 1997 ed il 2006, benché il 67% dei sistemi d’arma non abbia superato i parametri di prova, molti di essi sono stati egualmente messi in produzione. Il concetto che il Pentagono dovrebbe “provare prima di comprare” risale almeno agli anni Settanta, ma i funzionari della difesa ed i parlamentari statunitensi non l’hanno mai veramente messo in pratica. Anzi, i funzionari sono fortemente incentivati a sottoscrivere contratti sottostimati perché se rendono noti i veri costi fin da subito, rischiano di non poter avere i loro “giocattoli”. Ogni tanto il Congresso o la Casa Bianca chiedono di insediare un’agenzia indipendente in grado di produrre stime attendibili dei costi, ma ciò è estremamente difficile a causa dello stretto rapporto tra i funzionari del Pentagono e l’industria bellica.
Nel 2006, 2.435 ex funzionari del Pentagono, generali ed ufficiali lavoravano per aziende private operanti nel settore della difesa, ed almeno 400 di questi erano impiegati nell’ambito di appalti direttamente collegati al loro precedente datore di lavoro governativo. Quando i calendari slittano di anni ed i bilanci sforano di miliardi, le aziende sono già state pagate; inoltre, è prassi fra i parlamentari dare il via libera al proseguimento dei programmi nonostante la legge preveda che essi devono essere informati su quei programmi che sforano il bilancio per più del 30% e che quelli con aumenti superiori al 50% devono essere ricertificati o cancellati.
Quest’anno, la Casa Bianca ha promesso di impiegare altri 20.000 funzionari nel prossimi quinquennio per tenere sotto controllo i contratti militari e la relativa spesa, ma bene che vada ci vorranno diversi anni prima che ciò porti frutti. La legge di riforma circa l’acquisto dei sistemi d’arma patrocinata dal candidato repubblicano alle ultime elezioni presidenziali, John McCain, prevede anche l’istituzione di un ufficio per l’accertamento imparziale dei costi che però non dovrebbe occuparsi di tutti i programmi. Ufficio il cui primo direttore, comunque, è William Lynn, lobbysta precedentemente al servizio proprio di un’azienda privata del complesso militare, la Raytheon.

samedi, 10 octobre 2009

Francia y Espana al rescate del imperialismo yanqui

soldados_espanoles_afganistan.jpgFrancia y España al rescate del imperialismo yanqui

Volverán a la base aérea en Kirguistán

Kirguistán dio pasos el lunes para permitir que soldados franceses y españoles vuelvan a su base área de Manas, un puesto de paso para las operaciones militares encabezadas por Estados Unidos en Afganistán.

Kirguistán canceló los acuerdos con Francia y España en marzo, cuando rechazó un pacto similar con Estados Unidos para el uso de la base. El personal de Francia y España tenía que salir del país para el 13 de octubre.

“Se ha decidido aprobar los acuerdos (con Francia y España) y enviarlos al Ministerio de Exteriores”, dijo Erik Arsaliyev, responsable del comité parlamentario para asuntos internacionales, a los periodistas.


La base, que sirve como punto de repostaje para aviones usados en Afganistán, es importante para Washington y sus aliados de la OTAN porque sustituye a rutas que atraviesan Pakistán y que han sido atacadas por los integristas.

El viceministro de Exteriores, Ruslan Kazakbayev, dijo que el Parlamento revisaría los acuerdos tras la aprobación gubernamental.

El Parlamento está dominado por los leales al presidente Kurmanbek Bakiyev, lo que deja poca duda de que los acuerdos se aprobarán.

Bakiyev anunció la cancelación del acuerdo con el Ejército de EEUU en una visita a Moscú, donde Rusia dijo que ofrecería 2.000 millones de dólares en ayuda para el empobrecido país, en lo que los analistas consideraron una batalla entre Moscú y Washington para ganar influencia en el Asia Central.

Washington renegoció después una renta mayor y continuará usando la base para sus operaciones en Afganistán.

Según los borradores a los que tuvo acceso Reuters, Francia podrá tener 40 efectivos y un avión de repostaje en Manas. El acuerdo no da detalles sobre el número de personas o equipamiento que se permitirán a España.

Extraído de SwissInfo.

jeudi, 08 octobre 2009

Le pont ferroviaire eurasiatique, nouvelle route de la soie!

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Le pont ferroviaire eurasiatique,

nouvelle route de la soie du XXIe siècle !

par Alexandre LATSA ( http://www.agoravox.fr )

De la conquête de la Sibérie à l’Amérique russe, de Lisbonne à Vancouver, en passant par Pékin, petit résumé du gigantesque pont ferroviaire Transeurasien et Transcontinental en construction...

La conquête de l’Est

Lorsque le tsar Ivan IV conquiert Kazan en 1554, la Russie tarit définitivement, par la force, le flot des invasions nomades, venues de l’Est. Désormais, elle se tourne vers cet immense territoire. En 1567, deux cosaques traversent la Sibérie et reviennent de Pékin en racontant les immenses territoires et les possibilités commerciales avec l’empire du milieu. Le tsar concédera alors à des marchands de fourrure, les Stroganoff des territoires « à l’Est » (en fait en Sibérie occidentale). Ceux-ci feront appel à 800 cosaques, sous commandement de Yermak pour les protéger.
A la toute fin du XVIe siècle, la conquête russe du far-est est lancée, elle mènera les colons russes jusqu’aux portes de San Francisco...

De l’Oural au Pacifique

Les chasseurs de fourrure traversent la Sibérie en moins de cinquante ans, et installent des bases sur la route de l’Est, Iénisséisk en 1619, Iakoutsk en 1632, puis la ville d’Okhotsk. En 1649, à l’extrême est de la Sibérie. Au Sud, les Atamans russes affronteront les Chinois pour la conquête de l’Amour. Yeroïeï Khabarov met en déroute une troupe de plusieurs milliers de Chinois avant de reperdre la région et que la paix de Nertchinsk (1689) ne laisse la zone aux Mandchous. Les chasseurs russes remontent alors vers le Nord, et l’Est. Entre 1697 et 1705, le Kamtchatka est conquis. Un mercenaire danois, Vitus Behring, entreprendra une traversée de la Sibérie puis de la mer d’Okhotsk pour enfin traverser, en 1728, le détroit qui porte son nom.
En 1741, moins de deux cents ans après l’expédition de Yermak, les Russes abordent l’Amérique du Nord.

L’Amérique russe

Cette conquête s’accentuera dans la deuxième partie du XVIIIe siècle, non pour des raisons politiques, le pouvoir russe se désintéressant provisoirement de l’Amérique russe, mais purement commerciales, sous la pression des chasseurs de fourrures, livrés à leur seule ingéniosité et à leur volonté de négoce avec l’Asie. En 1761, ils mettent pied en Alaska. Une « Compagnie américaine » est même créée en 1782 pour « organiser » l’écoulement de fourrure russe en Chine, et contrer les Anglais qui écoulent eux la fourrure du Canada via le cap de Bonne-Espérance. En 1784, Alexandre Baranov, aventurier et trappeur russe fonda un empire commercial de vingt-quatre comptoirs permanents entre le Kamtchatka et la Californie. Le pouvoir russe dès lors prend conscience de l’énorme avantage que lui procure cette situation. Baranov sera nommé gouverneur de la zone, puis anobli, avant de se voir confier de déployer la « Compagnie russo-américaine » (qui gère tout le commerce de fourrure du Pacifique) le plus au Sud possible. En 1812, Fort Ross est créé, au nord de San Francisco. La présence russe est à son apogée en Amérique.

Le déclin de l’Amérique russe

Cette mainmise russe sera pourtant de courte durée. Concurrencé par les Anglais en Extrême-Orient, soumis à des révoltes occasionnelles des indigènes « nord-américains » (Aléoutes, Esquimaux, Indiens), le pouvoir russe se focalisera sur la Sibérie du Sud, jugée plus accessible de la capitale et tout aussi frontalière des pays d’Asie et de leurs débouchés commerciaux. En 1841, Fort Ross est abandonné et, en 1858, la frontière russo-chinoise est quasi stabilisée, l’Amour étant de nouveau rattachée à la Russie. En 1860, la « Compagnie russo-américaine » ne fait plus le poids face à son concurrent anglais (la Compagnie de la baie d’Hudson) et son « bail » n’est pas renouvelé.

En outre, l’effort consenti pour la guerre de Crimée (opposant la Russie avec la Grande-Bretagne, la France, l’Autriche, le Piémont et la Turquie, obligeant la Russie à se défendre de Saint-Pétersbourg à Novo Arkhangelsk, en Amérique du Nord) rendait difficilement tenable le front américain, menacé par les Britanniques. Le coût excessif de cette « colonie » et l’incapacité militaire russe à la défendre face aux Britanniques fit germer l’idée d’une cession à l’Amérique (alliée d’alors contre la Couronne). Le traité de vente de l’Alaska fut signé le 30 mars 1867.

Du Transcanadien au Transsibérien

En 1891 (alors que le projet avait été mis sur table dès 1857 par le comte Mouraviev), Alexandre III décrète la construction d’une immense voie ferrée qui reliera l’Oural à Vladivostock, sur les rives du Pacifique. Ce choix sera déterminé par les débouchés commerciaux envisagés avec l’Asie du Sud-Est, mais aussi la nécessité de renforcer les « villes ports » de l’Extrême-Orient (face à la militarisation de la Chine à sa frontière avec la Russie) et la marine militaire du Pacifique. La voie sera terminée en 1904, passant par la Mandchourie (sur du lac Baikal). La perte de ce territoire en 1907 rendra nécessaire la création d’une ligne de contournement, passant au « nord » du lac, c’est la seconde ligne, dite BAM (Baikal-Amour-Magistral), qui sera terminée elle en 1916.

En outre, les Russes s’inspirent de leurs concurrents anglais qui ont eux lancé dès 1871 une ligne de chemin de fer entre la côte Est et la côte Ouest du Canada, avec un double but : le transport des matières premières et surtout l’unification territoriale du Canada. Le premier Transcanadien joindra le Pacifique en 1886.

Le projet fou : la jonction ferroviaire Eurasie-Amérique

En 1849, un gouverneur du Colorado élabore un projet fou : un tunnel « sous » le détroit pour faciliter la traversée entre la Russie et l’Amérique. A cette époque, l’Alaska est pourtant encore russe. Le projet réapparaîtra au début du XXe siècle, un architecte français, Loic de Lobel, le présentant au tsar Nicolas II, moins de quarante ans après que son grand-père a cédé l’Alaska aux Etats-Unis. Les changements géopolitiques majeurs du demi-siècle qui suivirent ne laissèrent pas beaucoup de place à la coopération russo-américaine. En 1945, la guerre froide fait de ces deux monstres, qui se partagent le monde, des ennemis jurés. Le délabrement post-soviétique ne permet pas de relancer l’idée.

En septembre 2000 pourtant, à Saint-Pétersbourg, a lieu une « Conférence eurasiatique sur les transports », cinq grands couloirs de développement furent définis sur le continent :

- le couloir Nord, via le Transsibérien, de l’Europe vers la Chine, la Corée et le Japon ;

- le couloir central, de l’Europe méridionale à la Chine, via la Turquie, l’Iran et l’Asie centrale ;

- le couloir Sud, de l’Europe méridionale vers l’Iran, puis remontant vers la Chine par le Pakistan et l’Inde ;

- le couloir Traceca, d’Europe de l’Est à l’Asie centrale, par les mers Noire et Caspienne ;

- un couloir Nord-Sud combinant le rail et le transport maritime (Caspienne), de l’Europe du Nord à l’Inde.

Plus récemment, en mai 2007, une conférence intitulée « Les mégaprojets de l’Est russe » eut lieu à Moscou, ayant pour but de dévoiler les grands projets de l’Etat pour lutter contre le sous-développement et le sous-peuplement des régions de Sibérie et renforcer l’axe Est de la Russie. La conférence était présidée par un ancien gouverneur de l’Alaska, Walter Hickel, également secrétaire à l’Intérieur des Etats-Unis et ardent supporter du « projet fou » depuis les années 1960.

A cette occasion, fut dévoilé le nouveau projet de voie ferrée reliant la Russie à l’Amérique, à l’étude au Conseil d’études des forces productrices russes (CEFP). Son vice-président, Viktor Razbeguine, en a dévoilé les grands traits : la construction d’une immense artère reliant les continents « Eurasie-Amérique », de Iakoutsk en Sibérie orientale jusqu’à Fort Nelson au Canada, le tout via un tunnel sous le détroit de Béring long de 100 à 110 kilomètres ce qui en ferait de loin le plus long de la planète.

La voie ferrée assurerait l’accès aux ressources hydro-énergétiques de l’Extrême-Orient et du Nord-Ouest des Etats-Unis, et permettrait de construire des lignes HT et un passage de câbles par le détroit, en reliant les systèmes énergétiques des deux pays. Cette artère pourrait assurer le transport de 3 % des cargaisons du monde. La durée et la construction de l’ensemble devrait prendre de quinze à vingt ans. Le chiffre d’affaires des échanges commerciaux générés pourrait atteindre 300 à 350 milliards de dollars, toujours selon Viktor Razbeguine et le retour sur investissement attendu sur trente ans, après l’accession du chemin de fer à sa capacité projetée de 70 millions de tonnes de marchandises par an.

Sa construction pourrait en outre créer entre 100 000 et 120 000 emplois et revivifier la région Sibérie orientale, avec pourquoi pas la création de nouvelles villes et d’immenses zones agro-industrielles.

Outre le « link » des systèmes énergétiques de l’Ours et de l’Aigle, le président de l’IBSTRG (Interhemispheric Bering Strait Tunnel and Railroad Group), un « lobby tripartite Russie-Canada-Etats-Unis  » qui défend le projet de son côté depuis 1992, affirme : «  Le sous-sol de la Sibérie extrême-orientale regorge d’hydrocarbures, mais aussi de métaux rares, pas encore exploités précisément à cause de l’absence de communications  ». Ce sont ces trésors enfouis qui devraient selon lui permettre de lever les fonds pour lancer la voie ferrée de Iakoutsk, mais aussi le début des travaux sous le détroit. L’IBSTRG a en outre confirmé lors de la conférence de l’Arctique sur l’énergie (AES) en octobre 2007 que le projet passerait par l’utilisation de mini-réacteurs nucléaires mobiles, transportées par rail, route ou navire, ainsi que par l’énergie hydroélectrique pour l’expansion du réseau ferroviaire.

Les regards sont aujourd’hui tournés vers le gouverneur de l’immense région de Tchoukotka, que devrait traverser l’artère, également homme le plus riche du pays car, comme l’a affirmé le représentant du ministère russe de l’Economie, Maxime Bistrov, le fonds fédéral d’investissement finance des projets uniquement s’ils sont déjà soutenus par des entreprises privées ou avec l’aide de financements régionaux... A bon entendeur.

Quoi qu’il en soit, les différents promoteurs du tunnel fondent l’espoir que les pays du G8 soutiendront le projet. Sinon, des entreprises asiatiques, japonaises en priorité, ont déjà proposé leur aide. Le principal atout de ces liaisons ferroviaires transcontinentales n’est pas uniquement de transporter des marchandises plus rapidement, mais « intégrées à de véritables corridors de développement, elles participeront au désenclavement des pays et des régions dépourvus d’accès maritime » et, plausiblement, introduiront les futures lignes à très haute vitesse (magnétique ?) qui permettront de traverser l’Eurasie encore plus vite.

Le TransEurasien, route de la soie du XXIe siècle

Le 7 mai 1996 à Pékin, Song Jian, président de la Commission d’Etat chinoise pour la science et la technologie présentait le « Pont terrestre eurasiatique comme le tremplin d’une nouvelle ère économique pour une nouvelle civilisation humaine ». Douze ans plus tard, le 9 janvier 2008, s’est élancé le premier train « eurasiatique » de marchandise reliant Pékin à Hambourg. Le train a relié les deux villes après avoir traversé la Chine, la Mongolie, la Russie, la Biélorussie, la Pologne et l’Allemagne (soit plus de 10 000 km) en seulement quinze jours.

Lors du sommet de l’APEC en 2006, le président russe Vladimir Poutine évoquait la perspective d’une nouvelle configuration de l’Eurasie, reposant sur : « des projets conjoints à large échelle dans les transports, l’énergie et les communications ». Au même sommet, l’ancien président sud-coréen Kim Dae-Jung avait lui assuré que : « les chemins de fer Transcoréen, Transsibérien, Tnansmongol, Transmanchourien et Transchinois formeront cette "route ferroviaire de la Soie", reliant l’Asie du Nord-Est à l’Europe en passant par l’Asie centrale...  »
La glorieuse route de la soie du passé renaîtra ainsi sous la forme d’une "route ferroviaire de la soie", faisant ainsi entrer l’Eurasie dans une ère de prospérité.

"Je veux récupérer mon empire", aurait lancé Vladimir Poutine lors d’une rencontre internationale à huis clos. A en croire la position qu’est en train de prendre la Russie, aiguillon entre l’Europe, l’Asie et l’Amérique du Nord, sur la plaque eurasiatique, on peut sans doute le croire...

SOURCES :

- Philippe Conrad sur CLIO

- Catherine SAUER BAUX sur STRATISC

- Wikipédia

- Le Figaro magazine

- Arctic.net

- Ria Novosti

- Solidarité et progrès

- La Tribune

- L’association « Amitié France Corée »

- Xinhua.net

- La Voix de la Russie

mercredi, 07 octobre 2009

Russia is the future of Europe!

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Russia is the future of Europe !

Alexander LATSA ( http://alexandrelatsa.blogspot.com )

"There is no longer any doubt that with the end of the Cold War a lengthier world development period came to an end, spanning 400-500 years during which European civilization had dominated in the world. The historical West had consistently advanced on the edge of this dominance."

" The new stage is occasionally defined as “post-American.” But, of course, this is not a “world after the US” and even less so without the US. It is a world where as a result of the rise of other global centers of power and influence the relative significance of America’s role dwindles, as was already the case over recent decades in the global economy and trade. Leadership is an entirely different question though; it’s above all the question of achieving harmony within a circle of partners, of the ability to be the first, but among equals."

"To define the content of an emerging world order, such terms as multipolar, polycentric and nonpolar are also put forward"

"We do not share the concerns that the current reconfiguration in the world will unavoidably lead to “chaos and anarchy.” There goes the natural process of the formation of a new international architecture – political as well as financial-economic – which would correspond to the new realities."

"Russia conceives itself as being a part of European civilization having common Christian roots"

"The rigid Anglo-Saxon model of economic and social development is again, as it did in the 1920s, beginning to wobble.the global financial-economic architecture was largely created by the West to suit its own needs. And now that we watch the generally recognized shift of financial-economic power and influence towards the new fast-growing economies, such as China, India, Russia and Brazil, the inadequacy of this system to the new realities becomes obvious. In reality, a financial-economic basis is needed which would conform to the polycentricity of the contemporary world.
The manageability of world development can’t be restored otherwise." 


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More than a year after Sergei Lavrov’s assertions (June 2008), the only report that comes to mind is that the financial crisis has totally confirmed those assertions. At the dawn of the autumn 2009, the Western world is about to leave History by the smallest door, after having transmitted its metastasis to the whole humanity. In this world in transition, it would be good to wonder what game the European populations intend to play.

At that time where the line breakages are less and less legible, it would be good to remember that the only chance of survival of the Europeans is to get out of the suicidal atlantist rut and to develop a true and integrated collaboration with the Federation of Russia. This European-Russian partner could contribute to peace within Heartland, in the hart of this new multi polar and decentralized world. 

In a multi polar and decentralized world the European unity is unavoidable

Far from the ideal of psychology armchair, the reality of tomorrow is based on demography and economy. The decrease of America’s influence is also proved by the increase of many other actors: Brazil, Russia, India, China and the Arab Muslim world, both rich in energy and human capital. The world population reaches 6, 5 billions of inhabitants and will be over the 9 billions in 2050.  Europe counts today 758 millions inhabitants 91/3 of the EU0 and should see its population fall down, between 564 millions and 632 millions inhabitants i.e. 7 % to 8% of the world population and less than 20% of the GDP (about the same than China on its own).

France as an example should count 70 millions inhabitants in 2050, i.e. 0,8% of the world population, 1 inhabitant out of 3 being more than 60 years old and half of its youngest population being mainly African and from Northern Africa.

In this context, and despite the punchy speeches of credible and interesting personalities (Nicolas DuPont Aignant, Paul Marie Couteaux or Jean Pierre Chevènement to only quote those), the way out of the EU and the return to a national sovereignty is surely the very last solution to think of.

The EU is imperfect to 99%, because being led by Brussels, and under the influence of ‘’the American party’’, who treats Europe as an American colony.

