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dimanche, 16 mars 2014

La ‘McDonaldizzazione’ e l’essenza del capitalismo

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La ‘McDonaldizzazione’ e l’essenza del capitalismo

di Lorenzo Pennacchi

Fonte: L'intellettuale dissidente

Ex: http://www.ariannaeditrice.it/

In questo senso, i macchinari tendono sempre più a sostituire il lavoro umano e, quando questo non è possibile, è l’uomo stesso, “ingabbiato” nella routine, a divenire macchina. Questa metamorfosi incarna l’essenza del capitalismo: il passaggio da essere vivente a produttore, consumatore e merce.

Nata nel 1937 da un chiosco di hot dog, la McDonald’s corporation è diventata la maggiore catena di ristoranti “fast food”. Presente in ogni parte del globo, la sua ascesa planetaria è determinata dall’incredibile forza che questo marchio riesce a conferire all’apparenza, attraverso una pubblicità ingannevole ed onnipresente. Un clown, un logo scintillante, cibo economico, un’atmosfera di bontà e semplicità: così il McDonald’s si presenta agli occhi delle persone. Ma la realtà è ben differente. Nella sua interezza rappresenta il simbolo del sistema odierno: il capitalismo di stampo neoliberista. Un modello fondato sulla produzione di massa, reso possibile dal “libero” mercato globale, alimentato dal consumo sfrenato e finalizzato unicamente al profitto. Questo marchio multinazionale è uno dei massimi artefici della globalizzazione economica che, lentamente e velatamente, continua il suo progetto di distruzione delle differenze naturali e culturali. A farne le spese è la Natura nel suo insieme: deforestazione, massacro animale e sfruttamento umano.

 

macdonald-obesite225x.gif.pagespeed.ce.IyK-HVqmi1.gifEttari ed ettari di foreste pluviali vengono abbattuti ogni anno, privando la Terra dei suoi polmoni, per far posto ad allevamenti di animali destinati al macello e a monocolture di soia riservate all’industria della carne. Le conseguenze per gli animali non umani sono devastanti: alcuni di essi vengono privati del loro habitat, gli altri condannati ad una vita di schiavitù negli allevamenti intensivi. Di certo, gli umani non se la passano meglio. Le tribù indigene, presenti perlopiù in America latina, Africa ed India, pagano a caro prezzo i costi del progresso. Le loro culture, armoniose nei confronti del Pianeta, vengono costantemente distrutte dai marchi multinazionali, interessati solamente ad ingrandire il proprio dominio e ad alimentare il mercato. Nello stesso tempo, a seguito di una politica alimentare insostenibile, mossa unicamente da interessi privati, siamo vittime di un paradossale squilibrio: mentre in differenti parti del Mondo le persone muoiono di fame, in altre obesità e diabete dilagano. Il destino di un bambino asiatico e di un americano, come quello di una foresta e di un pollo, sono in stretta connessione, minata, oggi più che mai, dalle logiche del sistema.

 

1191.jpgIl processo di “americanizzazione”, definito da George Ritzer come propagazione di idee, usanze, modelli sociali, industria e capitale americani nel mondo, vede nella “McDonaldizzazione” il suo esempio più significativo. Sempre per il sociologo statunitense, questa rappresenta un processo profondo e di ampia portata di cambiamento globale, in grado di coinvolgere un gran numero di attori sociali e reso possibile dalla riproducibilità universale dei principi di efficienza, calcolabilità, prevedibilità e controllo. In questo senso, i macchinari tendono sempre più a sostituire il lavoro umano e, quando questo non è possibile, è l’uomo stesso, “ingabbiato” nella routine, a divenire macchina. Questa metamorfosi incarna l’essenza del capitalismo: il passaggio da essere vivente a produttore, consumatore e merce. La disumanizzazione segna, tra le altre cose, la scissione definitiva nei confronti del Pianeta, visto dalle multinazionali solamente come un enorme territorio da depredare e dove accrescere la propria ricchezza. La struttura armoniosa della Terra viene sempre più distrutta dagli interessi criminali di pochi marchi. All’interno di questo scenario, la diversità, valore caratterizzante della Natura, viene soppiantata dalla globalizzazione, ovvero il fenomeno che consiste nel rendere le cose sempre più uguali in ogni parte del mondo. Inoltre, questa omologazione globale, sempre come osserva Ritzer, può essere definita “del nulla”, in quanto è concepita e controllata da organismi centrali, interessati a svuotare i soggetti dei propri caratteri distintivi, così da poter presentare loro i propri prodotti come caratteristici e locali.

Il McDonald’s è riuscito a creare un mondo a sua immagine e somiglianza. Il carattere più inquietante dell’egemonia globale delle multinazionali è rappresentato dal fatto, che esse riescono a diffondere tranquillamente la propria logica perversa, in masse del tutto ignare di ciò che accade intorno a loro. Oggi come oggi, un cittadino medio ignora che dietro a dei loghi apparentemente innocui si nascondono reali crudeltà. Quanti boicottano la Nestlé, promotrice, tra le altre cose, della massiccia deforestazione nel Borneo per la produzione di olio di palma? Quanti rifiutano di indossare delle Nike, in seguito ai numerosi processi per sfruttamento minorile? E quanti ancora vedono nella Monsanto, maggiore produttrice di alimenti geneticamente modificati, un nemico per se stessi e per la Terra? Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, ma ciò che (drammaticamente) conta è che, queste persone fuori dal coro, sono decisamente poche. Tuttavia, sono proprio questi casi eccezionali ad impedire il trionfo totale del sistema, resistendo alla società capitalistica. La resistenza assume oggi un carattere trasversale, mai così tanto accentuato in passato. Può essere manifestata nel quotidiano dal contadino, dal commerciante, dal filosofo, dallo scienziato; tutti possono resistere facendo consapevolmente la spesa, scegliendo chi finanziare e cosa comprare.  Ottenuta la consapevolezza dei propri mezzi, a volte, i singoli decidono di unirsi in movimenti per opporsi direttamente alle minacce del proprio tempo e costituire delle alternative. Basteranno questi dissidenti a trasformare la resistenza in rivoluzione?


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samedi, 15 mars 2014

Thierry Bouzard: la chanson engagée a changé de camp!

Thierry Bouzard: la chanson engagée a changé de camp!

00:05 Publié dans Musique, Musique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : musique, chansons, chansons engagées, thierry bouzard | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

Grand Puppetmaster Brzezinski

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Grand Puppetmaster Brzezinski

Directing War Strategies from the Shadows

by MIKE WHITNEY
Ex: http://www.counterpunch.org

“From the moment the Soviet Union collapsed in 1991, the United States has relentlessly pursued a strategy of encircling Russia, just as it has with other perceived enemies like China and Iran. It has brought 12 countries in central Europe, all of them formerly allied with Moscow, into the NATO alliance. US military power is now directly on Russia’s borders…This crisis is in part the result of a zero-sum calculation that has shaped US policy toward Moscow since the Cold War: Any loss for Russia is an American victory, and anything positive that happens to, for, or in Russia is bad for the United States. This is an approach that intensifies confrontation, rather than soothing it.”

- Stephen Kinzer, “US a full partner in Ukraine debacle”, Boston Globe

“We have removed all of our heavy weapons from the European part of Russia and put them behind the Urals” and “reduced our Armed Forces by 300,000. We have taken several other steps required by the Adapted Conventional Armed Forces Treaty in Europe (ACAF). But what have we seen in response? Eastern Europe is receiving new weapons, two new military bases are being set up in Romania and in Bulgaria, and there are two new missile launch areas — a radar in Czech republic and missile systems in Poland. And we are asking ourselves the question: what is going on? Russia is disarming unilaterally. But if we disarm unilaterally then we would like to see our partners be willing to do the same thing in Europe. On the contrary, Europe is being pumped full of new weapons systems. And of course we cannot help but be concerned.”

- Russian President Vladimir Putin, Munich Conference on Security Policy, February 2007

The Obama administration’s rationale for supporting the fascist-led coup in Ukraine collapsed on Wednesday when a “hacked” phone call between EU foreign affairs chief Catherine Ashton and Estonian foreign minister Urmas Paet revealed that the snipers who fired on protestors in Maidan Square in Kiev were not aligned with President Viktor Yanukovych, but with the protest leaders themselves. The significance of the discovery cannot be overstated since the Obama team has used the killing of protestors to justify its support for the new imposter government. Now it appears that members of the new government may be implicated in the killing of innocent civilians. This new information could force Obama to withdraw his support for the coup plotters in Kiev, which would derail the administration’s plan to remove Russia from the Crimea and expand NATO into Ukraine. Here’s a short recap of the details from an article in Russia Today:

“Estonian foreign ministry has confirmed the recording of his conversation with EU foreign policy chief is authentic. Urmas Paet said that snipers who shot at protesters and police in Kiev were hired by Maidan leaders.

During the conversation, Paet stressed that “there is now stronger and stronger understanding that behind the snipers, it was not Yanukovich, but it was somebody from the new coalition.”….

The Estonian Ministry of Foreign Affairs also issued a statement on its website, saying that the recording of the leaked telephone conversation between Paet and Ashton is “authentic.” (“Estonian Foreign Ministry confirms authenticity of leaked call on Kiev snipers“, Russia Today)

To its credit, the UK Guardian published an article reporting the basic facts, but there’s been no coverage by the New York Times, the Washington Post or any of the major TV News networks. America’s elite media are engaged in a coordinated news blackout to keep people from seeing that the Obama administration and their EU collaborators are supporting a group of far-right extremists who were directly involved in the killing of civilians in order to topple a democratically-elected government. Here’s more from the same article:

“…there is a stronger and stronger understanding that behind snipers it was not Yanukovych, it was somebody from the new coalition,” Paet says…the same handwriting, the same type of bullets, and it’s really disturbing that now the new coalition, that they don’t want to investigate what exactly happened.” (“Ukraine crisis: bugged call reveals conspiracy theory about Kiev snipers“, Guardian)

There won’t be an investigation because an investigation would reveal the truth, and the truth would undermine Obama’s plan to install a puppet regime in Kiev. The new government has already shown that it is more than willing to do Washington’s bidding, that is, to impose austerity measures on the working people of Ukraine, to pay off fatcat bondholders in Berlin and Brussels via more extortionist IMF loans, to extend NATO to Russia’s border in contravention of agreements made with Bush the Elder following the fall of the Berlin Wall, and to pursue the crackpot dreams of global hegemony laid out in “The Grand Chessboard” by New World Order fantasist Zbigniew Brzezinski. These are the primary objectives of the present policy which could be upended by the allegations of foul play.

The smoking gun revelations of the hacked phone call came just hours before US officials indicated they were planning to increase their military footprint in Eastern Europe. According to the World Socialist Web Site:

“Defense Secretary Chuck Hagel said the Pentagon will boost joint training of NATO forces in Poland and step up NATO air patrols in the Baltics…US military officials said they were deploying six F-15 fighter jets and KC-135 transport planes. ….One guided-missile frigate, the USS Taylor, is still in a Black Sea port in Turkey after patrolling the region during the Sochi Olympics…

Turkish officials confirmed that they had given a US Navy warship permission to pass through the Bosphorus straits into the Black Sea, which borders Ukraine.” (“Amid Ukraine crisis, US launches military escalation in Eastern Europe”, World Socialist Web Site)

Also Russia Today reports that: “The guided missile destroyer, the USS Truxton, is heading to the Black Sea, for what the US military said is a “routine” deployment…The ship has a crew of about 300 and is part of an aircraft carrier strike group that left the US in mid-February.” (“US navy confirms missile destroyer USS Truxton approaching the Black Sea”, RT)

“Routine deployment”? So provoking a war with Russia is “routine”? Talk about understatement.

The military escalation occurs in an atmosphere of heightened tension between the two nuclear-armed powers and will certainly add to their mutual distrust. Hagel’s deployment is consistent with a plan for antagonizing Moscow that was proposed just days earlier in the Washington Post by the Obama administration’s ideological godfather, Zbigniew Brzezinski. Here’s a bit of what Brzezinski had to say in the article titled “What is to be done? Putin’s aggression in Ukraine needs a response”:

“…the West should promptly recognize the current government of Ukraine as legitimate. Uncertainty regarding its legal status could tempt Putin to repeat his Crimean charade…

“…the West should convey.. that the Ukrainian army can count on immediate and direct Western aid so as to enhance its defensive capabilities. There should be no doubt left in Putin’s mind that an attack on Ukraine would precipitate a prolonged and costly engagement, and Ukrainians should not fear that they would be left in the lurch.

Meanwhile, NATO forces, consistent with the organization’s contingency planning, should be put on alert. High readiness for some immediate airlift to Europe of U.S. airborne units would be politically and militarily meaningful. If the West wants to avoid a conflict, there should be no ambiguity in the Kremlin as to what might be precipitated by further adventurist use of force in the middle of Europe.” (“What is to be done? Putin’s aggression in Ukraine needs a response”, Washington Post)

“Adventurist”? Dr. Strangelove is calling the Kremlin adventurist when his recommendations would put NATO, the US and Moscow on hairtrigger alert increasing the chances of an error in judgment that could lead to thermonuclear war. Isn’t that the pot calling the kettle black?

But listen to the tone of Brzezinski’s op-ed. In just a few short paragraphs, the author–who many respect as a restrained and brilliant global strategist–refers to Putin as a thug, a Mafia gangster, Mussolini, and Hitler. I imagine if he had another paragraph to work with, he would have added Beelzebub Satan to the list.

This isn’t politics; it’s hysterics. It’s incendiary, jingoistic mumbo-jumbo intended to rouse the public and fan the flames of nationalism. It’s the same kind of self-righteous raving that precipitated the invasion of Iraq.

And what is Brzezinski saying?

Is he saying that events in the Crimea are a threat to US national security? Is he saying that the US should now feel free to apply the Monroe Doctrine everywhere across the planet, sticking our big nose wherever the president sees fit?

The trouble in the Crimea has nothing to do with the United States. We have no dog in this fight. This is about military expansion into Eurasia, this is about pipeline corridors and oil fields, this is about dismantling the Russian Federation and positioning multinational corporations and Wall Street investment banks in Asia for the new century. And, finally, this is an ego-driven crusade by an old man who wants to see his looneybin NWO global hegemony vision enacted before they cart him off on a marble slab. That’s what this is really about; the glorious new world disorder, the dystopian wetdream of thinktank patricians everywhere whose only purpose in life is to initiate wars that other-peoples-sons will have to fight.

Entering Ukraine into the corporate-western alliance is a critical part of Brzezinski’s masterplan. The basic strategy has been underway since the fall of the Berlin Wall when neoliberal carpetbaggers from the US assisted in the looting of the former Soviet state leaving Russia politically broken and economically destitute. Since then, US policy towards Russia has been overtly hostile, making every effort to encircle the oil-rich nation while positioning nuclear missile installations on its perimeter. Now Washington is using its fascist-backed coup in Ukraine to force Moscow to relinquish its grip on a region that is vital to its national security.

Here’s a brief excerpt from an interview with Stephen Cohen, professor of Russian studies and history emeritus at New York University on Monday on PBS Newshour. Cohen helps to clarify what is really going on viv a vis the US and Russia:

“What we’re watching today is the worst kind of history being made, the descent of a new Cold War divide between West and East in Europe, this time not in faraway Berlin, but right on Russia’s borders through Ukraine. That will be instability and the prospect of war for decades to come for our kids and our grandchildren. The official version is that Putin is to blame; he did this. But it simply isn’t true. This began 20 years ago when Clinton began the movement of NATO toward Russia, a movement that’s continued.

…the fundamental issue here is that, three or four years ago, Putin made absolutely clear he had two red lines…One was in the former Soviet republic of Georgia. (Putin would not allow NATO in Georgia) The other was in Ukraine. We crossed both. You got a war in Georgia in 2008, and you have got today in Ukraine because we, the United States and Europe, crossed Putin’s red line.” (PBS News Hour)

There’s no doubt who is to blame for the present conflict in Cohen’s mind. It’s Washington.

So, here we are, between a rock and a hard place: Putin cannot back down on an issue that’s crucial to national security, and Washington is more determined than ever to pull Ukraine into –what Henry Kissinger calls–”a cooperative international system.” (aka–global capitalist rule) That means there’s going to be a war.

On Thursday, Crimea MPs voted unanimously to hold a referendum on whether the region should become a part of Russia or not. The balloting will take place in 10 days although Obama has already said that he will not honor the results. Apparently, other countries need to get the green-light from Washington before they conduct their elections now. This is how ridiculous things have gotten.

In 2008, Brzezinski revealed the real motives behind US aggression in Central Asia in an article that appeared in the Huffington Post that dealt primarily with the dust up in Georgia. (where Putin deployed Russian troops to defend Russian speaking civilians in South Ossetia.) Here’s what Brzezinski had to say:

“The question the international community now confronts is how to respond to a Russia that engages in the blatant use of force with larger imperial designs in mind: to reintegrate the former Soviet space under the Kremlin’s control and to cut Western access to the Caspian Sea and Central Asia by gaining control over the Baku/Ceyhan pipeline that runs through Georgia.

In brief, the stakes are very significant. At stake is access to oil as that resource grows ever more scarce and expensive and how a major power conducts itself in our newly interdependent world, conduct that should be based on accommodation and consensus, not on brute force.

If Georgia is subverted, not only will the West be cut off from the Caspian Sea and Central Asia. We can logically anticipate that Putin, if not resisted, will use the same tactics toward the Ukraine. Putin has already made public threats against Ukraine.” (“Brzezinski: Russia’s invasion of Georgia is Reminiscent of Stalin’s attack on Finland”; Huffington Post)

Huh? It sounds a lot like Brzezinski thinks that oil should be his. Or maybe he thinks it belongs to the western oil giants; is that it?

So we’re not dealing with national security, sovereignty or spheres of influence here. What we’re really talking about is “access to oil.” Not only that, but Brzezinski is being quite blunt in his assertion that “the West” –as he calls it–has a legitimate claim to the resources on other people’s land. Where’d he come up with that one?

In another interview on Kavkacenter.com, in 2008, Brzezinski sounded the same alarm with a slightly different twist. Here’s an excerpt from the article titled ”Russia tends to destabilize Georgia”:

“Brzezinski said the United States witnessed “cases of possible threats by Russia… motivated not by some territorial disputes….but caused by intention to take control over the Baku-Ceyhan pipeline”.

“If Georgia government is destabilized, western access to Baku, Caspian Sea and further will be limited”, said Brzezinski …. he stated that Russia will try to consolidate its monopoly on these markets and will use all existing political and economic levers, including “politically motivated cessation of energy supplies” in Europe and Baltic states.

“Russia actively tends to isolate the Central Asian region from direct access to world economy, especially to energy supplies”, considers the political scientist.” (“Zbigniew Brzezinski: ”Russia tends to destabilize Georgia” kavkacenter.com)

Putin is not isolating anyone and he’s certainly not taking over anyone’s damned pipeline. He’s the president of Russia. He sells oil and makes money, that’s how the system works. It’s called capitalism. But the oil is theirs. The natural gas is theirs. The pipelines are theirs. Not ours. Get over it!

Don’t kid yourself, it’s all about oil. Oil and power. The United States imperial ambitions are thoroughly marinated in oil, access to oil, and control of oil. Without oil, there’s no empire, no dollar hegemony, no overbloated, bullyboy military throwing weaker countries against the wall and extorting tribute. Oil is the coin of the realm, the path to global domination.

Putin has audacity to think that the oil beneath Russian soil belongs to Russia. Washington wants to change his mind about that. And that’s why the situation in Ukraine is so dangerous, because the voracious thirst for oil is pushing us all towards another world war.

MIKE WHITNEY lives in Washington state. He is a contributor to Hopeless: Barack Obama and the Politics of Illusion (AK Press). Hopeless is also available in a Kindle edition. He can be reached at fergiewhitney@msn.com.

Information Warfare: New Face of Cold War

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Information Warfare:

New Face of Cold War

Natalia MEDEN

Ex: http://www.strategic-culture.org

 
Today one could only guess what the recently started, unprecedented in scope, anti-Russian campaign may lead to as mainstream Western media outlets are getting more and more involved in the effort. Russia has taken resolute steps to defend its vital interests in Crimea and Ukraine as the West unleashed a new form of cold war – information warfare…   

The unanimity of German media condemning Russia evokes concern calling to mind historic precedents. A hundred years ago the Kaizer Germany unleashed the First World War; the German elite unanimously supported the government those days.   As the issue of war expenditure was put to Reichstag, Karl Liebknecht happened to be the only Member of Parliament to abstain. (1) Military hysteria spread on political elite and creative intelligentsia including such well-known personalities as Richard Strauss, Thomas Mann and Hermann Hesse.  Friedrich Meinecke, German historian who lived in the first half of last century, wrote that the people of Germany were deeply and irreversibly convinced that the war was imposed from outside and the people had their homes to defend in the most broad sense of the word. Reading these lines one can understand that the massive brainwashing campaign has made almost ¾ of Germans known to be frugal ready to support the new regime in Kiev while 12% believe it is acceptable to offer military aid. Over one third of respondents favor sanctions against Russia (1).

The Berlin’s stance on Crimea and on Ukraine in general by and large coincides with that of the United States, though a bit more restrained.  For instance, it took Germany some time to support the idea of excluding Russia from G8; it didn’t rush to make calls for urgent sanctions against Russia. With Germans obviously lacking fervor, Senator McCain started to rebuke them for being too passive. But don’t get taken in. Berlin sees Ukraine as a testing ground for the recently announced new, more assertive foreign policy.  Angela Merkel does not find it possible to go on with the preparations for G8 summit. The German government has adopted a phased plan of imposing sanctions against Russia.  Even German business elite hesitate when it comes to sanctions.  For instance, Martin Wansleben, Managing Director of the Association of German Chambers of Industry and Commerce (DIHK), told  Deutschlandfunk, «I don’t believe we can allow ourselves to impose any sanctions, it’s not our option. No matter that, the European Union must launch it».  (2)

It would be an exaggeration to say that Germans are under the spell of those who accuse Russia of committing an act of aggression. There are some things that prevent the mass psychosis, like new information technologies making it possible to watch footages showing the attacks by Maidan militants against Berkut soldiers or provocations by «unknown snipers»…Official media never post such video clips in Internet.  Frankfurter Allgemeine Zeitung has already adopted the rule to avoid the stories about Ukrainian right-wing radicals and anything that pours water on the mill of Russian propaganda (3). Bruno Gollnisch, a French National Front activist, said France should not repeat the mistakes of the 1953 Crimean war fighting against Russia to serve the interests of Great Britain striving for world dominance (4). 

The French right-wing National Front has no doubts that the fight for Ukraine contradicts the interests of the European Union. This view is shared by ultra-right parties of old Europe.   Bernhard Tomasitz, the editor-in-chief of the German People's Union’s media outlet, is sure that the new pro-Western regime has provoked the exacerbation of situation. One of its first steps was striking Ukraine’s Russian speakers by rescinding the law on the status of regional languages. The European Union normally defends the rights of minorities but this time it turned a blind eye. (Russians are not a «minority» in Ukraine) (5). The ultra-right in France and Austria believe that the federalization is quite an acceptable way to settle the Ukraine’s crisis. According to Andreas Meltzer, the leading candidate of Austrian People's Party at the elections to the European Parliament, the division of Ukraine the same way it was done in the case of Czechoslovakia would be a better alternative to civil war. (6)   Andreas Meltzer is sure that Europe could get rid of the US influence and establish normal relations with Russia.     

