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mardi, 21 septembre 2010

Swedisch Democrats: Far Right in Sweden

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SWEDISH DEMOCRATS: FAR RIGHT IN SWEDEN

14-jimmie_akesson.jpgSweden’s ruling centre-right coalition won the most votes but fell short of a majority in the general election as the far right entered parliament for the first time.

Prime Minister Fredrik Reinfeldt’s Alliance won 49.2 percent of votes and 172 seats in Sweden’s 349-seat legislature in Sunday’s vote, three short of a majority, according to a final ballot count. The leftwing opposition coalition garnered 43.7 percent of the ballot and 157 seats, marking a crushing defeat for Social Democrat Mona Sahlin, 53. “We have received broad support tonight,” Reinfeldt told a jubilant crowd in Stockhom, boasting that his Moderate party had seen its voter support double from 15 percent in 2002 to 30 percent on Sunday. Yet, he acknowledged, “this is not the election result we had hoped for,” lamenting the anti-immigrant far-right Sweden Democrats’ entry into parliament with 5.7 percent of the vote, and 20 seats in the house. 

Observers have cautioned the far-right party could play either kingmaker or spoiler, forcing Reinfeldt to seek new alliances or even make it so difficult to govern that snap polls are forced.

“I have been clear…. We will not cooperate with or be made dependent on the Sweden Democrats,” Reinfeldt, 45, said in his victory speech, adding that he would seek to shore up support from elsewhere.

“I will turn to the Greens to get broader support in parliament,” he said.

The Green Party, which campaigned as part of a “red-green” opposition coalition with the Social Democrats and formerly communist Left Party and which scored its best election result ever with 7.2 percent of the vote, however rejected the idea outright.

“It would be very difficult for us after this campaign to look our voters in the eyes and say we have agreed to cooperate with this government,” party co-chairwoman Maria Wetterstrand told Swedish public television.

Social Democrat Sahlin, who had been vying to become Sweden’s first woman prime minister, meanwhile warned that the far-right’s rise had put Sweden in a “dangerous political situation.”

“It is now up to Fredrick Reinfeldt how he plans to rule Sweden without letting the Sweden Democrats get political influence,” she told a crowd of crestfallen supporters after acknowledging defeat.

Reinfeldt’s win spelled a decisive end to the rival Social Democrats’ 80-year domination of Swedish politics and their role as caretakers of the country’s famous cradle-to-grave welfare state.

The party, which for the first time had created a coalition of leftwing parties to increase its chances of winning power, suffered a historic loss, winning just 30.9 percent of the vote, down from 35.3 percent in 2006, when its score was already one of its weakest on record.

It is still the most popular single party, although it is now less than a percentage point ahead of Reinfeldt’s Moderates. In 2002, 15 points separated the two parties.

More than 82 percent of Sweden’s seven million electorate had cast their ballots Sunday, the final tally of votes from all election districts showed, although the number could shift slightly, since votes from abroad will be counted until Wednesday.

The far-right was celebrating its historic entry in parliament.

Now we are in the Riksdag! We are in!,” exulted Jimmie Aakesson, the 31-year-old leader of the Swedish far-right, as he addressed supporters at the party’s election headquarters.

He dismissed widespread fears his party would cause parliamentary chaos.

“We won’t cause problems. We will take responsibility. That is my promise to the Swedish people,” he said.

Aakesson recalled a tough election campaign, saying his party had been excluded from the public debate.

“We were exposed to censorship, we were exposed to a medieval boycott, they… excluded us,” he lamented.

However, “today we have written political history,” he said.

The party wants to put the brakes on immigration in Sweden, where more than 100,000 foreigners take up residence every year.

The Sweden Democrats won 0.37 percent of the ballot in 1998 and garnered 2.9 percent of the vote in legislative elections in 2006.

Link: http://uk.news.yahoo.com/18/20100920/twl-sweden-coalition...

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Un altro segnale per l’Europa

L’estrema destra nel Parlamento svedese

Jimmie Akesson (Reuters)

La Svezia ha votato. E ora sta sospesa nel vuoto. Come metà del resto d’Europa. Con diversi acrobati a scrutarsi, da una rete all’altra; e con molti trapezi che pendono a destra rendendo più difficile l’insieme delle esibizioni. Fuor di metafora: molte nuove formazioni di destra o estrema destra sono comparse nel circo politico europeo, favorite probabilmente dai malesseri sociali della crisi, hanno conquistato posizioni di spicco nelle elezioni e sono divenute decisive per la formazione dei governi.
Forse è presto per parlare di una marea montante. Ma certo, l’onda c’è e si vede. In Svezia, ieri, con lo stallo fra centrodestra e centrosinistra incapaci di governare da soli, a far da ago della bilancia sono rimasti i Democratici svedesi, gruppo di estrema destra che chiede solidarietà per l’Eurabia violentata dall’Islam, e propugna la cacciata di tutti gli immigrati extracomunitari a meno che non accettino «l’assimilazione culturale». Per la prima volta, guidati dal loro giovane capo Jimmie Akesson, hanno superato lo sbarramento del 4% dei voti che chiude l’accesso al Parlamento.


Nella vicina Finlandia, salgono nei sondaggi i «True Finns» («Veri finlandesi») che propugnano il «rispetto delle tradizioni silvane». Sembrano raccontar fole, ma in tre anni hanno raddoppiato i voti. In Danimarca, il Partito del popolo si è reso famoso per aver diffuso le vignette satiriche su Maometto e da allora ha allargato le campagne a molti altri temi. In Olanda, il Partito della libertà di Geert Wilders ha 24 seggi in Parlamento, e collegamenti sempre più stretti con i colleghi del vicino Belgio: i fiamminghi ultranazionalisti del Vlaams Belang, anch’essi in crescita. E così via: dall’Ungheria, con i nazionalisti di Jobbik in fortissima crescita, alla Romania con quelli di Grande Romania. Tutti costoro si riuniranno a fine ottobre ad Amsterdam, insieme con i club ultras del calcio di tutta l’Europa, per acclamare Geert Wilders.

Luigi Offeddu

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Exit-poll in Svezia, vince il centrodestra
E gli estremisti entrano in Parlamento

Il partito xenofobo Democratici di Svezia oltre il 5%

STOCCOLMA – Con il passare delle ore, i dati dello spoglio confermano che a vincere in Svezia è stata la coalizione di centrodestra guidata dal primo ministro svedese Frederik Reinfeldt, che non è riuscita però a raggiungere la maggioranza necessaria a formare da sola un nuovo governo. L’ago della bilancia è quindi l’estrema destra di Jimmi Akesson, i Democratici di Svezia, che può contare sul 6,2% dei voti. E avendo superato la soglia di sbarramento del 4%, per la prima volta fa il suo ingresso in parlamento. L’Alleanza di quattro partiti guidata da Reinfeldt ha ottenuto un secondo mandato, un’altra prima assoluta in un secolo di storia del Paese scandinavo, in cui i socialdemocratici hanno dominato la scena politica per 80 anni. Secondo lo scrutinio di circa la metà delle circoscrizioni elettorale, inoltre, l’Alleanza di governo del premier uscente Fredrik Reinfeldt ha ottenuto il 48,8% dei suffragi contro il 43,7% della coalizione di centrosinistra della socialdemocratica Mona Sahlin. La maggioranza della coalizione di governo rischia però di non avere i numeri per formare il nuovo governo: secondo alcuni, avrebbe raggiunto la maggioranza assoluta grazie a un solo seggio (175 su 349), per altri si fermerebbe a 172 seggi. Tra i 20 e i 21 seggi per l’estrema destra, a questo punto decisivi, mentre il centrosinistra si aggira tra i 154 e i 156.

CENTROSINISTRA SCONFITTO – Sconfitto il centrosinistra, che puntava su una donna, Mona Sahlin, per recuperare il primato perduto quattro anni fa e che si è fermato al 45,1% dei suffragi. L’estrema destra di Akesson, 31 anni, da cinque leader di Sd, è da tempo presente negli enti locali e si ritrova dunque a fare da ago della bilancia, nonostante negli ultimi giorni di campagna elettorale sia Reinfeldt che Sahlin hanno categoricamente escluso una collaborazione con il partito xenofobo e anti-islamico. «Non li toccherei neanche con le pinze», aveva detto nei giorni scorsi il premier uscente, mentre Akesson aveva tuonato contro gli altri partiti, prevedendo la storica svolta: «Per il semplice fatto di trovarci in parlamento, li spaventeremo e li costringeremo ad adattarsi». In un Paese che ha fatto registrare una ripresa economica tra le più forti in Europa e uno stato delle finanze pubbliche tra i più sani, la campagna elettorale è stata dominata dai temi del welfare e delle politiche fiscali, con il governo che ha rivendicato i tagli alle tasse e ai benefit e l’opposizione che al contrario ha criticato l’indebolimento del celebre stato sociale svedese, dalla culla alla tomba. E il welfare, «corroso» dall’immigrazione, è stato anche il cavallo di battaglia della destra che ha cavalcato (come successo in altri Paesi europei, dal Belgio all’Olanda) le paure di un Paese composto per il 14% da stranieri di varie nazionalità, brandendo la minaccia di una «rivoluzione islamica».

IL LEADER NAZIONALISTA – Trentuno anni, capelli scuri, occhiali e abbigliamento all’ultima moda. Il leader dell’estrema destra in Svezia non è un vichingo biondo, ma il giovane rampante Jimmi Akesson, classe 1979, da cinque anni alla guida dei Democratici di Svezia (Sd). Militante dall’età di 15 anni, Akesson fu scelto nel 2005 per essere la figura di punta di un partito quasi inesistente alle elezioni precedenti. Alle legislative del 1998, Sd aveva raccolto solo lo 0,37% dei voti, poi l’1,44% nel 2002. Ma nel 2006, sotto la guida di Akesson, l’estrema destra ha raggiunto il 2,93% e oggi ha superato la soglia del 4% (al 4,6%, secondo gli exit poll) necessaria a conquistare seggi in Parlamento. Con il suo look rassicurante, Akesson ha modificato la percezione che gli svedesi avevano dell’estrema destra, attenuando nettamente l’ombra del movimento Bevara Sverige Svenskt (Manteniamo la Svezia svedese) da cui gli Sd sono usciti. Nel 1995, quando quindicenne entrò nel partito, c’erano ancora militanti vestiti in uniforme nazista: «Oggi siamo diversi – ha detto in una recente intervista il giovane leader – e gli elettori lo vedono». Ma Akesson, nato a Solvesborg (nel sud della Svezia) dove è consigliere comunale dal 1998, non ha dimenticato i temi fondamentali del suo partito: l’immigrazione, la criminalità e i legami tra le due. «Tutti gli immigrati non sono dei criminali, certo, ma c’è una connessione», ha detto, rivendicando un «punto di vista conservatore» e sottolineando come le politiche in merito a immigrazione e criminalità siano «ciò che ci differenzia dagli altri partiti». Secondo osservatori e oppositori, però, i Democratici di Svezia, pur non essendo nazisti, continuano a essere razzisti. Secondo Anders Hellstrom, esperto di neonazionalismo in Scandinavia, Akesson è solo la parte visibile del partito, mentre la direzione ideologica di Sd sarebbe affidata da «una banda di quattro: Akesson, Jomshof, Karlsson e Soder» (quest’ultimo è segretario del partito), i quali tentano di trovare una via «tra l’estremismo e il populismo». «Si potrebbe dire – ha aggiunto l’esperto – che cerchino di spingere più in là i limiti del legittimo, in equilibrio sul filo dell’accettabile».

Redazione CDS online

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Minority Rules

Foreign Policy

Paul O’Mahony

September 16, 2010

If the spectrum of political stereotypes about Sweden ranges from IKEA-furnished socialist paradise to Stieg Larsson-style right-wing dystopia, the country’s upcoming election on September 19 seems far more likely to confirm the latter than the former. The Sweden Democrats, a once-marginal populist party whose platform targets immigrants, is on the path to enter parliament for the first time — and potentially to serve as kingmaker in post-election coalition negotiations.

“Stieg would have been appalled but not surprised,” says Anna-Lena Lodenius, a journalist who has monitored the Sweden Democrats since their formation in 1988 and once co-wrote a book with Larsson, the late author of the bestselling Girl with the Dragon Tattoo trilogy, on the extreme right in Sweden.

In ditching their pariah status for parliamentary legitimacy, the Sweden Democrats will be joining their fellow far-right parties across Europe — from Denmark, Norway, and the Netherlands to France, Belgium, and Austria. Following in their footsteps, the Sweden Democrats have learned to broaden their appeal beyond their original core constituency of hardcore neo-Nazis and young skinheads.

Indeed, perhaps the only reason that Sweden has thus far managed to avoid hosting a prominent far-right faction on the national stage is that the Sweden Democrats delayed trading their jackboots and uniforms for more palatable political symbols, and as a result couldn’t attract the minimum 4 percent of the vote needed to qualify for parliament.

“In our neighboring countries, the parties of discontent began life as classic tax revolt movements,” says Anders Sannerstedt, a political scientist at Lund University. “The Sweden Democrats by contrast have spent the last 15 years trying to shed their white power image.”

A direct descendent of Keep Sweden Swedish — a rabidly anti-immigrant group founded in 1979 by the former members of several small, pro-Nazi parties — the Sweden Democrats once seemed in no rush to earn their democratic credentials, satisfied instead to serve for years as a tribune for unabashed white-power anger. It’s only in the last decade that the party has embraced the rhetoric of aggrieved populism aimed at Muslims. “Although their ideas are still basically the same — they trace every problem back to immigration — they have undoubtedly become more respectable,” says Lodenius.

The strength of this appeal is most apparent in the towns and villages of the densely populated south, the party’s main voter base. The Sweden Democrats have attracted voters — mainly disaffected, working-class men — by promoting their vision of a Sweden that combines social conservatism and ethnic homogeneity with the promise of a return to an undiluted, cradle-to-grave welfare state.

“Social Democrats in particular have been migrating to the Sweden Democrats, but they’re also winning over some conservative voters from the centre-right,” says Lodenius.

For a political system that prizes consensus, the arrival of the Sweden Democrats has rocked the natural order. Politicians and the press have spent years debating whether to treat them as an equal or an outcast. Consigned to an undefined hinterland, the party leveraged its martyr status to boost its anti-establishment appeal.

Now the Sweden Democrats are one of the major talking points in a Swedish election fraught with intrigue. The latest polls show the incumbent coalition — a four-party center-right alliance — holding a consistent lead over the three-party Red-Green opposition, with the Sweden Democrats holding at 7.5 percent — enough to make the far-right, anti-Muslim group the third-largest party in the country. It’s a remarkable rise for a party that was thrilled with its 2.9 percent showing at the last election in 2006.

But if the center-left opposition makes even a mild surge before the election, it’s possible that Sweden will be left with a hung parliament — in which case the unaligned Sweden Democrats will be in a position to be the country’s permanent swing vote. All the mainstream parties have vowed not to work with the far-right populists, but it’s not clear, in the event of an electoral stalemate, how the country would manage to function without them. Prime Minister Fredrik Reinfeldt indicated over the weekend that he could envisage seeking the support of the Green Party in a bid to undercut the Sweden Democrats’ influence, but it’s unclear just how the country’s center-right could broker such a deal with a leftist group.

Even if they are isolated in parliament, the Sweden Democrats will soon have a bigger soapbox from which to voice their antipathy toward Muslim immigrants. But the obsession with Islam is relatively new. In the 1990s, as the party was just beginning to engage with the democratic process, immigrant groups were routinely described as welfare freeloaders with criminal tendencies. “Religion really wasn’t much of an issue, despite the fact that Sweden had already taken in a lot of Muslims from countries like Iran and the former Yugoslavia,” says Lodenius.

It was only after 9/11 that the party took to portraying large-scale immigration from the Middle East as financially reckless and culturally suicidal. In the run-up to this year’s election, the party has doubled-down on its anti-Islamic messaging. Party leader Jimmie Åkesson earned notoriety last year when he described the spread of Islam in Sweden as “our greatest foreign threat since World War II.” The party underscored its message with a campaign film showing a pensioner lady losing out to a gang of marauding burqa-clad mothers in a race for government benefits.

One of the Sweden Democrats’ top parliamentary candidates is 29-year-old Kent Ekeroth. A vocal critic of Islam, he has already risen to a top post in the party despite only having joined in 2006. “We want to make it more difficult for practising Muslims to live in Sweden because we want to make it more difficult for people to live in accordance with totalitarian ideologies,” he says.

Sweden’s government does not keep track of the religious affiliations of its nine million residents, but a recent U.S. State Department report estimates that there are up to half a million Muslims in the country, just over 100,000 of whom are registered with the Muslim Council of Sweden as practicing. Muslims may not statistically be an overwhelming proportion of the total population, but their presence is a symbolic affront to some Swedes nostalgic for simpler times.

Sweden witnessed very little immigration in the first half of the last century, its homogeneity disrupted only by the arrival of World War II refugees from neighboring countries in Scandinavia and the Baltic states. Then, in the 1950s, Sweden began bringing in migrant workers from Turkey and the former Yugoslavia to fill in labor shortages. The Muslim population began expanding more rapidly in the early 1970s, when Sweden expanded its policy of taking in refugees from war-torn countries, leading to large-scale immigration in subsequent decades from Bosnia, Kosovo, Lebanon, Iran, Iraq, and Somalia. After 2003, for example, Sweden accepted more Iraqi refugees than any other European country — 40 percent of the continent’s total; by the end of 2009, the country of nine million was home to 117,000 people born in Iraq.

Kent Ekeroth wants Muslims to leave Sweden if they won’t assimilate, offering to pay them money to help them on their way if necessary. In line with party policy — and in deference to mainstream Swedish voters’ sensibilities — he frames his arguments in cultural rather than racial terms, claiming that Islamic societies represent a medieval outlook that makes Muslims unsuited to life in modern-day Sweden. Echoing his party leader, Ekeroth speaks of the purported ongoing Islamification of Sweden, a recurring trope among rightists who warn of a coming “Eurabia.”

“We import a lot of the crime we have in Sweden today, primarily through people from the Middle East and Africa, whose culture, values, and concepts of right and wrong are completely different,” he says.

Though Swedes generally reject this kind of cultural stereotyping, many would now readily concede that the country’s multiculturalism experiment has not been friction-free. Immigrants are somewhat over-represented in crime statistics and segregation is rife in several cities, with new arrivals often moving into areas with nicknames like Little Baghdad and Little Mogadishu. Mayors have warned of municipal infrastructure stretched to the breaking point, while fire and ambulance services have come under attack in some immigrant-heavy suburbs because locals thought they were an intrusive show of authority. Many Swedes believe that their country has an immigration — or at the least, an integration — problem.

But Sweden’s mainstream parties have preferred to avoid the subject directly for fear of being tainted by the accusation of populism — allowing the Sweden Democrats to monopolize the issue with their rabble-rousing. “It’s vital that the other parties are able to debate immigration and globalization, migration patterns and their effects on society, radical Islam, and so on,” says Lodenius. “People have real fears here and politicians need to be able to explain how they intend to meet these challenges.”

Ignoring the abrasive new kids on the block isn’t going to make them go away, and Lodenius argues that it is no longer feasible to starve the Sweden Democrats of publicity simply by dismissing them as shrill extremists. “The Sweden Democrats are not Nazis anymore and they currently represent quite a few voters. I expect them to make it in this time. Whatever happens, it’s going to be a fascinating election.”

But Lodenius also concedes that negotiating with the Sweden Democrats will be a major adjustment for a country that for so long enjoyed a multicultural consensus. “Stieg Larsson and I agreed on a lot of things but he would have found it very difficult to accept the need to engage with them.”

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Sweden’s Far Right to Enter Parliament For the First Time

Quote:

Sweden’s governing centre-right alliance has been re-elected, but is short of an overall majority, official preliminary results show.

They show PM Fredrik Reinfeldt’s four-party coalition won 173 seats out of 349 in parliament.

The far-right Sweden Democrats are said to have gained more than 4% of the vote, enabling them to enter parliament for the first time.

Mr Reinfeldt declared victory and said he would seek support from the Greens.

The Greens are currently allied with the centre-left Social-Democrats. Green Party spokeswoman Maria Wetterstrand said the opposition bloc remained united.

Social Democratic leader Mona Sahlin has conceded defeat.

“We were not able to win back confidence,” she told supporters. “The Alliance is the largest majority. It is now up to Fredrick Reinfeldt how he plans to rule Sweden without letting the Sweden Democrats get political influence.”

Mr Reinfeldt reiterated that he would not form a coalition with the far-right.

“I have been clear on how we will handle this uncertain situation,” he said. “We will not co-operate, or become dependent on, the Sweden Democrats”.

‘Media boycott’

Sweden Democrats leader Jimmie Akesson said his party would use the opportunity to make itself heard.

“We have been subjected to censorship – a media boycott – as we have not been invited to any of the official debates,” he said.

“We have in many ways been treated as anything but a political party in this election. But even so, today we stand here with a fantastic result. The situation is a bit uncertain just now, but we have four years ahead of us to speak out on the issues that matter to us and influence Swedish politics.”

BBC regional reporter Damien McGuinness says the Sweden Democrats appear to have tapped into voter dissatisfaction over immigration.

Immigrants make up 14% of the country’s population of 9.4 million.

The largest immigrant group is from neighbouring Finland, followed by people from Iraq, the former Yugoslavia and Poland.

The centre-left Social Democrats had ruled Sweden for 65 of the past 78 years, and are credited with setting up the country’s generous welfare state.

It is the first time a conservative government has won re-election in Sweden for about a century.

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Swedish gov’t courts Greens, shuns far-right

STOCKHOLM — Sweden’s prime minister sought help from the opposition Monday to avoid a political deadlock after an Islam-bashing far-right group spoiled his center-right government’s control of Parliament.

Prime Minister Fredrik Reinfeldt’s coalition won Sunday’s election but lost its majority in the 349-seat legislature, weakening its ability to push through crucial legislation.

The Sweden Democrats, a small nationalist party, entered Parliament for the first time, winning 20 seats to hold the balance of power between the center-right and the opposition left-wing bloc.

Reinfeldt reached out to the opposition Green Party because he has vowed not to govern with the Sweden Democrats, who demand sharp cuts in immigration and have called Islam Sweden’s greatest foreign threat since World War II.

Green Party co-leader Peter Eriksson on Monday suggested his party was open for talks, but noted there is a large divide between his party and the center-right bloc.

“It is still reasonable that we wait with anything like that until the election result is really complete,” he told Swedish radio Monday, referring to the final count expected Wednesday.