Worse the Americans (who wish first to maintain their dominating position and defend their own interests) do not want a united and powerful Europe. This Europe may not follow them in their military offensives or even oppose to them diplomatically and maybe militarily.
This is the reason why the Americans try everything in order to have their Troy horse entering the EU (Turkey) in order to create dissension and destabilize a homogeneous whole on its way.

Let us not forget, at last, that Turkey is the second army of NATO and with Israel the pawn of America in the Near East, while occupying Cyprus.
This is the reason why America has done everything in order to persuade De Gaulle not to obtain the nuclear independency and to stop France to exit the NATO commandment.
An independent France would be a prelude to an independent Europe. The latter could lead to the worse situations for the US strategists: the loss of the advantages gained at the end of the World War II with the occupation of Western Europe and therefore the loss of the Heartland western side.

This is also the reason why some strategists of the ‘American party’ in Europe have understood the necessity to support the EU refusals through the anti EU and the Europhobic parties such as Ireland with the Libertas candidate.

More recently, the Europhobic Philippe de Villiers has also joined the atlantist party of Nicolas Sarkozy, UMP, a party though openly pro EU, after that UMP has had France joining the NATO commandment.

The loss of sovereignty for the European countries is a process that went through 2 stages.

* The first one is the end of the empires, originating from the Westphalia treaty, supporting the national identity concept (nation state) as the primary identity. This “nationalisation” of the European identities has generated the 30 years war that destroyed our continent in the first half of the 20th century. Strange coincidence, the Westphalia treaty ended a European civil war that lasted 30 years.
* The second is the stage of the fragmentation into regions. This process, are we told, is very progressive politically (i.e. regions would be the ultimate stage of the European integration). But it is in fact the result of a deliberate external political process aiming at weakening Europe, by fragmenting in small pieces that are left with neither economical independence nor military sovereignty.

This was the case in particular for Eastern Europe, e.g. Czechoslovakia, Yugoslavia or the USSR, for obvious reasons: Those nations are not under the western influence since long so they are suspected of being hostile to the Euro –Atlantic Axis.

Of course, it is no surprise that most of the regionalist European political parties are also the most Europhiles and the ones fighting most actively for a NATO expansion and a Euro – Atlantic integration.

Those same political alignments are shared by the Brussels commissioners, devoted agents of the American interests in Europe.

The Europe of Brussels is of course the opposite of the powerful and independent Europe that we want. The EU made of flesh, the reel EU (the non legal one) is the only aim to defend in order for the Europeans to control their destiny and to become more than spectators, to become actors.

The world of tomorrow though will probably not be a more opened world than the one we know. It surely will be a world made of blocks in conflict, conflict for territories zones and civilisations.
In this world of increasing tensions the key for Europe is to gain a structure of defence that belongs to it and allows her to protect its interests and citizens.
In that sense, the proposals of President Medvedev on the necessity of creating a Pan European structure of security (replacing NATO) are a real challenge and the most interesting one, for Europe.

In a multi polar world, let us exit NATO and create a continental and NON Atlantic defence’s system.

NATO is a military alliance created is 1949 in order to face USSR, but also in order to avoid a new risk to Europe (as it had been the case with Germany). Fast, this alliance, under the Anglos Saxons’ influence, led to the creation of a competing alliance in the other bloc, the soviet one, in 1955: ‘’ The Warsaw Pact’’. This double alliance split up the world in two rival blocs, until 1958 while the De Gaulle France decided to leave the Anglo Saxon block and to develop its own nuclear programme.

In 1966, France leaves the NATO commandment and the NATO HQ moves from Paris to Brussels, which is still the case nowadays. Brussels hosts the European institutions as well as the NATO ones. 30 years later in 1995, the French President Jacques Chirac started the negotiations to get back into the integrated commandment of NATO. This return was confirmed and focalized by President Sarkozy on the 17th March 2009.

Why this return ? What were the motivations of France to become an essential NATO actor ?

NATO has got today only two essential functions, both in the interest of America and both against the European interests.
First it has become a conquest weapon of the Eurasian heartland by America and its extension towards the East and the Russian borders. New nations are asked to join under wrong justifications, i.e. the historical fear of a Russian imperialism.  But this imperialism does not exist any longer. Only the American strategists keep it alive at perfection.

Under the pretext of entering the Euro-Atlantic partnership, NATO installs itself in the hart of Europe, pushes Russia back towards its own eastern borders and divides Europe once more, with the installation of American bases in front of the Russian borders.

This is the real aim of the Serbia campaign. Serbia is an ally of Russia in the logic of the Pentagon. With the bondsteel base but also the orchestrated revolution in Ukraine, the aim of America was to implement an American base in Crimea, in order to respond to the Russian base.

Since the 11/09/NATO has become a crusaders army at the eyes of the Muslim world, the same American strategists trying to convince us that NATO is a protection against the aggressive and terrorist Islamism.
No need though to be a scientist in order to understand that the Iraq and Afghanistan campaigns, if they could be won (which will probably not be the case) will not defeat ‘’terrorist’’ Islamism. Islamism is used today like an excuse in order to justify much older geopolitical objectives. Do we not suspect that the Afghanistan attack has been justified by the 11th September, but planned much before and that its reel aim had been the implementation of US troops in the heart of Eurasia?

Can we, without laughing, believe that the baathist Iraq of Saddam Hussein was one of the vectors of the world Islamist terrorism, or targeted for its petrol dwells?

Domination wars of the USA are wars aiming at controlling the natural resources that are concentrated (apart from Arctic) in the Arab peninsula, Iraq, Iran, Persian Gulf, Southern Russia (Caucasus) and Afghanistan.

Those resources conflicts are provoked by wrong motives, which are not Europe’s one. Worse, they may lead Europe to ethnical and religious tensions on ‘’its’’ territory.

Yugoslavia disintegration showed us how much a security structure was essential in order to maintain its harmony and face the external destabilizations. The recent Kosovo issue has perfectly shown that Europe is the bridge head that serves the USA who attack and invade Eurasia. America therefore creates tensions between European populations and in particular with Russia, to whom the ‘’Serbia’’ warning was addressed.

The vote of the Silk road strategy Act by the US Congress in 1999 was aimed at ‘’favouring’ the independence of the Caucasus and the Central Asian countries and at creating a land bridge in order to divert the road of the Silk Road to the Turkish harbours, therefore a NATO country.

The BATCH oil pipeline that passes by Georgia is following the same strategy and also partly explains the development of the military assistance to Georgia, since the arrival at power of Mikhaïl Saakachvili.

In a multi polar world with many centres, we could avoid a continental disintegration
In 1999 despite the attack on Serbia and after 10 years of total collapse, the assumption by Vladimir Poutine straightens Russia up and replaces the country at the front of the word political scene. Europe has toppled over NATO (by its participation to the bombing of Serbia). Russia, China, and the Muslim nations of Central Asia create in 2001 the Shanghai organisation as well as the OSTC in 2002. Those military Eurasian and inter-religious alliances aim at replying to the double Chinese and Russian surrounding by the American army and at defending the Eurasian regional well defined area.
Zbigniew Brezinski said: «The Eurasian strategy of the USA brought Russia and China closer. The two continental powers are building a real military alliance in order to face the Anglo Saxon coalition and its allies. » 


The American offensive towards the East (from Berlin to Kiev) has materialized in two majors steps, from 1996 until 2009.

In 1996, GUUAM was born. It regroups Georgia, Uzbekistan, Ukraine, Azerbaijan and Moldavia.
Those nations wish to get out of the post soviet bosom, right after the Berlin wall fall and while Russia was collapsing. It is not surprising that those nations who have strategic geographical positions, consequently have been the victims of revolutions financed by the CIA (orange revolution, tulips, roses and recently in Moldavia too after the elections). They also have been the victims of changes of western regimes. The most representative members of this association are the observers, Turkey and Latvia (!).
Nevertheless those regimes have not made it through, despite the expectations of their supporters (integration to NATO and EU, improvement of life).
On the contrary, those overthrown regimes have degraded economically and no integration into the euro-atlantist model occurred.

This is the reason why the departure of Uzbekistan in 2005 and the absence of concrete realization of the organization have led the latter to become inexistent politically. In May 2006 the political scientist Zardust Alizadé from Azerbaijan expressed his doubts regarding the development of the alliance and of the alliance’s ‘’practical results’’.

Today, the second step sees a quite aggressive materialization through the creation of a new front that we may call GUA (Georgia, Ukraine, and Arctic). In Georgia: the political incapacity of the president has pushed the American strategists to launch a military operation in August 2008. This operation failed because the Russian army has replied with a lot of strength and has liberated the territories of Ossetia and Abkhazia.  This conflict is the first conflict opposing Russia to America out of the Russian borders. The previous conflict had been the Whabitt destabilization in Chechnya, instigated mainly by the CIA.

In Ukraine the recent conflicts about gas show the growing tensions and a bright observer recently said that ‘’ a limited conflict, under the pretext of a territorial dispute, will surely burst and lead to a rupture of the gas’ supplies for a more or less long period of time. Those gas crises are provoked in order to train the Europeans to get used to such cuts.’’

Artic would need another article just for itself. I invite my readers to read my previous articles on the topic here and there and to consult the blog « zebrastationpolaire ».

Those manoeuvres of surroundings, of containment and of destabilization have various objectives:
-  To control the Black sea the Caspian and Baltic seas perimeters as they are essential zones of transit between the East and the West.
- To control the future corridors of energy in particular via a building project of oil and gas pipelines going round Russia but linking the regions of the Caspian sea with the ones of the Black and the Baltic sea.
- To spread the NATO influence further East in the heart of Eurasia in order to reduce the sphere of influence of Russia (on its close stranger) but mainly in Europe, and avoid a potential development of the Chinese influence towards Central Asia.  

Of course, a non experienced reader will tell me that the Russians and the Americans have never stopped to fight since 1945 and that globally this is not the business of Europe and of the Europeans. Well, this is exactly the contrary.

In a multipolar world with many centres, the Euro-Russian Alliance is the key stone for peace on the continent.
The consequences we told you about in this article are dramatic for Europe. They will cut Europe from Russia at a civilization, geopolitical, political and energetic level.
They will create a new wall in Europe, not in Berlin but in the heart of Ukraine, separating the West (under the American influence) from the East (under the Russian influence).
In a more pragmatic way this fracture nearly cuts the Orthodox Europe from the catholic and protestant Europe, underlining the theory of S.Hungtinton in his book « The shock of civilisations ». Last, let us note that China, a crucial geopolitical and economical actor, probably sees Europe (through NATO) as co-responsible of the surrounding situation that it (China) faces, West (military American bases in central Asia) and East (the Pacific along its shores, with also many American bases).
This rupture with two essential actors that are Russia (the biggest country in the world) and China (the most populated country of the world) are very serious.

In case of growing tensions with NATO and OCS, France and the other European countries would be in a conflict with an organisation that nearly groups together, one man out of three in the world, covers 32, 3 millions of km² et resources wise groups together 20 % of the petroleum world resources, 38% of natural gas, 40% coal and 50% uranium.

This strategy of separation of Russia and Europe and of Western and the centre will limit Europe in a micro territory slot in the west of the continent and will cut t from the huge possibilities that a partnership with Russia would offer.  
·         Europe needs Russia energy wise because Russia has got the gas and the petroleum resources that Europe needs. Russia is a stable supplier as its relation with Turkey proves it. Turkey has no supply problem. Just remember that the supply cuts during the war with Ukraine were due to the latter, but funnily enough the media have made Russia guilty).  The topic ‘’energy’’ is essential because Europe under the American commandment is proposed very risky alternatives, as for instance to replace Russia by Turkey (A NATO country aiming at becoming an EU member!). . This replacement of Russia by Turkey would also mean to have Nabbuco instead of South Stream and to participate to conflicts for energy (like Iraq). Europe could surely avoid all those troubles.
·         Europe needs the fabulous Russian potential, the human one (140 millions inhabitants), and the geographical one (17 millions km2 and its opening on the Pacific). Europe would therefore become a crucial actor, especially with the Asian world, the latter being in a full development process.
·         Russia also needs Europe and the Europeans not only for allocating its primary resources but also for its technologies and human capital that it could use to fight against it depopulation at the East of Oral. Last but not least it needs Europe like a natural and complementary ally, originating from the same civilisation.

This Euro- Russian unity is the only warrant of peace and independence for the continent populations. It is vital, it is strongly advised, because the Western European and the Russians belong to the same civilisation first of all.

As Natalia Narotchnitskaïa recently said in Paris during a colloquy:

 « The real cooperation between Russia and Europe could give a new energy to our continent, at the dawn of the third millenary. The big roman – German and Russo- Orthodox cultures share one and only one apostolic foundation, the Christian and spiritual one. Europeans, whether they are western or Russians, have given to the world the biggest examples of the orthodox and Latin spirituality.’’

These are the reasons why Russia is the future of Europe.

mardi, 06 octobre 2009

L'avenir de l'Europe, c'est la Russie!

L’avenir de l’Europe, c'est la Russie!


par Alexandre Latsa ( http://alexandrelatsa.blogspot.com )
 "Nul doute deja, que la fin de «la guerre froide» a marque la fin d'une etape plus longue du developpement international – 400-500 ans, durant lesquels la civilisation europeenne a domine dans le monde. L'Occident historique s'est toujours propulse a la pointe de cette domination".

"La nouvelle etape est parfois definie comme «post-americaine». Mais, certes, ce n'est pas le «monde d'apres les USA» et d'autant plus sans les USA. C'est un monde, ou, a la suite de la montee d'autres centres globaux de la force et de l'influence, l'importance relative du role de l'Amerique se reduit, comme cela avait deja eu lieu au cours des dernieres decennies dans l'economie et le commerce globaux. Le leadership est un tout autre probleme, avant tout celui de l'obtention de l'entente parmi les partenaires, de la capacite d'etre premier, mais parmi ses égaux".

" Pour definir le contenu de l'ordre mondial en formation, on avance aussi les termes comme multipolaire, polycentrique, non-polaire".

"Nous ne partageons pas les craintes, que la reconfiguration actuelle qui se passe dans le monde mene inevitablement « au chaos et a l'anarchie ». On observe le processus naturel de la formation d'une nouvelle architecture internationale – tant politique, que financiere et economique, qui repondrait aux realites nouvelles".

"La Russie se voit comme une partie de la civilisation europeenne, qui possede les racines chretiennes communes".

"Le dur modele anglo-saxon du developpement socio-economique presente de nouveau des rates, comme dans les annees 20 du ХХe siecle.l'Occident avait pour beaucoup cree l'architecture financiere et economique globale a son image. Et actuellement, ou l'on est en presence du deplacement reconnu par tous de la force financiere et economique vers les nouvelles economies en croissance rapide comme la Chine, l'Inde, la Russie, le Bresil, il devient evident que ce systeme n'est pas adequat aux realites nouvelles. Au fond, on a besoin d'une base financiere et economique, qui correspondait au polycentrisme du monde contemporain".


***
Plus d'un an après ses propos tenus par Sergei Lavrov (en juin 2008) un seul constat s'impose, la crise financière les a totalement confirmés. A l'aurore de cet automne 2009, l'occident s'apprête à sortir de l'histoire par la petite porte, après avoir transmis ses métastases à l'humanité toute entière. Dans ce monde en re-configuration, il est bon se se demander quelle est la place que les peuples du continent Européen entendent jouer.

A l'heure ou les lignes de fractures sont de plus en plus illisibles, il est bon de rappeler que la seule chance de survie des peuples  Européens survivent est de sortir de l'ornière atlantiste suicidaire et de développer une collaboration poussée et intégré avec la fédération de Russie, afin que ce binôme "Euro-Russe" contribue à maintenir la paix sur le Heartland, au sein de ce nouveau monde multipolaire et polycentrique.

Dans un monde polycentrique et multipolaire, l’unite Européene est inévitable
Loin de l'idéalisme politique de comptoir, la réalité du monde de demain passe par l'économie et la démographie. La baisse d'influence de l'Amérique se traduit également par une augmentation de l'influence de nombres d'autres acteurs (BRIIC, monde arabo-musulman riche en énergie et en capital humain ..).  La population de la planète atteint aujourd'hui 6,5 milliards d'habitants et devrait dépasser les 9 milliards en 2050. L'europe, qui compte aujourd'hui 728 millions d'habitants (dont 1/3 hors de l'UE) devrait voir 
sa population tomber à entre 564 millions et 632 millions d'habitants, soit représenter entre 7 et 8% de la population mondiale et moins de 20% du PIB soit à peu près autant que la Chine seule (!). La France pour prendre un exemple devrait compter elle 70 millions d'habitants en 2050, soit 0,8% de la population mondiale, un habitant sur trois ayant plus de 60 ans (!) et la moitié la plus jeune de sa population étant à cet moment la d’origine extra-européene, principalement Afro-maghrébine.

Dans ce contexte, et malgré les discours percutants de personnalités crédibles et intéressantes (nicolas dupont aignant, paul marie couteaux ou jean pierre Chevènement pour ne citer qu’eux) la sortie de l’UE et le retour au « souverainisme » national est probablement la dernière des solutions à envisager. L’UE est certes imparfaite à 99% mais elle est imparfaite en ce qu’elle est dirigée par Bruxelles, qui est une officine du « parti américain » qui traite l’Europe en colonie américaine.
Pire les Américains (qui souhaitent avant tout maintenir leur position dominante et défendre leurs interets) ne souhaitent pas une Europe unie et puissante, apte à ne pas les suivre dans leurs offensives militaires illégales ou même à s’y opposer, diplomatiquement, voir militairement. C’est la raison pour laquelle les Américains font « tout » pour rentrer leur cheval de troie (Turque) dans l’Europe, afin d’y semer la discorde et de déstabiliser un ensemble homogène en création. N’oublions pas enfin que la Turquie, seconde armée de l’OTAN, est avec Israêl le pion de l’Amérique au proche orient, et que celle-ci occupe militairement l’Europe (Chypre).

C’est la raison pour laquelle les Américains ont tout fait pour dissuader De Gaulle d’obtenir l’indépendance nucléaire et de sortir du commandement intégré de l’OTAN. Parcequ’une France indépendante, prélude à une Europe indépendante pouvait entraîner la pire des situations envisageables pour les stratèges US, perdre l’avantage pris à la fin de la guerre (l’occupation de l’europe de l’ouest) et donc la main mise sur la façade « ouest » du heartland.

C’est également la raison pour laquelle certains stratèges du « parti américain » en Europe ont parfaitement compris l’interet a appuyer les « refus » de l’UE en soutenant des partis « anti UE » et Europhobes comme ce fus ouvertement le cas en Irlande avec le candidat Libertas par exemple. Plus récemment, le Bruxellophobe Philippe de Villiers a lui aussi rejoint le parti Atlantiste de Nicolas Sarkosy, l’UMP, pourtant ouvertement Europhile et après que celui ci ai fait rejoindre à la France le commandement intégré de l’OTAN.

La perte de souveraineté des pays Européens est un processus qui a traversé deux stades principaux.
* Le premier est celui de la fin des empires, issu du traité de westphalie et qui prône l’identité nationale (l’état nation) comme identité première. Cette ‘nationisation’ des identités Européennes a crée les conditions de la guerre de 30 ans qui a ravagé notre continent dans la première moitié du 20ième siècle. Curieux hasard, le traité de westphalie mettait lui également fin à une guerre civile européenne de 30 ans.
* Le second stade est celui de la régio-fragmentation. Ce processus que l’on nous affirme comme éminemment politico-progressiste (les régions seraient le stade ultime de l’intégration politique européenne) est en fait le résultat d’un processus politique extérieur volontaire afin d’affaiblir l’Europe en la morcelant en entité qui de par leur petite taille n’ont plus aucune autonomie économique ni de souveraineté militaire. Cela a été particulièrement le cas pour l’est de l’Europe comme en Tchécoslovaquie, en Yougoslavie ou en URSS, pour des raisons évidentes : ces nations ne « baignant » dans le bain Occidental que depuis peu elles étaient suspectes de réticence à l’alignement euro-atlantique.
Quoi alors de plus étonnant que les partis Européens les plus éminemment régionalistes soient les partis les plus européistes et les actifs en faveur de l’extension de l’OTAN et de l’intégration euro-atlantique. Ces mêmes « lignes » politiques sont partagées par les commissaires de Bruxelles, agents zélés des intérêts Américains en Europe.
Evidemment cette Europe de Bruxelles est évidemment l’inverse de l’Europe puissante et indépendante que nous voulons. L’union Européenne charnelle et réelle (et non légale) est néanmoins le seul objectif à défendre pour que les Européens maîtrisent leur destin et redeviennent acteur et non seulement spectateurs. Hors le monde de demain ne sera probablement pas un monde plus « ouvert » que celui que nous connaissons, ce sera plausiblement un monde d’affrontements, de conflits de blocs, de territoires, de zones et de civilisations. Dans ce monde de tension croissante, la clef pour l’Europe est de se doter d’une structure de défense qui lui appartienne et lui permette de protéger ses intérêts et ses citoyens. En ce sens, les propositions du président Medvedev sur la nécessité de créer une structure de sécurité Pan-Européenne (remplaçant l’OTAN) sont un défi réellement intéressant pour l’Europe.