In France only left-oriented media has reported that Dmitry Yarosh, the leader of Ukraine’s nationalists, has decided to run for presidency.  Only left-wing media informs about recruitment centers for volunteers to man formations to be sent to Crimea. Yulia Timoshenko has threatened the peninsula with a guerilla war. Left Junge Welt tells about Pravy Sector’s absolute power in Lviv. It also tells about armed groups demanding recompense «for revolution» on the roads of western and central Ukraine (7). Tagesspiegel is not that candid, it shies away from calling a spade a spade telling about imposters who said they belonged to «people’s control» and tried seize two German factories (8) to the west of Kiev. 

It’s worth to pay special attention on the articles reflecting the point of view of big business. Such renowned economists as Michael Hutter and Hans-Werner Sinn warn about negative consequences of economic sanctions. The businessmen with direct interest in Russian economy are alarmed.  

Eckhard Cordes of the Committee on Eastern European Economic Relations and Volker Treier, Chief Economist for the German Chamber of Commerce and Industry, together voice their concern over the sanctions against Russia calling it a risky business which may cost dearly. E. Shoppe, chairman of machine building union in the East, expressed concern over negative affect of possible sanctions for German machine building competitivity. According to him, in case sanctions are imposed Russia will buy the machines and equipment it needs in China (9). 

Those down to earth reporters who specialize on economy go beyond strict ideological restrictions openly saying that for the majority of Germans Crimea is rather Russia than Ukraine (10).

Captura-de-pantalla-2013-05-31-a-las-10.44.58.pngA Wirtschaftswoche weekly reporter believes the following conditions are crucial for normalization of the Ukraine’s situation: first, the country has to stand on its own feet so that the new election would not take place in the atmosphere of despair as a result of economic failure, second, emotions need to be cooled down, third, President Putin should not be demonized anymore (11). 

The concern of German entrepreneurs over the situation in Ukraine is understood, as well as their willingness to look for the ways to get things in order there.  Will it be enough to stop the further negative development of events? Striking Russia-Germany ties directly corresponds to the goals cherished by the initiators of Transatlantic Trade and Investment Partnership agreement being pushed through by Washington.

 
 
 
(1) The results of the poll published on March 7 2014
(3) www.faz.net/aktuell/politik/ausland/europa/ukraine-die-extremisten-vom-majdan-12816972-p2.html
(4) www.marinelepen.fr,.03.07. 2014.
(5) National Zeitung,.03. 07. 2014.  The Verhovna Rada of Ukraine voted to rescind the law of February 23. A commission to work out a new legislature on language has already been formed in Kiev. One of the options for consideration is to cancel Cyrillic script for Latin.  
(7) Reinhard Lauterbach. Rechte machen mobil/ Junge Welt, 08.03.2014.
(9) dpa, 03. 07.2014.
(10) www.wiwo.de/politik/ausland/krise-in-der-ukraine-moskaus-geopolitische-arroganz/9560642-2.html. 
(11) Bettina Röhl. Krim: Keine Eskalation herbeireden!/Wirtschaftswoche, 04.03.2014.
 

Gabriele D’Annunzio y los orígenes del fascismo

GABRIELE D'ANNUNZIO

 

por Adriano Erriguel

Hoy es difícil admitirlo, pero en sus inicios el fascismo italiano no hacía presagiar el rumbo funesto que terminaría tomando para la historia de Europa.

Surgido del caos como una oleada de juventud, el fascismo pertenecía a una época revolucionaria en la que, ante los viejos problemas, se vislumbraban nuevas soluciones. En su momento fundacional el fascismo italiano se presentaba como una actitud más que como una ideología, como una estética más que como una doctrina, como una ética más que como un dogma. Y fue el poeta, soldado y condottiero Gabriele D´Annunzio quien esbozó, de la manera más rotunda, ese fascismo posible que nunca pudo ser, y que terminó dando paso a un fascismo real que malogró sus promesas iniciales para embridarse, de la forma más obtusa, hacia el abismo.

Poeta laureado y héroe de guerra, exhibicionista y demagogo, megalómano e histrión, nacionalista y cosmopolita, místico y amoral, asceta y hedonista, drogadicto y erotómano, revolucionario y reaccionario, talento del eclecticismo, del reciclaje y del pastiche, genio precursor de la puesta en escena y de las relaciones públicas: D´Annunzio fue un postmoderno avant la lettre cuyas obsesiones se nos antojan asombrosamente contemporáneas. El incendio que contribuyó a provocar tardaría en extinguirse, pero después nada volvería a ser lo mismo. ¿Por qué rememorar, hoy en día, a este maldito?
Tal vez porque en una atmósfera monocorde de corrección política, de transgresiones amaestradas y de pensamiento desnatado figuras como la suya funcionan como contramodelo, y nos recuerdan que, después de todo, la imaginación, sí, puede llegar al poder.

Años incendiarios

Hubo una época de vitalidad incontenible que, sobrecargada de tensiones e ideas de alto voltaje, precisó de una guerra mundial para ventilar sus contradicciones. Los pocos años que median entre 1900 y 1914 conocieron un extraordinario incendio en el arte y en la literatura, en el pensamiento y en la ideología, que pronto se propagó a todo el mundo. Uno de los epicentros de ese incendio fue Italia – más en concreto el eje entre Florencia y Milán –, lugar donde prendió “el sueño de un futuro radiante que surgiría tras haber purificado el pasado y el presente por el hierro y por el fuego”.(1)

Esta piromanía artístico-literaria se alimentaba, en sus estratos más profundos, de una revolución filosófica y cultural cuidadosamente incubada durante la segunda mitad del siglo XIX: un vendaval ideológico que arremetía contra el positivismo racionalista de la triunfante civilización burguesa. Frente a la tabulación de la existencia por la economía y por la razón este nuevo vitalismo reivindicaba el poder de lo irracional, del instinto y del subconsciente, y frente al optimismo liberal en un mundo pacificado por el progreso oponía una concepción trágica y heroica de la existencia. En este clima intelectual surgió una apuesta que, por su radicalidad, bien podría calificarse de nuevo mito. Un mito destinado a cortar la historia en dos mitades.

El ensayista italiano Giorgio Locchi dio hace tres décadas el nombre de “suprahumanismo” a una corriente de ideas que encontró su formulación más acabada en la obra de Friedrich Nietzsche – en un plano filosófico –, y en la obra de Richard Wagner – en un plano artístico y mitopoético –. En su esencia, según Locchi, el suprahumanismo consistía en “una conciencia históricamente nueva, la conciencia del fatídico advenimiento del nihilismo, esto es – para decirlo con una terminología más moderna –, de la inminencia del fin de la historia”.(2)

Esencialmente antiigualitarista, el suprahumanismo se situaba frente a las corrientes ideológicas que configuraron dos milenios de historia: el “cristianismo en cuanto proyecto mundano, la democracia, el liberalismo, el socialismo: corrientes todas que pertenecían al campo igualitarista”. La aspiración profunda del suprahumanismo – que para Locchi no era sino la emergencia del inconsciente precristiano europeo al ámbito de la consciencia – consistía en proceder a una refundación de la historia, a través del advenimiento de un hombre nuevo. Con un método de acción: el nihilismo como única vía de salida del nihilismo, un nihilismo positivo que bebía la copa hasta las heces y que hacía tabla rasa para construir, sobre las ruinas y con las ruinas, el nuevo mundo.

Más que una corriente organizada el suprahumanismo se configuró como un clima intelectual europeo que impregnó, en grados diversos, el pensamiento, la literatura y el arte de comienzos del siglo XX, con Francia como laboratorio ideológico y con Italia como teatro de todos los experimentos. En la ebullición italiana de aquellos años se agitaban sindicalistas revolucionarios, vanguardistas, anarquistas, y nacionalistas, y todos llevaban, en grados diversos, la impronta suprahumanista. Pero el protagonista indiscutible entre todos los aspirantes a incendiarios era el movimiento futurista.

El futurismo fue la primera vanguardia auténticamente global, no sólo en el sentido geográfico sino en cuanto vehiculaba una aspiración a la totalidad.(3) Lejos de limitarse a ser una propuesta artística el futurismo se extendía al pensamiento, a la literatura, a la música, al cine, al urbanismo, a la arquitectura, al diseño, a la moda, a la publicidad, a la política. El futurismo portaba “la euforia por el mundo de la técnica, de las máquinas y de la velocidad” y empleaba “un nuevo lenguaje sintético, metálico, sincopado”. No desdeñaba “la apología de la violencia y de la guerra, exaltaba la raza entendida como estirpe – no como racismo vulgar – y sobre todo como promesa de una suprahumanidad futura”(4). Sus enemigos eran la burguesía, el romanticismo la tradición, el clero, las familias, todo lo viejo, en suma. El futurismo era la vanguardia por excelencia, la teorización radical de una voluntad pirómana. Algo que parecía estar, en principio, en las antípodas de D´Annunzio.

En el momento de apogeo de las vanguardias y del estallido de la primera guerra mundial Gabriele D´Annunzio – celebrado en toda Italia como Il Vate – era el escritor más famoso de la península, para muchos su principal poeta después de Dante. Pero para los futuristas su estilo – abundante en manierismos modernistas, decadentistas y simbolistas, en florilegios y en retórica ochocentista – podía ser considerado por derecho propio como el lenguaje de ese mausoleo al que ellos querían prender fuego.

Pero entre los futuristas y D´Annunzio se trataba más bien de amor y odio. En la estela de Byron, Il Vate pensaba que un poeta podía ser también un héroe. Al estallar la guerra mundial, y haciendo gala de la versatilidad que ya había mostrado en su carrera literaria, se tornó de poeta decadente en poeta combatiente. Y se invistió de una nueva misión, la de ejemplarizar el ideal suprahumanista y su aspiración máxima: la superación del mundo burgués y la llegada de un “hombre nuevo” que encarnase una nueva ética de la acción. El estilo es el hombre. Pocas figuras tan dispuestas como la suya para simbolizar los nuevos tiempos.

Florilegios para una masacre

La muerte está aquí…tan hermosa como la vida, embriagadora, llena de promesas, transfiguradora.
GABRIELE D´ANNUNZIO

Hoy es difícil comprender la pulsión suicida de una civilización que, en la cúspide de su poder, organizó su propio holocausto. El estallido de la primera guerra mundial fue celebrado como derroche de vitalidad, como catarsis y como regeneración moral. El entusiasmo belicista no conocía fronteras de ideología o de clase, y los artistas e intelectuales de toda Europa se aprestaron a convertirse en la voz de la nación. Ninguna otra voz cantó a la guerra con tanto arrebato como la de D´Annunzio. Ninguna otra oratoria preparó a tantos compatriotas, por la gloria y seducción de las palabras, para matar y morir. Ningún otro apóstol de la guerra se mostró tan ávido de asumir, en su propia carne, los efectos de lo que predicaba.

Cuando Italia anunció su entrada en guerra Il Vate se encontraba en la cúspide de su gloria. Celebrado en toda Europa, rodeado de lujos y cubierto de mujeres, todo le invitaba a contemplar la guerra desde una cómoda distancia. Pero con 52 años se alistó en los Lanceros de Novara, unidad con la que llegaría a participar en decenas de acciones. El ejército, consciente del potencial propagandístico de su figura, le permitió servir de la manera en la que el impacto público fuera más notable. Y le permitió utilizar la que sería su arma más letal: la palabra.

Durante cuatro años de guerra D´Annunzio habló y habló. Habló en las trincheras y en las retaguardias, en los aeródromos y en las bases navales, en los funerales masivos y en la hora de los ataques. Sus discursos eran sugestivos y magnéticos, destinados a ganar no el intelecto sino las emociones. En ellos las miserias físicas más crudas eran orladas de un nimbo de gloria, los combatientes eran héroes y mártires – tan nobles como los héroes de la antigüedad clásica o las legiones de Roma –, y la guerra era una sinfonía heroica en la que sus palabras repicaban como “oleadas hipnóticas de lenguaje: sangre, muerte, amor, dolor, victoria, martirio, fuego, Italia, sangre, muerte…” Aunque conocía de primera mano el horror de la carnicería continuaba predicando su fe en “las virtudes purificadoras de la guerra y diciendo a las tropas que eran sobrehumanas”. Hablaba de banderas ondeando sobre el cielo de Italia, de ríos llenos de cadáveres, de la tierra sedienta de sangre. No disimulaba la atrocidad de la guerra – a la que describía como las torturas que Dante nunca imaginó para su Infierno –pero a los soldados les decía que su sacrificio tenía un sentido, y les elogiaba de una forma en la que nunca se hubieran reconocido, y les repetía que la sangre de los mártires clamaba por más sangre, y que sólo por la sangre la Gran Italia se vería redimida. (5)<

Una apologética de la matanza que resulta, a cien años vista, difícil de digerir. ¿Se lo creía?

No es ésa la cuestión. Y parece insuficiente conformarse aquí con una lectura “no anacrónica”, o limitarse a señalar que “ése era el lenguaje de la época”. Tal vez sería más indicado proceder a una inversión de perspectiva. O a una lectura diferente, en clave suprahumanista.

La guerra como experiencia interior

La reputación que D´Annunzio adquirió durante la guerra se debe más a sus hechos que a sus palabras. Lejos de ser un “soldado de papel” no desperdició ocasión de poner su vida en peligro, y a lo largo de tres años llegó a combatir por tierra, mar y aire. Con un talento precursor para la publicidad sabía que los pequeños actos de terrorismo tenían más fuerza psicológica que los ataques masivos, y se especializó en acciones suicidas – aéreas y navales según los cánones futuristas – con valor simbólico e impacto mediático. Voló en numerosas ocasiones sobre los Alpes – en una época en la que eso era algo extraordinario – para bombardear al enemigo, ocasionalmente con hojas de propaganda. Y cuando los austríacos pusieron precio a su cabeza lideró una incursión suicida, en una torpedera con un puñado de hombres, contra el puerto enemigo de Buccari.(6) En una de sus misiones aéreas perdió la visión de un ojo y parcialmente la del otro, lo que ocultó durante un mes para seguir volando. Finalmente tuvo que permanecer varios meses inmovilizado para salvar la vista.

Suspendido de espaldas y entre dolores y pesadillas compuso su poema Notturno. La perspectiva de la ceguera era para él ocasión de superación, más que de abatimiento. Se confesaba feliz en la grandeza de su pérdida – los ciegos en acción eran considerados como la aristocracia de los heridos –y se recreaba en la agudización de sus sentidos del oído y del olfato. De creerle, esa sensación de felicidad nunca le abandonaría a lo largo de toda la guerra. (7)

El verdadero D´Annunzio se revela, más que en sus trompeterías patrióticas, en su correspondencia y en sus diarios. En ellos trasluce su actitud suprahumanista frente a la guerra. Si algo llama la atención en sus anotaciones es la “fluctuación constante entre lo espantoso y lo pastoral”. Todo se hace para él objeto de celebración, hasta los detalles más nimios: desde las explosiones y los ataques a la bayoneta hasta el brillo de una libélula en el barro o la aparición fugaz de un pájaro carpintero entre los árboles calcinados. De creerle, D´Annunzio fue feliz en medio del hambre, de la sed, del frío extremo, de las heridas y de los bombardeos, porque su entusiasmo omnívoro por la vida podía con todo ello, porque todo ello no era sino uno y lo mismo: la manifestación de esa vida que él consumía con un entusiasmo voluptuoso. ¿Qué era la guerra, sino un agujero en la vida ordinaria a través del cuál se manifestaba algo más alto?… “la vida tal y como debe ser, y que pasa ante nosotros, la Vida – en palabras de Ernst Jünger – como esfuerzo supremo, voluntad de combatir y dominar”.(8)

El paralelismo entre D´Annunzio y Jünger no es casual, ambos manifiestan una común actitud suprahumanista. La misma avidez de experiencias, el mismo desafío al azar, la misma preocupación estética, la misma ausencia de moralismo. Contrasta en el caso del prusiano – aparte de la objetividad acerada de su estilo – la práctica ausencia de cualquier nota patriótica. Pero cabe también pensar que en D´Annunzio la prosopopeya nacionalista no era el grano, sino la paja. Un arma de guerra como otras muchas. Cabe pensar que lo esencial para él era esa disciplina del sufrimiento de la que hablaba Nietzsche, ese Amor fati que no es sino un gran a la vida en toda su crudeza.

Más que de exaltación belicista se trata de una opción filosófica, muy distinta de la postura moralizante y lastimera de otros escritores. Cuando Wilfred Owen, Heinrich Maria Remarque o Ernest Hemingway denuncian y condenan la guerra indudablemente tienen razón, pero no por eso dejan de subrayar una obviedad. Ocurre que ellos viven la guerra desde la sensibilidad horrorizada del hombre moderno. Pero cuando Ernst Jünger escribe: “aquellos que únicamente han sentido y conservado la amargura de su propio sufrimiento, en lugar de reconocer en ella (la guerra) el signo de una alta afirmación, ésos han vivido como esclavos, no tuvieron Vida Interior, sino solamente una existencia pura y tristemente material”, lo que hace es expresar esa sensibilidad inmemorial que considera que el espíritu lo es todo. “Todo es vanidad en este mundo – continúa Jünger – sólo la emoción es eterna. Sólo a muy pocos hombres les es dado poder hundirse en su sublime inutilidad”. Amor fati. El lenguaje “moral” no tiene nada que hacer aquí. Si acaso, el lenguaje de La Iliada.

Otro elemento interesante es el uso que D´Annunzio hace del tiempo histórico. La dicotomía nuevo/viejo, un tema recurrente en su pensamiento, alcanzaría expresión plena en sus anotaciones bélicas. Siempre a la caza de analogías históricas “cada soldado de infantería le recordaba a algún episodio del glorioso pasado, cada campesino agotado a un intrépido marinero veneciano, a un legionario romano, a un caballero medieval, a algún santo marcial recreado en un cuadro renacentista. Su visión del pasado glorioso de Italia recubría el horrible conflicto de un velo teatral y rodeaba de glamour a los excrementos, a la basura y a los montones de muertos”.(9) Para el poeta de Pescara el armamento podía ser moderno, pero los hombres que lo manejaban – los jóvenes reclutas que asemejaba a héroes míticos o arquetipos – pertenecían a una tradición intemporal.

Esta confusión del pasado y del presente ilustra a su manera un elemento que Giorgio Locchi asociaba a la mentalidad suprahumanista: la concepción “no-lineal” del tiempo, la presencia constante del pasado como una dimensión que está dentro del presente junto a la dimensión del futuro. Es la idea revolucionaria – frente a las concepciones lineales, ya sean “progresistas” o “cíclicas” – de la tridimensionalidad del tiempo histórico: en cada conciencia humana “el pasado no es otra cosa que el proyecto al cual el hombre conforma su acción histórica, proyecto que trata de realizar en función de la imagen que se forma de sí mismo y que se esfuerza por encarnar. El pasado aparece entonces no como algo muerto, sino como una prefiguración del porvenir”.(10)

Locchi asociaba esta “nostalgia del porvenir” a la imagen “esférica” del tiempo esbozada en Así habló Zaratustra, así como a uno de los significados canalizados por el mitema nietzschiano del Eterno Retorno. Confusión del pasado y del porvenir, nostalgia de los orígenes y utopía del futuro: la concepción suprahumanista del tiempo – sentida de forma seguramente inconsciente por D´Annunzio y muchos otros – pone en primer plano la libertad del hombre frente a todo determinismo, porque el pasado al que religarse es siempre objeto de elección en el presente, así como objeto de interpretación cambiante. El momento presente “nunca es un punto, sino una encrucijada: cada instante presente actualiza la totalidad del pasado y potencia la totalidad del futuro”. (11) De manera que el pasado nunca es un dato inerte, y cuando se manifiesta en el futuro lo hace de forma siempre nueva, siempre desconocida.

Señala Hughes-Hallett que “la guerra trajo a D´Annunzio la paz”. Había encontrado una trascendental “tercera dimensión” del ser, más allá de la vida y la muerte. Partir en misión peligrosa era para él alcanzar un éxtasis comparable al de los grandes místicos. La guerra le trajo “aventura, propósito, una cohorte de bravos y jóvenes camaradas a los que amar con un amor más allá del que se dedica a las mujeres, una forma de fama, nueva y viril, y la intoxicación de vivir en peligro mortal constante”.(12)

Acabó la guerra reconocido como un héroe y cubierto de condecoraciones. Y entonces él y muchos como él – aquellos reclutas que a los que comparaba con los héroes míticos del pasado – debían volver a sus casas, a sus talleres, a sus matrimonios de conveniencia, a la monotonía de sus aldeas….

Comenzaba a nacer el fascismo.

¿Adiós a las armas?

La revolución victoriosa llegará. Pero no la harán las almas bellas, como la suya, la harán los sargentos y los poetas.
MARGARITA SARFATTI, en el film El joven Mussolini. 1993.

Cuando el 23 de marzo de 1919 un batiburrillo de futuristas, de ex arditi (tropas de asalto del ejército italiano), de sindicalistas revolucionarios y de antiguos socialistas fundaba en la plaza del Santo Sepulcro en Milán el primer Fasci di combattimento nadie sabía en realidad qué iba a resultar de todo aquello. Su cabeza visible era el ex sargento Benito Mussolini, un político maniobrero y posibilista recién expulsado del Partido Socialista italiano. Mussolini afirmaba que los fascistas evitarían el dogmatismo ideológico: “nos permitimos el lujo de ser aristocráticos y democráticos, conservadores y progresistas, reaccionarios y revolucionarios, de aceptar la ley y de ir más allá de ella”. Y añadía que “ante todo somos partidarios de la libertad. Queremos la libertad para todos, aún para nuestros enemigos”.(13) El primer programa fascista, visiblemente escorado hacia la izquierda, recogía la herencia intelectual del sindicalismo revolucionario.

Visto en perspectiva no cabe duda hoy de que el fascismo histórico fue un fenómeno ideológico completo. Pero en sus inicios parecía el fruto de una gran improvisación. Mussolini proclamaba entonces: el fascismo es la acción y nace de una necesidad de acción. En primer lugar recogía muchas de las aspiraciones urgentes de la “generación perdida” que había hecho la guerra, y que consideraba que el estado de Italia – un país pobre y atrasado, con desigualdades crónicas, sin coberturas sociales, con una victoria “mutilada” por los aliados y en proa a una guerra civil – hacía impensable una vuelta a la era de los partidos burgueses y a sus danzas electorales. Pero en un sentido más profundo – tal y como señala el historiador Zeev Sternhell – antes de convertirse en fuerza política el fascismo fue un fenómeno cultural, una manifestación extrema – aunque no la única posible – de un fenómeno mucho más amplio.(14)

El antecedente intelectual más inmediato del fascismo era la revisión del marxismo acometida por el sindicalismo revolucionario, una revisión en un sentido antimaterialista. Lo que estos herejes del marxismo recusaban de la doctrina era su pretensión científica, su infravaloración de los factores psicológicos y nacionales, su visión del socialismo como una mera forma racional de organización económica. Otra de sus motivaciones era el desencanto ante el valor del proletariado como fuerza revolucionaria: los proletarios eran normalmente refractarios a todo lo que no afectase a sus intereses materiales, o sea a su aspiración a convertirse en pequeños burgueses. Algo que los primeros fascistas constataron, así como también constataron que, entre el socialismo y el proletariado, la relación era meramente circunstancial. De lo que se deducía que la revolución no era ya cuestión de una sola clase social… lo que a su vez quebrantaba el dogma de la lucha de clases. La revolución pasaría a ser, pues, una tarea nacional, y el nacionalismo su hilo conductor… (15)

>Pero ¿qué revolución? Una revolución de móviles puramente económicos resultaba insuficiente para la cultura política que se estaba gestando: una cultura política comunitaria, antiindividualista y antiracionalista y que aspiraba a poner remedio a la disgregación social ocasionada por la modernidad. De hecho en economía el fascismo se manifestaba como posibilista y declaraba querer aprovechar lo mejor del capitalismo y del progreso industrial, siendo lo esencial que la esfera económica quedase siempre subordinada a la política. La cuestión subyacente era otra.