“We stand up for taking the climate issue seriously and the government doesn’t, that is to say there are great political differences,” he added.

Reinfeldt’s four-party alliance dropped to 172 seats – three short of a majority – compared to 154 seats for the Social Democrat-led opposition, according to preliminary official results. A final vote count is expected Wednesday.

The left-wing Social Democrats won only 30.8 percent of votes, its lowest result since universal suffrage was introduced in 1921. For this vote, it had it had joined forces for the first time with the smaller Left and Green parties.

Analysts said talks across the political divide were necessary for Reinfeldt to continue ruling with a minority government.

“The main lead is the idea that the Green Party should step over and enter some kind of deal with the alliance,” Stig-Bjorn Ljunggren said, referring to the center-right bloc.

He also said the governing coalition would have to change its policies in several key areas to win over the Greens, including plans to build new nuclear reactors in Sweden and restrict sickness benefits.

If Reinfeldt fails to solve the impasse he will be left with a fragile minority government that could be forced to resign if it fails to push its legislation through Parliament.

“I have been clear on how we will handle this uncertain situation: We will not cooperate, or become dependent on, the Sweden Democrats,” Reinfeldt, 45, said Sunday.

Sweden Democrats leader Jimmie Akesson on Sunday said his party had “written political history” in the election.

Large waves of immigration from the Balkans, Iraq and Iran have changed the demography of the once-homogenous Scandinavian country, and one-in-seven residents are now foreign-born. The Sweden Democrats say immigration has become an economic burden that drains the welfare system.

Reinfeldt’s coalition ousted the Social Democrats in 2006 and kept its promises to lower taxes and trim welfare benefits. Sweden’s export-driven economy is expected to grow by more than 4 percent this year while its 2010 budget gap is on track to be the smallest in the 27-nation European Union.

Read more: http://www.thestate.com/2010/09/19/1472902/swedish-govt-s...

lundi, 23 août 2010

Paganismo y filosofia de la vida en Knut Hamsun y D. H. Lawrence

Paganismo y filosofía de la vida en Knut Hamsun y D.H. Lawrence

Knut Hamsun en "Dikterstuen", Nørholm, 1930

Robert Steuckers*

 

El filólogo húngaro Akos Doma, formado en Alemania y los Estados Unidos, acaba de publicar una obra de exégesis literaria, en el que hace un paralelismo entre las obras de Hamsun y Lawrence. El punto en común es una “crítica de la civilización”. Concepto que, obviamente, debemos aprehender en su contexto. En efecto, la civilización sería un proceso positivo desde el punto de vista de los “progresistas”, que entienden la historia de forma lineal. En efecto, los partidarios de la filosofía del Aufklärung y los adeptos incondicionales de una cierta modernidad tienden a la simplificación, la geometrización y la “cerebrización”. Sin embargo, la civilización se nos muestra como un desarrollo negativo para todos aquellos que pretenden conservar la fecundidad inconmensurable de los veneros culturales, para quienes constatan, sin escandalizarse por ello, que el tiempo es plurimorfo; es decir, que el tiempo para una cultura no coincide con el de otra, en contraposición a los iluministas quienes se afirman en la creencia de un tiempo monomorfo y aplicable a todos los pueblos y culturas del planeta. Cada pueblo tiene su propio tiempo. Si la modernidad rechaza esta pluralidad de formas del tiempo, entonces entramos irremisiblemente en el terreno de lo ilusorio. 

Desde un cierto punto de vista, explica Akos Doma, Hamsun y Lawrence son herederos de Rousseau. Pero, ¿de qué Rousseau? ¿Quién que ha sido estigmatizado por la tradición maurrasiana (Maurras, Lasserre, Muret) o aquél otro que critica radicalmente el Aufklärung sin que ello comporte defensa alguna del Antiguo Régimen? Para el Rousseau crítico con el iluminismo, la ideología moderna es, precisamente, el opuesto real del concepto ideal en su concepción de la política: aquél es antiigualitario y hostil a la libertad, aunque reivindique la igualdad y la libertad. Antes de la irrupción de la modernidad a lo largo del siglo XVIII, para Rousseau y sus seguidores prerrománticos, existiría una “comunidad sana”, la convivencia reinaría entre los hombres y la gente sería “buena” porque la naturaleza es “buena”. Más tarde, entre los románticos que, en el terreno político, son conservadores, esta noción de “bondad” seguirá estando presente, aunque en la actualidad tal característica se considere en exclusiva patrimonio de los activistas o pensadores revolucionarios. La idea de “bondad” ha estado presente tanto en la “derecha” como en “izquierda”.

Sin embargo, para el poeta romántico inglés Wordsworth, la naturaleza es “el marco de toda experiencia auténtica”, en la medida en que el hombre se enfrenta de una manera real e inmediatamente con los elementos, lo que implícitamente nos conduce más allá del bien y del mal. Wordsworth es, en cierta forma, un “perfectibilista”: el hombre fruto de su visión poética alcanza lo excelso, la perfección; pero dicho hombre, contrariamente a lo que pensaban e imponían los partidarios de las Luces, no se perfecciona sólo con el desarrollo de las facultades de su intelecto. La perfección humana requiere sobre todo pasar por la prueba de lo elemental natural. Para Novalis, la naturaleza es “el espacio de la experiencia mística, que nos permite ver más allá de las contingencias de la vida urbana y artificial”. Para Eichendorff, la naturaleza es la libertad y, en cierto sentido, una trascendencia, pues permite escapar a los corsés de las convenciones e instituciones.

Con Wordsworth, Novalis y Eichendorff, las cuestiones de lo inmediato, de la experiencia vital, del rechazo de las contingencias surgidas de la artificialidad de los convencionalismos, adquieren un importante papel. A partir del romanticismo se desarrolla en Europa, sobre todo en Europa septentrional, un movimiento hostil hacia toda forma moderna de vida social y económica. Carlyle, por ejemplo, cantará el heroísmo y denigrará a la “cash flow society”. Aparece la primera crítica contra el reino del dinero. John Ruskin, con sus proyectos de arquitectura orgánica junto a la concepción de ciudades-jardín, tratará de embellecer las ciudades y reparar los daños sociales y urbanísticos de un racionalismo que ha desembocado en puro manchesterismo. Tolstoi propone una naturalismo optimista que no tiene como punto de referencia a Dostoievski, brillante observador este último de los peores perfiles del alma humana. Gauguin transplantará su ideal de la bondad humana a la Polinesia, a Tahití, en plena naturaleza.

Hamsun y Lawrence, contrariamente a Tolstoi o a Gauguin, desarrollarán una visión de la naturaleza carente de teología, sin “buen fin”, sin espacios paradisiacos marginales: han asimilado la doble lección del pesimismo de Dostoievski y Nietzsche. La naturaleza en éstos no es un espacio idílico propicio para excursiones tal y como sucede con los poetas ingleses del Lake District. La naturaleza no sólo no es un espacio necesariamente peligroso o violento, sino que es considerado apriorísticamente como tal. La naturaleza humana en Hamsun y Lawrence es, antes de nada, interioridad que conforma los resortes interiores, su disposición y su mentalidad (tripas y cerebro inextricablemente unidos y confundidos). Tanto en Hamsun como en Lawrence, la naturaleza humana no es ni intelectualidad ni demonismo. Es, antes de nada, expresión de la realidad, realidad traducción inmediata de la tierra, Gaia; realidad en tanto que fuente de vida.

 

D H Lawrence

Frente a este manantial, la alienación moderna conlleva dos actitudes humanas opuestas: 1.º necesidad de la tierra, fuente de vitalidad, y 2.º zozobra en la alienación, causa de enfermedades y esclerosis. Es precisamente en esa bipolaridad donde cabe ubicar las dos grandes obras de Hamsun y de Lawrence: Bendición de la tierra, para el noruego, y El arcoiris del inglés.
En Bendición de la tierra de Hamsun, la naturaleza constituye el espacio el trabajo existencial donde el hombre opera con total independencia para alimentarse y perpetuarse. No se trata de una naturaleza idílica, como sucede en ciertos utopistas bucólicos, y además el trabajo no ha sido abolido. La naturaleza es inabarcable, conforma el destino, y es parte de la propia humanidad de tal forma que su pérdida comportaría deshumanización. El protagonista principal, el campesino Isak, es feo y desgarbado, es tosco y simple, pero inquebrantable, un ser limitado, pero no exento de voluntad. El espacio natural, la Wildnis, es ese ámbito que tarde o temprano ha de llevar la huella del hombre; no se trata del espacio o el reino del hombre convencional o, más exactamente, el acotado por los relojes, sino el del ritmo de las estaciones, con sus ciclos periódicos. En dicho espacio, en dicho tiempo, no existen interrogantes, se sobrevive para participar al socaire de un ritmo que nos desborda. Ese destino es duro. Incluso llega a ser muy duro. Pero a cambio ofrece independencia, autonomía, permite una relación directa con el trabajo. Otorga sentido, porque tiene sentido. En El arcoiris, de Lawrence, una familia vive de forma independiente de la tierra con el único beneficio de sus cosechas.

Hamsun y Lawrence, en estas dos novelas, nos legan la visión de un hombre unido al terruño (ein beheimateter Mensch), de un hombre anclado a un territorio limitado. El beheimateter Mensch ignora el saber libresco, no tiene necesidad de las prédicas de los medios informativos, su sabiduría práctica le es suficiente; gracias a ella, sus actos tienen sentido, incluso cuando fantasea o da rienda suelta a los sentimientos. Ese saber inmediato, además, le procura unidad con los otros seres.

Desde una óptica tal, la alienación, cuestión fundamental en el siglo XIX, adquiere otra perspectiva. Generalmente se aborda el problema de la alienación desde tres puntos de vista doctrinales:

1.º Según el punto de vista marxista e historicista, la alienación se localizaría únicamente en la esfera social, mientras que para Hamsun o Lawrence, se sitúa en la naturaleza interior del hombre, independientemente de su posición social o de su riqueza material.

2.º La alienación abordada a partir de la teología o la antropología.

3.º La alienación percibida como una anomalía social.

 

D H Lawrence

En Hegel, y más tarde en Marx, la alienación de los pueblos o de las masas es una etapa necesaria en el proceso de adecuación gradual entre la realidad y el absoluto. En Hamsun y Lawrence, la alienación es un concepto todavía más categórico; sus causas no residen en las estructuras socioeconómicas o políticas, sino en el distanciamiento con respecto a las raíces de la naturaleza (que no es, en consecuencia, una “buena” naturaleza). No desaparecerá la alienación con la simple instauración de un nuevo orden socioeconómico. En Hamsun y Lawrence, señala Doma, es el problema de la desconexión, de la cesura, el que tiene un rango esencial. La vida social ha devenido uniforme, desemboca en la uniformidad, la automatización, la funcionalización a ultranza, mientras que la naturaleza y el trabajo integrado en el ciclo de la vida no son uniformes y requieren en todo momento la movilización de energías vitales. Existe inmediatez, mientras que en la vida urbana, industrial y moderna todo está mediatizado, filtrado. Hamsun y Lawrence se rebelan contra dichos filtros.

Para Hamsun y, en menor medida, Lawrence las fuerzas interiores cuentan para la “naturaleza”. Con la llegada de la modernidad, los hombres están determinados por factores exteriores a ellos, como son los convencionalismos, la lucha política y la opinión pública, que ofrecen una suerte de ilusión por la libertad, cuando en realidad conforman el escenario ideal para todo tipo de manipulaciones. En un contexto tal, las comunidades acaba por desvertebrarse: cada individuo queda reducido a una esfera de actividad autónoma y en concurrencia con otros individuos. Todo ello acaba por derivar en debilidad, aislamiento y hostilidad de todos contra todos.

Los síntomas de esta debilidad son la pasión por las cosas superficiales, los vestidos refinados (Hamsun), signo de una fascinación detestable por lo externo; esto es, formas de dependencia, signos de vacío interior. El hombre quiebra por efecto de presiones exteriores. Indicios, al fin y a la postre, de la pérdida de vitalidad que conlleva la alienación.
En el marco de esta quiebra que supone la vida urbana, el hombre no encuentra estabilidad, pues la vida en las ciudades, en las metrópolis, es hostil a cualquier forma de estabilidad. El hombre alienado ya no puede retornar a su comunidad, a sus raíces familiares. Así Lawrence, con un lenguaje menos áspero pero acaso más incisivo, escribe: “He was the eternal audience, the chorus, the spectator at the drama; in his own life he would have no drama” (“Era la audiencia eterna, el coro, el espectador del drama; pero en su propia vida, no había drama alguno”); “He scarcely existed except through other people” (“Apenas existía, salvo en medio de otras personas”); “He had come to a stability of nullification” (“Había llegado a una estabilidad que lo había anulado”).

En Hamsun y Lawrence, el Ent-wurzelung y el Unbehaustheit, el desarraigo y la carencia de hogar, esa forma de vivir sin fuego, constituye la gran tragedia de la humanidad de finales del siglo XIX y principios del XX. Para Hamsun el hogar es vital para el hombre. El hombre debe tener hogar. El hogar de su existencia. No se puede prescindir del hogar sin autoprovocarse una profunda mutilación. Mutilación de carácter psíquico, que conduce a la histeria, al nerviosismo, al desequilibro. Hamsun es, al fin y al cabo, un psicólogo. Y nos dice: la conciencia de sí es a menudo un síntoma de alienación. Schiller, en su ensayo Über naive und sentimentalische Dichtung, señalaba que la concordancia entre sentir y pensar era tangible, real e interior en el hombre natural, al contrario que en el hombre cultivado que es ideal y exterior (“La concordancia entre sensaciones y pensamiento existía antaño, pero en la actualidad sólo reside en el plano ideal. Esta concordancia no reside en el hombre, sino que existe exteriormente a él; se trata de una idea que debe ser realizada, no un hecho de su vida”).

Schiller aboga por una Überwindung (superación) de dicha quiebra a través de una movilización total del individuo. El romanticismo, por su parte, considerará la reconciliación entre Ser (Sein) y conciencia (Bewußtsein) como la forma de combatir el reduccionismo que trata de arrinconar la conciencia bajo los corsés de entendimiento racional. El romanticismo valorará, e incluso sobrevalorará, al “otro” con relación a la razón (das Andere der Vernunft): percepción sensual, instinto, intuición, experiencia mística, infancia, sueño, vida bucólica. Wordsworth, romántico inglés, representante “rosa” de dicha voluntad de reconciliación entre Ser y conciencia, defenderá la presencia de “un corazón que observe y apruebe”. Dostoievski no compartirá dicha visión “rosa” y desarrollará una concepción “negra”, donde el intelecto es siempre causa de mal, y el “poseso” un ser que tenderá a matar o a suicidarse. En el plano filosófico, tanto Klages como Lessing retomarán por su cuenta esta visión “negra” del intelecto, profundizando, no obstante, en la veta del romanticismo naturalista: para Klages, el espíritu es enemigo del alma; para Lessing, el espíritu es la contrapartida de la vida, que surge de la necesidad (“Geist ist das notgeborene Gegenspiel des Lebens”).

Lawrence, fiel en cierto sentido a la tradición romántica inglesa de Wordsworth, cree en una nueva adecuación del Ser y la conciencia. Hamsun, más pesimista, más dostoievskiano (de ahí su acogida en Rusia y su influencia en los autores llamados ruralistas, como Vasili Belov y Valentín Rasputín), nunca dejará de pensar que desde que hay conciencia, hay alienación. Desde que el hombre comienza a reflexionar sobre sí mismo, se desliga de la continuidad que confiere la naturaleza y a la cual debiera estar siempre sujeto. En los ensayos de Hamsun, encontramos reflexiones sobre la modernidad literaria. La vida moderna, ha escrito, influye, transforma, lleva al hombre a arrancarlo de su destino, a apartarlo de su punto de llegada, de sus instintos, más allá del bien y del mal. La evolución literaria del siglo XIX muestra una fiebre, un desequilibrio, un nerviosismo, una complicación extrema de la psicología humana. “El nerviosismo general (ambiente) se ha adueñado de nuestro ser fundamental y se ha fijado en nuestra vida sentimental”. El escritor se nos muestra así, al estilo de un Zola, como un “médico social” encargado de diagnosticar los males sociales con objeto de erradicar el mal. El escritor, el intelectual, se embarca en una tarea misionera que trata de llegar a una “corrección política”.

 

Nietzsche con el uniforme de artillero prusiano, 1868

Frente a esta visión intelectual del escritor, el reproche de Hamsun señala la imposibilidad de definir objetivamente la realidad humana, pues un “hombre objetivo” es, en sí mismo, una monstruosidad (ein Unding), un ser construido como si de un mecano se tratase. No podemos reducir al hombre a un compendio de características, pues el hombre es evolución, ambigüedad. El mismo criterio encontramos en Lawrence: “Now I absolutely flatly deny that I am a soul, or a body, or a mind, or an intelligence, or a brain, or a nervous system, or a bunch of glands, or any of the rest of these bits of me. The whole is greater than the part” (“Bien, yo niego absoluta y francamente ser un alma, o un cuerpo, o un espíritu, o una inteligencia, o un cerebro, o un sistema nervioso, o un conjunto de glándulas, o cualquier otra parte de mí mismo. El todo es más grande que las partes”). Hamsun y Lawrence ilustran en sus obras la imposibilidad de teorizar o absolutizar una visión diáfana del hombre. El hombre no puede ser vehículo de ideas preconcebidas. Hamsun y Lawrence confirman que los progresos en la conciencia de uno mismo no conllevan procesos de emancipación espiritual, sino pérdidas, despilfarro de la vitalidad, del tono vital. En sus novelas, son las figuras firmes (esto es, las que están arraigadas a la tierra) las que logran mantenerse, las que triunfan más allá de los golpes de suerte o las circunstancias desgraciadas.

No se trata, en absoluto, repetimos, de vidas bucólicas o idílicas. Los protagonistas de las novelas de Hamsun y Lawrence son penetrados o atraídos por la modernidad, los cuales, pese a su irreductible complejidad, pueden sucumbir, sufren, padecen un proceso de alienación, pero también pueden triunfar. Y es precisamente aquí donde intervienen la ironía de Hamsun o la idea del “Fénix” de Lawrence. La ironía de Hamsun taladra los ideales abstractos de las ideologías modernas. En Lawrence, la recurrente idea del “Fénix” supone una cierta dosis de esperanza: habrá resurrección. Es la idea de Ave Fénix, que renace de sus propias cenizas.

El paganismo de Hamsun y Lawrence

Si dicha voluntad de retorno a una ontología natural es fruto de un rechazo del intelectualismo racionalista, ello implica al mismo tiempo una contestación de calado al mensaje cristiano.

En Hamsun, se ve con claridad el rechazo del puritanismo familiar (concretado en la figura de su tío Han Olsen) y el rechazo al culto protestante por los libros sagrados; esto es, el rechazo explícito de un sistema de pensamiento religioso que prima el saber libresco frente a la experiencia existencial (particularmente la del campesino autosuficiente, el Odalsbond de los campos noruegos). El anticristianismo de Hamsun es, fundamentalmente, un acristianismo: no se plantea dudas religiosas a lo Kierkegaard. Para Hamsun, el moralismo del protestantismo de la era victoriana (de la era oscariana, diríamos para Escandinavia) es simple y llanamente pérdida de vitalidad. Hamsun no apuesta por experiencia mística alguna.

Lawrence, por su parte, percibe la ruptura de toda relación con los misterios cósmicos. El cristianismo vendría a reforzar dicha ruptura, impediría su cura, imposibilitaría su cicatrización. En este sentido, la religiosidad europea aún conservaría un poso de dicho culto al misterio cósmico: el año litúrgico, el ciclo litúrgico (Pascua, Pentecostés, Fuego de San Juan, Todos los Santos, Navidad, Fiesta de los Reyes Magos). Pero incluso éste ha sido aherrojado como consecuencia de un proceso de desencantamiento y desacralización, cuyo comienzo arranca en el momento mismo de la llegada de la Iglesia cristiana primitiva y que se reforzará con los puritanismos y los jansenismos segregados por la Reforma. Los primeros cristianos se plantearon como objetivo apartar al hombre de sus ciclos cósmicos. La Iglesia medieval, por el contrario, quiso adecuarse, pero las Iglesias protestantes y conciliares posteriores han expresado con claridad su voluntad de regresar al anticosmicismo del cristianismo primitivo. En este sentido, Lawrence escribe: “But now, after almost three thousand years, now that we are almost abstracted entirely from the rhythmic life of the seasons, birth and death and fruition, now we realize that such abstraction is neither bliss nor liberation, but nullity. It brings null inertia” (“Pero hoy, después de tres mil años, después que estamos casi completamente abstraídos de la vida rítmica de las estaciones, del nacimiento, de la muerte y de la fecundidad, comprendemos al fin que tal abstracción no es ni una bendición ni una liberación, sino pura nada. No nos aporta otra cosa que inercia”). Esta ruptura es consustancial al cristianismo de las civilizaciones urbanas, donde no hay apertura alguna hacia el cosmos. Cristo no es un Cristo cósmico, sino un Cristo rebajado al papel de asistente social. Mircea Eliade, por su parte, se ha referido a un “hombre cósmico”, abierto a la inmensidad del cosmos, pilar de todas las grandes religiones. En la perspectiva de Eliade, lo sagrado es lo real, el poder, la fuente de vida y de la fertilidad. Eliade nos ha dejado escrito: “El deseo del hombre religioso de vivir una vida en el ámbito de lo sagrado es el deseo de vivir en la realidad objetiva”.

Knut Hamsun, 1927

La lección ideológica y política de Hamsun y Lawrence

En el plano ideológico y político, en el plano de la Weltanschauung, las obras de Hamsun y de Lawrence han tenido un impacto bastante considerable. Hamsun ha sido leído por todos, más allá de la polaridad comunismo/fascismo. Lawrence ha sido etiquetado como “fascista” a título póstumo, entre otros por Bertrand Russell que llegó incluso a referirses a su “madness”: “Lawrence was a suitable exponent of the Nazi cult of insanity” (“Lawrence fue un exponente típico del culto nazi a la locura”). Frase tan lapidaria como simplista. Las obras de Hamsun y de Lawrence, sgún Akos Doma, se inscriben en un cuádruple contexto: el de la filosofía de la vida, el de los avatares del individualismo, el de la tradición filosófica vitalista, y el del antiutopismo y el irracionalismo.

1.º La filosofía de la vida (Lebensphilosophie) es un concepto de lucha, que opone la “vivacidad de la vida real” a la rigidez de los convencionalismos, a los fuegos de artificio inventados por la civilización urbana para tratar de orientar la vida hacia un mundo desencantado. La filosofía de la vida se manifiesta bajo múltiples rostos en el contexto del pensamiento europeo y toma realmente cuerpo a partir de la reflexiones de Nietzsche sobre la Leiblichkeit (corporeidad).