Dans un monde polycentrique et multipolaire, sortir de l’OTAN et créer une défense continentale non atlantique.
L’OTAN est une alliance militaire constituée en 1949 pour faire face à l’URSS mais aussi au risque futur d’une nouvelle situation pour l’Europe comme celle-ci avait connu avec l’Allemagne. Rapidement, cette alliance sous la coupe des anglo saxons entraîna la constitution d’une alliance concurrente dans l’autre bloc (soviétique) en 1955 : « le pacte de Varsovie ». Cette double alliance scinda le monde en deux blocs rivaux jusqu’en 1958, lorsque la France de De Gaulle décida de quitter le bloc anglo-saxon et de développer son propre programme nucléaire. En 1966, la France quitte le commandement de l’OTAN, et le siège de l’OTAN est déplacé de Paris à Bruxelles, ce qui est toujours le cas aujourd’hui, Bruxelles hébergeant donc et les institutions Européennes, et celles de l’OTAN. Retour dans le giron moins de 30 ans plus tard puisqu’en 1995, le président Français Chirac entama les négociations de retour au sein du commandement intégré de l’OTAN, retour avalisé et effectué par le président Nicolas Sarkosy le 17 mars 2009.

Il convient dès lors de se demander quelles sont les raisons de ce retour de la France en tant qu’acteur essentiel au sein de l’OTAN. Celle-ci n’a en effet aujourd’hui que deux fonctions principales, qui sont les deux dans le pur intérêt de l’Amérique mais vont toalement à l’encontre des intérêts Européens.
Tout d’abord elle est devenue une arme de conquête du heartland Eurasien par l’Amérique et en ce sens, son extension à l’est, vers les frontières de la Russie, passe par l’adhésion de nations nouvelles (nouvelle Europe) pour des motifs erronés, qui sont la crainte historique d’un impérialisme Russe qui n’existe pas mais que les stratèges américains entretiennent parfaitement.

Sous couvert d’entrée dans le  « partenariat euro-atlantique », l’OTAN s’installe directement dans le cœur de l’Europe afin de pousser la Russie dans ses retranchements orientaux et de diviser une nouvelle fois l’Europe en installant ses bases militaires devant la frontière Russe. C’est le but réel de la campagne de Serbie (la Serbie étant un pion Russe dans la logique du Pentagone) avec la base bondsteel mais également de la révolution orchestrée en Ukraine, le but étant d’installer une base Américaine en crimée, en lieu et place de la base Russe actuelle.
Depuis le 11/09/2001 également, l’OTAN s’est transformée en « armée » de croisés au yeux du monde musulman, les mêmes stratèges tentant de nous persuader que l’OTAN est un rempart contre l’islamisme agressif et terroriste. Pourtant nul besoin d’être savant pour comprendre que la campagne d’Irak et celle d’Afghanistan, si elles devaient être gagnées (ce qui ne sera vraisemblablement pas le cas) ne vaincraient pas le « terrorisme Islamique ». L’Islamisme est aujourd’hui utilisé comme bouclier et paravent pour justifier des objectifs géopolitiques bien antérieurs. Ne suspecte t’on pas que l’attaque de l’Afghanistan ait été justifié par le 11/09 mais planifiée bien avant et que son but réel soit l’implantation de troupes US au cœur de l’Eurasie ? Peut on sans rire croire que l’Irak baathiste de saddam hussein ai été un des vecteurs du terrorisme islamique mondial, ou plutôt visée pour ses puits de pétrole ?

Les guerres de domination de l’empire Américain sont des guerres pour la maîtrise des ressources naturelles, qui sont concentrées (hormis en Arctique) entre la péninsule Arabe, l’Irak, l’Iran, le golfe Persique, le sud Russie (caucase) et l’Afghanistan.  Hors ces conflits énergétiques déclenchés sur des faux motifs ne sont pas ceux de l’Europe. Pire ils sont susceptibles d’entrainer l’europe dans des tensions ethniquo-religieuses sur « son » territoire. La désintégration de la Yougoslavie nous a montré à quel point une structure de sécurité était essentielle pour maintenir son harmonie et faire face aux déstabilisations de l’extérieur.

L’affaire récente du Kosovo a parfaitement démontré à quel point l’europe sert de tête de pont aux américains pour « attaquer » et « conquérir » l’Eurasie, et donc la Russie tout en créant des tensions entre peuples Européens et surtout avec la Russie, à qui « l’avertissement » Serbe était adressé. Point d’orgue de cette politique de conquête, le vote du Silk road strategy Act par le congrès US en 1999 destiné à « favoriser l’indépendance des pays du Caucase et d’Asie centrale et à créer un  pont terrestre détournant le commerce de ces pays avec l’ouest (qui passe actuellement par le territoire russe) vers le trajet de l’antique Route de la Soie aboutissant aux ports turcs, donc à un pays de l’OTAN. L’oléoduc BTC qui passe par la Georgie s’inscrit dans cette stratégie et explique en partie le développement de l’assistance militaire à la Géorgie depuis l’arrivée au pouvoir de Mikhaïl Saakachvili.

Dans un monde polycentrique et multipolaire, éviter la désintégration continentale.
Toujours en 1999, malgré l’attaque de la Serbie, et après 10 ans d’effondrement total, la prise de pouvoir de Vladimir Poutine va redresser la Russie et replacer celle ci sur le devant de la scène politique mondiale. L’Europe ayant basculé vers l’OTAN (participation des nations européennes à l’agression contre la Serbie), la Russie, la Chine et les nations musulmanes d’Asie centrale créent en 2001 
l’Organisation de Shanghai ainsi que l’OSTC en 2002. Ces alliances militaires eurasiatique et inter-religieuses ayant pour but de répondre au double encerclement Russe et Chinois par l’armée Américaine et à défendre le pré-carré régional eurasiatique.  Comme le disait Zbigniew Brezinski : « La stratégie eurasiatique des Etats Unis a suscité en réaction un rapprochement entre la Russie et la Chine. Les deux puissances continentales sont en train de construire une véritable alliance militaire face à la coalition anglo-saxonne et à ses alliés. » 

Cette offensive Américaine vers l’est (de Berlin à Kiev) s’est matérialisée en deux étapes essentielles, de 1996 à 2009.
* En 1996 est créé l'organisation GUUAM qui regroupe Géorgie, Uzbékistan , Ukraine, Azerbaïdjan et Moldavie. Ces nations désirent à l’époque « sortir » du Giron post soviétique après la chute du mur et dans un contexte d’effondrement de l’état Russe. Il n’est pas surprenant que ces nations aient des positions géographiques 
stratégiques et par conséquent aient été victimes des révolutions de couleur financées par les ONG proches de la CIA (révolution orange, des tulipes, des roses et récemment en Moldavie après les élections) ainsi que des changements de régimes pro Occidentaux liés. Symbole de la « couleur » de cette association, les membres observateurs sont la Turquie et la Lettonie (!). Néanmoins ces régimes renversés n’ont pas obtenu les résultats escomptés par leur supporters (intégration dans l’OTAN et l’UE, amélioration du niveau de vie ..) mais au contraire ont entrainé une dégradation de la situation économique et aucune intégration dans le système euro-atlantique. C’est la raison pour laquelle le départ de l’Ouzbékistan en 2005 et l’absence de réalisation concrète de l’organisation l’ont mise en sommeil politique et qu’en mai 2006, le politologue azerbaïdjanais Zardust Alizadé exprimait encore ses doutes quant aux « perspectives de développement de l'alliance, et l'obtention de résultats pratiques ».

* Aujourd’hui, la seconde étape se matérialise agressivement via l’apparition d’un nouveau front, que l’on peut appeler le GUA (Georgie, Ukraine, Arctique).
En Géorgie : l’incapacité politique du président a incité les stratèges Américains à lancer une opération militaire en août 2008, celle-ci ayant néanmoins échoué puisque l’armée Russe a répondu avec force et a « libéré » les territoires d’Ossétie et d’Abkazie. Ce conflit est le premier conflit de la Russie avec l’Amérique hors des frontières Russes (la précédente étant la déstabilisation Wahabitte en Tchétchénie, fomentée en grande partie par la CIA).
En Ukraine les récents conflits gaziers témoignent des tensions grandissantes et un observateur éclairé jugeait récemment que « un conflit limité, sous le prétexte d'un litige territorial, devrait éclater entraînant une rupture des fournitures de gaz pour une période plus ou moins lingue, les crises gazières sont provoquées afin d'entraîner les consommateurs européens à une telle coupure ».

L’arctique nécessitant un développement propre, j’incite mes lecteurs à lire mes précédents articles à ce sujet (ici et la) et à consulter le blog de « 
zebrastationpolaire » à ce sujet.

Ces manœuvres d’encerclement, d’endiguement et de déstabilisation ont divers objectifs :
-  Contrôler les pourtours des mers noire, caspienne et baltique, zone  essentielles et de transit entre l’orient et l’occident.
- Maîtriser les futurs corridors énergétiques, notamment via un projet de construction d’oléo- et gazoducs contournant la Russie mais reliant les régions de la Caspienne, de la mer Noire et de la Mer Baltique.
- Etendre l’influence de l’OTAN le plus à l’est, au cœur de l’Eurasie afin de réduire la sphère d’influence de la Russie (sur son étranger proche) mais surtout en Europe et empêcher un éventuel développement de l’influence Chinoise vers l’asie centrale
Évidemment un lecteur non averti me dira que les russes et les américains n’ont cessé de s’affronter depuis 1945 et que globalement, ce n’est pas l’affaire de l’Europe et des Européens. Hors c’est précisément l’inverse…

Dans un monde polycentrique et multipolaire, l’alliance Euro-Russe, clef de voute de la paix sur le continent.
Les conséquences sus cités sont absolument dramatiques pour l’Europe. Elles ont pour conséquences de nous couper de la Russie sur un plan civilisationnel, géopolitique, politique et énergétique ou encore de créer un nouveau mur en Europe, non plus à berlin mais au cœur de l’Ukraine, en séparant l’Ouest (ensemble sous influence Américaine) de l’Est (ensemble sous influence Russe). Plus prosaiquement, cette ligne de fracture coupe « presque » l’Europe orthodoxe de l’europe catholico-protestante, reprenant la vision des civilisations séparées de S. Hungtinton dans son ouvrage « le choc des civilisations ». Enfin il est à noter que la Chine, acteur géopolitique et économique majeur, juge probablement l’Europe (via l’OTAN) co-responsable de la situation d’encerclement total qu’elle subit, que ce soit à l’ouest (
ring centro-asiatique) et à l’est (dans le pacifique devant ses côtes). Cette rupture avec deux acteurs essentiels que sont la Russie (le pays le plus grand du monde) et la Chine (le pays le plus peuple du monde) sont doublement graves. En cas de tension croissante entre l’OTAN et l’OCS, la France et les pays d’Europe Occidentale seraient en conflit avec une organisation qui regroupe presque un homme sur trois dans le monde, couvret 32,3 millions de km² et comprend au niveau des ressources énergétiques 20 % des ressources mondiales de pétrole, 38 % du gaz naturel, 40 % du charbon, et 50 % de l'uranium.

Cette stratégie de séparation de la Russie et de l’Europe de l’ouest et du centre a en outre comme conséquence de « limiter » l’Europe dans un micro territoire encastré à l’ouest du continent et de la couper des possibilitées immenses que lui offriraient un partenariat avec la Russie.

·         L’Europe à besoin de la Russie au niveau énergétique car la Russie dispose des réserves de gaz et de pétrole dont l’Europe à besoin. La Russie est un fournisseur stable comme le prouve sa relation avec la Turquie qui ne souffre elle d’aucun problème d’approvisionnement (il faut rappeller que les coupures d’approvisionnement lors de la guerre du gaz avec l’Ukraine étaient dus à cette dernière mais que les « médias » ont curieusement désignés la Russie comme coupable). La  question énergétique est essentielle car l’Europe sous commandement Américain se voit proposer des alternatives à hauts risques, comme celui de remplacer la Russie par la Turquie (pays de l’otan candidat à l’UE !) comme fournisseur énergétique (Nabucco au lieu de south stream) ou encore de participer à des conflits pour l’énergie (Irak) dont elle pourrait se passer.

·         L’Europe a besoin du fabuleux potentiel que représente la Russie, tant le potentiel humain avec ses 140 millions d’habitants, que géographique avec ses 17 millions de Km² et le débouché sur le pacifique. Elle deviendrait ainsi un acteur de premier plan notamment avec le monde asiatique, qui en en plein développement.

·         La Russie à également besoin de l’Europe et des Européens, tant pour l’acheminement de ses matières premières que pour ses technologies ou son capital humain, qu’elle pourrait utiliser afin de combler le dépeuplement à l’est de l’oural. Enfin et surtout, elle a besoin de l’Europe comme d’un allié naturel, complémentaire car issu de la même civilisation.

En effet cette unité Euro-Russe (seule garante de paix et d'indépendance pour les peuples du continent) n'est pas seulement vitale, elle est souhaitable car les Européens d'Occident ou de Russie appartiennent avant tout à la même civilisation.

Comme le disait récemment Natalia Narotchnitskaïa lors d’un colloque à Paris : « La vraie coopération entre la Russie et l’Europe pourrait cependant donner un nouvel élan à notre continent à l’aube du troisième millénaire. Les grandes cultures romano-germanique et russe-orthodoxe partagent un seul et même fondement apostolique, chrétien et spirituel. Les Européens, qu’ils soient Occidentaux ou Russes, ont donné au monde les plus grands exemples de la spiritualité latine et orthodoxe ».

Voilà pourquoi l’avenir de l’Europe, c'est la Russie.

dimanche, 04 octobre 2009

La guerre en Irak est-elle finie?

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La guerre en Irak est-elle finie ?

Exclusivité: http://unitepopulaire.org/

Depuis que le nouveau président américain, Barak Obama, a promis que les forces américaines allaient quitter l’Irak, la couverture médiatique sur ce pays a beaucoup diminué. Tout va-t-il donc pour le mieux dans chez les Irakiens ? En 2009, les efforts américains paraissent se focaliser sur la pacification de l’Afghanistan, et bien que cette tâche semble perdue, c’est sur cette affaire que les médias se concentrent pour le moment. Pour celles et ceux qui suivent l’information hors des médias traditionnels – notamment sur les divers sites d’information dont l’excellent Antiwar – il apparaît que la violence en Irak, un peu à la baisse en 2007, s’est de nouveau élevée à un niveau terrifiant. Attentats, voitures piégées, kamikazes, tirs de mortiers, faisant des centaines de morts par semaine… Si les soldats américains, retranchés dans leurs immenses bases et ambassades, semblent ne pas trop subir de pertes, et que le nombre de morts et blessés mercenaires reste aussi flou que jamais, ce sont les civils irakiens de toutes confessions, âge et sexe, qui sont le plus touchés.

Il est légitime de se demander si la guerre en Irak est finie, si les forces américaines vont quitter (officiellement, sinon officieusement) le pays, et quels sont les enjeux politiques et géostratégiques locaux et régionaux qui pourraient aider à répondre à ces questions. C’est afin de répondre à ces questions que l’historien français Denis Gorteau a écrit un livre, La Guerre en Irak Est-elle Finie ?, édité aux éditions Yvelines en juin 2009, qui résume fort bien les tenants et les aboutissants de cette guerre déclenchée par George W. Bush en 2003.

Je recommande ce livre a toute personne ne connaissant que peu de choses sur cette région-là du monde, car en 273 pages, c’est toute l’histoire du Moyen-Orient (et des Etats-Unis) qui est résumée de manière concise et intelligente. Même l’historien amateur ou passionné de géostratégie dont je suis peut trouver dans ce livre, au-delà de l’exposé des faits, un bon nombre d’idées judicieuses sur la manière dont pétrole, Israël, l’Iran, la Russie, la Chine, les Etats-Unis, le nationalisme arabe et l’Islam s’emboîtent en alliances, parfois contre-nature, conflits – larvés ou ouverts – pour façonner, souvent de manière tragique, une région stratégiquement vitale pour le monde moderne. Même le lecteur d’excellents livres sur le sujet, comme Cobra II de Michael R. Gordon, Fiasco de Thomas E. Ricks, Hubris de Michael Isikoff, ou la trilogie de Bob Woodward (Plan of Attack, Bush at War, State of Denial) pourra trouver dans La Guerre en Irak Est-elle Finie ? des idées pertinentes et novatrices, malgré – ou justement parce que – l’approche très factuelle, mais dans laquelle on sent un vrai attachement de l’auteur pour les peuples de la région qui subissent depuis fort longtemps un cycle d’injustices et de violences inouïes.

Denis Gorteau, qui sera d’ailleurs en conférence prochainement à Genève sur ce thème (date à préciser), explique notamment très bien les différentes facettes historiques de cette guerre et touche très rapidement aux sujets qui ont rendu la situation si cruelle pour les Irakiens et si inextricable pour l’ensemble des acteurs du conflit.

 

pour Unité Populaire, Piero Falotti

vendredi, 02 octobre 2009

Türkische Gemeinde kritisiert brandenburgischen Lehrplan

kenan-kolat.jpgTürkische Gemeinde kritisiert brandenburgischen Lehrplan

BERLIN. Der Vorsitzende der Türkischen Gemeinde in Deutschland, Kenan Kolat, hat den brandenburgischen Lehrplan kritisiert, weil darin das Massaker an der Armeniern zwischen 1915 und 1917 als „Genozid“ bezeichnet wird.

In der türkischen Tageszeitung Hürriyet kündigte Kolat an, er werde sich in dieser Angelegenheit an den Ministerpräsidenten Matthias Platzeck (SPD) wenden. Der Vorwurf des Völkermordes an den Armeniern sei für türkische Schüler eine besondere Belastung und setze sie psychologisch unter Druck. Außerdem gefährde er den inneren Frieden, sagte Kolat.

Er habe zudem in einem Brief an Kanzlerin Angela Merkel (CDU) gegen den geplanten Bau einer Gedenkstätte für den Potsdamer Pfarrer Johannes Lepsius (1858-1926) protestiert. Lepsius war 1914 Mitbegründer der Deutsch-Armenischen Gesellschaft und dokumentierte 1915/16 den Völkermord an den Armeniern im Osmanischen Reich. (krk)

QUELLE : http://jungefreiheit.de/

(Photo: Kenan Kolat)

 

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Charles Michel en denken op lange termijn...

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Charles Michel en denken op lange termijn...

Geplaatst door yvespernet op 23 september 2009

…blijkt geen goede combinatie. En waar blijkt dit uit?

…blijkt geen goede combinatie. Aanleiding hiervoor?
http://www.hln.be/hln/nl/2659/Voedselcrisis/article/detail/1000036/2009/09/22/Eindelijk-Michel-pleit-om-honger-te-bestrijden-met-melk-die-boeren-wegkappen.dhtml
Elke vijf seconden overlijdt in de wereld een kind van de honger, en boze boeren gieten hier in Europa de melk met de miljoenen liters uit op hun akkers: heel veel mensen hebben het hier bijzonder moeilijk mee en ze worden eindelijk bijgetreden door een politicus.
Pleidooi
Onze minister voor Ontwikkelingssamenwerking Charles Michel gaat bij EU-voorzitter Zweden en bij de Verenigde Naties bepleiten om de melk die boze boeren nu op hun akkers lozen naar landen te sturen waar hongersnood heerst, zoals Somalië, Ethiopië en Kenia….blijkt geen goede combinatie. Aanleiding hiervoor?

http://www.hln.be/hln/nl/2659/Voedselcrisis/article/detail/1000036/2009/09/22/Eindelijk-Michel-pleit-om-honger-te-bestrijden-met-melk-die-boeren-wegkappen.dhtml

Elke vijf seconden overlijdt in de wereld een kind van de honger, en boze boeren gieten hier in Europa de melk met de miljoenen liters uit op hun akkers: heel veel mensen hebben het hier bijzonder moeilijk mee en ze worden eindelijk bijgetreden door een politicus. [...] Onze minister voor Ontwikkelingssamenwerking Charles Michel gaat bij EU-voorzitter Zweden en bij de Verenigde Naties bepleiten om de melk die boze boeren nu op hun akkers lozen naar landen te sturen waar hongersnood heerst, zoals Somalië, Ethiopië en Kenia.

lk geef toe, het klinkt allemaal simpel en heel nobel. Wij hebben voedsel te veel, zij hebben voedsel teveel. Maar door de landbouwoverschotten te gaan weggeven, ga je niets oplossen. Sterker nog, dan ga je de zaken veel erger maken. Één van de grootste problemen van Afrika zit immers in de kapitaalsconcentratie. Je hebt een kleine topklasse met enorm veel geld, een enorme onderlaag met niets en daartussen zit amper iemand. Er is in andere woorden geen middenstand in Afrika, geen lokale ondernemers, geen “burgerij” (in de mate dat die term volledig toepasbaar is hier).