Lo esencial – siguiendo a Zeev Sternhell – era “instaurar una civilización heroica sobre las ruinas de una civilización rastreramente materialista, moldear un hombre nuevo, activista y dinámico”. El fascismo originario exhibía un carácter moderno y su estética futurista aguijoneaba la imaginación de los intelectuales – lo que explica la atracción que ejercía sobre la juventud – así como predicaba que una elite no es una categoría definida por el lugar que ocupa en el proceso de producción, sino la expresión de un estado de ánimo: la aristocracia forjada en las trincheras era una prueba de ello.(16) Y del marxismo tomaba la idea de la violencia como instrumento de cambio. Alguien definió una vez al fascismo como nuestro mal de siglo: una expresión que evoca una aspiración hacia la superación del mundo burgués. Más que un corpus doctrinario el fascismo original era una nebulosa, una fuerza rupturista de carácter inédito que aspiraba a la construcción de una “solución de recambio total”.

Lo que ocurría – dicho sea en términos Locchianos – es que el principio suprahumanista estaba pasando, de forma acelerada, de su fase mítica a su fase ideológica y política.(17) En el plano ideológico la llamada “Revolución conservadora” alemana era una sus manifestaciones. Y en el plano político el fascismo de Mussolini fue el brote que hizo fortuna. Pero no el único.

Y aquí es donde entra D´Annunzio.

Gabriele D´Annunzio y sus chicos, en Fiume

D´Annunzio y sus chicos, en Fiume

La ruta hacia el Rubicón

A comienzos de 1919 Mussolini era solo un líder político en ciernes, mientras que D´Annunzio era el hombre más célebre de Italia. Finalizada la guerra con una “victoria mutilada” – los aliados ignoraron las promesas territoriales hechas a Italia – el país se sumió en una espiral de caos político y social. Y entonces muchos de los que esperaban que un “hombre fuerte” tomara las riendas empezaron a mirar a D´Annunzio. Por su parte el poeta-soldado descubría lo difícil que le resultaba vivir sin la guerra, y al igual que muchos otros italianos rumiaba su amargura por la traición de los aliados.

“Vuestra victoria no será mutilada” – escribió D´Annunzio en octubre 1918. Un eslogan que hizo fortuna (como tantos otros que acuñó) y que era música en los oídos de todos los que esperaban una nueva llamada a las armas. Italia rebosaba de hombres acostumbrados a la violencia y que, en vez de recibir una bienvenida de héroes, eran tratados como huéspedes indeseables cuando no como bestias salvajes, abocados al desempleo y a los insultos de los agitadores de una revolución bolchevique en ciernes. Entre esos hombres destacaban los arditi, los soldados de élite, fieramente indisciplinados, acostumbrados a la lucha cuerpo a cuerpo y con dagas y granadas, ataviados con uniformes negros y con matas de pelo a veces tan largas como crines de caballo – los dandis de la guerra.(18) Su bandera era negra y su himno: Giovinezza (Juventud). Todos miraban a D´Annunzio como a un símbolo, y algunos de ellos empezaron a llamarse “dannunzianos”. Un héroe de guerra y un ejército de vuelta a casa: una conjunción fatídica para cualquier gobierno civil. Las autoridades comenzaron a temer a D´Annunzio. El Rubicón nunca había sido verdaderamente olvidado en Italia.

El poeta-soldado comenzó a multiplicar sus apariciones públicas, a escarnecer al gobierno que había aceptado la humillación de Versalles, a incitar a los italianos a rechazar a sus autoridades. En muy poco tiempo se vio en el centro de todas las conspiraciones y todos los grupos de oposición comenzaron a utilizar su nombre. Con los fascistas mantuvo las distancias, D´Annunzio los consideraba como “vulgares imitadores, potencialmente útiles pero lamentablemente brutales y primarios en su forma de pensar”.(19) Y entre todos los que volvían su mirada a D´Annunzio destacaban las comunidades italianas en la costa del Adriático que esperaban ser “redimidas” mediante su incorporación a la madre patria. D´Annunzio, por su parte, les prometió que estaría con ellos “hasta el fin”.

La ciudad de Fiume, puerto principal del Adriático, contaba con una mayoría de población italiana que en octubre 1918 reclamó su incorporación a Italia.(20) Pero los aliados reunidos en Versalles situaron la ciudad bajo una administración internacional. La ciudad se convirtió entonces en un símbolo para todos los nacionalistas italianos y grupos de ex arditi, al grito de “Fiume o muerte”, comenzaron a formar la “Legión de Fiume” dispuestos a “liberar” la ciudad. Y en medio de una espiral de violencia los italianos de Fiume ofrecieron a D´Annunzio el liderazgo de la ciudad.

El poeta-soldado había encontrado su Rubicón. Y su nueva encarnación: la de condottiero.

Fiume era una fiesta

El contagio de la grandeza es el mayor peligro para cualquiera que viva en Fiume, una locura contagiosa, que ha impregnado a todo el mundo
(EL OBISPO DE FIUME, EN UNA ENTREVISTA)

Cuando el 11 de septiembre 1919 D´Annunzio llegó a Fiume en un Fiat 501 seguramente no sabía que daba inicio a uno de los experimentos más extravagantes de la historia política de occidente: el sueño platónico del príncipe-poeta cobraba vida con dos milenios de retraso. Un vendaval de liberación dionisíaca se desencadenó sobre la ciudad adriática, un desmadre nietzschiano en la que se daban la mano la política y el misticismo, la utopía y la violencia, la revolución y Dadá. La era de la política- espectáculo había empezado, y D´Annunzio levantaba el telón.

La época de Fiume ha sido descrita como un microcosmos del mundo político moderno: todo se prefiguró allí, todo se experimentó allí, todos somos en gran parte los herederos. Un momento mágico, una bacanal de soñadores, una sinfonía suprahumanista y heroica en la que una sociedad hambrienta de maravillas – galvanizada por la guerra, hastiada de la insipidez de un siglo de positivismo – se encontraba con un líder a su altura y secundaba, a ritmo de desfiles multicolores y multitudes enfervorizadas, sus quimeras de César visionario.

La trayectoria política de la ciudad durante esos dieciséis meses fue, como no podía ser menos, errática. El primer programa – la anexión a Italia – era simple y realista, pero naufragó en un piélago de indecisiones y gazmoñerías diplomáticas. El segundo programa era de carácter subversivo: provocar la chispa que desencadenase una revolución en Italia. Pero había un tercer programa, incontrolable y radical: Fiume como primer paso, no hacia una Gran Italia, sino hacia un nuevo orden mundial.

Un programa que ganaba fuerza a medida que se disipaba – por la presión de los aliados y por la indecisión del gobierno italiano – la perspectiva de la incorporación a Italia. Impulsada por los revolucionarios sindicalistas que rodeaban a D´Annunzio, la “Constitución de Fiume” (la Carta del Carnaro) es el aspecto más interesante del legado de Fiume, por cuanto supone de contribución original a la teoría política.(21) La Carta del Carnaro contenía elementos pioneros: la limitación del (hasta entonces sacrosanto) derecho a la propiedad privada, la completa igualdad de las mujeres, el laicismo en la escuela, la libertad absoluta de cultos, un sistema completo de seguridad social, medidas de democracia directa, un mecanismo de renovación continua del liderazgo y un sistema de corporaciones o representación por secciones de la comunidad: una idea que haría fortuna. Según su biógrafo Michael A. Leeden el gobierno de D´Annunzio – compuesto por elementos muy heterogéneos – fue uno de los primeros en practicar una suerte de “política de consenso” según la idea de que los diversos intereses en conflicto podían ser “sublimados” dentro de un movimiento de nuevo cuño. Lo esencial era que el nuevo orden estuviera basado en las cualidades personales de heroísmo y de genio, más que en los criterios tradicionales de riqueza, herencia y poder. El objetivo final – básicamente suprahumanista – no era otro sino la aleación de un nuevo tipo de hombre.

La Carta del Carnaro contenía toques surrealistas como designar a “la Música” como principio fundamental del Estado. Pero lo más original – lo más específicamente dannunziano – era la inclusión de “un elaborado sistema de celebraciones de masas y rituales, designados para garantizar un alto nivel de conciencia política y de entusiasmo entre los ciudadanos”.(22) En Fiume D´Annunzio – ahora denominado “el Comandante” – comenzó a experimentar con un nuevo medio, creando “obras de arte en las que los materiales eran columnas de hombres, lluvias de flores, fuegos artificiales, música electrizante – un género que posteriormente sería desarrollado y reelaborado durante dos décadas en Roma, Moscú y Berlín”.(23) El comandante inauguró una nueva forma de liderazgo basada en la comunicación directa entre el líder y las masas, una especie de plebiscito cotidiano en el que las multitudes, congregadas ante su balcón, respondían a sus preguntas y secundaban sus invectivas. Todo el ritual del fascismo estaba ya allí: los uniformes, los estandartes, el culto a los mártires, los desfiles de antorchas, las camisas negras, la glorificación de la virilidad y de la juventud, la comunión entre el líder y el pueblo, el saludo brazo en alto, el grito de guerra ¡Eia Eia Alalá!(24) . Señala Hughes-Hallett que D´Annunzio nunca fue fascista pero que el fascismo fue inequívocamente dannunziano. Alguien escribió que, bajo el fascismo, D´Annunzio fue la víctima del mayor plagio de la historia.

Otro elemento pionero fue la creación de una Liga de Naciones antiimperialistas: la “Liga de Fiume”, proyecto de alianza de todas las naciones oprimidas que desarrollaba el concepto de revolución mundial y de “nación proletaria” teorizado por Michels, y que aspiraba a reunir desde el Sinn Fein irlandés hasta los nacionalistas árabes e indios. Alguien ha querido ver al Comandante como a un profeta del Tercermundismo, si bien sería más correcto ver aquí “la primera aparición de la temática de los derechos de los pueblos”.(25) Las potencias aliadas comenzaron a alarmarse. La empresa de Fiume perdía su carácter nacionalista y acentuaba su contenido revolucionario…

¡Haced el amor y haced la guerra!

¡Giovinezza, Giovinezza, Primavera di Bellezza!
CANCIÓN DE LOS ARDITI

Un Estado regido por un poeta y con la creatividad convertida en obligación cívica: no era extraño que la vida cultural adquiriese un sesgo anticonvencional.(26) La Constitución estaba bajo la advocación de la “Décima Musa”, la Musa – según D´Annunzio – “de las comunidades emergentes y de los pueblos en génesis… la Musa de la Energía”, que en el nuevo siglo debería conducir a la imaginación al poder. Hacer de la vida una obra de arte. En el Fiume de 1919 la vida pública se convirtió en una performance de veinticuatro horas en la que “la política se hacía poesía y la poesía sensualidad, y en la que una reunión política podía terminar en un baile y el baile en una orgía. Ser joven y ser apasionado era una obligación”.(27) Entre la población local y los recién llegados se propagó una atmósfera de libertad sexual y de amor libre, inusual para la época. Comenzaba la revolución sexual. Así lo quería el nuevo “Príncipe de Juventud”, tuerto y de cincuenta y seis años

No es de extrañar que la ciudad se convirtiera en un polo magnético para toda la cofradía de idealistas, rebeldes y románticos que pululaba por el mundo. Un País de la Cucaña en el que se codeaban protofascistas y revolucionarios internacionalistas sin que a nadie se le ocurriera algo tan vulgar como “entrar en diálogo”. Un laboratorio contracultural en el que brotaban grupos variopintos como el “Yoga” (inspirado por el hinduismo y por el Bhagavad-Gita), los “Lotos Castaños” (proto-hippies partidarios de una vuelta a la naturaleza), los “Lotos Rojos” (defensores del sexo dionisíaco), ecologistas, nudistas, dadaístas y otros especímenes de variada índole. El componente psicodélico estaba asegurado por una generosa circulación de droga bajo la tolerante mirada del Comandante, consumidor más o menos ocasional de polvo blanco.(28) Los años 60 comenzaron en Fiume. Pero a diferencia de los hippies californianos, los hippies del Comandante estaban dispuestos no sólo a hacer el amor, sino también a hacer la guerra.

Mientras tanto Roma miraba a Fiume con una mezcla de consternación y de pavor. En palabras de los socialistas Italianos “Fiume estaba siendo transformada en un burdel, refugio de criminales y prostitutas”. Lo cierto es que todo el mundo iba a Fiume: soldados, aventureros, revolucionarios, intelectuales, espías aliados, artistas cosmopolitas, poetas neopaganos, bohemios con la cabeza en las nubes, el futurista Marinetti, el inventor Marconi, el Director de orquesta Toscanini… Proliferaban la elocuencia y el dandismo, la personalidad del Comandante era contagiosa. ¡Condecoraciones, uniformes, títulos, himnos y ceremonias para todos! El estilo ornamental era de rigor. Y a su vez los nuevos visitantes se iban haciendo cada vez más marginales: menores fugados, desertores, criminales y otras gentes con asuntos por aclarar con la justicia…. muchos de estos elementos fueron reclutados para formar la guardia de corps del Comandante: la “Legión Disperata”, de rutilantes uniformes. D´Annunzio observaba a sus arditi comiendo cordero en las playas, en sus fantásticos uniformes resplandecientes a la luz de las llamas, y los comparaba con Aquiles y sus mirmidones de vuelta a su campamento frente a Troya. Es esa mezcla electrizante de arcaísmo y futurismo, tan propia de la sensibilidad suprahumanista. Sonaba tan antiguo, sin embargo era tan nuevo…

Presionado por sus compromisos internacionales el gobierno de Roma decretó un bloqueo contra Fiume, y la ciudad encontró un método para asegurar su subsistencia: la piratería. Organizados por un antiguo as de la aviación italiana, Guido Keller, los barcos de Fiume pasaron a adueñarse de cualquier buque que transitase entre el estrecho de Messina y Venecia. Y cada captura realizada por los uscocchi – así llamados por D´Annunzio en honor a los piratas adriáticos del XVI – era recibida en la ciudad como una fiesta. Las actividades ilícitas se ampliaron al secuestro – un comando de Fiume capturó a un general italiano que pasaba por Trieste – y a las expediciones para requisar provisiones en territorios vecinos. También a las ocupaciones simbólicas de otras ciudades próximas. El Comandante hizo bordar su lema Ne me frego (algo así como: “me la pela”) en una bandera que colgó sobre su cama.(29) Fiume era un Estado fuera de la ley, lo que hoy llamaríamos un Estado gamberro. Señala su biógrafa que D´Annunzio, como un nuevo Peter Pan, había construido una “Tierra de Nunca Jamás, un espacio liberado de las relaciones causa-efecto donde los niños perdidos pudieran disfrutar por siempre de sus peligrosas aventuras sin sentirse molestados por el sentido común”.(30)

Pero el problema de la niñez es que se acaba, y llega la hora de los adultos. El Tratado de Rapallo, firmado en Noviembre 1920, establecía las fronteras italo-yugoeslavas y llegaba a un compromiso sobre Fiume. D´Annunzio se quedó aislado, y hasta los fascistas de Mussolini le retiraron su apoyo. Tras una intervención de la Marina italiana y la resistencia de un puñado de arditi – que se saldó con varias docenas de muertos – D´Annunzio fue obligado a abandonar Fiume a fines de Diciembre 1920. En una ceremonia de despedida su último grito fue: ¡Viva el amor!

El poeta había concluido su revolución. Llegaba el turno del ex sargento.

El Fascismo sin D´Annunzio

Pasados los años un Mussolini ya en el poder celebraría a Gabriele D´Annunzio como al “Juan Bautista del fascismo”. Convertido en una leyenda el poeta pasaría sus dos últimas décadas recluido en su mansión de El Vittoriale a orillas del lago de Garda, donde Mussolini acudiría ocasionalmente para retratarse con él.

Hoy se considera a D´Annunzio como a un personaje del Régimen, pero lo cierto es que nunca fue miembro del Partido Fascista y sus relaciones con el Duce fueron mucho más ambivalentes de lo que se piensa. En privado Mussolini se refería a D´Annunzio como a “una caries, a la que hay que extirpar o cubrir de oro”, y se refería también al “fiumismo mal entendido” como a sinónimo de actitud anarquizante y de poco fiar. En realidad ambos personajes se observaban con sospecha: Mussolini consideraba que D´Annunzio era demasiado influyente e impredecible, y éste se abstenía de prestar un apoyo expreso al Duce. En realidad el poeta había recomendado a sus arditi mantenerse al margen de cualquier formación política, si bien muchos acabarían en el fascismo y algunos en la extrema izquierda o incluso en España en las Brigadas Internacionales.(31) Las únicas ocasiones en las que D´Annunzio trató de influir políticamente en Mussolini fueron para aconsejarle que se mantuviera bien alejado de Hitler (“ese payaso feroz”, “eserostroengominado e innoble”).

El poeta-soldado falleció en 1938 en su mansión del Vittoriale, en una atmósfera tan barroca como claustrofóbica, rodeado de espías italianos y alemanes. Con su muerte desapareció toda una época: la de los albores de ese fascismo que no pudo ser. El fascismo real recogió la puesta en escena y la liturgia de Fiume, pero las vació de libertad y las transformó en una coreografía burocratizada al servicio de un proyecto que llevó a Italia a la catástrofe. La historia es bien conocida. No obstante suelen pasarse por alto algunas cosas…

Normalmente se pasa por alto que ese primer fascismo formaba parte de un clima cultural vanguardista, sofisticado y plural, muy diferente del provincianismo obtuso que caracterizaba a los nazis y a su cursilería völkisch. De hecho, el pluralismo cultural de la Italia fascista – un país donde prácticamente no hubo éxodo intelectual alguno – no tiene parangón con el dirigismo impuesto sobre la cultura en la época nazi. Estudiosos como Renzo de Felice o Julien Freund han contrapuesto el carácter optimista y “mediterráneo” del fascismo – con su tendencia a exaltar la vida dentro de un cierto espíritu de mesura – frente al carácter sombrío, trágico y catastrófico del nazismo, con su inclinación germánica por el Raggnarokk. (32)Igualmente podría destacarse el carácter antidogmático – incluso artístico y bohemio – de ese primer fascismo, en contraposición a las ínfulas “científicas” de la dogmática nazi, basada en el racismo biológico y en el darwinismo social.

A lo que hay que añadir que el primer fascismo no tenía ningún atisbo de antisemitismo, sino más bien al contrario: muchos judíos fueron fascistas de primera hora e incluso tuvieron cargos importantes, tales como la publicista Margaritta Sarfati, amante judía del Duce y prima donna de la vida cultural del régimen. De hecho la política exterior del régimen mantuvo frecuentes contactos con el movimiento sionista. Y tras la llegada de Hitler al poder eminentes exiliados judíos encontraron acogida en Italia.

Se pasa también por alto que tras la “marcha sobre Roma” en 1922 Mussolini se presentó ante el Parlamento y obtuvo un amplio voto de confianza de la mayoría no-fascista. Se tiende a olvidar que la violencia de las escuadras fascistas, si bien muy cierta, no era exclusiva del fascismo: ése era el lenguaje político en buena parte de Europa. Y en Italia fue el fascismo, mejor organizado, el que finalmente se impuso. Se omite también que el fascismo colaboró con los socialistas y con otras fuerzas de oposición, y que ganó una mayoría de votos en las elecciones de 1924. Sólo entonces, tras el brutal asesinato del diputado socialista Matteoti y la negativa de la oposición a permanecer en el Parlamento, los energúmenos del fascismo ganaron la mano y se institucionalizó la dictadura.

En realidad 1924 marca el comienzo del declive. Los años posteriores son los de las grandes realizaciones del régimen: la edificación de un Estado social, las grandes obras públicas y la modernización del país. Logros que compraron la adhesión de buena parte de la población. Pero el fascismo ya estaba herido de muerte. Al traicionar aquella promesa de 1919 en la Plaza del Santo Sepulcro de Milán (“Queremos la libertad para todos, aún para nuestros enemigos”) el fascismo se transformó en una burocracia autocomplaciente y satisfecha, y Mussolini se fue apartando de la realidad para encerrarse en una megalomanía que resultó funesta.

Aún así durante algunos años el fascismo impulsó una política favorecedora de la paz y la cooperación internacional, como lo prueban los Acuerdos de Letrán en 1929 y las propuestas de desarme en la Sociedad de Naciones en 1932. En relación a la Alemania nazi hay algo que también suele olvidarse: Mussolini fue el impulsor del llamado “Frente de Stressa”, una iniciativa diplomática que en abril 1935, junto a Francia y Gran Bretaña, trataba de garantizar la independencia de Austria y el respeto al Tratado de Versalles, y por consiguiente frenar a Hitler cuando todavía era posible hacerlo. Dos meses después, en Junio de 1935, Gran Bretaña firmaba con la Alemania Nazi un Acuerdo naval que suponía la primera violación de ese Tratado. Mussolini se quedó solo.

El aislamiento se consumó a partir de la invasión de Abisinia y las sanciones que le fueron impuestas a Italia, y que abocaron a Mussolini a una alianza con Hitler. A partir de entonces, prisionero de una mezcla de temor y fascinación por el dictador alemán, el Duce se vio arrastrado hasta el abismo. En 1938 cayó incluso en la abyección de importar la legislación antisemita del Tercer Reich.

¿Hubiera sido posible otro derrotero, menos dictatorial y más “dannunziano”? Mussolini, al contrario de Hitler, nunca tuvo un dominio absoluto sobre el Partido, y dentro del fascismo siempre hubo línea contraria a los nazis y favorable a un entendimiento con Francia y Gran Bretaña. Su principal figura era el Ministro de Aviación Italo Balbo, héroe de guerra y escuadrista de primera hora: el auténtico prototipo del “nuevo hombre” exaltado por el fascismo. Pero un celoso Mussolini le nombró Gobernador de Libia para apartarlo de los centros del poder. Allí falleció en 1940, en un accidente de aviación poco claro. Los últimos restos de la oposición fascista fueron liquidados en 1944 en el proceso de Verona, con el ex Ministro de Exteriores Galeazzo Ciano y otros jerarcas ejecutados a instancias de los alemanes.

¿Un fascismo democrático?

A casi cien años de distancia D´Annunzio y su aventura en Fiume plantean todavía interrogantes. Hay uno especialmente provocador: ¿pudo haber sido posible un fascismo democrático?

Una pregunta que sólo tiene el valor que queramos darle a la historia-ficción. Porque la historia es la que es, y no se puede cambiar. Hablar de “fascismo democrático” es hoy un oxímoron, y eso parece irrebatible. No obstante demasiadas veces nos refugiamos en posturas intelectualmente confortables y moralmente irreprochables, y eso dificulta la comprensión de ciertos fenómenos. En este caso, el de la naturaleza del fascismo. La interpretación marxista clásica del fascismo como un instrumento defensivo del Capital se condena a no comprender nada, y deja sin explicar la amplia adhesión que obtuvo un sistema que sólo fue extirpado por la guerra, una guerra en la que los marxistas se aliaron con… el capitalismo. Esta interpretación ha sido superada hace ya tiempo, y hoy tiende a admitirse que, como señala Zeev Sternhell, el fascismo era una manifestación extrema de un fenómeno mucho más comprehensivo y amplio – ése que Giorgio Locchi denominaba suprahumanismo –, y como tal es parte integral de la historia de la cultura europea.