2.º El individualismo. La antropología hamsuniana postula la absoluta unidad de cada individuo, de cada persona, pero rechaza el aislamiento de ese individuo o persona de todo contexto comunitario, familiar o carnal: sitúa a la persona de una manera interactiva, en un lugar preciso. La ausencia de introspección especulativa, de conciencia y de intelectualismo abstracto hacen incompatible el individualismo hamsuniano con la antropología segregada por el Iluminismo. Para Hamsun, sin embargo, no se combate el individualismo iluminista sermoneando sobre un colectivismo de contornos ideológicos. El renacimiento del hombre auténtico pasa por una reactivación de los resortes más profundos de su alma y de su cuerpo. La suma cuantitativa y mecánica es una insuficiencia calamitosa. En consecuencia, la acusación de “fascismo” hacia Lawrence y Hamsun no se sostiene en pie.

3.º El vitalismo tiene en cuenta todos los acontecimientos de la vida y excluye cualquier jerarquización de base racial, social, etc. Las oposiciones propias del vitalismo son: afirmación de la vida / negación de la vida; sano / enfermo; orgánico / mecánico. De ahí, que no se pueda reconducirlas a categorías sociales, a categorías políticas convencionales, etc. La vida es una categoría fundamental apolítica, pues todos los hombres sin distinción están sometidos a ella.

4.º El “irracionalismo” reprochado a Hamsun y Lawrence, igual que su antiutopismo, tienen su base en una revuelta contra la “viabilidad” (feasibility; Machbarkeit), contra la idea de perfectibilidad infinita (que encontramos también bajo una forma “orgánica” en los románticos ingleses de la primera generación). La idea de viabilidad choca directamente con la esencia biológica de la naturaleza. De hecho, la idea de viabilidad es la esencia del nihilismo, como ha apuntado el filósofo italiano Emanuele Severino. Para Severino, la viabilidad deriva de una voluntad de completar el mundo aprehendiéndolo como un devenir (pero no como un devenir orgánico incontrolable). Una vez el proceso de “acabamiento” ha concluido, el devenir detiene bruscamente su curso. Una estabilidad general se impone en la Tierra y esta estabilidad forzada es descrita como un “bien absoluto”. Desde la literatura, Hamsun y Lawrence, han precedido así a filósofos contemporáneos como el citado Emanuele Severino, Robert Spaemann (con su crítica del funcionalismo), Ernst Behler (con su crítica de la “perfectibilidad infinita”) o Peter Koslowski. Estos filósofos, fuera de Alemania o Italia, son muy poco conocidos por el gran público. Su crítica a fondo de los fundamentos de las ideologías dominantes, provoca inevitablemente el rechazo de la solapada inquisición que ejerce su dominio en París.

Nietzsche, Hamsun y Lawrence, los filósofos vitalistas o, si se prefiere, “antiviabilistas”, al insistir sobre el carácter ontológico de la biología humana, se opusieron a la idea occidental y nihilista de la viabilidad absoluta de cualquier cosa; esto es, de la inexistencia ontológica de todas las cosas, de cualquier realidad. Buen número de ellos —Hamsun y Lawrence incluidos— nos llaman la atención sobre el presente eterno de nuestros cuerpos, sobre nuestra propia corporeidad (Leiblichkeit), pues nosotros no podemos conformar nuestros cuerpos, en contraposición a esas voces que nos quieren convencer de las bondades de la ciencia-ficción.

La viabilidad es, pues, el “hybris” que ha llegado a su techo y que conduce a la fiebre, la vacuidad, la ligereza, el solipsismo y el aislamiento. De Heidegger a Severino, la filosofía europea se ha ocupado sobre la catástrofe que ha supuesto la desacralización del Ser y el desencantamiento del mundo. Si los resortes profundos y misteriosos de la Tierra o del hombre son considerados como imperfecciones indignas del interés del teólogo o del filósofo, si todo aquello que ha sido pensado de manera abstracta o fabricado más allá de los resortes (ontológicos) se encuentra sobrevalorado, entonces, efectivamente, no puede extrañarnos que el mundo pierda toda sacralidad, todo valor. Hamsun y Lawrence han sido los escritores que nos han hecho vivir con intensidad dicha constante, por encima incluso de algunos filósofos que también han deplorado la falsa ruta emprendida por el pensamiento occidental desde hace siglos. Heidegger y Severino en el marco de la filosofía, Hamsun y Lawrence en el de la creación literaria, han tratado de restituir la sacralidad en el mundo y revalorizar las fuerzas que se esconden en el interior del hombre: desde ese punto de vista, estamos ante pensadores ecológicos en la más profunda acepción del término. El oikos nos abre las puertas de lo sagrado, de las fuerzas misteriosas e incontrolables, sin fatalismos y sin falsa humildad. Hamsun y Lawrence, en definitiva, anunciaron la dimensión geofilosófica del pensamiento que nos ha ocupado durante toda esta universidad de verano. Una aproximación sucinta a sus obras se hacía absolutamente necesaria en el temario de 1996.

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* Comentario al libro de Akos Doma, Die andere Moderne. Knut Hamsun, D.H. Lawrence und die lebensphilosophische Strömung des literarischen Modernismus (Bouvier, Bonn, 1995), leído como conferencia en Lombardía, en julio de 1996. Traducción de Juan C. García Morcillo.

[Tomo el artículo del archivo de su fuente primera, la asociación Sinergias Europeas, que editaba el boletín InfoEuropa. Ya no cabalgan.]

jeudi, 20 mai 2010

Björnstjerne Björnson, le poète de la liberté norvégienne

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Helge MORGENGRAUEN:

 

Björnstjerne Björnson, le poète de la liberté norvégienne

 

C’est le 8 décembre 1832 que nait à Kvikne dans le Hedmark norvégien et dans la grande ferme de Björgan, le futur poète national norvégien Björnstjerne Björnson, fils d’un pasteur de campagne.

 

Après des études secondaires dans un gymnasium d’Oslo, Björnson entre à l’Université où il ne reste que brièvement, sans obtenir de diplôme. C’était peu de temps avant de faire la connaissance d’Henrik Ibsen. De 1857 à 1859, il dirige le théâtre de Bergen puis entame une carrière de journaliste.

 

Comme ses idées étaient jugées encore trop “modernes” pour l’époque, il quitte l’Aftenbladet (= “La feuille du Soir”) et commence une longue série de voyages à l’étranger, d’abord en Italie et en Allemagne. En 1874, Björnson acquiert la ferme d’Aulestad dans la vallée de Gulbrand, lieu qui deviendra bien vite l’un des centres intellectuels les plus dynamiques de Norvège. Après quelques voyages aux Etats-Unis et un long séjour à Paris, il devient, revenu au pays, l’un des principaux poètes et écrivains de sa patrie.

 

En 1903, il est le premier Norvégien à obtenir le Prix Nobel de littérature. Björnson s’engage pour la création d’une république norvégienne, pour le suffrage universel, pour l’égalité des femmes et pour l’indépendance de la Norvège. Le 26 avril 1910, Björnstjerne Björnson meurt à Paris, quelques années après l’indépendance de son pays.

 

* * *

 

L’hymne national norvégien a été composé par Björnstjerne Björnson et commence par les mots: “Ja, vi elsker dette landet” (= “Oui, nous aimons ce pays”). Cet hymne a été chanté pour la première fois le 17 mai 1864. Cinquante ans auparavant, jour pour jour, la Norvège s’était donnée une constitution à Eidsvoll près d’Oslo; la véritable indépendance, toutefois, ne pouvait pas encore advenir sur l’échiquier international. La Norvège était inclue dans une Union avec la Suède, une Union qui durera jusqu’en 1905. Le 13 août de cette année, en effet, 99,5% des Norvégiens se prononceront pour la dissolution de cette Union avec la Suède. C’est depuis ce moment-là que l’ancien pays des Vikings est redevenu, pour la première fois depuis le moyen-âge, libre et indépendant. Cette volonté de liberté et d’indépendance nous explique encore et toujours pourquoi le peuple norvégien a voté deux fois, en 1972 et en 1994, contre toute intégration du pays dans une Europe élargie.

 

La Constitution, que la Norvège s’est donnée en 1814, est toujours valide aujourd’hui, à quelques rares et légères modifications près. La date du 17 mai, date à laquelle l’assemblée constitutionnelle s’est donnée une loi fondamentale en 1814, est devenue le jour de la fête nationale norvégienne. Voilà pourquoi, cinquante ans après le vote en faveur de cette loi fondamentale, le chant “Ja, vi elsker dette landet” a été entonné pour la toute première fois et reste, aujourd’hui encore, l’hymne national de la Norvège. Le patriotisme norvégien demeure une réalité forte: aucun Norvégien digne de ce nom ne se permettrait d’omettre une seule ligne de cet hymne qui compte huit strophes.

 

L’esprit vieux germanique de liberté, qui hisse l’indépendance au-dessus de tout et refuse catégoriquement de tomber dans la dépendance ou la servitude, reste très vivace en Norvège. Sous le Troisième Reich, les Allemands ont tenté de courtiser le “peuple frère germanique” du Nord de l’Europe mais sans le succès escompté: les Norvégiens ne voulaient rien avoir à faire avec l’hitlérisme. Aujourd’hui encore, les citoyens allemands ne peuvent pas acheter de terrains en Norvège.

 

Björnstjerne Björnson, fils de pasteur de la région centrale de la Norvège, lui, n’avait aucune réticence à frayer avec les autres peuples frères de l’aire germanique. Bien au contraire, il défendait, avec beaucoup d’autres, des idées révolutionnaires qui pouvaient parfaitement s’inscrire dans le corpus idéologique du pangermanisme (1).

 

Notre écrivain, qui avait dû renoncer, après trois ans à peine, à ses fonctions de journaliste au sein de la rédaction de l’Aftenbladet de Bergen parce qu’il y défendait des idées jugées à l’époque trop “progressistes”, publia en 1857 son premier récit, Synnöve Solbakken. Il y décrit de manière pénétrante la nature contradictoire du paysan norvégien, qu’il connaissait bien, de par ses propres expériences existentielles. Il mit ainsi en exergue la césure qui existait dans l’âme paysanne norvégienne entre une nature première d’essence païenne et des apports chrétiens ultérieurs. Les récits de Björnson sur la vie rurale norvégienne ont inauguré un véritable tournant dans l’histoire de la littérature de ce pays, un tournant vers le présent. Björnson donna ainsi l’impulsion décisive qui obligea les hommes et les femmes de lettres de Norvège à se tourner vers les thématiques sociales et politiques, après une parenthèse romantique, où l’on avait fait revivre les sagas et où l’esprit romantique avait tenté de redécouvrir les mythes du folklore norvégien, avec ses trolls et ses filles de la forêt. Cette impulsion, Björnson la doit au critique littéraire danois Georg Brandes qui appelait “à présenter enfin en littérature les problèmes et les thématiques qui résultent des nécessités sociales”. Henrik Ibsen, lui aussi, le grand contemporain et ami de Björnson, subira l’influence de Brandes. Tandis que ses pièces de théâtre fustigeaient les contradictions et l’hypocrisie morale de la société bourgeoise sur le déclin, Björnson, optimiste, croyait toujours au triomphe final du progrès social (2).

 

En ce sens, il s’est engagé à revendiquer le suffrage universel et l’égalité hommes/femmes. Il critiquait l’exploitation des ouvriers et réclamait une réforme fondamentale du système scolaire. Mais son thème favori, le plus important à ses yeux, était celui de l’indépendance norvégienne. Car, pour lui, la liberté de l’individu et la souveraineté du pays étaient indissociables, indissolublement liées l’une à l’autre.

 

“Le sentiment d’indépendance est indubitablement la force la plus puissante au monde; le sentiment d’honneur en est l’amorce. La pulsion vers l’autonomie est l’énergie qui régit le monde; c’est la vertu la plus haute que notre culture a produite, avec les grandes gestes du peuple, avec les tendres sentiments de la morale et toutes les forces libératrices jaillies des Lumières” (3).

 

En 1903, Björnson est le premier Norvégien, et même le premier Scandinave, à recevoir le Prix Nobel de littérature. Deux ans plus tard, il voit son pays accéder à cette indépendance, à laquelle il avait tant aspiré. Le 26 avril 1910, Björnstjerne Björnson meurt à Paris.

 

Helge MORGENGRAUEN.

(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°18/2010; trad. franç.: Robert Steuckers).

 

Notes du traducteur:

 

(1)     Le pangermanisme, jugé “nationaliste” dans la plupart des ouvrages contemporains d’historiographie, est classé arbitrairement “à droite” de l’échiquier politique par les terribles simplificateurs qui hantent nos établissements d’enseignement actuels ou régissent le monde des médias; au 19ème siècle, le pangermanisme véhicule des idéologèmes libertaires, populistes et anti-absolutistes, perçus par les contemporains comme “révolutionnaires” ou, du moins, “progressistes” et non pas comme “cléricaux” ou “réactionnaires”. C’est notamment le cas en Autriche et en Bavière, chez ceux qui admirent le “Kulturkampf” bismarckien. Les linéaments de pangermanisme que l’on retrouve en Belgique (y compris chez certains francophones), où a paru d’ailleurs la seule revue trilingue portant le titre de Der Pangermane, puisent généralement dans le corpus des libéraux de gauche à velléités orangistes.

 

(2)     La notion de progrès social en Scandinavie (et en d’autres terres germaniques) au 19ème siècle recouvre une idée d’accession à la citoyenneté pleine et entière de tous les éléments du peuple, de façon à faire chorus sur la scène internationale: un peuple fort est un peuple qui intègre tous ses citoyens, les mobilise à l’unisson et tire le meilleur de chaque individualité. La régression ou la stagnation sociale sont perçues comme des attitudes visant à empêcher des éléments sains et vigoureux d’oeuvrer au salut général de la nation.

 

(3)     Quand un Scandinave du 19ème siècle évoque de la sorte les Lumières, il ne se référe évidemment pas à un corpus de brics et de brocs, comme celui que nous ont fabriqué, des années 70 du 20ème siècle à nos jours, les Habermas et le filon de la “nouvelle philosophie” en France, mais surtout aux “Lumières” de Herder, chantre des matrices culturelles comme véritable sources de l’identité des peuples, qui ont alors pour tâche de les raviver continuellement. Pour un Björnson, les “Lumières” sont essentiellement la revendication de cette liberté individuelle et nationale qui fonde la souveraineté d’un peuple sain et fort. L’itinéraire de Björnson l’atteste: il  amorce sa carrière d’écrivain par une sorte de nationalisme romantique puis passe à la description et à la dénonciation des maux sociaux qui empêchent justement la masse des Norvégiens moins nantis de jouir d’une liberté personnelle, de façonner leur destin et de participer à la  construction de la  nation.

mercredi, 19 mai 2010

Arctique et hydrocarbures: les accords russo-norvégiens

Andrea PERRONE:

Arctique et hydrocarbures: les accords russo-norvégiens

 

Moscou et Oslo signent un accord sur les frontières maritimes arctiques et mettent un terme à plus de quarante années de controverses

 

carte_norvege_fr.gifLe 27 avril 2010, le Président russe Dmitri Medvedev terminait sa visite de deux jours en Norvège, visite qui avait eu pour but de renforcer les relations bilatérales entre les deux pays et d’innover dans le domaine de la coopération énergétique.

 

En présence d’un parterre bien fourni d’entrepreneurs et d’industriels norvégiens, le chef du Kremlin a souligné que son pays voulait améliorer le partenariat stratégique et énergétique avec la Norvège et trouver une issue à la querelle qui oppose Moscou et Oslo pour la maîtrise des eaux territoriales dans la Mer de Barents, dont les fonds recèlent de vastes gisements de ressources énergétiques.

 

La visite de Medvedev a également permis de conclure un accord historique sur les frontières maritimes dans l’Océan Glacial Arctique, après quarante années de querelles irrésolues. Le premier Ministre norvégien, Jens Stoltenberg, l’a annoncé lors d’une conférence de presse à Oslo, tenue avec le Président russe. “C’est une journée historique”, a déclaré Stoltenberg, “car nous avons trouvé la solution à une question importante, demeurée ouverte, et qui opposait la Norvège à la Russie”. “Nous sommes voisins”, a ajouté pour sa part Medvedev, “et nous voulons coopérer”. Stoltenberg a ensuite souligné que les deux pays se sont mis d’accord sur tout et a précisé que l’accord conclu était “optimal et bien équilibré”. “Cette solution”, a poursuivi le Premier Ministre norvégien, “représente plus qu’une délimitation territoriale sous la surface de l’océan; il s’avère important pour le développement de bonnes relations de voisinage”.

 

L’enjeu? Une zone de 175.000 km2, situés à proximité de l’archipel des Spitzbergen (qui appartient à la Norvège) et l’île de la Nouvelle-Zemble (qui fait partie de la Fédération de Russie). En 1978 déjà, un accord était entré en vigueur qui consentait aux deux pays de pêcher dans la zone mais sans régler définitivement la question des frontières maritimes. Or la question était épineuse, surtout parce que les experts pensent que dans le fond de l’Océan Arctique se trouvent d’énormes réserves de gaz naturel et de pétrole. La signature de l’accord par les ministres des affaires étrangères norvégien et russe s’est effectuée la veille du départ de Medvedev pour le Danemark, où il s’est rendu pour une visite officielle de deux jours (les 27 et 28 avril 2010).

 

En juillet 2007, la Russie et la Norvège avaient déjà signé une déclaration de principe pour délimiter les zones offshore du Fjord de Varanger (Varangerfjorden) dans la Mer de Barents: cette fois, les diplomates russes et norvégiens ont décidé de trouver un accord pour les autres frontières maritimes dans la même zone arctique, riche en gaz et en pétrole. La Norvège est le troisième exportateur mondial d’or noir, après l’Arabie Saoudite et la Russie. Oslo possède encore d’abondantes réserves de gaz naturel et s’intéresse au gisement russe de Shtokman, situé dans la partie orientale de la Mer de Barents et à l’exploitation d’autres gisements dans la presqu’île de Jamal, toujours sur territoire russe. La compagnie norvégienne Statoil, qui contrôle 24% des actions émises sur ces gisements, a réussi, fin avril 2010, lors du nouvel accord russo-norvégien à convaincre les Russes de passer à la réalisation du projet d’exploitation du riche gisement de Shtokman, dont Gazprom possède 51% des actions et la société française Total, 25%. Le 13 juillet 2007, Gazprom et Total ont signé un accord-cadre pour financer et construire les infrastructures du gisement. Le 25 octobre de la même année, une déclaration de principe de même nature avait été scellée entre la compagnie d’Etat russe et l’instance qui allait devenir l’actuelle Statoil norvégienne. Le 21 février 2008, les trois compagnies fondent un consortium commun à Zoug en Suisse.

 

Le soir suivant, Medvedev partait pour Copenhague, où plus aucun chef d’Etat russe ne s’était rendu depuis la visite de Nikita Khrouchtchev en 1964. L’actuel chef du Kremlin a rencontré le 28 avril 2010 les plus hautes autorités du Royaume du Danemark pour discuter d’accords commerciaux et régler les investissements danois dans les secteurs russes de l’énergie et de l’agriculture, sans oublier, bien évidemment, les questions qui touchent à la sécurité de l’Europe.

 

Andrea PERRONE / a.perrone@rinascita.eu

(article issu de “Rinascita”, Rome, 28 avril 2010; trad. franç.: Robert Steuckers ; http://www.rinascita.eu ).

mercredi, 12 mai 2010

Les déesses du Panthéon scandinave

freya.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1988

Les déesses du Panthéon scandinave

 

Origines historiques des divinités féminines

 

Si la religion des Scandinaves de l'Age du bronze et celle de l'Age du fer sont à peu près connues, désormais, la filiation histo­rique des déesses est difficile à préciser. Comme nous l'avions men­tionné par ail­leurs, peu de divinités ont eu une caractère individualisé, jusqu'à la fin de l'Age du fer. La majorité des fonctions féminines se concentrait autour du concept de TERRA-MA­TER. Cependant, dans le cas d'un certain nom­bre de déesses, il est malgré tout possible de repérer les déités archaïques dont elles des­cen­dent et auxquelles elles ont pris leurs attribu­tions.


A l'origine, dans l'Europe du Nord et l'Europe Centrale, la TERRE-MERE se nom­me APIA. Il s'agirait en même temps d'une déesse de l'Eau; les deux archétypes de la femme, l'eau et la terre, qui représentent, chacun, une partie de la ma­trice y sont regroupés alors que l'air et le feu sont les archétypes masculins. Par la suite, cette divi­nité disparaît complètement du culte et de la my­thologie de l'Europe du Nord, du moins, sous le nom d'APIA, et se voit remplacée par plu­sieurs déesses qui se partagent ses fonctions:

 

- JORD représente la terre primitive, incul­te;

- FYORGYN, souvent confondue avec JORD, est la montagne couverte de chênes;

- SIF est la terre productive, déesse de la fertilité dont la chevelure dorée représente la corne d'abondance;

- TAVITI est la terre, lieu d'habitation et de vie sociale, gardienne des lois et de la reli­gion (elle sera remplacée par la suite, d'une part par VOR, personnification des ser­ments, et par SYN, l'allégorie de la justice);

- FRIGG est la mère et l'épouse;

- FREYJA, l'abondance; cette déesse a conservé l'Eau comme archétype alors que les autres sont avant tout des déesses tellu­riques.

 

FRIGG appartient au vieux fond mythique indo-européen car elle est connue sous ce nom ou tout au moins des variantes de ce nom (FRIA, FRU…) dans toute l'aire d'ex­pansion germa­nique. Il est particulièrement frappant de voir que les Anglais, au moment de la colonisation de la Grande-Bretagne par les Vikings, écrivaient le nom de la déesse non pas sous la forme du vieil anglais, FRIGE, mais sous la forme anglicisée du nom danois FRICG ou FRYCG. De nom­breuses sources anciennes la connaissent comme la grande déesse primitive formant avec ODINN le couple archétypal Terre-Ciel. Descendant direc­tement d'une Déesse Mère, elle est sans doute de conception antérieure à celle de son époux qui n'a pris la place qu'il occupe dans la mythologie nordique que tardivement.

 

FULLA, la servante de FRIGG semble être, elle aussi, relativement ancienne; elle serait la sœur VOLLA d'une certaine FRIIA men­tionnée dans une incantation du «Char­me de MERSEBURG»:

 

«…Alors SINTHGUNT et sa sœur SUNNA

Prononcèrent sur lui des incantations;

De même FRIIA et sa sœur VOLLA,

De même WOTAN, avec tout l'art qu'il possédait…».