Wat gaat gratis voedsel weggeven veroorzaken? In gebieden waar enkel een economische woestenij is, kan dat inderdaad problemen op korte termijn oplossen. In gebieden waar er nog een iewat onafhankelijk economisch leven is, onafhankelijk van de grote elites aan de top en waar de middenstand genoeg kapitaal kan vergaren om te overleven, is dit soort beleid een regelrechte ramp! Laten we ons even verplaatsen in de geest van de gemiddelde Afrikaanse consument in die laatste gebieden. Je hebt honger en je kan kiezen:

  1. Voedsel bij de lokale winkel kopen en kapitaal verliezen.
  2. Voedsel krijgen bij de voedselbedeling uit westerse landen.

Het overgrote merendeel zal voor optie twee kiezen. Dit zorgt echter voor een verarming van de lokale Afrikaanse economie en een verergering van de economische toestand in Afrika. Iets dat destijds ook gebeurd is in de vleesmarkten rond de Sahel-landen waar de gratis voedseloverschotten vanuit Europa uiteindelijk een economische sector in opbouw, die op lange termijn had kunnen zorgen voor een onafhankelijkheid van die landen voor voedselvoorraad, instortte. Men zou beter dit voedsel aan goedkope prijzen verkopen aan de lokale middenstand gecombineerd met een beleid waarbij microkredieten een prominente rol spelen.

 

mercredi, 30 septembre 2009

Chavez busca unir Africa y Sudamérica con el antiimperialismo

Chávez busca unir África y Sudamérica con el antiimperialismo

El presidente venezolano, Hugo Chávez, tratará de vender su “revolución antiimperialista” como el cemento para forjar la unión Sudamérica-África, aunque para muchos es Brasil, con su política moderada y poderosa economía, la llamada a conducir la incipiente integración “Sur-Sur”.

Tres años después de su primera cumbre, líderes de ambos continentes se vuelven a reunir el sábado y domingo en la isla de Margarita, en el caribe venezolano, para estrechar lazos políticos y comerciales que les permitan crear un frente común de países emergentes en foros e instituciones globales.

La reforma de Naciones Unidas, un mayor peso en el Fondo Monetario Internacional y el Banco Mundial o acercar posturas para enfrentar las estancadas conversaciones comerciales globales se unirán con compromisos de una cooperación más amplia en materia energética, comercial y cultural entre ambas regiones.


Para Chávez, declarado admirador del fallecido presidente Gamal Abdel Nasser -quien encabezó la revolución egipcia e inspiró movimientos anticoloniales en Argelia, Libia e Irak- esa voz común puede surgir de un rechazo común al imperio estadounidense, al que culpa de la inequidad mundial.

“Todos los imperios le cayeron al África, todos. No hay un solo imperio que no haya pasado por África”, dijo recientemente en una de sus frecuentes alocuciones televisivas.

“Nosotros queremos que Caracas se convierta en un centro de llegada, de actividades y de conexiones con otros países de Sudamérica, del Caribe, de Centroamérica para África”, agregó el mandatario, quien busca emular al líder cubano Fidel Castro como referencia latinoamericana en la “madre patria África”.

Sin embargo, su dura retórica antiestadounidense encuentra un difícil obstáculo en la figura de Barack Obama, primer afroamericano en llegar a la Casa Blanca, mientras que el poco peso económico de Venezuela en África le resta atractivo para los heterogéneos países de esa región.

Y más cuando su enemistad con Washington le lleva a forjar lazos con controvertidos líderes como el libio Muamar Gadafi, el zimbabuense Robert Mugabe y, sobre todo, con el sudanés Omar Hasan al Bashir, invitado a la cumbre pese a estar reclamado por tribunales internacionales.

“Gadafi y Mugabe todavía tienen apoyo en África, mientras que Al Bashir es ampliamente detestado y visto en la mayor parte de África como un paria total, responsable por los asesinatos en masa en Darfur”, dijo Patrick Smith, editor del boletín África Confidential.

BRASIL, ¿EL GRAN JUGADOR?

Como uno de los mayores exportadores mundiales de crudo, Venezuela ha desplegado parte de su petrodiplomacia en África, prometiendo una refinería a Mauritania y acuerdos energéticos con países como Mali y Níger. Pero los bajos precios petroleros este año han limitado su acción.

“Venezuela no es muy visible en África, aunque existen ciertas aspiraciones”, dijo Alex Vines, experto en África en el instituto Chatham House de Londres.

Dado que el crudo es prácticamente su único producto de exportación, Caracas se ha quedado muy rezagada frente a otros países latinoamericanos como Brasil, Argentina y México en la creación de vínculos comerciales con África.

Por eso, analistas creen que los pesos pesados africanos, especialmente Sudáfrica, ven más pragmático trabajar con el líder brasileño Luiz Inacio Lula da Silva, al frente de una potencia emergente y popular entre pobres y empresarios, que con el controvertido militar retirado.

“Brasil y Sudáfrica tienen una relación comercial en auge y son las dos potencias regionales por excelencia. Todo intento por fortalecer las relaciones entre Sudamérica y África tiene que partir de las iniciativas de estos países”, dijo Patrick Esteruelas, analista de riesgo político en Eurasia Group.

Sin embargo, algunos observadores ven en Brasil menos voluntad política por liderar la llamada integración regional “Sur-Sur”, un proceso político, comercial y cultural que requeriría de grandes esfuerzos diplomáticos para combinar la gran disparidad de voces dentro de ambos bloques.

Pero muchos países africanos se sienten atraídos por las políticas de nacionalismo sobre los recursos energéticos que ha desarrollado el mandatario venezolano, quien ha estatizado amplios sectores de la economía en pos de la construcción de su llamado “socialismo del siglo XXI” en el país petrolero.

“Los países de África están revisándose, así me consta, y muchos están retomando la tesis del socialismo africano”, aseveró Chávez.

Enrique Andrés Pretel

Extraído de SwissInfo.

Les arguments rationnels ne manquent pas - Pour conclure à propos de la candidature d'Ankara

Les arguments rationnels ne manquent pas

Pour conclure à propos de la candidature d'Ankara

090925

Ex: http://www.insolent.fr/
Je boucle aujourd'hui le dossier consacré à la question turque, mon petit livre paraissant la semaine prochaine, un peu plus lourd que prévu (1).

Au moment où j'écris, en vue de conclure, d'importantes transformations agitent le débat politique en Turquie même, sans que les Européens semblent en recevoir l'information. Il s'agira probablement d'évolutions en partie réelles. Le parti actuellement majoritaire AKP, et les forces confrériques qu'il représente, poussent leurs pions pour des raisons essentiellement nationales. Mais le courant de réforme a explicitement été développé fin juin en fonction de la candidature à l'Union européenne, en vue de la rendre présentable. Cela a été répété par le premier ministre Erdogan et par le président de la république Abdullah Gül.

On a ainsi assisté à une offensive diplomatique en direction des Arméniens, en leur promettant à terme la réouverture d'une frontière dont le blocage enclave complètement leur pays. On a vaguement ouvert la porte à une normalisation du statut de minorités religieuses. Or ces dernières se trouvent numériquement si affaiblies qu'on se demande désormais quelle menace elles pourraient bien représenter encore pour l'ombrageux jacobinisme turc. On prend ainsi en otage leurs représentants afin d'en faire des agents de la diplomatie turque, dans la tradition des pays totalitaires.

La plus importante avancée serait proposée aux Kurdes. Or, après que le chef du gouvernement ait reçu certains dirigeants de leur contestation, une passe d'armes considérable aura opposé entre le 25 août et le 22 septembre, les dirigeants politiques et le chef d'État-Major des forces armées turques, le général Basbug. Celui-ci avait déclaré en août que l'armée ne pourrait accepter et que par conséquent elle s'opposerait à tout plan violant l'article 3 de la constitution lequel dispose 1° que la Turquie est un État unitaire et indivisible, et 2° que sa langue est le turc. Les opposants kémalistes et nationalistes faisaient chorus et criaient à la trahison gouvernementale. On ne pouvait menacer plus nettement d'une hypothèse de putsch récurrente dans la vie politique de ce pays depuis qu'en 1946 il a adopté le pluralisme démocratique.

En moins d'un mois, et malgré le ramadan, le chef du gouvernement et du parti AKP est intervenu à la télévision pour démentir toute rumeur de réforme vraiment radicale, et enfin le 22 septembre à Mardin le général Basbug pouvait déclarer désormais qu'il avait obtenu satisfaction, et qu'il ne fallait plus s'inquiéter. Il ne fallait même plus que les officiers regardent les fausses nouvelles déprimantes annoncées par les chaînes de télévision de leur beau pays. Aucune vraie concession linguistique ou institutionnelle ne sera faite aux Kurdes. L'armée n'a même pas eu besoin de faire la démarche de l'hiver 1996-1997, où elle avait forcé le gouvernement à la démission. Elle pense avoir obtenu gain de cause en se contentant de froncer les sourcils à la fin de l'été.

Toute cette affaire était donc destinée à ménager les apparences auprès des interlocuteurs de Bruxelles, aux gens si représentatifs comme Emma Bonino, Michel Rocard et autres directeurs de conscience qui relayent la propagande de nos chers amis. Les réformes promises demeureront cosmétiques ou elles ne verront même pas le jour. Mais cela suffira à quelques médiats européens de saluer de nouveaux "espoirs", d'hypothétiques "accords en vue", de prétendus "progrès dans la négociation" aussi fallacieux que par le passé.

Et, à vrai dire, quand on s'efforce, depuis des années, de suivre l'avancée de la candidature d'Ankara auprès de l'Europe institutionnelle, on éprouve une véritable difficulté s'agissant de comprendre la logique de ceux qui s'y acharnent. Ils peuvent appeler cette carpe lapin, ils ne parviennent pas à faire courir devant nos yeux ce malheureux poisson, et cela dure depuis 20 ans. À force de mentir cependant ils finissent petit à petit par persuader à la partie bienveillante de l'opinion qu'il courra. Bientôt on pariera sur sa victoire.

Turgut Özal a déposé son dossier en 1987 près d'un quart de siècle après le premier accord d'association commerciale de 1963. À cette époque, premier ministre désigné par une dictature il rassurait les milieux d'affaires, et il mettait en place la transition vers un régime civil conforme aux desiderata du coup d'État militaire de septembre 1980. Le général Evren dirigeait le pays en qualité de président de la république désigné par l'Etat-Major de l'armée. Il s'agissait de normaliser l'apparence de la vie politique mais également l'image internationale du pays. À cette candidature pratiquement personne, en Europe, ne pouvait croire vraiment. On s'interrogeait alors à Bruxelles : « comment éluder sans vexer ». Il initiait cette demande alors que la commission Delors s'employait à franchir une première étape en direction de la construction politique, prolongeant la communauté économique des premiers traités. Cette évolution allait donner naissance à l'Union européenne scellée en 1991 à Maastricht. Or à l'époque la Turquie briguait le 13e siège d'une communauté ne comptant encore que 12 membres. Aujourd'hui nous avons atteint le nombre de 27 nations. D'autres nouvelles adhésions se profilent (Croatie, Islande par exemple) plus vraisemblables, plus mûres que celle de ce pilier de l'OTAN.

À vrai dire, survolant les problèmes, le Département d'État de Washington semble la seule bureaucratie qui ait toujours cru, ou fait semblant de croire, à l'appartenance européenne de ce pays. Et comme cela n'a jamais rien coûté aux présidents américains, ils réitèrent régulièrement, quand ils rencontrent leurs homologues turcs, l'expression conventionnelle de leur opinion favorable, à la grande satisfaction des médiats d'Istanbul. Surestimer cependant le poids de telles déclarations diplomatiques tendrait à masquer les responsabilités de la sottise européenne.

Car, en même temps, subrepticement, dans les coulisses bruxelloises, le dossier technique continue d'avancer. Certes il suit un rythme de tortue. Certes il fait bon marché de toute vraisemblance. Certes il chemine dans la plus totale opacité. Certes en 2007 un candidat à la présidence de la république française a pu se faire élire en promettant de s'opposer à cette avancée turque. Pourtant en 2008, une réforme constitutionnelle fourre-tout, votée à Versailles, a permis de supprimer sans que les citoyens n'y prennent garde les dispositions introduites par l'éphémère article 88-5. Celui-ci avait été présenté comme la garantie suprême contre toute hypothèse d'un élargissement non voulu. Selon cet ancien additif à la constitution de 1958, tout traité de cette nature devait être soumis à un référendum de ratification par les Français. Mais hélas rien ne garantissait cette garantie. On la fit passer à la trappe un an après la victoire électorale.

Parallèlement encore, l'un après l'autre s'ouvrent des "chapitres" de négociations comme une tablette de chocolat, grignotée carré par carré, avant de disparaître : 35 chapitres, puis la ratification. Quand donc a-t-on vu une chose aussi extraordinaire qu'un dernier morceau de chocolat, le 36e, demeurer stoïquement et chastement, immangé, esseulé, dans son écrin de papier argenté, après que ses 35 confrères aient disparu ?

On va donc chercher à forcer la résistance naturelle des systèmes de droit, des hommes politiques et des citoyens pour des motifs géostratégiques chimériques inventés dans des bureaux aseptisés, entièrement coupés de toute réalité européenne charnelle. On va faire propager ces mots d'ordre par tous les serre-files habituels du politiquement correct.

Chacun d'entre nous a pu rencontrer tel ou tel de ces bons esprits. Dociles, ils croient dur comme fer à leur astrologie indémontrée mais péremptoire, car transmise depuis l'Antiquité grâce aux mages de la Chaldée ou de la Perse. Ils nous invitent à dépasser le stade, qu'eux-mêmes n'ont sans doute jamais atteint, celui la conscience nationale, identitaire ou européenne ; à les entendre, il faudrait voir plus haut et plus loin dans le devenir de l'humanité. La lourdeur de la géographie leur indiffère. La tragédie de l'Histoire leur échappe. Seul compte leur désir de paraître intelligents, et si cette illusion se révèle impossible, ils se voudront au moins dans le vent.

Or l'idée de prétendre les Turcs européens mériterait plutôt de se voir noter pour son ineptie, pour sa contradiction, et même, au fond, pour sa cocasserie.

On peut égrener des arguments rationnels. Ils ne manquent pas.

On les retrouvera tout au long du petit volume qui sort de presse ces jours-ci.

Essayons de les résumer pour constituer une sorte de fil conducteur.

1° Argument géographique. Ce pays ne se situe tout simplement pas en Europe. Il n'a donc pas plus vocation à participer à la confédération de notre continent que la possession du département français de la Guyane ne situe l'Hexagone en Amérique.

2° Argument mémoriel. Rationnellement, on professera sans doute que, si même les dirigeants d'Ankara consentaient de reconnaître le génocide arménien, cela ne déplacerait pas d'Asie en Europe le siège de leur gouvernement. Mais le seul fait que cet État s'obstine à nier les crimes commis par son prédécesseur de 1915, puisqu'il s'agissait du gouvernement jeune-turc et de l'empire ottoman, en dit long sur la différence de mentalité des gouvernants actuels de ce pays et ceux des nations d'Europe.

3° Argument linguistique. La langue turque n'est pas européenne. La culture à laquelle elle renvoie vient d'Asie centrale, mêlée au cours de l'Histoire aux apports d'autres cultures de l'orient, persanes et arabes.

4° Argument de la violence sociale. La société turque est fondée sur l'acceptation permanente d'une violence dont l'Europe s'est affranchie depuis plusieurs siècles.

5° Argument du système juridique. À plusieurs reprises, depuis le XIXe siècle, l'Empire ottoman d'abord, puis la république kémaliste ont cherché à importer sur le papier les pratiques et les principes juridiques de l'occident. Mais l'état de droit est fort loin de s'être vraiment acclimaté. Un certain nombre d'interdictions pèsent de manière redoutable sur la liberté d'expression, sur le droit de propriété, etc. L'importation des 85 000 pages de la réglementation européenne se révélerait inapplicable et illusoire.

6° Argument de l'économie. On invoque bien souvent l'imbrication des économies. En réalité, le pas décisif, franchi sous l'impulsion de la présidence français en 1993, et sous l'influence de MM. Balladur et Juppé, forçant le parlement européen à ratifier l'Union douanière, a créé une situation paradoxale. La sous-traitance industrielle développe l'économie turque sur la base du fait qu'elle n'est tributaire ni de la zone euro ni de la réglementation bruxelloise. Il en va de même avec d'autres pays émergents, on peut comparer cette situation avec celle de la Chine : cette forme de coopération économique exclut toute intégration juridique, monétaire, sociale et politique.

7° Argument du coût. La politique agricole et toutes les subventions et redistributions que l'Europe pratique ne sauraient mettre aux normes avant des décennies, à partir des budgets communautaires actuels, sans une modification radicale du pouvoir de financement de Bruxelles, cet immense pays aux besoins considérables. On notera par exemple que la formation brute de capital fixe y est à peine supérieure à celle de la Grèce, sept fois moins peuplée. L'Europe a encore de gros efforts à accomplir pour intégrer complètement les pays de l'est. Qui payera ?

8° Argument historique. Certes la plupart des nations européennes ont été en conflit, et alliées, les unes contre les autres, alternativement. Le seul ennemi commun des Européens depuis le XVe siècle a été la Turquie. On ne connaît pas les princesses turques ayant épousé un seul de nos rois.

9° Argument des réalités criminelles. À défaut de nous avoir donné ses princesses par le passé, ce pays nous expédie ses mafieux, ses trafics de drogue, ses réseaux d'immigration clandestine, ses énormes contrefaçons de nos marques, etc. On appelle cela un "grand pays ami".

10° Argument de l'homogénéité européenne. Bien évidemment cette irruption romprait toute perspective de constitution d'une société européenne, toute l'évolution naturelle de l'union vers la confédération, puis de celle-ci vers la fédération. On comprend mieux pourquoi les partisans de l'Europe des États, dite "intergouvernementale", adversaires forcenés de tout fédéralisme parce qu'adversaires de l'Europe, poussent cette candidature.

11° Argument de la taille et du poids dans les institutions. Insérée dans une Europe démocratique, la Turquie deviendrait, du seul fait de sa population, le principal État, elle compterait le plus grand nombre d'eurodéputés, etc.

12° Argument démocratique : les peuples n'en veulent pas. Cela devrait suffire à nos gouvernants.

Enfin, on doit mettre à part le contre argument des racines chrétiennes de l'Europe. Il préoccupe légitimement les croyants des diverses Églises et qui a été mentionné par Jean-Paul II et Benoît XVI ne peut pas être passé à la trappe. On peut constater qu'il existe aussi des racines européennes dans le christianisme, que Platon se retrouve chez les Pères de l'Église, qu'Aristote se retrouve dans saint Thomas d'Aquin, etc. manifestant une imprégnation réciproque des deux réalités. Mais on constate aussi qu'il est surtout invoqué "a contrario" par ceux qui prétendent "ne pas vouloir blesser les musulmans", qui veulent "empêcher que l'Europe soit un club chrétien". Mais précisément personne n'a jamais proposé rien de tel. On finit par se demander si l'argument ne consiste pas à considérer que la vraie raison, le meilleur titre de ce pays exotique à entrer dans la famille européenne viendrait de ce qu'il n'en a jamais fait partie. Il s'agirait de vouloir à tout prix le faire entrer, de soutenir, contre toute raison, cette encombrante candidature, parce qu'il est musulman.