D´Annunzio no fue un ideólogo sistemático, pero su empeño prometeico y nietzschiano simboliza ese clima cultural suprahumanista del que brotó el fascismo. Fiume fue un momento mágico y necesariamente fugaz, no se puede ser sublime durante veinte años. Pero Fiume nos recuerda que la historia pudo haber sido diferente, y que tal vez esa rebelión cultural y política – llamémosla “fascismo” – pudo haber sido compatible con un mayor respeto a las libertades, o al menos evolucionar alejada de las aberraciones ya conocidas… Claro que entonces tal vez eso no sería ya fascismo, sería más bien otra cosa…

Si no tenemos en cuenta el fenómeno cultural del suprahumanismo no se puede entender el fascismo. Pero éste no fue su único retoño. Históricamente hubo otros dos. El primero fue un brote intelectual de gran altura, y que sigue hablando al hombre de nuestros días: la llamada “revolución conservadora” alemana. Y el segundo fue una planta venenosa: el nazismo. La cuestión que hoy podría plantearse es la de saber si ese humus cultural suprehumanista está definitivamente agotado, o si aún podría dar lugar a derivaciones inéditas. Al fin y al cabo – y según la concepción “esférica” del tiempo – la historia siempre está abierta, y cuando la historia se regenera lo hace de forma siempre nueva, de forma siempre imprevista.

Anarquismo de derecha

Denunciamos la falta de gusto de la representación parlamentaria. Nos recreamos en la belleza, en la elegancia, la cortesía y el estilo…queremos ser dirigidos por hombres milagrosos y fantásticos
FILIPPO TOMMASO MARINETTI

El arte de mandar consiste en no mandar
GABRIELE D´ANNUNZIO

Pero el interés de revisitar a D´Annunzio va mucho más allá de la pregunta sobre la naturaleza del fascismo. El poeta-soldado prefigura una forma de hacer política vigente hasta la actualidad: la política espectáculo, la fusión de elementos sacros y profanos, la intuición de que en último término todo es política. La Carta del Carnaro es un documento visionario en cuanto recoge preocupaciones, libertades y derechos hasta entonces relegados fuera del ámbito político, y que durante las décadas siguientes pasarían a ser integrados en el constitucionalismo moderno. De alguna forma D´Annunzio parecía poseer la clave de todo lo que iba a venir después. Todos somos en buena parte sus herederos, para bien y para mal.

Por eso sería un error menospreciar a D´Annunzio como a un esteta dilettante metido a revolucionario. O despolitizarlo y considerar – como parece apuntar su perspicaz biógrafo Michael A. Leeden – que lo importante de Fiume no es el contenido, sino el estilo, y que ninguna posición ideológica concreta se desprende de Fiume. Pensamos que mucho más acertado está Carlos Caballero Jurado cuando señala que: “Fiume no era un pedazo de tierra. Fiume era un símbolo, un mito, algo que quizá no pueda entenderse en nuestros días, en una época tan refractaria al mito y a los ritos. La empresa de Fiume tiene más de rebelión cultural que de anexión política”.(33) ¿Qué mensajes puede extraer el hombre de hoy en día, no sólo de Fiume, sino de toda la trayectoria de D´Annunzio?

En primer lugar la idea de que la única revolución verdadera es la que persigue una transformación integral del hombre. Esto es, la que se plantea ante todo como una revolución cultural. Algo que los revolucionarios de mayo 1968 parecieron entender bien. Pero lo que desconocían es que, en realidad, casi todo lo que proponían ya estaba inventado. La imaginación ya había llegado al poder, cincuenta años antes, en la costa del Adriático. La gran sorpresa es que el que así lo decidió – y esta es la segunda gran lección de Fiume – no era un utópico progresista, libertario y mundialista, sino un patriota, un elitista practicante de una ética heroica. Fiume es la demostración de que ideas como la liberación sexual, la ecología, la democracia directa, la igualdad entre hombres y mujeres, la libertad de conciencia y el espíritu de fiesta pueden plantearse no sólo desde posiciones igualitaristas, pacifistas, hedonistas y feministas, sino también desde valores aristocráticos y diferencialistas, identitarios y heroicos.

El gesto D´Annunzio implica además algo muy actual: fue el primer grito de rebeldía contra un sistema americanomorfo que en aquellos años empezaba a extender sus tentáculos, es el grito de defensa de la belleza y del espíritu frente al reino de la vulgaridad y el imperio del dólar.

El gesto de D´Annunzio fue también la reivindicación, surrealista y heroica, de una regeneración política basada en la liberación de la personalidad humana, y un grito de protesta frente al mundo de burócratas anónimos que se venía encima.(34)

Fiume es además la demostración de que sí es posible trascender la división derecha- izquierda, de que la transversalidad es posible. Valores de derecha más ideas de izquierda. La primera síntesis genuinamente posmoderna. Fiume es el único experimento conocido hasta la fecha de lo que podría ser un anarquismo de derecha llevado a sus últimas consecuencias.

Hay una última cuestión, y que tiene que ver con la actividad de D´Annunzio como predicador y exaltador de la guerra. Eso es algo que hoy nos parece indefendible – aunque no lo era tanto en aquellos años en los que la guerra todavía podía vivirse como una aventura épica –. Pero hoy sabemos que detrás de aquella retórica inflamada no había ninguna causa real que justificase tanto sacrificio. Y sin embargo…

Sin embargo es posible que aquellos hombres de retórica inflamada, en el fondo, esto también lo supiesen. Es muy posible que D´Annunzio y otros como él, por destilación de un nihilismo positivo, supiesen que a fin de cuentas es mucho mejor el patriotismo a la Nada. Hoy tenemos la Nada, y desde luego tenemos menos muertos. Pero cabe plantearse si gracias a eso, en comparación con aquellos hombres, estamos también más vivos.

La era de los años incendiarios quedó sumergida en el tiempo. Pasó la época en la que los sargentos y los poetas hacían revoluciones. Y como suele decirse, a los cuerpos los devoró el tiempo, a los sueños los devoró la historia, y a la historia la engulló el olvido. También dicen que los viejos guerreros nunca mueren, que sólo se desvanecen físicamente. Después de la catástrofe nos queda el recuerdo de la grandeza, y el de los hombres que la soñaron.

 

Video musical con la letra del poema de D´Annunzio: “la Canzone del Carnaro” (“Los treinta de Buccari”)

1 Marcello Veneziani, Anni Incendiari, Valecchi 2009, pag 7.

2 Giorgio Locchi, Definciones. Los textos que revolucionaron la cultura inconformista europea.

Ediciones Nueva República 2011, pags 280-281.

3 El futurismo estuvo presente en Rusia (Maiakovski), en Portugal (Pessoa), en Bélgica, en Argentina o en el mundo anglosajón con la fundación del Londres del movimiento vorticista por Ezra Pound y Wyndham Lewis.

4 Marcello Veneziani, Anni Incendiari, Valecchi 2009, pags 15 y 16.

5 Lucy Hughes-Hallett, Gabrielle D´Annunzio. Poet, seducer and preacher of war. Fourth State, edición Kindle, 2013.

6 En el bombardeo incluyó proyectiles huecos de goma que contenían mensajes líricos. Posteriormente celebró este hecho – conocido como La beffa di Buccari (La broma de Buccari) – en una famosa balada: La Canzone del Carnaro (“Los treinta de Buccari”): “Somos treinta hombres a bordo/treinta y uno con la Muerte…”.

7 Lucy Hughes-Hallett, Obra citada.

8 Ernst Jünger: Tres fragmentos de “La guerra, nuestra madre”, en Revista de Occidente nº 46, marzo 1985, pag 158.

9 Lucy Hughes-Hallett, Obra citada.

10 Giorgio Locchi: Definiciones, Ediciones Nueva República 2010. Pag 59.

11 Alain de Benoist: Lés idées à l´endroit. Avatar Éditions 2011. pags 54-55.

12 Lucy Hughes-Hallett: Obra citada.

13 Álvaro Lozano: Mussolini y el fascismo italiano. Marcial Pons Historia 2012, pag. 108.

14 Zeev Sternhell: El nacimiento de la ideología fascista. Siglo veintiuno editores 1994, pag 1. Nos ceñimos aquí a un análisis estricto del fascismo italiano, lo que excluye al nazismo. Señala el historiador israelí: “en modo alguno cabe identificar el fascismo con el nazismo (…) ambas ideologías difieren en una cuestión fundamental: el determinismo biológico, el racismo en su sentido más extremo…la guerra a los judíos (…) El racismo no es una de las condiciones necesarias para la existencia de un fascismo. Una teoría general que quiera englobar fascismo y nazismo chocaría siempre con ese aspecto del problema. De hecho, una teoría así no es posible”. (Obra citada, pags. 4-5).

15 En este sentido, los análisis teóricos de: Georges Sorel, R. Michels y Eduard Berth (Zeev Sternhell, Obra citada, pag. 182).

16 Zeev Sternhel: Obra citada, pag. 386.

17 Giorgio Locchi distinguía las fases mítica, ideológica y sintética como fases arquetípicas de las tendencias históricas. Así, en el caso del pensamiento igualitario su fase “mítica” se correspondería con la ecumene cristiana, la fase “ideológica” con la disgregación ocasionada por la reforma protestante y la aparición de diversas filosofías y partidos, y la fase “sintética” a las doctrinas de pretensiones científicas y universales (marxismo, ideología de los “derechos humanos”).

18 Lucy Hughes-Hallett, Obra citada

19 Lucy Hughes-Hallett, Obra citada.

20 Fiume es la actual Rijeka, en Croacia.

21 La “Carta del Carnaro” fue adoptada como Constitución de la “Regencia Italiana del Carnaro”, nuevo Estado independiente llamado así por el Golfo del Carnaro, lugar donde se encuentra Fiume. Su redactor principal fue el líder sindicalista- revolucionario Alceste de Ambris.

22 Michael A. Ledeen: D Annunzio, The first Duce. Transaction Publishers 2009, pags XIV y XV.

23 Lucy Hughes-Hallett, Obra citada

24 ¡Eia Eia, Alalá! era, según la leyenda, el grito con el que Aquiles llamaba a sus caballos. D´Annunzio lo acuñó durante la guerra como sustituto grecorromano al ¡hip hip, hurra! anglosajón.

25 Carlos Caballero Jurado: El Comandante y la décima musa. La fascinante historia de D´Annunzio en Fiume.

26 El Ministerio de Asuntos Exteriores de Fiume estaba dirigido también por dos poetas: León Kochnitzky y Henry Furst.

27 Lucy Hughes-Hallett: Obra citada

28 En los años previos a la guerra la cocaína, cuyos auténticos efectos no eran todavía bien conocidos, era considerada como un suplemento para la resistencia y el coraje. Personajes como Shackleton o Scott la llevaron en sus expediciones, y tampoco era infrecuente entre los pilotos de guerra. (Lucy Hughes-Hallett: Obra citada).

29 Años después Mussolini adoptó este lema como expresión del “estilo de vida” fascista.

30 Lucy Hughes-Hallett: Obra citada.

31 Muy significativamente el líder nacionalsindicalista y principal redactor de la Carta del Carnaro, Alceste de Ambris, pasó a la oposición radical contra el fascismo. Privado de la nacionalidad italiana, murió en el exilio en Francia en 1934.

32 Es curiosa a este respecto la excelente serie de televisión de la RAI “El joven Mussolini” (Gian Luigi Calderone, 1993), en la que el futuro Duce (interpretado por Antonio Banderas) aparece retratado, más que como un futuro dictador sanguinario, como un simpático tarambana.

33 Carlos Caballero Jurado: El Comandante y la décima musa. La fascinante historia de D´Annunzio en Fiume.

34 Una Historia de Europa: “de D´Annunzio a Van Rompuy”… (a ¿quién?).

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vendredi, 14 mars 2014

Lavia mediterranea

Spartan Women

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Spartan Women

Sarah B. Pomeroy
Spartan Women 
Oxford University Press, 2002

Ancient Sparta is known not only for its great warriors, but also for its unusual treatment of women. Further north in democratic Athens, modest women were rarely educated and mostly kept sequestered indoors. But in the militarist state of Sparta, the government insisted that both boys and girls be given an education from childhood. Boys were trained to be future warriors, and women to be the mother of warriors — a task that required a variety of skills.

Sarah B. Pomeroy, a professor at New York’s Hunter College and the Graduate Center at the City University, delves into the unique education and lifestyles of women in Sparta in Spartan Women. Although its primary focus is women, the reader will learn much in the book about the men in this city-state in the south-eastern Peloponnese, as well as about the lives of both men and women in classical Athens.

Women’s Education in Sparta

Compared to other Greek women, Spartans had vastly more free time to do what they wanted. One reason for this was because Sparta was highly dependent on the labor of slaves (called helots), and Spartan citizens were not allowed to engage in most forms of manual labor. This meant that even the women were free from much domestic drudgery. The men of Sparta were full-time warriors, and consequently, Spartan women were usually more cultured than the men. For example, girls were trained in singing, dancing, and playing instruments, and singing competitions often were held between individuals and rival choruses.

Pomeroy says that there is much reason to believe that literacy was common among women in Sparta. There are numerous references to women writing letters to their sons at war (usually these consisted of urging their sons to be brave warriors). And Spartan women also were encouraged in public speaking. In ProtagorasPlato even refers to the women of Sparta and Crete, who take pride in their educations and are skilled in philosophical debate. Common themes for women’s speeches included praising the brave and reviling cowards and bachelors. Another testimony to Spartan women’s education: The Neoplatonist philosopher Iamblichus said there were 17 or 18 women among Pythagoras’ 235 disciples; about one-third of the women were Spartans, while less than 1 percent were Spartan men.

Women could own land in Sparta, and by Aristotle’s time, they owned two-fifths of the land in Laconia. Another privilege of Spartan women, according to Pomeroy: “of all Greek women, Spartans alone drank wine not only at festivals, but also as part of their daily fare.” Although they could not vote, they participated in political campaigns and were said to have much influence over their husbands (according to Aristotle).

Spartan Women and Sports

Edgar Degas, “Young Spartans Exercising”

Spartan Women also details women’s role in sports, another area where they were able to receive training and to excel. Their training was similar to that of boys, but less intense. Women participated in trials of strength, racing competitions, wrestling, discus throwing, and hurling the javelin. Some athletic competitions were held in honor of female deities.

The encouragement of athleticism in women appears to be based on women’s role as mothers. According to Xenophon, Lycurgus (who created Sparta’s constitution) thought that having two physically healthy parents would be more likely to produce healthy offspring.

Young men and women often exercised in the nude, and there was even a “Festival of Nude Youths.” Confirmed bachelors, according to Plutarch, were banned from attending. For the others, it was a chance to view potential marriage partners.

Marriage in Sparta

Gustave Moreau’s depiction of Helen of Troy (Helen of Spara)

Spartan women were usually married at 18—later than other Greek women—and the marriages were unusual for Greece at the time. Unlike in Athens, where a 15-year-old girl might marry a man twice her age, Spartan couples were usually close to the same age. The men lived with other men in military groups until age 30, so there was no “nuclear family” until later in life. Husbands and wives were not encouraged to spend a lot of time together, the idea being that absence created stronger passions between the pair, and that the child resulting from a passionate union would be stronger.

The marriages in Sparta were “mostly monogamous.” Although couples were married, it wasn’t uncommon for a woman to have another man’s child than her husband’s, if the man could persuade the husband to allow it. As the population declined, men began fathering children with the helots (the children would be partial citizens); but the consequence was that their legitimate wives began having fewer children. There appears to have been no penalty for adulterous women, like in other parts of Greece where they could be punishable with death.

The Importance of Motherhood

Spartan Women spends many pages describing the role of motherhood in Sparta, since being a mother (particularly the mother of a brave warrior) was the highest honor for women. The only women who were permitted gravestones were priestesses and those who died in childbirth. Women spent much of their time actually involved with their children, since slaves did many of the domestic chores and families were provided with rations of food by the state. Women did work, but it was more as managers than as servants. Before the decline of Sparta, greed was considered a vice, so women’s pursuits were more centered on the arts and their children rather than accumulating material things. In fact, Spartan women were forbidden to wear gold or use cosmetics.

Because they were so involved with their children’s upbringing, women felt very responsible for their children’s successes (and failures) in life. Many of these attitudes can be found in Plutarch’s Sayings of Spartan Women, where he recounts women disowning and even killing cowardly sons.

One of Pomeroy’s most interesting discoveries involves the practice of infanticide. It’s a well-documented fact that deformed or weak babies would be thrown into a chasm on Mount Taygetos, a form of eugenics that ensured a strong military for the state, and that only worthy candidates would be awarded the land and education that was the right of every Spartan citizen. Pomeroy presents a valid case that female babies were not put to the same scrutiny as the males (except for obvious physical deformities). Not all male babies were capable of being warriors, but even the weakest female baby could grow into a mother of warriors.

Women and Religion in Sparta

Unlike most societies in ancient Greece, the private family religious cult was virtually unknown in Sparta. There are several main reasons for this: The first is because there was such an emphasis on community, so primary loyalty was to the state not the family. The militaristic nature of Sparta meant that transcendent values and actions were more important than biological ties (as evidenced by the willingness to kill family members). And finally, since married couples lived apart until the man was 30, and since children went away from home to be educated at a young age, the “family” as we think of it today was never very solidified.

Religion was important to women in Sparta, however. The popular cults for women included those of Dionysus, Eileithyia (a fertility goddess), Artemis, Hera, Helen of Troy, Demeter, Apollo, Athena, and Aphrodite. Spartan Women goes into details about each of these cults, and also discusses the role of women priestesses at various periods in the city-state’s history.

*  *  *

Spartan Women is scholarly and well-researched, yet written in an easy-to-understand style for a general audience. My only complaint is that much of the information is repeated at many places throughout the book — however, it is evidence of thorough research and ensures that you can read any chapter and receive all of the relevant information. I’d highly recommend it to anyone interested in the history of either Sparta or Athens, women’s roles in traditional societies, and women’s roles in pagan religions.

Les nationalismes en Ukraine et en Crimée

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LES NATIONALISMES EN UKRAINE ET EN CRIMEE
 
Au-delà de l’affaire…

Michel Lhomme
Ex: http://metamag.fr
 
Parler de l’affaire ukrainienne, c’est aussi parler de ce pays et de sa population, de ses forces vives. En fait, l'Ukraine peut-elle devenir un pays indépendant ? Doit-elle forcément être inféodée à l'Europe  ou à la Russie ? Le destin de ce pays ne nous est-il pas commun ?

Il faut évoquer la fierté combattante du peuple ukrainien, comme quelque chose d'inestimable. C'est tellement vrai qu'à Paris, on « hitlérise » ce peuple, on le pestifère. Les nationalistes ukrainiens seraient d'extrême-droite et en plus, d'affreux antisémites. Cela n'a pas gêné Bernard Henri-Lévy tant qu'on pouvait manipuler Maïdan ! Or, les nationalistes ukrainiens, ce sont les  ( le ''Secteur Droit'', rassemblement de plusieurs mouvements nationalistes ukrainiens comme Tryzub ou l’UNA-UNSO, NDT) et un parti nationaliste jugé plus «modéré», Svoboda. Ce sont les militants de ces partis qui sont morts à Maïdan. Or, les nationalistes ukrainiens sont morts pour Kiev pas pour Poutine.
 
Poutine avait confié l’Ukraine à une minorité ethnique qui a profité du pouvoir pour s’imposer et russifier. C'était une minorité corrompue qui a utilisé la pire des propagandes, l'ancienne propagande soviétique à savoir l'anti-fascisme, l'anti-nazisme et qui en a abusé pour faire taire aux Ukrainiens l'amour de la patrie. Mais, victorieux, les nationalistes ukrainiens ont gagné une première manche ! D'abord, ils ont obtenu la libération de toutes les personnes arrêtées lors des émeutes, le licenciement de cinquante juges accusés de corruption, la grâce d’un père et de son fils condamnés pour avoir abattu un magistrat, symbole de la corruption post-communiste et l’octroi à un membre du parti Svoboda du poste de procureur général de toute l’Ukraine. Pendant ce temps, la rue, dominée par le Praviy Sektor a poussé Yulia Timochenko à la retraite anticipée en lui faisant retirer sa candidature et a clairement fait savoir que l’Ukraine n’est pas disposée à devenir une colonie américaine.
 
C’est d'ailleurs toujours le Praviy Sektor, décrit dans les médias occidentaux comme une bête immonde qui a réussi à faire rejeter la candidature au poste de Premier ministre du champion des Américains, Vitaliy Klitchko. Le fait est que le Praviy Sektor a été maître de la négociation et ne regarde pas comme Svoboda en direction de l'Ouest. Car qu'est-ce qu'un regard confiant vers  l’Ouest (dixit Svoboda),  dans une zone de frontière, si ce n'est une allégeance ? 

Si Svoboda et le Praviy Sektor entrent en conflit , si les fonctionnaires de Svoboda s’abaissent devant les hommes de Soros, le Praviy Sektor sera le mouton noir sacrifié sur l’autel de l’occidentalisation. Les nationalistes ukrainiens doivent au plus vite demander des garanties dans leurs nouvelles relations économiques, énergétiques et diplomatiques avec la Russie. Les relations internationales ne se bâtissent pas sur la sympathie entre partenaires ou sur la défense d'une cause commune. Elles sont basées sur des intérêts communs, lorsque les parties contractantes sont dans un rapport de force à peu près égal. Paradoxalement, c'est parfois aussi dans la haine réciproque que se bâtissent les meilleures alliances, ce qui est le cas actuellement en Ukraine, entre nationalistes ukrainiens et nationalistes russes. Il n’est pas inconcevable que, dans les prochains mois, il incombe précisément aux nationalistes ukrainiens de gérer leurs relations avec la Russie. Le pire serait une polarisation Svoboda contre Praya Sektor, source potentielle d'une guerre civile profitable à beaucoup selon le vieux principe machiavélien du ''diviser pour régner''. 

Le retour au calme en Ukraine ne se fera pas sans un consensus fort avec les nationalistes radicaux qui ont débordé l’opposition parlementaire et sont  la force vive de l'eurasisme à construire, cet espoir de bâtir un nouvel Etat au frontière de l’Europe, un Etat, nationaliste et orthodoxe. Sinon, l’Ukraine se dirigera vers une scission de fait, se transformera en une grande Moldavie à l’Ouest et une Nouvelle Ossétie à l’Est (et en Crimée notamment). L’Ukraine aura alors été sacrifiée au sein d’une féroce lutte géopolitique des grands ensembles sur le continent. Elle sera alors réduite à n'être qu'une sorte de colonie dont on aurait instrumentalisé les nationalistes afin de briser un espoir européen plus grand, un espoir de constituer un réel pays indépendant. 

On peut alors imaginer que ces micro-nationalismes, ces régio-nationalismes n'auront servi qu'à assurer l’extension de l’Otan et l’intégration des nations européennes dans un conglomérat sous domination américaine. Priver l’Europe d’une alliance avec la Russie, c’est aussi empêcher le grand retour européen vers l'Est, vers la Sibérie, l'Asie centrale.

On the Russian Annexation of Crimea

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On the Russian Annexation of Crimea

By Guillaume Faye 

Ex: http://www.counter-currents.com

Translated by Greg Johnson

The Crimean parliament has called for independence from Ukraine and a referendum over joining the Russian Federation. Thunder in the chancelleries! The Crimean authorities are illegitimate because they are self-proclaimed. Who is right, who is wrong?

Barack Obama said on March 6 that the planned referendum for joining Russia would be undemocratic and illegal. (See previous articles on this point). He was followed in this analysis by the European governments. So, the decisions of the people are supposed to be  illegitimate if they do not support the interests and ideology of what the Russians call the “Western powers.” Democracy is, therefore, a rubber standard.