(in «les Conjurations de MERSEBURG»).

 

Parmi les déités proches de la TERRE-MERE, il faut aussi considérer les DISES, fort an­ciennes en tant que groupe de divinités représentant les es­prits de la maison et de la famille. De même, la déesse Gete THIUTH, disparaît de la mythologie nordique, en tant que déesse de la famille, de la tribu, de la nation, pour être simplement rem­placée par un personnage allégorique, SJOFN, qui n'est qu'une facette de la déesse SIF.

 

Parmi les divinités indo-européennes de la ferti­lité, nous retrouvons l'origine historique du mythe d'IDUNN (fig.4), avec celui des pommes de l'immortelle jeunesse, de la plupart des tradi­tions européennes. Tou­tefois, les pommes sont un ajout tardif au mythe d'IDUNN: l'introduction des pom­mes en Scandinavie ne s'est faite que vers la fin du Moyen-âge, et le terme «epli» signi­fie non seulement «pomme» mais aussi, tous les fruits ronds. TJOTHOLF de HVIN dans son poème «Haustlong», rédigé vers 900, décrit d'ailleurs IDUNN comme pratiquant la vieille médecine des dieux et non comme gardienne de la jeunesse divine.

 

Par la suite, ce rôle de médecin sera repris par la déesse EIDR dont le nom signifie «cure» et qui n'appartient pas au vieux fond mythologique.

 

L'origine de FREYJA est très mal connue et il existe plusieurs théories. Boyer (1973) pense que, par ses attributions guerrières, FREYJA est, avec ODINN, l'une des divinités les plus proches du monde indo-européen. Ce n'est pas l'avis de Re­naud-Krantz (1972) qui constate que cette déesse est inconnue en dehors de la zone d'expansion de la Civilisation Viking; dans le reste du monde germanique, elle se confond avec FRIGG. Il pen­se qu'il pourrait s'agir d'une divinité d'ori­gi­ne pré-indo-européenne. Appar­te­nant à la race des VANES qui sont des dieux de la Ferti­lité et de la Fécondité, elle aurait acquis les as­pects d'une di­vinité indo-européenne par son rôle de déesse de la guerre et de la mort.


Chez les Scythes, comme chez les Gètes, la déesse de la Lune (Skalmoskis chez les Gètes) est à la fois une déesse de la Production, de la Famille  et de la Fécondité, et une divinité de la Destruc­tion et de la Mort. Les morts étaient censés sé­journer sur la Lune.


A cette déesse se substitueront, plus tard, chez les Scandinaves, trois personnages, un dieu MANI qui devient le dieu lunaire, FREYJA qui ac­capare les fonctions de production mais qui de­vient, en même temps, déesse de la mort, fonc­tion qu'elle partage avec HALIA qui se trans­forme alors en HEL.

 

Les WALKYRIES semblent avoir été à l'origine, non pas les belles jeunes filles décrites dans les textes du XIème-XIIème siècles et surtout dans les opéras de Wag­ner, au XIXème siècle, mais de redoutables génies de la mort, voire même des prê­tresses de quelques cultes sanglants, pro­gres­­sivement divinisées,  qui connais­saient le destin et que l'on appelait les ALHI-RUNES. Lorsque, au IIIème siècle P.C., ODINN prend la place de TYR en tant que seigneur de la guerre et de SKAL­MOSKIS dans ses attributions de divinité des tré­passés, il prend à son service les WAL­KYRIES calquées sur les ALHI-RUNES, prê­tresses au ser­vice du dieu de la guerre. C'est à cette occasion qu'elles prennent leurs aspects de belles jeunes filles blondes, servant au WALHALLA, les EIN­JEHARS (morts au combat) qu'elles sont allées choisir sur les champs de bataille. Le terme WALKYRIES signifie d'ailleurs étymologi­que­­ment «celles qui choisissent ceux qui vont tom­ber». Les Germains païens des pre­miers temps croyaient à des esprits féminins féroces, appli­quant les ordres du dieu de la guerre, ranimant les discordes, prenant part à la bataille et dévorant les cadavres.

 

La prophétie et l'art divinatoire, donc la magie étaient réservées aux femmes et plus particuliè­rement aux vierges. De ce fait, comme les WAL­KYRIES, les NORNES, maîtresses de la destinées, ont été calquées sur des personnages historiques, en parti­culier, les prophétesses telles que VE­LEDA chez les Bructères. Dès lors, elles sont de­venues, dans la tradition, le type et l'idéal des de­vineresses norroises.

 

La notion de NORNE d'après Boyer (1981, pp 217) est concentrée sur URDR qui serait la seule des trois à être vraiment ancienne. «Le nom pro­vient du verbe verda (arriver, se passer) qui ren­voie à l'idée indo-européenne pour laquelle des­tin et temps se confondent.»

 

Le terme de norn paraît remonter à la notion indo-européenne traduite par le préfixe ner- qui signifie tordre… ce qui serait corroboré dans la strophe 3 du «Hel­gakvida Hundingsbana I»

 

«…tressèrent à force

Les fils du destin…» (fig.15)

 

Le personnage de la déesse SKADI est à isoler. En effet, les Scandinaves songeant à associer au dieu des Eaux et de la Pêche, une déesse de la Chasse et ne la trouvant pas dans leur propre mythologie, l'emprun­tèrent aux Finnes et la nommèrent SKADI, qui, à l'origine, était un nom épithétique de FREYJA. Elle est considérée comme hé­ritière de l'ancienne VAITU SKURA (la chas­se) ou de VINDRUS et présente les as­pects d'une déesse lunaire souhaitant épou­ser un dieu solaire (BALDER).

 

Il s'agit, en fait, d'une déesse éponyme (3), pu­rement terrienne, de la Scandinavie.

 

Pour être complète, cette recherche de l'origine historique des déesses, ne saurait ignorer diffé­rents textes, qui font appel à l'évhémérisme, entre autres, ceux de Snorri (Prologue de l'«Edda prosaïque», sagas…) ou encore, ceux de Saxo Grammaticus («Gesta Danorum»).

 

Le mythe de la séduction de RIND par ODINN en est un exemple: Saxo Gramma­ticus la dit prin­cesse slave. Il en est de même pour le mythe de la mort de BAL­DER, fils de FRIGG et d'ODINN, et de son épouse NANNA.

 

récit mythologique: BALDER protégé par tous sauf par le gui, à qui il n'a pas demandé de prêter serment, est tué par son frère HODR (dieu aveugle) sur l'instigation de LOKI. Lors de la crémation du corps de son mari, fils de FRIGG, NANNA le cœur brisé, se jette sur le bûcher.
Explication évhémériste: HOTHERUS (HODR) est un héros qui se bat contre BALDR, demi dieu pour les beaux yeux de NANNA.

 

Cette tentation de transposer les mythes dans le réel n'aboutit pas à grand chose. Quelques per­sonnages (héros…) ont cer­tainement été divini­sés (les WALKYRIES, ou BRAGI, dieu de la poé­sie et ancien scalde), mais il est fort peu pro­bable que les grandes divinités du Panthéon nor­dique aient été des personnages historiques. Il s'agit plutôt de figurations des grandes forces na­turelles. Ils restent, toutefois, très proches du monde des humains. C'est ce que nous allons es­sayer de démontrer en comparant le rôle des déesses dans la religion et la vie quotidienne des Scandinaves du Xème s., après les avoir repla­cées dans la mythologie.

 

mardi, 11 mai 2010

Russie et Danemark: coopération énergétique

DANEMARK.gifAndrea PERRONE:

Russie et Danemark: coopération énergétique

 

Medevedev en visite officielle à Copenhague: renforcement du partenariat stratégique et énergétique entre la Russie et le Danemark

 

Le Président russe Dmitri Medvedev a entamé un voyage en Europe du Nord dans le but de souder un partenariat énergétique, de renforcer les relations bilatérales et multilatérales dans la zone arctique et la coopération en matières de haute technologie et d’énergies renouvelables.

 

Mercredi 28 avril 2010, Medvedev se trouvait au Danemark. Le chef du Kremlin y a atterri et y a été accueilli par la Reine Margarete II et par le Premier Ministre Lars Lokke Rasmussen. Le thème privilégié de cette rencontre au sommet, qui doit sceller la coopération russo-danoise, a été l’énergie, plus particulièrement la construction du gazoduc North Stream.

 

Le Président russe, en participant à un sommet d’affaires russo-danois, a souligné qu’il s’avère surtout nécessaire “de créer un critère général et des réglementations pour la coopération énergétique du futur”. Ensuite: “Il s’avère nécessaire de mettre à l’ordre du jour des normes et des réglementations internationales pour la coopération énergétique”, a poursuivi le chef du Kremlin, “parmi lesquelles une nouvelle version de la Charte de l’énergie”. La Russie a déjà présenté à ses interlocuteurs un document de ce type, dans l’espoir que les Danois feront de même, de leur côté. Medvedev a ensuite rappelé que le secteur énergétique représente un secteur clef de la coopération entre la Russie et le Danemark. Moscou et Copenhague, a souligné le Président russe, ont désormais visibilisé leur contribution à la sécurité énergétique en Europe et leur souhait de voir se diversifier les routes d’acheminement du gaz, dont le gazoduc North Stream. Il a ensuite adressé ses meilleurs compliments au Danemark, premier pays à avoir participé à la construction du gazoduc et à avoir permis son passage à travers sa propre zone économique. La réalisation du gazoduc North Stream, a poursuivi Medvedev, rendra possible, non seulement la satisfaction des besoins en gaz du Danemark, mais aussi son rôle d’exportateur de gaz vers les autres pays européens, tandis que les contrats à long terme dans les secteurs du pétrole et du gaz naturel pourront garantir le partenariat énergétique russo-danois pour les trente prochaines années. Medvedev a également mis en exergue la participation des entreprises danoises dans les programmes de mise à jour et de rentabilisation des implantations énergétiques dans diverses régions de Russie. Le premier ministre danois et le chef du Kremlin ont ensuite signé, au terme de la rencontre, une série d’accords portant pour titre “partenariat au nom de la modernisation” et visant la coopération dans le secteur de la haute technologie et le développement de l’économie russe dans certaines régions de la Fédération de Russie, comme le Tatarstan.

 

Andrea PERRONE,

a.perrone@rinascita.eu

(article paru dans “Rinascita”, Rome, 29 avril 2010; trad. franç.: Robert Steuckers; http://www.rinascita.eu ).

samedi, 01 mai 2010

Norvegia-Russia: nuovi accordi per una partnership strategica

Norvegia-Russia: nuovi accordi per una partnership strategica

Firmata l’intesa, fra Mosca e Oslo, sui confini dell’Oceano Artico dopo 40 anni di insanabili contrasti

Andrea Perrone

Si è conclusa ieri la visita di due giorni del presidente russo Dmitrij Medvedev in Norvegia per rafforzare le relazioni, l’innovazione e la cooperazione energetica con Oslo.


medNorv.jpgAlla presenza di un folto gruppo di imprenditori e industriali il capo del Cremlino ha sottolineato che il suo Paese vuole migliorare la partnership strategica dell’energia con la Norvegia e trovare una via d’uscita alla disputa che contrappone Mosca e Oslo per le acque territoriali del Mare di Barents, i cui fondali possiedono vasti giacimenti di risorse energetiche.
La visita di Medvedev ha garantito anche il raggiungimento di uno storico accordo sul confine nel Mar Glaciale Artico, dopo 40 anni di insanabili contrasti. Ad annunciarlo è stato il premier norvegese, Jens Stoltenberg (nella foto con Medvedev) a Oslo, in una conferenza stampa congiunta con il presidente russo. “È un giorno storico - ha dichiarato Stoltenberg - abbiamo trovato la soluzione a una questione importante rimasta aperta tra Norvegia e Russia”. “Siamo vicini - ha aggiunto da parte sua Medvedev - e vogliamo cooperare”. Stoltenberg ha sottolineato che i due Paesi si sono accordati su tutto precisando che l’accordo è stato “ottimo e bilanciato”. “Questa soluzione - ha proseguito il primo ministro norvegese - è più di una linea di confine sotto l’Oceano. È per lo sviluppo di buone relazioni di vicinato”.
In gioco una zona di 175.000 chilometri quadrati posta tra l’arcipelago delle Spitzbergen (che appartengono alla Norvegia) e l’isola di Novaja Zemlija (di proprietà della Russia). Già dal 1978 è in vigore un accordo che consente a entrambi i Paesi di pescare in quell’area, ma la questione dei confini marittimi era rimasta incompleta. Una questione spinosa, anche perché gli esperti ritengono che nell’Artico si trovino enormi riserve di gas naturale e petrolio. La firma dell’accordo, da parte dei ministri degli Esteri di Oslo e Mosca, è giunto in serata prima della partenza di Medvedev per la Danimarca dove si recherà per una visita di due giorni (27-28 aprile).
Nel luglio 2007 Russia e Norvegia avevano già firmato un’intesa per delimitare le aree offshore del Varangerfjord nel Mare di Barents: questa volta hanno deciso di accordarsi su altri confini sempre nella stessa area, ricca di gas e petrolio. La Norvegia è il terzo esportatore mondiale di “oro nero” dopo l’Arabia Saudita e la Russia. Oslo possiede però anche abbondanti riserve di gas naturale ed è interessata al giacimento russo di Shtokman, situato nella parte orientale del Mare di Barents e allo sfruttamento di quello della penisola di Jamal, sempre in territorio russo. La compagnia norvegese Statoil, che controlla il 24% del pacchetto azionario, con l’accordo di ieri tra Mosca e Oslo, è riuscita a convincere la Russia a mettere in atto la realizzazione del progetto per lo sfruttamento del ricco giacimento di Shtokman, di cui Gazprom possiede un 51% e la società francese Total il 25 per cento. Il 13 luglio 2007 Gazprom e Total hanno firmato un accordo quadro per finanziare e realizzare le infrastrutture del giacimento. Il 25 ottobre dello stesso anno un’analoga intesa è stata siglata fra la compagnia di Stato russa e l’odierna Statoil norvegese. Il 21 febbraio 2008 è stato fondato un consorzio fra le tre compagnie a Zug, in Svizzera.
In serata poi Medvedev è giunto a Copenaghen dove nessun leader russo si è più recato dall’ultima visita di Nikita Krusciov, nel lontano 1964. L’attuale capo del Cremlino si incontrerà oggi con le massime autorità della Danimarca per discutere di accordi commerciali e investimenti danesi nel settori russi dell’energia e dell’agricoltura, nonché della sicurezza europea.


28 Aprile 2010 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=1799

dimanche, 21 mars 2010

Les peuples ont-ils droit au chapitre?

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Les peuples ont-ils voix au chapitre ?

Ex: http://blogchocdumois.hautetfort.com/

Les Islandais ne sont pas raisonnables. Ils n’ont rien compris à la sagesse du FMI, cette providence incomparable en période de crise, qui soutenait l’accord financier élaboré par leur gouvernement. Rembourser les clients britanniques et hollandais de la banque Icesave, qui avait connu une faillite fracassante en 2008, supposait juste une prise en charge de la dette à raison de 12 000 euros par habitant. Donc payer pendant de longues années pour en venir à bout. De quoi assister en short à la fonte des glaces officiellement annoncée, avant que la note ne soit un jour intégralement réglée.

Cet accord financier, soumis au référendum, les Islandais ont préféré le rejeter purement et simplement samedi dernier. Par un « non » franc et massif, proche de l’unanimité. On s’inquiète donc dans certaines gazettes. Il ne faudrait pas que cette indifférence d’un petit peuple au bien planétaire, lequel exige naturellement le sauvetage du complexe bancaire et la socialisation des pertes, prêche un coupable exemple auprès d’autres populations. On ne devrait pas donner aussi légèrement la parole au peuple.
Le rôle des peuples dans l’évolution du système, c’est bien, au-delà des péripéties de la crise, ce qu’évoque cette affaire. Quoi qu’en disent les « spin doctors » pour faire passer la pilule, la politique du consentement est fort peu compatible avec la dynamique en cours. De fait, à mesure que se déploie l’économie libérale sous un ciel plus ou moins orageux, on assiste parallèlement, de sommets en sommets, au renforcement du FMI et à l’essor d’organes, comme l’Organisation Internationale de Travail, à l’action jusqu’ici limitée. Les uns et les autres aussi peu représentatifs que possible. C’est la réforme permanente de la gouvernance mondiale qui s’est mise en marche à la faveur de la crise. Depuis le sommet du G20 qui s’est tenu à Pittsburgh en septembre dernier, on sait que les grands de ce monde (Sarkozy prenant, à ce titre, beaucoup d’initiatives) font preuve d’une louable prévoyance. Les compétences techniques et juridiques d’une sorte d’administration internationale polycentrique ont ainsi vocation à s’étendre, comme se sont accrues les administrations intérieures des Etats depuis deux siècles. Avec les effets que l’on connaît sur les libertés concrètes et la maîtrise ordinaire du quotidien. Ainsi l’exige une régulation publique patiemment gérée à coups d’harmonisations diverses. Devant cet horizon prometteur, on cherche en vain quel peuple a confié de tels mandats à ses dirigeants. Les peuples, non, mais une certaine démocratie, sans conteste. Celle, parlementaire comme il se doit, qui reste triomphante sous les projecteurs. Rejouant sans fin le scénario désormais habituel de l’alternance unique.

Philippe Gallion

Islands Wähler widersetzten sich weltweitem Druck: Nein zum Bailout britischer und niederländischer Banken

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Islands Wähler widersetzten sich weltweitem Druck: Nein zum Bailout britischer und niederländischer Banken

F. William Engdahl

Der Inselstaat Island im hohen Norden hat vielleicht eine der zahlenmäßig kleinsten Bevölkerungen der Welt, aber die erweist sich als mutig und unbeugsam gegenüber dem internationalen Druck der Money-Trust-Banken. Bei einem vor einigen Tagen stattgefundenen landesweiten Referendum haben die Wähler die Zahlung von 3,5 Milliarden Dollar an Großbritannien und die Niederlande plus einen Zinssatz von 5,5 Prozent für den Bailout der eigenen Banken im Jahr abgelehnt, der die eigene Regierung bereits zugestimmt hatte. Das Wahlergebnis ist ein Zeichen für den international zu beobachtenden Stimmungsumschwung gegenüber den mächtigen Finanzinteressen, die die derzeitige Krise mit ihren kriminellen Exzessen erst verursacht haben und die jetzt mit der Drohung, sie seien »zu groß, um unterzugehen«, verlangen, dass ihnen die Steuerzahler aus der Patsche helfen.

Mit 93 Prozent Nein-Stimmen haben die isländischen Wähler bei einem landesweiten Referendum die unter großem Druck zustande gekommene Einwilligung der Regierung abgelehnt, für die Schulden der rücksichtslosen Banker aufzukommen. Die Vereinbarung betraf die sogenannten Icesave-Konten, die die isländische Bank Landsbanki von 2006 an zunächst in Großbritannien und später auch in den Niederlanden geführt hatte. Nach dem Zusammenbruch der Landsbanki im Oktober 2008 hatten die britische und niederländische Regierung umgehend die Anleger in ihren eigenen Ländern in Höhe des gemäß den Bestimmungen des EWR (Europäischer Wirtschaftsraum) versicherten Betrags entschädigt. Anschließend forderten sie von der isländischen Regierung eine Erstattung, in die die Regierung auch zögernd einwilligte – allerdings gegen den Widerstand der Mehrheit der isländischen Bürger.

Hannes H. Gissurarson, ehemals Vorstandsmitglied der Isländischen Nationalbank, betont in einem Artikel im Wall Street Journal, für die Regierung von Island habe keine rechtliche Verpflichtung bestanden, die Einlagen zu garantieren. Die isländische Regierung habe die EWR-Bestimmungen eingehalten und einen Garantiefonds für Anleger und Investoren eingerichtet. Wenn die Mittel dieses Fonds nicht ausreichten, die Verbindlichkeiten zu decken, dann sei die isländische Regierung rechtlich nicht verpflichtet, zusätzliche Gelder nachzuschießen. Deshalb seien die britische und niederländische Regierung auch nicht berechtigt, durch die Entschädigung der eigenen Anleger der isländischen Regierung neue Verbindlichkeiten aufzubürden.

Sowohl Jean-Claude Trichet, der Präsident der Europäischen Zentralbank, als auch der niederländische Finanzminister Wouter Bos räumen öffentlich ein, die europäischen Bestimmungen für Einlagegarantien seien nicht für den Fall des Zusammenbruchs eines gesamten Bankensektors wie 2008 in Island formuliert worden.

Die isländischen Wähler und Steuerzahler haben die Forderung der britischen Regierung abgelehnt, für die Rettungsaktion im Jahr 2008 zu zahlen.

Für Island steht sehr viel auf dem Spiel – je nach Wert der Aktiva der Landsbanki bis zu sechs Milliarden Dollar. Für ein Land mit nur 330.000 Menschen ist das ein enormer Betrag, für britische und niederländische Verhältnisse hingegen eine durchaus überschaubare Summe. Die Regierung von Island war gezwungen, angesichts der unverhohlenen Drohung finanzieller Isolierung und dem Einsatz des IWF als »Kopfgeld-Eintreiber« – wie die Isländer sagen – für England und Niederlande die Vereinbarung zu unterschreiben: Der IWF hatte dem bedrängten Land jegliche Krisenhilfe verweigert, wenn die Regierung nicht unterschriebe.

Prof. Gissurarson schreibt: »Wenn Rücksichtslosigkeit belohnt wird, dann wird bald die ganze Welt rücksichtslos. Warum sollte eine Regierung das Argument einer Bank akzeptieren, sie sei ›zu groß, um unterzugehen?‹ Warum sollten Anleger ihr Risiko auf die Allgemeinheit abwälzen können? Im Fall von Icesave haben sich die britische und niederländische Regierung vor allem deswegen dazu entschlossen, ihren Landsleuten aus der Patsche zu helfen, weil sie eine Panik im eigenen Bankensystem verhindern wollten. Das stand ihnen natürlich frei, nutzte aber Island oder seinen Banken nicht, deshalb fragen sich die Bürger Islands mit Recht, warum sie für Entscheidungen aufkommen sollten, die in Amsterdam und London gefällt werden.«

Die unerschrockenen und traditionell unabhängigen Isländer haben vor aller Welt erneut bewiesen, dass sich Wähler wehren können, wenn sich ihre Regierung feige dem Willen der Göttern des Geldes beugt: sie »sagen einfach nein«, wenn man von ihnen verlangt, für Verluste der kriminell rücksichtslosen Banker und ihrer Kunden aufzukommen, ohne je an den Gewinnen beteiligt gewesen zu sein, wie in Deutschland und vor allem in Großbritannien und den USA seit August 2008 geschehen.