Apostilles
  1. Notre "Cahier de l'Insolent" consacré à "La Question Turque" paraîtra avec quelques jours de retard, début octobre pour tenir compte débats importants ces jours-ci en Turquie. Il formera un petit livre finalement plus épais, de 164 pages, et coûtera en librairie 15 euros à l'unité après parution. Conçu comme un outil argumentaire, contenant une documentation, des informations et des réflexions largement inédites en France, vous pouvez le commander à l'avance, au prix franco de port de 8 euros pour un exemplaire, 35 euros pour la diffusion de 5 exemplaires (maintenu jusqu'au 1er octobre). Règlement par chèque à l'ordre de "l'Insolent" correspondance : 39 rue du Cherche Midi 75006 Paris.
JG Malliarakis

mardi, 29 septembre 2009

A propos du Sommet entre Africains et Latino-Américains

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A propos du Sommet entre Africains et Latino-Américains

 

Le sommet entre pays d’Afrique et d’Amérique latine se tiendra les 26 et 27 septembre prochains au Venezuela. Il aura pour but, selon le Président Chavez, de créer un “pont” entre les deux rives de l’Atlantique Sud. Dans la célèbre émission télévisée vénézuélienne “Alo Presidente!”, où Chavez s’adresse chaque dimanche directement à son peuple, le président “bolivarien” a déclaré: “Il faut créer un pont entre le Venezuela et l’Afrique, un pont de solidarité, de coopération, de rapprochement culturel, politique et économique qui s’avèrera fondamental pour la vie de nos deux continents”. Et: “Nous sommes latino-américains mais aussi africains; plus africains que les autres. Sans l’Afrique, nous ne serions pas tels que nous sommes”. Outre quelques outrances, qui pourraient prêter à rire, ce discours implique que des relations bilatérales entre continents peuvent désormais émerger (ou devraient pouvoir émerger) sans l’intervention de Washington et sans une participation nord-américaine. En ce sens, l’exemple que vient de donner Chavez, en tendant la main à l’Afrique, pourrait servir de modèle à l’Europe, qui ne parvient pas à se débarrasser du boulet atlantiste. Si Latino-Américains et Africains envisagent l’établissement de “ponts”, on ne voit pas pourquoi l’Europe et le reste de l’Eurasie n’envisageraient pas la consolidation définitive de “ponts” qui nous ramenerait à l’optimum stratégique que fut, pendant seulement une quinzaine d’années au début du 19ème siècle, la Pentarchie européenne qui s’étendait de l’Atlantique au Pacifique. Au contraire, l’Europe vassalisée tolère que Washington installe des obstacles entre l’Europe et le reste de l’Eurasie: surtout dans le Caucase, non seulement en entretenant l’abcès de fixation tchétchène, mais en induisant une nouvelle diplomatie turque à faire sauter le verrou arménien, entre la Turquie et l’Azerbaïdjan et, pire, à faire sauter le pont arménien potentiel entre la Russie et l’Iran.

 

La règle géopolitique en jeu ici est celle, éternelle, de la biocéanité: la Pentarchie était bi-océanique; la Doctrine Monroe visait la biocéanité nord-américaine; le Mercosur vise une bi-océanité ibéro-américaine entre Atlantique et Pacifique; les géopolitologues d’Amérique du Sud ont déjà, avant Chavez, imaginé un “pont” au-dessus du Pacifique (la géopolitique pacifique de Pinochet, notamment); désormais, comme dans les spéculations géopolitiques sur le “Cinquième Empire” de Dominique de Roux, Chavez entend rétablir un “pont” au-dessus de l’Atlantique Sud, en direction d’une Afrique, à laquelle les Britanniques ont toujours ravi la biocéanité, en torpillant les projets allemands, belges et portugais de “Mittelafrika” entre l’Atlantique et l’Océan Indien. La marche du monde, les vicissitudes de la politique internationale, sont bien souvent déterminées par la volonté de bi-océanicité: la Chine actuelle, notamment, cherche à devenir biocéanique, avec sa façade pacifique et ses bases au Myanmar, reliées au territoire chinois par les axes routiers birmans installés par les Alliés anglo-saxons pendant la seconde guerre mondiale pour venir en aide à Tchang Kai-Tchek. L’Axe euro-russe pourrait, lui, viser la quadri-océanité: arctique, atlantique, pacifique et indienne. A méditer.

 

Robert Steuckers.

Offensive atlantiste et pétrolière en Italie

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Offensive atlantiste et pétrolière en Italie

 

L’offensive atlantiste en Italie a de fortes odeurs d’hydrocarbures. En effet, les services spéciaux de Washington n’évoquent plus l’anti-communisme d’hier ni même l’anti-fascisme d’avant-hier, mais les oléoducs et gazoducs des lignes South Stream et Nabucco. Par la voix du collabo Giuseppe Vatinno, responsable d’ “Energie e Ambiente” (“Energie et Environnement”), le gouvernement Obama a condamné la politique énergétique de l’agence pétrolière italienne ENI, jugée “eurasienne” et “russophile”. Les propos de Vatinno ont été prononcés immédiatement après le long discours public d’Obama (un hasard?), où, récemment, le premier président afro-américain de l’histoire a évoqué les dangers  que courait la pauvre Europe en se plaçant sous la dépendance énergétique de la Russie (ce qui ne serait qu’une tentative de se soustraire à la dépendance totale qui la lie aux Etats-Unis...).

 

L’intervention de Vatinno prouve, d’abord, que le “soft power” fonctionne toujours de manière optimale dans le monde des médias. On obtient toujours un collabo et des effets de presse en un quart de tour. Ensuite, cela prouve, mais on s’en doutait, qu’il y a une continuité parfaite entre la politique pétrolière de Bush, Rice et Cheney et celle, plus diffuse mais bien réelle, d’Obama et de son équipe. Qui plus est, c’est au moment même où se met en place la stratégie de séduction à l’endroit de l’Arménie préconisée par le chef de la diplomatie turque Davutoglu, que Vatinno exhorte les Italiens à dénoncer la politique pétrolière de l’ENI et du gouvernement Berlusconi. Davutoglu et Erdogan courtisent (hypocritement) une Arménie enclavée pour qu’elle lâche du lest dans la région du Haut Karabakh qu’elle occupe après l’avoir délivrée du joug azéri. Un retrait arménien permettrait de laisser passer des oléoducs et des gazoducs sans aucun obstacle, et sous le seul contrôle des Turcs, entre les rives caspiennes de l’Azerbaïdjan turcophone et les côtes turques de la Mer Noire et de la Méditerranée. Vatinno déclare que l’ENI et l’Italie doivent abandonner le tracé de “South Stream”, amenant les hydrocarbures russes vers l’Europe et la péninsule italique et opter pour le tracé “Nabucco”, qui amène les hydrocarbures azéris via la Turquie! Le collabo Vatinno, le gouvernement Obama et la diplomatie de Davutoglu travaillent donc de concert, avec une orchestration parfaite.

 

Vatinno exhorte en même temps tous les pays de l’UE à écouter l’appel d’Obama! Il faut obéir au nouveau “chef”. Les doigts sur les coutures du pantalon. En dehors de ce que dit le chef, point de salut et, puisqu’il est partiellement “noir”, si vous ne lui obéissez pas, vous êtes un “raciste”, na, tralala. Obama ha sempre ragione!

 

Pour obtenir l’oreille des Européens, Vatinno n’hésite pas à qualifier le tracé “Nabucco” d’ “européen” et à stigmatiser “South Stream” d’ “asiatique” (mais sans évoquer “North Stream”...!). Pour le quotidien romain “Rinascita”, c’est là une “thèse incroyable”: “South Stream” est bien plus européen que “Nabucco” puisqu’il traverse la Bulgarie, la Grèce et aboutit en Italie (tous pays de l’UE); “Nabucco”, lui, traverse des pays non membres de l’UE, qui sont en guerre ou en état d’instabilité chronique, à cause des stratégies antirusses manigancées dans les officines du Pentagone: la Géorgie et la Turquie. L’atlantisme est une idéologie foncièrement irréaliste du point de vue européen: le discours de Vatinno le prouve à l’envi. Son argumentation n’a aucun fondement tangible, c’est-à-dire aucun fondement géographique sérieux.

 

La leçon à tirer de la gesticulation télécommandée de Vatinno: il est temps que les Européens prennent conscience de leur propre géographie; se tournent vers le réel concret et tellurique plutôt que vers les nuées et les fumées diffusées par les médias pour les amener à sortir du réel et, ainsi, à perdre tout sens de leur souveraineté.

 

(source: “Italia e Russia, legame necessario”, in “Rinascita”, Rome, 22 septembre 2009).

lundi, 28 septembre 2009

De quoi se mêle Hervé Morin?

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De quoi se mêle Hervé Morin?

 

Atlantiste délirant, Hervé Morin, ministre sarköziste de la défense en France, a lancé un appel à l’Italie, pour qu’elle ne retire pas ses troupes d’Afghanistan, sous la pression du peuple, las de voir couler en pure perte le sang de soldats italiens. En effet, six malheureux soldats du contingent italien viennent d’être tués dans un attentat suicide et le peuple italien manifeste sa rage de voir ses fils sacrifiés sur le sinistre autel d’une guerre totalement inutile à leur patrie et à l’Europe. Berlusconi, qui prend le pouls de l’opinion publique de la péninsule et sait d’instinct ce que veut son peuple, avait déclaré le 17 septembre dernier “que l’Italie désirait rapatrier ses troupes le plus vite possible”. Morin, sous la dictée de ses maîtres américains alarmés, exhorte dès lors les Italiens à demeurer présents en Afghanistan et à parachever le travail qu’ils avaient promis de faire: former la police afghane, supposée prendre le relais des soldats de l’OTAN dans un Afghanistan enfin pacifié (mais ce n’est pas demain la veille...). Pire: Morin passe du ton larmoyant, qui fait appel à la solidarité atlantiste, à la menace à peine déguisée, qui affirme que tout retrait italien doit procéder d’une “décision internationale”. Bref: l’Italie n’a pas le droit à la moindre parcelle de souveraineté nationale, n’a pas le droit d’envoyer ou de ne pas envoyer ses soldats où bon lui semble.

 

Nous constatons avec amertume que Paris redouble de zèle atlantiste, se veut le pompon de l’OTAN, l’élève-modèle, depuis son retour au bercail otanesque, en traitant sa “soeur latine” avec  une rudesse à peine déguisée et totalement injuste et injustifiable, sans le moindre respect pour ses sentiments et son chagrin. Notons que ce discours de Morin à Nijrab, lors d’une visite de quarante-huit heures aux troupes françaises stationnées en Afghanistan, arrive au même moment où le Général américain McChrystal, dans un rapport secret dont la presse d’Outre Atlantique a eu vent, réclame à Obama et à tous les alliés des Etats-Unis, l’envoi de renforts substantiels sur le terrain afghan. Hasard ou collusion?

 

Le sarközisme est l’idéologie larbine de l’américanisme, avec pour paradoxe qu’il émane d’une matrice gaullienne! A Colombey-les-Deux-Eglises, un vénérable ancêtre doit se retourner dans son caveau!

 

(source: Giampaolo Cufino, “Il Ministro della Difesa francese chiede all’Italia di rimanere in Afghanistan”, in: “Rinascita”, Rome, 22 septembre 2009).

Medvedev en Suisse

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Medvedev en Suisse

 

Medvedev se rendra en Suisse prochainement, pour une réunion de travail, immédiatement avant le sommet du G20 prévu à Pittsburgh aux Etats-Unis. Michael Ambuhl, le ministre suisse des affaires étrangères, a annoncé la couleur: “La Suisse a le désir de se faire une idée que ce qu’est la Russie aujourd’hui, en abandonnant les vieux stéréotypes de la guerre froide”. Quant à Hans Rudolf Merz, président de la Confédération Helvétique, il a déclaré: “La Russie est un pays stratégique. L’énergie, les fournitures de gaz et de pétrole sont des questions extrêmement importantes. Voilà pourquoi nous devons cultiver des relations”. Pour sa part, Medvedev a dit, très judicieusement, que “la Suisse est un pays libre de tout préjugé et en dehors des blocs”.

 

Cette parole n’est pas anodine, aussi peu anodine que celle d’Ambuhl. Elle exhorte, indirectement, tous les Etats d’Europe à se débarrasser de préjugés fabriqués par un certain “soft power”, à jeter aux orties tous les réflexes conditionnés qui empêchent de sortir de l’ornière (atlantiste) et d’envisager l’avenir en toute sérénité, à penser en dehors de toutes les logiques incapacitantes imposées jadis par les blocs. Mais le bloc soviétique n’existe plus. Il n’existe plus qu’un seul bloc qui impose, à la plupart des pays d’Europe, des “préjugés”: c’est le bloc rassemblé autour de Washington et de l’OTAN. Un bloc qui tente par tous les moyens de pérenniser les “stéréotypes de la guerre froide” qu’Ambuhl demande d’abandonner.

 

Le voyage de Medvedev en Suisse est l’occasion de forger entre Russes et Suisses des liens étroits sur les plans de l’énergie et des finances. Mais c’est aussi l’occasion de rendre hommage à la seule politique souverainiste qui soit: celle de la neutralité. Parce que la neutralité est, simultanément, une volonté de ne pas se laisser embrigader dans les errements de l’internationalisme américain. Et soit dit en passant, cet internationalisme-là n’est pas un concert volontaire de nations souveraines et libres, mais un cosmopolitisme régenté par un hegemon qui ne tolère aucune originalité comportementale. Le liant qui soude vaille que vaille ce cosmopolitisme ne relève pas d’une nécessité mais d’une propagande, inlassablement répétée par mille et un canaux médiatiques. Une propagande fabriquée de “préjugés” et de “stéréotypes”.

00:23 Publié dans Actualité | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : europe, affaires européennes, russie, suisse, actualité | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

dimanche, 27 septembre 2009

Meneer Taouil, welkom bij de club!

Meneer Taouil, welkom bij de club!

Geplaatst door yvespernet

Inleiding

We hebben het de laatste dagen genoeg mogen horen en zien in de media. De begroting geraakt maar niet in evenwicht, met alle toekomstige gevolgen van dien (denk aan de rentesneeuwbal), de economie toont nog geen duurzame verbetering waardoor de financiële macht van het Westen (en daarmee zowat alle macht) nog steeds zeer fragiel blijkt, de ineenstorting van grote bedrijven lijkt dan wel gestopt maar bij de toeleveringsbedrijven is het huilen met de pet op, etc…

De vrije meningsuiting?

MAAR! Laten we even deze grote problemen vergeten want… er is iemand die een Hitlerportret en een portret van Bert Eriksson heeft hangen en een VMO-vlag in haar living heeft staan. Deze vrouw is dan ook nog eens erkend door Kind&Gezin en vangt dus kinderen op. Op één persoon na, die zijn reactie dan nog via internet deed, zijn er nooit klachten geweest over de kwaliteit van de opvang. Als het zo’n monster zou zijn, dan is het mijn inziens, zeker met de mediahetse in gedachte, absoluut niet moeilijk om véél meer verontruste ouders te vinden. De vrouw zelf heeft ook nog eens, zonder dat er enig probleem is geweest, in een joods rusthuis gewerkt. Maar haar denken, los van enige morele beschouwingen daarover, past niet thuis in het brave burgerlijke liberale denken en de sociale moord moet gepleegd worden. Ze moeten eerst stevig gekauwd worden door de media, die het verhaal daarna voorgekauwd uitbraakt in de geesten van de maatschappij die haar vervolgens kan uitspuwen (met excuses voor de misschien té plastische beeldtaal).

En het was nog makkelijk ook want Hitler roept 63 jaar na zijn dood nog steeds de grote schrikbeelden op van het nazisme, de holocaust en Wereldoorlog II. Vrije meningsuiting, hoe walgelijk de denkbeelden ook moge zijn, kon (nee, moest) even vergeten worden in naam van de heilige strijd voor de verdraagzaamheid. Voltaire draait zich om in zijn graf. Maar het ergste moet eigenlijk nog komen. De partij van de vrije meningsuiting kon niet diep genoeg in het stof kruipen om te tonen dat zij dan wel voor de vrije meningsuiting is, maar niet voor die van “nazisten, communisten of maoïsten”. Ze klagen, vaak terecht, dat ze te weinig of niet aan bod komen i.v.m. constructieve oppositie in de parlementen. Dat men dan gewoon had gezegd: “Zodra de media daar aandacht aan wilt geven, willen we ook over andere zaken praten. Voor de rest kunnen wij geen controle uitoefenen over het denken van al onze leden. En als partij van de vrije meningsuiting wensen wij dit ook niet”. Punt en gedaan. Nu, over die “nazisten, communisten en maoïsten.” Dat het Vlaams Belang het nodig vindt om dat laatste te vermelden is nogal bizar, maar wie weet zitten er toch een paar bij, men weet maar nooit. En al ben ik voor geen van de drie genoemde ideologieëen te vinden, toch vind ik dat ze alledrie vrij uitbaar moeten zijn. Want wat is de volgende stap? Als extreem-linkse en extreem-rechtse ideëen verboden worden en enkel de “aanvaardbare” ideëen overblijven, trekken de grenzen van het “extremisme” steeds meer op naar het centrum tot het verschil tussen politiek aanvaardbaar en extreem hoogstens 2 millimeter bedraagt op de politieke as. Het volgende zal immers kritiek zijn op de christen-democratie omdat zij vanuit religieuze standpunten vertrekt en dus een inbreuk is op de scheiding van kerk en staat.

De selectieve willekeurigheid bij het afnemen van vergunningen voor kinderopvang kunnen we dan ook in bepaalde dingen terugvinden:

http://www.demorgen.be/dm/nl/989/Binnenland/article/detail/996882/2009/09/17/Kind-en-Gezin-gaat-alle-dossiers-herbekijken.dhtml

Volgende week start in Mechelen de rechtszaak tegen de crèche waar in oktober 2006 een vier maanden oude baby stierf. Zijn ouders vinden het onbegrijpelijk dat het kinderdagverblijf nog steeds open is. Eén van de betrokkenkinderverzorgsters zou immers tijdens een ondervraging toegegeven hebben dat er fouten gemaakt zijn. De ouders begrijpen niet waarom de nazi-onthaalmoeder uit Hoboken en de vrouw van imam Nordin Taouil wél op non-actief gezet worden zelfs al waren er bij die laatste blijkbaar geen klachten en de Mechelse crèche niet.

Een onwaarschijnlijke bondgenoot

Als het nu echt enkel een probleem was met iemand het nationaal-socialisme aanhangt, dan konden we zeggen dat het puur op die ideologie gericht is. Maar kijken we naar iemand die ook lijdt onder de liberale meningsdictatuur, dan zien we wel dat er een andere agenda speelt. Imam Taouil heeft nu ook mogen ondervinden wat het is om deze mediabehandeling te krijgen. Meneer Taouil, welkom bij de club van de uitgespuwden. En, hoe raar het ook moge klinken, de man is op veel vlakken onze bondgenoot!  Waar staat de man o.a. voor en hoe is dit toepasbaar op dat waar wij voorstaan?

  • Nadruk op traditie i.p.v. modernisme: de man ijvert voor het behoud van bepaalde culturele traditionele kenmerken en wijst op het belang van traditionele culturele uitingen. Dat maakt van hem geen extremist, dat maakt van hem een conservatief.
  • Nadruk op het belang van het religieuze i.p.v. het extreme secularisme: gelovigen moeten elke dag bijna wel eens horen hoe slecht religie, en zeker de openbare uitbundige uitingen, wel niet is. Dat het merendeel van de kunst van Europa uit religieuze hoek komt en dat stijlen als de gothiek puur uit religieuze hoek is ontstaan, wordt dan maar wijselijk vergeten. Secularisme is geen toelating van alle godsdiensten, laat staan tolerantie. Het is een poging tot het uitwissen van bepaalde eigenheden die de individuen aan elkaar binden. Het totalitaire individualisme in de praktijk!
  • Nadruk op de gematigdheid i.p.v. de individualistische excessen: wij moeten elke dag horen hoe goed het is om individualistisch te zijn en vooral het eigenbelang na streven, gemengd met de massaconsumptie. Hiertegenover staat het gemeenschapsgevoel, de solidariteit en de collective identiteitsbeleving van een conservatieve visie voor. In dit geval een islamitische, maar ook één die zéér nadrukkelijk aanwezig is in de katholieke en orthodoxe visies op de wereld.

Dat imam Taouil oproept tot het stichten van moslimscholen vind ik dan persoonlijk ook weer een zeer positieve evolutie. Een volk zijn cultuur afnemen is immers misdadig en om een volk ten volste zijn cultuur te laten beleven, moeten zij dat kunnen doen in een omgeving waarin die cultuur is ontstaan, geëvolueerd en gedijt. Daarom is het ook meer dan wenselijk om te ijveren voor een terugkeer naar de eigen streek in plaats van hun kinderen te vergiftigen met liberale en/of extreme seculiere ideëen. De joodse gemeenschap heeft immers ook haar eigen scholen en daar hoor ik toch niemand druk over doen?

Conclusie

Taouil is op vele vlakken dan ook een onverwachte en onwaarschijnlijke bondgenoot. In een strijd tegen de afbraak van tradities, tegen extremistisch secularisme, tegen het dwingend willen opleggen van de liberale gedachte, tegen de sociale moord op mensen met een afwijkend gedachtegoed. En als de criticasters nu zeggen: “Hij is voor de islam te verspreiden en de islam is een bedreiging voor Europa, dus hij is onmogelijk een bondgenoot!” dan kan ik daar kort op antwoorden. Het probleem met de islam is een etnisch en demografisch probleem, geen cultureel. Zowel het christendom als de islam zijn missioneringsgodsdiensten. Als hier geen toevloed van migranten zou zijn en de islam zich dan nog zou verspreiden, dan is het een cultureel probleem. Maar dan ligt dat probleem bij ons. Bij wij die onze christelijk-heidense wortels hebben verworpen ten voordele van een individualistisch en seculier discours. Gemengd met de demografische neergang is er een vacüum in de geesten ontstaan. Vacüums blijven echter niet bestaan en de islam vormt enkel dat gat op.