Here we encounter a very old problem: the principle of nationality in the ethnic sense against the same principle in the political sense. Let me explain. Politically, the detachment of Crimea from Ukraine is actually illegal under the constitution of Ukraine, a Republic “one and indivisible” like France. But Ukraine is a very unstable, indeed divided nation state. Imagine that tomorrow in France a majority of Bretons or Corsicans wanted to unconstitutionally secede.[1] Worse still, imagine a future region of France populated after decades of colonization migration by an Arab-Muslim majority desiring autonomy or attachment to an overseas Mediterranean country . . .

The same problem happens all over the world: in Spain with the Catalans, in Britain with the Scots, in Belgium with the Flemings, in Israel with Muslim citizens who have higher rate of population growth. Many examples exist in Africa and Asia. Remember Kosovo, torn away from Serbia because Albanians became the majority? In that case, the Americans and the West agreed to the partition of Serbia! They are no longer for partition in Crimea. A double standard.

Americans would do well proclaiming their principles carefully. For what if a Hispanic majority emerges in the Southwestern states (through immigration and high fertility) and demands to rejoin Mexico? That is a real risk in the next 20 years . . . This brings us to the old conflict between legality and legitimacy, thoroughly analyzed by Carl Schmitt. And it also makes us reflect on the concept of the multiethnic state (imperial/federal), which historically has always been difficult to manage and quite unstable.

In the minds of Putin and the Kremlin, Crimea historically belongs to Russia: it is predominantly Russian-speaking and houses part of the fleet. Putin wants to restore Russia, not to the borders of the USSR but to those of Catherine the Great, the Russian Empire, which the ambitious Vladimir wishes to defend. Then what? Of course, Vladimir Putin wants to appear to his people as the one who brought back the (formerly Russian) Crimea to the motherland and wants to restore the Russian international power.

Putin handled the crisis smoothly, using good judo to turn to his advantage the aggressive moves of his opponents, including the EU, NATO, and the U.S., to draw Ukraine into their fold.[2] It is a major geopolitical mistake to provoke Russia instead of respecting its sphere of influence, pushing it into the arms of China. It is stupid to revive the Cold War. Russophobia is not in the interests of Europeans. Russian power is not a threat, it is an opportunity. Presenting Putin’s Russia as a threat to “democracy” is the sort of lazy propaganda championed by the attention whore and professional dilettante Bernard-Henri Lévy. Of course, Washington’s policy (which is logical) is both to prevent Russia  from once again becoming a great power and decoupling the EU and Russia: it is a general trend.

Meanwhile, the Ukrainian crisis is just beginning. This improbable country will probably not find a stable balance. Crimea will probably end up being part of Russia. Eastern and Southern Ukraine may become quasi-protectorates tied to Russia. The Western region, under the influence of “nationalist” and pro-Western Ukrainians has a more complicated fate. Indeed, Ukrainian nationalism faces a fundamental contradiction, for they are attracted to the EU, but it is committed to a cosmopolitan ideology opposed to all nationalism. And all “ethnic hatred.” This cannot be overcome. There is an inherent incompatibility between Ukrainian nationalism and the EU’s ideological vulgate, which many do not understand.

In history, there are often insoluble problems. My Russian friend Pavel Tulayev, who has published me in Russia, understands this well: the union of all peoples of European descent from the Atlantic to the Pacific is the only way, regardless of political organization. The Ukraine crisis is a resurgence of the 19th and 20th centuries. But we are in the 21st century.

Notes

1. Already the “Red Hats” present Breton autonomist claims against the French State tax, yet they do not belong to the traditional Breton autonomy and independence movement. Good food for thought . . .

2. In addition, Putin played upon the new authorities in Kiev’s measures against Russian speakers.


Article printed from Counter-Currents Publishing: http://www.counter-currents.com

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Sobre “La insubordinación fundante".

Prologo de Helio Jaguaribe al libro “La insubordinación fundante. Breve historia de la construcción del poder de las naciones” escrito por Marcelo Gullo* y publicado en Buenos Aires por la Editorial Biblos en octubre del 2008.

marcelo-gullo.jpgCon “Insubordinación fundante”, Marcelo Gullo alcanza plena y brillante realización de su propósito de estudiar, histórica y analíticamente, desde la periferia, las relaciones internacionales. El concepto de periferia, para Gullo, adquiere un doble significado: se trata, por un lado, de una perspectiva y, por otro, de un contenido.

Como perspectiva, corresponde a la mirada del mundo por parte de un intelectual sudamericano, desde el Mercosur y, más restrictivamente, desde el ámbito argentino-brasileño.

Como contenido, corresponde al análisis de cómo, países periféricos en general y, más específicamente, Estados Unidos, Alemania, Japón y China –citados por el orden cronológico de sus respectivas revoluciones nacionales – lograron salir de su condición periférica y se convirtieron en países efectivamente autónomos, en importantes interlocutores internacionales independientes. Este excelente libro conduce, en su conclusión, a una relevante discusión de la situación de Sudamérica y de cómo la región podrá, a su vez, superar su condición periférica y convertirse también –como lo hicieron los mencionados países – en un importante interlocutor internacional independiente.

Creo que habría que destacar en este magnifico estudio tres aspectos principales: 1) su relevante sistema de categorías analíticas; 2) su amplia información histórica, y 3) su tesis central de que todos los procesos emancipatorios exitosos resultaron de una conveniente conjugación de una actitud de insubordinación ideológica para con el pensamiento dominante y de un eficaz impulso estatal.

De manera general, Gullo se sitúa en el ámbito de la escuela realista de Hans Morgenthau y Raymond Aron. Son las condiciones reales de poder las que determinan el poder de los Estados, incluidas en esas condiciones la cultura de una sociedad y su psicología colectiva. Así contempladas las relaciones internacionales se observa, desde la antigüedad oriental a nuestros días, el hecho de que se caracterizan por ser relaciones de subordinación en las que se diferencian pueblos y Estados subordinantes y otros subordinados. Este hecho lleva a la formación, en cada ecúmene y en cada período histórico, de un sistema centro-periferia, marcado por una fuerte asimetría, en la que provienen del centro las directrices regulatorias de las relaciones internacionales y hacia el centro se encaminan los beneficios, mientras la periferia es proveedora de servicios y bienes de menor valor, y queda, de este modo, sometida a las normas regulatorias del centro.

Las características que determinan el poder de los Estados y las relaciones centro-periferia cambian históricamente, adquiriendo una notable diferenciación a partir de la Revolución Industrial. Por mencionar sólo un ejemplo –el del mundo occidental de la Edad Moderna– puede observarse que la hegemonía española de los siglos XVI a XVII, seguida por la francesa, hasta mediados del XVIII, se fundaban, económicamente, en un mercantilismo con base agrícola y, militarmente, en la capacidad de sostener importantes fuerzas permanentes.

A partir de la Revolución Industrial se produce un profundo cambio en los factores de poder y, Gran Bretaña, como única nación industrial durante un largo período, pasó a detentar una incontrastable hegemonía. Algo similar sucederá, ya en el siglo XX, con Estados Unidos.

En ese marco histórico, el estudio de Gullo muestra cómo, para comprender los procesos en curso, es necesario emplear un apropiado sistema de categorías. Entre esas categorías sobresalen las de “umbral de poder”, que determina el nivel mínimo de poder necesario para participar del centro; la de “estructura hegemónica”, la de “subordinación ideológica” y la de “insubordinación fundante”.

Una de las más significativas observaciones de este libro se refiere al hecho de que, a partir de su industrialización, Gran Bretaña pasó a actuar con deliberada duplicidad. Una cosa era lo que efectivamente hacía para industrializarse y progresar industrialmente y otra lo que ideológicamente propagaba, con Adam Smith y otros voceros. Algo similar a aquello que, actualmente, hace Estados Unidos.

Insubordinacion-y-desarrollo-de-Marcelo-Gullo.jpgLa industrialización británica, incipiente desde el renacimiento isabelino y fuertemente desarrollada desde fines del siglo XVIII con la Revolución Industrial, tuvo, como condición fundamental, el estricto proteccionismo del mercado doméstico y el conveniente auxilio del Estado al proceso de industrialización. Obteniendo para sí buenos resultados de esa política, Gran Bretaña se esmerará en sostener, para los otros, los principios del libre cambio y de la libre actuación del mercado y condenará, como contraproducente, cualquier intervención del Estado. Imprimiendo a esa ideología de preservación de su hegemonía las apariencias de un principio científico universal de economía, logró con éxito persuadir de su procedencia, por un largo tiempo (de hecho, pero teniendo como centro Estados Unidos, hasta nuestros días), a los demás pueblos que, así, se constituyeron, pasivamente, en mercado para los productos industriales británicos y después para los norteamericanos, y permanecieron como simples productores de materias primas.

En ese contexto, Gullo presenta otra de sus más relevantes contribuciones: sus teorías de la “insubordinación fundante” y del “impulso estatal”. A tal efecto analiza los exitosos procesos de industrialización logrados en el curso de la historia por países como Estados Unidos, Alemania, Japón y China. Muestra que la superación de la condición periférica dependió, en todos los casos, de una vigorosa contestación al dominante pensamiento librecambista, identificándolo como ideología de dominación y, mediante una “insubordinación ideológica”, logró promover, con impulso del Estado y con la adopción de un satisfactorio proteccionismo del mercado doméstico una deliberada política de industrialización.

Así lo hizo Estados Unidos con la tarifa Hamilton de 1789, a la que seguirán nuevas y más fuertes restricciones tarifarias, como, por mencionar alguna de la más notorias, la tarifa Mackinley de 1890. Así también se condujo la Alemania de Freidrich List, empezando con el Zollverein de 1844. Japón, más tardíamente, seguirá el mismo ejemplo, con la Revolución Meiji de 1868. China, finalmente, empezará a hacerlo con Mao Zedong, aunque su política sufra negativas perturbaciones ideológicas con el “Gran Salto Adelante” (1958-1960) y después con la “Revolución Cultural” de 1966 hasta, prácticamente, la muerte de Mao en 1976. Le tocó, así, a ese extraordinario estadista, Deng Xiaoping, adoptar racionalmente en su período de gobierno (1978-1988) el principio del impulso estatal, combinándolo con una política de libertad de mercado “selectiva” bajo la orientación del Estado. Gracias a ello China mantiene, desde entonces e interrumpidamente, tasas anuales de crecimiento económico del orden de 10 por ciento, y alcanza ya a convertirse en la tercera economía del mundo.

Este espléndido estudio de Gullo culmina con reflexiones extremamente pertinentes acerca de las posibilidades que tiene América del Sur de realizar esa “insubordinación fundante” y, con el apoyo del Estado, salir de su condición periférica para convertirse de ese modo en un importante interlocutor internacional independiente.

Considero este libro de Marcelo Gullo, de lectura indispensable para todos los sudamericanos, comenzando por sus líderes políticos.

 *Marcelo Gullo ( marcelogullo2003@yahoo.com.ar), nació en la ciudad de Rosario, Argentina, en 1963. Es Doctor en Ciencia Política por la Universidad del Salvador. Licenciado en Ciencia Política por la Universidad Nacional de Rosario, Graduado en Estudios Internacionales por la Escuela Diplomática de Madrid y obtuvo el Diploma de Estudios Superiores (Maestría) en Relaciones Internacionales, especialización en Historia y Política Internacional, por el Institut Universitaire de Hautes Etudes Internationales, de Ginebra. Ha publicado numerosos artículos y libros entre ellos “Argentina Brasil: La gran oportunidad” (Buenos Aires, Ed. Biblos, 2005). Analista Principal de Política Internacional en Radio del Plata FM Rosario. Actualmente es profesor de la Universidad de Lanús, Buenos Aires, Argentina.

Ver también: Venezuela pone en marcha la teoría de la insubordinación fundante. Entrevista con su autor, el profesor argentino Marcelo Gullo.

Peut-on reconstituer les mythes du Paléolithique supérieur?

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Ce que les mythes disaient, il y a 20.000 ans...
 
Peut-on reconstituer les mythes du Paléolithique supérieur?

Julien d'Huy*
Ex: http://metamag.fr
 
Certains récits complexes se retrouvent dans de vastes régions du monde. Ils auraient traversé le temps, sous une forme presque inchangée, et proviendraient, pour quelques uns, du Paléolithique supérieur.

Peut-on reconstituer les mythes du Paléolithique supérieur ? Une nouvelle méthode propose de s'appuyer sur les mythes recueillis à l'époque moderne et, en s'appuyant sur la grande stabilité de ce type de récits à travers le temps, de leur appliquer des algorithmes phylogénétiques, autrement dit, des équations utilisées les biologistes pour reconstruire les arbres de la vie.

De façon surprenante, les arbres ainsi obtenus semblent suivre la route des premières migrations de l'humanité, ce qui permet de dater certains mythes du Paléolithique supérieur. La modélisation de leur évolution tend à montrer qu'ils seraient essentiellement hérités d'une génération à l'autre et qu'ils évolueraient par « équilibre ponctué », autrement dit, qu'ils resteraient stables pendant très longtemps avant d'évoluer fortement sur une brève période de temps, à l'occasion de migrations ou de tensions territoriales, par exemple. Notons que cette formalisation est en accord avec les données ethnologiques.

Une méthode appliquée avec succès à trois grandes familles de mythes  

1/ Pygmalion, où un créateur tombe amoureux d'une image qu'il a lui-même créée, et où celle-ci finit par s'animer ; 

2/ Polyphème, où un homme se retrouve piégé dans une grotte en compagnie d'un monstre et ne parvient à s'échapper qu'en se glissant sous une peau d'animal ou un animal vivant, échappant ainsi à la surveillance du monstre ; 

3/ la Chasse cosmique, où un animal, pourchassé, s'enfuit jusqu'au ciel et se transforme en constellation. Les deux derniers récits remonteraient au Paléolithique supérieur.

Un des acquis les plus intéressants de cette méthode est la possibilité de reconstruire, d'un point de vue statistique, le proto-mythe, ou du moins, une des premières versions du mythe étudié. Il devient alors possible de reconstituer certaines croyances des hommes du Paléolithique. 

Deux exemples

Le proto-mythe de Polyphème, tel qu'il a été statistiquement reconstruit, raconte comment un homme s'introduit dans une grotte où sont enfermés des animaux. Il s'y trouve bloqué par un monstre qui l'empêche de s'enfuir en fermant la grotte par une énorme pierre. Le monstre tente ensuite de tuer l'intrus, en se postant près de l'entrée et en faisant sortir tour à tour les animaux de la caverne. L'homme parvient pourtant à s'échapper, en se cachant sous le ventre d'un animal, et à ainsi passe au nez et à la barbe du monstre.
 
Quant à la première version reconstruite de la Chasse cosmique, elle expliquerait l'apparition de la constellation de la Grande Ourse : un grand herbivore cornu – probablement un élan – est pourchassé par un chasseur. Il court jusqu'au ciel et il s'y transforme en amas d'étoiles.

*publié sur Hominides.com

jeudi, 13 mars 2014

China's Xi Jinping urges US to show restraint over Ukrainian crisis

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China's Xi Jinping urges US to show restraint over Ukrainian crisis

Ex: http://www.geopolitica.ru

China feels that all parties related to the situation in Ukraine should show restraint to avoid fomenting tension, the President of the People’s Republic of China, Xi Jinping, said in a statement. "China has taken an unbiased and fair stand on Ukraine’s issue. The situation in Ukraine is involved, so all parties should retain composure and show restraint, to prevent tension from making another upward spiral”, the Chinese leader said in a telephone conversation with his US counterpart Barack Obama.

Xi Jinping pointed out that the crisis should be settled politically and diplomatically. He said he hoped that all the parties interested would be able to reconcile their differences in a proper way, through contact and consultation, and would bend every effort to find a political solution to the problem.

President Xi said the situation in Ukraine is "highly complicated and sensitive," which "seems to be accidental, (but) has the elements of the inevitable."

He added that China believes Russia can "push for the political settlement of the issue so as to safeguard regional and world peace and stability" and he "supports proposals and mediation efforts of the international community that are conducive to the reduction of tension."

"China is open for support for any proposal or project that would help mitigate the situation in Ukraine, China is prepared to remain in contact with the United States and other parties interested”, the Chinese President said.

The Xinhua news agency said earlier in a comment that Ukraine is yet another example for one and all to see of how one big country has broken into pieces due to the unmannerly and egoistic conduct of the West.

Pour le rattachement de la Crimée à la Russie?

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Pour le rattachement de la Crimée à la Russie?

par Guillaume Faye

Le Parlement de Crimée s’est prononcé pour un détachement de l’Ukraine et un référendum de rattachement à la Fédération de Russie. Tonnerre dans les chancelleries : les nouvelles autorités de Crimée seraient illégitimes parce qu’autoproclamées. Qui a raison, qui a tort ?

 Barack Obama a déclaré le 6 mars  que ce référendum prévu pour le rattachement de la Crimée serait antidémocratique et illégal. (Voir articles précédents sur ce point).  Il a été suivi dans cette analyse par les gouvernements européens.  Donc, les décisions du peuple sont supposées illégitimes si elles ne vont pas dans le sens des intérêts et de l’idéologie de ce que les Russes appellent les ”puissances occidentales ”. La démocratie est donc à géométrie variable. 

 

On se heurte ici à un très ancien problème : celui du principe de nationalité au sens ethnique contre le même principe au sens politique. Expliquons-nous. Politiquement, le détachement de la Crimée de l’Ukraine est effectivement illégal par rapport à la constitution de l’Ukraine, république ”une et indivisible” comme la France. Mais L’Ukraine est un État-Nation très instable, de fait partagé. Imaginons que, demain, en France, une majorité de Bretons ou de Corses veuillent, inconstitutionnellement, faire sécession. (1) Pis : imaginons dans l’avenir une région de France, finissant par être peuplée après des décennies de colonisation migratoire, d’une majorité d’Arabo-musulmans et désirant une autonomie ou un rattachement à un pays d’outre Méditerranée… 

 Le même problème est récurrent dans le monde entier : en Espagne avec les Catalans, en Grande-Bretagne avec les Écossais, en Belgique avec les Flamands, en Israël avec les citoyens musulmans en croissance démographique supérieure. De multiples exemples existent en Afrique et en Asie. Rappelons-nous du Kossovo, arraché de la Serbie parce que les Albanais y étaient devenus majoritaires : dans ce cas-là d’ailleurs, les Américains et les Occidentaux étaient d’accord pour le détachement de la Serbie ! Et ils ne le sont plus dans le cas de la Crimée. Deux poids, deux mesures.

Les Américains feraient bien de se méfier avant de proclamer leurs grands principes. Car se passera-t-il si les États du sud, de plus en plus hispanophones (immigration et effet démographique) exigent un jour leur rattachement au Mexique ? Il s’agit d’un risque réel dans les 20 ans à venir… Cela nous renvoie au vieux conflit entre légalité et légitimité, bien analysé par Carl Schmitt. Et cela nous fait réfléchir aussi à la notion d’État pluriethnique (impérial/fédéral) qui a toujours été dans l’histoire difficile à gérer et très instable. 

 

  Dans l’esprit du Kremlin et de Poutine, la Crimée appartient historiquement à la Russie : elle est majoritairement russophone et abrite une partie de la flotte. Poutine veut rétablir la Russie, non pas tant dans les frontières de l’URSS que dans celles de la Grande Catherine, de l’Empire russe, dont l’ambitieux Vladimir se veut le défenseur.  Et alors ? Bien évidemment,  Vladimir Poutine veut apparaître auprès de son peuple comme celui qui a fait revenir la Crimée (jadis russe) à la mère patrie et qui veut restaurer la puissance internationale russe.   

Il a joué sur du velours en bon judoka qui utilise à son profit, par retournement, l’agressivité de son adversaire : notamment les manœuvres de l’UE, de l’Otan et des USA pour attirer l’Ukraine dans leur giron, ce qui constitue une erreur géopolitique majeure. (2) Provoquer la Russie au lieu de respecter sa sphère d’influence, c’est la pousser dans les bras de la Chine. C’est relancer stupidement la guerre froide. La russophobie n’est pas dans l’intérêt des Européens. La puissance russe n’est pas une menace, c’est une chance. Présenter la Russie de Poutine comme un danger contre la ”démocratie” relève d’une propagande sommaire dont BHL, avide de notoriété, maître en amateurisme et en romanisme cuistre, se  fait le chantre.  Bien entendu, la politique de Washington (ce qui est logique) vise doublement à empêcher la Russie de redevenir une grande puissance et à découpler l’UE de la Russie : c’est une tendance lourde.

En attendant, la crise ukrainienne ne fait que commencer. Il est peu probable que ce pays improbable retrouve un équilibre étatique. La Crimée va sans doute finir par être rattachée à la Russie. L’Est et le Sud de l’Ukraine peuvent devenir une sorte de protectorat lié à la Russie. L’Ouest du pays, à la fois sous l’emprise des ”nationalistes” ukrainiens et pro-occidental aura un destin plus compliqué : en effet, ce nationalisme ukrainien va se heurter à une contradiction fondamentale. Car il est attiré par l’UE mais cette dernière développe une idéologie cosmopolite opposée à tout nationalisme. Et à tout ”ethnicisme”. Cela ne pourra pas être surmonté.  Il y a une incompatibilité de nature entre le nationalisme ukrainien et la vulgate idéologique de l’UE, ce que beaucoup ne comprennent pas.

Dans l’histoire, il y a souvent des équations insolubles. Mon ami russe Pavel Toulaëv, qui m’a édité en Russie, a bien compris les choses : l’union de tous les peuples d’origine européenne de l’Atlantique au Pacifique est la seule voie possible, quelle qu’en soit l’organisation politique. La crise ukrainienne est un resurgissement des XIXe et XXe siècles. Or nous sommes au XXIe siècle. 

Notes:

 

1. Déjà les ”bonnets rouges” bretons présentent des revendications autonomistes contre l’État français fiscaliste, alors qu’ils n’appartiennent pas à la mouvance traditionnelle des autonomistes et indépendantistes bretons. Bon sujet de réflexion…

2. De plus, Poutine a joué sur les mesures anti-russophones prises par les nouvelles autorités de Kiev.

Robert Taft and His Forgotten "Isolationism"

Robert Taft and His Forgotten "Isolationism"

By

Mises.org

Ex: http://www.lewrockwell.com

taft.jpgRepublicans are today almost always fervent supporters of big military budgets and an interventionist foreign policy.

But many Republicans forget a period before and after World War II when dozens of Republican lawmakers were against military alliances and a save-the-world American foreign policy. They ignore a time when many of their predecessors were called isolationists. Later, these Cold War isolationists criticized an interventionist foreign policy. They were sometimes labeled “apologists” for Moscow. The accurate term for these forgotten Republicans is “non-interventionists.” One of the leaders of the isolationists/non-interventionists was Republican Senator Robert Alphonso Taft (1889-1953).

Taft is now a forgotten Republican, but in the 1940s and 1950s he was known as “Mr. Republican.” Taft has few scions in the modern GOP.

Still, echoes of Taft recently re-surfaced, even though many of the people subscribing to these ideas had never heard of Taft. Millions of Americans inadvertently became “isolationists” for a short period. After President Obama suggested that the United States should start bombing Syria, they flooded Washington with communications, insisting that we stay out. Taft likely would have been delighted. He believed that when foreign policy issues were extensively debated by the public the potential for war declined.

However, “most Republicans,” Wall Street Journal columnist Bret Stephens recently wrote during the Syrian debate, “don’t want to become again the party of isolationists.” Nevertheless, Taft has been acclaimed as one of the great leaders of the modern Republican Party by numerous historians. He represented a GOP wing that embraced a peaceful way of engaging the world. This was a philosophy that once was very popular with most Americans. Still, the John McCain/Mitch McConnell rationale for still another American military intervention was that “the prestige of the presidency” would be hurt if President Obama backed down.