Montag, 15.03.2010

Kategorie: Wirtschaft & Finanzen, Politik

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vendredi, 19 mars 2010

Erdogan cancella la sua visita in Svezia

erdoganetsafemme-5afb0.jpgErdogan cancella la sua visita in Svezia

Ankara richiama il suo ambasciatore nella capitale svedese dopo la mozione che riconosce il genocidio armeno

Andrea Perrone

L’ambasciatore di Svezia ad Ankara, Christer Asp, è stato convocato venerdì mattina dal ministero degli Esteri turco in seguito all’adozione, da parte del parlamento svedese, di una mozione che riconosce come genocidio i massacri di armeni avvenuti all’inizio del secolo scorso, ai tempi dell’Impero Ottomano.
La mossa segue di poche ore la decisione del premier turco Recep Tayyip Erdogan (nella foto) di cancellare la visita in Svezia prevista per la prossima settimana e di richiamare in patria a tempo indeterminato l’ambasciatore turco a Stoccolma, Zergun Koruturk. Dure le critiche di Erdogan che in una nota ha dichiarato: “Il nostro popolo e il nostro governo respingono tale decisione presa sulla base di gravi errori e senza fondamento”, precisando che il voto svedese è frutto di “calcoli di politica interna” alla luce delle elezioni previste a settembre di quest’anno.
“È naturale che si manifesti disappunto per questa decisione del Parlamento e che si esprima il proprio punto di vista sulla questione”, ha commentato l’ambasciatore Asp, affermando che il tema, uno dei più controversi per la Turchia moderna, avrà inevitabili ripercussioni sui rapporti diplomatici ed economici tra Turchia e Svezia. “Naturalmente sono a rischio anche le relazioni commerciali - ha aggiunto - lavoreremo per evitare che questo accada”.
La risoluzione ha ottenuto il voto favorevole di 131 deputati e quello contrario di 130 ed è stata fortemente contrastata dal governo svedese. Il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, ha definito “un errore” l’approvazione da parte del Parlamento - per un solo voto espresso da un deputato che non ha seguito le indicazioni  del partito - ma ha ribadito che questo non cambia la posizione del governo, che sostiene l’ingresso della Turchia nell’Unione europea.
Il voto del Parlamento svedese arriva a meno di una settimana da quello della commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti con cui, anche in quel caso solo per un voto, è stata approvata una risoluzione non vincolante in cui si chiede al presidente Barack Obama di usare la parola genocidio nel riferirsi al massacro degli armeni. Anche il quel caso il governo turco ha   protestato, richiamando il suo ambasciatore a Washington ed accusando il governo statunitense di non aver fatto abbastanza per impedire il passaggio della risoluzione.
“Sono contrariata e sorpresa, mi aspettavo che il parlamento svedese decidesse che non è lavoro da deputati ma da storici decidere se c’è stato o meno un genocidio”, ha dichiarato la Koruturk. 
L’ambasciatore turco in Svezia ha quindi precisato che gli ottimi rapporti tra Ankara e Stoccolma non possono che risentirne. “Tutto è destinato a fare un passo indietro - ha osservato - questa decisione avrà un impatto drastico sulle relazioni bilaterali”.


13 Marzo 2010 12:00:00 - http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=1043

lundi, 08 mars 2010

Référendum en Islande: écrasante victoire du non!

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Référendum en Islande : écrasante victoire du non

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Les Islandais ont rejeté à plus de 93% la loi Icesave selon les résultats quasi définitifs annoncés dimanche. Sur la base de 90% de bulletins dépouillés, le « non » l’emporte avec 93,3% des suffrages, contre 1,5% pour le « oui ».

 

L’accord financier prévoyait le remboursement d’ici à 2024 par Reykjavik de 3,9 milliards d’euros avancés par Londres et La Haye pour indemniser leurs citoyens après la faillite de la banque en ligne islandaise Icesave.

Les quelque 230.000 électeurs appelés aux urnes ont rejeté encore plus fortement que prévu dans les sondages, l’impopulaire loi Icesave.

Diminuant la portée de ces résultats, la Première ministre Johanna Sigurdardottir a déclaré qu’ils « ne sont pas une surprise » et qu’ils « ne constituent pas un choc pour le gouvernement. » « Le référendum passé, il est de notre devoir de reprendre la fin des négociations » avec Londres et La Haye, a-t-elle déclaré à la télévision.

« Le résultat peut être interprété comme un cri de défi ou comme une conclusion écrite d’avance« , a déclaré le ministre des Affaires étrangères Ossur Skarphedinsson à la presse après l’annonce des premiers résultats.

Échec des ultimes négociations

Pour éviter le référendum et son probable non, Reykjavik s’est efforcé depuis janvier et jusqu’à la veille du scrutin de trouver un nouvel accord avec Londres et La Haye. Sans succès. « Les discussions sur Icesave sont ajournées, » a annoncé vendredi le ministère islandais des Finances dans un communiqué, précisant que le comité islandais de négociation rentrait de Londres. « Les discussions jusqu’à aujourd’hui ont été constructives et l’Islande est confiante qu’une solution mutuellement acceptable pourra être obtenue (…) L’Islande reste engagée à poursuivre le dialogue et espère que les négociations vont reprendre dès la semaine prochaine, » a ajouté le ministère.

Un peu plus tôt, le ministre des Finances Steingrimur Sigfusson avait indiqué espérer de nouvelles négociations après le référendum, mais il disait ne pas avoir reçu de garanties des Britanniques et des Néerlandais en ce sens.

Pas de démission annoncée

Selon les analystes, un non pourrait retarder le versement de prêts restants à verser du FMI et des pays nordiques, ce qui pourrait coûter jusqu’à 5% du Produit intérieur brut islandais c’est-à-dire « plus que l’accord lui-même » selon le ministre islandais de l’économie Gylfi Magnusson.

Le rejet de la loi risque par ailleurs d’affaiblir le gouvernement de gauche déjà critiqué pour consacrer trop de temps à Icesave. Le gouvernement islandais ne démissionnera pas en cas de très probable victoire du « non » samedi, a cependant assuré vendredi la Première ministre Johanna Sigurdardottir. « Nous resterons unis en ces temps difficiles, » a-t-elle dit au terme d’un conseil des ministres, soulignant que le gouvernement entendait rester en place pour régler le litige avec Londres et La Haye sur l’indemnisation de clients britanniques et néerlandais de la banque Icesave.

France2

Archéologie de Haithabu, port viking

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1986

Archéologie de Haithabu, port viking

haithabu.jpgHaithabu, c'est un ancien port du Schleswig-Holstein qui fut un grand centre commercial à l'époque des Vikings. C'est aujourd'hui un site archéologique de première importance pour comprendre le fonctionnement global du commerce en Europe au cours du premier millénaire de notre ère. Haithabu, écrit Herbert Jankuhn, s'est constitué par le hasard de l'histoire, quand les relations commerciales en Europe du Nord et de l'Ouest se sont progressivement modifiées au contact d'un empire franc dont le poids venait de basculer vers l'Austrasie, autrement dit sa partie septentrionale largement germanisée.

 

Avec les Mérovingiens et les Carolingiens, le poids politique de l'ensemble franc se focalise donc sur la côte septentrionale de la Méditerrannée et l'arrière-pays provençal et rhodanien en bénéficie. Les côtes de la Mer du Nord, avoisinant, en Zélande, le delta des fleuves (Rhin, Meuse, Escaut), acquièrent une importance stratégique et économique qu'elles ne perdront plus. Dès la fin du VIème siècle, ce glissement vers le Nord finit par englober la Scandinavie. La presqu'île "cimbrique", c'est-à-dire le Jutland et le Slesvig, bénéficiera de cette évolution, en marche depuis les Romains. Les découvertes archéologiques démontrent que les Germains des côtes frisonnes (néerlandaise et allemande) ainsi que leurs congénères de l'arrière-pays entretenaient des relations commerciales suivies avec l'Empire romain. Les voies de pénétration de ces échanges sont 1) la mer et 2) les grands fleuves (Rhin, Weser, Elbe, Oder, Vistule).

 

En traversant l'isthme du Slesvig, le commerce germano-romain touche le bassin occidental de la Baltique. Par l'Oder et la Vistule, il accède au bassin oriental. Entre le cours inférieur de la Vistule et la côte septentrionale de la Mer Noire, les Germains commercent avec les établissements coloniaux grecs. Depuis la préhistoire et depuis les premiers mouvements des peuples indo-européens, ces axes fluviaux existent: avec l'Empire romain, le trafic s'y fait simplement plus intense. Les invasions hunniques, qui réduisent à néant le pouvoir conquis des Goths, établis entre la Baltique et la Mer Noire, éliminent toutes les possibilités d'échanges portées par cet axe fluvial oriental. Plus tard, l'axe central de l'Oder cessera, lui aussi, de fonctionner à cause des Huns. L'axe occidental, celui du cabotage le long des côtes de la Mer du Nord, sera le dernier à s'effondrer. A Vème siècle, le commerce avec la Scandinavie diminue pour connaître son intensité minimale à la fin du VIème siècle. Mais, à la même époque, avec Théodoric le Grand, Roi des Ostrogoths fixés en Italie, l'axe central reprend vigueur, tandis que la littérature épique germanique prend son envol.

 

Les produits échangés le long de ces axes fluviaux et maritimes sont essentiellement l'ambre et les fourrures. L'irruption des Avars dans l'espace danubien, vers 565, ruine une seconde fois ce réseau d'échange italo-baltique. Après les Avars, les tribus slaves s'emparent de l'Europe centrale, isolant la zone baltique et coupant les voies d'échange qui, depuis des siècles, voire un ou deux millénaires, reliaient la Baltique à la Méditerranée. Ce blocage par les Avars et les Slaves redonne vigueur à la région flamande-frisone centrée autour du delta des grands fleuves: l'Ile de Walcheren en Zélande (avec le port de Domburg) et Dorestad, au sud-ouest d'Utrecht, prennent, à cette occasion, une dimension nouvelle.

 

Ce va-et-vient continuel entre l'Est et l'Ouest, Herbert Jankuhn, auteur d'un ouvrage remarquable sur le site de Haithabu, révèle, finalement, l'importance des grands fleuves (Rhin, Meuse, Escaut) pour l'échange des marchandises entre le Nord scandinave et le Sud gaulois et méditerranéen.

 

Et Haithabu, port ouest-baltique, comment acquiert-il son importance? Quand l'ère viking s'amorce officiellement avec le pillage, le 8 juin 793, du monastère anglais de Lindisfarne, la Scandinavie a déjà, pourtant, un passé pluriséculaire, marqué de mouvements migratoires vers le midi. Le territoire de la Scandinavie ne peut accepter une démographie trop dense. Les côtes norvégiennes, ouvertes sur l'Atlantique, ne sont guère propres à l'agriculture intensifiée. La Suède, à l'époque couverte d'épaisses forêts, permet certes une colonisation intérieure, mais clairsemée. Le Danemark possède des terres fertiles à l'Est mais chiches à l'Ouest, où la côte ne permet, de surcroît, la construction d'aucune installation portuaire digne de ce nom.

 

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Avant César, dès la tragique aventure des Cimbres et des Teutons, ce sont des raisons identiques, d'ordre géographique et démographique, qui ont poussé les Scandinaves à émigrer vers le Sud. Aux VIIème et VIIIème siècles, une nouvelle émigration massive commence: d'abord vers les îles de la Mer du Nord, les Shetlands, les Orkneys et les Hébrides. Elles porteront les Scandinaves partout en Grande-Bretagne, en Irlande, en Normandie, en Sicile et dans les plaines russes.

 

 

 

C'est donc dans la foulée de ce mouvement migratoire, parfois violent, que Haithabu connaîtra son apogée. La localité est située au fond d'un "fjord" de plaine, sans falaises, situé sur la côte baltique du Slesvig. Le fond de cette baie, la Schlei, devenue navigable à partir du VIème siècle, constitue le prolongement le plus profond de la Baltique en direction de la Mer du Nord. D'Haithabu à celle-ci, la distance est la plus courte qui soit entre les deux mers nordiques sur l'ensemble territorial de la presqu'île du Jutland-Slesvig. Danois, Frisons, Saxons et Wendes/Obotrites (tribus slaves) se juxtaposent dans la région.

 

Stratégiquement, la région, depuis l'Eider, petite presqu'île s'élançant dans la Mer du Nord, en face d'Héligoland, en passant par le tracé de la rivière Treene, constituait, sans doute depuis, plusieurs siècles, la zone idéale pour transborder des marchandises et pour couper par voie terrestre, en évitant de contourner le Jutland sans port  -ce qui constitue un risque majeur en cas de tempête-  sur une mer qui, de surcroît, est dominée par de violents vents d'Ouest, provoquant énormément de nauvrages de voiliers.

 

Haithabu doit donc son existence au commerce entre la Rhénanie et le Delta friso-flamand et le Gotland suédois. Les Suédois, entretemps, ont pris pied en Finlande, dans les Pays Baltes et dans plusieurs territoires slaves. Des Suédois se fixent au Sud du Lac Ladoga, fondent Novgorod, puis Kiev, et ouvrent les voies du Dnieper et de la Volga, restaurant l'axe gothique perdu lors de l'invasion des Huns et contournant le verrou avar qui bloquait l'espace danubien. Par la maîtrise de ces fleuves, les Scandinaves entrent en contact avec Byzance et l'Islam. Le commerce nord-occidental en direction de ces régions passera dès lors par Haithabu. Du Danemark à Bagdad, s'inaugure une voie commerciale, aussi importante géopolitiquement, sans nul doute, que celle que voulut recréer Guillaume II, Empereur d'Allemagne, en construisant le chemin de fer Berlin-Bagdad. Le souvenir de la gloire d'Haithabu doit nous laisser entrevoir les potentialités d'une connexion du port de Hambourg, héritier d'Haithabu, avec le nouveau Transsibérien soviétique (Cf. VOULOIR no. 31).

 

Les sources arabes (Ibn Faldan) nous renseignent sur les modalités de transaction dans l'espace aujourd'hui russe, dominé jadis par les Varègues suédois. Les Scandinaves rencontrent les marchands arabes à Bolgar sur la Volga, capitale du Royaume des Bulgares, et leur fournissent notamment des fourrures qui seront ensuite transportées vers la Mésopotamie par les caravanes de chameaux organisées par les Khazars. A Bolgar aboutit également la route de la soie qui mène en Chine. Les pièces de soie retrouvées en Grande-Bretagne et aux Pays-Bas et datant de cette époque, proviennent de Chine, via Haithabu et Bolgar. L'âge d'or, pour Haithabu, sera le Xème siècle, celui de la domination varègue en Russie qui permit un intense commerce avec le Sud-Est islamique.

 

A partir de l'an 1000, où saute le verrou avar, le déclin commence pour Haithabu. La région perd son intérêt stratégique. De plus les tribus slaves du Holstein oriental s'emparent du site, le pillent et l'incendient. Puis, petit à petit, le nom d'Haithabu disparaît des chroniques. Le livre de Herbert Jankuhn retrace, avec minutie, cette évolution économique et politique, mais, bien sûr, cette relation captivante n'est pas le seul intérêt de son magnifique ouvrage. Il y décrit les fouilles en détail, y compris celles qui ont mis à jour les reliefs du "Danewerk", ce mur défensif érigé par le Roi des Danois entre Haithabu et le cours de la Treene, pour arrêter les poussées slaves. On acquiert, grâce au travail systématique de Jankuhn, une vue d'ensemble sur les types d'échanges commerciaux, le type d'habitation et d'entrepôts d'un port scandinave du Xème siècle, sur les monnaies, les habitants, etc.

 

Serge HERREMANS.

 

Herbert JANKUHN, Haithabu, Ein Handelsplatz der Wikingerzeit, Wachholtz Verlag, Neumünster, 1986, 260 S. (Format 21 x 25 cm), DM 48.

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lundi, 15 février 2010

Per Olov Enquist et le traumatisme des Suédois

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Per Olov Enquist et le traumatisme des Suédois

 

 

Il y a quelques semaines sont parues en langue néerlandaise les mémoires du très célèbre romancier suédois, mondialement connu, Per Olov Enquist, sous le titre de « Een ander leven » (= « Une autre vie »). Dans ces mémoires, il consacre plusieurs passages (pages 191 à 207) à un roman documentaire, « Legionärerna » (= Les légionnaires »), dont il existe également une version néerlandaise, ouvrage qu’il avait publié en 1968. Le livre traite des Baltes et des Allemands réfugiés en Suède et livrés aux Soviétiques entre novembre 1945 et janvier 1946. Ce livre a permis aussi, ultérieurement, de réaliser un film sur cet  événement qui constitue toujours un traumatisme permanent en Suède. Le livre d’Enquist est paru à un moment où la Suède s’imaginait être la conscience morale du monde. Cette situation mérite quelques explications.

 

A la fin de la deuxième guerre mondiale, 3000 soldats de la Wehrmacht allemande avaient trouvé refuge sur le territoire suédois. Ils avaient été internés dans le pays. Ils avaient tenté d’échapper à l’Armée Rouge en imaginant se mettre à l’abri dans une Suède jugée sûre. L’histoire a très mal fini. Le 2 juin 1945, l’Union Soviétique exige que tous les soldats arrivés en Suède après le 8 mai 1945 leur soient livrés. Le gouvernement socialiste de Stockholm répondit le 16 juin 1945 qu’il livrerait tous les soldats de la Wehrmacht, donc aussi ceux qui avaient débarqué en Suède avant le 8 mai. Le gouvernement suédois tenait absolument à garder de bonnes relations avec l’Union Soviétique, surtout qu’il avait tout de même certaines choses à se reprocher. Pendant la guerre, les Suédois n’avaient jamais cessé de livrer du minerais de fer aux Allemands et avaient autorisé le transport de troupes allemandes à travers le territoire suédois, en direction de la Finlande.

 

A la fin du mois de novembre 1945, un navire soviétique, un transporteur de troupes, arrive dans le port de Trelleborg. Immédiatement, les soldats menacés d’être livrés optent pour la résistance passive. Plusieurs d’entre eux font la grève de la faim. Une tempête de protestation secoue les médias. Dans le centre de la capitale suédoise, des citoyens outrés organisent des manifestations. Les manifestants suédois savaient que les soldats qui seraient livrés allaient au devant d’une mort certaine. Bon nombre d’officiers suédois refusèrent d’exécuter les ordres. On chargea donc la sûreté de l’Etat d’exécuter l’ordre d’expulsion.

 

Le premier jour, soit le 30 novembre 1945, les agents de la sûreté parvinrent à mettre de force 1600 soldats sur le navire soviétique. Il y eut des scènes déchirantes. Plusieurs soldats se suicidèrent et environ 80 hommes s’automutilèrent. Ceux-ci furent à nouveau internés et échappèrent ainsi au sort fatal qu’on leur réservait, car ils furent confiés à des autorités civiles. Les blessés furent acheminés vers l’Union Soviétique en deux transports, les 17 décembre 1945 et 24 janvier 1946. Ensuite, 310 internés furent mis à la disposition des Britanniques et 50 autres livrés aux Polonais.

 

Au total, 2520 soldats de la Wehrmacht ont été déportés de Suède en Union Soviétique. On n’a jamais rien su de leur sort ultérieur. Aujourd’hui encore, le mystère demeure. Parmi eux se trouvaient 146 soldats de la Waffen SS originaires des Pays Baltes. Ce fut surtout leur sort qui a ému les Suédois. La trahison à l’égard des Baltes est devenu le traumatisme récurrent de la Suède contemporaine. Le gouvernement a essayé de se défendre en arguant que les Britanniques avaient, eux aussi, livré aux Soviétiques des dizaines de milliers de cosaques et de soldats russes de l’Armée Vlassov. L’émoi national eut toutefois pour résultat que le gouvernement suédois refusa de livrer les réfugiés civils issus des Pays Baltes. La livraison des soldats baltes, en revanche, a déterminé toute la période de la Guerre Froide en Suède.

 

Le 20 juin 1994, le ministre suédois des affaires étrangères s’est excusé, au nom de son gouvernement, auprès de la Lituanie, de l’Estonie et de la Lettonie, parce que la Suède avait livré jadis leurs compatriotes à l’empire rouge de Staline.

 

« Maekeblyde » / «  ‘t Pallieterke ».

(article paru dans « ‘t Pallieterke », Anvers, 3 février 2010 ; trad. franc. : Robert Steuckers).

 

Source :

Per Olov ENQUIST, « Een ander leven », Amsterdam, Anthos, 2009, 493 pages, 25,00 Euro – ISBN 978 90 4141 416 8.

mardi, 09 février 2010

Knut Hamsun: Saved by Stalin?

Knut Hamsun: Saved by Stalin?

Editor’s Note: The following article is from Euro-Synergies, July 12, 2009. It is my translation of Robert Steuckers’ translation of a June 24, 2009 item from the Flemish ’t Pallierterke website. I have altered the title and section headings.

hamsun2In 2009, we mark the 150th birthday of Knut Hamsun (1859-1952). The Norwegian novelist, born Knut Pedersen, is, along with Hendrik Ibsen, the most widely read and translated Norwegian writer of all. In 1890, Knut Hamsun made his debut with his stylistically innovative novel Hunger. From the start, this novel was a great success and was the beginning of a long and productive literary career. In 1920, Knut Hamsun won the Nobel Prize for literature. His influence on European and American literature is immense and incalculable. Writers like Ernest Hemingway, Henry Miller, Louis-Ferdinand Celine, Hermann Hesse, Franz Kafka, Thomas Mann, and I. B. Singer were inspired by the talent of Knut Hamsun. Singer called him the “father of modern literature.” In Flanders, two writers, Felix Timmermans and Gerald Walschap, were inspired by the Norwegian Nobel Prize-winner.

In Norway, the 150th birthday of Knut Hamsun will be celebrated by theatrical exhibitions, productions, and an international conference. One of the main squares of Oslo, located just beside the national Opera, will henceforth bear his name. A monument will finally be erected in his honor. One might say that the Norwegians have just discovered the name of their very famous compatriot. Recently, a large number of towns and villages have named squares and streets for him. At the place where he resided, in Hamaroy, a “Knut Hamsun Center” will officially open on August 4th, the day of his birth. On that day, a special postage stamp will be issued. Yet Knut Hamsun was denounced and vilified for decades by the Norwegian establishment.

Hamsun lived a nomadic life much of his existence. He was born the son of a poor tailor. His destitute father entrusted him to a rich uncle. The small boy was to work for this uncle in order to repay the debts that his parents had run up, plus interest. At the end of four years, the young boy, then fourteen years old, had enough of this uncle and went out into the big world. Twice hunger forced him to emigrate to the United States where he took countless odd jobs. But always he had the same objective in mind: to become a writer. His model was his compatriot Björnstjerne Björnson.

Germanophile

After his literary breakthrough with Hunger, Hamsun became incredibly productive. He owed a large part of his success to the German translations of his works. His books received huge printings there. Thanks to his German publisher, Hamsun finally knew financial security after so many years utter destitution. But there was more. The Norwegian writer never hid his Germanophilia. Indeed, it became more pronounced as his Anglophobia grew. British arrogance revolted him. He could no longer tolerate it after the Boer Wars and the forceful interventions in Ireland. In his eyes, the British did not deserve any respect at all, only contempt. To this Anglophobia, he quickly added anti-Communism.

During the German occupation of Norway (1940-45), he certainly aided the occupiers, but remained above all an intransigent Norwegian patriot. In its articles, Knut Hamsun exhorted his compatriots to volunteer to help the Germans fight Bolshevism. In his eyes, the US president Roosevelt was an “honorary Jew.” He was received by Hitler and Goebbels with all honors. The meeting with Hitler had long-term effects. From the start, Hamsun, who was close to deafness, trampled under foot the rules of protocol and pressed the Führer to remove the feared and hated German governor Terboven.  Nobody ever had the cheek to speak to Hitler in this tone and come straight to the point. Hamsun’s intervention was, however, effective: after his visit to Hitler, the arbitrary executions of hostages ceased.

The Gallows?

On May 26th, 1945, Hamsun and his wife, a convinced National Socialist, were placed under house arrest. For unclear reasons, Hamsun was declared “psychologically disturbed” and locked up for a while in a private psychiatric clinic in Oslo. The left government wanted to get rid of him but, but aside from his Germanophilia, he was irreproachable. He had never been member of anything. Quite the contrary! Thanks to him, a good number of lives had been saved. Admittedly, he had refused to deny the sympathy he felt for Hitler.

At the end of 1945, the Soviet Minister for foreign affairs, Molotov, informed his Norwegian colleague Trygve Lie that it “would be regrettable to see Norway condemning his great writer to the gallows.” Molotov had taken this step with the agreement of Stalin. It was after this intervention that the Norwegian government abandoned plans to try Hamsun and contented itself with levying a large fine what almost bankrupted him. The question remains open: would Norway have condemned the old man Hamsun to capital punishment? The Norwegian collaborators were all condemned to heavy punishments. But the Soviet Union could exert a strong and dreaded influence in Scandinavia in the immediate post-war period.

Until his death in February 1952, the Norwegian government spoke of Hamsun as a common delinquent. He would have to wait sixty years for his rehabilitation.

vendredi, 15 janvier 2010

Chronologie de la crise économique en Islande

 

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Chronologie de la crise économique
en Islande


Ex: http://www.toutelislande.fr/

En une semaine, l’Islande a tout perdu. Presque dix ans de capitalisme envolé en fumée, tout comme les petites épargnes du peuple. Pris par la crise, le gouvernement a nationalisé les trois banques du pays, précipitant le pays dans la banqueroute financière.

Voici une chronologie, non exhaustive, des évènements qui ont précipité la fin de l’Islande ultra-capitaliste.




- Mai 2008 : les banques centrales scandinaves mettent à disposition 1.5 milliard d’euros pour la banque islandaise Glitnir, en proie à des difficultés de liquidité à cause de la crise économique américaine.

- Éte 2008 : l’inflation est galopante, +14.5% en août, la couronne dégringole, -39% depuis juillet 2007.

- 29 septembre : la troisième banque du pays, Glitnir, est nationalisée par le gouvernement. L’État islandais injecte 600 millions d’euros pour renflouer l’établissement, et récupère en contrepartie 75% de son capital. Une situation que le gouvernement veut provisoire, en attendant que la situation se normalise.

- 6 octobre : "L’Islande est au bord de la banqueroute", dixit Geir Haarde, le premier ministre islandais, qui justifie ainsi la promulgation des lois d’urgences, qui permettent à l’État, le cas échéant, de prendre le contrôle des banques si elles se trouvent en difficulté.

- 7 octobre : le gouvernement prend le contrôle de Landsbankinn, 2ème banque du pays, dont la particularité est de posséder plus de déposants au Royaume-Uni qu’en Islande, via sa filiale Icesave. Gordon Brown, premier ministre britannique, réagit immédiatement et veut poursuivre l’Islande en justice, car les comptes de ses 300 000 clients sont gelés.

- 8 octobre : la crise financière devient diplomatique. Face à la nationalisation de Landsbankinn et au gel des comptes de Icesave, le Royaume-Uni saisit les actifs bancaires islandais dans le pays en appliquant une loi anti-terroriste. Une décision unilatérale afin de pouvoir indemniser les clients d’Icesave le cas échéant.

- 9 octobre : la plus grande banque du pays, Kaupthing, est mise sous tutelle à son tour. La direction de la banque démissionne. Le même jour, tous les cours de la bourse islandaise sont suspendus.

- 11 octobre : les Islandais descendent dans la rue, et manifestent devant l’Alþing, le parlement. Un fait excessivement rare dans un pays généralement peu contestataire. Les manifestants réclament la démission du gouvernement et des dirigeants de la banque centrale. Le premier ministre Geir Haarde est critiqué pour sa gestion de la crise, et notamment la nationalisation précipitée de Glitnir.

- 14 octobre : reprise des cours à la bourse de Reykjavík, sans les trois banques, qui représentaient 75% de la valeur de la bourse avant sa fermeture.
La Norvège accorde un prêt à l’Islande d’une valeur de 400 millions d’euros.

- 17 octobre : l’Islande n’obtient pas le siège non-permanent au conseil de sécurité de l’ONU. Alors que les votes lui semblaient favorables avant la crise, l’Islande est arrivé en 3ème et dernière position, loin derrière l’Autriche et la Turquie. Les problèmes économiques et la crise diplomatique avec le Royaume-Uni ont sans doute joué un rôle dans l’échec islandais à l’ONU.

- 24 octobre : l’Islande demande l’aide du FMI, le Fond Monétaire International. Un accord de principe est trouvé. Le pays veut ainsi dissiper les doutes de pays qui pourraient prêter de l’argent à l’Islande.

- 29 octobre : les îles Féroé prêtent de l’argent à l’Islande. Le petit État voisin accorde un "petit" prêt de 40 millions d’euros pour participer au sauvetage d’un pays historiquement et culturellement très proche.

- 3 novembre : La Norvège accorde un nouveau prêt à l’Islande, d’un montant de 500 millions d’euros.

- 10 novembre : le FMI diffère la ratification de son aide à l’Islande. Certains y voient la main du Royaume-Uni et des Pays-bas qui veulent régler leurs différents sur les dépôts britanniques étrangers en Islande avant que le FMI ne vienne en aide au pays.

- 16 novembre : les différents opposant Londres, La Haye et Reykjavík sont réglés. Un arrangement est trouvé entre les trois pays pour régler le problème des dépôts bancaires étrangers en Islande.

- 19 novembre : le FMI ratifie l’accord passé le 24 octobre dernier et débloque des fonds à destination de l’Islande : 2.1 milliards de dollars sur deux ans, dont 800 millions dès la ratification, prêt qui sera remboursé entre 2012 et 2015. Cet accord ouvre la voie au prêt de nations européennes, telles la Suède et le Danemark, la Russie, le Japon. Au total, quelques 3 milliards de dollars seraient déjà rassemblés.

Gli eurocrati minacciano l'Islanda

583644_photo-1247854588203-1-0.jpgGli eurocrati minacciano l`Islanda

Per il ministro spagnolo Moratinos e i suoi accoliti, Reykjavik non può esimersi dal rimborsare Londra e L’Aja

Andrea Perrone

Se il referendum islandese boccerà la legge Icesave inevitabilmente ci sarà un rallentamento nel processo di adesione all’Unione europea. Sono le minacciose dichiarazioni del ministro spagnolo, Miguel Angel Moratinos (nella foto), presidente di turno dei ministri degli Esteri della Ue. La legge Icesave è stata varata dal governo islandese per rimborsare Gran Bretagna e Olanda i cui cittadini hanno subito perdite per la crisi finanziaria. “È normale - ha proseguito Moratinos, presidentedei ministri degli Esteri Ue - che il popolo islandese si opponga a questa legge, ma ci sono Stati membri che verrebbero colpiti nei loro interessi. E questo - ha concluso - porterebbe inevitabilmente a un rallentamento del processo di adesione alla Ue. Ma spero ciò non avvenga””””.
Nei giorni scorsi però il presidente della Repubblica islandese, Olafur Ragnar Grimsson, si è rifiutato di firmare una legge che impegnava il Paese a onorare i debiti contratti dalle sue banche, ora nazionalizzate. In sostanza Grimsson ha deciso di non autorizzare l’uso dei fondi pubblici per il rimborso dei debiti esistenti nei confronti degli istituti di credito olandesi e britannici, rimettendo la decisione nella mani del popolo per una consultazione referendaria. In quell’occasione il capo di Stato ha precisato che “gli islandesi vogliono essere padroni del proprio futuro”. Una scelta unica per un Paese che ha subito una dura bancarotta a seguito della tempesta finanziaria globale. Grimsson è stato indotto a trovare questa soluzione grazie alle petizioni messe in atto da vari comitati di cittadini islandesi, convinti di non dover essere loro a pagare per gli errori delle banche, hanno indotto Grimsson alla difficile scelta di accettare il referendum popolare. Il segretario di Stato britannico alla Finanze, Paul Myners, coinvolto in prima persona per via del ruolo giocato dal Regno Unito nella crisi islandese, ha espresso anche lui le sue minacce, facendo capire chiaramente che un voto popolare contrario al rimborso equivarrebbe a spingere l’Islanda fuori dalla comunità finanziaria internazionale. Ancora più duri gli olandesi. “Devono pagare”, ha tuonato senza mezzi termini il ministro dell’Economia de L’Aja, Wouter Bos.
A schierarsi invece al fianco dell’Islanda è stata invece la Lettonia. Tanto che il ministro degli Esteri di Riga, Maris Riekstins, ha denunciato “la risposta esagerata di alcuni politici europei”, sottolineando che le minacce contro Reykjavik a seguito del rifiuto del presidente di firmare un rimborso a Londra e L’Aia non sarebbero mai state proferite se il debitore fosse stato invece la Francia. “È questa una reazione dovuta al fatto che l’Islanda è un Paese piccolo? È difficile immaginare che osservazioni simili si sarebbero sentite se, per esempio, una tale misura fosse stata presa dal presidente francese”, ha puntualizzato ancora Riekstins.


09 Gennaio 2010 12:00:00 - http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=289

jeudi, 08 octobre 2009

Knut Hamsun and the Cause of Europe

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Knut Hamsun and the Cause of Europe

Mark Deavin / http://www.geocities.com/integral_tradition/

After fifty years of being confined to the Orwellian memory hole created by the Jews as part of their European "denazification" process, the work of the Norwegian author Knut Hamsun — who died in 1952 — is reemerging to take its place among the greatest European literature of the twentieth century. All of his major novels have undergone English-language reprints during the last two years, and even in his native Norway, where his post-1945 ostracism has been most severe, he is finally receiving a long-overdue recognition.

Of course, one debilitating question still remains for the great and good of the European liberal intelligentsia, ever eager to jump to Jewish sensitivities. As Hamsun's English biographer Robert Ferguson gloomily asked himself in 1987: "Could the sensitive, dreaming genius who had created beautiful love stories . . . really have been a Nazi?" Unfortunately for the faint hearts of these weak-kneed scribblers, the answer is a resounding "yes." Not only was Knut Hamsun a dedicated supporter of Adolf Hitler and the National Socialist New Order in Europe, but his best writings — many written at the tail end of the nineteenth century — flow with the essence of the National Socialist spirit and life philosophy.

Born Knud Pederson on August 4, 1859, Hamsun spent his early childhood in the far north of Norway, in the small town of Hamarøy. He later described this time as one of idyllic bliss where he and the other children lived in close harmony with the animals on the farm, and where they felt an indescribable oneness with Nature and the cosmos around and above them. Hamsun developed an early obsession to become a writer and showed a fanatical courage and endurance in pursuing his dream against tremendous obstacles. He was convinced of his own artistic awareness and sensitivity, and was imbued with a certainty that in attempting to achieve unprecedented levels of creativity and consciousness, he was acting in accordance with the higher purpose of Nature.

In January 1882 Hamsun's Faustian quest of self-discovery took him on the first of several trips to America. He was described by a friend at the time as ". . . tall, broad, lithe with the springing step of a panther and with muscles of steel. His yellow hair . . . drooped down upon his . . . clear-cut classical features."

These experiences consolidated in Hamsun a sense of racial identity as the bedrock of his perceived artistic and spiritual mission. A visit to an Indian encampment confirmed his belief in the inherent differences of the races and of the need to keep them separate, but he was perceptive enough to recognize that America carried the seeds of racial chaos and condemned the fact that cohabitation with Blacks was being forced upon American Whites.

Writing in his book On the Cultural Life of Modern America, published in March 1889, Hamsun warned that such a situation gave rise to the nightmare prospect of a "mulatto stud farm" being created in America. In his view, this had to be prevented at all costs with the repatriation of the "black half-apes" back to Africa being essential to secure America's future (cited in Robert Ferguson, Enigma: The Life of Knut Hamsun, London, 1987, p.105). Hamsun also developed an early awareness of the Jewish problem, believing that "anti-Semitism" inevitably existed in all lands where there were Jews — following Semitism "as the effect follows the cause." He also believed that the departure of the Jews from Europe and the White world was essential "so that the White races would avoid further mixture of the blood" (from Hamsun's 1925 article in Mikal Sylten's nationalist magazine Nationalt Tidsskrift). His experiences in America also strengthened Hamsun's antipathy to the so called "freedom" of democracy, which he realized merely leveled all higher things down to the lowest level and made financial materialism into the highest morality. Greatly influenced by the works of Friedrich Nietzsche, Hamsun saw himself as part of the vanguard of a European spiritual aristocracy which would reject these false values and search out Nature's hidden secrets — developing a higher morality and value system based on organic, natural law. In an essay entitled "From the Unconscious Life of the Mind," published in 1890, Hamsun laid out his belief:

An increasing number of people who lead mental lives of great intensity, people who are sensitive by nature, notice the steadily more frequent appearance in them of mental states of great strangeness . . . a wordless and irrational feeling of ecstasy; or a breath of psychic pain; a sense of being spoken to from afar, from the sky or the sea; an agonizingly developed sense of hearing which can cause one to wince at the murmuring of unseen atoms; an irrational staring into the heart of some closed kingdom suddenly and briefly revealed.

Hamsun expounded this philosophy in his first great novel Hunger, which attempted to show how the known territory of human consciousness could be expanded to achieve higher forms of creativity, and how through such a process the values of a society which Hamsun believed was increasingly sick and distorted could be redefined for the better. This theme was continued in his next book, Mysteries, and again in Pan, published in 1894, which was based upon Hamsun's own feeling of pantheistic identification with the cosmos and his conviction that the survival of Western man depended upon his re-establishing his ties with Nature and leading a more organic and wholesome way of life.

In 1911 Hamsun moved back to Hamarøy with his wife and bought a farm. A strong believer in the family and racial upbreeding, he was sickened by the hypocrisy and twisted morality of a modern Western society which tolerated and encouraged abortion and the abandonment of healthy children, while protecting and prolonging the existence of the criminal, crippled, and insane. He actively campaigned for the state funding of children's homes that could take in and look after unwanted children and freely admitted that he was motivated by a higher morality, which aimed to "clear away the lives which are hopeless for the benefit of those lives which might be of value."

In 1916 Hamsun began work on what became his greatest and most idealistic novel, Growth of the Soil, which won the Nobel Prize for Literature in 1921. It painted Hamsun's ideal of a solid, farm-based culture, where human values, instead of being fixed upon transitory artificialities which modern society had deemed fashionable, would be based upon the fixed wheel of the seasons in the safekeeping of an inviolable eternity where man and Nature existed in harmony:

They had the good fortune at Sellanraa that every spring and autumn they could see the grey geese sailing in fleets above that wilderness, and hear their chatter up in the air — delirious talk it was. And as if the world stood still for a moment, till the train of them had passed. And the human souls beneath, did they not feel a weakness gliding through them now? They went to their work again, but drawing breath first, for something had spoken to them, something from beyond.

Growth of the Soil

reflected Hamsun's belief that only when Western man fully accepted that he was intimately bound up with Nature's eternal law would he be able to fulfill himself and stride towards a higher level of existence. At the root of this, Hamsun made clear, was the need to place the procreation of the race back at the center of his existence:
Generation to generation, breeding ever anew, and when you die the new stock goes on. That's the meaning of eternal life.

The main character in the book reflected Hamsun's faith in the coming man of Europe: a Nietzschean superman embodying the best racial type who, acting in accordance with Nature's higher purpose, would lead the race to unprecedented levels of greatness. In Hamsun's vision he was described thus:

A tiller of the ground, body and soul; a worker on the land without respite. A ghost risen out of the past to point to the future; a man from the earliest days of cultivation, a settler in the wilds, nine hundred years old, and withal, a man of the day.

Hamsun's philosophy echoed Nietzsche's belief that "from the future come winds with secret beat of wings and to sensitive ears comes good news" (cited in Alfred Rosenberg, The Myth of the Twentieth Century). And for Hamsun the "good news" of his lifetime was the rise of National Socialism in Germany under Adolf Hitler, whom he saw as the embodiment of the coming European man and a reflection of the spiritual striving of the "Germanic soul."

The leaders of the new movement in Germany were also aware of the essential National Socialist spirit and world view which underlay Hamsun's work, and he was much lauded, particularly by Joseph Goebbels and Alfred Rosenberg. Rosenberg paid tribute to Hamsun in his The Myth of the Twentieth Century, published in 1930, declaring that through a mysterious natural insight Knut Hamsun was able to describe the laws of the universe and of the Nordic soul like no other living artist. Growth of the Soil, he declared, was "the great present-day epic of the Nordic will in its eternal, primordial form."

Hamsun visited Germany on several occasions during the 1930s, accompanied by his equally enthusiastic wife, and was well impressed by what he saw. In 1934 he was awarded the prestigious Goethe Medal for his writings, but he handed back the 10,000 marks prize money as a gesture of friendship and as a contribution to the National Socialist process of social reconstruction. He developed close ties with the German-based Nordic Society, which promoted the Pan-Germanic ideal, and in January 1935 he sent a letter to its magazine supporting the return of the Saarland to Germany. He always received birthday greetings from Rosenberg and Goebbels, and on the occasion of his 80th birthday from Hitler himself.

Like Nietzsche's Zarathustra, Hamsun was not content merely to philosophize in an ivory tower; he was a man of the day, who, despite his age, strove to make his ideal into a reality and present it to his own people. Along with his entire family he became actively and publicly involved with Norway's growing National Socialist movement in the form of Vidkun Quisling's Nasjonal Samling (National Assembly). This had been founded in May 1933, and Hamsun willingly issued public endorsements and wrote articles for its magazine, promoting the National Socialist philosophy of life and condemning the anti-German propaganda that was being disseminated in Norway and throughout Europe. This, he pointed out, was inspired by the Jewish press and politicians of England and France who were determined to encircle Germany and bring about a European war to destroy Hitler and his idea.

With the outbreak of war Hamsun persistently warned against the Allied attempts to compromise Norwegian neutrality, and on April 2, 1940 — only a week before Hitler dramatically forestalled the Allied invasion of Norway — Hamsun wrote an article in the Nasjonal Samling newspaper calling for German protection of Norwegian neutrality against Anglo-Soviet designs. Hamsun was quick to point out in a further series of articles soon afterward, moreover, that it was no coincidence that C.J. Hambro, the president of the Norwegian Storting, who had conspired to push Norway into Allied hands and had then fled to Sweden, was a Jew. In his longest wartime article, which appeared in the Axis periodical Berlin-Tokyo-Rome in February 1942, he also identified Roosevelt as being in the pay of the Jews and the dominant figure in America's war for gold and Jewish power. Declaring his belief in the greatness of Adolf Hitler, Hamsun defiantly declared: "Europe does not want either the Jews or their gold."

Hamsun's loyalty to the National Socialist New Order in Europe was well appreciated in Berlin, and in May 1943 Hamsun and his wife were invited to visit Joseph Goebbels, a devoted fan of the writer. Both men were deeply moved by the meeting, and Hamsun was so affected that he sent Goebbels the medal which he had received for winning the Nobel Prize for idealistic literature in 1920, writing that he knew of no statesman who had so idealistically written and preached the cause of Europe. Goebbels in return considered the meeting to have been one of the most precious encounters of his life and wrote touchingly in his diary: "May fate permit the great poet to live to see us win victory! If anybody deserved it because of a high-minded espousal of our cause even under the most difficult circumstances, it is he." The following month Hamsun spoke at a conference in Vienna organized to protest against the destruction of European cultural treasures by the sadistic Allied terror-bombing raids. He praised Hitler as a crusader and a reformer who would create a new age and a new life. Then, three days later, on June 26, 1943, his loyalty was rewarded with a personal and highly emotional meeting with Hitler at the Berghof. As he left, the 84 year-old Hamsun told an adjutant to pass on one last message to his Leader: "Tell Adolf Hitler: we believe in you."

Hamsun never deviated from promoting the cause of National Socialist Europe, paying high-profile visits to Panzer divisions and German U-boats, writing articles and making speeches. Even when the war was clearly lost, and others found it expedient to keep silence or renounce their past allegiances, he remained loyal without regard to his personal safety. This was brought home most clearly after the official announcement of Hitler's death, when, with the German Army in Norway packing up and preparing to leave, Hamsun wrote a necrology for Hitler which was published in a leading newspaper:

Adolf Hitler: I am not worthy to speak his name out loud. Nor do his life and his deeds warrant any kind of sentimental discussion. He was a warrior, a warrior for mankind, and a prophet of the gospel for all nations. He was a reforming nature of the highest order, and his fate was to arise in a time of unparalleled barbarism, which finally felled him. Thus might the average western European regard Adolf Hitler. We, his closest supporters, now bow our heads at his death.

This was a tremendously brave thing for Hamsun to do, as the following day the war in Norway was over and Quisling was arrested.

Membership in Quisling's movement after April 8, 1940, had been made a criminal offense retroactively by the new Norwegian government, and the mass roundups of around 40,000 Nasjonal Samling members now began in earnest. Hamsun's sons Tore and Arild were picked up within a week, and on May 26 Hamsun and his wife were placed under house arrest. Committed to hospital because of his failing health, Hamsun was subject to months of interrogation designed to wear down and confuse him. As with Ezra Pound in the United States, the aim was to bring about a situation where Hamsun's sanity could be questioned: a much easier option for the Norwegian authorities than the public prosecution of an 85-year-old literary legend.

Unfortunately for them, Hamsun refused to crack and was more than a match for his interrogators. So, while his wife was handed a vicious three-year hard-labor sentence for her National Socialist activities, and his son Arild got four years for having the temerity to volunteer to fight Bolshevism on the Eastern Front, Hamsun received a 500,000-kroner fine and the censorship of his books. Even this did not stop him, however, and he continued to write, regretting nothing and making no apologies. Not until 1952, in his 92nd year, did he pass away, leaving us a wonderful legacy with which to carry on the fight which he so bravely fought to the end.  

vendredi, 25 septembre 2009

M. Eemans: introduction à la runologie

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES & du CENTRO STUDI EVOLIANI de Bruxelles - 1990

 

 

 

 

Introduction à la runologie 

 

par Marc. EEMANS 

 

Notre ami le peintre surréaliste Marc. Eemans, décédé le 28 juillet 1998, a été l'un des premiers à introduire en Belgique les thèses de Hermann Wirth et de Gustav Neckel. L'article que nous reproduisons ici est un document. Il provient d'une publication à tirage limitée, Le Bulletin de l'Ouest, paraissant pendant les années sombres de la dernière grande guerre civile européenne (Bulletin de l'Ouest, 1942, 8, pp. 93-94).

 

La runologie, ou science des runes, n'a guère été abordée jusqu'ici que d'une manière fort superficielle par les rares germanistes français ou belges spécialisés dans les études nordiques, aussi peut-on dire que la runologie est demeurée jusqu'ici une science quasi-inconnue des intellectuels de formation française.

 

La runologie, cependant, n'est pas une science moderne, puisque le premier auteur qui fasse mention de l'existence de runes n'est personne d'autre qu'Hérodote, l'historien des anciens Scythes. De son côté, Diodore de Sicile, un contemporain de l'empereur Auguste, nous apprend que les runes furent rapportées du Nord par l'aëde thrace Lion et son disciple Orphée. Quant à Tacite (Ann. XI. 14), il prétend que les anciens Germains auraient emprunté leur alphabet aux Phéniciens, sans toutefois pouvoir en fournir la moindre preuve, mais abondant ainsi comme à priori dans le sens de tous ceux qui depuis la Renaissance prétendent que toute lumière nous vient du bassin méditerranéen .

 

Les récentes acquisitions de la runologie nous permettent, au contraire, de parler davantage d'une dépendance des alphabets méditerranéens de certains signes préhistoriques d'origine nordique, aussi le Prof. Neckel défend-il la thèse que les alphabets italiques, phéniciens, grecs et runiques ont une racine commune. Tous proviendraient d'une écriture préhistorique. En fait les inscriptions runiques les plus antiques datent au moins de 3000 ans avant notre ère. On les retrouve depuis les parois rocheuses de l'extrême-nord européen jusque sur les bords du Nil, ainsi que sur les flancs du Sinaï, où elles furent gravées par des peuplades migratrices venues du Nord en Egypte et sur les rives de la Mer Rouge, l'épée à la main.

 

Après Tacite, il faut attendre plusieurs siècles avant de retrouver mention des runes dans quelque texte historique, aussi n'est-ce qu'au VI° siècle que l'évêque Venantius Fortunatus de Poitiers signale l'existence d'une écriture propre aux barbares germaniques, cependant que Saxo Grammaticus (XII° siècle), secrétaire de l'évêque de Roskilde, les mentionne à son tour. Avant lui le fameux archevêque de Mayence, Rhabanus Maurus, qui vécut sous le règne de Charlemagne, fit mention d'un alphabet ou plutôt d'un futhark runique, accompagné du nom de chacune des lettres qui le composent. Dans un manuscrit du couvent de Saint-Gall, en Suisse, qui date de la même époque, nous trouvons également un futhark runique avec figuration des sons correspondants. Signalons d'autre part le «Codex Argenteus», de l'évêque Ulfilas, ainsi que le «Codex Runicus», de la Bibliothèque de Copenhague, qui constituent certainement les documents les plus précieux pour la connaissance des runes médiévales.

 

En l'année 1544, l'archevêque Johannes d'Upsala signale l'existence des runes bien avant l'introduction de l'alphabet latin dans les pays nordiques.

 

Avec Johannes Bure, un archiviste suédois, qui vécut de 1568 à 1652, nous pénétrons enfin dans le domaine de la runologie moderne. Il est le premier, en effet, à avoir publié un recueil d'inscriptions runiques conservées en pays scandinave. Il trouva un disciple enthousiaste en la personne du savant danois Olaf Worm, qui publia à son tour un ouvrage sur les runes en l'année 1636.

 

Citons encore parmi les premiers runologues le Suédois Olaf Verelius et l'Anglais Georg Hicks, qui publia toute une série d'alphabets runiques conservés dans les bibliothèques anglaises, et le Suédois Johannes Goransson, qui publia en 1750, un ouvrage intitulé «Bautil», dans lequel nous pouvons trouver quelque 1130 reproductions d'inscriptions runiques. C'est lui également qui fut le premier à situer l'origine des runes dans la préhistoire, tandis que nombre de runologues s'obstinent toujours à vouloir trouver celle-ci aux premiers siècles de notre ère.

 

Au XIX° siècle, la jeune science allemande s'occupe à son tour des runes et dès l'année 1821, W. C. Grimm publia à Göttingen un ouvrage demeuré classique, «Ueber Deutsche Runen», dans lequel il fait pour la première fois une distinction entre les alphabets nordiques germaniques et anglo-saxons. Après ses travaux viennent ceux de Ludwig Wilser, du Prof. Neckel et, plus près de nous, de H. Wirth, de Reichardt, de Schilling et de tant d'autres encore.

 

Si les signes runiques furent employés aux premiers siècles de notre ère au même titre que les autres alphabets que nous connaissons (1), l'on peut cependant dire qu'à l'origine ils furent de simples signes symboliques, dont le sens était intimement lié aux divers exercices du culte. Les Eddas nous montrent, d'autre part, que les runes servaient de signes divinatoires et magiques, et Hérodote, de son côté, nous apprend que les Scythes se servaient également des runes pour connaître l'avenir (2).

 

Les runes ne révélaient pas seulement l'avenir, mais elles dispensaient également la sagesse et la puissance, ainsi que l'amour et la victoire. En un mot, tout ce que les hommes peuvent souhaiter ou craindre dépendait des runes, et les dieux eux-mêmes ne dédaignaient point leur puissance, comme nous l'apprend plus d'un chant des Eddas.

 

D'après le runologue Hermann Wirth, les runes trouveraient leur origine dans les connaissances astronomiques, ou plutôt astrologiques, de nos ancêtres qui divisaient l'année solaire en périodes qui correspondent aux 16 signes de l'alphabet runique primitif. Il a notamment appuyé ses théories sur les calendriers runiques qui étaient encore en usage un peu partout dans les pays nordiques au début du siècle dernier. Mais point n'est ici l'endroit d'analyser par le détail les théories d'Hermann Wirth.

 

Qu'il nous suffise encore de dire que les runes, malgré l'interdit dont elles furent frappées par l'Eglise, n'ont jamais complètement disparu du monde germanique et de nos jours encore elles appartiennent, sous forme de signes symboliques, pour la plupart de nature bénéfique, au patrimoine commun du monde nordique. On les retrouve seules ou associées à d'autres signes symboliques, également d'origine aryenne comme la roue du soleil et l'arbre de vie, dans les motifs architecturaux et décoratifs. Elles constituent notamment certains des ornements les plus caractéristiques de nombreux monuments gothiques, ainsi que d'innombrables spécimens de l'architecture rurale nordique.

 

Cet aspect particulier de la runologie appliqué à nos régions fera l'objet d'une prochaine étude. Nous y montrerons, à l'appui de quelques exemples pris au hasard, combien nos régions sont demeurées fidèles, et cela malgré plusieurs siècles de dénordisation systématique, à leurs

traditions nordiques. 

 

Marc. EEMANS.

 

Notes :

 

(1)   Il nous faut alors distinguer plusieurs alphabets, notamment l'alphabet ou futhark germanique composé de 24 signes, l'alphabet nordique composé de 16 signes et l'alphabet anglo-saxon également de 24 signes, ainsi que plusieurs variantes de ceux-ci, dont le second alphabet nordique de 12 signes.

 

(2)   C'est sur la foi d'Hérodote que d'aucuns prétendent situer le berceau des runes sur les rives de la Mer Noire, comme si les Scythes qui vécurent quelques siècles avant notre ère au nord du Pont-Euxin n'avaient pas pu apporter les runes de leur patrie d'origine qui est le haut nord?

 

Ouvrages à consulter :

 

WIRTH (H.) — Die Heilige Urschrift der Menschheit (Verlag Köhler u. Amelang, Leipzig). NECKEL — Herkunft der Runen (Forschungen und Fortschritte, 9. Jahrgang, Nr. 20-21). REISZ — Runenkunde (Reclam-Verlag, Leipzig).

SCHILLING — Herkunft der Runen (NordlandVerlag).

URNSZ — Handbuch der Runenkunde (Verlag Niemeyer, Halle).

JAFFE — Geschichte der Runenforschung (Verlag Behr und F. Feddersen, Leipzig-Berlin). WEIGEL (K. Th.) — Runen und Sinnbilder (Alfred Meszner-Verlag, Berlin).

jeudi, 24 septembre 2009

Figures animales dans la mythologie scandinave

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Figures animales dans la mythologie scandinave

 

Au∂umla, la vache primordiale

 

Au∂umla (ou Au∂humla ou Au∂umbla) est la désignation en vieux-norrois (cf. Snorra Edda, Gylfaginning 5) de la vache originelle, primordiale, née du dégel des frimas primordiaux. Snorri raconte que les quatre flots de lait coulant de son pis ont nourri le géant Ymir, tandis qu'Au∂umla libérait Buri, l'ancêtre de tous les dieux, en lêchant pendant trois jours la glace salée qui le retenait prisonnier. Au∂umla signifie «la vache sans cornes et riche en lait» (du vieux-norrois au∂r, signifiant «richesse», et humala, signifiant «sans cornes»). Tacite nous parle déjà des vaches sans cornes que possédaient les Germains dans Germania, 5. La figure de la vache sacrée est liée, dans de nombreuses religions non germaniques, à la figure de la Terre-Mère (à l'exception des anciens Egyptiens qui vénéraient Hathor, une déesse du ciel à tête de vache). Ainsi, chez les Grecs, Hera (dont on dit qu'elle a «des yeux de vache») et surtout Isis, présentent encore, dans leur culte, des restes du culte de la vache. Dans le domaine germanique, il faut citer le dieu Nerthus, comme lié au culte de la vache. D'après Tacite, son effigie est promenée lors des processions cultuelles dans un chariot tiré par des vaches. Lorsque Snorri nous parle des quatre flots de lait (ou fleuves de lait), il sort vraisemblablement du domaine religieux indo-européen et germanique: les pis d'Au∂umla sont vraisemblablement un calque du mythe proche-oriental des quatre fleuves du paradis, liés au culte de la Magna Mater. Rudolf Simek, le grand spécialiste allemand de la mythologie scandinave et germanique, pense que cette image du pis générateur de quatre fleuves de lait, indique très nettement la formation chrétienne de Snorri.

 

Sleipnir, le cheval d'Odin

 

Sleipnir (du vieux-norrois, «celui qui glisse derrière») est le cheval à huit jambes d'Odin. Il est né du coït de Loki (qui avait pris la forme d'une jument) et de l'étalon géant Sva∂ilfari; Snorri nous rapporte ce fait dans son histoire des géants bâtisseurs (Gylfaginning, 41; on comparera ce récit à celui de Hyndluljód, 40). Snorri raconte que Sleipnir est le meilleur de tous les chevaux des dieux (Gylfaginning, 14; cf. aussi Grímnismál, 44); Hermo∂r, en chevauchant Sleipnir pour se rendre dans le Hel (le séjour des morts), saute au-dessus de la palissade entourant Hel (Gylfaginning, 48). Odin chevauche également Sleipnir pour se rendre en Hel (Baldrs draumar, 2); Haddingus, pris par Odin en croupe, voit toute la mer sous lui (cf. Saxo, Gesta Danorum, I, 24). Le Sigrdrifumál, 15, évoque les runes qui seraient inscrites sur les dents de Sleipnir. Sleipnir est très souvent cité dans les chants de l'Edda, mais rarement dans la poésie des scaldes. Son nom semble donc assez récent et n'est sans doute apparu que vers la fin du Xième siècle, pour désigner la monture d'Odin. Quand à l'histoire racontant sa naissance, par Loki transformé en jument, elle ne date vraisemblablement que de Snorri.

 

Snorri est de robe grise et possède huit jambes. Plusieurs sources mentionnent ces caractéristiques (Snorri, Gylfaginning, 41; Hervarar Saga ok Hei∂reks, strophe 72). Odin est toutefois représenté monté sur son coursier à huit jambes sur des pierres sculptées du Gotland, datant du VIIIième siècle (Tjängvide; Ardre). Sur d'autres pierres, Odin est à cheval, mais le cheval a très normalement quatre jambes. Ce qui nous permet d'émettre l'hypothèse que les anciens Scandinaves dessinaient huit jambes pour suggérer la vitesse. La représentation dessinée est ensuite passée dans le langage de la poésie et s'est généralisée.

 

Les images d'Odin représentent souvent le dieu à cheval. Bon nombres de ses surnoms indiquent le rapport d'Odin aux chevaux: Hrósshársgrani («celui qui a la barbe en crin de cheval») et Jálkr (le hongre). Les archéologues se demandent si Odin doit réellement être liée au culte du cheval. Il existe une interprétation mythologique naturaliste courante mais fausse, du mythe de Sleipnir: ses huit jambes représenteraient les huit directions du vent.

 

Le sculpteur norvégien Dagfinn Werenskiold a réalisé un bas-relief de bois représentant Odin monté sur Sleipnir. Sculptée entre 1945 et 1950, cette œuvre orne la cour de l'Hôtel de Ville d'Oslo. A l'époque contemporaine, Odin a été rarement représenté à cheval.

 

La légende veut que la crique d'Asbyrgi, dans le nord de l'Islande, soit l'empreinte du sabot de Sleipnir.

 

Sous le IIIième Reich, on avait l'habitude de donner le nom de Sleipnir aux bâteaux. En 1911, un navire de dépêche de la marine impériale allemande avait déjà reçu le nom de Sleipnir. En 1965, la marine norvégienne a donné le nom de Sleipnir à l'une de ses corvettes.

 

Depuis 1983/84, Sleipnir est également le nom d'un champ pétrolifère norvégien situé entre Stavanger et la côte septentrionale de l'Ecosse.

 

Hei∂run, la chèvre symbole d'abondance

 

Hei∂run est le nom d'une chèvre de la mythologie nordique. D'après le Grímnismál, 25, elle séjourne dans le Walhall et se nourrit des feuilles de l'arbre Læra∂r. De son pis jaillit un hydromel limpide qui coule directement dans les coupes des Einherier (les guerriers tombés au combat) (voir également Gylfaginning, 38). Dans le Hyndluljód, 46, 47, Hyndla reproche à Freya, outragée, qu'elle est aussi souvent «en rut» que Hei∂run. Le spécia­liste néerlandais de la mythologie germanique, Jan De Vries, pense que les noms tels Hei∂vanr et Hei∂raupnir, dérive d'un mot cultuel, hei∂r, désignant l'hydromel des sacrifices. Sinon, la signification du mot reste obscure. Le mythe de la chèvre qui donne de l'hydromel doit être une interprétation typiquement nordique du vieux mythe de la vache originelle et nourrissière (Au∂umla). Chez les Grecs, nous avons la chèvre Amaltheia, donc les cornes sont des cornes d'abondance.

 

Ratatoskr, l'écureuil du frêne Yggdrasill

 

Ratatoskr, du vieux-norrois «dent qui fait des trous», est le nom de l'écureuil qui court le long du tronc du frêne Yggdrasill, l'arbre du monde, et va sans cesse de haut en bas et de bas en haut (Grímnismál, 30), pour aller rapporter au dragon Ní∂höggr, qui séjourne dans les racines, les paroles des aigles vivant dans les branches de l'arbre, afin, d'après Snorri (Gylfaginning, 15), de semer la zizanie. Les philologues n'ont pas encore pu prouver si ce récit est ou non un calque de la fable de Phèdre. En effet, le fait de semer la zizanie n'est pas une caractéristique originale de la mythologie nordique. L'écureuil Ratatoskr n'est vraisemblablement qu'un détail dans le mythe d'Yggdrasill, tel que nous le rapporte le Grímnismál.

 

Source: Rudolf Simek, Lexikon der germanischen Mythologie, Kröner, Stuttgart, 1984. ISBN 3-520-36801-3.

dimanche, 20 septembre 2009

Rusia y Dinamarca estudian tender el gasoducto Nord Stream por territorio danés

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Rusia y Dinamarca estudian tender el gasoducto Nord Stream por territorio danés

El jefe del Gobierno ruso, Vladímir Putin, sostuvo hoy una conferencia telefónica con su homólogo danés Lars Lokke Rasmussen, con quien estudió la posibilidad de tender el gasoducto Nord Stream (Corriente Norte) a través de la zona económica exclusiva de Dinamarca.

“Las partes examinaron la posibilidad de construir un tramo del gasoducto en la zona económica exclusiva de Dinamarca”, informó el portavoz del Gobierno ruso, Dmitri Peskov.

Al principio, cuando el proyecto llevaba el nombre de Gasoducto de Europa del Norte, se pensaba tenderlo hasta el Reino Unido. Pero luego, los parámetros del proyecto cambiaron y recibió el nombre de Nord Stream. Finalmente se decidió tenderlo hasta el territorio alemán.


El gasoducto Nord Stream será una nueva ruta de exportación del gas ruso principalmente a Alemania, Reino Unido, Holanda, Francia y Dinamarca. Su extensión alcanzará 1.220 km y el primer tramo deberá entrar a funcionar en 2010.

Extraído de RIA Novosti.

~ por LaBanderaNegra en Septiembre 16, 2009.

mardi, 15 septembre 2009

Des poètes normands et de l'héritage nordique

   
Des poètes normands et de l'héritage nordique
 

 

Des poètes normands et de l'héritage nordique

 

Ouvrage de Jean Mabire, édité par "Dualpha", Paris, 32,00 Euro - ISBN/EAN: 2915461333
Depuis les élans du Romantisme jusqu'au renouveau de la littérature dialectale, en passant par les grandes fêtes du Millénaire de 1911, ils furent nombreux les poètes normands qui célébrèrent les Vikings et ces « drakkars » qu'il conviendrait, à en croire les savants, de renommer snekkars ou esnèques. De leurs vers, écrits dans le style d'une époque littéraire aux reflets d'incendies, devait naître ce que l'on a appelé « le mythe nordique », c'est-à-dire non pas une fantasmagorie, mais la prise de conscience d'une réalité identitaire, originale entre toutes. Les portraits d'une quarantaine de ces écrivains sont ici rassemblés, avec un choix de vers où l'on peut entendre le fracas des épées, le tumulte des vagues, l'appel des Walkyries et ce chant profond venu du Nord sur « la route des cygnes ». Les paroles du dieu Odin rassemblent-elles encore le peuple vivant sur cette terre normande, dont le premier duc Rolf le Marcheur, dit Rollon, avait affirmé à ses compagnons scandinaves, Norvégiens et Danois : « Nous en resterons maîtres et seigneurs » ?

Alphonse Le Flaguais ; Arthur de Gobineau ; Charles Leconte de Lisle ; Aristide Frémine ; Auguste Pitron ; Jehan Soudan de Pierrefitte ; Paul Harel ; Jean Lorrain ; Paul-Napoléon Roinard ; Eugène Le Mouël ; Charles-Théophile Féret ; Jean de La Heve ; Louis Beuve ; Edward Montier ; Lucie Delarue-Mardrus ; Georges Laisney ; Gaston Le Révérend ; Jacques Hébertot ; Poètes du Millénaire ; Ch. Engelhard ; René Herval ; Jean Le Marois ; Marc Chesneau ; Jean-Louis Vaneille ; Philippe Tournaire ; Côtis-Capel ; André Dupont-Desnouettes ; Stéphane Varegues.

samedi, 12 septembre 2009

Knut Hamsun, l'ultimo pagano

Knut Hamsun, l’ultimo pagano

Marino Freschi / http://www.centrostudilaruna.it/

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E’ escluso che i giovani no global lo celebreranno, eppure se si dovessero rintracciare i precursori del nuovo movimento, tanto corteggiato dai vari leader della sinistra, da Cofferati a Bertinotti, affiorirebbero nomi impresentabili e tra questi vengono in mente subito Nietzsche, Hesse e Hamsun. Stranamente quest’anno ricorrono due anniversari: 40 anni della morte di Hesse, ricordati assai in sordina dai vari Goethe-Institute (rammento, invece, i due grandi convegni del 1992 promossi dai “Goethe” a Roma e a Milano, ma allora la politica culturale tedesca era in altre mani). Ma se qualche mostra e concerto per Hesse ci sarà, su Hamsun, di cui ricorre il 50° anniversario della scomparsa, cala ancora un ostinato, anacronistico silenzio, interrotto solo dal consueto coraggio culturale della casa editrice Adelphi, che ha appena ristampato Pan (pagine 190, € 13,43), il capolavoro dello scrittore norvegese, nato nel 1859 e morto il 19 febbrario 1952 nel completo isolamento a Nørholm, dopo tre anni d’internamento, dal ’45 al ’48, in un manicomio per la sua adesione al nazismo e il suo appoggio al governo collaborazionista di Quisling, e dopo un continuato ostracismo, che lo scrittore seppe squarciare con uno dei più amari e tremendi libri Per i sentieri dove cresce l’erba.

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Tutti sanno del suo attaccamento caparbio alla terra, a quel suo piccolo universo tra il fjord e il marken, la terra arabile, ma questo radicamento proviene, paradossalmente, da una conoscenza per quel tempo approfondita e vasta del mondo. Hamsun, ovvero Knut Pedersen come ancora si chiamava, era di umili origini, aveva fatto tutti i mestieri e per anni, in due riprese, era emigrato in America, insieme a tanti altri suoi ‘paesani’ alla ricerca di una improbabile fortuna, che invece incontrò in patria per la sua ostinata volontà di scrivere. Da giovane conobbe la vita randagia e se ne tornò in Norvegia, tra i boschi, con un risoluto piglio di rivolta e di anarchico rifiuto di quella modernità, sostanziata dallo sfruttamento e dalla bruttezza. Si ribellava, come Nietzsche e come Jack London (cui assomiglia anche per analoghi percorsi esistenziali) al mondo moderno, alla società capitalista, ma anche alla democrazia che omologava tutti, al socialismo massificante. E condannava e denunciava la minaccia che pesava sulla natura insidiata dai selvaggi processi dell’industrializzazione, allora (come in gran parte ancora oggi) incontrollati e distruttivi. Imbevuto di filosofia nietzschiana, affascinato dalla scrittura demonica di Dostoieewskij, nordicamente pessimista e insieme realista, senza illusioni sulle ideologie progressiste, Hamsun trova rapidamente, con Fame nel 1890, la sua originalità narrativa, incontra la sua lingua, il suo universo, cui rimase fedele, cocciutamente, nella raffigurazione epica dei suoi racconti, pervasi da brezze suggestive di animosità (più che di intellettualità) anarchica, antiborghese, reazionaria e insieme romantica, poeticissima.

Lavorava racconto dopo racconto, dramma dopo dramma, alla grande figura del vagabondo, libero e maledetto, senza meta, senza dimora, senza amore eppure col cuore gonfio di un caldo, estatico sentimento della natura. I successi si susseguono gli anni Novanta sono prodigiosamente creativi; Pan è del 1892-94; mette in cantiere due trilogie, lavora con un impeto straordinario anche a drammi, seguendo la grande lezione di Ibsen. In breve viene riconosciuto come il principale scrittore del Nord; Thomas Mann ne parla come del “più grande vivente”
e nel 1920 gli viene conferito il Premio Nobel. Ma l’orizzonte comincerà ad oscurarsi rapidamente con la sua inclinazione per il movimento hitleriano, che gli alienò numerose simpatie nel campo intellettuale.

Ma lui procede tenace nella sua ricerca con le sue scomode convinzioni. In Hamsun affiora un cosmo complesso, fosco persino tetro, disperato, ma anche robusto, tenace e irrefutabile nella sua coerenza e nella sua intima, seducente durezza. E’, il suo, un universo privo di orpelli, di facili lusinghe, di scorciatoie false, di accomodamenti e compromessi. Più che nazista, la sua fede è radicata in una sorta di mistica unione con la natura, vissuta paganamente, misteriosamente e insieme con l’ansia di chi sa, di chi prevede la prossima fine di un’epoca. Il suo credo è quello neopagano, destinato a frantumarsi non perché contraddetto o superato, ma perché è stato semplicemente ‘dimenticato’, derubricato; i vincitori non si sono nemmeno presa la briga di contrastare quel pensiero, di confutare quelle bizzarre tesi. Con lui avviene ciò che era successo con gli ultimi fedeli della religione pagana: gli dei sono morti, Pan è morto e ciò è ancora più atroce e definitivo di una contestazione, di una polemica. La divina, immensa natura madre del nord viene cancellata con le risate e le chiacchiere intorno al televisore, il nuovo idolo, il grande comunicatore. Non sembra possibile che sia esistita – ed era ancora ieri – un’epoca in cui l’uomo sapeva tacere, sapeva ascoltare la crescita dei fili d’erba.

Oggi in Italia Hamsun viene ricordato da un solitario foglio indipendente, “Margini” delle Edizioni Ar. Anche all’interno della comunità letteraria la sua lezione sembra esaurita, affondata da tutti i minimalisti globali. Ma forse non è proprio così: Peter Handke continua, come prova il suo recentissimo romanzo, la sua rivisitazione in un universo sempre più desolato e sempre meno cittadino e globale. E torna in mente uno strano giudizio di Benjamin sui personaggi di Hamsun. Nel 1929 il critico berlinese affermava che lo scrittore norvegese era “un maestro nell’arte di creare il personaggio dell’eroe sventato, buono a nulla, perdigiorno e malandato”. Ma questa strana resurrezione dell’eroe nella letteratura così antieroica del Novecento costituisce un fiume carsico che non si è mai interrotto che esplode in superficie improvvisamente con Ernst Jünger, con André Malraux o con Manes Sperber, avventurieri e scrittori di destra e di sinistra, in realtà sovranamente anarchici. Le nostre patrie lettere hanno D’Annunzio e non è poco, forse persino troppo per una letteratura che vive sempre più marginale e marginalizzata ai confini dell’impero, anche se talvolta – e lo dimostra proprio Hamsun all’estremità del mondo abitato – è proprio nelle lande più remote, in quelle meno protagoniste del grande show mediatico, che si avvertono gli scricchiolii e le nuove tendenze: penso al recente Il terzo ufficiale ( pagine 316,€15), il romanzo ‘eroico’ di Giuseppe Conte, appena uscito da Longanesi.

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Neopaganesimo, contatto con la natura, eroe, sono i temi dell’epica di Hamsun e questi racconti tramano l’eterna vicenda degli archetipi. Si può leggere la narrativa di Hamsun come una grandiosa rappresentazione sacra e insieme nudamente priva di dei, intesi quali comode speranze e arrendevoli comandamenti. Nella sua pagina affiorano, silenziosi, ostinatamente muti, gli antichi dei del Nord, i numi norreni delle saghe arcaiche, quando l’uomo vichingo si lanciava, incosciente del pericolo, su tutti i mari del mondo e la sua civiltà brillava da costa a costa, dalla Sicilia alla Normandia, dal Volga alle sponde ignote del Nuovo Mondo. E’ quel DNA che viene trasmesso dalle trilogie di Hamsun, come quella potente, intramontabile dei “Vagabondi”, intagliati nel legno duro degli outsider anarchici e dei ribelli.

L’autore intuisce nella natura la nostalgia segreta dell’anima moderna. L’uomo contemporaneo, gettato nelle metropoli di asfalto e cemento, nasconde un sogno struggente: il bosco e il mare. In tanti libri, da Fame a Pan, da La nuova terra del 1893 a Victoria del 1898 a Hamsun rincorre questo tema come il leitmotiv, che pervade la sua opera, continuamente diversa e costantemente fedele fino a una straordinaria monotonia, monomania, che ossessivamente cattura il lettore, riplasmandone l’immaginazione e la sua capacità di ricezione sia letteraria che esistenziale.

Ma il suo libro più stupefacente è Per i sentieri dove cresce l’erba del 1948, la sua ultima fatica letteraria, pubblicata a novant’anni. E’ uno scritto autobiografico, un diario stupendo e atroce, dettato dalla disperazione e da un’umiliazione tremenda. Come Ezra Pound e Céline, Hamsun fu uno dei rari intellettuali di fama mondiale ad aderire al fascismo, ad oltrepassare la frontiera, a volgere le spalle al proprio paese. Non si accorse, il grande vecchio, che il nazismo era l’estrema propaggine di quella degenerazione globalizzante che era il totalitarismo, e insieme una impotente e straziante negazione della modernità, da cui era pure completamente compenetrato. Per tutta la vita legato ai suoi dei segreti, come ricorda un altro suo libro bellissimo Misteri del 1892, ostinato e caparbio, aperto al richiamo della foresta simile a London, a D.H. Lawrence e a Hesse, anche Hamsun comprese con la sua narrativa, potentemente allucinata, visionaria, che l’uomo non può rinunciare alla natura se vuole sopravvivere. Solo che i sentieri dove cresce l’erba l’avrebbero dovuto condurre a una diversa coscienza, lontana dalla politica. Tuttavia il suo messaggio, ruvido e lirico, è ancora nella memoria antica dell’Occidente, in quel mondo senza età in cui Odino ascolta ancora gli incantesimi delle valchirie. Ecco la magia evocatoria di Hamsun.

* * *

Tratto da Il Giornale del 18 febbraio 2002.


mercredi, 02 septembre 2009

La riscoperta di Hamsun

La riscoperta di Hamsun

Ex: http://www.centrostudilaruna.it

Knut Hamsun (Vågå, 4 agosto 1859 – Nørholm, 19 febbraio 1952)

A quanto pare, in Norvegia il nome di Knut Hamsun sta tornando a essere considerato come quello di un grande personaggio della nazione. Così, dopo decenni di ostracismo ideologico – Hamsun rimase germanofilo sino alla morte, avvenuta da ultranovantenne nel 1952 – in occasione del 150esimo anniversario della nascita sono in corso numerose manifestazioni ufficiali di ricordo. Inoltre gli verrà dedicata una statua.

Io ho scoperto questo autore solo l’anno scorso; naturalmente “scoperto” in senso strettamente personale. Di lui aveva detto Thomas Mann: “Mai il Premio Nobel (che Hamsun vinse nel 1920) fu conferito a scrittore più meritevole”; Gide lo accostò a Dostoevskj, “sebbene Hamsun sia probabilmente più sottile del maestro russo”; Isaac Singer affermò che Hamsun “è il padre della scuola moderna di letteratura in ogni aspetto: nella sua soggettività, nell’impressionismo, nell’uso della retrospettiva, nel liricismo. Tutta la letteratura moderna del ventesimo secolo deriva da Hamsun”.

Dopo il primo libro (una raccolta della UTET degli anni sessanta), che avevo letto incuriosito dal lusinghiero giudizio espresso da Adriano Romualdi, ho letteralmente divorato tutto quello che è stato tradotto di lui in italiano; purtroppo la maggior parte dei suoi libri non sono più in commercio, e questo limita la sua conoscenza per lo più alle due opere più famose, Pan e Fame, che sono pubblicate da Adelphi, mentre non sono più disponibili nelle librerie opere come Il risveglio della Terra, Vagabondi, Misteri, Vittoria o L’estrema gioia.

Riporto di seguito un articolo sull’attuale repechage norvegese uscito il mese scorso sul New York Times, che parla al proposito di Reconciliation Therapy. E’ significativo che anche in quel paese le parole piene di astio e risentimento vengano dagli individui in assoluto più spregevoli: i politici.

Norwegian Nobel Laureate, Once Shunned, Is Now Celebrated
By WALTER GIBBS
Published: February 27, 2009

OSLO — It’s all you would expect of a national jubilee: street theater, brass bands, exhibitions and commemorative coins. A statue is to be unveiled, and a $20 million architectural gem of a museum is under construction.

Yet the honoree is not a war hero, nor even a patriot. It is the Norwegian novelist Knut Hamsun, who welcomed the brutal German occupation of Norway during World War II and gave his Nobel Prize in Literature as a gift to the Nazi propaganda minister, Joseph Goebbels. Hamsun later flew to meet Hitler at Hitler’s mountain lair in Bavaria.

Why the festivities, then? Call it reconciliation therapy, or a national airing out.

Hamsun died in 1952 at 92, shunned by his countrymen and heavily fined for his spectacular wartime betrayal. But as the author of revered novels like “Hunger,” “Pan” and “Growth of the Soil,” Hamsun has remained on school reading lists and in the hearts of many Norwegians.

“We can’t help loving him, though we have hated him all these years,” said Ingar Sletten Kolloen, author of “Dreamer & Dissenter,” a Hamsun biography. “That’s our Hamsun trauma. He’s a ghost that won’t stay in the grave.”

With the passage of time, however, Hamsun packs less of a fright. Several years ago King Harald V of Norway set off debate just by quoting a snippet of Hamsun’s prose in a speech. Last week, by contrast, Queen Sonja opened a yearlong, publicly financed commemoration of Hamsun’s 150th birthday called Hamsun 2009. Fanfare, musical comedy and a jovial outdoor crowd of several hundred greeted the occasion, and the queen spent a highly symbolic half-hour with Hamsun family members at the National Library. Together they viewed the author’s handwritten manuscripts.

“I hope there can be forgiveness soon,” Hamsun’s grandson Leif Hamsun, 66, said afterward. “It feels like there’s a healing taking place.”

But some still see nothing to celebrate — not the man, not the books.

“Hamsun wrote great novels, but they are completely overshadowed by his behavior as a Hitler lackey,” said Jo Benkow, 84, a former president of the Norwegian parliament. “At least for my generation, it’s outrageous to give more honors. He won the Nobel Prize in 1920. That should be enough.”

Mr. Benkow, who is Jewish, fled across the Swedish border in 1942 to avoid deportation to the prison camps in Poland, where more than 700 Norwegian Jews were killed. But as the war generation has dwindled, so has the collective ill will. Even some formerly uncompromising voices here have softened.

In 2001 a prominent wartime resistance leader, Gunnar Sonsteby, helped defeat a proposal to name a street in Oslo after Hamsun. Norway should dissolve parliament and declare a dictatorship first, he said. But he now says that commemorating Hamsun is acceptable, as long as his literary talent and his dark side receive equal focus.

La casa di Hamsun ad Hamaroy

La casa di Hamsun ad Hamaroy

That double-barreled approach was evident in Oslo last week. One of the largest framed items at the National Library was the May 7, 1945, edition of a collaborationist newspaper whose lead article on Hitler’s death was by Knut Hamsun. As most collaborators lay low, preparing alibis, Hamsun wrote, “He was a warrior, a warrior for mankind, and a prophet of the gospel of justice for all nations.”

Queen Sonja, leaving the exhibition, said only, “I think we’ll have to keep two thoughts in our head at the same time.”

After the war a court-appointed psychiatrist found Hamsun too “diminished” from age, deafness and a stroke to undergo prosecution for treason, but a civil court confiscated much of his fortune. A period of weak book sales followed, and some Norwegians tossed Hamsun’s collected works over his garden fence. Yet this former “poet chieftain” of his country soon returned to the best-seller list with “On Overgrown Paths,” his postwar apologia. He has remained one of the top-selling Norwegian authors at home and abroad.

In the United States the translator Sverre Lyngstad has contributed to a modest Hamsun resurgence with new English-language editions of Hamsun’s more luminous works, including his 1890 breakthrough novel, “Hunger.” The self-conscious protagonist of “Hunger” signals the arrival of European modernist literature by trying, at one point, to eat his own index finger.

Instead of merely narrating events, Hamsun peels away layers from his unnamed character’s flickering psyche. With typical bombast the young Hamsun declared at the time that he had outwritten Dostoyevsky and annihilated the social realism of Ibsen.

The author Isaac Bashevis Singer basically agreed. “The whole school of fiction in the 20th century stems from Hamsun,” Singer wrote in 1967, citing in particular “his subjectiveness, his fragmentariness, his use of flashbacks, his lyricism.”

In “Pan” and “Mysteries” Hamsun continued writing in this fathomless new way. But in 1898 came a simple, poetic love story, “Victoria,” and by middle age Hamsun had actually turned anti-modern. “Growth of the Soil” (1917) is an Old Testament-style portrayal of stolid mountain dwellers. Goebbels was so fond of its blood-and-soil ethos that he had a special edition printed for German soldiers in the field.

Many readers today, however, agree that the crude, reactionary impulses displayed by Hamsun during World War II are scarcely evident in his novels, the last of which appeared in 1936, when he was 77.

As part of Norway’s continuing celebration, Hamsun’s publisher, Gyldendal, is rolling out a new “Collected Works” in Norwegian. Its 27 volumes contain more than 30 novels, as well as essays and travelogues, including at least one that reveals an early racist streak in Hamsun that may surprise readers of his mature works.

The Hamsun 2009 festivities are supposed to peak on the honoree’s birthday, Aug. 4. On that day a new six-story Hamsun Center is scheduled to open in Hamaroy, where Hamsun grew up, north of the Arctic Circle. Resembling a large black cube, the structure was designed by the New York-based Steven Holl Architects to house both a museum and an assembly hall. Around the same time the sculptor Skule Waksvik plans to unveil Norway’s first statue of Hamsun.

It will be in bronze, he says — and larger than life.

vendredi, 28 août 2009

Hamsun: francobollo commemorativo

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Hamsun: francobollo commemorativo

Come avevo immaginato, non una sola riga è apparsa sui giornali italiani riguardo il centocinquantesimo anniversario di Hamsun.

Intanto ieri in Norvegia è entrato in distribuzione questo francobollo commemorativo da 25 centesimi, stampato in un milione e mezzo di esemplari.

mardi, 04 août 2009

Knut Hamsun: un esprit peu commode

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Helge MORGENGRAUEN:

Knut Hamsun: un esprit incommode

 

Ses admirateurs comme ses ennemis sont d’accord sur un point: Knut Hamsun est l’un des plus importants romanciers de la littérature européenne contemporaine. Nombreux furent ses contemporains plus jeunes comme James Joyce ou Virginia Woolf qui bénéficièrent de son influence de manière décisive. Hamsun a aussi acquis une réelle importance en littérature américaine, notamment par l’influence qu’il exerça sur un écrivain comme William Faulkner: bon nombre d’historiens de la littérature le comptent dès lors parmi les pères fondateurs du roman américain moderne.

 

Des auteurs aussi différents que Maxime Gorki, Thomas Mann, Jakob Wassermann ou Stefan Zweig reconnaissent en Hamsun un géant de la littérature. Dans sa contribution à un “liber amicorum” publié en Norvège en 1929, à l’occasion du 70ème anniversaire de Hamsun, Gorki écrivit qu’il ne voyait personne dans la littérature de son temps “qui égalât Hamsun sur le plan de l’originalité et de la puissance créatrice”. L’écrivain russe alla jusqu’à écrire que “l’écriture de Hamsun relève d’une ‘écriture sainte” pour l’humanité toute entière”. Quant au style hamsunien, Gorki déclare qu’il est “sans aucune pompe artificielle” et que “sa beauté réside dans la simple, pure et aveuglante vérité qu’elle dévoile”. Gorki: “Les figures norvégiennes, qu’il dépeint, sont aussi belles que les statues de la Grèce antique”.

 

La même année, Thomas Mann prend, lui aussi, la parole, pour dire “que l’art magnifique de Hamsun est devenu l’un des ingrédients majeurs” de sa propre formation et que cet art du Norvégien l’a aidé “à déterminer sa propre notion du récit et de la poésie littéraires”. Jakob Wassermann constatait, pour sa part, que Hamsun, “comme tout grand écrivain, est capable de transformer un petit monde aux horizons réduits en un véritable cosmos”, tout “en devenant un témoin majeur de son époque”.

 

Knut Hamsun, pour Stefan Zweig, représente “la forme la plus noble de la virilité, parce qu’elle offre et une tendresse, qui sourd d’une grande force comme l’eau d’une source, et de la passion contenue, qui se dissimule derrière une rudesse abrupte”.

 

Quand certains critiques, appartenant souvent à la mouvance des littérateurs engagés à gauche, jugent d’importantes figures de la littérature universelle comme Knut Hamsun ou de grands voyageurs comme Sven Hedin, on est surtout frappé par leur absence totale de pondération et par leur esprit partisan et haineux; les propos tenus par ces gens-là sont aigres, partiaux et injustes.

 

Hamsun et Hedin sont deux Scandinaves qui, comme pratiquement personne d’autre, ont osé tenir tête à Hitler et lui demander des choses que tous imaginaient impossibles, comme de libérer certains détenus de camps de concentration, d’épargner des vies juives, etc. Lorsque Hamsun rencontra Hitler, l’interprète n’a pas osé traduire tous ses propos. Quand l’écrivain évoqua plus tard cet entretien à son fils Tore, il dira: “Il ne me plaisait pas. “Je”, “moi”, disait-il sans arrêt, “je”, “moi”, toujours “je” et “moi”!”. On ne peut pas dire qu’il s’agit là d’admiration inconditionnelle. Revenu en Norvège, l’écrivain, avec un humour au second degré, racontait “qu’il avait rencontré tant de gens lors de son voyage, qu’il ne se souvenait plus, s’il avait rencontré Hitler ou non”.

 

Sven Hedin a raconté par le menu ses tribulations dans la capitale allemande dans un remarquable livre de souvenirs, intitulé “Ohne Auftrag in Berlin” (“Sans ordre de mission à Berlin”).

 

En 1953, Pablo Picasso a pu rédiger un vibrant hommage à “son cher camarade Staline”, alors que celui-ci avait commandité des massacres à grande échelle qui ont causé la mort d’au moins 55 millions de personnes en Union Soviétique. Cet hommage ne choque pas les nigauds du “politiquement correct”. Ndlr: En revanche, l’hommage rendu par Hamsun à Hitler, quelques jours après le suicide du dictateur allemand, continue à faire des gorges chaudes, alors qu’on  sait très bien que Hamsun n’était pas un inconditionnel du national-socialisme: que seule comptait à ses yeux l’élimination du capitalisme anglo-saxon.

 

Cette hostilité hamsunienne au libéralisme et au capitalisme anglo-saxons est tirée de son propre vécu, lors de ses séjours successifs aux Etats-Unis. Hamsun n’a jamais compris l’attirance qu’éprouvaient la plupart des Norvégiens pour l’Angleterre et l’Amérique. Lors de la première guerre mondiale déjà, et dès le début des hostilités, la sympathie de Hamsun allait à l’Allemagne en guerre, au “peuple germanique frère” d’Europe centrale. Cette sympathie déplaisait à une majorité de Norvégiens.

 

Hamsun n’a jamais renoncé à cette sympathie germanophile, même quand les temps étaient très durs pour l’Allemagne: pour l’établissement marqué aujourd’hui par l’union des gauches et du “politiquement correct”, c’est en cette germanophilie constante que réside la faute majeure de Knut Hamsun. Il avait connu les affres du système américain, pseudo-démocratique et capitaliste et en avait souffert cruellement. Personne de raisonnable ne pourrait lui reprocher de préférer l’Allemagne, à qui il devait ses premiers succès éditoriaux et le lancement de sa carrière internationale, succès amorcés bien avant même que les nationaux-socialistes existèrent et n’exerçassent le pouvoir. De préférer cette Allemagne des lettres et de l’esprit à un monde anglo-saxon, dont le Dieu unique était et reste Mammon (ndlr: c’est exactement le cas de l’écrivain flamand de langue française Georges Eekhoud).

 

Hamsun est donc bien un héritier des Vikings, dans la mesure où jamais il ne choisit les chemins faciles et les pistes tracées à l’avance. Même quand il se trompait, Hamsun restait essentiellement un Germain contestataire de grand format.

 

Helge MORGENGRAUEN.

(article tiré de “zur Zeit”, Vienne, n°31-32/2009; trad. franç.: Robert Steuckers).