Wat moeten wij dan doen? Terug durven ijveren voor de terugkeer van het merendeel van de vreemdelingen, waarbij de moslimscholen een hulp moeten zijn, en terug durven ijveren voor het herstel van de christelijke-heidense waarden van Europa. Want al ben ik een overtuigd katholiek, ik zal op elk moment de traditionalisten van Wodan verkiezen boven de liberale afgod van het individualisme!

vendredi, 25 septembre 2009

Insécurité: un socialiste brise le tabou du laisser-faire

Insécurité :

un socialiste brise le tabou du laisser-faire

Ex: http://unitepopulaire.org/ 

 

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« Nous avons longtemps passé pour un pays à faible criminalité, ce qui était encore vrai il y a vingt ou trente ans. Mais les choses ont bien changé, et en mal. En matière de violence dans les rues, nous avons, sinon dépassé, du moins rattrapé nos voisins. […]

La différence de traitement que nous réservons aux délinquants selon qu'ils sont mineurs ou majeurs fait de la Suisse un cas tout à fait à part sur le plan international ! […] Toutes les statistiques, celles de la police comme celles des cliniques et des assurances montrent clairement qu'il y a augmentation et aggravation de la violence. Cette hausse commence surtout dans les années 90, quand nous avons clairement réorganisé notre temps libre pour devenir une société qui tourne vingt-quatre heures sur vingt-quatre. […] La vie nocturne a ainsi évolué de façon extrême ces vingt dernières années. Et les études le montrent clairement: les jeunes qui passent régulièrement leur temps dehors, soit en moyenne quatre heures ou plus par jour, commettent six fois plus d'actes de violence que ceux qui ne passent qu'une demi-heure ou une heure dehors.

Les années 90 correspondent aussi à la fin du rideau de fer en Europe. Sa chute a entraîné un changement dans la direction des flux migratoires vers la Suisse. […]. Les années 90 correspondent aussi à un autre changement d'importance : l'avènement de l'ordinateur dans les foyers. Avec son arrivée, puis celle des portables, les parents ont perdu tout contrôle sur la consommation médiatique de leurs enfants. […] Les personnes qui consomment souvent des vidéos ou des jeux violents commettent beaucoup plus d'actes de violence que les autres. La corrélation est probante, mais la causalité l'est moins. En d'autres termes: ceux qui consomment des vidéos violentes le font-ils parce qu'ils ont une propension naturelle à la violence ou deviennent-ils violents parce qu'ils consomment ces vidéos ? Je crains hélas que la recherche ne parvienne jamais à répondre à cette question. […]

Entre 1992 et 2006, le nombre de parents qui fixent une heure de rentrée à leurs enfants reste constant: plus de 80% des parents le font. Mais les enfants de 2006 respectent beaucoup moins cette exigence. Ceux qui disent ne jamais la respecter ou rarement sont 6% en 1992. Et 28% en 2006 ! C'est un sacré changement ! Etre parent, aujourd'hui, c'est beaucoup plus difficile qu'il y a vingt ou trente ans. En fait, si la violence augmente, ce n'est pas à cause d'une dégénérescence de la nature humaine, mais d'un changement global de l'environnement social. A un certain moment, nous avons voulu tout libéraliser, tout laisser aller, c'était très à la mode... […] Une certaine gauche a le sentiment, surtout depuis 1968, qu'elle est d'abord là pour combattre tout ce qui ressemble à de la répression. Or, sans structures, une société ne peut pas fonctionner. Il n'y a pas de prévention sans répression. »

 

 

Martin Killias, criminologue, professeur à l’Université de Zürich, membre du Parti Socialiste, interviewé par L’Illustré, 15 juillet 2009

mercredi, 23 septembre 2009

Lettre ouverte à Hervé Morin, ministre de la Défense euro-atlantiste

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Lettre ouverte à Hervé Morin,

ministre de la Défense euro-atlantiste

 

 

 

Monsieur le ministre de la Défense de l’Occident,

 

 

 

 

Je m’autorise de vous interpeller avec un titre erroné puisque, renouant avec une mauvaise habitude pratiquée sous le septennat giscardien, le terme « nationale » a été supprimé de l’intitulé officiel de votre ministère. Permettez-moi par conséquent de vous désigner tour à tour comme le ministre de la Défense euro-atlantiste ou celui de la Défense de l’Occident, tant ces deux appellations me paraissent vous convenir à merveille.

 

 

 

Si je vous adresse aujourd’hui la présente algarade, sachez au préalable que je ne vise nullement l’élu local normand que vous êtes par ailleurs. L’adhérent au Mouvement Normand que je suis soutient, tout comme vous, l’indispensable (ré)unification normande des deux demi-régions. Notre désaccord concerne l’avenir de la France, de son armée et de l’Europe de la défense.

 

Je vous dois d’être franc. Quand en mai 2007, vous avez été nommé au ministère de la rue Saint-Dominique, j’ai immédiatement pensé à une erreur de recrutement : vous n’êtes pas fait pour occuper ce poste, faute d’une carrure suffisante. Comment cela aurait pu être autrement avec un Premier ministre qui, lui, est un fin connaisseur de la chose militaire depuis de longues années ? Il s’agissait surtout de vous récompenser pour avoir abandonné (trahi, diraient de mauvaise langues) entre les deux tours de la présidentielle votre vieil ami François Bayrou et rallié le futur président.

 

 

 

D’autres, tout aussi non préparés aux fonctions de ce ministère éminemment régalien, auraient acquis au contact des militaires une stature politique afin de viser, plus tard, bien plus haut. Hélas ! Comme l’immense majorité de vos prédécesseurs depuis 1945, voire depuis l’ineffable Maginot, et à l’exception notable d’un Pierre Messmer, d’un Michel Debré ou d’un Jean-Pierre Chevènement, vous êtes resté d’une pâleur impressionnante. Pis, depuis votre nomination, vous avez démontré une incompétence rare qui serait risible si votre action ne nuisait pas aux intérêts vitaux de la France et de l’Europe.

À votre décharge, je concède volontiers qu’il ne doit pas être facile de diriger un tel ministère à l’ère de l’« omniprésidence omnipotente » et de sa kyrielle de conseillers, véritables ministres bis. Faut-il en déduire qu’une situation pareille vous sied et que vous jouissez en fait des ors de la République ?

 

 

 

Je le croyais assez jusqu’à la survenue d’un événement récent. Depuis, j’ai compris que loin d’être indolent, vous effectuez un véritable travail de sape, pis une œuvre magistrale de démolition systématique qui anéantit quarante années d’indépendance nationale (relative) au profit d’une folle intégration dans l’O.T.A.N. américanocentrée, bras armé d’un Occident mondialiste globalitaire.

 

 

Vous vous dîtes partisan de la construction européenne alors que vous en êtes l’un de ses fossoyeurs les plus déterminés. L’Europe, sa puissance sous-jacente, ses peuples historiques vous indiffèrent, seule compte pour vous cette entité despotique de dimension planétaire appelée « Occident ».

 

 

 

Qu’est-ce qui m’a dessillé totalement les yeux en ce 6 février 2009 ? Tout simplement votre décision inique et scandaleuse de congédier sur le champ Aymeric Chauprade de son poste de professeur au Collège interarmées de Défense (C.I.D.). Brillant spécialiste de géopolitique, Aymeric Chauprade présente, dans un nouvel ouvrage Chronique du choc des civilisations, des interprétations alternatives à la thèse officielle des attentats du 11 septembre 2001. Exposer ces théories « complotistes » signifie-t-il obligatoirement adhérer à leurs conclusions alors qu’Aymeric Chauprade, en sceptique méthodique, prend garde de ne pas les faire siennes ?

 

 

 

Peu vous chaut l’impartialité de sa démarche puisque, sur l’injonction du journaliste du Point, Jean Guisnel, auteur d’un insidieux article contre lui, vous ordonnez son exclusion immédiate de toutes les enceintes militaires de formation universitaire. Mercredi dernier – 11 février -, l’infâme Canard enchaîné sortait une véritable liste d’épuration en vous enjoignant d’expulser d’autres intervenants rétifs au politiquement correct. Auriez-vous donc peur à ce point (si je puis dire) de certains scribouillards pour que vous soyez si prompt à leur obéir, le petit doigt sur la couture du pantalon ? Faut-il comprendre que Jean Guisnel et autres plumitifs du palmipède décati sont les vrais patrons de l’armée française ?

 

 

 

Avez-vous pris la peine de lire l’ouvrage incriminé ? Votre rapidité de réaction m’incite à répondre négativement. Il importe par conséquent de dénoncer votre « attitude irresponsable, irrespectueuse et indigne », car « nier la réalité est une attitude particulièrement inquiétante pour un ministre et qui n’atteste pas du courage que chacun est en droit d’attendre d’un haut responsable politique ». Qui s’exprime ainsi ? M. Jean-Paul Fournier, sénateur-maire U.M.P. de Nîmes, irrité par la fermeture de la base aéronavale de NÎmes – Garons, cité par Le Figaro (et non Libé, Politis ou Minute) du 9 février 2009. Le sénateur Fournier a très bien cerné votre comportement intolérable et honteux.

 

 

 

Aymeric Chauprade interdit de tout contact avec le corps des officiers d’active, vous agissez sciemment contre l’armée française, contre la France. En le renvoyant, vous risquez même de devenir la risée de l’Hexagone. En effet, le 12 juillet 2001, Aymeric Chauprade publiait dans Le Figaro un remarquable plaidoyer en faveur d’un « bouclier antimissile français ». Et que lit-on dans Le Figaro du 13 février 2009 ? « La France se lance dans la défense antimissile »… Certes, nul n’est prophète en son pays, mais quand même, ne peut-il pas y avoir parfois une exception ?

 

 

 

Votre action injuste me rappelle d’autres précédents quand l’Institution militaire sanctionnait des officiers coupables de penser par eux-mêmes et de contester ainsi le conformisme de leur temps : le général Étienne Copel, le colonel Philippe Pétain, le lieutenant-colonel Émile Mayer, le commandant Charles de Gaulle.

 

 

Anticonformiste, Aymeric Chauprade l’est avec talent et intelligence; il s’inscrit dans la suite prestigieuse des Jomini, Castex et Poirier. Voilà pourquoi le réintégrer au C.I.D. serait un geste fort pour l’indispensable réarmement moral d’une armée qui en a grand besoin.

 

 

 

Je doute fort, Monsieur le ministre de la Défense euro-atlantiste, que ma missive vous fera changer d’avis. Qu’importe ! Libre à vous de rester insignifiant et de figurer dans les chroniques comme le Galliffet de la réflexion stratégique.

 

Recevez, Monsieur le Ministre, mes salutations normandes.

 

 

 

Georges Feltin-Tracol

mardi, 22 septembre 2009

La nouvellestratégie de diversion d'Ankara dans le Caucase

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Bernhard TOMASCHITZ:

 

La nouvelle stratégie de diversion d’Ankara dans le Caucase

 

Le dégel entre la Turquie et l’Arménie profite à l’Azerbaïdjan et aux Etats-Unis

 

Si les relations turco-arméniennes se normalisent, l’Arménie pourrait abandonner le lien étroit qui la lie à la Russie et devenir un vassal de plus des Etats-Unis dans le Caucase du Sud

 

La Turquie et l’Arménie sont récemment convenues d’entamer des négociations en vue d’établir des relations diplomatiques. Dans les deux mois à venir, les négociateurs prévoient d’ouvrir les frontières entre les deux pays voisins. Le rapprochement entre Ankara et Erivan a eu lieu suite à une médiation suisse. Reste à savoir si les rapports entre Turcs et Arméniens se normaliseront et si l’affrontement entre les deux nations, qui dure depuis près de cent ans, s’aplanira. L’avenir devra le prouver.

 

Lors des négociations prochaines, on soulèvera immanquablement la question du génocide perpétré par l’Empire ottoman à la fin de la première guerre mondiale contre les Arméniens chrétiens, massacres qui ont fait près d’un million et demi de morts. Cette question ne jouera cependant qu’un rôle subalterne dans les négociations. Elle sera traitée par une commission composée d’historiens issus des deux pays. Le principal point à l’ordre du jour sera la question du Haut Karabakh. Depuis 1993, les Arméniens occupent en effet cette région montagneuse, ainsi que sept provinces azerbaïdjanaises limitrophes.  Le Haut Karabakh est peuplé d’Arméniens ethniques mais appartient à l’Azerbaïdjan  selon le droit international. A cette époque, les Turcs et les Azéris avaient fermé leurs frontières avec l’Arménie,  ce qui avait entraîné des conséquences désastreuses pour l’économie arménienne. Les liens sont étroits entre la Turquie et l’Azerbaïdjan, car les Azéris sont un peuple turc (turcophone) et musulman; sur les plans ethnique et linguistique, les Azéris sont donc proches parents des Turcs. C’est pourquoi la Turquie exige de l’Arménie qu’elle retire ses troupes présentes sur le sol de l’Azerbaïdjan.

 

Ankara tente de tuer deux mouches d’un seul coup de savate en entamant des négociations avec Erivan pour renouer des relations diplomatiques; d’une part, les Turcs entendent recevoir quelques “bonnes notes” de Bruxelles avant de réentamer des pourparlers en vue d’une adhésion à l’UE; Ankara bénéficierait alors de préjugés plus favorables à son adhésion dans le prochain rapport que la Commission rédige, à intervalles réguliers, sur ses “progrès”, car, quoi qu’il en soit, la petite puissance d’Asie Mineure a, ces temps-ci, accumulé bon nombre de “mauvaises notes”. La calcul des Turcs s’avère néanmoins porteur: “Ces accords contribueront à la paix et à la stabilité dans le Caucase méridional”, ont déclaré la Commissaire des Affaires étrangères de l’UE, Benita Ferrero-Waldner et le Commissaire à l’élargissement, Olli Rehn. D’autre part, Ankara  cherche à mettre un terme à l’occupation arménienne de portions importantes du territoire azéri. “La Turquie continuera à soutenir l’Azerbaïdjan dans la question du Haut Karabakh” vient d’affirmer David Chaanatsarine du “Congrès National Arménien”, un parti d’opposition, suite aux questions que lui posaient des journalistes du quotidien turc “Hürrriyet”. Cette affirmation de Chaanatsarine correspond parfaitement avec celles de voix officielles turques. “La Turquie n’entreprendra jamais rien qui puisse nuire à ses frères d’Azerbaïdjan”, avait dit le ministre turc des affaires étrangères Ahmet Davutoglu aux questions posées par la chaîne de télévision NTV. Finalement, avait-il ajouté, “rien n’est plus important que l’amitié turco-azérie”.

 

L’objectif officiel d’Ankara, comme l’a annoncé le ministre des affaires étrangères Davutoglu, est de procurer à la Turquie “un environnement stable le long de ses frontières”. Mieux: en négociant afin de mettre un terme à l’occupation arménienne du Haut Karabakh et des provinces limitrophes, Ankara cherche à renforcer l’Azerbaïdjan et, ainsi, à se profiler comme une puissance régionale efficace au Moyen Orient. En effet, si l’Arménie est neutralisée, il naîtra de facto un “bloc turc(ophone)” plus riche et plus solide du Bosphore à la Caspienne, région où  se trouvent d’énormes gisements de pétrole et de gaz. De cette façon, Ankara pourra mettre encore plus de pression sur l’UE et se positionner comme un espace de transit sûr et incontournable pour les énergies fossiles. Ankara veut acquérir une position telle que son adhésion finira par être complètement acceptable. En 2003, on a rendu opérationnel l’oléoduc BTC (Bakou-Tiflis-Ceyhan), qui part d’Azerbaïdjan, traverse la Géorgie et aboutit en Turquie. De même, cette année-là, on a inauguré le gazoduc BTE (Bakou-Tiflis-Erzouroum). Ce gazoduc et cet oléoduc ont été réalisés avec une participation financière très importante des Etats-Unis, dans le but d’éviter les territoires de la Russie et de l’Iran.

 

Les Américains se félicitent bien entendu des négociations entre Ankara et Erivan. Si les rapports entre la Turquie et l’Arménie se normalisent, alors Moscou perdra son seul allié dans le Caucase du Sud. L’Arménie entretient certes de bons rapports avec les Etats-Unis et a même envoyé des soldats en Afghanistan mais la Russie reste, pour les Arméniens, la puissance protectrice. Ce n’est qu’avec l’appui de Moscou que l’Arménie, petit pays d’à peine 3,5 millions d’habitants, a pu infliger à son voisin azéri, qui compte, lui, 8 millions d’habitants, une défaite militaire retentissante. L’influence économique de la Russie est également importante: ce sont en effet des entreprises d’Etat russes qui possèdent les plus grandes usines hydrauliques arméniennes et la centrale nucléaire de Metsamor; cette dernière est le principal fournisseur d’énergie du pays (40% de l’énergie consommée). Si les relations se normalisent avec la Turquie, membre de l’OTAN, les rapports entre Erivan et Moscou pourraient bien se rafraîchir. Car les Etats-Unis se montrent particulièrement généreux quand il s’agit de limiter et de refouler l’influence russe dans le Caucase: souvenons-nous que la Géorgie reçoit chaque année un milliard de dollars. Mais le prix que l’Arménie aurait à payer pour son “alignement” serait vraiment fort élevé: surtout l’abandon du Haut Karabakh. Dans la “République Démocratique du Haut Karabakh”, non reconnue par les instances internationales, la méfiance croît envers Erivan. Kegham Bagdadcharian, membre du Parlement de cette république, évoque une “déviance dangereuse” en Arménie, car celle-ci  a accepté les “conditions préalables”, exigées par les Turcs, pour entretenir des relations diplomatiques.

 

Bernhard TOMASCHITZ.

(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°37/2009; trad. franç.: Robert Steuckers).

dimanche, 20 septembre 2009

Rusia y Dinamarca estudian tender el gasoducto Nord Stream por territorio danés

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Rusia y Dinamarca estudian tender el gasoducto Nord Stream por territorio danés

El jefe del Gobierno ruso, Vladímir Putin, sostuvo hoy una conferencia telefónica con su homólogo danés Lars Lokke Rasmussen, con quien estudió la posibilidad de tender el gasoducto Nord Stream (Corriente Norte) a través de la zona económica exclusiva de Dinamarca.

“Las partes examinaron la posibilidad de construir un tramo del gasoducto en la zona económica exclusiva de Dinamarca”, informó el portavoz del Gobierno ruso, Dmitri Peskov.

Al principio, cuando el proyecto llevaba el nombre de Gasoducto de Europa del Norte, se pensaba tenderlo hasta el Reino Unido. Pero luego, los parámetros del proyecto cambiaron y recibió el nombre de Nord Stream. Finalmente se decidió tenderlo hasta el territorio alemán.


El gasoducto Nord Stream será una nueva ruta de exportación del gas ruso principalmente a Alemania, Reino Unido, Holanda, Francia y Dinamarca. Su extensión alcanzará 1.220 km y el primer tramo deberá entrar a funcionar en 2010.

Extraído de RIA Novosti.

~ por LaBanderaNegra en Septiembre 16, 2009.

samedi, 19 septembre 2009

L'homme qui dévoile l'arnaque du réchauffement climatique

L’homme qui dévoile l’arnaque du réchauffement climatique

Pour que ses lecteurs aient une information complète, Novopress donne ici la parole au Professeur Ian Plimer, géologue australien, qui conteste les thèses dominantes et le politiquement correct sur l’évolution du climat.

« Si, il y a trente ans, vous aviez demandé à n’importe quel médecin ou scientifique d’où venaient les ulcères à l’estomac, ils vous auraient tous donné la même réponse : ils sont évidemment causés par l’acide gastrique consécutif à un excès de stress . Tous sauf deux scientifiques (1), qui furent cloués au pilori pour leur idée délirante selon laquelle une bactérie serait derrière tout ça. En 2005 ils ont reçu le Prix Nobel ! »

(1) Barry Marshall et Robin Warren

Ian Plimer - Heaven and Earth

James Delingpole parle au Professeur Ian Plimer, géologue australien, dont le dernier livre montre que le « réchauffement climatique d’origine humaine » est une fiction ruineuse et dangereuse, un « luxe de pays développé »  sans aucune base scientifique. Honte aux éditeurs qui n’ont pas voulu de ce livre !

Imaginez à quel point le monde serait merveilleux si le réchauffement climatique d’origine humaine n’avait été qu’une fiction dans l’imagination d’Al Gore. Plus de ces fermes éoliennes immondes étendant leur ombre sur le haut pays. Plus de factures d’électricité délirantes, augmentées artificiellement par une taxe carbone instaurée par l’Union Européenne. Plus besoin de prendre chaque jour de douceur ensoleillée comme le terrible présage d’un désastre écologique à venir Et, finalement, plus besoin du projet de loi de limitation des émissions de carbone à 7.400 milliards de dollars – la plus haute taxe de l’histoire américaine – que le président Obama et ses partisans essayent sans relâche d’imposer à l’économie des Etats-Unis.

N’imaginez plus, votre bonne fée est ici. Son nom est Ian Plimer, professeur de géologie minière à l’Université d’Adélaïde, et il a récemment publié Heaven And Earth [1] , un livre qui fera date et changera pour toujours la façon dont nous pensons au changement climatique.

« L’hypothèse comme quoi l’activité humaine pourrait créer un réchauffement global est extraordinaire parce qu’elle est contraire à tout ce que nous enseignent la physique du soleil, l’astronomie, l’histoire, l’archéologie et la géologie », explique Plimer, et bien que sa thèse ne soit pas nouvelle, il y a peu de chances que vous l’ayez entendue exprimée avec autant de vigueur, de certitude et d’autorité scientifique. Alors que d’autres sceptiques comme Bjorn Lomborg ou Lord Lawson of Blaby se préparent soigneusement à approuver les prédictions les plus modestes du Groupe Intergouvernemental d’experts sur l’Evolution du Climat (GIEC), Plimer ne cède pas un pouce de terrain. La théorie du réchauffement climatique d’origine humaine, explique-t-il, est la plus grande, la plus dangereuse, et la plus ruineuse manipulation de l’histoire.

Pour comprendre, allons à la rencontre du bon professeur. L’homme a le teint hâlé, les trais rudes, les cheveux blancs, la soixantaine – courtois et jovial mais combatif quand il faut l’être – et rayonne de la santé d’un homme qui a passé la moitié de sa vie dans des expéditions sur le terrain en Iran, en Turquie et dans son cher Outback australien. Et il est assis dans mon jardin à boire du thé pendant un de ces jours que George Monbiot du Guardian [2] aimerait faire interdire. Un beau jour doux et ensoleillé.

Alors, allons-y, prof. Qu’est-ce qui vous rend si sûr que ce que vous dites est vrai et que tous ces scientifiques qui disent le contraire est faux ?

« Je suis géologue. Nous autres géologues avons toujours admis que le climat change au cours du temps. Nous sommes différents de ces gens qui soutiennent le réchauffement climatique anthropocentrique par notre compréhension des échelles. Ils ne s’intéressent qu’aux 150 dernières années Notre cadre est de 4.567 millions d’années. Ce qu’ils essayent de faire équivaut à essayer de comprendre l’intrigue de Casablanca à partir d’une courte séquence de la scène d’amour. Vous ne pouvez pas. Ca ne marche pas.

La force de Heaven And Earth est de restaurer une perspective scientifique à un débat qui a été détourné par « des politiciens, des activistes de l’environnement et des opportunistes ». Il fait remarquer, par exemple, que la glace des pôles n’a été présente sur terre que pendant 20% du temps géologique; que les extinctions d’espèces sont banales ; que les changements climatiques sont cycliques et normaux ; que le CO2 dans l’atmosphère – auquel l’activité humaine contribue pour une fraction infime – ne représente que 0,001% du CO2 contenu dans les océans, les roches de surface, les terres et les espèces vivantes ; que le CO2 n’est pas un polluant mais une nourriture pour les végétaux ; que les périodes les plus chaudes de la Terre – comme lorsque les Romains faisaient pousser des vignes et des citronniers jusqu’au nord du Mur d’Hadrien en Angleterre – étaient des époques de richesse et d’abondance.

Tout ceci sont des faits scientifiques avérés – plus que ce que vous pouvez dire de ces modèles informatiques dégorgeant leur flot de scénarios de fin du monde avec des températures inexorablement croissantes, des îles submergées et des banquises qui s’effondrent. Plimer n’accorde aucune confiance à ces modèles parce qu’ils semblent n’avoir peu ou pas de prise avec la réalité observée.
« Je suis un scientifique de terrain. Je suis dehors chaque jour, enfoncé dans la m… jusqu’au cou à récolter des données brutes. Et c’est pourquoi je suis si sceptique quant à ces modèles, qui n’ont rien à voir avec la science ou l’empirisme mais se contentent de torturer les données jusqu’à ce qu’elles se confessent. Aucun d’entre eux n’a prévu la période de refroidissement global dans laquelle nous nous trouvons. Il n’y a pas de problème de réchauffement climatique. Il a cessé en 1998. Les deux dernières années de refroidissement ont effacé presque trente ans d’augmentation de température.

La position sans compromis de Plimer ne l’a pas rendu populaire. « Ils disent que je viole les vaches, que je mange les bébés, que je ne sais rien sur quoi que ce soit. Ma lettre favorite est celle qui dit: « Cher monsieur, allez vous faire foutre ». J’ai aussi eu droit à une manifestation à Sidney lors du lancement d’un de mes livres, et j’avais une mère venant vers moi en tenant son gamin de deux ans dans les bras en disant : «  Vous n’avez donc aucune moralité ? L’avenir de cet enfant est en train d’être détruit. » Typique du personnage, Plimer lui rétorqua vigoureusement: « Si vous êtes tellement inquiète, pourquoi avoir eu un enfant ? »

Cette approche pragmatique doit sans doute quelque chose à l’éducation du jeune Ian à Sydney, dans une situation financière difficile. Son père souffrait de sclérose multiple, laissant sa mère élever trois enfants sur le seul salaire d’une institutrice.

« Nous ne pouvions pas nous offrir une télévision – bien que la télé soit arrivée en Australie dès 1956. Nous utilisions le même sac en papier brun encore et encore pour nos déjeuners à l’école, nous éteignions toujours les lumières, non à cause d’un quelconque impératif moral, mais par pure nécessité. »

L’écologisme moderne l’irrite profondément, notamment parce qu’il est mené par des gens qui sont trop riches.

« Quand j’essaye d’expliquer le réchauffement climatique à des gens en Iran ou en Turquie, ils n’ont pas la moindre idée de ce dont je parle. Leur vie se résume à survivre jusqu’au lendemain, à trouver leur prochain repas. La culpabilité écologique est un luxe de pays développé. C’est la nouvelle religion de populations urbaines ayant perdu leur foi dans le Christianisme. Le rapport du GIEC est leur bible. Al Gore et Lord Stern sont leurs prophètes. »

Heaven And Earth est la suite d’un livre de vulgarisation publié par Plimer en 2001, appelé A Short History of Planet Earth. Il se basait sur dix années d’émission radio sur ABC destinées aux habitants des zones rurales. Bien que le livre soit un best-seller et gagne un prix Euréka, ABC refusa de publier la suite, de même que les autres éditeurs majeurs que l’auteur approcha.

« Il y a ici beaucoup de gens qui ont peur . Personne ne veut aller contre le paradigme à la mode. »

Puis, quelqu’un l’a mis en relation avec un minuscule éditeur perdu au milieu du bush – « Le mari, l’épouse, trois enfants, si pauvres qu’ils n’avaient même pas de rideaux ». – et ils ont dit oui.

Plimer se retint de réclamer une avance qu’ils ne pouvaient clairement pas se permettre. Mais quelque chose de remarquable est arrivé. Les 5 000 exemplaires de la première édition furent écoulés en deux jours seulement. Cinq autres éditions ont rapidement suivi. L’ouvrage a été vendu à 26 500 exemplaires rien qu’en Australie – avec des perspectives tout aussi réjouissantes pour l’Angleterre et les Etats-Unis. Il est même question d’une édition destinée à la très verte Allemagne.

Mais entre tous, les Australiens, avec leurs feux de brousse et leurs sécheresses prolongées, ne devraient-ils pas être les derniers à souscrire à son message

« Ah, mais l’homme de la rue n’est pas un imbécile. Je reçois parfois jusqu’à 1 000 lettres et emails par jour de gens qui se sentent impuissants, désabusés et carrément malades de toutes les aberrations qu’ils entendent sur le réchauffement climatique de la part de gauchistes urbains qui ne savent même pas d’où viennent leur viande ou leur lait. »

En outre, l’économie australienne est particulièrement vulnérable aux effets de l’alarmisme sur le changement climatique

« Bien que disposant de 40% des réserves mondiales d’uranium, nous n’avons pas l’énergie nucléaire. Nous nous reposons sur des tonnes de charbon à bon marché. 80% de notre électricité vient du charbon et les producteurs d’aluminium s’agglutinent autour des bassins houillers. La loi Cap and Trade proposée par Kevin Rudd est la dernière chose dont l’économie australienne a besoin. Si elle passe, le pays fera faillite.

Plimer ne croit pas une seconde qu’elle passera. Comme pour son équivalent américain du projet de loi Waxman-Markey, le projet d’Emission Trading Scheme de Kevin Rudd a réussi à se glisser jusqu’à la Chambre des représentants.

Mais comme en Amérique, le vrai défi attend à la chambre haute, le Sénat. En partie grâce à l’influence de Plimer et de son livre – « les politiciens me téléphonent sans arrêt » – le Sénat rejettera vraisemblablement le texte. S’il le refuse deux fois, alors le gouvernement australien s’effondrera et donnera lieu à une « double dissolution » et des élections anticipées. « L’Australie est un point très intéressant dans le débat sur le changement climatique », note Plimer. [NdT: l'actualité récente semble lui donner raison [3].]

Bien sûr, les répercussions potentielles hors de l’Australie sont encore plus grandes. Jusqu’à ce jour, les législations environnementales avaient la partie facile dans les parlements de l’Anglosphère et de l’Eurosphère, avec des politiciens plus verts les uns que les autres (de Dave Cameron (dit l’« Eolienne ») à Dave Miliband (du : « Les sceptiques du réchauffement sont les partisans de la  Terre Plate de notre temps. »), se bousculant pour imposer des objectifs d’émission de carbone toujours plus restrictifs et taxer leurs malheureux électorats.

Les politiciens pouvaient s’en tirer tant que duraient les jours où les gens se sentaient assez riches pour payer ces coûts supplémentaires et assez coupables pour penser qu’ils les méritaient. Mais l’effondrement économique global a changé la donne. Comme d’innombrables sondages le montrent, plus les gens se sentent pauvres, plus bas plonge la vertu écologique dans la liste de leurs priorités.

« C’est une des rares bonnes choses à sortir de cette récession, explique Plimer. Les gens commencent à se demander: Avons-nous vraiment les moyens de nous payer toute cette législation verte? »

La lecture de Heaven And Earth est une expérience à la fois enrichissante et terrifiante. Enrichissante parce que 500 pages de prose abondamment annotée, fruits de cinq ans de recherche, vous laissent sans le moindre doute. La contribution de l’homme à ce qu’ils appellent aujourd’hui le « changement climatique » était, est et sera probablement toujours négligeable. Terrifiante, parce que vous ne pouvez qu’être consterné devant tant d’argent gaspillé, tant de restrictions légales érigées en vain pour résoudre un problème qui n’existe pas. (La série South Park, comme souvent, a été probablement la première à illustrer cela dans un épisode mémorable [4] où Al Gore s’invite dans la classe pour prévenir les écoliers du danger que pose une bête terrible, l’Homme-Sanglier-Ours, qui n’existe que dans son esprit…).

Le livre est-il arrivé à temps pour éviter un désastre ? S’il y a une justice, Heaven And Earth contribuera autant au réalisme sur le changement climatique que le film d’Al Gore, une « Vérité Qui Dérange [5] »  en a fait en faveur de l’alarmisme. Mais comme Plimer le sait bien, il existe désormais un vaste corps constitué d’intérêts dressé contre lui : des gouvernements comme celui d’Obama, qui utilisent le « réchauffement climatique » pour faire passer plus de taxes, de régulation et de protectionnisme ; des producteurs d’énergie et des investisseurs qui espèrent faire fortune avec des arnaques comme le marché des droits d’émission de CO2 ; des organisations non-gouvernementales comme Greenpeace dont la levée de fonds est directement liée à l’anxiété du public ; des envoyés spéciaux sur des questions d’environnement qui doivent sans arrêt surenchérir la menace pour justifier leur job.

Pense-t-il vraiment que son message arrivera à passer? Plimer sourit.

« Si, il y a trente ans, vous aviez demandé à n’importe quel médecin ou scientifique d’où venaient les ulcères à l’estomac, ils vous auraient tous donné la même réponse : ils sont évidemment causés par l’acide gastrique consécutif à un excès de stress . Tous sauf deux scientifiques, qui furent cloués au pilori pour leur idée délirante selon laquelle une bactérie serait derrière tout ça. En 2005 ils ont reçu le Prix Nobel. Le consensus s’était trompé. »

James Delingpole
08/07/2009
SPECTATOR.co.uk
Titre original
« Meet the man who has exposed the great climate change con trick »

Traduction en  français :
http://www.stephane.info/show.php?code%3Dweblog%26direct%3D1485%26lg%3Dfr [6]

Correspondance Polémia [7]
31/08/2009

Ian Plimer, « Heaven and Earth: Global Warming the Missing Science [8] », Taylor Trade Publishing (langue anglaise), juillet 2009, 504 pages


Article printed from :: Novopress.info France: http://fr.novopress.info

URL to article: http://fr.novopress.info/31502/lhomme-qui-devoile-larnaque-du-rechauffement-climatique/

URLs in this post:

[1] Heaven And Earth: http://www.amazon.fr/Heaven-Earth-Warming-Missing-Science/dp/1589794729

[2] Guardian: http://www.guardian.co.uk

[3] l'actualité récente semble lui donner raison: http://www.americanthinker.com/blog/2009/08/australian_senate_defeats_cap.html

[4] dans un épisode mémorable: http://en.wikipedia.org/wiki/ManBearPig

[5] Vérité Qui Dérange: http://www.imdb.com/title/tt0497116

[6] http://www.stephane.info/show.php?code%3Dweblog%26direct%3D1485%26lg%3Dfr: http://www.stephane.info/show.php?code%3Dweblog%26direct%3D1485%26lg%3Dfr

[7] Polémia: http://www.polemia.com/index.php

[8] Heaven and Earth: Global Warming the Missing Science: http://www.amazon.fr/Heaven-Earth-Warming-Missing-Science/dp/1589794729/

mardi, 15 septembre 2009

Karzai, la CIA et le trafic de la drogue

Karzai, la CIA et le trafic de la drogue

Article rédigé le 19 août 2009, par Frédéric Courvoisier

Ex: http://rodionraskolnikov.hautetfort.com/

Tous en chœur, les médias américains accusent le défunt régime islamique, sans même mentionner que les Talibans – en collaboration avec les Nations unies – avaient imposé avec succès l’interdiction de la culture du pavot en 2000. La production d’opium avait ensuite décliné de 90 % en 2001. En fait, l’augmentation de la culture d’opium a coïncidé avec le déclenchement des opérations militaires sous commandement américain et la chute du régime taliban. Entre les mois d’octobre et décembre 2001, les fermiers ont recommencé à planter du pavot à grande échelle. Le succès du programme d’éradication de la drogue en Afghanistan en l’an 2000 sous les Talibans avait été souligné à la session d’octobre 2001 de l’Assemblée générale des Nations unies. Aucun autre pays membre de l’ONU n’avait pu mettre en oeuvre un programme semblable.

opium

Sous les Talibans, la prohibition avait en effet causé « le début d’une pénurie d’héroïne en Europe vers la fin de 2001 », comme l’admet l’ONU.

L’héroïne est un commerce de plusieurs milliards de dollars supporté par des intérêts puissants, qui requiert un flux régulier et sécuritaire de la marchandise. Un des objectifs « cachés » de la guerre était justement de restaurer le trafic de la drogue, parrainé par la CIA, à ses niveaux historiques et d’exercer un contrôle direct sur les routes de la drogue.

En 2001, sous les Talibans, la production d’opiacés s’élevait à 185 tonnes, pour ensuite grimper à 3400 tonnes en 2002 sous le régime du président Hamid Karzai, marionnette des États-Unis.

Les Talibans avaient éliminé la culture du pavot

Tout en soulignant la lutte patriotique de Karzai contre les Talibans, les médias omettent de mentionner qu’il a déjà collaboré avec ces derniers. Il a aussi déjà été à l’emploi d’une pétrolière des États-Unis, UNOCAL. En fait, depuis le milieu des années 1990, Hamid Karzai agissait comme consultant et lobbyiste pour UNOCAL dans ses négociations avec les Talibans.

Selon le journal saoudien Al-Watan, « Karzai était un agent en sous-main de la Central Intelligence Agency à partir des années 1980. Il collaborait avec la CIA en acheminant de l’aide américaine aux Talibans à partir de 1994, quand les Américains, secrètement et à travers les Pakistanais, supportaient les visées de pouvoir des Talibans. »

Il est pertinent de rappeler l’histoire du trafic de drogue dans le Croissant d’or, qui est intimement lié aux opérations clandestines de la CIA dans la région.

L’histoire du trafic de la drogue dans le Croissant d’or

Avant la guerre soviético-afghane (1979-1989), la production d’opium en Afghanistan et au Pakistan était pratiquement inexistante. Selon Alfred McCoy, il n’y avait aucune production locale d’héroïne.

L’économie afghane de la drogue fut un projet minutieusement conçu par la CIA, avec l’assistance de la politique étrangère américaine.

Comme il a été révélé par les scandales Iran-Contras et de la Banque de Commerce et de Crédit international (BCCI), les opérations clandestines de la CIA en support aux moujahidins avaient été financées à travers le blanchiment de l’argent de la drogue.

L’hebdomadaire Time révélait en 1991 que « parce que les États-Unis voulaient fournir aux rebelles moujaheddins en Afghanistan des missiles Stinger et d’autres équipements militaires, ils avaient besoin de l’entière coopération du Pakistan. » À partir du milieu des années 1980, la présence de la CIA à Islamabad était une des plus importantes dans le monde. Un officier du renseignement américain avait confié au Time que les États-Unis fermaient alors volontairement les yeux sur le trafic de l’héroïne en Afghanistan.

L’étude d’Alfred McCoy confirme qu’en l’espace de deux ans après le déclenchement des opérations clandestines de la CIA en Afghanistan, en 1979, « les régions frontalières entre le Pakistan et l’Afghanistan devinrent la première source mondiale d’héroïne, fournissant 60 % de la demande américaine. »

Selon McCoy, ce trafic de drogue était contrôlé en sous-main par la CIA. Au fur et à mesure que les moujahidins gagnaient du terrain en Afghanistan, ils ordonnaient aux paysans de planter de l’opium comme une taxe révolutionnaire.

À cette époque, les autorités américaines refusèrent d’enquêter sur plusieurs cas de trafic de drogue par leurs alliés afghans. En 1995, l’ancien directeur des opérations de la CIA en Afghanistan, Charles Cogan, a admis que la CIA avait en effet sacrifié la guerre à la drogue à la Guerre froide.

En troisième position après le pétrole et la vente d’armes

Le recyclage de l’argent de la drogue par la CIA était utilisé pour financer les insurrections post-Guerre froide en Asie centrale et dans les Balkans, y compris Al Qaeda.

Les revenus générés par le trafic de la drogue afghane commandité par la CIA sont considérables. Le commerce afghan des opiacés constitue une grande part des revenus annuels à l’échelle mondiale des narcotiques, estimés par les Nations unies à un montant de l’ordre de 400 ou 500 milliards.

Au moment où ces chiffres de l’ONU furent rendus publics (1994), le commerce mondial estimé de la drogue était dans le même ordre de grosseur que celui du pétrole.

Selon des chiffres de 2003 publiés par The Independent, le trafic de la drogue constitue le troisième commerce le plus important en argent après le pétrole et la vente d’armes.

Il existe de puissants intérêts commerciaux et financiers derrière la drogue. De ce point de vue, le contrôle géopolitique et militaire des routes de la drogue est aussi stratégique que celui du pétrole et des oléoducs.

Cependant, ce qui distingue la drogue des commerces légaux est que les narcotiques constituent une source majeure de richesse non seulement pour le crime organisé, mais aussi pour l’appareil de renseignement américain, qui constitue de plus en plus un acteur puissant dans les sphères bancaires et de la finance.

En d’autres mots, les agences de renseignements et de puissants groupes d’affaires alliés au crime organisé se livrent une concurrence pour le contrôle stratégique des routes de l’héroïne. Les revenus de plusieurs dizaines de milliards de dollars provenant du commerce de la drogue sont déposés dans le système bancaire occidental.

Le commerce de la drogue fait partie des plans de guerre

Ce commerce peut seulement prospérer si les principaux acteurs impliqués dans la drogue ont des « amis politiques aux plus hauts niveaux ». Les entreprises légales et illégales sont de plus en plus imbriquées, la ligne de démarcation entre « gens d’affaires » et criminels est de plus en plus floue. En retour, les relations entre les criminels, les politiciens et des acteurs du milieu du renseignement ont teinté les structures de l’État et le rôle de ses institutions.

L’économie de la drogue en Afghanistan est « protégée ». Le commerce de l’héroïne faisait partie des plans de guerre. Ce que cette guerre aura accompli, c’est le rétablissement d’un narco-régime dirigé par un gouvernement fantoche soutenu par des États-Unis.

Source : Forums Mecanopolis

http://www.mecanopolis.org/?p=9257&type=1

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Al-Qaeda: una util herramienta de guerra para el Imperio

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Al-Qaeda: una útil herramienta de guerra para el Imperio

Ex: http://antimperialista.blogia.com/

(Extracto del artículo "Ex secretario de seguridad de Bush revela dato clave del uso imperial del terrorismo" publicado en IAR noticias)

En el libro "La prueba de nuestro tiempo: Estados Unidos asediado... y cómo podemos estar nuevamente seguros" Ridge (Ex secretario de seguridad de Bush ) cuenta que pese a los pedidos del ex secretario de Defensa, Rumsfeld, y del entonces secretario de Justicia John Ashcroft, él se opuso a elevar el nivel de alerta y, finalmente, no fue elevado, aunque le costó el cargo.

Semanas antes de las elecciones de 2004 habían sido difundidas dos grabacioness de Al-Qaeda: una con Osama Bin Laden y la otra con un hombre llamado "Azzam el estadounidense’’. La CIA -como lo hace siempre- reconoció la "autenticidad" de las amenazas. "El aumento de la alarma terrorista en EEUU poco antes de las presidenciales de 2004 pretendía  influir en los resultados y favorecer a George W. Bush", afirma Ridge en su libro.

"Bush y el candidato contrincante demócrata John Kerry -señala- estaban muy igualados en las encuestas y los funcionarios claves de Bush  afirmaban que el video de Bin Laden, incluso sin elevar el nivel de alarma, contribuiría a una victoria final de Bush por un resultado abrumante."

Pese a todo se tomaron grandes prevenciones de seguridad en edificios públicos y en lugares claves de Nueva York, lo que ayudó a recrear el "clima terrorista" que lo llevó a Bush a ganar las elecciones y ser reelecto en el cargo presidencial.   

En pleno despliegue del aparato de seguridad para prevenir el "ataque terrorista", Ridge renunció el 30 de noviembre del 2004.

Desde el punto de vista geopolítico y estratégico, el   "terrorismo" no es un objeto diabólico del fundamentalismo islámico, sino una herramienta de la Guerra de Cuarta Generación que la inteligencia estadounidense y europea vienen utilizando (en Asia y Europa) para mantener y consolidar  la alianza USA-UE en el campo de las operaciones, para derrotar a los talibanes en Afganistán, justificar acciones militares contra Irán, antes de que se convierta en potencia nuclear, y generar un posible 11-S para distraer la atención de la crisis recesiva mundial.

A nivel geoeconómico se registra otra lectura:  Si se detuviera la industria y el negocio armamentista centralizado alrededor del combate contra el "terrorismo" (hoy alimentado por un presupuesto bélico mundial de US$ 1,460 billones) terminaría de colapsar la economía norteamericana que hoy se encuentra en una crisis financiera-recesiva de características inéditas.

Esta es la mejor explicación de porqué Obama, hoy sentado en el sillón de la Casa Blanca, ya se convirtió en el "heredero forzoso" de la "guerra contraterrorista" de Bush a escala global.

La "guerra contraterrorista" no es una política coyuntural de Bush y los halcones neocon, sino una estrategia global del Estado imperial norteamericano diseñada y aplicada tras el 11-S en EEUU, que ya tiene una clara  línea de continuidad con el gobierno demócrata de Obama.

La "simbiosis" funcional e interactiva entre Bush y Al Qaeda tiñó 8 años claves de la política imperial de EEUU. A punto tal, que a los expertos les resulta imposible pensar al uno sin el otro. Durante 8 años de gestión, Bin Laden y Al Qaeda se convirtieron casi en una "herramienta de Estado" para Bush y los halcones neocon que convirtieron al "terrorismo" ( y a la "guerra contraterrorista") en su principal estrategia de supervivencia en el poder.

Hay suficientes pruebas históricas en la materia: El 11-S sirvió de justificación para las invasiones de Irak y Afganistán, el 11-M en España preparó la campaña de reelección de Bush y fue la principal excusa para que EEUU impusiera en la ONU la tesis de "democratización" de Irak legitimando la ocupación militar, el 7-J en Londres  y las sucesivas oleadas de "amenazas" y "alertas rojas" le sirvieron a Washington para instaurar el "terrorismo" como primera hipótesis de conflicto mundial,  e imponer a Europa  los "planes contraterroristas" hoy institucionalizados a escala global.

Decenas de informes y de especialistas -silenciados por la prensa oficial del sistema- han construido un cuerpo de pruebas irrefutables de que Bin Laden y Al Qaeda son instrumentos genuinos de la CIA estadounidense que los ha utilizado para justificar las invasiones a Irak y Afganistán y para instalar la "guerra contraterrorista" a escala global.

La "versión oficial" del 11-S fue cuestionada y denunciada como "falsa y manipulada" por un conjunto de ex funcionarios políticos y de inteligencia, así como de investigadores tanto de EEUU como de Europa, que constan en documentos y pruebas presentados a la justicia de EEUU que nunca los investigó aduciendo el carácter "conspirativo" de los mismos (Ver: Documentos e informes del 11-S. / Al Qaeda y el terrorismo "tercerizado" de la CIA / La CIA ocultó datos y protegió a los autores del 11-S / Ex ministro alemán confirma que la CIA estuvo implicada en los atentados del 11-S / Informe del Inspector General del FBI: Más evidencias de complicidad del gobierno con el 11-S / Atentados del 11-S: 100 personalidades impugnan la versión oficial )

El establishment del poder demócrata (que ejerce la alternancia presidencial con los republicanos en la Casa Blanca) jamás mencionó la existencia de estas investigaciones y denuncias en una complicidad tácita de ocultamiento con el gobierno de Bush.

Simultáneamente, y durante los ocho años de gestión de Bush, los demócratas no solamente avalaron las invasiones de Irak y de Afganistán y votaron todos los presupuestos de la "guerra contraterrorista", sino que también adoptaron como propia la "versión oficial" del 11-S.

Este pacto de silencio y de encubrimiento entre la prensa y el poder imperial norteamericano preservó las verdaderas causas del  accionar terrorista de Bin laden y Al Qaeda, cuyas "amenazas" periódicas son publicadas sin ningún análisis y tal cual la difunden el gobierno y  sus organismos oficiales como la CIA y el FBI.

lundi, 14 septembre 2009

La CIA, Al Qaida et la Turquie au Xinjiang et en Asie centrale

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La CIA, Al Qaida et la Turquie au Xinjiang et en Asie centrale

Lors d'une interview à l’émission radio Mike Malloy radio show, l’ancienne traductrice pour le FBI, très connue aux Etats-Unis Sibel Edmonds a raconté comment le gouvernement de son pays a entretenu des « relations intimes » avec Ben Laden et les talibans, « tout du long, jusqu’à ce jour du 11 septembre (2001). » Dans « ces relations intimes », Ben Laden était utilisé pour des “opérations” en Asie Centrale, dont le Xinjiang en Chine. Ces “opérations” impliquaient l’utilisation d’al-Qaida et des talibans tout comme « on l’avait fait durant le conflit afghano-soviétique », c’est à dire combattre “les ennemis” par le biais d’intermédiaires.

Comme l’avait précédemment décrit Mme Edmonds, et comme elle l’a confirmé dans cette interview, ce procédé impliquait l’utilisation de la Turquie (avec l’assistance d’acteurs provenant du Pakistan, de l’Afghanistan et de l’Arabie Saoudite) en tant qu’intermédiaire, qui à son tour utilisait Ben Laden et les talibans comme armée terroriste par procuration.

Selon
Mme Edmonds : « Ceci a commencé il y a plus de dix ans, dans le cadre d’une longue opération illégale et à couvert, menée en Asie centrale par un petit groupe aux États-Unis. Ce groupe avait l’intention de promouvoir l’industrie pétrolière et le Complexe Militaro-Industriel en utilisant les employés turcs, les partenaires saoudiens et les alliés pakistanais, cet objectif étant poursuivi au nom de l’Islam. »

Le journaliste new-yorkais Eric Margolis, auteur de War at the top of the World, a affirmé que les Ouïghours, dans les camps d’entrainement en Afghanistan depuis 2001, « ont été entrainés par Ben Laden pour aller combattre les communistes chinois au Xinjiang. La CIA en avait non seulement connaissance, mais apportait son soutien, car elle pensait les utiliser si la guerre éclatait avec la Chine. »

L'action des services secrets états-uniens aux côtés des séparatistes ouïghours du Xinjiang n'est pas seulement passée par Al-Qaïda mais aussi par le milliardaire turc  domicilié à Philadelphie depuis 1998
Fetullah Gulen qui finance des écoles islamiques (madrassas) en Asie centrale, et par Enver Yusuf Turani, premier ministre autoproclamé du "gouvernement en exil du Turkestan oriental" (qui est censé englober le Xinjiang chinois)... basé à Washington. Ces personnalités sont liées à Morton I. Abramowitz, directeur du National Endowment for Democracy, qui a joué un rôle important dans le soutien aux islamistes afghans sous Reagan et aux milices bosno-musulmanes et kosovares sous Clinton (dans le cadre de l'International Crisis Group). Le vice-président étatsunien Joe Biden qui s'est répandu en propos incendiaires contre la Russie récemment est aussi sur cette ligne.

Cette politique s'inscrit dans le cadre du plan Bernard Lewis à l'origine supervisé par Zbigniew Brzezinski  sous l'administration Carter qui visait à maintenir un "arc de crise" dans les pays musulmans d'Eurasie pour faire main basse sur les ressources d'Asie centrale en hydrocarbures.

Certains observateurs soulignent cependant que vu leur dépendance économique à son égard et l'intérêt qu'ils peuvent avoir à jouer la carte de Pékin contre Moscou les Etats-Unis sont voués à garder officiellement une position modérée sur la politique de la Chine au Xinjiang (où de violentes manifestations touchent la province et provoquent la mort d'au moins 140 personnes le 5 juillet dernier) en compensation de la politique agressive de leurs services secrets dans la zone.

Pékin semble toutefois résolu à contrer les manoeuvres sécessionnistes sur son territoire, mais aussi à mener une action plus en profondeur sur le continent eurasiatique. C'est ainsi en tout cas que Nicolas Bardos-Feltoronyi, contributeur de l'atlas alternatif, analyse le prêt d'1 milliard de dollars que Pékin serait prêt à consentir à la Moldavie, pays charnière entre l'Union européenne et la Russie - un prêt sur 15 ans à un taux d’intérêt hautement favorable de 3%. Cette aide qui pourrait dissuader Chisinau de se rapprocher de l'Union européenne s'inscrirait selon l'auteur dans le cadre d'une coordination accrue des politiques étrangères russe et chinoise. C'est aussi l'analyse qu'en fait
Jean Vanitier sur son blog.

Autre réplique à l'impérialisme états-unien en Eurasie, après la Libye, l'Algérie et la Syrie, le président vénézuélien Hugo Chavez s'est rendu
le 7 septembre au Turkménistan, quatrième pays au monde pour les réserves de gaz après la Russie, l'Iran et le Qatar. Chavez a proposé à son homologue turkmène Gourbangouly Berdymoukhammedov d'adhérer au cartel gazier déjà évoqué sur ce blog. Le Turkménistan, actuellement en froid avec Moscou, est aussi très courtisé par l'Union européenne qui souhaite le voir adhérer à son projet de gazoduc Nabucco, ainsi que par la Chine.

F. Delorca
http://atlasalternatif.over-blog.com/

Le Japon bientôt libéré?

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Le Japon : bientôt libéré ?

http://unitepopulaire.org/

Second article choisi à l’occasion des élections historiques au Japon qui ont vu la semaine passée le pouvoir changer de main :

 

 

« Vingt ans après la fin de la guerre froide, la communauté internationale vit de grands changements structurels. Affaiblis par le conflit en Irak et la guerre contre le terrorisme en Afghanistan et responsables de la crise financière et économique, les Etats-Unis ont perdu leur prestige et leur assurance d’antan. L’arrivée au pouvoir de Barack Obama, qui souhaite renforcer la coopération internationale, marque la fin de l’unilatéralisme américain. De leur côté, des pays émergents comme la Chine, l’Inde et le Brésil ont accru leur influence à la faveur de la crise, tandis que des membres du G8 – et notamment le Japon – ont vu la leur décliner.

 

Face à ces bouleversements, le Japon doit fonder sa diplomatie et sa politique de maintien de la paix sur une nouvelle philosophie, affranchie de la logique de la guerre froide. Les gouvernements libéraux-démocrates qui se sont succédé jusqu’ici ont fait de l’alliance nippo-américaine le principal pilier de leur politique étrangère et sécuritaire. Ils n’ont pas cessé de préconiser son renforcement. […] Cependant, le pouvoir actuel a souvent été critiqué pour sa servilité envers les Etats-Unis. L’ancien Premier ministre Junichiro Koizumi, qui a remporté une majorité écrasante lors des précédentes élections générales en 2005, considérait qu’à l’instar des liens personnels qu’il avait noués avec le président George Bush, “meilleures seraient les relations nippo-américaines, plus le Japon aurait de chances d’en avoir de satisfaisantes avec le reste du monde, à commencer par la Chine, la Corée du Sud et les autres pays d’Asie”. Mais, à force de s’aligner sur la politique des Etats-Unis, il a fini par se couper du reste du monde.

 

Il est temps que le Japon cesse de se montrer servile vis-à-vis de Washington. Il doit adapter ses rapports avec les Etats-Unis en fonction de l’évolution de la conjoncture mondiale et renforcer ses liens avec la communauté internationale, et en particulier avec les pays asiatiques. […] Dans ses “Mesures pour 2009”, le document qui a servi de base à son programme électoral, le Parti Démocrate Japonais (PDJ) propose, comme base de sa politique étrangère et sécuritaire, de “bâtir une alliance nippo-américaine adaptée à l’ère nouvelle” et d’établir un “partenariat sur un pied d’égalité”. Dans ses “Mesures pour 2008”, le PDJ avait fait des propositions susceptibles d’être mal accueillies par les Etats-Unis. Il préconisait notamment une “révision radicale de l’accord sur le ­statut des forces américaines au Japon” et une “vérification constante” des dépenses liées au cantonnement de ces soldats sur le territoire national, notamment la prise en charge des frais générés par le redéploiement de l’armée américaine dans la région et des frais généraux des forces américaines stationnées sur l’archipel. »

 

 

Mainichi Shimbun (Japon), août 2009

 

 

NDLR1 : Ces prévisions ne sont pas sans faire penser à celles exprimées par Aymeric Chauprade dans son livre Chroniques du Choc des Civilisations (Chroniques Dargaud, 2009) lorsqu’il écrit, aux p.198 et 200 : « Ce qui oppose actuellement le Japon et la Chine pourrait bien se transformer en jour en facteur de rapprochement. […] Entre deux humiliations, celle infligée au Japon par la race blanche et celle infligée par des frères confucéens, fussent-ils ennemis séculaires, laquelle pèsera le plus dans vingt ans ? Nous sommes en Asie, une région où les peuples ne sont pas métissés, et où aucune des "maladies" importées de l’Occident (individualisme, hédonisme, vieillissement démographique) n’a altéré la cohésion ethnique des groupes humains. […] Plus les années vont passer, plus la réalité économique du Japon va diverger de celle des Etats-Unis au profit de cette sphère de co-prospérité asiatique. »

 

NDLR2 : Le fait d’avoir choisi pour illustrer cet article une photo du grand écrivain et combattant Yukio Mishima ne sous-entend évidemment pas que nous comparons le Parti Démocrate Japonais à l’auteur de Confession d’un Masque, mais il nous semble que dans l’imaginaire national japonais, Mishima est peut-être le plus à même de symboliser le réveil et l’autonomie du Japon.

dimanche, 13 septembre 2009

Le Japon: un pays occupé

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Le Japon : un pays occupé

 

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Premier article choisi à l’occasion des élections historiques au Japon qui ont vu la semaine passée le pouvoir changer de main :

 

 

 

« "Le niveau de frustration des Japonais au sujet des exigences des Etats-Unis est tel que toutes les initiatives politiques de Washington, même celles qui sont dans l’intérêt du pays, rencontreront une résistance. L’Amérique ne le sait sans doute pas, mais elle est en train d’écraser l’identité du peuple japonais et celui-ci, à la longue, ne l’acceptera pas". Assez inhabituel, ce franc-parler de M. Makoto Utsumi, ancien haut fonctionnaire, touche du doigt un des aspects négligés mais centraux de l’interminable crise japonaise : l’emprise américaine sur une société devenue incapable de définir des objectifs nationaux et de se donner un rôle politique à la mesure de son poids économique. La corruption, l’immense gaspillage de ressources dans de grands projets inutiles et l’incompétence affligeante de la caste dirigeante issue du Parti libéral démocrate (PLD) ne sont certes pas directement imputables à cette dépendance externe. Mais les Etats-Unis ont, dans une large mesure, façonné le système en construisant, au lendemain de la seconde guerre mondiale, une relation entièrement destinée à servir leurs intérêts.

Sous l’impulsion du secrétaire d’Etat américain John Foster Dulles, cet obsédé de l’anticommunisme, ils ont transformé l’ex-ennemi japonais en allié, en satellite et en agent des Etats-Unis dans la confrontation contre l’Union soviétique et la République populaire de Chine. Au nom de la guerre froide et en réaction à la victoire du Parti communiste chinois en 1949, ils ont abandonné leur projet initial de démocratisation du Japon et stimulé l’émergence d’une caste d’élite qui a monopolisé pendant près de soixante ans le pouvoir, favorisant ainsi la connivence, le clientélisme et la corruption plutôt que l’intérêt général. Ils ont dominé l’économie politique du pays et limité son autonomie. […]

 

L’incapacité du pays à mener à bien des réformes dans la décennie suivante n’a pas été le résultat d’une trop forte intervention de la bureaucratie dans la gestion économique. Au contraire, elle tient à l’autonomisation des intérêts privés et corrélativement à la faiblesse de l’intervention publique dans la mise en oeuvre de la politique économique du pays. Comme l’a souligné M. Joseph Stiglitz, ancien économiste en chef de la Banque mondiale et Prix Nobel d’économie, "la régulation est devenue le bouc émissaire, alors que le véritable coupable était un manque de contrôle".

 

Les critiques du modèle nippon cherchent à discréditer toute autre voie que le modèle américain et à créer des fondations idéologiques solides pour la poursuite de l’ordre dominant libéral centré aux Etats-Unis. Ils visent en particulier l’"Etat développeur" capitaliste d’Asie orientale. Les idéologues américains ignorent superbement les fondements culturels du dirigisme économique dans nombre de pays d’Asie orientale : ils orientent l’économie vers le long terme, alors que les finalités du capitalisme actionnarial américain se résument à l’accumulation à court terme. De plus, ces idéologues exagèrent jusqu’à la caricature les bienfaits supposés du système américain.

 

Comme le souligne l’auteur anglais John Gray, "c’est une caractéristique de la civilisation américaine que de concevoir les Etats-Unis comme un modèle universel, mais cette idée n’est acceptée par aucun autre pays. Aucune culture européenne ou asiatique ne peut tolérer la déchirure sociale – dont les symptômes sont la criminalité, l’incarcération, les conflits raciaux et ethniques, et l’effondrement des structures familiales et communautaires – qui est l’envers du succès économique américain".

 

Au fond, le problème du Japon ne relève pas de l’économique, mais du politique. Le Parti libéral démocrate (PLD), au pouvoir depuis 1949, est corrompu et incompétent. Son ancien rôle de bastion anticommuniste n’a plus aucune espèce de pertinence. Mais les Américains adorent le PLD, seul parti politique du pays à être suffisamment indifférent à la souffrance et à l’humiliation des habitants d’Okinawa (ou des autres populations vivant à proximité des 91 bases militaires des Etats-Unis) pour servir d’agent de Washington. Au cours des dernières décennies, ils ont déboursé des sommes immenses pour soutenir leurs affidés du PLD et diviser le camp progressiste et socialiste. »

 

 

Chalmers Johnson, président du Japan Policy Recherche Institute (JPRI), "Les impasses d’un modèle : cinquante années de subordination", Le Monde Diplomatique, mars 2002