Taft viewed the prestige of the presidency and the world in a different way. He was not only a critic of big federal budgets, he frequently complained about defense spending after WWII. Taft consistently warned of the tragic nature of war, saying “[w]e should never forget what an awful catastrophe war is.”

Taft also warned of the long term domestic effects of following an imperial foreign policy. “Just as our nation can be destroyed by war it can also be destroyed by a political or economic policy at home which destroys liberty or breaks down the fiscal and economic structure of the United States,” Taft wrote in his only published book, A Foreign Policy for Americans. Taft continued: “We cannot adopt a foreign policy which gives away all of our people’s earnings or imposes such a tremendous burden on the individual American as, in effect, to destroy his incentive and his ability to increase production and productivity and his standard of living.”

Once committed to an interventionist foreign policy. Taft believed defense spending would stay at permanently high levels if the United States entered into military alliances. The use of U.S military power, he said, should be very limited.

“I do not believe any policy which has behind it the threat of military force is justified as part of the basic foreign policy of the United States except to defend the liberty of our people,” Taft wroteIt is that comment, along with his 1949 vote against joining NATO, which explains why Taft is usually cited by Republicans today as an example of the so-called bad old days. Taft also didn’t want the United States to have a peacetime draft. The domestic consequences of an aggressive foreign policy, he warned, would lead to the curtailment of civil liberties.

Taft scholar Professor John Moser of Ashland University writes that Taft believed that war tended to concentrate power in the hands of the central state. It threatened, Taft believed, “the cherished American ideals of limited government and separation of powers.” It reduced the powers of state and local governments, Taft said. Decentralized government, Taft held, was one of the guarantees of liberty. Moser also wrote that Taft had an “innate anti-militarism.”

Centralization would be furthered by the American state entering into military alliances, Taft said. By turning its back on its non-interventionist history, the nation would be bogged down in needless wars.

Taft also had an innate decency. He opposed war-crime trials and criticized the War Department’s jailing of Japanese-Americans during WWII. Taft called the treatment of Japanese Americans the product of “the sloppiest criminal law I have read or seen anywhere,” according to Secretary Stimson by Richard N. Current.

Who was Robert Taft? The son of a president and U.S. Supreme Court justice, Taft was elected in 1938 to the Senate from Ohio. Beginning his congressional career as a critic of FDR’s New Deal, he would warn of the dangers of an aggressive foreign policy. Taft opposed FDR’s backdoor foreign policy just before WWII.

This was a policy in which FDR proclaimed America’s intent to stay out of European wars—clearly a policy favored by most Americans in the late 1930s and early 1940s as shown in public opinion polls—while he privately supported the British. He also often ignored Congress while his policy became deliberately provocative.

After World War II, Taft ended his career by questioning the Truman Doctrine—which committed the United States to opposing communism in Greece and Turkey as well as almost anywhere else—and later urged president Dwight Eisenhower not to send troops to Indochina to save the French. Their Asian empire was collapsing in the early 1950s. Although initially supportive of President Truman in the Korean War, Taft later complained that the president had never asked for Congressional authorization in sending troops into war. Taft also questioned the legitimacy of the UN resolution calling for American intervention.

Taft hated the term “isolationist,” but said he accepted it if it meant “isolating the United States from the wars of Europe.” Still, isolationism was a sentiment that was in the political mainstream through a large part of the 20th century. Taft was three times a failed aspirant for his party’s presidential nomination. His last try was in 1952. The GOP’s internationalist wing triumphed, giving the nomination to Eisenhower. Here was a turning point in American history. “Taft,” wrote Michael Burleigh in Small Wars, Faraway Places, was a “serious anti-interventionist presidential candidate.”

Taft also complained of a modern presidency with seemingly unlimited powers. By contrast, Taft believed America should continue its historic no-military-alliance policy as stated in George Washington’s Farewell Address.

Taft also criticized bipartisan support for aggressive American foreign policy. Taft, in a debate that would recur prior to numerous wars, argued that a president’s foreign policy should face the same political constraints as his domestic policy. “There are some who say politics should stop at the water’s edge, and that nation must present a united front. I do not agree,” Taft said in a radio address in September 1939.

Taft also warned that the United States, supposedly trying to help struggling democracies and fight totalitarian regimes after WWII, could easily slip into the 19th-century role of the British Empire. The United States, Taft said, could become the self-appointed world policeman, a new John Bull (Novelist Washington Irving had written in his sketch John Bull, “He [John Bull] is continually volunteering his services to settle his neighbors’ affairs and take it in great dudgeon if they engage in any matter of consequence without asking his advice.”)

Many years later, amongst the angst caused by the Vietnam War, a few Americans did start to reconsider Taft. It was Washington Post columnist Nicholas von Hoffman who aptly described Taft’s so-called isolationism after it was repeatedly dismissed.

“It is a full generation later,” von Hoffman wrote, “and it turns out that Taft was right on every question all the way from inflation to the terrible demoralization of the troops.” He noted that Dean Acheson in the 1970s, still condemned isolationism and President Nixon disparaged Taft’s foreign policy. Von Hoffman concluded both were wrong.

Taft’s foreign policy, the columnist said, “was a way to defend the country without destroying it, a way to be part of the world without running it.” It’s time for a reconsideration of this forgotten Republican.

Honduras, principale plaque-tournante de la drogue en Amérique Centrale

Honduras, principale plaque-tournante de la drogue en Amérique Centrale
 
Quelques révélations gênantes sur l'Etat américain

Michel Lhomme
Ex: http://metamag.fr

De nouveaux documents et des témoignages d’officiels de la Drug Enforcement Administration (DEA), montrent que les histoires ''fantasmatiques'' concernant le gouvernement américain qui importerait officieusement de la cocaïne sont vraies. Une enquête faite au Mexique a prouvé que le gouvernement américain a autorisé le plus important des cartels de la drogue de ce pays, Sinaloa, d’opérer sans crainte de persécutions. 


 

Ce groupe est responsable de 80% de la cocaïne qui entre aux Etats-Unis par Chicago. En échange, les leaders de Sinaloa donneraient des informations à la DEA sur les gangs rivaux de la drogue, histoire de justifier leur présence au Mexique. En plus de Chicago, le groupe Sinaloa maintient des opérations de cocaïne dans plusieurs des plus grandes villes américaines. Des déclarations écrites furent faites au tribunal de district de Chicago, confirmant l’alliance de la DEA et du plus gros cartel de la drogue mexicain. Ces témoignages écrits et révélés sous serment montrent des officiels de la DEA rencontrant régulièrement des leaders du cartel Sinaloa plus de 50 fois entre 2000 et 2012. Le trafic autorisé par la DEA remonterait au début de l’administration de W. Bush et cela continuerait sous la présidence d’Obama. 


Un des leaders du groupe, Vincente Zambada-Niebla, affirme que le gouvernement américain a fait envoyer des armes au cartel Sinaloa. D’après d'autres révélations, ce furent ces armes qui furent à l’origine du scandale de l’Opération Fast and Furious qui vit le bureau américain du Tabac de l’Alcool et des Armes, l’organisme fédéral qui gère ces trois produits, vendre des armes au Mexique, armes qui se retrouvèrent ensuite dans les mains du cartel de la drogue ! Ces armes automatiques avaient malencontreusement “disparues” durant une opération anti-drogue commandée par le ministre de la justice, Eric Holder puis elles réapparurent aux mains des membres du cartel pour cette fois-ci tuer des agents fédéraux gardes-frontière. Cette toute dernière preuve a scandalisé fortement l'opinion publique américaine et ce scandale politique implique à la fois les gouvernements républicain et démocrate. 
Ainsi, des armes achetées pour l’armée américaine auraient été envoyées au cartel de la drogue pour finalement tuer des agents américains ! En fait, nous avons été le témoin direct au Pérou des mêmes turpitudes de la DEA et un agent de l'agence américaine nous l'avait discrètement confirmé. L'argent de la cocaïne est vital pour le cash de la bourse de New York. Nous avons eu l'occasion de ''visiter'' une ''base'' souterraine de narcos au Pérou étrangement bien équipée avec du matériel militaire américain d'observation et de détection. 


Ces dérives américaines sur la cocaïne en Amérique latine nous rappellent les atterrissages nocturnes en provenance d'Afghanistan sur la grande base américaine du Kosovo, les ballets d'avion cargo du Vietnam et encore, autre témoignage personnel, une certaine connexion tamoul pour la drogue avec la CIA pendant le conflit sri-lankais. Un autre bon exemple reste le Honduras qui, après le coup d’état du 28 juin 2009 exécuté avec la complicité du gouvernement étasunien et les élections truquées du 24 novembre 2013, paraît être de plus en plus miné de l'intérieur par de pseudos processus électoraux conçus pour le rétablissement de la soi-disant ''institutionnalité'' démocratique et qui ont été l'objet de fraudes manifestes. Ainsi, aux Honduras, la communauté internationale (CELAC, OEA et UE incluses) qui s’étaient opposées à l'autoritarisme de Roberto Michelleti, semblent maintenant très bien s'accommoder de Pepe Lobo, le nouvel homme fort du pays qui gouverne par la persécution, la terreur et les massacres collectifs. D'ailleurs, une quantité croissante de veuves et d’orphelins en sont maintenant à se réfugier comme au bon vieux temps des dictatures latinos dans les églises. Dans l'indifférence internationale générale, le pays est en pleine désintégration sociale. Or, n'oublions pas que le Honduras représente la première intervention nord-américaine directe de « basse intensité » en Amérique latine du vingt et unième siècle, en sorte pour les States, le modèle sans doute de sa politique latino !


En fait les USA auraient tissé de longue date des liens avec le plus grand cartel de la drogue du Honduras et  le gouvernement américain ne semble pas du tout vouloir perdre le contrôle du territoire hondurien parce que c'est à partir de là, que se distribuerait le flux dynamique régional et continental de l’industrie du narcotrafic. L'industrie de la drogue injecte d’immenses quantités de dollars frais dans le système bancaire nord-américain aujourd'hui en pleine phase critique. Sans les dollars du narcotrafic ou les bénéfices de l’industrie de l’armement qui descendent vers le Sud, l’économie yankee se serait depuis longtemps écroulée. C’est pour cela que le gouvernement étasunien s’est pratiquement converti dans le cartel de la drogue le plus étendu et terrorisant du Honduras, qui n’admet aucune concurrence et encore moins d’opposition mais doit tout de même affronter la concurrence des Zétas et des groupes colombiens. Comme par hasard d'ailleurs, le cartel du Honduras que défendraient les USA est lié à celui de Sinaloa au Mexique en sorte qu'on a bien l'impression que comme pour l'économie réelle, les Américains organisent par alliances économiques et zones de libre-échange, le trafic de cocaïne dans le monde. 


Dans de nombreuses régions d'Amérique latine comme dans le triangle d'Or ou en Afghanistan, le combat américain n’est ni pour la démocratie, ni contre le communisme. Il est pour le contrôle total d'un espace narco-militaire. Diluer l’état narco-militaire, c'est pour la DEA la véritable menace. A présent, sur le territoire chaotique et sanglant du Honduras, le cartel étasunien contrôle la quasi-totalité des églises (par les groupes évangéliques) et la coopération internationale se réduit à celle de l’USAID. Tout le système électoral et judiciaire hondurien est aux mains du cartel géré indirectement par les Etats-Unis. Pour mémoire rappelons que les forces antidrogues naissantes du Honduras s'étaient risquées sans autorisation de la DEA, à abattre en 2012 une narco-avionnette qui se dirigeait vers le Nord. Quelques semaines après, le gouvernement nord-américain retirait son radar antidrogue, installé dans la partie nord-orientale du Honduras, rendant ainsi aveugle les Forces Aériennes du Honduras (FAH). Quant au chef des forces aériennes honduriennes, il fut aussitôt destitué et mis à la retraite ! En fait, les militaires honduriens avaient pris l'initiative d’abattre deux avions suspects de transporter de la drogue en violation des accords avec les Etats-Unis. Cet accord interdit pourtant de dérouter des avions civils. Les militaires étasuniens menaient alors une opération anti-narco conjointe avec les Honduriens mais lorsque les avionnettes en question furent détournées, aucun agent de la DEA n’était curieusement présent !


Le Honduras est la principale plaque-tournante de la drogue en Amérique Centrale. 80% du trafic de cocaïne y transite. Le Honduras est une première escale pour 87% des avionnettes qui transportent la cocaïne depuis le Sud. Et bien que le Mexique conserve la majeure partie de l’attention de la guerre du narcotrafic, le Honduras connaît tout de même le taux d’homicide le plus élevé au monde, 82 pour chaque 100 000 habitants. Honduras, Mexique, Afghanistan…trafic de drogue, les Etats-Unis sont toujours présents.

 

Nihil Obstat, Nº 21

Nihil Obstat, Nº 21

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SUMARIO

Editorial 5

Seis afirmaciones para comprender un poco mejor los problemas del Próximo Oriente Juan de Pinos 7

El hombre multidimencional: el problema de la naturaleza del hombre

Jesús J. Sebastián 13

Guía Fascista de Roma: la tercera Roma

Eduardo Connolly de Pernas 21

América hispánica: la larga marcha hacia la unidad (1810 al presente)

Entrevista de Arnaud Imatz a Alberto Buela 29

La América colonial: algunos aspectos económicos

Alberto Buela 39

Franco Freda: entre el platonismo político y el tradicionalismo evoliano

Ángel Fernández Fernández 43

DOSSIER LA IZQUIERDA. CRISIS E IDENTIDAD

Introducción José Alsina Calves 53

Crisis del sistema e identidad de la izquierda

Ferrán Gallego Margalef 63

Notas para una crítica de la razón política de la Izquierda española

Pablo Huerga Melcón 71

Una discusión (de momento) interminable

Costanzo Prevé 105

Por la construcción de un sindicalismo alternativo

Javier de Francisco Moure 121

El socialismo de Oswald Spengler

Carlos Javier Bianco Martin 127

La vision radical de Roberto Farinacci

Eduardo Basurto 141

Dios no existe. Una conferencia de Benito Mussolini

Juan Antonio Llopart 15

Critica de libros 154

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Evola on Meditation

Evola on Meditation: Four Techniques for Controlling the Thoughts

Julius Evola, “Astrazione,” c. 1920

Julius Evola’s guide to Theravāda Buddhism, The Doctrine of Awakening, is divided into two sections. The first part covers the theories and doctrines of primitive Buddhism, and the second half delves into practical techniques for the disciple. (See my review of The Doctrine of Awakening.)

These practical techniques give the modern-day disciple a detailed guide from a trusted source, for Evola relies solely on the teachings of the Buddha and his disciples (unlike modern-day Buddhist guides for the layman, which tend to ignore certain ideas).

This post highlights Evola’s instructions for the “four instruments” that can help control the thought. Mental control must be the first urgent concern of a disciple, for “in its fluid, changeable, and inconsistent character, normal thought reflects, moreover, the general law of samsāric consciousness” (pg. 109).

According to Buddhist doctrine, thought is located in the “cavern of the heart,” meaning that it isn’t merely a mental or psychological process. Thus, the entire body must be engaged in its control. Rather than “forcing” oneself into a false mental control, Evola says one must:

simultaneously, proceed to an act of conversion of the will and of the spirit; interior calm must be created, and one must be pervaded by intimate, sincere earnestness. (pg. 109)

Based on this description, it can be suggested that the disciple contact a metaphysical energy to help manifest the will and spirit in order to better control the thoughts and other aspects of samsāric existence.

The result of mental control is a state called appamada, which means “conscientious” or “concern.” This is the state of consciousness in which one is master of oneself, by virtue of being centered in oneself. Rather than letting your thoughts control you or run wild, it is the “first form of entry into oneself, of an earnestness and of a fervid, austere concentration” (pg. 110). According the Max Muller, appamada forms the base of every virtue. The being who possesses appamada is said to not die, while those who let their thoughts run wild are as if already dead:

From his heights of wisdom he will look down on vain and agitated beings, as one who lives on a mountaintop looks down on those who live in the plains. (pg. 110)

All of this requires an incredible strength of will. Control of the thoughts should be the first step in developing the will and control required for the path of awakening. Here are the four techniques (“instruments”) that can be used to control the thoughts:

The First Instrument: Substitution

This technique should be used when harmful and unworthy thoughts arise–those that are manifestations of the asava, that is, thought-images of craving, aversion, or blindness. When these thoughts arise, one should replace them with a beneficial idea. This beneficial thought will dissolve the harmful one and in the process, “the intimate spirit will be fortified, will become calm, unified, and strong.”

There are several characteristics of an unworthy thought. Basically, any thought that encourages desires, cravings, errors in thinking (i.e., thoughts not in keeping with the Four Noble Truths and Noble Eightfold Path), and thoughts that serve to bind the thinker to the world could all be said to be unworthy. Here is a description:

That, whereby fresh mania of desire sprouts and the old mania is reinforced; fresh mania of existence sprouts and the old mania is reinforced; fresh mania of error sprouts and the old mania is reinforced.

Part of this first technique involves creating a “chain of beneficial thoughts.” When a thought of “ill will or cruelty” arises, here is what one should think:

It leads to my own harm, it leads to others’ harm, it leads to the harm of both, it uproots wisdom, it brings vexation, it does not lead to extinction, it leads to self-limitation.

If this process of thought-replacement is performed with sufficient sincerity and intensity, then the harmful thought will dissolve.

The Second Instrument: ‘Expulsion Through Horror or Contempt’

This practice involves getting rid of harmful thoughts by associating them with things that fill you with disgust and loathing. Evola cites a simile for the technique from a Buddhist text:

‘Just as a woman or a man, young, flourishing and charming, round whose neck were tied the carcass of a snake, or the carcass of a dog, or a human carcass, would be filled with fear, horror, and loathing,’ so, the perception of the unworthy character of those images or thoughts should produce an immediate and instinctive act of expulsion, from which their dispersion or neutralizing would follow. Whenever an affective chord is touched, then by making an effort one must be able to feel contempt, shame, and disgust for the enjoyment or dislike that has arisen. (pg. 111)

Evola is adament that this repulsion should not be an act of struggling, but should arise naturally from a sense of superiority over states of mind that are unworthy. One should be filled with an “earnestly lived sense of the ‘indignity’ and irrationality of the images and inclinations that appear” (113).

The Third Instrument: Dissociation

The third technique for controlling thoughts is to not become attached to them–simply ignore them. Evola recounts a simile for this technique as well:

As a man with good sight, who does not wish to observe what comes into his field of view at a particular moment can close his eyes or look elsewhere. When attention is resolutely withheld, the images or the tendencies are again restrained. (pg. 112-113)

Evola cautions that the practitioner should be careful to not merely “chase away” a thought–doing so could have the opposite effect of causing the thought to come back even stronger. One must instead have the strength of will to not even see or acknowledge the thought.

This practice is especially useful for a normal but active state of mind (rather than when obsessed with a particular thought). This is the “monkey mind” referred to by Buddhists, in which a man is merely a passive participant of the images, emotional states, and thoughts that overtake him. Evola says these “psychoaffective aggregates of fear, desire, hope, despair, and so on, fascinate or hypnotize [the] mind, subtly tying it, they ‘manipulate’ it by their influence and feed on its energies like vampires” (pg. 113).

The Fourth Instrument: Gradual Dismemberment

The fourth technique is the practice of making the thoughts vanish, one after the next. It is a means of stopping desire by analyzing it down to its roots, so that it disappears. By examining the reasons behind every thought, behavior, and desire, a person can effectively halt any obsession.The simile is:

Just as a man walking in haste might think: ‘Why am I walking in haste? Let me go more slowly’ and, walking more slowly, might think: ‘But why am I walking at all? I wish to stand still’ and, standing still, might think: ‘For what reason am I standing up? I will sit down’ and, sitting down, might think: ‘Why must I only sit? I wish to lie down’ and might lie down; just so if harmful and unworthy thoughts, images of craving, of aversion and of blindness, again arise in an ascetic in spite of his contempt and rejection of them, he must make these thoughts successively vanish one after another.’ . . . [this way considers] them with a calm and objective eye one after another. (pg. 113)

This practice is based on what Buddhists texts call “the conditioned nature of desire.” This refers how a chain of thoughts is created, such as an obsession that feeds itself, but that can be broken if the conditions it depends and feeds upon are broken.

Direct Action (The ‘Fifth’ Instrument)

This technique is advised if none of the four instruments will work. The method is to clench the teeth and press the tongue hardly against the roof of the mouth (the palate) and, with your will, “crush, compel, beat down the mind.” The simile is:

As a strong man, seizing another weaker man by the head or by the shoulders, compels him, crushes him, throws him down. (pg. 114)

The same precaution applies for this technique as the others: It must not be performed from a place of weakness, but from a place of superiority. Evola says the practitioner must be able to call on the illumination and energy that exists outside of the samsāric current. Only then, he writes, ”is there no danger that the victory will be merely exterior and apparent, and that the enemy, instead of being destroyed, has disengaged and entrenched himself in the subconscious” (pg. 114).

*  *  *

For more on the four instruments, see Evola’s Doctrine of Awakening. For a general background on the Buddhist theories behind these instruments, see my review of The Doctrine of Awakening.

Brzezinski about Ukraine: Underlying Meaning of Finland Option

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Brzezinski about Ukraine: Underlying Meaning of Finland Option

Sergey MAXIMOV

Ex: http://www.strategic-culture.org

 
A coup took place in Kiev of February 22, 2014. The same day the Financial Times published the Russia Needs to be Offered a ‘Finland Option’ for Ukraine article by Zbignew Brzezinski. The editorial board found that the piece was important enough to reprint it again the next day with the changed title Russia Needs a ‘Finland Option’ for Ukraine. It makes one wonder what the author of Game Plan and Grand Chess Board really means by all of a sudden turning to the theme of Ukraine with his offer of «Finlandization»? 

Mr. Brzezinski has a long history of giving advices to many US administrations. Now he comes up with an offer to lend a helping hand to the new government in Kiev and deter Russia from taking resolute steps to defend its interests of vital importance in Ukraine. He recommends, «Washington to use its influence internationally to prompt steps that would be economically costly to Moscow» as he believes that contemporary Russia is vulnerable to such actions. 

Since long ago Brzezinski has been affirming that Ukraine is a key country for the control of the entire Russian (post-Soviet) geopolitical space. Until now the United States has not succeeded much in its endeavors to get hold of the key. The «big Zbig» explained the recent predicaments the US has encountered on the way while playing on the Grand Chess Board by the «President Vladimir Putin’s «nostalgic dream of the Eurasian Union». Ukraine is considered to be important by the US foreign policy savvy because by defending its national rights it makes the states of Central Asia, in particular Kazakhstan and Uzbekistan, realize they need to be tougher while resisting the ongoing attempts by Moscow to take away their independence. 

The Brzezinski’s idée fixe is the further fragmentation of Eurasia’s political map (along the former Yugoslavia lines) that’s why he virulently opposes any form of integration in the post-Soviet space… The inveterate enemy of Russia and seasoned master of geopolitical intrigue he pins hope on rescuing the «new Ukrainian democracy» (as he calls the regime which grabbed power in Kiev after the coup), «So, irrespective of what happens in the near future, I continue to believe: «Sooner rather than later, Ukraine will be truly a part of democratic Europe. Later rather than sooner, Russia will follow unless it self-isolates itself and becomes a semi-stagnant imperialistic relic».

The Brzezinski’s Financial Times piece has strictly defined the core goal for those who set store by political recommendations of Polish American strategist and are ready to follow through. According to him, the rapprochement between Ukraine and the post-Soviet states united in the Customs Union with an eye to create the Eurasian Union in future must be prevented at any price, even if it will lead to great human losses the Yarosh-Turchinov-Yatsenyuk regime’s staying in power bodes for Ukrainian people. 

As Brzezinski puts it, «The West, however, can play a constructive role in containing the exploding violence. That will take concerted action by the US and the EU. The US could and should convey clearly to Mr. Putin that it is prepared to use its influence to make certain that a truly independent and territorially undivided Ukraine pursues policies towards Russia similar to those so effectively practiced by Finland: mutually respectful neighbors, wide-ranging economic relations both with Russia and the EU, but no participation in any military alliance viewed by Moscow as directed at itself – while also expanding its European connectivity. In brief, the Finnish model as the ideal example for Ukraine, and the EU, and Russia». 

At that, why Finland? The neutral status of Finland has been gradually eroded by involvement of Finnish armed forces into the NATO «Partnership for Peace» program as well other forms of military cooperation with the alliance. This is only one side of the matter. It should be added by the fact that Finland is used as a springboard for subversive actions against neighboring Russia. 

For instance, the terrorist organization Imarat Kavkaz enjoys safe haven of the territory of Finland, its Kavkaz Center website openly operates there. Islamists and separatists from the Russian Federation and other post-Soviet states have gone through the training course of ideological brainwashing and the ways to wage «war for democracy» under cover of different kinds of «scientific conferences», seminars and trainings. Finland connives at such activities. It also supports the Kavkaz Center under the pretext that the state boundaries should not limit efforts to defend «democratic values». 

Something like this is planned for Ukraine, but this time it’s not the «soft» Finnish option, but rather its tough «Slav» version. 

Andriy Parubiy, former Maidan commandant, has been appointed Secretary of the National Security and Defense Council of Ukraine by putschists. In 1991 together with Oleh Tyahnybok he founded the Social-National party of Ukraine. Being too close to German national-socialism, the party was renamed in 2004 to become the All-Ukraine Union Svoboda (Freedom). Since 1996 he heads the «Patriots of Ukraine» paramilitary nationalist youth organization which is part of Pravy sector movement – the striking force of the coup. Dmitry Yarosh, the leader of Neo-Nazi assault groups, has become his deputy. 

Yarosh is a professional revolutionary (they said he has never worked). In 1994 he joined Trezub (named after Stepan Bandera) created under the aegis of Ukrainian abroad-based organization the Brotherhood of OUN – UPA (Organization of Ukrainian Nationalists- Ukrainian Insurgent Army). He heads Trezub since 2005. Yarosh has a long experience of working together with Valentin Nalivaychenko appointed new head of Security Service of Ukraine, as well as Ukrainian (US and Canada nationals) experts on guerilla warfare. He is an ardent supporter of the theory which says that a war against Russia «to liberate Ukrainian territories occupied by Russia empire», including the Kuban and the Far East, is inevitable. 

Under the circumstances the «Finlandization of Ukraine» offered by Brzezinski will not lead to friendship and good neighborly relations but rather will turn Ukraine into an outpost of subversive activities against Russia and its allies. 

mercredi, 12 mars 2014

Stop de westerse oorlogstokers in Oekraïne!

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Stop de westerse oorlogstokers in Oekraïne!

Al jaren is het zogenaamde "Westen", zijnde het conglomeraat van globale financiële groepen - met hun militaire arm "NAVO-State Department-CIA-MI6-..." en stadhouders in Europa en elders in de wereld - bezig met het destabiliseren van de Oekraïne met het oog op het verder inkapselen en destabiliseren van de Russische Federatie.

Nu deze oorlogstokers erin geslaagd zijn om, met veel dollars - dixit Assistant Secretary of State Victoria "F*ck the EU" Nuland -, in Oekraïne een gewelddadige putsch tegen de, ondanks alles, legitiem verkozen regering door te voeren, tonen ze zich verbaasd dat Rusland zich geroepen voelt om de chaos en de aanstaande etnische burgerloorlog in zijn buurland een halt toe te roepen.

Dit zogenaamde "Westen" verschuilt zich nu achter grote woorden als "internationaal recht", "soevereiniteit", "niet-inmenging in binnenlandse aangelegenheden", maar vergeet erbij te zeggen dat het zich zelf overal ter wereld het recht toe-eigent om zich te mengen in de binnenlandse aangelegenheden van staten waarvan het van oordeel is dat ze zich niet of onvoldoende plooien naar zijn imperiaal-kapitalistisch systeem, de zogenaamde Global Market Economy.

Het vergeet erbij te zeggen dat het zelf op de brutaalste manier de soevereiniteit van staten met voeten treedt, of het nu Irak - de "massavernietigingswapens", weet u wel -, Libië, Servië, Granada, en zovele meer is.

Het vergeet erbij te zeggen dat het voor zijn duivelse werk van verrotting en destabilisering keer op keer gebruik maakt van extremisten van allerlei slag om het vuile werk van intimidatie en zuivering op te knappen, of het nu gaat om neonazi's in Oekraïne of jihadisten in Syrië en elders.

Laat daarom uw stem horen en toon dat ook in de landen die onder het zogenaamde "Westen" vallen ook mensen leven die niet gediend zijn van deze constante oorlogstokerij in het belang van het wereldkapitaal, teken deze petitie en stuur ze door naar familie, vrienden en kennissen.

 

Europees Vredescentrum    Contact opnemen met de auteur van de petitie

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Pour la paix en Ukraine et la réconciliation avec la Russie

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Pour la paix en Ukraine et la réconciliation avec la Russie

par Thomas Ferrier

Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com

Cela fait plusieurs semaines maintenant que la crise ukrainienne occupe nos écrans radar, avec son lot de suspens et de retournements. Désormais, la Russie s’apprête à lancer une intervention armée, non pour rétablir le sinistre Yanoukovitch, démonétisé de Paris à Moscou, mais pour protéger ses intérêts en Crimée et éventuellement dans les autres régions dans lesquelles les russophones sont nettement majoritaires. Une telle action unilatérale, acceptée lorsque la France souhaite intervenir en Centrafrique ou au Mali, devient inacceptable dès lors que c’est la Russie qui est à la manœuvre. Le gouvernement ukrainien provisoire, qui parle d’un casus belli et annonce mobiliser, n’est probablement pas menacé.

Cette crise présente plusieurs dimensions qu’il faut bien avoir à l’esprit lorsqu’on prétend l’analyser. Il faut se garder d’un jugement partisan de principe, pro-ukrainien ou pro-russe, car qui ne voit que la position d’un des camps ne voit rien.

Du point de vue ukrainien

D’un côté, des manifestants mobilisés, réunissant des citoyens de l’extrême-gauche à l’extrême-droite, en passant par tout le spectre politique, veulent chasser un président certes élu mais qui a tout d’un autocrate, corrompu à l’extrême, et au bilan économique des plus médiocres. Sa volonté de s’aligner sur la Russie, en rompant tout rapprochement avec l’Union Européenne, a mis le feu aux poudres. Certains militants sont prêts à des actions violentes auxquelles répond une contre-offensive gouvernementale encore plus violente. Le sang coule et c’est par dizaines, peut-être par centaines, que des Ukrainiens  meurent. Il s’agit surtout de militants de Svoboda ou du « Pravyi Sektor », des nationalistes radicaux prêts à en découdre avec le pouvoir.

Même si l’Ukraine et la Russie prennent leurs racines communes dans la Rus’ de Kiev, au Xème et XIème siècles, elles ont connu de longues périodes où elles étaient séparées. Si l’ukrainien et le russe ne diffèrent guère, ce sont tout de même deux langues distinctes. Et sous les tsars et plus encore sous le régime soviétique, une russification linguistique et culturelle a été très vigoureuse. L’identité ukrainienne est celle d’un peuple meurtri, et s’apparente à la situation des Irlandais face à l’empire britannique.

Pour toutes ces raisons et pour bien d’autres, l’Ukraine est coupée en deux, entre les russophones qui se sentent indéfectiblement liés à la Russie voisine, et des ukrainophones qui tentent de se rapprocher de l’Europe occidentale et prétendent rejoindre l’Union Européenne, même si les nationalistes de Svoboda sont en vérité des souverainistes, pour marquer une rupture plus nette avec la Russie.

Mais ce nationalisme reste animé d’un esprit revanchard et la preuve en est la décision du parlement de supprimer le statut de langue officielle du russe au profit du seul ukrainien. C’est un acte d’une maladresse extrême, alors qu’il fallait au contraire rassurer les russophones dès la chute de Yanoukovitch. L’effondrement du Parti des Régions ne devait pas faire place à des vexations outrancières contre les russophones.

Du point de vue russe

Pour Vladimir Poutine, aucun doute n’est permis, les russophones d’Ukraine et les russes de Crimée sont potentiellement menacés d’une répression à leur encontre. La chute de Yanoukovitch a amené à des manifestations de soutien de nombreux Ukrainiens des régions orientales du pays en faveur d’une action russe, voire d’une sécession.

Poutine n’entend pas perdre la Crimée, qui bénéficie d’un statut particulier et qui a conservé des liens politiques et même militaires avec la Russie, abritant sur son sol de nombreux soldats russes et des navires de combat. Il a tout à gagner à une intervention armée, qui permettra de stabiliser sa frontière occidentale, d’unir par un élan patriotique le peuple russe derrière lui, faisant taire les contestations internes, et de rappeler aux occidentaux que dans son espace il entend être respecté.

L’Union Européenne a été très mal avisée de négliger la susceptibilité russe en la matière. En apportant un soutien sans discernement aux manifestants de Maïdan, dont certains expriment une russophobie explicite, au-delà de la question du départ d’un dirigeant médiocre, en laissant faire une forme de coup d’état à Kiev, sans respecter les accords mis en œuvre dans lesquels les Russes avaient été partie prenante, les occidentaux ont gravement attenté aux intérêts vitaux de la Russie. Poutine devait donc réagir et il ne pouvait le faire par des demi-mesures. Même s’il n’a pas encore donné son feu vert officiel à une intervention que son parlement soutient, maîtrisant les risques à provoquer d’une manière trop brutale les USA, il ne fait aucun doute qu’il entend se faire respecter. S’il annonce vouloir conserver l’unité de l’Ukraine, refusant ainsi de céder à toute tentative d’annexion, on sent bien se profiler une Transnistrie II, un partage non officiel de l’Ukraine en deux parties, la seconde pouvant être limitée à la Crimée ou élargie à Donetsk et même Kharkiv.

Rappelons dans le cas de la Crimée que son rattachement à la république soviétique d’Ukraine en 1954 était purement arbitraire car ne tenant pas compte du caractère massivement russe de la population de cette presque-île. Lorsque l’URSS s’est effondrée, la nouvelle Ukraine a conservé les frontières dont elle disposait sous le régime précédent. C’était une erreur qui aujourd’hui est en train d’être réparée au forceps.

Des accusations d’extrémisme qui sonnent faux

Toute crise comme celle que vit l’Ukraine apporte son lot de discours extrémistes. Mais il serait trop facile d’opposer de bons russes à des néo-nazis, ou de bons patriotes ukrainiens à des communistes. Aux  provocations extrémistes du « Pravyi Sektor » où s’affiche le portrait de Stepan Bandera, répondent les nostalgies néo-communistes, certains vieux membres de l’Armée Rouge allant jusqu’à monter la garde devant une statue de Lénine, pourtant responsable de la mort de nombreux ukrainiens… et russes. Ni le drapeau à croix gammée ni le drapeau soviétique ne devraient être brandis, ça n’a aucun sens.


En fait, les extrémistes sont l’alibi que chaque camp envoie à l’autre pour justifier l’un de son éloignement de la Russie, l’autre de son action militaire. L’antifascisme promu par certains russophones sonne faux. L’anticommunisme de certains ukrainiens sonne tout autant faux. C’est la preuve d’une immaturité politique profonde de certaines franges de la population, dans un pays pauvre, miné par la crise économique, et tiraillé entre deux tendances lourdes agissant comme deux centrifugeuses.

Une Europe absente, des USA trop présents

Dans cette équation, il ne faudrait pas non plus négliger le rôle détestable des Etats-Unis, qui récupèrent à leur profit cette crise ukrainienne pour continuer leur stratégie d’endiguement de la Russie, finissant par celle de l’anaconda, de l’étranglement pur et dur. A Washington, on s’interroge déjà sur des sanctions à prendre contre Moscou. Mais la Russie n’agit pas d’une manière différente de celle des USA qui interviennent lorsque leurs intérêts sont menacés sans se préoccuper de l’opinion internationale. On peut regretter que Moscou ait choisi cette voie et on aurait pu espérer une démarche plus rassurante. Mais la Russie s’adapte à ses interlocuteurs d’en face.

Or l’Union Européenne, une fois de plus, est incapable de répondre d’une seule voix, et se montre impuissante. C’est bien sûr le cas des pantins de Bruxelles, qui n’ont que le pouvoir que les gouvernements leur accordent, c'est-à-dire aucun, mais c’est surtout celui des dirigeants même des Etats. Hollande a eu un rôle totalement marginal, Cameron et Merkel ont été dépassés. Ils ont laissé leur « allié » américain mener la dance. On se souviendra du mot d’une responsable américaine disant en privé que l’Union Européenne pouvait « aller se faire foutre ».

Tant que l’Union Européenne ne sera pas capable de se doter à sa tête d’autres personnes qu’un Barroso aujourd’hui ou un Schulz demain, elle ne sera pas prise au sérieux et n’aura son mot à dire en rien. Elle assistera démunie, si ce n’est complice, aux actions des USA sur son sol ou à ses frontières.

Seul un européisme pur et dur pourra ramener la paix

Il n’y a qu’une seule position tenable dans ce conflit, une voix de la raison à faire entendre, c’est celle de la paix et de la réconciliation en Ukraine et entre Ukrainiens et Russes. Ce n’est de l’intérêt de personne que ce pays implose, créant des séquelles pouvant mettre des décennies à être digérées. Nous devons reconnaître à la fois la pleine légitimité du peuple ukrainien dans sa volonté de chasser du pouvoir un président corrompu et celle des russophones qui expriment une inquiétude non feinte quant à leur avenir dans l’Ukraine actuelle. Il aurait été nécessaire qu’ils soient rassurés et ménagés, associés de plein pied dans la reconstruction politique du pays.

Vouloir régler le problème ukrainien sans associer la Russie à cette démarche était non seulement illusoire mais relevait d’une faute d’analyse grave. C’est autour d’une table que les responsables du mouvement « Euromaïdan », des représentants sérieux de l’Union Européenne et des représentants de la Russie que l’avenir du pays devait se décider. Les inquiétudes russes devaient être écoutées et prises en compte. Le statut de la Crimée devait être garanti, tout comme celui de la langue russe.

L’absence d’Europe politique, l’inféodation des dirigeants des Etats européens de l’ouest ou des « dirigeants » de l’Union Européenne aux USA, tout cela est détestable. C’est malheureux de voir l’Europe, une fois de plus, manipulée et instrumentalisée afin de la maintenir divisée.

Si, comme je le pense, l’avenir de l’Europe se joue dans une convergence Union Européenne/Russie, jusqu’à la fusion qui transformerait notre continent en première puissance mondiale, alors cette division au cœur de l’Ukraine n’est pas acceptable. Et tout doit être fait pour y remédier dans les meilleurs délais et avec le moins de victimes possible. Il n’y a qu’une seule façon de décourager Poutine de mener une intervention armée, c’est de lui proposer une alternative acceptable pour lui comme pour les russophones. Mais surtout, il faut que ce soit les Européens ensemble, Russes et membres de l’UE, qui dialoguent, les USA devant être écartés de toute discussion et réduits à un rôle de spectateur extérieur.

Contrairement à ce que prétendent les souverainistes, la crise ukrainienne montre qu’une Europe divisée sera toujours une proie et l’instrument de sa propre destruction. Une démarche vraiment européiste, c’est de défendre tous les Européens, et donc de défendre et les positions ukrainiennes et les positions russes en même temps. On peut dire que cela demande un certain talent d’équilibriste, mais c’est la seule attitude responsable. C’est ainsi que nous pourrons garantir une paix sincère et durable, et ensuite une réconciliation dans l’honneur.

Si la Russie intervient en se limitant à des objectifs légitimes, la protection de la Crimée et des régions russophones, il faudra considérer cette action comme un mal, mais comme un mal nécessaire. Il faudra trouver les mots pour que cette situation temporaire trouve une résolution acceptable par tous.

Poutine a tendu la main depuis 2005 à l’Union Européenne, évoquant l’Europe « de l’Islande à l’Oural et par extension jusqu’au Pacifique ». Mais cette main, personne n’a pu et n’a su la saisir. Au contraire, la Russie a le sentiment, à tort ou à raison, que le reste de l’Europe est dans une situation de décadence bien plus avancée, qu’il est sous tutelle, et qu’il s’efforce de refouler la Russie en Asie. C’est notre faiblesse qui inquiète les Russes, non « nos » menaces pathétiques dictées par « nos » maîtres.

Face à une Europe politique unie, puissante, responsable, libre et souveraine, la Russie pourra dialoguer d’égal à égal, en toute franchise, et nous trouverons ensemble des solutions qui satisferont tous les citoyens de notre continent. Et l’Ukraine redeviendra un pont de l’amitié entre nous. Alors la Russie et le reste de l’Europe s’uniront pour forger le XXIème siècle européen, pour la paix et la prospérité, de Reykjavik à Moscou.

Je ne peux que souhaiter que les Ukrainiens et les Russes trouvent assez de ressources en eux pour sortir grandis de cette crise. Ils méritent mieux. Et je ne peux qu’inviter les dirigeants des autres pays européens à agir avec davantage de prudence à l’avenir, à respecter nos frères de l’est et à se libérer de chaînes « outre-atlantiques » de plus en plus insupportables. Malheureusement, je sais que ceux qui actuellement président à nos destinées n’en feront rien. C’est pourquoi il faudra les chasser du pouvoir, tout comme les Ukrainiens ont su chasser Yanoukovitch. Vive la Russie, vive l’Ukraine et vive l’Europe libre, bientôt libre !

 

Thomas FERRIER (PSUNE/LBTF)

Wenn nur noch die Gesinnung zählt

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Wenn nur noch die Gesinnung zählt

Sarrazin veröffentlichte dieser Tage sein neues Buch über »Tugendterror«, dem er gleich zum Opfer fiel

Ex: http://www.preussische-allgemeine.de

Mit „Deutschland schafft sich ab“ und „Europa braucht den Euro nicht“ lieferte der ehemalige Berliner Finanzsenator und Ex-Bundesbanker zwar zwei Bestseller, wurde aber auch zur Hassfigur der Mächtigen. In der PAZ steht er Rede und Antwort, wie er die Debatten um seine Bücher bewertet und was ihn nachdenklich stimmt. Die Fragen stellte Rebecca Bellano.

PAZ: Noch bevor Ihr neues Buch „Der neue Tugendterror. Über die Grenzen der Meinungsfreiheit in Deutschland“ (siehe Seite 22) herausgekommen ist, maßen sich Journalisten an, es zu verreißen. „Die Schublade des gefährlichen Schwachsinns“ titelte beispielsweise der „Tagesspiegel“ auf seiner Internetseite, wo der Autor am Ende betont, er wolle ihr Buch gar nicht lesen. Wie gehen Sie als Autor mit dieser Haltung und den massiven Anfeindungen um?

Thilo Sarrazin: Kritische Vorab-Rezensionen von Autoren, die sich dazu bekennen, das Buch gar nicht gelesen zu haben, sind erheiternd und bezeichnend zugleich: Erheiternd, weil der Rezensent sich damit lächerlich macht. Bezeichnend, weil er damit die Medienkritik bestätigt, die ich in meinem Buch übe. Ein prinzipienstarker Gesinnungsjournalismus scheut offenbar kein Mittel, um Fragestellungen und Perspektiven, die er bekämpft, zu diskreditieren und lächerlich zu machen.

PAZ: Im Grunde greifen Sie in Ihrer neuesten Veröffentlichung alle Aussagen, für die Sie kritisiert wurden, erneut auf und konfrontieren Ihre Gegner mit Zahlen und Studien. Welches Thema ist Ihnen hiervon besonders wichtig, sprich bei welchem wollen Sie am meisten die Masse überzeugen?

Sarrazin: In meinem neuen Buch drehe ich den Spieß um und stelle mich in die Schuhe meiner Gegner: Ich formuliere 14 Axiome des in den Medien grassierenden Tugendwahns, die sich allesamt um die Ideologie der Gleichheit drehen. Jedes dieser Axiome formuliere ich zunächst aus einer Pro-Position in aller Konsequenz. Diese Konsequenz entlarvt ihre Hohlheit in schlagender Weise.  Dem stelle ich dann die differenzierte Wirklichkeit gegenüber, und so tauchen ganz zwanglos  auch Thesen und Analysen aus den beiden vorangegangen Büchern wieder auf, aber es geht darüber hinaus. In der ideologischen Weltsicht, die ich kritisiere, hängt alles mit allem zusammen. Das war für mich besonders erhellend.

PAZ: Sie schreiben, dass das Scheitern von Gesellschaften aufgrund ihrer inneren Beschränktheit historisch gesehen eher die Regel als die Ausnahme sei. Wo­ran sehen Sie Deutschland schwerpunktmäßig scheitern?

Sarrazin: Wir wissen ja alle, dass wir sterben werden, aber nicht wann, wie und weshalb. Dieses Unwissen ist auch eine Gnade. Das gleiche gilt für Staaten, Nationen und Gesellschaften. Sie sind immer endlich und werden irgendwann untergehen. Dann wird Neues kommen, das Ende der Menschheit ist noch fern. Analysiert man solche Untergänge, so sind es selten allein militärische Gründe, sondern eben jene inneren Beschränktheiten, die eine angemessene Reaktion auf die Herausforderungen von Gegenwart und Zukunft verhindern. In „Deutschland schafft sich ab“ zeige ich für unser Land, wie es enden könnte. Ich vermeide aber sorgfältig jede Prognose. Das ist ein bisschen wie in der Medizin: Starke Raucher gefährden ihre Gesundheit extrem. Trotzdem sollte man mit der Prognose von Lungenkrebs vorsichtig sein. Helmut Schmidt zum Beispiel, dem ich noch ein langes Leben wünsche, wird voraussichtlich nicht an den Folgen seines Zigarettenkonsums sterben.

PAZ: Sie bezeichnen die Medien als Verwalter einer Pseudorealität. Wie genau ist das zu verstehen?

Sarrazin: Ich kritisiere einen vorherrschenden Trend, nicht „die“ Medien generell. Wo Ideologie und Wunschdenken herrschen, verkleben offenbar die Hirnwindungen des gesunden Menschenverstandes, und heraus kommt ein Zerrbild der Wirklichkeit. Wussten Sie, dass nach der Armutsdefinition der OECD der Anteil der Armen in Italien höher ist als in Rumänien und in Deutschland höher als in Tschechien? Das ergibt sich aus dem Konzept der relativen Armut, einem Kind der Gleichheitsideologie, und sämtliche Armutsberichte in den deutschen Medien bauen auf dieses Konzept auf. Dabei geht unter, dass ein deutscher „Armer“ im weltweiten Maßstab tatsächlich ein Reicher ist.

PAZ: Wie erklären Sie sich den Umstand, dass Sie einen Bestseller nach dem anderen schreiben, gleichzeitig aber keine Veränderung in der öffentlichen Meinung, aber auch im Wahlverhalten der Bürger (siehe letzte Bundestagswahl) bewirken?

Sarrazin: Ob mein neues Buch ein Bestseller wird, weiß ich noch nicht. Aber die Hoffnung wäre anmaßend, und sie würde mich auch krank machen, dass man mit einem Buch quasi in das Rad der Weltgeschichte greifen könne. „Das Kapital“ von Karl Marx mag die Welt verändert haben, aber sicherlich nicht zum Guten. Der Einfluss eines Buches auf die öffentliche Meinung ist quasi wie ein Stein, den man ins Wasser eines Sees wirft. Viel ist erreicht, wenn man für einige Sekunden sehen kann, wie sich die dadurch gezogenen Kreise weiter ziehen und schließlich mit den übrigen Wellen vermischen. Über Kausalitäten in der Wirklichkeit kann man endlos spekulieren. Manchmal kann ja ein Buch auch wie ein Flügelschlag eines Kolibris im Amazonasbecken sein, der am Ende viele Tausend Kilometer weiter einen Orkan auslöst.

PAZ: Wie bewerten Sie die öffentlichen Reaktionen auf die Volksabstimmung zur Zuwanderung in der Schweiz?

Sarrazin: Deutsche Medien behämen und beleidigen die Mehrheit des Schweizer Volkes, weil es sich den höheren Einsichten der fremden Kommentarschreiber verschloss und deutlich machte, dass es selbst darüber entscheiden will, wer auf Schweizer Boden leben darf. Jetzt wissen alle genau, dass man die Mitwirkung der Völker unbedingt vermeiden muss, wenn man die europäische Integration weiter vorantreiben will. Bertolt Brecht sagte nach dem Volksaufstand am 17. Juni 1953: „Das Volk hat das Vertrauen der Regierung verscherzt. Wäre es da nicht einfacher, die Regierung löste das Volk auf und wählte ein anderes?“ Es ist doch schön, wie ein großer Dichter die Dinge auf den Punkt bringen kann.

West’s Muted Response on Terror Attack in China

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Tony Cartalucci

West’s Muted Response on Terror Attack in China

Source: Simon Song

Ex: http://journal-neo.org

Saturday March 1, 2014′s horrific terror attack at China’s Kunming railroad station left 29 victims dead and over 100 wounded. The terrorist attack was the work of Uyghur separatists hailing from Western China’s Xinjiang province. The US would only condemn the attack as an act of terror after China accused Washington of applying double standards to its coverage and stance on the incident

 However, the US’ failure to initially condemn the attack as terrorism runs deeper than mere superficial double standards applied to a global competitor. The US is in fact driving the separatist movement in Xinjiang, encouraging violence and creating faux-human rights organizations to then condemn the predictable response of Chinese security forces. 

Indeed, first and foremost in backing the Xinjiang Uyghur separatists is the United States through the US State Department’s National Endowment for Democracy (NED). For China, the Western region referred to as “Xinjiang/East Turkistan” has its own webpage on NED’s site covering the various fronts funded by the US which include: 

International Uyghur Human Rights and Democracy Foundation
$187,918
To advance the human rights of ethnic Uyghur women and children. The Foundation will maintain an English- and Uyghur-language website and advocate on the human rights situation of Uyghur women and children. 

International Uyghur PEN Club
$45,000
To promote freedom of expression for Uyghurs. The International Uyghur PEN Club will maintain a website providing information about banned writings and the work and status of persecuted poets, historians, journalists, and others. Uyghur PEN will also conduct international advocacy campaigns on behalf of imprisoned writers. 

Uyghur American Association
$280,000
To raise awareness of Uyghur human rights issues. UAA’s Uyghur Human Rights Project will research, document, and bring to international attention, independent and accurate information about human rights violations affecting the Turkic populations of the Xinjiang Uyghur Autonomous Region. 

World Uyghur Congress
$185,000
To enhance the ability of Uyghur prodemocracy groups and leaders to implement effective human rights and democracy campaigns. The World Uyghur Congress will organize a conference for pro-democracy Uyghur groups and leaders on interethnic issues and conduct advocacy work on Uyghur human rights.

All of these NED-funded organizations openly advocate separatism from China,  not even recognizing China’s authority over the region to begin with – referring to it instead as “Chinese occupation.”  

Of the recent terror attack, the US-funded World Uyghur Congress would even attempt to justify it by claiming Chinese authorities have left the separatists with little other choice. The US State Department’s “Radio Free Asia” report titled, “China’s Kunming Train Station Violence Leaves 33 Dead,” reported:

World Uyghur Congress spokesman Dilxat Raxit said in an emailed statement that there was “no justification for attacks on civilians” but added that discriminatory and repressive policies provoked “extreme measures” in response.

Just as the US has done in other nations it is fomenting political chaos and armed violence in such as Syria, it is attempting to steer clear of labeling the Xinjiang separatists as “terrorists” for as long as possible in order to sow the maximum amount of chaos at the cost of Chinese political stability.


All Part of the Plan 

The US’ support of the Xinjiang separatists is just one small cog in a much larger machine grinding toward the encirclement and containment of China, while maintaining American hegemony across the Asia Pacific, Central Asia, and beyond. The use of faux-human rights organizations to defend what is essentially a terrorist organization is a trick the US has repeated in Russia’s Caucasus region

This containment strategy is documented in the 2006 Strategic Studies Institute report “String of Pearls: Meeting the Challenge of China’s Rising Power across the Asian Littoral” where it outlines China’s efforts to secure its oil lifeline from the Middle East to its shores in the South China Sea as well as means by which the US can maintain American hegemony throughout the Indian and Pacific Ocean. The premise is that, should Western foreign policy fail to entice China into participating in the “international system” as responsible stakeholders (fall in line,) an increasingly confrontational posture must be taken to contain the rising nation.

This includes funding, arming, and backing terrorists and proxy regimes from Africa, across the Middle East, Central Asia, Southeast Asia, and even within China’s territory itself. Documented support of these movements not only include Xinjiang separatists, but also militants and separatists in Baluchistan, Pakistan where the West seeks to disrupt a newly christened Chinese port and pipeline, as well as the machete wielding supporters of Aung San Suu Kyi in Myanmar’s Rakhine state - yet another site the Chinese hope to establish a logistical hub.

US aspirations to contain China through a network of proxies dates back even further than the SSI 2006 report. In US policy scribe Robert Kagan’s 1997 piece in the Weekly Standard titled, “What China Knows That We Don’t: The Case for a New Strategy of Containment, he states (emphasis added):

The Chinese leadership views the world today in much the same way Kaiser Wilhelm II did a century ago: The present world order serves the needs of the United States and its allies, which constructed it. And it is poorly suited to the needs of a Chinese dictatorship trying to maintain power at home and increase its clout abroad. Chinese leaders chafe at the constraints on them and worry that they must change the rules of the international system before the international system changes them. 

In truth, the debate over whether we should or should not contain China is a bit silly. We are already containing China – not always consciously and not entirely successfully, but enough to annoy Chinese leaders and be an obstacle to their ambitions.

Kagan would continue (emphasis added):

We should hold the line instead and work for political change in Beijing. That means strengthening our military capabilities in the region, improving our security ties with friends and allies, and making clear that we will respond, with force if necessary, when China uses military intimidation or aggression to achieve its regional ambitions.

It is clear that the writings of Kagan are not just simply his own personal thoughts in 1997, but reflect a policy that has since then been implemented vis-à-vis China. It is also clear that “with force” does not necessarily mean the mobilization of America’s conventional military assets, but also includes covert and proxy forces as seen more recently in Libya and Syria.

The horrific attack in Kunming China is not an isolated incident. It is a tentacle of America’s containment policy manifested as terrorism toward China briefly breaking the surface of murky geopolitical waters. For the rest of the world increasingly influenced and dependent on the sustainable and stable rise of China on the world stage, it is essential to understand the true nature of events playing out within China and along its peripheries. Failing to do so leaves us vulnerable to investing in false causes that will only further destabilize China, Asia, and the world – threatening our best interests while serving the machinations of Wall Street/Washington yet again.

Tony Cartalucci, Bangkok-based geopolitical researcher and writer, especially for the online magazine New Eastern Outlook”

Une Europe sans repères, ou aux repères dangereux?

Une Europe sans repères, ou aux repères dangereux?
 
Entre humanisme et Realpolitik

Laurent Mercoire*
Ex: http://metamag.fr
 
eurocaricc.jpgVoilà, nous y sommes ! En cette année où est célébré le centenaire de la catastrophe de 1914, début d’une nouvelle guerre de trente ans qui s’est achevée avec la fin du règne du concert des nations, voici que résonnent à nouveau les tambours de bronze. Et quels tambours ! Encore une fois, un conflit fratricide menace entre des peuples européens. Ce conflit résulte pour une grande part d’une guerre idéologique entre une vision politique traditionnelle défendue par la Fédération de Russie, et des valeurs idéalistes, partagées et pratiquées par la seule Union européenne (les Etats-Unis d’Amérique les partagent, mais les pratiquent moins).

L'Europe : économie et humanisme

Face à l’Ukraine, les deux éléments clés du discours de l’Union européenne sont l’économie et l’humanisme. Or ces deux éléments ne sont pas opérants dans un monde où les affrontements politiques persistent. Non, le concept de la fin de l’Histoire que Francis Fukuyama développait en 1992, en raison d’un consensus mondial sur les valeurs démocratiques, n’est toujours pas à l’horizon. On constate aujourd’hui que si le discours de l’Union a encouragé les bonnes volontés des Ukrainiens, l’Union ne peut les soutenir autrement que par la parole (et quelques actions mineures) dès lors que la guerre menace. Oui, la guerre, car le recours aux forces armées, même s’il faut souhaiter qu’il s’exerce a minima, est bien l’exercice de la volonté politique. Notons au passage que cet Ultima Ratio Regum a été récemment vilipendé par un éditorialiste français, boutefeu accompli au nom de l’humanisme, mais dont les récentes interventions ont eu des conséquences désastreuses.

Une commission de l’assemblée nationale française a publié le 12 février 2014 un rapport dont certains éléments font preuve d’une grande lucidité. On ne peut que regretter que notre nation soit incapable de traduire dans l’action les conséquences d’analyses parfois excellentes. Sans doute faut-il y voir les défaillances d’une grande partie des élites, nourries d’un prêchi-prêcha à caractère humanitaire et angélique, vivants dans un milieu favorisé et protégé, et ayant perdu ainsi toute volonté de lutte autre que politicienne. Que faut-il retenir de ce riche rapport « sur la politique française et européenne vis-à-vis de la Russie »? 

Trois éléments au moins 

- D’abord une remarque de Marek Halter : « J’ai toujours pensé qu’il n’y aurait pas d’Europe, je parle de l’Europe en tant que puissance économique et politique, égale des États-Unis d’Amérique ou de la Chine, sans la Russie. Ce qui lie réellement les Européens entre eux, c’est la culture et certaines valeurs qui, malheureusement, n’ont pas toujours été respectées au cours de l’Histoire. Un jour, devant moi, Jean Monnet, l’un des Pères de l’Europe (…), a affirmé que si c’était à refaire, il commencerait par la culture. Il n’avait pas tort. En effet, Tolstoï, Dostoïevski, Tchekhov, Tchaïkovski, Prokofiev, Diaghilev, Malevitch et Kandinsky font autant partie de cette Europe que nous. Aurions-nous associé la Russie à l’Europe, les problèmes rencontrés avec l’Ukraine aujourd’hui n’existeraient pas ».

- Ensuite ce qui aurait pu être une stratégie européenne : « La stabilisation démocratique de la Russie n’est pas seulement souhaitable sur le plan des principes. C’est aussi l’intérêt des Européens. Elle devrait permettre de parvenir à un partenariat apaisé qui reposerait sur la valorisation des interdépendances et complémentarités entre l’Union européenne et la Russie et sur la conscience de leurs intérêts communs face à la montée de la Chine et à l’instabilité récurrente du Moyen-Orient ».

- Enfin, la conclusion de l’un de ses rapporteurs : « En décembre dernier, le président Barroso a refusé la suggestion russe d’un dialogue à trois, Europe, Russie et Ukraine. […]Au Conseil de l’Europe, ceux qui ont été en faveur du Partenariat oriental rajoutent aujourd’hui de l’huile sur le feu sur le dossier ukrainien. À Bruxelles, lorsque nous avons demandé pourquoi l’accord de partenariat avec la Russie n’était pas relancé, alors que l’accord précédent est expiré depuis plusieurs années, on nous a fait sentir que notre question était incongrue. Clairement, le dossier n’est pas à l’ordre du jour de l’Union européenne ».

Le fait que certains chefs de gouvernement aient choisi de ne pas assister à la cérémonie d’ouverture des jeux olympiques à Sotchi était à la fois une erreur politique majeure sur le fond, et un mépris affiché envers le président Vladimir Poutine sur la forme. Comprendre la vision du monde d’un adversaire – partenaire est essentiel - ce qui ne signifie ni la partager, ni la cautionner. Or le président de la Russie lit le monde avec une grille de lecture traditionnelle à la « vieille Europe », celle des nations et des empires. Il est nationaliste ; la conception idéaliste sur laquelle repose certaines positions sociétales de l’Occident lui est non pas étrangère, mais totalement marginale face aux enjeux planétaires. Lui sait affirmer avec force que son rôle est de défendre les citoyens russes ou russophones. De plus, il constate que malgré, les pas qu’a fait la Russie vers l’Occident, celui-ci ne l’a pas accueillie en son sein, la perçoit comme une puissance rivale, et ne sait que l’utiliser à son seul profit (par exemple en Syrie), voire en en la trompant parfois (comme lors de l’intervention en Lybie). La confiance du président Poutine envers l’Occident – à supposer qu’il en ait existé une – est désormais définitivement détruite… Et il a beau jeu de se placer aujourd’hui tout à la fois sur le respect des normes des lois internationales (le président Victor Yanoukovitch a été illégalement destitué au lendemain d’un accord signé en présence de trois états européens et du représentant de la Russie), et sur celui du droit humanitaire en voulant protéger les citoyens russophones de Crimée et d’Ukraine, renvoyant ainsi l’Occident à ses propres contradictions.

Il est bon de rappeler que toute tentative d’union entre nations est soumise à des forces divergentes, et que cette union résulte rarement d’un processus pacifique. Lorsque des nations souhaitent appartenir à un espace souverain partagé, elles sont confrontées à un choix d’organisation. Une culture et une vision commune, partagées par leurs peuples constituants, permet la construction d’un système fédéral ou confédéral ; à l’opposé, l’organisation impériale permet de réunir des peuples aux origines différentes, mais dont les élites sont éduquées dans la même perspective. Il en a été ainsi à Rome, à Vienne, à Moscou  et à Londres….

L’Union européenne ne se vit pas comme empire

Ce sera là son malheur. Car rien ne lui interdisait de revenir à un modèle analogue ce qu’elle avait autrefois connu, et qui a laissé un souvenir à la fois doux et nostalgique de par le monde, à savoir cette Mittel Europa où l’Autriche-Hongrie savait à la fois être une puissance et une culture. Sans doute est-ce là ce qu’une partie des Ukrainiens recherche inconsciemment, un retour à des origines plus heureuses. L’Union européenne en est encore à ses premières racines chrétiennes, là où la seule bonne volonté permettait le martyre. Elle ne disposera sans doute pas du temps nécessaire pour traverser sans dommage les nouveaux âges sombres qui s’annoncent, et elle n’aura pas la volonté de revisiter ces sources humanistes pour les adapter à une volonté de puissance, comme avaient su le faire les rois et les papes du Moyen-Age. 

Seul Vladimir Poutine sait aujourd’hui quel chemin prendre et quelle idéologie motrice donner à son peuple… On ne peut donc que regretter cette occasion fugitive que personne n’a su saisir, quand à la fin du siècle dernier la vulnérable Fédération de Russie était désireuse d’un fort rapprochement avec l’Europe. Aujourd’hui, elle va se tourner vers l’Est, dans une sorte de pacte avec la Chine analogue à un autre de triste mémoire signé entre Molotov et Ribbentrop voici plus d’un demi-siècle. Oui, les Etats-Unis ont du souci à se faire pour le XXIe siècle… L’Europe, quant à elle, est déjà morte, faute d’avoir su résoudre cette nécessaire conciliation entre humanisme et Realpolitik.


*Diplômé en histoire militaire et études de défense nationale.

The Paintings of Julius Evola

The Paintings of Julius Evola

 

Julius Evola, "Paesaggio interiore, illuminazione," 1919

Julius Evola, “Paesaggio interiore, illuminazione,” 1919

 

The esotericist Julius Evola came to view Dadaism as decadent later in his life, and only spent a few years as a painter. But for fans of his writing and philosophy, the paintings he did in his youth hold a special fascination, and provide insights into his later philosophy.

 

Evola has been called “Italy’s foremost exponent on Dadaism between 1920 and 1923″ (according to Roger Griffin’s Modernism and Fascism, pg. 39). Fifty-four of his paintings were exhibited in Rome in 1920, and an exhibition in Berlin included 60 paintings by Evola. and According to an essay on Dada on the website of New York’s Museum of Modern Art, Evola launched a Rome Dada season in April 1921, which included an exhibition at the Galleria d’Arte Bragaglia that included works by Mantuan Dadaists Gino Cantarelli and Aldo Fiozzi, as well as performances at the Grotte dell’Augusteo cabaret. Evola did readings from Tristan Tzara’s Manifeste dada 1918 and said that Futurism was dead, causing an uproar.

 

Evola’s intellectual autobiography, The Path of Cinnabar, provides insights into Evola’s foray into the art world in the chapter “Abstract Art and Dadaism.” He was attracted to Dada for its radicalism, since it “stood for an outlook on life which expressed a tendency towards total liberation, conjoined with the upsetting of all logic, ethic and aesthetic categories, in the most paradoxical and baffling ways” (pg. 19). He quotes Tzara: “What is divine within us, is the awakening of an anti-human action” and cites a Dadaist philosophy with a premise in keeping with Evola’s thoughts on the Kali Yuga:

 

Let each person shout: there is a vast, destructive, negative task to fulfil. To swipe away, and blot out.In a world left in the hands of bandits who are ripping apart and destroying all centuries, an individual’s purity is affirmed by a condition of folly, of aggressive and utter folly. (pg. 19)

 

Evola says that such an emphasis on the absurd seems, at an external level, analogous methods used by schools of the Far East such as Zen, Ch’an, and Lao Tzu’s writings.

 

If some of Evola’s paintings seem ugly, it’s not without purpose and intent from the artist. In 1920′s Arte astratta, Evola outlined his theory that “passive aesthetic needs were subordinate to the expression of an impulse towards the unconditioned.” Dadasim, as Evola understood it, was not to create art as it’s usually understood, but “signalled the self-dissolution of art into a higher level of freedom” (Cinnabar, pg. 20-21).

 

It was during the Dadaist period of his life that Evola started reading about esotericism. He met neo-Pythagorean occultist Arturo Reghini in the early 1920s. He quit painting in the early 1920s, and stopped writing poetry in 1924–not to pursue either again for more than 40 years (according to Gwendolyn Toynton’s essay “Mercury Rising” at Primordial Traditions). Although Evola left the Dadaist movement after a few years, in an interview in 1970 he said that the movement even today “remains unsurpassed in the radicalism of its attempt to overturn not only the world of art, but all aspects of life” (Cinnabar, pg. 257).

 

The following paintings are compiled from numerous sites on the Internet. I believe this is the most complete and detailed collection of Evola paintings on the web (in English, at least).

 

Early works (1916-1918):

 

Julius Evola, “Tendenze di idealismo sensoriale” (“The tense of aesthetic idealism”), 1916-18

 

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Julius Evola, “Sequenza dinamica (etere)” (“Dynamic synthesis (ether)”), 1917-18

 

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Julius Evola, “Tendenze di idealismo sensoriale” (“The tense of aesthetic idealism”), 1916-18

 

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Julius Evola, “Five o’clock tea,” 1917

 

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Julius Evola, “Mazzo di fiori” (“Bunch of flowers”), 1918

 

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Julius Evola, “Fucina, studio di rumori” (“The Forge, study on noise sounds”), 1917-18

 

The painting below appears to have sold at Christie’s for $43,152. A different source gives the date as 1920-21:

 

Julius Evola, “Paesaggio interiore ore 3 A.M.” (“Inner Landscape, 3 a.m.”), 1918

 

The following painting, according to the book Alchemical Mercury: A Theory of Ambivalence by Karen Pinkus, is now in the Kunsthaus of Zurich. On one of the many geometric blocks, Evola has written “Hg” (the symbol for Mercury) in red ink. According to Pinkus, “this is a very interesting gesture, especially as the inscription seems entirely disjoined from the composition itself, as if it had been an afterthought, and a reflection of the troubled relationship between modern chemistry as abstraction and alchemical materiality.”

 

Julius Evola, “Paesaggio interiore, illuminazione,” 1919

 

This oil painting is hanging on a wall of the National Gallery of Modern Art in Rome (according to Guido Stucco’s introduction to The Yoga of Power, pg x):

 

Julius Evola, “Paesaggio interiore ore 10,30″ (Inner Landscape, 10:30 a.m.”), 1918-20

 

*  *  *

 

Julius Evola, “Senza titolo,” 1919

 

This oil-on-cardboard painting comes up in past auction searches for Evola’s work:

 

Julius Evola, “Portrait cubiste de femme,” 1919-20

 

The following two works were published in Evola’s 1920 book Arte astratta: Posizione teorica, 10 poemi, 4 composizioni (Rome: P. Maglione & G. Strini). You can see the other two compositions in a online scan of the book at the website of The International Dada Archive at the University of Iowa Libraries. Evola’s essay “Abstract Art” is available in English translation in the book Dadas on Art.

 

Julius Evola, “Composizione N. 3,” c. 1920

 

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Julius Evola, “Composizione,” c. 1920

 

Middle Works (early 1920s):

 

Julius Evola, “Composizione (Paesaggio) dada N. 3″ (“Composition (Landscape) dada N. 3″), c. 1920

 

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Julius Evola, “Astrazione” (“Abstraction”), 1920

 

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Julius Evola, “Astrazione” (“Abstraction”), 1920

 

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Julius Evola, “Composizione Dada,” 1920

 

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Julius Evola, “Composizione n. 19,” 1918-20

 

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Julius Evola, “Piccola tavola (vista superiore)” (“Small table (upper surface)”), 1920

 

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Julius Evola, “Paesaggio interire, aperture del diaframma” (“Interior landscape, the opening of the diaphragm”), 1920-21

 

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Julius Evola, “La libra s’infiamma e le piramidi” (“The book in flames and the piramides”), 1920-21

 

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Julius Evola, “Senza titolo,” 1921

 

Late paintings:

 

Numerous sources on the web, including academic papers and art auction houses, show paintings by Evola that he did much later in his life, several which are shown below. If any readers know where to find information about Evola’s later works in English, I would greatly appreciate being contacted in order to update this section.

 

This painting was listed at an art auction website, and said to be painted in 1945:

 

Julius Evola, “Paesaggio interiore”

 

The following two paintings are cited in Julius Evola: L’Altra Faccia Della Modernita by Francesca Ricci and on the website of the Fondazione Julius Evola.

 

Julius Evola, “Nudo di donna (afroditica)” (“Nude of aphrodite beauty”), 1960-70

 

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Julius Evola, “La genitrice dell’universo” (“The generator of the Universe”), 1968-70

 

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Readers interested in seeing more of Evola’s artwork can check out this video, which has additional images:

 

http://youtu.be/gVIJ_1JZs-8

 

And this French TV interview, with English subtitles, is Evola on Dada:

 

http://youtu.be/mS-a4KvZH_o

00:05 Publié dans art | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : art, tradition, julius evola, traditionalisme, avant-gardes | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook