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mercredi, 30 janvier 2013

Il Venezuela cede all’Iran i suoi caccia F-16

 

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Il Venezuela cede all’Iran i suoi caccia F-16

Alla fine degli anni ’70, l’Iran imperiale di Riza Palivi aveva ordinato 160 cacciabombardieri General Dynamics (oggi Lockheed) F-16A Fighting Falcon. Tuttavia, con la caduta dello Shah, nel 1979, l’ordine venne annullato e gli aeromobili non furono mai consegnati, anche se alcune attrezzature per la loro manutenzione erano già giunte in Iran.
Nell’agosto 2012, almeno due F-16 sarebbero stati avvistati nella base aerea di Mehrabad, presso Teheran. Infatti, secondo alcuni fonti, un Fighting Falcon sarebbe operativo dalla base iraniana, mentre un altro sarebbe stato sottoposto a un processo di reverse engineering e poi forse inviato in Pakistan. Il quotidiano spagnolo ABC aveva anche riportato che almeno un F-16A Block 15 dei 24 acquistati dal Venezuela, nel 1983, era stato inviato in Iran nell’agosto 2006, nell’ambito della cooperazione militare tra Iran e Venezuela, che vede anche l’impiego di due droni iraniani Mohajir (ribattezzati Sant’Arpia) da parte delle forze armate venezuelane. Infatti, nell’agosto 2006 il Maggior-Generale Roger Lara Lamb e il Tenente-Colonnello Luis Reyes Reyes avviarono e gestirono l’operazione per la consegna all’Iran di quel primo cacciabombardiere F-16A.
In seguito, nell’agosto 2009, il Presidente della Compañia Anomina Venezolana de Industrias Militares (CAVIM), Generale Eduardo Richani Aref si recò a Teheran, dove affermò che “i venezuelani si sono impegnati ad accelerare la fattibilità degli studi presentati dall’AIO [Aviation Industries Organization] iraniana riguardo al caccia F-16“, Il viceministro per la logistica del ministero della Difesa iraniana, Generale Mohammad Mohammad Lou Beig, siglò il documento che comprendeva anche altri accordi di cooperazione, come la vendita dei droni Mohajir.
Sempre secondo il quotidiano spagnolo ABC, un F-16B biposto, di stanza nella base aerea di Maracay, sarebbe stato smontato, imballato in grandi contenitori di legno sigillati e privi di contrassegni, e quindi caricati nella base aerea el Libertador, su un Boeing KC-707 dell’Aeronautica Militare venezuelana. Il volo avrebbe fatto scalo in Brasile (Recife) e in Algeria prima di giungere a Teheran. Dei piloti e tecnici venezuelani sarebbero stati inviati per rimontare il velivolo e addestrare gli iraniani presso la base di Mehrabad, in Iran.
La notizia era stata divulgata da ABC in concomitanza con la visita del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in Venezuela. Ahmadinejad aveva detto che l’Iran sosterrà sempre il Venezuela di Chavez: “Apprezziamo la vostra opposizione all’imperialismo”, e Chavez avrebbe risposto che “siamo consapevoli delle minacce alla sovranità e all’indipendenza iraniane. Potete contare sul nostro sostegno. Sosterrò Ahmadinejad in tutte le circostanze, dato che i nostri legami con l’Iran sono una questione sacra per noi.”
Già nel maggio 2006, il Generale Alberto Muller, consigliere di Chavez, aveva dichiarato all’Associated Press che valeva la pena prendere in considerazione “la possibilità di una trattativa con l’Iran per la vendita di quegli aerei“, e di aver raccomandato al ministro della Difesa che il Venezuela considerasse la possibilità di vendere gli F-16 a un altro paese, come Russia, Cina, Cuba o Iran, in risposta al bando degli Stati Uniti sulle vendite di armamenti all’amministrazione del Presidente Hugo Chavez. Il dipartimento di Stato degli Stati Uniti, reagiva avvertendo che Washington avrebbe dovuto firmare ogni vendita di F-16, cosa che il portavoce Sean McCormack suggeriva essere assai improbabile. “Senza il consenso scritto degli Stati Uniti, non è possibile trasferire articoli per la difesa, e in questo caso gli F-16, a un paese terzo“. Ma il Generale Muller ribadiva: “La raccomandazione che faccio al ministro, e che farò al Presidente al momento opportuno, è che gli F-16 siano venduti a Paesi terzi, poiché gli USA, non conformandosi alla loro parte dell’accordo (ovvero inviare i pezzi di ricambio e permettere così la manutenzione degli F-16A), ci liberano da qualsiasi obbligo a rispettare la nostra parte.”
Dei 24 F-16 acquistati nel 1983, solo dodici-sedici restano operativi, mentre gli altri vengono conservati per mancanza di pezzi di ricambio. Il governo di Caracas comunque aveva annunciato l’intenzione di vendere o cederli a Paesi terzi, anche senza il permesso degli Stati Uniti. L’F-16 verrebbe valutato dall’Iran per testare i propri sistemi difesa aerea, in previsione di un possibile attacco aereo israeliano o statunitense al programma nucleare iraniano, dove verrebbe impiegato il cacciabombardiere F-16I Sufa (Block 52).
Dopo la visita a Teheran nel 2009 dei vertici militari venezuelani, quando si sarebbe deciso l’invio di ulteriori cacciabombardieri F-16A, almeno altri tre velivoli si troverebbero oggi in Iran. Ely Harmon, ricercatore israeliano presso l’Istituto Internazionale per il Controterrorismo, ha affermato che “Questo aereo è molto utile per l’Aeronautica dell’Iran, perché può così addestrare i propri piloti alle tattiche degli avversari, dimostrando anche la profonda relazione tra l’Iran e il Venezuela. Una partnership che potrebbe anche manifestarsi in una rappresaglia contro coloro che attaccassero gli impianti nucleari iraniani.”

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Venezuela Threatens to Sell F-16 Fleet to Iran, Associated Press, 16 maggio 2006
Inter-american Security Watch 22 giugno 2012
The Aviationist 20 agosto 2012

A cura di Alessandro Lattanzio

17:25 Publié dans Actualité | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : iran, venezuela, f-16, aviation, iiaf, militaria | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

Trace Sud Ouest. Réseau MAS.

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Frères musulmans et Néo-Ottomans

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Bernhard TOMASCHITZ:

Frères musulmans et Néo-Ottomans: le nouveau binôme turc

Le premier ministre turc Erdogan et son ministre des affaires étrangères Davutoglu veulent s’engager dans le “choc des civilisations” mais non du côté occidental

Peu avant la fin de l’année 2012, Recep Tayyip Erdogan a, une fois de plus, exhorter le président syrien Bachar El-Assad à se retirer. “Les chefs qui ne sont plus acceptés par leur peuple ne peuvent demeurer au pouvoir”, a-t-il dit. Mais le souci d’Erdogan n’est pas de voir se construire une démocratie chez ses voisins du Sud mais bien plutôt de renforcer l’influence turque dans la région, ainsi que celle de la branche sunnite de l’islam. El-Assad, avec qui Ankara entretenait encore d’excellentes relations il y a moins de deux ans, appartient à la foi alaouite, considérée comme “hérétique” par les puristes.

Outre Erdogan, le ministre des affaires étrangères, Ahmet Davutoglu, qui, naguère, avait théorisé la notion de “profondeur stratégique”, s’était posé comme le principal champion d’une nouvelle politique de grandeur, d’inspiration néo-ottomane. Au départ, cette option avait suscité l’inquiétude du ministère américain des affaires étrangères, comme on a d’ailleurs pu l’apprendre via un document révélé par “Wikileaks” et datant de 2004. Les Américains appelaient alors à se méfier du géopolitologue et futur ministre turc des affaires étrangères: celui-ci “serait perdu dans son imaginaire néo-ottoman” et rêverait “de donner pour tâche à la Turquie d’étendre l’islam à l’Europe”, “de récupérer l’Andalousie (pour l’orbe musulmane) et de venger la défaite des armées ottomanes devant Vienne en 1683”.

Cette analyse est partagée par un politologue turc, Soner Cagaptay, convaincu qu’Erdogan et Davutoglu sont des adeptes critiques du politologue américain Samuel Huntington, récemment décédé. Pour Huntington, les “civilisations vont se heurter”; pour les deux hommes politiques turcs, il y aura aussi un “choc des civilisations” mais, contrairement au théoricien américain, ils pensent que la Turquie, dans ce jeu, doit se désolidariser de l’Occident. Pour Cagaptay, Davutoglu penserait que les bonnes relations que la Turquie entretient avec l’Occident depuis quelques décennies relèvent d’une “forme d’aliénation”. Le parti au pouvoir en Turquie, l’AKP, voudrait dès lors “corriger le cours actuel de l’histoire qui a affaibli les Musulmans depuis l’effondrement de l’Empire ottoman”.

Dans sa démonstration, Cagaptay décrit la vision de l’AKP comme portée par une option “nous contre eux” qui, avant le 11 septembre 2001 n’avait pas trouvé un écho tous azimuts. En effet, ajoute-t-il, les attentats de New York ont fait éclore, à tort ou à raison, l’idée virulente qu’il existe bel et bien un “monde musulman” différent des autres. Par conséquent, la vision cultivée par l’AKP est “tombée sur un sol fertile et a transformé le rôle de la Turquie dans le monde et aussi le rôle de l’Etat et de sa politique étrangère”. Cagaptay décrit comme suit l’idéologie de l’AKP, formation directement issue du “Parti du Bien-Etre” de l’ancien chef de file des islamistes turcs, Necmettin Erbakan: “Même si l’islamisme est traditionnellement non violent en Turquie, il recèle en lui six caractéristiques dangereuses: il est anti-occidental, antisémite, anti-israélien, anti-européen et anti-démocratique et cultive, de surcroît, des préjugés anti-séculiers, qui sont tous repris en choeur par les Frères Musulmans”.

Dans un rapport édité par Steven G. Merley pour le compte du “Jerusalem Center for Public Affairs” et intitulé “La Turquie, la Fraternité Musulmane globale et la flotille de Gaza”, on explique l’étroitesse des rapports entretenus par Erdogan avec l’islam politique depuis ses jeunes années. En 1976, alors qu’il n’était encore qu’un obscur étudiant dans une école secondaire, Erdogan est élu président de l’organisation des jeunes (section d’Istanbul) du “Parti du Salut National” d’Erbakan. A cette époque, il avait déjà des liens avec la WAMY (l’Association Mondiale de la Jeunesse Musulmane), fondée en 1972 par un organisme saoudien dont l’objectif était de diffuser les doctrines de l’islam le plus rigoureux, sous sa forme wahhabite. Dans le rapport de Merley, on peut lire que la WAMY “depuis sa fondation entretient des rapports étroits avec les Frères Musulmans”, et se pose dès lors comme un réseau international de personnes privées et d’organisations issues de la branche égyptienne des Frères Musulmans. Plus loin, le rapport mentionne la personne de Kemal El-Helbawy, un porte-paroles des “Frères”, qui vit en Grande-Bretagne. El-Helbawy a déclaré au “Wall Street Journal” que c’est justement dans le cadre de la WAMY qu’il a rencontré l’ancien président afghan Burhanuddin Rabbani, l’ancien vice-premier ministre de Malaisie Anwar Ibrahim et... Erdogan. Et El-Helbawy ajoute: “Tous ont commencé leur carrière au sein de la WAMY”.

Le rapport de Merley spécifie “qu’Erdogan semble avoir maintenu ses liens avec la fraternité Musulmane internationale, qu’il avait acquis au temps de sa fréquentation de la WAMY”. Dans ce contexte, Merley évoque également Mohammed Madi Akef, ancien dirigeant de la Fraternité Musulmane en Egypte, qui avait déclaré en 2005 à un magazine égyptien qu’il connaissait très bien Erdogan et Erbakan, depuis le temps où il avait séjourné en Turquie. De plus, Akef décrivait les deux hommes politiques turcs comme de “bons amis”. Mais il y a encore un autre épisode de la biographie d’Erdogan qui atteste amplement de l’ancrage profond du chef du gouvernement turc dans les milieux islamistes: en juin 2008, Anwar Ibrahim, vice-premier ministre de Malaisie, se réfugie dans l’ambassade turque de son pays parce qu’il est l’objet d’une enquête policière pour “délit d’homosexualité” (tout acte sexuel de nature homosexuelle, jugé immoral, est punissable dans les pays musulmans). D’après l’agence “Associated Press”, un haut fonctionnaire turc aurait déclaré qu’Anwar Ibrahim avait choisi l’ambassade de Turquie comme refuge, vu “ses contacts étroits avec le premier ministre turc Erdogan”.

Ce sont donc les liens étroits entre les hautes sphères gouvernementales turques et les milieux islamistes qui expliqueraient la volte-face d’Ankara face à la Syrie, ainsi que l’appui que les Turcs apportent désormais aux rebelles syriens qui, comme les Turcs et les Saoudiens, sont des sunnites. Selon des milieux bien informés d’Istanbul, l’Arabie Saoudite aurait versé dix milliards de dollars à l’AKP d’Erdogan juste avant les dernières élections parlementaires. En fin de compte, Turcs et Saoudiens ont les mêmes intérêts en Syrie, qui vont bien au-delà du simple soutien qu’ils apportent aux rebelles sunnites. La Syrie est le pays par lequel pourraient bientôt transiter la gaz naturel de la région du Golfe. Damas, en effet, a signé en juillet 2011, un accord avec l’Irak et avec l’Iran pour que soit construit à terme un gazoduc amenant les hydrocarbures du Kurdistan irakien, de l’Iran et du Golfe sur les rives de la Méditerranée. Si jamais ce projet se concrétisait, l’Iran, rival de l’Arabie Saoudite pour devenir la puissance prépondérante dans le Golfe Persique, renforcerait son poids géostratégique; quant à la Turquie, elle subirait un incontestable ressac dans ses efforts constants pour devenir dans la région la seule et unique plaque tournante de la distribution de l’énergie.

Bernhard TOMASCHITZ.

(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, nr. 1/2, 2013; http://www.zurzeit.at/ ).

Neue Ordnung IV/2012

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Neue Ordnung IV/2012

http://www.neue-ordnung.at/

Staatsfeinde oder Mitbürger? Seite 2–3, 9
Von Hans B. von Sothen

Zitiert 4

Knapp & klar Seite 4–5

Merkel und sonst nichts Seite 6–7
Von Dr. Hans-Dietrich Sander

Pannonicus Seite 8

Die Identitären Seite 10–11
Von Martin Lichtmesz

Europa der Vaterländer – Vaterland Europa Seite 12–15
Zehn Thesen
Von Univ.-Dozent Dr. Friedrich ­Romig

Entkommunifizierung Seite 14–16
Das undurchführbare Projekt in Kroatien
Von Dr. Tomislav Sunic

Stalingrad Seite 17–18
Der Untergang der 6. Armee vor 70 Jahren

Treue und Glaube Seite 19–22
Das ideengeschichtliche Vermächtnis von Antoine de Saint-Exupéry
Von Benedikt Kaiser

Die Rubrik „Abendland“ Seite 23

Odin statt Jesus? Seite 24–31
Gott- und Jenseitsvorstellungen im deutschen Neuheidentum
Von Dr. Baal Müller

Heidentum – Sukzession – Überlieferung Seite 32–37
Von Johannes Auer

Heldischer Christus – Wehrhaftes Christentum Seite 38–43
Für eine christlich-nationale Neubesinnung in der deutschen Kulturnation
Von Manfred Müller

Libri legendi Seite 44–46

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« Casa Pound, une terrible beauté est née ! »

« Casa Pound, une terrible beauté est née ! »

par Jean NON-CONFORME

 

Artisti-x-CasaPound_web.jpgCasa Pound, une terrible beauté est née ! est le premier ouvrage paru aux Éditions du Rubicon, les éditions du réseau M.A.S. Il s’agit de la traduction du livre d’Adriano Scianca, responsable culturel de Casa Pound, parue en Italie sous le titre Reprendersi Tutto que nous pouvons traduire par « Tout se ré-approprier ». En environ 360 pages, l’ouvrage tend à développer quarante concepts qui font Casa Pound, le désormais célèbre mouvement néo-fasciste italien qui tient son nom de l’immeuble imposant occupé depuis de longues années au 8 de la Via Napoleone III à quelques pas de la gare centrale de Termini, à Rome.

L’ouvrage débute dans son édition française par une préface de Gabriele Adinolfi, qu’on ne présente plus. L’introduction de l’ouvrage est de Flavio Nardi, également animateur culturel au sein de C.P.I. (Casa Pound Italia) et la conclusion de Gianluca Iannone, responsable de C.P.I. et chanteur du groupe de rock ZetaZeroAlfa. L’édition française est agrémentée d’un cahier couleur de 24 pages qui permet de pénétrer un peu l’ambiance du mouvement : esthétique, manifestations, affrontements avec les adversaires politiques, rôle central de la jeunesse, culture, slogans, etc. Nous trouvons également une photo de quelques militants du M.A.S. devant la Casa Pound Latina.
 
Le livre permet par l’intermédiaire des quarante concepts d’aborder des thèmes variés comme l’histoire du fascisme, la genèse de C.P.I., les principes et les valeurs, le rôle central de l’esthétique et de la culture et in fine l’esprit du mouvement. Bien que nous soyons partisan de la philosophie selon laquelle dans un mouvement, il faut soit tout prendre, soit ne rien prendre, il n’est pas pour autant contre-productif de voir dans ce livre des pistes de réflexions.
 
Quelques figures ressortent clairement de l’ouvrage : Ezra Pound, Filipo Tommaso Marinetti, Gabriele d’Annunzio, Friedrich Nietzsche, Julius Evola. À travers ces cinq personnalités nous trouvons une philosophie centrale à l’ouvrage : l’action et la volonté. Adriano Scianca tire clairement une ligne dans l’ouvrage entre les partisans de l’action, forcément révolutionnaire, et les partisans de la réaction, qui ne le sont pas. Que ce soit à travers des mouvements artistiques (futurisme), à travers des épopées révolutionnaires (la prise de Fiume) ou par la philosophie de la construction du « surhomme » et de l’élévation de soi (Nietzsche, Evola), l’auteur est clair sur les intentions du mouvement : agir, aller de l’avant, aller là où on ne nous attend pas, donner le rythme et en somme tout reprendre. Cette volonté d’aller de l’avant correspond au concept d’« estremocentroalto », qui fait l’objet d’un Manifeste, définit dans l’ouvrage et qui se résume ainsi : « Putain, à partir de maintenant nous allons faire ce que nous voulons ! (p. 99). » Ainsi que l’écrit l’auteur : « Estremocentroalto, c’est cela. En finir d’écouter les autres, ceux qui font la révolution au bar, mettre fin à la confusion, à l’aliénation, à la scission. Commencer à faire ce qu’il nous plaît, en en prenant la responsabilité. Estremocentroalto c’est une manière de se revendiquer d’une communauté en marche et libérée du lest pour avancer plus vite (p. 99). »
 
Cette vitalité possède elle-même sa propre philosophie, certainement un peu « abrupte » pour nos contemporains. L’auteur s’y penche dans les chapitres « Mort » et « Vie ». Nous comprenons rapidement de quoi il est question. Un homme ne doit pas vivre pour vivre mais vivre pour exploiter au maximum ses capacités. Ainsi la construction d’un homme meilleur va de paire avec la constitution d’un ordre nouveau. La vie va de paire avec le sourire et la joie qui reviennent régulièrement dans l’ouvrage. Comme le dit Adriano Scianca, « le sourire est solaire ». L’auteur est à ce titre sans pitié avec ce qu’on appelle les « pro-life » à qui il reproche d’être des mouvements défensifs, c’est-à-dire réactionnaires. « L’Estremocentroalto a beaucoup d’ennemis avec un seul nom : Réaction (p. 333) », ou encore : « La logique créative a laissé la place à une logique défensive. Qu’y a-t-il de moins vital, en effet, que les nombreux mouvements pro-life, constitués de visages creux et exsangues d’enfants de chœur en service actif permanent ? La vie est une explosion, non une valeur ! (p. 345). » Adriano Scianca ne fait ici qu’écrire ce que nous sommes nombreux à avoir constaté, les mouvements de défense de la vie ou de la famille « traditionnelle », sont souvent des mouvements bourgeois et réactionnaires. Adriano Scianca n’hésite pas à égratigner au passage la dite « famille traditionnelle » qu’il qualifie de « bourgeoise et individualiste (p. 346) ». Ce qui se dégage ici c’est une vision très différente des rapports sociaux. La famille bourgeoise ne crée rien, elle reproduit. Or quel est le sens profond de la philosophie du livre ? Action et volonté, donc créer, fonder et « donner vie (p. 345) ».
 
Le chapitre « Marbre » est sûrement un des plus intéressants du livre, car il explique concrètement le fruit de cette action : fonder. Ce chapitre mêle un certain nombre d’éléments tout à fait pertinents : la nécessité de délimiter l’espace, le rapport au sacré (les lecteurs avisés pourront sûrement établir un lien avec l’œuvre de Mircea Eliade), la capacité pour les hommes de modeler leur environnement (assécher un marais, par exemple) et bien sur des considérations esthétiques, puisque Casa Pound s’affiche en lettres de marbre sur le fronton du bâtiment romain et aussi, d’une certaine manière, la ville nouvelle fondée va se donner à voir aux hommes par son style architectural qui est au cœur de ce qui permet d’identifier une civilisation. Car ne nous y trompons pas, Adriano Scianca sait pour quel objectif lutte C.P.I. : fonder une civilisation. Rien de moins. Ainsi le chapitre débute par cet échange :
 
« — Qu’est-ce que l’italianité ?
 
— L’italianité c’est le marbre qui l’emporte sur le marécage. »
 
Cet échange nous renvoie aussi à la question de l’identité, perçue par Adriano Scianca comme étant en perpétuelle évolution. La fondation est au cœur de l’identité définie par l’auteur. Ainsi Adriano Scianca oppose le mythe de la fondation de Rome, où Romulus va délimiter l’espace et tuer son frère qui transgresse la limite avec la légende de Caïn et Abel. Voilà ce qu’en dit Adriano Scianca : « Caïn est enraciné, actif et construit son monde. Abel est déraciné et n’a aucune intention de s’affirmer dans une dimension historique et humaine, qu’il estime profane et insignifiante » et lorsque Caïn tue son frère : « La punition de YHVH n’est pas choisie au hasard puisque Caïn, le paysan lié à la terre, devra cheminer sur la route de l’exil et devenir nomade (p. 226). » Voilà comment Adriano Scianca trace une nouvelle fois un profond sillon, entre une pensée héritée des mythes antiques européens, basés sur la divinisation de la terre, de la cité, la métaphysique de l’action, l’esprit d’aventure, de création et de conquête, et la pensée de l’Ancien Testament qui condamnerait la capacité de l’homme à créer et à agir, puisque seul YHVH est créateur, et qui fait de toute les figures créatives, actives, vitalistes et enracinées, des figures lucifériennes. On peut voir un lien ici entre Lucifer et Prométhée. L’identité développée par l’auteur se base donc sur des principes, une philosophie et non simplement sur du patrimoine ou des héritages. L’auteur critique la vision d’une identité-musée. « Pour un mouvement identitaire d’inspiration fasciste, donc toujours existentialiste et jamais essentialiste, l’identité n’est pas un simple fait tenu pour acquis dont il suffirait d’affirmer tautologiquement la présence ! Au contraire ! L’affirmation identitaire surgit précisément dans le but de conquérir un objectif, de dépasser une résistance, d’accomplir un parcours et d’affirmer une vision de soi (p. 186). » L’histoire de l’Europe et des Européens est une perpétuelle refondation. Les Européens de demain doivent concevoir l’identité comme un ensemble de ce qui fut, de ce qui est et de ce qu’ils feront. Adriano Scianca ne brosse pas ici une vision défensive et résistante de l’identité contre des menaces dont il faudrait se défendre, mais il exhorte à une vision volontariste de l’identité. Ainsi page 188 nous pouvons lire que « la nation n’existe jamais et il faut sans cesse la créer ». Cette phrase, qui peut paraître anodine est en réalité lourde de sens. De même que la phrase d’Oswald Spengler qui conclue le chapitre « Identité » : « Celui qui parle trop de race n’en a aucune. Ce qui compte ce n’est pas la pureté mais la vigueur raciale qu’un peuple possède (p. 189). » Une nouvelle fois, Adriano Scianca dessine une limite entre ceux qui ont un esprit défensif et ceux qui ont un esprit de conquête. Par la suite, le chapitre « Tradition » est l’occasion d’aborder assez longuement Julius Evola et de mettre ici aussi un coup de pied dans les conceptions attentistes. L’auteur cite en introduction du chapitre Gianluca Iannone à ce sujet : « Julius Evola ? […] L’un de ces intellectuels lus et diffusés principalement comme clé expérimentale, surtout pour justifier l’immobilisme d’une partie du milieu. En vérité, Evola a été autre chose qu’un gourou qui, sur un fauteuil à roulettes et dans une semi-obscurité, prêchait la formation du Moi aristocratique en attendant la grande guerre (p. 312). » Evola doit donc fournir non pas les armes intellectuelles d’un immobilisme aristocratique mais être lu comme une clé de compréhension de la Tradition et de ce qui nous amène à lutter. Lutter pour quoi ? Pour fonder un empire ? Pour créer une nouvelle civilisation. Ainsi s’exprime Julius Evola : « On peut se demander ce qui, au fond, distingue l’idéal impérial de celui religieux. En général, on peut dire ceci : le premier se fonde sur une expérience immanente, l’autre sur une expérience dualiste de l’esprit. Quand on ne conçoit pas de hiatus entre esprit et réalité, ni qu’on ne cherche le premier hors du second (Mon royaume n’est pas de ce monde…), la manifestation spirituelle est aussi celle d’une puissance qui vainc, subjugue et ordonne la réalité. L’inséparabilité de l’idée de puissance et de l’idée de spiritualité est le pivot de l’idéal impérial et guerrier (pp. 207-208). » Nous sommes donc des « sentinelles impériales (p. 206) », et portons notre empire en nous, dans n’importe quelle situation, même quand le contexte nous est hostile. Rien ne peut se fonder sans l’esprit de lutte. Car il est toujours question de lutte. La lutte, c’est la vie. Puisque chaque jour où le soleil se lève, nous devons au minimum lutter contre la faim et la soif. Ce qui n’est pas la vie, en revanche, c’est l’usure et le chapitre en question l’explique bien : « L’art, la maison, le travail : voici trois victimes de l’usure. Avec l’usure meurt la beauté, la dimension la plus profonde et la plus haute de la vie. La maison meurt, l’âtre, le terrain solide sur lequel se base toute existence réellement humaine. Enfin, le travail se meurt, qui ne donne plus de fruits, qui dépérit, qui devient stérile (pp. 328 – 329). »
 
Face à ce monde gris et décharné engendré par l’usure, Casa Pound oppose le style, l’explosivité, l’imaginaire. Car une chose est certaine, et le mouvement est critiqué pour ça, Casa Pound pourrait de l’extérieur passer pour un mouvement festif. Ce qui est à l’origine de Casa Pound peut laisser songeur au premier abord. Ce ne sont ni des prêches enflammés d’un tribun populiste, ni les manifestations contre les ennemis de la nation, ni les milliers d’autocollants venant s’écraser sur nos poteaux comme une vague s’éclate sur une digue, rien de tout ça n’est vraiment à l’origine de Casa Pound, à l’origine il y a un bar, le Cutty Sark et un groupe de rock, ZetaZeroAlfa. Casa Pound, qui ne portait pas alors ce nom là il y a quinze ans, est d’abord un mouvement culturel devenu un mouvement social puis un mouvement politique. D’abord il y a la communauté, soudée autour des soirées du Cutty Sark et des concerts de Z.Z.A., une communauté capable d’occuper des bâtiments pour loger des familles romaines. Une communauté vivante qui grâce à la culture et à son action sociale agrège peu à peu les jeunes italiens, pour devenir le mouvement que nous connaissons. Gianluca Iannone n’hésite pas à rappeler la genèse du mouvement en conclusion du livre : « Nous sommes encore surpris de voir comment, autour d’un groupe de rock, s’est construit un mouvement national qui agit dans tous les domaines de la vie quotidienne du pays, qu’il s‘agisse du sport, de la solidarité, de la culture ou de la politique. » Un pied de nez aux critiques du « gramscisme de droite » et à tous ceux qui n’envisagent la politique que sous l’angle du sérieux. D’ailleurs le chapitre « Art » est clair : « Pour la première fois un mouvement naît spontanément métapolitique, à savoir entièrement libéré des références aux partis et aux stratégies politiques (p. 52). » L’auteur de poursuivre : « On connaît l’intuition de Walter Benjamin, qui opposait l’esthétisation de la politique futuro-fasciste à la politisation de l’art communiste. » Casa Pound Italia est assurément un mouvement esthétique, une esthétique qui parle à la jeunesse. Casa Pound Italia c’est aujourd’hui la jeunesse, celle qui fréquente les bars, les concerts, les ateliers de tatouages, les clubs de sport, les universités, au premier abord, la même que la nôtre, sauf que… cette jeunesse qui vit à fond peut devenir une redoutable machine politique capable de se mobiliser pour le logement, pour les travailleurs, pour la défense d’un monument, pour l’université populaire, l’école publique, pour le don du sang, une jeunesse capable de venir aux victimes d’un tremblement de terre et de lutter contre le vampirisme des banques. Derrière les t-shirts de hardcore, les pantalons à carreaux ou les piercings dans le nez se cachent de véritables  « légions impériales (p. 206) » à l’assaut du futur. Idée que nous trouvons dans le préambule du chapitre « Jeunesse » : « À l’époque de la précarité et des castes de vieux oligarques, alors que toute boussole et toute latitude semblent perdues, le Blocco en appelle au rassemblement des jeunes en leur disant qu’il est possible, si on le veut, de redevenir les protagonistes de l’Histoire. Qu’il est possible, par la volonté et le sacrifice de reprendre en main son destin, de tout se ré-approprier (p. 167). »  Massés derrière la tortue fléchée du mouvement ou derrière l’éclair cerclé du Blocco Studentesco, dont Adriano Scianca donne la signification dans le chapitre « Symbolique », ils veulent conquérir l’avenir et crient « Giovinezza al potere ! », « la jeunesse au pouvoir !»
 
Le chapitre « Style » poursuit et complète naturellement le chapitre « Art ». Contrairement à la vision américaine du « staïle », le style décrit par Casa Pound est dynamique et vertical. Adriano Scianca va même jusqu’à dire : « Faire une chose précisément d’une certaine manière, parce que c’est ainsi que les choses doivent être faites et non d’une manière quelconque, parce que la forme est le plus essentiel (p. 306). » Cela peut évoquer les débats qui ont court chez les sportifs comme « gagner avec la manière », car ce qui compte ce n’est pas seulement de gagner, c’est d’avoir proposé un beau jeu. D’avoir fait honneur à son sport, de ne pas l’avoir dénaturé. Il en va de même ici pour l’action politique. Elle prend son sens avec les formes et grâce aux formes. « Il faut faire de la vie une œuvre d’art » peut-on lire page 308. L’auteur rappelle d’ailleurs l’étymologie du terme qui viendrait soit de « stylus », petit scalpel qui servait à écrire et donc à tracer et à donner du sens, ou alors du grec « stylos », la colonne. Le style c’est « l’homme vertical », la droiture : « Sens de la droiture, du dos bien droit, de l’homme vertical. La construction d’une figure saine, solaire, bien droite comme un menhir, comme un sceptre royal, comme une épée : voilà l’objectif d’une anthropo-technique positive, activée et stylée (p. 309). » Ainsi Casa Pound a développée une esthétique propre et nombreux sont les militants et sympathisants italiens et étrangers qui adhèrent en premier lieu à l’esthétique Casa Pound.
 
Le livre d’Adriano Scianca est également riche en réflexions diverses sur des thèmes aussi variés que l’amour, l’espoir, l’antifascisme, le fascisme, l’anarchie, les Juifs, l’honneur, la guerre, la violence, l’histoire, les différences, et bien sûr les femmes, si importantes pour la société et dont le mouvement défend le « temps d’être mère » (« tempo di essere madri ») mais n’enferme pas seulement dans la maternité. Ces thèmes peuvent faire l’objet d’un chapitre ou se retrouver de façon transversale. Les chapitres politiques auront surtout le mérite de rétablir quelques vérités historiques sur l’histoire du fascisme et sur la praxis fasciste quant aux religions. Si l’auteur est assez clair dans son rejet du « judéo-christianisme », il n’en demeure pas moins qu’il reconnaît la possibilité aux croyants de trouver une place dans la société moyennant l’abandon de certaines ambitions politiques. Ainsi le sionisme autant que la puissance de l’Église sont critiqués. Cela tranche clairement avec le nationalisme français, dans lequel l’élément catholique est souvent apparu comme un ferment d’unité. Il n’en est rien de l’autre côté des Alpes, car l’unité territoriale, politique, tout comme la mise en place d’une mystique propre furent freinée par l’Église, autant chez les catholiques conservateurs que chez les « catho-communistes » comme les appelle Scianca. On retrouve en filigrane l’opposition séculaire entre l’Empire et l’Église.
 
La lecture de ce livre n’a fait que me conforter dans mes impressions sur Casa Pound, bien que, comme je l’indiquais en préambule, certains passages pourraient être débattus ou critiqués. Il n’en demeure pas moins que derrière le décorum, Casa Pound est une entité vivante dotée d’une pensée propre. Et si nous pouvons appréhender le mouvement de l’extérieur, il convient d’en cerner les dynamiques internes. Ce livre peut y aider. Il doit aussi être une base sérieuse de réflexion pour nous tous sur ce que doit être le militantisme du IIIe millénaire. Il sera aussi une révélation pour certains, sur ce qu’ils sont ou ne sont pas. Objet militant, support intellectuel, source d’imaginaire ou retour au réel, ce livre doit aussi être une invitation au voyage pour palper, même timidement, cet organisme vivant et essayer de comprendre ce qui se cache derrière les apparences. Que Gabriele Adinolfi se rassure, en France aussi nous sommes nombreux à être des romantiques, à nous retrouver dans l’esthétisation de la politique et à rejeter les bigoteries diverses.
 
Pour le mot de la fin, nous pouvons le laisser à Gianluca Iannone :
 
« Parce que, lorsque tu donnes tout, tu possèdes tout. Parce que ce que tu ne possèdes pas encore, tu te le ré-appropries (p. 363). »
 
En deux mots : Tout reprendre !

Jean Non-Conforme
 
• Adriano Scianca, Casa Pound : une terrible beauté est née ! Les mots de Casa Pound : 40 concepts pour une révolution en devenir, préface de Gabriele Adinolfi, introduction de Flavio Nardi et postface de Gianluca Iannone, Les Éditions du Rubicon, Paris, 2012, 363 p., 24 €, à commander à : leseditionsdurubicon@yahoo.fr
 
• D’abord mis en ligne sur Cercle non conforme, le 5 novembre 2012.

 


 

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Quelques impressions sur l’opération Serval

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Quelques impressions sur l’opération Serval

par Georges FELTIN-TRACOL

 

Depuis le 11 janvier 2013, l’armée française intervient dans le conflit malien à la demande pressée de son gouvernement intérimaire menacé par l’offensive des islamistes. Des groupes djihadistes ont plus ou moins fortuitement répliqué en s’en prenant à des Occidentaux à In Amenas dans le Sahara algérien.

Le règlement algérien de la prise d’otage a suscité de nombreux commentaires désapprobateurs. Oui, l’assaut des forces spéciales dans le complexe gazier s’est traduit par de lourdes pertes, en particulier parmi les otages occidentaux, mais le gouvernement algérien ne pouvait pas – et ne voulait pas – procéder autrement. Même si l’Algérie a autorisé le survol de son territoire par l’aviation française dans le cadre de l’opération Serval à la grande colère de la presse algérienne, elle demeure très attachée à sa souveraineté nationale. D’abord réticente à toute intervention française au Mali – donc dans son arrière-cour -, elle a pris l’action terroriste à In Amenas comme un outrage majeur. Au cours de la guerre civile des années 1990, rares furent les attaques islamistes contre les sites d’hydrocarbures. C’est à se demander si ce ne serait pas une opération sous faux drapeau…
 
Outre un attachement « souverainiste » viscéral, Alger souhaite garder son contrôle sur la région. Historiquement, le Sud algérien qui correspond à une partie du désert saharien n’a jamais fait partie de la régence beylicale d’Alger. D’ailleurs, au moment des négociations sur l’indépendance en 1961 – 1962, la France envisagea un instant de transformer le Sahara en condominium franco-africain. Le projet échoua et l’Algérie s’étendit vers le Sud en échange d’accords secrets avec Paris sur les essais nucléaires.
 
La question des frontières est bien à l’origine du désordre malien. Le Mali est un État artificiel composé de diverses ethnies négroïdes (les Bambaras, les Malinkés, les Soninkés, les Peuls, les Sénoufos, les Dogons, les Songhai, etc.) et « blanches » (les Arabes ou « Maures » ou les Touareg) souvent antagonistes. Quelques mois avant l’indépendance, une délégation targuia demanda au général De Gaulle de prévoir un État des Touareg distinct du futur Mali. L’homme de Colombey ne les écouta pas ! Il en résulta une persécution de la minorité targuia par la majorité noire malienne.
 
Ce sont les forces indépendantistes du M.N.L.A. (Mouvement national pour la libération de l’Azawad) qui sont à l’origine de la sécession, le 6 avril 2012, du Nord du Mali, mais elles furent rapidement doublées par leurs « alliés » islamistes qui profitèrent de la chute orchestrée par l’Occident globalitaire oligarchique de Kadhafi en Libye pour disposer en abondance de munitions, d’armes performantes et de combattants aguerris. Toutefois, les islamistes du Nord du Mali ne présentent aucune homogénéité puisqu’on recense la présence d’A.Q.M.I (Al-Qaïda au Maghreb islamique), d’Ansar Dine (« Défenseurs de la religion ») du Targui indépendantiste d’origine malienne Iyad Ag Ghali, de ses récents dissidents du M.I.A. (Mouvement islamique de l’Azawad), d’Ansar al-Charia (« Défenseurs de la Charia »), du M.U.J.A.O. (Mouvement pour l’unicité et le jihad en Afrique de l’Ouest) et du Mouwaghina Bi Dam (« Les signataires par le sang ») de Mokhtar Belmokhtar, réputé proche de certains services algériens. Les spécialistes estiment même que ces mouvements armés désignent en réalité des bandes autonomes conduites par quelques meneurs débrouillards et ambitieux. Dans le cadre d’une vive concurrence, ces petits chefs, mi-terroristes mi-maffieux, auraient cherché à s’emparer de Bamako le plus rapidement possible avant une probable intervention militaire africaine secondée par la France prévue à l’automne 2013. Ces éléments assez indisciplinés parièrent aussi sur l’inexpérience de François Hollande. Or leur offensive vers le Sud força la décision française. En cas d’inaction de Paris, les derniers États alliés de la zone auraient sollicité l’assistance des États-Unis ou d’une autre puissance. La réaction était par conséquent vitale. Elle fut rapide et solitaire, hors de toute gesticulation onusienne et euro-bruxelloise
 
Sur cette crise africaine, l’Union européenne témoigne d’une évidente et pitoyable aboulie. La première puissance commerciale mondiale est un ectoplasme militaire, d’où une pusillanimité certaine de la part de ses États-membres. Il est vrai qu’ils ne peuvent pas se lancer dans une aventure extérieure quand ils réduisent les dépenses militaires au maximum. En outre, l’idée même de guerre paraît dorénavant incongrue pour les masses repues de consommateurs abrutis.
 
Enfin, au-delà de l’urgence géopolitique, l’opération Serval sert des considérations politiciennes. Très impopulaire dans les sondages, le locataire de l’Élysée table sur une union nationale salvatrice qui ferait oublier l’imposant succès des « manifestants pour tous » du 13 janvier, malgré une navrante frigidité de ne pas foncer sur le palais présidentiel, et l’odieuse reddition des syndicats devant le patronat le 11 janvier dernier. Effective, l’unité nationale fut brève. Il importe maintenant de s’interroger sur les objectifs de cet engagement.
 
Pour les hiérarques socialistes, ils sont clairs : il s’agit, d’une part, de restaurer la souveraineté et l’intégrité du Mali et, d’autre part, de rétablir les droits de l’homme. S’il faut se scandaliser de la destruction de sanctuaires musulmans soufis par des talibans sahéliens d’une rare ignorance, l’application musclée de la Charia paraît au contraire une bonne chose qu’il faudrait étendre, le cas échéant, aux banlieues de l’immigration dans l’Hexagone. Trancher la main, le pied, la langue, voire la tête, éviterait la surpopulation carcérale.
 
On doit appréhender que les responsables français, méconnaissant les réalités locales, assimilent les Touareg aux islamistes. Il est dès lors imaginable que le Nord une fois reconquis, les populations touareg et arabes subissent représailles et exactions de la part de Maliens négroïdes prêts à une éradication génocidaire définitive…
 
Fidèle à son habitude d’araser les différences authentiques, la République hexagonale s’ingénie à soutenir tous les niveleurs du monde. L’Azawad, ou plus exactement les trois Azawad (du Sahara, de l’Ouest maure et du fleuve), ne doivent pas disparaître au profit d’entités fantoches et artificielles. Si la lutte contre le djihadisme – cet autre mondialisme mortifère – entretenu par l’Arabie Saoudite, le Qatar et certains cénacles de l’« État profond » yankee ou britannique est une obligation quasi-morale, le bon sens voudrait que Paris puisse rallier à cette lutte ces experts du désert que sont les « Hommes  bleus » en promouvant leurs revendications identitaires légitimes. Pourquoi alors ne pas encourager des Azawad qui, parrainés par Alger et Paris, stabiliseraient cette région primordiale de l’Afrique de l’Ouest dans le cadre d’un Mali fédéral ?
 
Mais avec les socialistes aux manettes, il faut craindre que leur haine pour toute identité véritable les aveugle et fasse de cette opération un nouveau bourbier. Mourir pour Bamako ou Tombouctou pour des billevesées juridiques et mondialistes n’est pas une solution digne.

Georges Feltin-Tracol
 

 


 

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dimanche, 27 janvier 2013

À L’ASSAUT DE LA MODERNITÉ

À L’ASSAUT DE LA MODERNITÉ

par Xavier EMAN

(In « Livr’arbitres » numéro 10, www.livr-arbitres.com )

Depuis plusieurs années, le mouvement de droite radicale et sociale italienne « Casapound » suscite intérêt et interrogations au sein de l’ensemble de la mouvance identitaire et patriote européenne.

Si c’est sans doute avant tout l’esthétique de ce mouvement — offensive, novatrice, insolente et avant-gardiste — et ces méthodes d’action — audacieuses et inventives — qui ont intrigués puis passionnés des observateurs sans cesse plus nombreux, Casapound Italia ne peut bien évidemment se résumer à cela.

Car Casapound, qui se veut le rassemblement des « fascistes du troisième millénaire », n’est pas qu’un groupe activiste, c’est un mouvement politique révolutionnaire qui s’appuie sur un corpus idéologique complet et propose à ses membres une véritable « vision du monde » alternative.

C’est cette vision qu’Adriano Scianca, responsable de la culture de CP et journaliste diplômé en philosophie, expose et explicite dans son ouvrage dont la version française est titrée : Casapound, une terrible beauté est née (Éditions du Rubicon, 21 rue Fécamp, 75012 Paris. hhtp://www.leseditionsdurubicon.com).

À travers quarante concepts fondamentaux (Action, Fascisme, Femme, Nature, Usure, Identité, Histoire, etc.), l’auteur propose une plongée intellectuelle et doctrinale dans l’univers archéo-futuriste et explosif du mouvement à la tortue. Ainsi, on croisera dans ces pages aussi bien Heidegger, Nietzsche, Junger et Drieu que le capitaine Harlock (« Albator » en France), Metallica et, bien sûr, Zetazeroalfa, le groupe rock dont Gianlucca Iannone, le charismatique président de CP, est le chanteur.

Adriano Scianca dessine ainsi une mosaïque plurielle, bouillonnante et multicolore dont se dégagent peu à peu une cohérence interne et une ligne directrice forte.

D’une lecture parfois ardue (du fait de la profondeur des sujets et concepts abordés) mais toujours passionnante, « Casapound, une terrible beauté est née ! » représente un ouvrage fondamental pour qui veut sérieusement connaître et comprendre la pensée et l’action des « fils de la Tortue » ainsi que la portée de la révolution organique qu’ils incarnent.

Un livre qui ne laissera personne indifférent, pour preuve les polémiques qu’il suscite depuis sa sortie, notamment au sein d’une « extrême-droite » qui n’en finit plus de rancir et qui semble avoir bien du mal à supporter les expériences faisant sortir les idéaux patriotes et sociaux des placards plein de naphtaline où ils sont remisés depuis plus de soixante ans.

TROIS QUESTIONS À ADRIANO SCIANCA

  1. La traduction française de votre ouvrage dont le titre original est Riprendersi tutto (Tout reprendre) vient de sortir, publié par les Éditions Rubicon. Pouvez-vous nous dire quelle est la nature de ce livre : est-ce un essai de sciences politiques, le programme politique de Casapound, une histoire de ce mouvement ?

Je crois que Riprendersi tutto est la structuration d’un lexique politique en premier lieu pour les militants mais également pour tous ceux qui, pour une raison ou une autre, sont curieux de découvrir CasaPound. Le livre est né d’une insatisfaction vis-à-vis des descriptions que l’on pouvait donner de notre mouvement. On en parlait souvent en termes de « déjà vu » alors que notre mouvement est véritablement un phénomène nouveau dans le panorama politique italien et probablement européen.

  1. Votre mouvement politique s’est placé sous les auspices du grand écrivain et poète américain Ezra Pound. Pourquoi ce choix et signifie-t-il que la littérature joue un rôle important au sein de votre formation politique ?

Ezra Pound — auteur sur lequel portera mon prochain livre — fut une figure intellectuelle très importante de son époque et je pense que nous devons tous encore aujourd’hui en apprécier la portée. Casapound s’est surtout inspiré de ses théories sociales, en particulier sur le thème du logement. Ce qui est sûr, c’est que la littérature joue un rôle important à CasaPound. Notre première occupation se nommait CasaMontag comme le personnage de Fahrenheit 451 de Ray Bradbury.

Nous avons aussi récemment organisé des conférences autour de Bukowski ou de Kérouac. Nous n’oublions pas non plus Robert Brasillach et les grands auteurs de notre « milieu ». À l’entrée de CasaPound, on peut trouver sur les murs une galerie de noms peints, outre les auteurs que je vous ai cité, on y retrouve : Pirandello, Eliot, Orwell, Ballard, Tolkien, Saint-Exupéry, Fante, Mishima, Pessoa, Majakovskij, Marinetti, D’Annunzio, Jünger, Yeats, Dante, Hölderlin, Omero, Céline. Ceux-là, et bien d’autres encore, sont les anges gardiens de notre action quotidienne.

  1. L’édition française de votre ouvrage répond notamment à un intérêt croissant des milieux patriotes et identitaires européens pour le « phénomène » Casapound. Comment expliquez-vous cet engouement et pensez-vous que le « modèle » Casapound soit exportable à l’étranger ?

    L’intérêt pour le phénomène CasaPound vient des résultats obtenus par ce mouvement au cours des dernières années et de son approche innovante. Le modèle CasaPound est-il exportable ? Dans la forme, non mais dans l’esprit, certainement.

Très souvent des camarades étrangers qui viennent à notre rencontre veulent eux aussi faire des « Occupations Non Conformes » de retour chez eux. Cela nous fait plaisir mais nous pensons surtout que pour obtenir ce résultat, il faut d’abord des bases solides. Cpi est né d’un petit groupe de personnes mais qui représentait avant tout une communauté de destin très unie et qui a obtenu des résultats incroyables grâce à des efforts inimaginables. C’est par ça qu’il faut commencer : communauté, unité, hiérarchie, esprit de sacrifice, idées claires. Ceux qui viennent à notre rencontre et qui nous demandent la « recette de la révolution » sont dans l’erreur car elle n’existe pas. L’unique recette qui existe consiste dans un travail quotidien et la foi dans ses idées. C’est ça l’esprit de Cpi qui doit être exporté, les résultats viendront d’eux-mêmes.

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World War III Has Begun

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– It`s the First Asymmetric War Long Awaited by Pentagon Think Tanks

Wayne MADSEN
Ex: Strategic-Culture.org


The Pentagon has already declared World War III and President Barack Obama and the Congress never even carried out their constitutional duties to approve the use of American military power for war.

One might reasonably conclude that the United States has outsourced war. Presently, World War III is being conducted on two continents – Asia and Africa – with two others – Europe and South America – looming on the horizon. Today, wars are crafted by the upper one percent of wealthy elitists who, using non-governmental organizations, television networks, non — profit “think tanks,” and public relations firms, can declare war on nations without a whimper from elected public officials.

Symmetric warfare is no longer an option for the global elites. World Wars I and II severely affected the investments of many of the global elite families as a result of the destruction of cities, factories, railways, seaports, and other infrastructures. The Korean, Vietnam, the Arab-Israeli, and Iraq wars were messy affairs that also adversely affected markets and destroyed valuable infrastructures. The Cold War never developed into a hot nuclear war because of the doctrine of Mutually Assured Destruction (MAD), which ensured that a nuclear first strike by either the West or the East would result in total annihilation of both sides, along with the rest of the world. Even a western military attack on China would have had disastrous results for the attackers, especially since China could retaliate with a nuclear counter-attack and wipe out the U.S. Seventh Fleet and its East Asian naval bases, including Okinawa and Guam. A new type of warfare was required by the elites: asymmetric warfare – the use of unconventional warfare tactics, including information warfare, by proxies, non-state actors, agents provocateur, and fifth columns.

Largely financed by hedge fund mega-tycoon George Soros and his Central Intelligence Agency interlocutors, our present asymmetric World War III was field tested just like any new product. The “themed” revolutions were market-tested first in Serbia, and then in Ukraine, Georgia, and Kyrgyzstan, to oust problematic governments that did not want to get on board with the dictates of the unelected and unaccountable real controllers of the financial and political destiny of the world.

Pro-western and pro-European Union governments, comprised of a number of individuals who were funded by Soros and other non-state operations established by the global elites, for example, the Council on Foreign Relations, the Bilderberg Group, the Trilateral Commission, Freedom House, U.S. Institute of Peace, and others funded and supported by the Houses of Rothschild, Rockefeller, Mellon, and others saw to it that new governments took root in Belgrade, Kiev, Tbilisi, and Bishkek. These new governments were not elected but took power as a result of themed street rebellions, a new manifestation of unconventional warfare. 

No longer did armies, navies, and air forces have to face each other across battlefields and battle zones and theaters of warfare. One merely had to embed fifth columnists and provocateurs inside a targeted nation's capital city, media, political party apparatus, and "civil society" infrastructure to bring about the defeat of the government outside the normal political process and replace it with a new government beholden to the desires of the central banks and global oligarchs.

The beginnings of the asymmetric world war began in Belgrade, Serbia when Otpor – a Serbian resistance movement dedicated to overthrowing the Slobodon Milosevic regime – launched the first “themed revolution.” Otpor’s symbol was a clenched fist, an emblem that would reappear in the future in other capital cities from Kiev to Cairo. Otpor received massive funding from a network of western contrivances, including George Soros’s Open Society Institute, the neo-conservative-infiltrated U.S. National Endowment for Democracy, and various European Union-funded NGOs that were intimately linked to Soros’s “democracy engineering” operations.

The playbook used for Otpor in Serbia and by similar organizations in toppling the governments of Georgia in the Rose Revolution, Ukraine in the Orange Revolution, and Kyrgyzstan in the Tulip Revolution, was developed by University of Massachusetts professor Gene Sharp, the founder of the Boston-based NGO, the Albert Einstein Institute, which helped train Otpor activists in civil disobedience and popular resistance campaigns designed to overthrow governments, those democratically-elected and those not. Albert Einstein Institute-trained provocateurs launched popular resistance campaigns around the world aimed at replacing governments unwilling to acquiesce to the dictates of Western elites. Internal opposition forces, all acolytes of Sharp, for instance Kmara, which helped install the pro-Western and pro-Israeli Mikheil Saakashvili in Georgia; Pora in Ukraine that propelled pro-NATO Viktor Yushchenko into the presidency; and KelKel in Kyrgyzstan that replaced Askar Akayev with the corrupt Kurmanbek Bakiyev. 

The domino effect of the themed revolutions saw Serbs helping to overthrow the Georgian government, then Serbs and Georgians flocking to Kiev to oust the Ukrainian government, and Georgians and Ukrainians being directly involved in the insurrection in Bishkek. The neo-conservatives and Sharp had borrowed a page from the Communists and the international proletarian movement that saw Communist cadres fight against capitalists and fascists in foreign civil wars, for example, the Spanish Civil War and conflicts in Africa and Southeast Asia.

Sharp was an alumnus of Harvard University’s CIA-linked Center for International Affairs, also abbreviated “CIA,” which is not coincidental. Harvard and the CIA of Langley, Virginia have long maintained a close relationship. In fact, Sharp was never interested in ensuring the will of the people to map out their own future but was putting into practice the theory of asymmetric warfare – the vanquishing of enemies through the use of proxy internal forces without the requirement for invading foreign armies and the massive death and destruction associated with such action.

Many of Sharp’s tactics have been seen in practice in many asymmetric warfare targets. These include the creation of a perception of a successful movement, even if there is not one. The use of western-controlled news networks like Fox News that showed a video clip of anti-austerity Greek rioters in Athens falsely depicted as anti-government protesters in Moscow and Al Jazeera’s use of a video erroneously showing a U.S.- and Saudi-backed bloody crackdown of pro-democracy protesters by Bahrain’s security forces as the bloody repression of protesters by Syria’s government are examples of Sharp’s propaganda and disinformation tactics.

Cultivating foreign support is another key element of Sharp’s asymmetric warfare tactics. The virtual control exercised by Soros over Human Rights Watch after the multi-billionaire hedge fund kingpin donated $100 million to the group is a case in point. The human rights NGO was at the forefront of hyping “atrocities” committed by the Qaddafi regime in Libya but remained largely silent on Libyan rebel atrocities committed against Libyan and African blacks, as well as Qaddafi loyalists. In so doing, Human Rights Watch had a powerful accomplice in the International Criminal Court, which tended to look the other way when CIA- and Saudi- and Qatari’ supported Libyan rebels were committing the massacres.

Another Sharp tactic is to seek change outside the electoral system. This tactic was evident in the 2004 Orange Revolution in Ukraine, where election results were rejected, and in the recent Russian parliamentary election, where Soros- and U.S. neocon-financed election monitoring groups like Golos rejected the outcome of the election and used shills like former Soviet President Mikhail Gorbachev to call for the nullification of the election. Interference following the Sharp and Soros methodology can also be seen in the presidential candidacies of Russian oligarch and New Jersey Nets basketball owner Mikhail Prokhorov and the backing by western propaganda outlets like the Christian Science Monitor (now derided as the “Christian Zionist Monitor” after its takeover by interests who favor a neo-imperialist U.S. foreign policy) of Moscow street protest veteran Alexei Navalny.

Sharp and Soros are on the same page in calling for the internal opposition forces’ use of the Internet, fax, and social networks like Facebook and Twitter to advance their agendas. 

In the next phases of World War III, the asymmetric warriors of the Pentagon and their adjunct non-state actors will continue to turn up the heat in the Arab World, with the revolutions in Libya, Syria, Tunisia, Yemen, and Egypt, after a somewhat shaky start that saw the advancement of Islamist groups, being brought under more western and NATO control. Russia’s presidential election and a turndown in the Chinese economy, with growing village-based dissent among China’s growing middle class, will present further opportunities for the promoters of World War III. The sudden death of North Korea’s leader Kim Jong Il has also resulted in a call for an expansion of social networking operations, most notably by the CIA- and Soros-infested Washington Post, inside Asia’s hermit kingdom. 

Myanmar, China’s restive provinces of Tibet and East Turkestan, Lebanon, Iran, Algeria, Sudan, Zimbabwe, Venezuela, Nepal, Belarus, Ecuador, Bolivia, Pakistan, Laos, and the two Congos also present opportunities for the World War III architects. Those who seek to extend American and global elitist control over the entire planet will not rest until every acre of land comes under the firm control of the oligarchs of Wall Street, the spymasters of the CIA, and the globalist business cartels and families.


Republishing is welcomed with reference to Strategic Culture Foundation on-line journal www.strategic-culture.org.

Bij Paul van Ostaijen in de leer

Bij Paul van Ostaijen in de leer

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Zowel de vroege als de late epigonen van Paul van Ostaijen zullen het U wellicht heel anders trachten diets te maken, daar elkeen bij zijn leermeester slechts datgene wenst te leren wat het meest naar zijn zin is en het best met zijn eigen geestesaanleg overeenstemt.

De speelse geesten, die slechts van woordgeknutsel houden of de poëzie “experimenteren” zoals men een nieuwe fiets of een nieuwe flirt aanpakt, zullen U weten te vertellen dat Paul van Ostaijen de aartsmodernist bij uitstek was die hele tot dan toe zo ouderwetse Vlaamse poëzie op stelten heeft gezet, om de ene poëtische waaghalzerij na de andere aan te durven en het over boord te werpen. Ze staven zich blind op toch zo modernistische “Boere-charleston” of op dat even leuk “Alpejagerslied”, met die twee heren die een open hoed dragen en die hem voor elkaar afnemen vlak vóór de winkel van Hinderickx en Winderickx… Leuk zijn ze, inderdaad, die gedichten en misschien zelfs baanbrekend, doch vindt U ze niet eveneens een tikje “prozaïsch” en potsierlijk, met heel die goedkope tingeltengel van “bolle wangen ballen bekkens / bugel en basson”?

We weten gelukkig genoeg, dat het voor Paul van Ostaijen met die en dergelijke andere gedichten slechts om het “Eerste Boek van Schmoll” ging, U weet dat eerste piano-oefenboek, waarin de kinderen de allereerste beginselen van de moeilijke klavierkunst aanleren. Na dit boek komen de andere, meer ingewikkelde oefenboeken en slechts na jaren oefenen komt men er eindelijk toe min of meer voldoende bekwaam te zijn een fuga van Bach of een nocturnen van Chopin te vertolken. Met Paul van Ostaijen was het net eender en na die eerder schrale en al te gemakkelijke probeerselen moesten meer ernstige dichtoefeningen komen. Trouwens, dit “Eerste Boek van Schmoll” behelst het niet reeds enkele zeer gave gedichten, zoals die wondermooie en ietwat romantische “Loreley”? Helaas, Paul van Ostaijen is te jong de dood ingegaan, om ons de volle maat van zijn dichterlijke gaven te hebben kunnen tonen. De gedichten die we van hem bezitten zijn nog te onvolkomen, te onvolmaakt om ons de volle, overdadige potentie van zijn waar dichterlijk vermogen te kunnen onthullen.

In zijn critische proza moeten wij de dichter Paul van Ostaijen leren zoeken en, hoe paradoxaal! het is in een van de weinige Franstalige geschriften van deze Vlaamse dichter dat wij zijn ars poetica vinden. Dit Franstalig geschrift heet “Un Débat Littéraire”. Het behelst de tekst van een lezing door Paul van Ostaijen in 1925, te Brussel, gehouden voor het publiek van het studentengenootschap “La Lanterne Sourde”. Als nog zeer jonge dichter, hadden wij het voorrecht deze lezing te mogen horen, er ja zelfs een beetje een van de mede-inrichters van te zijn. De lezing van Paul van Ostaijen maakte de grootste indruk op zijn Brussels publiek en voor onszelf werd ze een werkelijk richtinggevende poëtische boodschap, die wij achteraf nog dikwijls met Paul van Ostaijen mochten bespreken.

De poëtische boodschap van Paul van Ostaijen viel bij ons in een wellicht reeds goed voorbereide aarde, want toen reeds dweepten wij èn met Hadewijch èn met Novalis. Hoe het ook zij, de heel wat oudere Paul van Ostaijen vond in ons, vertegenwoordiger van een jongere generatie, een gewillige discipel, toen hij verkondigde dat Sint Jan van ‘t Kruis de hoeksteen van de hele Spaanse literatuur was, terwijl Mechtild van Maagdeburg, Meister Ekhardt, Jacob Böhme, Tauler en Angelus Silesius als de hechtste vertegenwoordigers van de Duitse letterkunde dienden beschouwd te worden.

Paul van Ostaijen had, inderdaad, de poëtische boodschap van die wonderbare woordkunstenaars begrepen; hij had van hen geleerd dat het woord heel wat meer is dan een teken, dat de woorden meer dan loutere begrippen dekken, dat ze het leven zelf zijn, of eerder dat ze de transcendentie van al hetgeen in het leven besloten weten te reveleren. Hij had van hen geleerd dat het woord in de woordkunst heel wat meer is dan een klank, een klankassociatie met of zonder geestelijke of intellectuele resonans-bodem. Weliswaar is de poëzie eerst en vooral, zoals alle kunsten trouwens, gensensibiliseerde materie, die materie hier het woord zijnde met al de mogelijkheden van zijn verhouding tot het onbewuste. De metafysische bekommernis van de dichter, leerde ons Paul van Ostayen (want volgens hem diende de dichter metafysische bekommernissen te hebben), zou er de dichter toe leiden in de woorden heel wat meer te zien dan het beeld van de uiterlijke wereld, om er de onbewuste som uit te puren van al hetgeen uit hun aard in hem weerklank, diepte en verte heeft gevonden. En op zijn beurt moet de dichter, niet de geest, maar het onbewust van zijn lezer of luisteraar weten te beroeren.

Ten slotte bestaat de kunst van de dichter er vooral in een bewuste en bestendige beroering van het onbewuste te verwekken. Doch van Ostaijen wist onmiddellijk de onbewust geïnspireerde poëzie van de bewust opgebouwde te onderscheiden, met dit voorbehoud echter dat de ene vaak in de andere verglijdt. Geen enkel dichter, geen enkel bewust woordkunstenaar geraakt echter ten volle in de sfeer van de louter onbewust geïnspireerde poëzie; slechts de zuivere mystici, de profeten en… de geesteszieken kunnen het spreekbord van de onbewuste, van de “goddelijke” of andere niet gewone ingeving worden. Aan de dichters behoort het de bewust opgebouwde poëzie te puren uit de gehele bewerking van de onbewuste grondstof die hun wordt geboden ter beoefening van hun dichtkunst. Van Ostaijen stond hier dan van meetaf afwijzend tegenover het blind vertrouwen van de surrealisten in hetgeen deze het woordautomatisme noemen. Voor hem kwam het er in eerste instantie op aan de Wahlverwantschaften van de woorden op te sporen en hierbij zijn hun klank en de metafysische en gevoelsverhoudingen tussen die klank en de zin van de woorden wellicht de beste gidsen.

Paul van Ostaijen stelde zich daarbij de vraag of men een bewuste mystieke literatuur kon scheppen. Hij antwoordde er onmiddellijk negatief op. Hij meende echter dat men heel wat aan de mystieke literatuur kon ontlenen, om haar uitingsmiddelen bewust in de poëzie om te werken. Kantiaans aangelegd, sprak hij dan van een “mystiek in de verschijningsvormen” die de mystiek in God zou kunnen vervangen. Maar die “mystiek in de verschijningsvormen”, is ze ten slotte niet als een vorm van het eeuwige pantheïsme te beschouwen? In die zin hebben we althans de les van van Ostaijen verstaan en, de extase van de mystici “bewust” ervarend, hebben we de “verwondering”, de “begeestering”, samen met al de “nachtzijden” van het leven, als doel an sich van de poëzie weten te ontginnen. (*)

Paul van Ostaijen zegt nog dat het er op aankomt door het woord heen “rationeel”tot het surreële op te gaan. Wij hebben zijn raad gevolgd en zijn aldus logischerwijze in het surrealisme beland om achteraf tot een loutere metafysische poëzie te komen. Doch hijzelf, heeft hij zijn ars poëtica heel en gans in de praktijk van zijn poëzie weten om te zetten? Wij geloven van niet, want daarvoor was zijn kunst nog te gebonden aan zekere aspecten van het expressionisme, ja zelfs van het dadaïsme. Wel heeft hij de grondslagen gelegd van een loutere thematische poëzie, doch zijn thematiek was nog te verslaafd aan de al te goedkope feeërie van de music-hall, aan “dressuurnummers” en grotesken. In enkele van zijn mooiste gedichten heeft hij de poëzie van het “kind in ons” weten op te roepen, doch de poëzie van “plant in ons”, van het “dier in ons” en het verder van al hetgeen de “subcorticale” wereld van ons diepste wezen toebehoort heeft hij nooit of slechts sporadisch weten te benaderen.

De poëzie van Paul van Ostaijen is voor ons een vertrekpunt geweest, een “overwonnen standpunt”, om een uitdrukking aan zijn eigen terminologie te ontlenen. In de poëzie van de jongste jaren hebben wij, helaas, slechts een terugkeer tot die “overwonnen standpunten” dus een poëtische “Weg zurück” menen te zien. Wij weten het wel, men zal ons antwoorden dat men verder gegaan is dan van Ostaijen zelf. Misschien wel, doch dan voorzeker slechts op de meest gemakkelijke onder de vele wegen die vanaf het “kruispunt” van Ostaijen openstonden. Wij, in tegendeel, hebben de moeilijkste verkozen, die waar de poëzie de ijlste toppen van het sacrale in de mens besloten tracht te benaderen en te omschrijven. Doch leidt deze weg ten slotte niet tot de “eeuwige poëzie”, die boven alle bekommernis van rijm, metrum of andere min of meer gebonden of ongebonden prozodie, de poëzie weet bloot te leggen van al hetgeen ons in het werelds aanzijn weet te beroeren?

MARC. EEMANS

(*) Paul Rodenko, in zijn boek “Tussen de Regels”, aarzelt niet Paul van Ostaijen een “mysticus” te noemen. Hij voegt er aan toe dat alleen van daaruit de poëtische ontwikkeling van de dichter te begrijpen is, en hij citeert daarbij, ter staving, een louter metafysisch gedicht van de dichter, waarin het gaat over de bevrijding van de “gevangen éénheid” van doen en denken, lichaam en ziel.

Marc. Eemans, Bij Paul van Ostaijen in de leer, in De Periscoop, 7e jg., nr. 1, november 1956, blz. 1-2.

samedi, 26 janvier 2013

Trans-humanity and post-Europe: Satanic agenda of US intelligence

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Trans-humanity and post-Europe: Satanic agenda of US intelligence

Ex: http://english.pravda.ru/
 

'Yes; is it a science?'

'Yes, there is such a science... but... I confess I can't explain to you what sort of science it is.'

Brothers Karamazov

By Nicolas Bonnal 

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When I first read the Global Trends redacted by the NIA, I first thought I was reading a bad screenplay for a low-budgeted Sci-Fi movie.

We are no more free citizens in modern nations; for there are no nations and no free citizens. We are just grey and febrile pawns, volatile and nervous ants and cyber-cockroaches - name it as you want - lodging in a big technological concentration camp named the American matrix. An individual will be by no mean himself, for the old Christian subject is dead. For our ruling elites, who always lament the Russian resilience and threaten strangulated Iran, there are no nations, no races, no spirituality and no soul: there is just a cyber-personality in search of an ergonomic perfection and a global network of electronic prisons and ecological surveillance. As foresaw Job, the current man is cast into a net by his own feet, and he walks upon a snare.

Global warming means indeed global warning and more rules and fines and sentences in the western camp, the so-called free world. The progress of science - or labelled so - means that we must improve ourselves in order to match the cold machine of the global western system. Modern technology served mainly to embed the Bentham nightmare of a total panopticon. A regulated and submitted humanity, that has lost any identity or even priority of her own, is such prepared to be managed and even reduced in quantity (too many aged people, too many consumers, etc.) and of course annihilated in quality.  Bleak acronym NIA means "negated" in French.

Dostoyevsky again:

There are numbers of them there, hundreds of them underground, with hammers in their hands. Oh, yes, we shall be in chains and there will be no freedom...

The Global Trends of the National Intelligence Agency hint to what French philosopher Deleuze named the modern bad script. For western life is merely a bad dream. It has no roots and propagates no goal, once it has drowned Christianity or Moslem civilization with the artefacts of progress and the most vulgar greed. It seems that the so rich Indian world has been easily neutralized too; thanks may be to the preparative of the British Empire and the role of the cast of Vaishya the West is converting six thousand years of civilization into cash.

Let them talk their proper lines. Our global and post-human dreamers dream so of a global middle-class easily controlled by ruthless elites:

A transnational elite-educated at the same global academic institutions-emerges that leads key nonstate actors (major multinational corporations, universities, and NGOs). A global public opinion consensus among many elites and middle-class citizens on the major challenges-poverty, the environment, anti-corruption, rule-of-law, and peace-form the base of their support and power. Countries do not disappear, but governments increasingly see their role as organizing and orchestrating "hybrid" coalitions of state and nonstate actors which shift depending on the challenge.

Hybrid: how much they enjoy that word! Your future wife, your future kids will be a hybrid of plant, machine and weird reptile! We can make it for you and sell it you!

Even if the data show the contrary they want to undermine as infamous Sutherland uttered what is left of our national identities:

Increasingly, elites in developed countries are likely to consider migration policy as part of an economic growth strategy, particularly as competition grows for highly skilled employees.

The World Bank estimates that a 3-percentage-point increase in the stock of migrants by 2025 would lead to a 0.6-percent increase in global income, a gain of $368 billion, with developing countries and migrants from those countries benefiting more than the natives of high-income countries. This is more than the gains from removing all remaining barriers to free trade.

The nomadic and cybernetic society is led by a pure quantitative agenda: as I already stated before the publication of this incredible documents, Guenon and traditional East have failed where the West had triumphed. But Guenon was right while predicting a reign of the quantity. Read that again:

Years from now I think that historians will see changing immigration and mobility as the foundation for the growing political and technological cooperation. For good or for ill, a cosmopolitan elite with ties to multiple countries has formed: these elites are comfortable working and living in multiple places. Even the less skilled are more mobile, filling in gaps in many aging societies.

Here at least global dreamers tell us the truth: destroying societies by the elites (the dead fish rots by the head as we always have known) and the legions of not so illegal aliens. They cross and crush then peoples and old classes. Brainwashed foreign students of the American universities will confirm this truth if allowed between two shooting parties...

But that's not all. Terminating Asia or 'old Europe' is not enough. The Illuminati agenda of American Intelligence wants more: it doesn't only want anymore Iranians, Russians, Englishmen or Frenchmen: it just wants no human left on the surface of the earth (are we too much ecologically active and threatening any virus or species of mosquito?).

There will be so a cyber-monster or a Hollywood-like Superman who may seduce the new ghost of Hitler but not the heir of Jesus. I quote the full lunatic passage:

As replacement limb technology advances, people may choose to enhance their physical selves as they do with cosmetic surgery today. Future retinal eye implants could enable night vision, and neuro-enhancements could provide superior memory recall or speed of thought. Neuro-pharmaceuticals will allow people to maintain concentration for longer periods of time or enhance their learning abilities. Augmented reality systems can provide enhanced experiences of real-world situations. Combined with advances in robotics, avatars could provide feedback in the form of sensors providing touch and smell as well as aural and visual information to the operator.

But the neuro-something civilization will have a price. What we know in our ruined old western countries is that the modern technoscience with all its gadgets and items has always had an enormous price; even if it doesn't have the so hoped results:

Owing to the high cost of human augmentation, it probably will be available in 15-20 years only to those who are able to pay for it... Moral and ethical challenges to human augmentation are inevitable.

Bringing out the Golem - this legendary monster of the ghetto of Prague- has always been the dream of modern science. Yet it will easier to turn the human being into a machine than to turn the machine into a human being. Ask governor Schwarzenegger or Jean-Claude van Damme!

Brain-machine interfaces in the form of brain-implants are demonstrating that directly bridging the gap between brain and machine is possible. Military organizations are experimenting with a wide range of augmentation technologies, including exoskeletons that allow personnel to carry increased loads and psycho-stimulants that allow personnel to operate for longer periods.

Human augmentation could allow civilian and military people to work more effectively, and in environments that were previously inaccessible. Elderly people may benefit from powered exoskeletons that assist wearers with simple walking and lifting activities, improving the health and quality of life for aging populations. Successful prosthetics probably will be directly integrated with the user's body. Brain-machine interfaces could provide "superhuman" abilities, enhancing strength and speed, as well as providing functions not previously available.

The folly of this ill-written dramatic text shows us at least one thing: America -or whatever means that word now- won't stop here. It has become a printing-machine of dollars and barbarities. God knows if we can be preserved from such an agenda of techno-prisoners consenting to their fate with their distorted brains. Ask Dostoyevsky again, for the Russian genius knows much about God than the Illuminati:

What should I be underground there without God? Rakitin's laughing! If they drive God from the earth, we shall shelter Him underground. One cannot exist in prison without God; it's even more impossible than out of prison.

Nicolas Bonnal 

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Genève 2013 : la donne a (bien) changé

Genève 2013 : la donne a (bien) changé

Par Louis Denghien


 

 

À Genève, ce 11 janvier, c’est le russe Alexandre Loukachevitch qui sera le « mâle dominant » : outre les BRICS, la ligne de son pays sur la Syrie est désormais rejointe par plusieurs pays arabes…

 

Genève accueille aujourd’hui, à nouveau, un sommet diplomatique sur la Syrie. Disons que par rapport à celui qui s’y était tenu à la fin du mois de juin, le contexte, l’atmosphère sont nettement plus favorables à la Syrie et à son président.

Le triomphe de la ligne russe

La rencontre de vendredi est de dimension plus modeste que la précédente : n’y assistent que les Russes, les Américains et l’émissaire de l’ONU Lakhdar Brahimi. De niveau plus modeste aussi, puisque les deux pays ne sont représentés que, côté russe, par le vice-ministre des Affaires étrangères Mikhaïl Bogdanov, et côté américain par le secrétaire d’État adjoint William Burns. Quand Sergueï Lavrov et Hillary Clinton étaient en personne à Genève en juin dernier.  Cette relative « modestie » peut témoigner du fait que sur l’agenda américain, la question syrienne revêt moins d’importance ou d’urgence que naguère.  En tout cas aux yeux de l’administration Obama 2, qui  a changé les têtes, et sans doute la ligne, de sa diplomatie ces derniers jours. Exit les interventionnistes (et ultra-sionistes) Hillary Clinton (politique étrangère) et Leon Panetta (Défense) respectivement remplacés par John Kerry et Chuck Hagel, le premier connu pour sa connaissance de la région et de Bachar al-Assad, le second pour ses prises de position anti-guerre et critiques envers l’alignement systématique de son pays sur les intérêts israéliens.

Côté russe, en revanche la ligne est inchangée : jeudi, le porte-parole du ministère des Affaires étrangères, Alexandre Loukachevitch, a réaffirmé jeudi 10 janvier que « seuls les Syriens peuvent décider du modèle de développement à long terme de leur pays« . Et donc du choix de leurs gouvernants. En une allusion transparente au premier d’entre eux, Loukachevitch a encore affirmé la nécessité de réunir les conditions d’un dialogue entre les autorités et l’opposition « sans aucune condition préalable, conformément au Communiqué de Genève« . Lequel communiqué adopté à l’issue du sommet international le 30 juin 2012 ne faisait plus d’un départ du pouvoir de Bachar la condition sine qua non à l’ouverture de négociations inter-syriennes. En disant cela, le porte-parole de la diplomatie russe répondait fermement à son homologue américaine Victoria Nuland qui avait déclaré la veille devant des journalistes que Washington avait l’intention de renouveler ce vendredi à Genève la pression diplomatique en vue d’obtenir le départ de Bachar : un objectif qui parait encore moins à portée que le 30 juin. Et qui n’est plus, de toute façon, la préoccupation principale des États-Unis dans la région.

La position russe a été appuyée, ce même jeudi 10 janvier, par une déclaration commune des BRICS – organisation de coopération associant la Russie, la Chine, l’Inde, le Brésil et l’Afrique du Sud – faite par le conseiller indien à la sécurité nationale Shivshankar Menon. Une déclaration qui semble être un décalque de celle de Loukachevitch : « Seuls les Syriens peuvent décider de leur avenir. D’autres pays ne peuvent intervenir qu’en intermédiaires lors des négociations« . M. Menon s’exprimait, c’est à noter, à l’issue d’entretiens sur les questions internationales avec son homologue du Conseil de sécurité russe, Nikolaï Patrouchev.

Et ce front commun BRICS, campant sur des positions définies depuis des mois, a reçu encore l’appui de l’Iran et de l’Égypte : en visite au Caire, le chef de la diplomatie iranienne Ali Akbar Salehi a signé avec son collègue égyptien Mohamed Kamel Amr une déclaration sur la Syrie prônant une solution politique en dehors de toute ingérence étrangère. Salehi a également transmis au président Morsi une invitation officielle de Mahmoud Ahamadinejab à se rendre en Iran. Le rapprochement entre l’Égypte – pays sunnite à direction Frères musulmans, et donc hostile au gouvernement syrien – et l’Iran, un des plus fermes soutiens régionaux de Bachar al-Assad se précise, après avoir été spectaculairement amorcé en août dernier par la présence à Téhéran de Morsi, à l’occasion du sommet des Non alignés. Et c’est plutôt l’Égypte qui se rapproche de la position iranienne, une évolution lourde de conséquences au sein du monde – et de la Ligue – arabes.

Or cette ligne générale de soutien à une solution politique, négociée, entre Syriens, promue depuis des mois par Moscou, est évidemment une condamnation implicite de l’opposition radicale et de ses soutiens occidentaux et arabo-monarchiques. Car c’est de ce côté qu’on a demandé maintes fois une intervention étrangère et, en attendant, livré ouvertement des armes aux rebelles. L’interventionnisme est clairement du côté de l’opposition exilée et ismamo-bobo, et pour s’en convaincre il faut lire les toutes dernières déclarations du responsable de la diplomatie britannique William Hague qui parle encore d’armer ses chers rebelles. Le refus de négocier aussi : après le président de la Coalition nationale de l’opposition, cheikh al-Khatib, son « ambassadeur » à Paris a déclaré au Nouvel Observateur que la solution en Syrie ne pouvait être que militaire.

Et justement ces positions extrémistes n’ont plus la côte chez le plus puissant des parrains de l’opposition radicale syrienne : à Washington, l’inquiétude devant les progrès politiques, sinon militaires, des salafistes et affilés à al-Qaïda au sein de l’insurrection a pris le pas sur l’hostilité au régime baasiste allié de l’Iran. Les nouvelles têtes d’Obama 2 devraient promouvoir une nouvelle ligne sur la Syrie, moins offensive. Et si les Américains se retirent de la partie, le Qatar et la Turquie vont se retrouver bien isolés.

Un mot de Lakhdar Brahimi, très attaqué par les médias syriens après sa dernière déclaration assez désobligeante envers Bachar al-Assad. Il s’est excusé pour certains mots qu’il avait utilisés à propos du président syrien. Mais n’est pas revenu sur le fond de ses propos, qui était que Bachar devait quitter le pouvoir. De toute façon cette prise de position, tardive et « qataro-compatible » sera de peu de poids face à la détermination russe (et à l’ »infléchissement » américain) : de toute évidence, M. Brahimi devrait faire ce vendredi à Genève de la figuration. De prestige, mais de la figuration quand même….

 

L’Arabie séoudite divorce du Qatar ?

Le nouveau prince héritier d’Arabie Séoudite, Abdel Aziz, a rencontré des officiers syriens pour négocier une suspension de l’aide du royaume wahhabite aux rebelles de Syrie : c’est L’Orient Le Jour, grand quotidien libanais anti-syrien qui l’écrit

 

Doha et Ankara risquent d »être d’autant plus isolés que selon un article publié ce 11 janvier par le très anti-Bachar quotidien libanais L’Orient Le Jour, il y aurait de l’eau dans le gaz – (ou le pétrole ) entre le Qatar et le royaume jusque-là frère d’Arabie séoudite, précisément à propos de la Syrie. En effet, selon la journaliste Scarlett Haddad (qui collabore aussi bien à L’Express qu’au quotidien francophone libanais), qui s’appuie sur des confidences de « milieux diplomatiques libanais« , le régime syrien  profite, outre de certains récents succès militaires à Damas, Alep, Idleb et Homs, d’ »une conjoncture arabe en évolution« .

Et l’évolution serait la suivante : le chef de la diplomatie séoudienne, le prince Seoud al-Fayçal, s’est rallié lui aussi, à l’issue d’une réunion avec son homologue égyptien Amr (décidément fort actif) au principe d’une solution politique en Syrie, abandonnant donc la ligne d’armement des bandes qui prévalait jusque-là à Ryad. Mais il y a mieux, annonce Scarlett Haddad : le fils du roi Abdallah, le prince héritier Abdel Aziz lui-même, a rencontré « récemment » des officiers syriens en Jordanie. Des officiers dûment mandatés par Damas, et qui ont exigé du prince l’arrêt ds aides séoudiennes à l’opposition armée. Scarlett Haddad dit que suite à cette entrevue discrète, les aides séoudiennes auraient fortement diminué, sans s’interrompre tout à fait. Les diplomates libanais sondés par la journaliste font observer à ce sujet que lors de sa récente intervention publique, Bachar n’a pas attaqué l’Arabie séoudite, pourtant naguère un de ses ennemis régionaux les plus en pointe.

Scarlett Haddad ajoute que des rencontres ont également eu lieu entre officiers syriens et représentants du renseignement militaire égyptien. Et que d’autres États du Golfe, comme le Koweit, le sultanat d’Oman et les Émirats arabes unis, ainsi que la Jordanie, se sont eux aussi prononcé – assez discrètement – en faveur d’une solution politique, et non militaire-révolutionnaire, en Syrie. Le pourquoi de ce glissement, qui laisse bien seul le Qatar ? Eh bien, c’est la même raison qui explique la nouvelle prudence américaine : « Le royaume hachémite (la Jordanie) et les Émirats arabes unis, écrit Scarlett Haddad, craignent de plus en plus la montée en puissance des islamistes et des Frères musulmans en particulier, et commencent à les soumettre à de fortes pressions chez eux ».

Qui est le plus isolé aujourd’hui ? Bachar ou l’émir du Qatar ?

C’est particulièrement vrai en Jordanie où les Frères constituent la principale force d’opposition au régime du roi pro-occidental Abdallah. Notons que si toutes ces têtes couronnées arabes s’inquiètent des Frère musulmans, que doivent-ils penser des djihadistes et salafistes à l’oeuvre en Syrie ! Bref, les semeurs de vent islamo-fondamentalise s’inquiètent à présent de la tempête qu’ils sont en train de récolter.

Encore une fois, c’est un quotidien important du Proche-Orient, et pas réputé pour sa bienveillance avec la Syrie de Bachar, qui publie ces informations, dont on serait curieux de savoir de qu’en pensent, par exemple, Le Monde ou Libération. À ce propos, on se souviendra qu’une de ritournelles de nos médias, depuis un an et demi, était que Bachar al-Assad était « de plus en plus isolé« . Nous disions alors qu’ils se trompaient ou mentaient. Nous le redisons avec plus de force encore à la lumière de récents développement. Et Scarlett Haddad le dit avec nous : pour elle, tout ceci « permet de croire que la situation actuelle du président syrien serait nettement plus confortable qu’il y a quelques mois« . « C’est d’ailleurs la raison, ajoute-t-elle, pour laquelle il a choisi de prononcer un discours à ce moment précis« .

Même si la journaliste conclut son article en estimant que pour des raisons de prestige, en quelque sorte, « la communauté occidentale, États-Unis en tête, ne peut en aucun cas accepter de voir Assad gagner le bras de fer engagé avec son opposition« . Sauf que, comme nous  le disons plus haut, les États-Unis de 2013 ne sont plus tout à fait ceux de 2012. Et que même dans des circonstances objectivement plus favorables, la coalition occidentale n’a pas réussi à menacer sérieusement le pouvoir syrien. Alors aujourd’hui…

Bachar « de plus en plus isolé » ? Pas vraiment. En revanche, l’émir du Qatar – et François Hollande…

 

Le discours de vainqueur de Bachar, le 6 janvier, s’expliquerait non seulement par des succès militaires mais par une « conjoncture arabe en évolution ». Une évolution pas favorable aux excités comme l’émir al–Thani et le Premier ministre Erdogan…

Iran in the strategic plans of the U.S.

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Iran in the strategic plans of the U.S.

 

 
Ex: http://geopolitica.ru/
 

The Iranian issue, which had been pushed aside under the shadow of the U.S. presidential campaign, has once again come to the forefront. On November 30th, U.S. Secretary of State Hillary Clinton stated that «the U.S. administration is open to bilateral talks with Iran if Tehran will show a similar willingness to do so» (1).

Clinton explained this «openness» of America to its strategic adversary in that «the behavior of Iran is already a threat that will grow exponentially if it has nuclear weapons at its disposal «(2). It is therefore clear: the United States is ready for any action against Iran, before they have the protection of a nuclear umbrella. The problem for Washington is not only the Iranian nuclear program but the worldview of the Iranian leadership, against whom they use the theme of the fight for the non-proliferation of nuclear weapons.

Let's listen to what Henry Kissinger says in this regard, as he is a person belonging to a narrow circle of people who make decisions, not like Clinton, who just brings them before the public.

One would say about Kissinger that «he smells of power». Kissinger «sharply raised the value and prestige of the National Security Council in the years when America was in decline - in the 1970`s» (3).He was the only senior advisor of U.S. President Richard Nixon's foreign policy (1969-1974) and the most important person in the White House (4). As William Isaacson wrote about him, «Kissinger in the 1970`s played a huge role in creating global peace and in the victory over communism»(5). He is a protégé of the Rockefellers, a member of the Bilderberg Club and Nobel Peace Prize winner (1973) for his role in the achievement of the Paris Agreement on Ending the War and Restoring Peace in Vietnam, the initiator and organizer of detente in relations with the USSR and the policy of cooperation with China, an intellectual and a brilliant analyst, Henry Kissinger always knows what he is talking about.

On November 17 The Washington Post published an article by Henry Kissinger « Iran must be President Obama’s immediate priority», in which, among the most important challenges facing the U.S. president and the one most demanding an urgent solution, he specified stopping Iran's nuclear program… (6).

The starting point for the motivation of the United States to come to a «settlement» with Iran was the Israeli position, which according to Netanyahu, is ready to establish a «red line» that Iran should not cross «in its pursuit of nuclear weapons»(7). In response to Israel's intent to hold to such a «red line», Kissinger made it clear that it is the prerogative of the United States and nobody else (to call a spade a spade, it is the prerogative of the Jewish lobby in the U.S.). The determination of what should be meant by the expression» it is unacceptable for Iran to gain access to nuclear weapons», must be issued by Washington, and only there can the proverbial «red line» be made (8).

Kissinger assures his readers that the talks with Iran on a «5 +1» basis (the permanent members of the UN Security Council - Russia, the U.S., Britain, China, France and Germany) are futile, hopeless and create the conditions for the growth of Iranian nuclear capabilities. If we do not stop Iran's nuclear program now, says Kissinger, then «the result will be a substantial increase in the uncontrolled proliferation of nuclear weapons in the region», in the already incandescent «Arab spring»(9). From these words can be seen another meaning for the «twitter revolutions» in the Middle East: the U.S. first heated up the region(10), to solve the problem of «non-proliferation» of a non-existent nuclear-armed Iran in a situation of high conflict.

In an interview on October 6, 2012, Kissinger said that the main problem for the new U.S. president is the internal state of the country, which is experiencing social and economic crisis (11). The future of America depends on solving this major problem. And history shows that the U.S. often prefers to resolve its domestic problems by the use of foreign policy tools, ranging from two world wars and ending in Libya. Now it is Iran`s turn.

Obama must once and for all solve the Iranian nuclear issue, said Kissinger. «The time available for a diplomatic outcome shrinks in direct proportion as the Iranian enrichment capacity grows and a military nuclear capacity approaches. The diplomatic process must therefore be brought to a point of decision. The P5+1 or the United States unilaterally must put forward a precise program to curtail Iranian enrichment with specific time limits. «(12).

«We cannot afford another strategic disaster», insists Kissinger, referring to the mystifying problem of the «the apocalyptic strain in the Iranian theocracy». To enhance the effect, he talks about his almost absolute certainty, «the near-certainty that several regional powers will go nuclear if Iran does», which allegedly will increase the likelihood of a nuclear exchange.

That is why the U.S. must «insist on limiting Iran's enrichment activities, by aiming to cut Tehran`s access to raw materials for nuclear weapons». Kissinger says that «the higher the level of enrichment, the less time will be needed to create weapons-grade nuclear material. Conventional wisdom holds that the highest practically enforceable limit is 5 percent enrichment, and then only if all fissile material beyond an agreed amount is safeguarded outside Iran» (I leave out the question of who formulates this 'conventional' view. - EP).

At the same time, the old diplomat leaves a loophole for maneuver. As he said before, «This does not imply a red line authorizing any country to go to war. However respectfully the views of friends are considered, the ultimate decision over peace or war must remain in the hands of the president,» emphasizes Kissinger. And as to the question, why bilateral talks with Iran are needed, Kissinger answers with all sincerity: Diplomacy may reach an acceptable agreed outcome. Or its failure will mobilize the American people and the world (in the war against Iran. – E.P). It will clarify either the causes of an escalating crisis, up to the level of military pressure, or ultimate acquiescence in an Iranian nuclear program. Either outcome will require a willingness to see it through to its ultimate implications».

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Kissinger`s logic is: «... To the extent that Iran shows willingness to conduct itself as a nation-state, rather than a revolutionary religious cause, (i.e. to fulfill all U.S. conditions and give up its sovereignty. – E.P) and accepts enforceable verification, elements of Iranian security concerns should be taken seriously, including gradual easing of sanctions as strict limits on enrichment are implemented and enforced. But time will be urgent. Tehran must be made to understand that the alternative to an agreement is not simply a further period of negotiation and that using negotiations to gain time will have grave consequences. (my italics. – E.P). “What is this if not the threat of war?» A creative diplomacy, allied to a determined strategy (i.e. the threat of military action? – E.P), may still be able to prevent a crisis provided the United States plays a decisive role in defining permissible outcomes».

* * *

According to the latest report of the Director General of the IAEA, Iran has 16 nuclear facilities. Among them are the particularly important uranium enrichment plants at Natanz and Fordow. In addition, there is an experimental plant in which uranium is enriched up to 19.8% (13). By the way, this is still low-enriched uranium.

The Iranian leaders have repeatedly stated that the increase in up to 5% enriched uranium-235 is due to the need to produce nuclear fuel for light water reactors and that enriched up to 20% is for research reactors. However, now there is only one energy reactor in Bushehr, for which Russia undertook to supply nuclear fuel during its lifetime. Plans for the construction of both power and research reactors have not been implemented. Moreover, under the influence of severe financial and economic sanctions imposed by the EU, the U.S. and others, Iran was forced to propose a plan for a phased suspension of uranium enrichment up to 20% in exchange for the easing of sanctions. In particular, Iran agreed to suspend activity at the uranium enrichment plant at Fordow (14) .However; this has not been the understanding in Washington or Brussels. In contrast, Washington, having achieved concessions began to prepare the field for a tightening of sanctions against Iran and forced Iran to more concessions. Such tactics of the White House, among other things, are designed to put an end to the Russian-proposed principles for the settlement of the situation regarding the Iranian nuclear program – mutual reciprocity.

It is worth mentioning one more statement, this from Clinton. During a speech on November 29, 2012 at the Brookings Institution (Washington), she said: “We’ve made progress with Moscow on areas such as nuclear arms reduction, sanctions on Iran, and trade, and we seek to expand our areas of cooperation. But the reality is that we have serious and continuing differences on Syria, missile defense, NATO enlargement, human rights, and other issues. It will be up to us and our European partners to continue looking for opportunities to engage with Russia and to make progress on the issues that matter to us». (15).Now one of the major issues of importance to the U.S., is Iran. Here, to expect that Russia could agree to what the Americans want is unlikely. The plan for «bilateral talks» with Iran and the presence of Russian pressure on Iran is not working.

In response to growing pressure from the United States, Iran can stop IAEA inspections on its territory, withdraw from the NPT, and even make a decision to conduct a nuclear test. Washington would be unable not to intervene in this situation. Thus, the U.S. is deliberately provoking and stirring up the situation on everything around Iran. On the one hand – there is the offer of bilateral talks (eliminating other negotiators) and on the other - to provoke harsh measures from Tehran that would justify a «response», including military action.

Kissinger's article «Iran must be President Obama’s immediate priority».

Some have argued that even in the worst-case scenario, a nuclear Iran could be deterred. Yet this ignores the immensely costly, complex and tension-ridden realities of Cold War-era deterrence, the apocalyptic strain in the Iranian theocracy and the near-certainty that several regional powers will go nuclear if Iran does. Once nuclear balances are forged in conditions where tensions are no longer purely bilateral, as in the Cold War, and in still-developing countries whose technology to prevent accidents is rudimentary, the likelihood of some nuclear exchange will mount dramatically.

This is why the United States has insisted on limits on Iranian enrichment — that is, curtailing access to a weapon’s precursor elements. Abandoning the original demand to ban all enrichment, the P5+1 has explored what levels of production of fissile material are compatible with the peaceful uses authorized by the Non-Proliferation Treaty. The higher the level of enrichment, the shorter the time needed to bring about militarily applicable results. Conventional wisdom holds that the highest practically enforceable limit is 5 percent enrichment, and then only if all fissile material beyond an agreed amount is safeguarded outside Iran.

I remember a phrase by Chancellor of the Austrian Empire Klemens von Metternich, who can be likened to Kissinger. «Because I know what I want and what others are capable of, I am fully prepared». (16)

Kissinger, and those whom he directs, know what they want. However, do they flatter themselves that they know what others are capable of?
________________________________________
(1) Hillary Clinton: U.S. ready for bilateral talks with Iran. URL: http://www.itar-tass.com/c12/586576.html
(2) As above.
(3) D. Rothkopf Running the World. The Inside Story of the National Security Council and the Architects of American Power. N.Y.: Public Affairs, 2005. P. 126.
(4) H. Smith: The Power Game. How Washington Works. L.: Collins, 1988. P.568, 598.
(5) W. Isaacson Kissinger: A Biography. N.Y. etc.: Touchstone Books, 1992. P. 767.
(6) H. Kissinger Iran must be President Obama's immediate priority. URL: http://www.washingtonpost.com/opinions/henry-kissinger-iran-must-be-president-obamas-immediate-priority/2012/11/16/2edf93e4-2dea-11e2-beb2-4b4cf5087636_story.html
(7) Netanyahu will determine to the UN General Assembly the «red lines» for Iran. URL: http://www.rosbalt.ru/main/2012/09/25/1038402.html
(8) H. Kissinger: Iran must be President Obama's immediate priority ...
(9) As above.
(10) Details from Elena Ponomareva: Secrets of the «color revolutions». In Part III. 2012. № 1-6. URL: http://svom.info/authors/elena-ponomareva/
(11) Henry Kissinger - Extended. URL: http://www.washingtonpost.com/video/thefold/henry-kissinger---extended/2012/10/05/fa5ea71c-0f3b-11e2-bd1a-b868e65d57eb_video.html
(12), Iran should become an immediate priority for Obama. URL: http://www.inosmi.ru/world/20121119/202345548.html/. Further references are given in this article.
(13) V.V. Evseev: The Iranian nuclear programme in a Middle Eastern perspective / / New Eastern Outlook. 10/12/2012. URL: http://www.ru.journal-neo.com/node/119230.
(14) As above.
(15) Clinton has found a «challenge» for Europe. URL: http://www.rg.ru/2012/11/30/clinton-site.html
(16) M. Kalb, B Kalb. Kissinger. New York: Bell Books, 1975. P. 628.

Source: Strategic Culture Foundation

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Penser le Politique avec Julien Freund (1921-1993)

Penser le Politique avec Julien Freund (1921-1993)

Pierre LAFARGE

Ex: http://www.forumpatriote.org/

79115110.jpgPour Carl Schmitt, « il n’y a pas de politique libérale, il n’y a qu’une critique libérale de la politique ». C’est pourtant un libéral conservateur français qui a été le plus loin dans l’analyse du phénomène politique dans la pensée philosophique contemporaine. Injustement oublié quinze ans après sa mort, Julien Freund, brillant élève de Raymond Aron et de Carl Schmitt, vient de faire l’objet d’une étude de l’historien des idées Pierre-André Taguieff, qui avait antérieurement postfacé la réédition de la thèse et maître livre de Freund : L’Essence du politique.

Qui est donc ce Julien Freund qui effrayait tant les universitaires bien pensants ? Avant tout un professeur de philosophie politique de l’université de Strasbourg, né en 1921 dans un village mosellan et fondateur de l’Institut de polémologie. Son centre d’intérêt principal : la politique, vue sous l’angle du conflit. Mais cet esprit libre a également parcouru d’autres champs de la philosophie politique : celui de l’étude de la décadence ou celui de la critique de l’égalitarisme, tout comme il a parcouru avec passion les oeuvres de Max Weber, de Nicolas Machiavel et de Vilfredo Pareto.

Ancien des Groupes francs de Combat animés par Jacques Renouvin, il se délivre progressivement de l’idéalisme allemand par la lecture d’Aristote à la fin des années 1940.

Politique naturelle

Défendant une « essence du politique », Julien Freund est comme Charles Maurras (voir la préface de ce dernier à Mes Idées politiques) un tenant d’une politique naturelle dans la grande tradition aristotélicienne et contre les thèses rousseauistes 1. Pour Taguieff, Julien Freund « s’inscrit, à sa manière, dans la tradition originellement aristotélicienne du réalisme politique, à laquelle Weber et Schmitt, puis Aron, ont donné une nouvelle impulsion ». Si Freund s’inscrit dans un sillon intellectuel, c’est bien celui de l’empirisme du Stagirite qui s’oppose à toutes les tentations idéologiques, mères des totalitarismes.

S’il critique fortement les ravages de l’égalitarisme, Julien Freund s’en prend également légitimement au racisme, « doctrine » qui, selon lui, « ne pouvait voir le jour que dans le contexte idéologique moderne », tout en le distinguant expressément de la xénophobie.

Qu’est-ce que la politique ?

La thèse soutenue par Julien Freund en Sorbonne en 1965 sous la direction de Raymond Aron s’intitule comme on l’a dit L’Essence du politique. Selon Freund, il existe trois couples antagonistes qui fondent le politique : la relation commandement-obéissance, la distinction des sphères public-privé et surtout la distinction qu’il emprunte à Carl Schmitt entre l’ami et l’ennemi (entendu comme hostis et non comme inimicus pour reprendre une distinction latine). Freund adhère comme Schmitt au précepte de Clausewitz qui veut que la guerre soit une continuation de la politique par d’autres moyens : « La possibilité, note-t-il dans L’Essence du politique, de trancher en dernier ressort les conflits par la guerre définit justement l’existence politique d’une société. »

Ces antagonismes permettent à Freund de formuler une définition claire de cette essence du politique : « savoir envisager le pire pour empêcher que celui-ci ne se produise ». Une définition simple qu’il savait pourtant difficile à envisager pour nos contemporains : « Je l’avoue, peu de lecteurs ont essayé de comprendre la portée de ce principe fondamental. La société actuelle est devenue tellement molle qu’elle n’est même plus capable de faire la politique du pire. Tout ce qu’elle me paraît encore de taille à faire, c’est de se laisser porter par le courant. » 2

La politique ne saurait donc être confondue avec la morale ou l’économie. Elle est une sphère humaine autonome. Là encore, sur ce sujet, Freund se rapproche des conclusions de Maurras, même si son inspiration sur le sujet lui vient de Carl Schmitt.

Dans les pas de Carl Schmitt

Julien Freund découvre par hasard l’oeuvre de Carl Schmitt en 1952. Schmitt (1888-1985) vit alors dans une sorte d’exil intérieur, écarté qu’il est de l’université allemande pour ses compromissions avec les nationaux-socialistes entre 1933 et 1942. Julien Freund le rencontre à Colmar en juin 1959. Rencontre décisive comme le montre bien Pierre-André Taguieff qui fait de leur relation intellectuelle l’un des fils conducteurs de son essai.

Carl Schmitt, c’est le penseur juridique et politique de l’ordre concret (cela convient mieux que l’étiquette de « décisionniste » que lui accole Pierre-André Taguieff) face à la doctrine libérale de son confrère et contemporain autrichien Hans Kelsen. Pour ce dernier, c’est la norme qui prime et fonde une souveraineté de la loi et de la constitution. Pour Schmitt, qui récuse fermement cet « impérialisme du droit », c’est au contraire la décision politique qui est première. « Est souverain celui qui décide de la situation d’exception », écrit-il dans sa Théologie politique.

En 1972, Julien Freund préfacera la traduction française d’un des textes fondamentaux de Carl Schmitt, La Notion de politique, où le juriste allemand affirme que cette distinction entre l’ami et l’ennemi est le critère du politique, constat qui a tant influencé, on l’a vu, son disciple français.

Polémologie

L’oeuvre de Julien Freund met, on l’a dit, l’accent sur la dimension conflictuelle de la sphère politique. Sa lecture attentive du sociologue des conflits Georg Simmel (1858-1918) l’a conduit à s’intéresser de près à la polémologie, dont il donne la définition suivante : « J’entends par polémologie non point la science de la guerre et de la paix, mais la science générale du conflit, au sens du polemos héraclitéen. » Cette prise en compte du conflit comme élément inséparable des phénomènes politiques l’a amené à rejeter le pacifisme comme la négation même du politique et comme un angélisme mortel pour les sociétés humaines.
Pour Freund, Georg Simmel est celui qui a le mieux « mis en évidence l’apport positif des conflits dans la vie sociale, au sein de laquelle ils renaissent sans cesse sous d’autres formes avec une intensité plus ou moins ravageuse ».

Totalitarisme

Pour Freund, le totalitarisme est une forme de domination plus qu’une forme d’État, il s’en est expliqué dans un entretien accordé à Réaction : « Le totalitarisme ne désigne pas une forme d’État mais une forme de domination au sens de la Herschaft de Max Weber. Il vaut donc mieux parler de domination totalitaire que d’État totalitaire. Le totalitarisme n’est pas simplement politique, il est une structure générale de l’État qui contamine non seulement la politique mais aussi l’économique, la religion, l’art, toutes les activités humaines. C’est cela qui permet de définir et de comprendre l’innovation qu’il constitue au XXe siècle. Auparavant il n’y avait pas de forme de totalitarisme sauf, à la limite, l’Islam. » 3

Plus que dans l’oeuvre de Hobbes, c’est dans celles de Rousseau, d’Hegel et de Karl Marx que Julien Freund voit les prémisses de la pensée totalitaire. Il n’hésitait pas à parler de l’existence d’un « germe totalitaire » dans la démocratie.

Décadence

En 1984, Julien Freund publie La Décadence. Loin de se limiter à une étude des pensées de la décadence, il s’attachait à relever les indices mêmes de ce phénomène dans notre société (fruits de la technique et de l’effritement du lien social) : « Nous observons une perpétuelle migration des peuples, une dislocation des familles, la glorification de tous les confusionnismes, la montée d’un individualisme exacerbé, une multiplication des rencontres informelles des gens qui se croisent sur les routes, dans les rues des mégalopoles et sur les stades. » 4 Il s’inquiétait volontiers de l’absence de lucidité de nos concitoyens en la matière : « Le processus de décadence est aussi peu perçu par les contemporains que le déclin de l’antiquité par les générations victimes des invasions barbares. La décadence n’est donc pas comparable à la formation d’un trou noir. C’est plutôt le déclin de structures séculaires au profit de nouvelles structures qui vont apparaître dans un temps indéterminé. » 5 Il se rapproche ici de l’affirmation de Schmitt selon laquelle « le concept d’État présuppose le concept de politique ». L’État nation, la cité antique ou l’empire ne sont pour eux que des structures politiques liées à un temps de l’histoire.

Postérité

Julien Freund a creusé un sillon d’esprits libéraux conservateurs au premier rang desquels celui de Chantal Delsol, qui a édité l’étude de Taguieff dans la collection Contretemps qu’elle dirige à la Table ronde. « J’ai admiré chez lui, a-t-elle pu écrire dans Le Figaro, une pensée capable d’accepter avec bravoure la réalité humaine, à une époque où tant de grands cerveaux la fuyaient dans l’espoir insane de devenir des dieux. » 6. Il a de même marqué un autre de ses élèves, l’inclassable Michel Maffesoli. Le GRECE d’Alain de Benoist a tôt saisi l’intérêt de la pensée de Freund, mais l’école d’Action française n’est pas en reste : en témoignent les deux entretiens accordés peu de temps avant sa mort par l’auteur de L’Essence du politique à la revue maurrassienne Réaction, entretiens que mentionne Taguieff dans son essai.

Pour Taguieff, qui partage les idées de Freund sur la mort de l’idée de Progrès (sauf dans la bouche de nos hommes politiques) et sur l’effacement de l’avenir, celui-ci a « bien aperçu, dès les années 1970, que si les penseurs réalistes du politique étaient redécouverts à la fin du XXe siècle, c’était sur les ruines des utopies de "l’homme nouveau", de la société parfaite et de "l’avenir radieux". Bref, sur les ruines des croyances progressistes. » Freund, père des "nouveaux réactionnaires" ? Freund, terreur des intellectuels droits-de-l’hommistes ? Dans un certain sens c’est probable. Pour Taguieff, en tout cas, il y a du Bernanos en Freund, ne serait-ce que cette commune volonté de « scandaliser les imbéciles ».

Pour sa critique de l’égalitarisme, du pacifisme et du totalitarisme, il est donc urgent de relire Julien Freund, comme il faut continuer à lire Michel Villey, Marcel De Corte, Jacques Ellul ou François Furet. Ces esprits de premier ordre ont sauvé, par temps de marxisme triomphant, l’honneur de l’université. Leur fréquentation régulière est autrement plus intéressante que les petits maîtres kantiens qui polluent la Sorbonne et parfois les ministères.

PIERRE LAFARGE,
L’Action Française 2000 n° 2745 – du 3 au 16 avril 2008

* Pierre-André Taguieff : Julien Freund – Au coeur du politique. La Table ronde, 158 p., 18 euros.

1 À noter à ce sujet la récente publication du Contre Rousseau de Joseph de Maistre (Mille et une nuits, 96 pages, 3 euros).
2 Entretien avec Jean-Pierre Deschodt in Réaction n°12, hiver 1994.
3 Entretien avec François Huguenin
et Philippe Mesnard in Réaction n°4, hiver 1992.
4 Entretien avec J.-P. Deschodt.
5 Idem.
6 « Un philosophe contre l’angélisme », Le Figaro, 19 février 2004.

Warten auf den Zusammenbruch

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Warten auf den Zusammenbruch

Haushalten. Etwas, das  vielen Hausfrauen nicht nur geläufig, sondern auch Richtschnur ihres täglichen ökonomischen Handelns ist, hat bei Politikern und sonstigen Verwaltern der allgemeinen Unordnung kaum eine Bedeutung.                                                                            

Planmäßig vernünftig disponieren, nicht verschwenden, solche Tugenden nehmen in deren Erwägungen und Entscheidungen fast keinen Platz ein. Es ist ja nicht ihr Geld, nicht ihr Vermögen, das sie beim Fenster hinauswerfen.

Politiker schöpfen ganz einfach aus dem Vollen, auch dann noch, wenn der Vorrat längst aufgebraucht ist. Ganze Staaten leben, dank ihrer jeweiligen verantwortungslosen Führung, auf Pump. Zur Freude der Geldverleiher.                                                                      

Mit ihrem jeweiligen Volk als Bürgen scheint der Regierungen Kreditwürdigkeit in vielen Fällen bei der internationalen Finanzoligarchie daher unbegrenzt. Über das Instrument Europäische Zentralbank (EZB) kann ja inzwischen beliebig viel Geld vermehrt und  über die ESM-Bank (Europäischer Stabilitätsmechanismus) verteilt werden.

Nun ist das Inumlaufbringen von Banknoten aber ein heikles Unternehmen, das man nicht über Gebühr strapazieren sollte. Nicht nur einmal in der Geschichte  stand am Ende ein angeschlagenes Geldwesen da, das seinen nicht selten schweiß- und tränenreichen Tribut von Staat und Gesellschaft forderte.                                                                                              

Da nun die Macht der geldschöpfenden EZB unbegrenzt scheint, geht von dort  und den dilettantischen EURO-Rettungsbemühungen die größte Gefahr aus.

Denn gerade die von der Politik zu absoluter Macht ermächtigten  EZB  und ESM werden  zum absoluten Mißbrauch ihrer Befugnisse eingeladen, wovor  bereits im 19. Jahrhundert der englische Nationalökonom Ricardo im Hinblick auf  das Bankwesen ganz allgemein gewarnt hatte.                                                                                                                              

Was Herrn Draghi („Die EZB ist bereit, alles Notwendige zu tun, um den Euro zu erhalten“. Und glauben Sie mir, es wird genug sein.“) mit der unersättlichen Finanzspinne Goldman Sachs im Hintergrund, kalt lassen dürfte.

Sollte  nämlich weiter so verfahren wie bisher und dem Treiben der EZB keine Schranken gesetzt werden, und wenig spricht dagegen, wird die wundersame Vermehrung des Geldes  in noch viel entscheidenderer  Weise als bisher die Kaufkraft desselben beeinflussen.    

Was ja auch deshalb leicht zu bewerkstelligen ist, weil die Verlockung sehr groß und mit wenig Widerstand zu rechnen ist. So steuern wir möglicherweise sehenden Auges  auf eine Hyperinflation zu.

Und wie sähe es einmal mit Konsequenzen für die Verantwortlichen aus? Es ist mir nicht geläufig, daß auch nur einmal in der Geschichte einer großen Währungszerstörung, die dafür Verantwortlichen, sei es an der Spitze einer Notenbank oder der eines Staates, deshalb um ihr Leben oder Gut zu fürchten gehabt hätten.                                                   

Doch unzählige kleine Leute mußten sich in Folge dessen aus Scham oder Verzweiflung das Leben nehmen. Als Kollateralschaden würde  man dies heute von verantwortlicher Seite nüchtern zur Kenntnis nehmen.

Gemeinsam mit dem Geld-Verschieber ESM wird eine gigantische Vermögensumverteilung (hin zu Finanzkonzernen, Banken  und Einzelpersonen) durchgeführt. Wie schon öfters  in ökonomischen Zeitenwenden kommt dabei eine Seite zum besonderen  Handkuss: das hart arbeitende Volk, das mehrheitlich auf ehrliche Art und Weise sein Brot verdient.                                                                                                           

Im Gegensatz zur Finanzmafia und deren Kumpanen in Staat und Gesellschaft hat die Mehrheit nur bescheidene Rücklagen oder ein Häuschen im Grünen erwirtschaften können, deren sie ab jetzt verlustig gehen können.

Nachdem  nun aber nicht nur Brüssel, sondern auch das ebenso fast bankrotte Washington das Heil in der großen Geldvermehrung sieht, der weder Leistung noch Werthaltiges gegenübersteht, könnte es mit einiger Wahrscheinlichkeit, so nicht ein Kraftakt vollbracht wird, zu einem Zusammenbruch der globalen Finanzstrukturen kommen. Daran lassen viele Volkswirtschaftler keinen Zweifel.

Die Frage scheint daher nicht mehr ob, sondern wann dieser Kollaps über die internationale Bühne gehen wird. Doch Lokale und nationale Selbstbestimmung könnten, ja müßten nach einem Währungsverfall und  ökonomischem Kollaps wieder die ihnen zustehende Bedeutung bekommen und ehrliche, solide  Arbeit ihren wahren Stellenwert zurückerhalten.

vendredi, 25 janvier 2013

Xavier Faure: "Pourquoi je souhaite devenir russe!"

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Xavier Faure: "Pourquoi je souhaite devenir russe!"

Propos recueillis par Alexandre Latsa

Ex: http://fr.rian.ru/

Sur le même sujet: Un pilote de montgolfière français souhaite devenir Russe comme Depardieu

 
Alors que l’affaire Depardieu n’en finit pas de faire des remous médiatiques, on peut cependant déjà tirer une conclusion de ce Buzz planétaire: la Russie pour des centaines de millions de gens apparaît comme un pays dans lequel on peut désormais envisager de s’installer.

 

On peut même imaginer que l’affaire Depardieu a fait plus pour l’image de la Russie que la plupart des grands cabinets de PR qui travaillent pour l’Etat! Depardieu n’est cependant pas le seul à vouloir devenir russe. Les lecteurs de RIA Novosti ont pu lire une nouvelle surprenante vendredi dernier affirmant qu’un pilote de Montgolfière français, du nom de Xavier Faure, souhaitait lui aussi devenir Russe!

 

J’ai donc voulu en savoir plus sur ses motivations à "souhaiter devenir russe".

 

Xavier Faure bonjour et merci de bien vouloir rependre a mes questions, tout d’abord, pourriez vous vous présenter?

 

J'ai 37 ans, célibataire, né à Reims en Champagne. J'ai étudié le Russe comme première langue étrangère au collège. Je n'étais pas un très bon élève mais j'ai toujours porté ce pays dans mon cœur. J'ai ensuite étudié dans le domaine technique et obtenu un brevet de technicien en électrochimie, avant de travailler dans diverses usines, de simple operateur jusqu'à chef d'équipe. J'ai ensuite travaillé comme équipier de montgolfière, un métier au contact du public et de la nature. Puis j'ai passé mon brevet en contrat de qualification. En 2006, je suis devenu pilote professionnel après 150 heures de vols et avoir piloté des montgolfières de gros volumes dans différentes grosses sociétés en France et à l'étranger. Du fait de la précarité et de la saisonnalité de cette activité, j'ai essayé en parallèle de trouver une activité stable qui me correspondrait.

 

J'ai donc passé un examen professionnel en sérigraphie en 2001, puis un BTS en agriculture Biologique en 2007 mais les belle promesses sur le Bio ne sont pas suivis de financement. Parallèlement donc j’ai travaillé sur d'autres sujets: l'eau sous tous ces aspects, des traitements naturels a la potabilisation, les médecines alternatives et quantiques et aussi sur les systèmes énergétiques innovants. Je suis en relation avec des chercheurs et expérimentateurs dans ces domaines et j'écris quelques articles dans des revues spécialisés. En gros je fais de la veille technologique.

 

Si j’ai bien compris vous résidez actuellement à Koungur, une petite ville dans l’Oblast (région) de Perm. Pourriez-vous nous présenter la ville, et ce que vous y faites? Comment y est la vie?

 

C'est une très petite ville de province, source de quelques moqueries de la part des habitants des grandes villes, mais c'est surtout une étape sur la voie du transsibérien. Elle est traversée par trois rivières. Le Héros Ermak y serait arrivé en Bateau et aurais fait étape avant de conquérir les territoires sibériens et battre les tatares. Les Armes de la ville sont la corne de l'abondance et les cristaux de l’Oural, ainsi que le bateau d’Ermak.

 

Koungur possède de nombreuses et magnifiques églises et il est possible de se baigner dans les rivières en été comme en hiver, c'est même le sport local préféré, me semble-t-il. Il y a une grotte très rare ou il y de la glace toute l'année, plusieurs usines et de la place tout autour pour se poser en montgolfière. Comme partout en Russie les femmes y sont très belles.

 

La nature est très riche avec les paysages typiques des contreforts de l’Oural, plats avec de la forêt trouée par de grandes étendues de champs peu cultivés et des vallées fluviale plus prononcés mais parfois encaissées. En France, cela pourrais ressembler à un mélange de régions entre Colmar au pied des Vosges et les Ardennes entre Charleville-Mézières et Gisors.

 

Il y a quelques usines comme "Маштаб" qui fabrique des camions et emploie entre 3.000 et 4.000 personnes, deux usines de transformation de viande dont la célèbre "Телец", deux usines de limonade "Пикон", le "Молокобинат" pour le lait, deux scieries et d'autres que je ne connais pas encore.

 

La vie y est dure et douce en même temps. Dure économiquement car il me semble qu’il faille au moins deux activités pour vivre correctement. Il y beaucoup de "débrouille" mais tous le monde se connaît et il y a une forte entraide et une importante solidarité que je ne connais pas chez nous en France, en tout cas pas à cette échelle. J'entends malgré tout, souvent, que c'est moins fort qu'il y a 10-15 ans en arrière. L'esprit de la surconsommation effrénée et l’hyper matérialisme me semble porter atteinte à l'âme des gens et ici comme ailleurs les mêmes causes produisent les mêmes effets. Mais il y encore de la marge avant d'arriver à la même situation qu'en France. Les habitants sont patriotes, ils aiment leur pays et l'affichent. La ferveur religieuse est aussi très présente et importante.

 

Les institutions locales et fédérales sont socialement très présentes surtout après des enfants, écoles, bibliothèques, maison des activités de l'enfance pour les petits, maison des jeunes et du tourisme, parcs pour les enfants et installations de jeux enfantins, le sport et les installations sportive, stades, piscine, salles d’entraînement etc. Il y a aussi des musées dont celui de la conquête spatial et enfin le collège des Artistes et son foyer ou j'habite et dont les conditions matérielles pourraient paraître spartiates pour un Européen normal. Il y partout de grands quartiers d'isbas traditionnelles et parfois un ensemble d'immeubles au milieu. On trouve des petits magasins partout et quelques hypermarchés de types super U, et il y a aussi un club très actif d'école de pilotes de montgolfière, dirigé par Andreï Vertiproxov, ancien pilote de Mig.

 

Mes occupations sont diverses. J'ai fait quelques interventions dans une école locale ou on y enseigne le Français en deuxième langue. L'administration issue de l'époque Eltsine pousse pour l'anglais en première langue et le français ainsi que l'allemand font de la résistance. Je suis sinon fort occupé par mes démarches administratives (pour obtenir un passeport Russe) et les nombreuses interviews que j’ai commencé à donner a ma grande surprise. Enfin et surtout j’apprends le russe.

 

Pourquoi avoir choisi une aussi petite ville, alors que généralement les étrangers s’installent plus généralement dans des grandes villes russes?

 

J'aime les petites villes car la nature est à porté de la main, c'est très important pour moi. Je ne supporte plus, en France comme ailleurs, l'absurdité de la vie dans les grandes villes. Passer sa précieuse vie dans les embouteillages à dépenser une énergie de plus en plus rare, tout ça pour un travail qui ne sert qu’à perpétuer un système moribond, me parait complètement aberrant.

 

Mais surtout, j'ai trouvé un endroit ou je me sens à ma place.

 

Grâce à Daria Gissot de l'association So!art qui représente la ville de Perm à Bruxelles,  j'ai cet été participé à "небесная ярмака", le festival de montgolfière annuelle de Koungur. Elle m'avait souvent parlé de sa Région natale et c'est un projet que nous avions depuis longtemps.

 

J'ai rencontré ici de nombreuses personnes avec qui je me suis profondément lié d'amitié, une équipe municipale dynamique et volontaire, ainsi qu'une population chaleureuse. Une sorte de liberté et de joie de vivre malgré les soucis quotidiens, règne ici. Une ville, belle, historique avec un potentiel de développement important. Bref, un petit morceau de paradis, comme il en existe beaucoup en Russie.

 

Comment arrive-t-on de France (Lille?) à Koungur? Je veux dire physiquement bien sûr mais aussi mentalement? Quelles sont les raisons ou motivations qui vous ont poussé à quitter la France?

 

Et bien en voiture déjà, car je suis parti avec ce qui me semblais essentiel à emporter et j'ai traversé toute l'Europe et le pays baltes. Après, moralement, je ne sais pas expliquer comment, c'est à l'intérieur que cela se joue et je n'ai pas les mots pour le dire, il faut le vivre. Comme ont dit en Russe "просто так" simplement comme ça! Quelques habits chauds, une volonté de fer de rester et d'y vivre et un forte envie de pleurer de joie tout les jours quand je me lève et que je regarde par la fenêtre et ce malgré les difficultés.

 

Les raisons sont diverses et nombreuses. D’abord je crois que fondamentalement j'ai toujours voulu habiter en Russie, donc c'est un rêve d'enfant que je devais réaliser avant d'être trop âgé.  Ensuite la situation en France est devenue intenable sur beaucoup de plan. La vie est excessivement chère, cela se dégrade chaque jours et ne va pas s'arranger de si tôt, je pense même que cela va fortement se dégrader cette année. La situation économique et sociale est exécrable. Je n'y ai plus de perspectives d'emploi. Les projets et idées que j'ai eues n'ont rencontré aucun écho. Je trouve que beaucoup de gens sont fermé d'esprit ne s'intéressent qu'a eux et sont vieux dans leur tête. Les politiques n'en ont que faire du peuple et ne vivent que pour eux et leurs petites magouilles personnelles. Il n'est pas possible ne montrer qu'on aime son pays, comme en Russie. Je ne me sentais plus de rester en France. C'est mon pays que j'aime, j’aime son histoire qui me rend fier, j’aime sa culture et sa cuisine, il a été grand, mais je n'arrive plus à m'y projeter dans le futur.

 

Aujourd'hui, la France est un pays en faillite qui ne peut plus payer ses militaires en opération depuis 8 mois et qui fait enlever les culasses des armes quand le président visite une caserne!

 

J'ai vécu une expérience intéressante l'hiver dernier qui m'a décidé à partir. En revenant d'Afrique, j'ai remarqué qu'en nous posant à Orly les même gens qui était joyeux dans l'avion devenait soudain apathique comme si un couvercle leur était tombé dessus. C'est là que j'ai réalisé qu'il y avait une atmosphère particulière qui planait sur la France. J'ai eu la confirmation de ce phénomène par beaucoup de personnes qui ont voyagé ainsi que sur le blog de Pierre Jovanovic : nombreux sont ceux qui ont ressentis la même chose. Personnellement, je suis de nature joyeuse mais c'était un effort de tous les instants de ne pas être contaminé par cet apathie générale et c'était très énergivore et fatiguant.

 

En Russie il y a beaucoup de problèmes à régler mais ma vie c'est transformé d'un mauvais film de série B en aventure de tous les instant. Il m'arrive ici des choses qui n’auraient pas été possible en France!

 

L’image de la Russie est mauvaise, tout le monde le sait. Vous habitez dans ce pays depuis quelques mois et dans des conditions normales (pas en tant qu’expatrié), quelle est votre opinion sur l’image de la Russie par rapport à ce qu’est la Russie en réalité? Ou du moins telle que vous la vivez?

 

La vision médiatique est complètement fausse et n'a pas grand chose à voir avec la réalité. Il règne ici une forme d’insouciance, un joyeux bazar organisé, (les russes disent всё нормално!) à tout bout de champs pour les choses un peu curieuse et il y a une envie de vivre que j'ai aussi rencontré en Afrique noire et qui à a mon avis disparu depuis longtemps de chez nous dans nos pays Européens.

 

Sinon c'est une démocratie représentative comme les autres, ni plus ni moins avec ses particularités propres, qui sont une administration parfois lente et lourde et des différences sociales très marqués, résultat sans doute de l'hyper-libéralisation de l'économie des années 90. Les Russes sont comme les autres humains, ils y en a des bons, des très bons, des mauvais et des très mauvais, mais heureusement ceux que je connais ont un cœur "grand comme ça".

 

Surtout, je m'y sens plus libre que ces dernières années en France. Il y plein de choses, aussi simple que de se baigner librement en rivière par exemple, qui ne sont plus possible en France. Gérard Depardieu à dit que: "La Russie est une grande démocratie". La Russie est une démocratie comme la France (qui d’ailleurs à été un modèle dans la rédaction de la constitution russe) et c'est un pays à l'échelle d'un continent donc oui, techniquement "c'est une grande démocratie".

 

Comparativement à la France et dans le cadre du quotidien vécu: quel est le plus grand atout de la Russie et aussi ce qu'il faut améliorer en priorité?

 

Le plus grand atout, c'est la solidarité. Les Russes sont tous différents mais se sentent tous Russes dans l'âme et sont prêt à vivre ensemble et à construire une grande Russie. L'immense espace territorial est aussi un grand atout car il recèle de nombreuses ressources naturelles qui assurent à la Russie son indépendance. Il y a ici de la place pour tous et pour tout faire.

 

J'entends très souvent autour de moi des plaintes envers l'état des routes et la précarité des rémunérations et du système des retraites. Une autre inquiétude est la dépendance économique basé principalement sur la ventes des ressources énergétiques, qui si celles-ci devaient se tarir, laisseraient la Russie exsangue. Je pense que la Russie devrait massivement investir dans les économies d'énergies et les ressources locales de productions énergétiques et alimentaires. Parallèlement développer un système de sécurité sociale fort sur le modèle Français, modèle envié dans le monde entier et qui a été un gage de prospérité économique pendant 40 ans, jusqu'aux attaques gouvernementales de ses dernières années.

 

Beaucoup de Français, depuis l’affaire Depardieu, affirment à haute voix vouloir un jour devenir russe, notamment sur ma page Facebook j’ai pu le constater. Tous ne connaissent pas la Russie, mais ce pays pour eux représente quelque chose, comme une sorte de forteresse? Etes-vous d’accord avec cela?

 

Oui en partie. Pour l'instant c'est un pays qui semble être sur une position non-aligné par rapport à l'axe du bien censé être le monde des démocraties occidentales. En tout cas, elle participe à l'élaboration d'un monde multipolaire favorisant l'entente des peuples et est donc gage de stabilité mondiale et de prospérité économique. Les valeurs qui ont permis aux humains de vivre ensemble y sont encore défendues.

 

Le même phénomène a eu lieu envers la France quand le Président Chirac avait refusé de participer à la deuxième guerre en Irak. La France s'était levé contre une injustice majeure et avait suscité l'intérêt et l'admiration à travers le monde. Partout les Alliances Françaises avaient été envahies par des personnes qui voulaient apprendre le français.

 

La Russie représente aujourd'hui un phare guidant les gens qui refusent la vision simpliste, marchande et unipolaire du monde, et qui recherchent un peu d'enthousiasme et de chaleur humaine. Elle retrouve un peu le statu qu'avait l'URSS face au modèle tout capitalisme libéral américain, mais dans un monde qui a évolué et où les repères et valeurs sont différents.

 

Vous avez parlé de prendre la nationalité russe? Vous êtes donc prêt à abandonner votre nationalité française comme le prévoit la loi russe?

 

Et bien, je ne suis pas un expert en droit international, mais je ne vois pas d'inconvénient à abandonner la nationalité française! Mes meilleurs amis en France sont Belges, Polonais, Russes, Géorgiens. La France est aujourd’hui vendue à l'idée européenne qui ne reconnaît pas les nations en tant qu'entités souveraines. 90% des lois françaises qui sont votées par le parlement sont des lois européennes transcrites en droit français. La Commission Européenne décide du budget de la France. Le drapeau français a disparu du site de l’Élysée et nos gouvernements privatisent le système des retraites et la sécurité sociale, soit le meilleur système de protection sociale que tout le monde nous envie.

 

La France en tant que tel pour moi n'existe plus donc quid? Où est le problème?

 

Vous sentez-vous proche de la mentalité russe, et si oui comment la définiriez vous ? En quoi diffère-t-elle de la mentalité française?

 

Oui, je me sens assez proche de la mentalité russe, qui est une forme de résignation joyeuse, "вот как мы живем" disent souvent mes amis. Voilà comment nous vivons, traduction. "C'est dur mais on est chez nous avec nos amis et cela nous plaît, que peut-on faire d'autre?". C'est un mélange de survie au jour le jour et de vie intense de chaque bon moment de la vie sans trop se poser de question sur l'avenir.  En tout cas en province c'est comme cela que je le ressens.

 

En France tous est contrôlé, aseptisé, propre, rangé, légiféré, organisé, fini! Il est difficile de trouver de l'aventure comme c'était possible jusque dans les années 1950. Il n'y a plus de grandes causes dans lesquelles s'identifier sinon celles proposées par le monde anglo-saxon. C'est d'ailleurs pourquoi beaucoup partent en vacances loin, dans des destinations exotiques et aventureuses. Moi qui est vécu une grande partie de ma vie à Reims puis suis parti pour mon travail aux 4 coins de la France: Angers, Saumur, Toulouse, Lille, j'ai ressenti partout le même malaise d'être jeune avec peu de débouché et de faire face a cette situation nouvelle en France: l'ennui dans des grandes villes désertées à partir de 20h00, les tensions avec les banlieues, l'incompréhension réciproque, etc.

 

Quels sont vos plans et objectifs aujourd’hui en Russie? Que pensez- vous que la Russie peut vous apporter?

 

Dans un premier temps, je vais travailler avec les élèves de l'école de français de Perm, le temps de mieux maîtriser le russe et d'étudier le fonctionnement des structures locales. Mon expérience dans l'émission d'Andreï Makarov sur la Première chaîne m'a donné envie de participer à des émissions où il est possible de débattre calmement des questions économiques et sociales et d'apporter mon expertise, car j'ai aussi étudié l'économie politique dans un parti politique pendant cinq ans. J'écris parallèlement des articles sur la vie en Russie et aussi sur les autres sujets auxquels je m’intéresse à destination de la France.

 

Par la suite, je souhaiterais partager l'expérience de mes divers domaines de compétences, montgolfières, tourisme et agriculture biologique avec la Russie et principalement à Koungur. J'aimerai aider Koungur à devenir une ville modèle dans le domaine des questions d'environnement et monter une association de promotion des techniques liées à la protection de l'environnement en Oural, voire créer une maison de l'environnement et du tourisme environnemental, comme il en existe en France, associant une découverte du terroir en Montgolfière. Un tel centre serait je crois un pôle d'excellence et d'attraction pour Koungur.

 

Il y a ici de nombreuses possibilités. Le président Poutine et le premier ministre Medvedev ont déclaré: "2013 année de l'environnement et de l'agriculture biologique en Russie", l'occasion d'agir dans ce sens est une chance dont Koungur pourrait se saisir. La ville est idéalement située dans ce cadre, au croisement de deux axes routiers importants, un axe Nord/Sud et l'autre faisant le lien entre la Russie européenne et asiatique. La ville est proche d'un aéroport et desservie par une ligne ferroviaire. De plus, son cadre naturel et historique la chaleur de sa population, sont tout autant d'atouts qui en font une ville attractive.

 

J'aimerai que la Russie m'apporte, que la France ne permet que difficilement d’obtenir, un travail, de la reconnaissance et un terrain pour construire une maison et une famille. Mais j'aimerai surtout que ma présence ici permette à la Russie ainsi qu'à la France, deux grand pays avec des histoires communes sur de nombreux points, de mieux se comprendre et de travailler ensemble en dépassant les conflits politiques.

 

Merci Xavier Faure pour vos réponses, les lecteurs souhaitant en savoir plus peuvent consulter votre blog, qui relate votre nouvelle vie en Russie.

 

L’opinion exprimée dans cet article ne coïncide pas forcément avec la position de la rédaction, l'auteur étant extérieur à RIA Novosti.

 

Alexandre Latsa est un journaliste français qui vit en Russie et anime le site DISSONANCE, destiné à donner un "autre regard sur la Russie".

JEAN FONTENOY : AVENTURIER, JOURNALISTE, ECRIVAIN"

JEAN FONTENOY : AVENTURIER, JOURNALISTE, ECRIVAIN"

Méridien Zéro a reçu Philippe Vilgier, auteur d'une passionnante biographie parue aux Editions Via Romana sur Jean Fontenoy, aventurier, journaliste et écrivain.

Cet homme hors du commun, au tracé de vie riche et iconoclaste, a été qualifié de "Malraux fasciste". C'est le portrait de ce personnage complexe et captivant que nous vous proposons.

A la barre : PGL

A la technique : Lord Tesla

Pour écouter:

http://www.meridien-zero.com/archive/2013/01/11/emission-n-127-jean-fontenoy-aventurier-journaliste-ecrivain.html

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Ons Wilhelmus

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Ons Wilhelmus

Francis Van den Eynde

Toen ik in december de geschiedenis van de Marseillaise en van het Deutschlandlied uit de doeken deed beloofde ik dat de volgende maal ons Wilhelmus aan bod zou komen. Hoog tijd om woord te houden. Vooral omdat het verhaal van dit volkslied ook wel wat te bieden heeft. Dermate veel zelf dat ik er mij toe verplicht zie het in twee delen te brengen.

Het oudste volkslied ter wereld?

Algemeen wordt aanvaard dat het ’God Save the Queen‘ het oudste nationaal lied ter wereld is omdat het rond 1748 voor de eerste keer zou opgevoerd zijn geweest. Iets dat afgeleid wordt uit het feit dat in dat jaar de laatste gewapende Schotse opstand plaatsgreep en dat hier naar verwezen wordt in de laatste strofe die niet bepaald vriendelijk voor de Schotten is.

Oordeel  zelf:

May he sedition hush,
And like a torrent rush,
Rebellious Scots to crush.
God save the Queen!

Wat er ook van zij, het Wilhelmus is veel ouder dan het God Save the Queen. Tenminste van tekst want die werd waarschijnlijk net voor 1572 opgesteld (we komen hier verder op terug). Als volkslied is het Wilhelmus dan weer veel jonger vermits het pas in 1932 als dusdanig werd aanvaard en dit in vervanging van: Wie Neêrlands bloed in de aders vloeit van vreemde smetten vrij (terloopse opmerking: de auteur van die tekst zou vandaag de dag ongetwijfeld wegens racisme voor de rechtbank gesleept worden).

Een pamflet voor psychologische oorlogsvoering

Zoals het met andere nationale hymnen het geval was werd het Wilhelmus oorspronkelijk niet bedoeld om deze functie te vervullen. Het was een pamflet  ter ondersteuning van de opstand van  de Nederlanden tegen Spanje alias de tachtigjarige oorlog.  Een conflict dat voor die tijd zeer modern overkomt  Op enkele uitzonderingen na (de slag der Gulden Sporen bv) waren oorlogen tot dan immers louter en uitsluitend de zaak van vorsten die het met beroepslegers tegen mekaar opnamen. Deze laatste werden weliswaar betaald met het belastingsgeld dat door het volk opgehoest werd maar verder had dit volk hier niets mee te maken en naar de mening van dat volk werd zeker niet geïnformeerd. De strijdende partijen deden dan ook niet te veel moeite om aan te tonen dat het moreel gelijk aan hun kant te vinden was. Waarom zouden ze dat ook geprobeerd hebben. Iedereen vocht voor zijn eigen belang en dat was dermate evident dat een verantwoording alles behalve nodig leek.. Geen sprake dus van psychologische oorlogsvoering in die tijd. De opstand tegen Filips II van Spanje is echter totaal anders van aard en concept. Het gaat hier niet langer om een oorlog tussen twee vorsten maar om een strijd die door de Staten-Generaal en de vele steden van de Nederlanden,  met de steun van de meerderheid van de locale adel, gevoerd wordt tegen een heerser die als een vreemde tiran beschouwd wordt De steun van het volk winnen blijkt voor beide kampen dus plots iets van primordiaal belang te zijn. De nog niet zolang geleden uitgevonden drukpersen komen dus voor iedereen goed van pas. Temeer dat in verhouding tot de rest van Europa de scholingsgraad van de bevolking in de Nederlanden zeer hoog ligt. Bij ons kunnen veel mensen lezen en schrijven. Iets dat in de zestiende eeuw zeker niet overal in Europa het geval was. We beschikken bovendien over drukkers met een internationale reputatie. Denk aan Dirk Martens in Aalst, Christophe Plantin in Antwerpen etc.. Kortom een psychologische oorlog is deze keer noodzakelijk en de middelen om hem te voeren zijn aanwezig en dus….

De mensen die op wetenschappelijke wijze alles wat toentertijd bij ons verscheen, bestudeerd hebben stelden met verbazing vast dat alhoewel het amper een eeuw geleden is dat Gutenberg de eerste drukmachine gebouwd heeft, alle moderne propagandatrukken al toegepast worden en dit zowel door de aanhangers van Filips als door die van de Staten.. Pamfletten, affiches, boeken, liederen ..en ook valse documenten die zogezegd van de vijand uitgaan en voor hem compromitterend zijn of waaruit zou blijken dat zijn bedoelingen alles behalve eerlijk zijn. Alles komt van pas.. Een gans arsenaal waarvan het Wilhelmus deel uitmaakt vermits bedoeld is om Willem van Oranje en de door hem gevoerde politiek te verklaren en om een aantal tegen hem geformuleerde aantijgingen te weerleggen.

De auteur: een Brusselaar?

Op het schrijven van geuzenliederen, en het Wilhelmus is er een, stond de doodstraf. Dit verklaart dat de tekst anoniem verspreid werd. Meestal wordt er echter vanuit gegaan dat het lied gemaakt is door Filips van Marnix van Sint-Aldegonde. De stijl van de tekst lijkt alvast zeer sterk op die van andere literaire werken waarvan met zekerheid geweten is dat ze van de hand zijn van deze trouwe paladijn van Willem van Oranje.

Filips die in 1540 in Brussel geboren werd en door velen Marnix genoemd wordt, terwijl dit patroniem een deel van zijn familienaam is, stamde uit een geslacht van magistraten uit Savoye dat in dienst van Marghareta van Oostenrijk naar de Nederlanden was gekomen.
Hij was zeer begaafd en studeerde theologie in Leuven, Parijs, Dole, Padua en Genève. In die laatste stad was hij student bij Calvijn en werd hij een overtuigd calvinist. Hij sloot zich in 1565 aan bij het Eedverbond der Edelen dat aan Marghareta van Parma, die in naam van haar broer Filips II gouvernante was van de Nederlanden, een smeekschrift overhandigde waarin de stopzetting van de vervolging van de’ ketters’ werd gevraagd. Daar de meeste leden van het Verbond van lagere adel waren ontlokte dit toen zij binnenkwamen bij De Berlaymont, een aanwezig raadslid van Margaretha,de uitroep ‘ Ne craignez point Madame, ce ne sont que des gueux’ (Vreest niet Mevrouw het zijn alleen maar arme mensen). De betrokkenen hadden dit gehoord en namen de ‘geuzennaam’ over. Na de Beeldenstorm vluchtte Filips naar Bremen, nadien naar Oost-Friesland waar hij diverse polemische stukken uitgaf. Het bekendste daarvan is "De Byencorf der H. Roomsche Kercke", een felle satire op de rooms-katholieke Kerk, dat tot het jaar 1761 ten minste 23 drukken beleefde.

Vanaf 1571 was hij in dienst van Willem van Oranje, wiens overgang tot het calvinisme hij bevorderde. Marnix werd een belangrijk medewerker van Willem, en voerde veel diplomatieke missies uit voor De Zwijger.

Van 1575 tot 1580 werkte Marnix aan een nieuw Nederlands psalter waarvoor hij de Psalmen Davids rechtstreeks uit het Hebreeuws vertaalde. In 1591 verscheen een tweede gewijzigde druk en na zijn dood een derde.

Burgemeester van Antwerpen

In 1583 benoemde Willem hem tot buitenburgemeester van Antwerpen een belangrijke bestuursfunctie, en werd hem opgedragen de stad te verdedigen, na de Spaanse Furie. Tegen de Spaanse overmacht onder Alexander Farnese was dit echter een schier onmogelijke opdracht. Als magistraat en militair blonk Marnix niet uit; daartoe miste hij Willems doortastendheid. Hij kon dan ook de val van Antwerpen niet beletten..

Teruggetrokken op zijn kasteel bij Souburg wijdde hij zich aan het schrijven.
Vergeten is hij niet. In Amsterdam en in Leiden is er een straat naar hem genoemd. Hij heeft twee standbeelden in Brussel ( een in het park van de Kleine Zavel en een aan een schoolgevel op nr. 225 van de Hoogstraat). Sinds 2012 staat ook in Antwerpen een standbeeld van de man die de stad tegen de Spanjaarden verdedigde. Voor zover als nodig mag ook nog vermeld worden dat de Marnixclub naar hem genoemd werd.

Het onderwerp van de tekst; Willem van Oranje.

Willem van Oranje werd geboren als oudste zoon van Willem de Rijke graaf van Nassau, en Juliana van Stolberg. Tot zijn elfde levensjaar kreeg Willem een opvoeding in lutherse zin op het stamslot Dillenburg in Duitsland. Zijn moeder was overtuigd protestant en bracht dat over op haar kinderen.
In 1544 stierf een neef van Willem, René van Chalon die in 1530 door een erfenis onder meer het onafhankelijke prinsdom Orange verworven had. Omsloten door Frankrijk, was het een twistappel tussen Frankrijk en het Heilige Roomse Rijk, de officiële soeverein. René had bij testament bepaald dat Willem van Nassau zijn opvolger zou worden. Ook keizer Karel V stemde hiermee in. De elfjarige Willem erfde hierdoor het prinsdom Orange met de prestigieuze titel van Prins.

In Brussel met Keizer Karel

Aan dit prinsdom waren zeer belangrijke voorrechten en bezittingen in de Nederlanden verbonden. Karel V verbond aan deze erfenis wel de voorwaarde: overgang tot het rooms-katholieke geloof en opvoeding aan het hof in Brussel. Om het familiebelang van de Nassaus gingen de ouders en Willem hiermee akkoord.  Aan het hof van keizer Karel werd hij, ingewijd tot diplomaat. Hij leerde naast Duits verschillende talen als Latijn, Frans, Spaans, Italiaans en Nederlands Zijn levenshouding werd gekenmerkt door optimisme en welsprekendheid. Hij bleek over diplomatieke gaven te beschikken. Hij kreeg zijn bijnaam de Zwijger niet vanwege zwijgzaamheid, maar vanwege zijn gewoonte nooit het achterste van zijn tong te laten zien. De ster van de jonge prins rees gestaag. Hij werd een van de belangrijkste edelen aan het hof. Toen Karel op 25 oktober 1555 terugtrad als koning van Spanje en keizer van Duitsland  leunde hij bij deze plechtigheid  op de schouder van deze 22 jaar jonge prins. Tegen zijn zoon Filips II zei Karel over hem: Houdt deze jongeman in ere, hij kan je waardevolste raadgever en steun zijn. In deze tijd toonde Willem van Oranje zich overigens een trouwe zoon van de rooms-katholieke kerk.

Conflict met Filips II

In 1555 werd Filips II heer der Nederlanden en het jaar daarop ook koning van Spanje, waar hij overigens al vanaf 1539 als regent voor zijn vader optrad. Filips II was een overtuigd aanhanger van de rooms-katholieke kerk. De reeds in 1550 ingevoerde strenge 'plakkaten' tegen de aanhangers van  Luther hadden zijn volledige instemming. Hij zag het als zijn levensdoel om één groot rijk te scheppen met slechts één godsdienst, het rooms-katholicisme. Op dit punt wilde hij van geen wijken weten. De koning was een vroom, ernstig en sober mens. Hij was ook achterdochtig en kon slecht delegeren. Prins Willem was daarentegen opgewekt, sociaal vaardig en ambitieus. Hoewel trouw aan de rooms-katholieke kerk, had hij waardering voor de kritische humanisten zoals bv Erasmus.

In juni 1559, zou Willem van Oranje een ontmoeting hebben gehad met de Franse koning. In zijn Apologie uit 1580, toen hij door Filips vogelvrij was verklaard kwam Willem op deze ontmoeting terug. De Franse koning zou hem mededelingen hebben gedaan over het gezamenlijke plan van de katholieke vorsten Hendrik en Filips om door middel van inquisitie, vervolging, tirannie en plakkaten de ketterij in Frankrijk en in de Nederlanden uit te roeien. Hij zegt in die Apologie dat het naar aanleiding van dit gesprek is dat zijn verzet tegen de politiek van Filips zou zijn ontstaan en formuleert het aldus: Ik wil gaarne toegeven dat ik toen een grote mate van medelijden voelde met zovele mensen van eer die aan de dood overgeleverd waren; tevens voelde ik mee met dit land, waarmee ik zozeer verbonden ben en waar men dacht een zekere vorm van inquisitie in te voeren die wreder zou zijn dan de Spaanse. Filips II benoemde in 1559 weliswaar zijn zus Margaretha van Parma tot landvoogdes voor de Nederlanden maar maakte van zijn vertrouweling Granvelle, die in 1561 ook nog aartsbisschop van Mechelen werd, de echte machthebber.

Vervolgingen en belastingen

Hij voerde nog strengere plakkaten voor de vervolging van de protestanten in. Op het punt van het rijksbestuur streefde hij naar een krachtig centraal gezag, ten koste van lokale privileges, waaronder bijvoorbeeld de eigen belastingpolitiek van de Staten-Generaal. Vooral de invoering van de Tiende Penning (een soort vlaktaks van 10%) riep heel wat spanning en weerstand op. De politiek inzake de religie en het landsbestuur werd  door de adel niet in dank afgenomen.. Onder de hoge adel kwamen onder andere Filips van Montmorency graaf van Hoorn, Lamoraal graaf van Egmont en Willem van Oranje in verzet. Op 11 maart 1563 stuurden prins Willem, Hoorn en Egmont een scherpe en waarschuwende brief aan koning Filips II. Het resultaat van dergelijke brieven werkte echter averechts. Filips II beet zich in zijn intimidatiepolitiek nog meer vast.

In het najaar van 1564 wendde de Raad van State zich opnieuw tot Filips over de gevolgen van de gevoerde politiek. In de besluitvorming over de brief aan de koning sprak prins Willem op 31 december 1564 een beroemde rede uit, de zogenaamde 'Oudejaarsrede'. De rede behoort tot de hoogtepunten in de Nederlandse geschiedenis, maar slechts delen zijn bewaard gebleven. In deze urenlange rede voerde hij openlijk en duidelijk een pleidooi voor gewetensvrijheid van de onderdanen. Lange tijd is hieruit door latere geschiedschrijvers de volgende zin uit geciteerd: Ik kan niet goedkeuren dat vorsten over het geweten van hun onderdanen willen heersen en hun de vrijheid van geloof en godsdienst ontnemen.

De opstand neemt vorm

Op 18 januari 1565 bracht Egmont de wens van de Raad van State over aan Filips II. In zijn antwoord wees de koning het verzoek van de Raad van State radicaal af. De plakkaten werden zelfs verscherpt,. Bovendien moesten de belastingmaatregelen zo nodig met geweld worden doorgevoerd.. De centralisatie van de besluitvorming werd doorgedrukt. Het conflict tussen Filips en prins Willem was een feit. De aanloop naar de Opstand was begonnen. Op 25 december 1565 werd het Verbond der Edelen opgericht.  Willem wachtte de komst van Alva  niet af. Hij vluchtte in april 1567 met zijn gezin naar Duitsland. Alleen Willems 12-jarige zoon Filips Willem bleef achter in Leuven, waar hij studeerde. Hij werd in 1568 afgevoerd naar Spanje, om een goede katholieke opvoeding te krijgen. Willem zou hem nooit meer terugzien. Margaretha trad af als landvoogdes uit protest tegen Alva, die haar betrekkelijk verzoeningsgezinde beleid doorkruiste. Alva werd haar opvolger.

Vanuit Duitsland organiseerde Oranje de strijd voor de bevrijding van de Nederlanden waarvan niemand er nog maar aan dacht hem de leiding te betwisten en dit omwille van zowel zijn hoge adellijke titel als  van zijn persoonlijke inzet.. De campagnes werd met wisselend succes gevoerd; sommige veldslagen werden gewonnen andere dan weer verloren. Ondanks het feit dat hij ook zijn persoonlijk fortuin voor het welslagen van de oorlog had ingezet, ontbrak het hem vaak aan financiële middelen..en deze zijn in een oorlog steeds van groot belang. Zeker in die tijd waar de strijd steeds voornamelijk door beroepssoldaten, huurlingen dus, werd gevoerd. Massamobilisatie is immers iets dat pas tijdens de Franse revolutie uitgevonden werd..

Een volksopstand

Op een april 1572 nemen de watergeuzen de stad Den Briel in en dit is als het ware het begin van een ware volksopstand. Oranje komt terug naar de Nederlanden en leidt nu gans de zaak van ter plaatse en zo mogelijk  in overleg met de Staten en de steden.

Eenvoudig is dat niet. Bij de protestanten kon de prins geen kwaad doen; de katholieken echter bleven terughoudend, mede door de bloedbaden tegen katholieke geestelijken die door de opstandelingen werden gepleegd. De tot dan toe formeel nog katholieke prins van Oranje ging eind 1573 weer over naar het protestantisme - nu in zijn Calvinistische vorm, terwijl hij tot zijn elfde levensjaar Luthers was opgevoed. Hij bezocht in deze periode verschillende steden in Holland en Zeeland. De situatie bleef wankel. Haarlem gaf zich in juli 1573, na een beleg van 9 maanden, over aan de Spanjaarden. Alkmaar wist echter een Spaans beleg te doorstaan, tot het op 8 oktober 1573 door de watergeuzen werd ontzet.

De Spaanse Furie

Op 18 december 1573 verliet Alva de Nederlanden. Zijn missie was mislukt. Volgens Voltaire heeft de Spaanse hertog in zijn campagne ruim 15.000 Nederlanders ter dood laten brengen. Zijn opvolger was Requesens. In april 1574 sneuvelden de jongere broers van Willem, Lodewijk en Hendrik, in de Slag op de Mookerheide, maar in mei werd de Spaanse vloot op de Zuiderzee verslagen door de watergeuzen,. Middelburg werd door de geuzen ingenomen en Leiden werd op 3 oktober 1574 door hen ontzet.. In maart 1576 overleed landvoogd Requesens plotseling, terwijl Spanje in ernstige financiële moeilijkheden verkeerde. De onrust nam in de loop van 1576 in alle 17 gewesten toe doordat de Spaanse soldaten, die geen soldij kregen, aan het muiten sloegen. De prins speelde hierop in en wist in deze periode in alle gewesten een goede positie te verwerven. Begin 1576 riep bijvoorbeeld Gent de hulp van de prins in tegen de Spanjaarden. De muiterij bereikte een dieptepunt met de Spaanse Furie, toen Antwerpen op 4 november zwaar te lijden had van plundering en brandschatting. De afkeer van Spanje was toen algemeen, zowel onder protestanten als katholieken. Op 8 november 1576 kon Willem daardoor zijn grootste politieke succes boeken met de Pacificatie van Gent. Deze legde de bestaande toestand in alle 17 gewesten van de Lage Landen op het terrein van de religie vast en verenigde die tegen het Spaanse gezag. Op 22 september 1577 werd Oranje feestelijk onthaald in Brussel. Op 18 september 1577 was Oranje in Antwerpen, toen de grootste stad van de Lage Landen. De macht en invloed van Oranje bereikten een hoogtepunt. De nieuwe landvoogd Juan van Oostenrijk moest met lede ogen de intocht van Oranje in Brussel aanzien. 'Als was hij de Messias in eigen persoon', zei hij. De pacificatie van Gent liep echter schipbreuk toen de calvinisten o.m.; in de Arteveldestad de macht grepen en de katholieken gingen vervolgen.

Wallonië haakt af

De verdraagzaamheid die de prins zelf ten toon spreidde en die hij voor de Nederlanden nastreefde om de aanhangers van de verschillende christelijke tendensen in een gezamenlijke strijd tegen de Spaanse heerschappij te verzamelen, botste te hard met de geest van die tijd. De Unie van Atrecht (met name de vrijwel geheel katholieke Franstalige gewesten) en de Unie van Utrecht (met name de Nederlandstalige gewesten) in 1579 betekenden het begin van de eigen weg van Noord- en Zuid.. Wallonie (de unie van Atrecht dus) verkoos de Spaanse monarchie. Het huidige Vlaanderen en Nederland, verenigd in de Unie van Utrecht, vervolgden onder leiding van de prins de weg van de Opstand. Verschillende vredesbesprekingen, onder andere in Keulen, liepen op niets uit. Filips wilde onder geen beding vrijheid van godsdienst toestaan.

De laatste jaren.

De laatste jaren van zijn leven waren voor de prins moeilijk. In 1579 kwam Alexander Farnese een zoon van Margareta van Parma en later hertog van Parma, als landvoogd naar de Nederlanden. Hij was een geduchte tegenstander, die door militaire en politieke behendigheid het zuiden grotendeels voor de koning wist te behouden.. Op 15 maart 1580 tekende de koning een vogelvrijverklaring van de Prins van Oranje. De prins verdedigde zich hiertegen in zijn Apologie. De Staten gaven op 17 december 1581 toestemming de Apologie te laten drukken en uit te geven.. Op 26 juli 1581 zwoeren de Staten-Generaal met het  Plakkaat van Verlatinghe Filips II formeel als koning af. Tot dan toe ging de Opstand in wezen om niet meer dan het herstel van traditionele vrijheden en privileges van de provincies. Dit plakkaat bevestigde echter dat het de Nederlanden omveel meer te doen was: met name om hun onafhankelijkheid., het is een geboortepapier van een nieuwe natie: de Nederlandse natie ook al omdat het mede ondertekend werd door de vertegenwoordigers van de Staten die het huidige Vlaanderen  uitmaken en dit laatste is belangrijk genoeg om het in vetjes te vermelden.

Na Willems vogelvrijverklaring werden er verschillende aanslagen op het leven van de prins gepleegd. Op 10 juli 1584 werd hij uiteindelijk vermoord door de Fransman Balthasar Gerards die een Spaanse agent was De man die terecht als de Vader des Vaderlands wordt beschouwd, heeft de kans niet gekregen om het werk waaraan hij gans zijn leven gewijd had af te maken: de bevrijding van de volledige Nederlanden. Hij werd terecht nooit vergeten. vermits hij een standbeeld kreeg op de Brusselse Kleine zavel en sinds 2012 ook in Antwerpen.. In beide gevallen samen met… zijn trouwe vriend: Filips van Marnix van Sint-Aldegonde.

In de volgende nieuwsbrief komen de oorsprong van de melodie en een verklaring van stijl en tekst aan bod.
 
Francis Van den Eynde

Maréchal toujours là !

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« Maréchal toujours là ! »

par Georges FELTIN-TRACOL

 

Depuis trois décennies au moins, la repentance et l’obsession mémorielle univoque polluent les recherches historiques. Si le phénomène contamine la guerre d’Algérie après avoir investi la traite négrière et la colonisation, il remonte à la dénonciation de l’État français du Maréchal Pétain que les autorités officielles et médiatiques qualifient de « gouvernement de fait » ou d’« illégal ». Or la réalité n’est jamais aussi manichéenne; elle est plus complexe et… surprenante.

 

Alors que l’Université hexagonale écarte les sujets déplaisants pour la pensée unique, il faut saluer une historienne, Cécile Desprairies, qui vient de publier un ouvrage au titre révélateur : L’héritage de Vichy. Ces 100 mesures toujours en vigueur. Elle démontre en effet que plus de soixante-dix ans après la fin de cette « période sombre » subsistent diverses mesures prises par ce régime « illégitime » ! « Quel est le sort des 16 786 lois et décrets promulgués entre 1940 et 1944 ? Ces mesures sont déclarées pour la plupart nulles et les textes attentatoires aux libertés publiques et discriminatoires à l’égard des citoyens envoyés aux poubelles de l’Histoire. Mais certaines d’entre elles – soixante-huit exactement – perdurent telles quelles ou légèrement modifiées… (p. 11) » À partir de cette observation explosive pour le conformisme dominant, Cécile Desprairies fait une recension assez objective.

 

L’ouvrage se veut pédagogique. On examine la persistance de la « Révolution nationale » à travers huit thèmes principaux, à savoir la vie quotidienne, l’alimentation, la culture, l’éducation, les métiers, les pratiques sportives, la santé et les équipements et transports. Le livre se présente comme un recueil d’exemples souvent structurés en trois parties : « Un peu d’histoire », « Le sujet traité sous Vichy », « Et aujourd’hui ? ».


Un quotidien toujours vichyste !
 
À partir de cette nomenclature, on découvre ce que la France contemporaine doit beaucoup à l’État français. « Prenant acte de la défaite, Pétain s’efforce de construire un ordre nouveau, imprégné d’une idéologie traditionaliste et réactionnaire, et tempéré par un courant technocratique (p. 11). » Il en découle des initiatives qui ont franchi le temps et qui sont maintenant des habitudes sociales bien ancrées. Signalons par exemple la sirène à Midi de chaque premier mercredi du mois, l’heure d’été (certes rétablie en 1976, mais elle reprenait un choix de l’occupant allemand), l’obligation d’afficher à l’entrée du restaurant un menu à prix fixe, le développement de la future restauration collective, la création de l’agrégation de géographie distincte de l’agrégation d’histoire, l’enseignement scolaire du dessin et de la musique, la mise en place de chorales scolaires, la fondation de l’Institut des hautes études cinématographiques… C’est à cette époque que commence l’enseignement à distance. La tendance décentralisatrice du régime encourage les premiers cours de breton, de provençal et d’occitan dans le secondaire. « Par l’un de ces retournements dont l’histoire est coutumière, la promotion des langues régionales est faite par un ministre jacobin (p. 137). »
 
Sous le gouvernement perspicace et technocratique de l’amiral Darlan, les régions sont conçues dans leurs tracés actuels. Ainsi la Loire-Inférieure et Nantes sont-ils détachés de la Bretagne. Par ailleurs, « sous Vichy, l’appellation Île-de-France commence à se généraliser – et remplace peu à peu celle de Groß Paris – pour désigner la région parisienne administrative et non plus seulement géographique (p. 228) ». Desprairies voit dans la nouvelle carte des futures régions administratives l’influence du géographe allemand, membre du N.S.D.A.P., Walter Christaller, dont les travaux influenceront aussi dans la décennie 1960 le Commissariat au Plan en matière d’Aménagement du territoire (les métropoles d’équilibre). Soucieux à la fois d’aménager l’espace français et d’améliorer le cadre de vie de la population parisienne, le régime pétainiste réorganise les transports parisiennes (ébauche de la R.A.T.P.), construit de nouvelles stations de métro, élabore la carte hebdomadaire de travail qui deviendra par la suite la « Carte orange », puis le Pass Navigo. S’esquisse enfin un projet ambitieux de périphérique routier séparant Paris de ses communes voisines…
 
Avant que Sarközy place sous la tutelle du ministère de l’Intérieur la police et la gendarmerie, Vichy l’avait déjà fait. Il étatise aussi dès 1941 les polices municipales et fonde une police nationale dont les recrues sont formées dans les premières écoles de police. Quant à la carte nationale d’identité, elle est étendue à l’ensemble de la population et rendue obligatoire. La présence allemande contraint à remplacer les panneaux écrits de signalisation par des panneaux pictographiques que le code de la route entérinera ensuite, et favorise les activités sportives avec les débuts du ski en haute montagne, de l’alpinisme, de l’éducation physique enseignée et du handball, un sport d’origine allemande.

Affirmation de l’appareil bureaucratique
 
Fidèle à sa tradition paternaliste, corporatiste et sociale-chrétienne, « Vichy représente un moment privilégié du développement de l’État social : allocation de salaire unique, retraite aux vieux travailleurs salariés, supplément familial de traitement pour les fonctionnaires… datent de cette période (p. 12) ». Citons d’autres mesures comme le « Noël du Maréchal » qui deviendra le « Noël des entreprises », la « Journée nationale des Mères » qui sera bientôt la « Fête des Mères », l’accouchement sous X, la fonction de président – directeur général, et la mise en place des comités sociaux d’entreprises et des comités de sécurité bientôt respectivement renommés « comités d’établissement » et « comités d’hygiène et de sécurité dans les conditions de travail ». L’État français légifère sur le salaire minimum, les accidents du travail, la charge de médecin – inspecteur du travail et impose le numéro de sécurité sociale encore en vigueur.
 
La récompense de « meilleur ouvrier de France » vient, elle aussi, de ces « Années noires ». Par cette politique sociale ambitieuse, « le régime de Vichy avait tenté de mettre en place une “ société d’ordres ”, selon le mot de l’historien François-Georges Dreyfus. En cela, il a réussi (p. 155) ». Sont ainsi créés les ordres professionnels des médecins, des architectes et des experts-comptables. Mais ce versant néo-corporatiste est contrebalancé par des initiatives modernisatrices telles la reconnaissance du travail féminin. La loi du 22 septembre 1942 « institue […] un régime de liberté d’exercice du travail par la femme mariée (p. 140) ». Il en résulte une nette étatisation comme le souligne l’historien immigrationniste Gérard Noiriel : « La révolution nationale entraîne une accélération brutale du processus d’étatisation de la société française, illustrée par l’argumentation spectaculaire du nombre des fonctionnaires (qui progresse de 26 % en cinq ans) (1). »
 
Une attention particulière est portée à la santé avec l’apparition des hôpitaux publics, des carnets de santé et de vaccination, l’extension des allocations familiales et la lutte accrue contre l’alcoolisme avec la fin du droit de bouilleurs de cru. La qualité et le terroir sont exaltés grâce aux A.O.C. (appellations d’origine contrôlée). Cet intérêt social n’est pas une simple caution théorique. « L’idée que l’État doit s’efforcer de résoudre les malheurs du peuple est devenue une évidence pour tous les hommes politiques, y compris pour les partisans de la Révolution nationale, écrit Noiriel. Certes le nouveau régime rejette la démocratie et le suffrage universel. Néanmoins, à aucun moment Pétain et ses collaborateurs n’ont soutenu l’idée qu’il fallait en revenir à un système politique fondé sur l’exclusion des classes populaires. À ma connaissance, on ne trouve dans aucun texte officiel l’idée que les pouvoirs publics ne devraient pas se préoccuper du sort du peuple. Bien au contraire, tout le projet politique de Vichy vise à convaincre l’opinion que le nouveau pouvoir peut résoudre ces problèmes mieux que la IIIe République (2). »
 
Sur les influences inavouées et méconnues entre les deux régimes, Cécile Desprairies ne cache pas que « sur un certain nombre de points, le gouvernement [de Vichy] parachève sans les nommer les initiatives du Front populaire que la IVe République entérinera (p. 12) ». En réalité, la IIIe République dans ses dernières années, l’État français, la France libre et les IVe et Ve Républiques poursuivent les mêmes objectifs. Par exemple, la protection de l’enfant délinquant si chère à Robert Badinter et aux chantres de l’excuse permanente revient au garde des Sceaux du Maréchal Raphaël Alibert… Quant au délit de non-assistance à personne en danger, on apprend que c’est à l’origine une loi de circonstance qui répond aux attentats anti-allemands. Ces quelques cas mis en exergue font écrire à l’auteur que « Vichy a été un régime autoritaire et répressif mais au sein de son œuvre législative, nous devons reconnaître la part d’héritage qu’on lui doit. Certaines lois et pratiques […] ont été constructives, même si pour beaucoup d’entre elles leur application a dû attendre la IVe République pour être efficace (p. 13) ».

L’accouchement méconnu de la France contemporaine
 
On oublie par ailleurs que de nombreux fonctionnaires commencèrent leur carrière au service du vainqueur de Verdun et que les novations du régime les marquèrent durablement. « Les technocrates qui travaillent à l’œuvre de modernisation suivront après 1942 des voies très différentes, certains s’engageant dans la résistance ou rejoignant Alger, d’autres choisissant le parti de la collaboration. Certains feront parler d’eux après 1945 : Pierre de Calan, Claude Gruson, Maurice Couve de Murville… Michel Debré est à Alger, auprès du général Weygand. Bon nombre de ces futurs hauts fonctionnaires de la IVe ou de la Ve République (Paul Delouvrier, Simon Nora… mais aussi des non-fonctionnaires comme Hubert Beuve-Méry ou Jean-Marie Domenach) se retrouvent à l’École nationale des cadres d’Uriage, créé au lendemain de la défaite par Pierre Dunoyer de Segonzac (3). »
 
Cette continuité se retrouve dans le domaine juridique peu traitée, il est vrai, par Cécile Desprairies. La législation actuelle contient encore bon nombre de décisions prises par l’État français. Le remembrement agricole, base de la « révolution silencieuse » des années 1950 – 1960, procède de la loi du 9 mars 1941 et du décret du 7 janvier 1942 validés ensuite par une ordonnance du 7 juillet 1945. Mieux, la loi du 25 novembre 1941 réduit à neuf le nombre de jurés en cours d’assises et autorise les trois magistrats professionnels à assister aux délibérations du jury et à y participer. Le décret du 22 mars 1942 consacré au délit d’entrave à la circulation ferroviaire s’applique toujours en dépit de l’abrogation de plusieurs articles. Une de ces dispositions punit encore d’une amende de quatrième catégorie d’un montant de 135 € toute « violation de l’interdiction de cracher dans une dépendance d’un service public »…
 
Dénié avec force par certains gaullistes, l’État français de Vichy appartient en fait à une variante autoritaire de la République et n’est pas un accident institutionnel. En analysant l’esquisse constitutionnelle du Maréchal, Jacques Godechot relève que « ce projet, qui ne vit pas le jour, est cependant intéressant, car plusieurs de ses articles passeront dans les constitutions et lois ultérieures (4) ». La Révolution nationale s’inscrit dans une tradition française alternative aux modèles républicain et royal qui a donné le Consulat, le Premier Empire (sous réserve de périodisation précise) et le Second Empire non libéral. À l’heure où le Conseil constitutionnel a pris une dimension nouvelle non négligeable alors que son mode de désignation demeure déficient et partial, il serait bon de s’inspirer du projet de 1942 qui envisageait une Cour suprême de justice dont le recrutement mériterait un examen attentif de la part de nos « gouvernants ».
 
L’aura constitutionnel de Vichy s’étendit jusqu’au Général de Gaulle comme le rapporte Michel Debré lors de la rédaction de la Constitution de 1958. « Une fin d’après-midi de juillet, le Général me demande de proposer au comité du soir un article qui eût sanctionné officiellement le titre de “ Chef de l’État ”. Ce que je fais d’autant plus aisément que ce titre consacrait le Droit, tel que nous l’élaborions. Mais par ma proposition, je provoque un tollé. Guy Mollet évoque Vichy et le titre conféré au Maréchal Pétain. Les autres ministres et Cassin lui-même opinent dans le même sens. Je fais observer que c’est une grande querelle pour une voyelle et une consonne. Le Président de la République est “ Chef d’État ”. Est-ce vraiment si dangereux de le dire “ Chef de l’État ” ? Oui, apparemment. L’histoire impose des souvenirs. Le Général reste silencieux. Je n’insiste pas et passe à un autre projet d’article (5). » Une fine analyse du texte initial de la Ve République montrerait que les idées constitutionnelles de Vichy s’y retrouvent, en particulier concernant la fonction et le titre de « Premier ministre ». Par conséquent, les Français devraient accepter, l’esprit tranquille, l’héritage polymorphe de l’État français et mieux comprendre cette période plus cruciale qu’ils ne le croient pour la seconde moitié du XXe siècle.

Georges Feltin-Tracol

Notes
 
1 : Gérard Noiriel, Les origines républicaines de Vichy, Hachette – Littérature, Paris, 1999, p. 163.
 
2 : Idem, pp. 57 – 58.
 
3 : Hervé Coutau-Bégarie et Claude Huan, Darlan, Fayard, Paris, 1989, p. 486. Les auteurs rappellent que Maurice Couve de Murville, futur Premier ministre de De Gaulle entre 1968 et 1969, se mit « à la disposition du haut-commissariat (p. 676) » dirigé depuis Alger par l’amiral Darlan ainsi que le futur responsable gaulliste Olivier Guichard.
 
4 : Les constitutions de la France depuis 1789, présentation de Jacques Godechot, G.F. – Flammarion, Paris, 1979, p. 342.
 
5 : Michel Debré, Trois républiques pour une France. Mémoires, tome II – Agir 1946 – 1958, Albin Michel, Paris, 1988, p. 374.
 
Cécile Desprairies, L’héritage de Vichy. Ces 100 mesures toujours en vigueur, préface d’Emmanuel Le Roy Ladurie, Armand Colin, Paris, 2012, 255 p., 27,50 €.
 

 


 

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Prezzolini on Representative government

Prezzolini on Representative government

Giuseppe_Prezzolini

“Representative government is artifice, a political myth, designed to conceal from the masses the dominance of a self-selected, self-perpetuating, and self-serving traditional ruling class.”


Giuseppe Prezzolini, Italian dissident, soldier & organic intellectual

jeudi, 24 janvier 2013

Syrian Revolt and Pipeline Geopolitics

Syrian Revolt and Pipeline Geopolitics

syria  oil pipeline through kurdistan.jpg

No matter what was said about the causes of the conflict in Syria, there is one fundamental thing connected with Petropolitics and interests of  global capital. Now let's go away aside the tactics of guerrilla warfare and analysis formed situation with methods of propaganda through Social Networks and hidden religious motives. 
The state of affair of the regional powers, which are the most important players in energy politics presents Iraq and Iran are on the one hand and Qatar and Saudi Arabia are on another. Syria mediates possible infrastructural regional projects, and trunk pipelines could link the region of The Great Middle East to Western Europe. 
 
The environmental determinism pointes out that this state is in a more advantageous position than Turkey through which the Baku–Tbilisi–Ceyhan pipeline lies. The South Caucasus is further north and the Russian Federation have strategic interests there. 
 
So, Syria is the only fall-back position as an alternative of a transit country. Besides having own oil fields, Syria's leadership is quite aware of the importance of country's geographical location.
 
In 2009 Bashar al-Assad has been promoting a "Four Seas Strategy" to turn the country into a trade hub among Persian Gulf, the Black Sea, the Caspian Sea and Mediterranean Sea. In 2010, the government signed a memorandum of understanding with Iraq for the construction of two oil pipelines and one gas pipeline to carry gas and oil from Iraq’s Akkas and Kirkuk fields on the Mediterranean Sea. In July 2011 Iranian officials announced a $10 billion gas pipeline deal between Syria, Iraq and Iran that would transport gas from Iran’s South Pars gas field, the world’s biggest, through Iraq to Syria. Also was planned an extension of the AGP from Aleppo in Syria, to the southern Turkish city of Kilis that could later link to the proposed Nabucco pipeline linking Turkey to Europe.
 
The presence of such players in one team contradicted the Washington's plans to manipulate energy flows to Europe. These plans might be ruined by serious force  majeure circumstances. At the beginning of 2011 the first demonstrations in Syria were already held and the idea of creating chaos was supported by The West and the regional powers, because it could prevent the realization of Syria's Four Seas Strategy. Turkey is one of these countries which run counter to its own strategy  "not to have problems with neighbors". The second state is diminutive Qatar which serves interests of the USA and the UK. Turkey depends on gas from 
Russia and Iran. It was advantageous for Turkey from the point of view of Eurasian Strategy to enter into alliance with Syria, (there is dependence on the West through NATO), then Qatar found out the advantage of destruction of a possible energy alliance. Earlier Qatar had proposed a gas pipeline to Syria to transport gas across Europe, but this idea was refused. A sense of revenge had a great impact on The Arab Spring. Estimating the perspective gas income to Europe and having found the support from paranoid politicians who were anxious about Gazprom's monopoly, Qatar started to support for an extended front of opposition - the National Transitional Council, a politically amorphous structure, some Non-Governmental Organizations and Jihad terrorists, many of whom do not even understand their enemies. Taking into account the means of tools of soft power, Qatar and The Department of State of U.S. started sponsoring different religious centers and organizations in particular those which are connected with the Sufi Tradition and mystical Islam in general. For example, Sheikh Abdelkader, a follower of Sheikh Mawlay al Arabi ad Darqawi’s theory, established links with Qatar and the UAE, getting a financial support from these countries. The center of the Naqshbandi order in Cyprus also was involved in a pro-American shady undertaking. Sheikh Nazim Al-Haqqani established links with the State Department and propagandized threat from Russia: the fake script of the invasion of Turkey and the liberation of Istanbul with the help of Anglo-American army. 
 
Moreover Qatar has worth millions contracts for the purchase of arms from the USA. It is doubtful whether the diminutive state is going to defend from the neighboring satellite states - Saudi Arabia, Bahrain or the UAE. Probably they act on suggestion of The Pentagon for the hypothetical protection from Iran, which is not going to conflict with the countries on the other side of  the Persian Gulf. Iran as an important ally of Syria is the next target of the West. This is not a random collection of facts.
 
This is the actual position of affairs of the Mid-East geopolitics. Be watchful!
 
Регион: 

Wordt Pattanide de volgende radicaal-islamitische staat?

Wordt Pattanide de volgende radicaal-islamitische staat?

Peter LOGGHE

Ex: Nieuwsbrief Deltastichting, nr. 67 - Januari 2013

Als men het over de militante islam heeft, dan kijkt men vooral naar de Arabische landen (de bron van het islamisme) of bij uitbreiding naar (al dan niet nieuw-opgerichte) Centraal-Aziatische landen als Kazachstan, Kirgizië, Afghanistan, Pakistan. De Arabische Lente – of wat daar moet voor doorgaan – werd door de media in alle huiskamers binnengebracht, en de strijd van en tegen de Taliban ligt nog op ieders netvlies gebrand.

Nochtans is het niet zo dat elk conflict, waarin de militante islam een factor van belang is, even goed gekend is, wel integendeel. In en rond de Zuid-Thailandse stad Pattani en in de regio’s Pattani, Narathiwat, Yala, Songkhla en Satun is al jarenlang een separatistische beweging aan het werk, de Pattani United Liberation Organization (PULO), die de Malays van Thailand wil samenbrengen in een islamitisch sultanaat.

De leden van deze in 1968 opgerichte separatistische en terroristische beweging – die ondertussen is versplinterd in drie elkaar min of meer concurrerende bewegingen – kregen een PLO-opleiding. De PULO gaat door als de gevaarlijkste en meest militante beweging binnen de grenzen van Thailand. Zij stelde de unitaire staat Thailand in vraag en wilde de Malay-identiteit beschermen, de Malaytaal- en alfabet.

Maar er is meer aan de gang. Het blijkt steeds duidelijker dat achter het op het eerste zicht nationalistisch discours in feite een religieus programma schuilgaat en dat dit ook steeds vaker blijkt uit de daden van de PULO. Tot voor enkele jaren waren de aanslagen van de Pattani United Liberation Organization bijna uitsluitend gericht op militaire centra en op administratieve strategische doelwetten hoofdzakelijk in Bangkok. De strijd verlegt zich nu steeds vaker naar het Pattanigebied zelf en richt zich steeds meer tegen leraren en tegen boeddhistische monniken. Tegen boeddhisten in het algemeen trouwens, zodat de toestand in het stadje Pattani, waar de boeddhisten vandaag bijvoorbeeld nog slechts 15% van de ongeveer 55.000 inwoners uitmaken, behoorlijk gespannen is.

Bomaanslagen en moordpogingen tegen het onderwijzend personeel zijn er schering en inslag. Islam en onderwijs: het blijft een problematisch vraagstuk! Waar de militante islam het voor het zeggen krijgt – de talibanstrekking zeg maar – wordt opvoeding plots over een gans ander boeg gegooid. Jongens en meisjes worden gescheiden, meisjes krijgen weinig of geen schoolopleiding meer, scholen worden gesloten. In Zuid-Thailand worden leraren en leraressen vermoord. Neergeschoten. “Wij hebben angst”, is dan ook een veelgehoorde opmerking, aldus ooggetuige Hinrich Rohbohm in JungeFreiheit(02/13, 4 januari 2013). Waarom terreur op onderwijzend personeel? Religieuze motieven, aldus de overgebleven leraren: “Moslimmeisjes mogen niet gemeenschappelijk met jongens  worden onderwezen volgens de islam. En om dat te bereiken, worden leraren gedood. Geen leraar, geen onderwijs”.

Moslim schoolkinderen wachten op de aanvang van de dagelijkse vlaggegroet, op de achtergrond zien we wat overblijft van de klaslokalen, die de nacht ervoor door vermoedelijke Moslimrebellen werden aangestoken.Leraren en leraressen capituleren en vertrekken of geven hun ontslag. Dat is uiteindelijk wat de bedoeling is van deze islamitische terreurgroep: schrik aanjagen zodat boeddhistische monniken uit de streek vertrekken, het onderwijzend personeel dusdanig terroriseren dat dit het gebied verlaat, en  het ondertussen op een geleidelijke manier veroveren. De organisatie eist de invoering van de sharia in Zuid-Thailand. Boeddhistische kloosters liggen ook steeds vaker onder vuur.

De aanslagen op boeddhistische monniken en op leraren en leraressen zorgen voor véél slachtoffers: in Pattani, Yala, en Narathiwat zijn er dagelijks gemiddeld 3 tot 4 aanslagen. Meer dan 11.000 sinds 2004. Meer dan 5.000 mensen kwamen hierbij om, en 9.000 werden gewond. Zelfs in de ‘hoofdstad’ Hat Yai – een stad met ongeveer 200.000 inwoners, waarvan ‘slechts’ 30% moslims – voelt men de spanning. Zeker na de aanslag op het Lee Gardens Plaza Hotel begin april 2012, waarbij 400 mensen werden gewond.

Wat ooit begonnen is als een nationalistische bevrijdingsoorlog is verworden tot een religieuze – en dus totale – oorlog. Misschien wel nuttige achtergrondinformatie mocht u in ‘onze’ Vlaamse pers ooit eens lezen over het Sultanaat van Pattani?

(Peter Logghe)

Après l’Afghanistan, la Libye et la Syrie, c’est maintenant au Mali que les supplétifs français de l’O.T.A.N. sont missionnés par l’ordre mondialiste du chaos de la marchandise !

Après l’Afghanistan, la Libye et la Syrie, c’est maintenant au Mali que les supplétifs français de l’O.T.A.N. sont missionnés par l’ordre mondialiste du chaos de la marchandise !

par Gustave LEFRANÇAIS

 

« Le spectacle du “ terrorisme international ” dont le langage spectaculaire ne cesse de parler afin d’en mieux cacher la nature et les sources n’est que l’instrument d’indistinction du développement chaotique global par lequel l’ordre de la marchandise tente d’échapper à la crise économique et financière systémique de son fétichisme. »

 

L’Internationale, Critique de la société de l’indistinction,

Éditions Révolution sociale, 2007.

 
La vérité s‘inscrit toujours en négatif des apparences mises en scène par les experts étatiques de la conscience fausse et au total rebours du crétinisme universitaire et médiatique de la vie asservie puisque dans le monde de l’indistinction marchande, la totalité du réel est réellement renversée en totalité jusqu’à faire de chaque vérité un simple moment du faux partout fallacieusement réécrit et constamment retranscrit spécieusement comme inverse de ce qui est vraiment.
 
L’objectif du gouvernement du spectacle mondial, après avoir impulsé le printemps arabe de l’embrouillement accéléré aux fins de davantage maîtriser le devenir géo-politique du Moyen-Orient et d’y disperser les dernières expressions démodées de souveraineté non totalement intégrée au marché de ses exigences, consiste à aujourd’hui toujours plus avancer dans le grand ébranlement du monde africain afin d’y imposer des turbulences et convulsions croissantes qui légitimeront ainsi de nouvelles interventions militaires au nom de la religion des droits de l’homme marchandisé et de la recomposition précipitée des marchés.
 
Pour la classe dirigeante du cosmopolitisme de l’argent, l’ennemi terroriste téléguidé au plus haut niveau, est indispensable puisqu’il autorise ici un contrôle toujours plus renforcé des spectateurs de la domestication citoyenne tout en permettant là-bas la construction impérialiste d’une politique d’agression systématiquement exaspérée. C’est le cercle manipulatoire sans fin des perversions infinies de l’indistinction terroriste qui se renforce à mesure que la crise financière de la surproduction capitaliste s’accentue lourdement et qui, des macro-machinations du 11 septembre 2001 aux micro-combinaisons de l’affaire Merah, voit partout les orchestres occultes du Pentagone et de leurs métastases hexagonales s’exciter dans l’illusion, l’intoxication, la manœuvre et la manigance.
 
Cette guerre malienne utilisée subsidiairement pour redorer l’image d’un pouvoir discrédité et usé en un temps record et tenter ainsi de faire oublier des plans d’austérité intensifiée vient d’abord nous rappeler centralement que la France hollandienne, digne héritière du sarkozysme antérieur, n’est plus là qu’une banale et dérisoire province otaniste des États-Unis, simplement chargée avec les autres satellites de l’O.T.A.N. d’assumer les fonctions de gendarmerie générale dans les territoires que Washington entend remodeler adéquatement à ses impératifs économiques et politiques d’unification par la stratégie de la tension perpétuelle et du morceler illimité.
 
De cette façon et à cet endroit, le chaos et la déstabilisation se propagent et augmentent continûment par le management contrôlé de la marchandise terroriste et le jeu tortueux des forces spéciales de la schizophrénie gouvernante qui avivent intentionnellement la permanence historique des contradictions ethno-tribales sahéliennes. Ceux qui s’étonnent bien naïvement de tels faits et trouvent irresponsable que Paris ait lancé la guerre contre le régime du colonel Kadhafi puisque les effets de cette dernière ont commencé à déséquilibrer toute la région qui s’étend de la Centrafrique au Tchad, n’ont décidément rien compris et ont la culture bien courte
 
Dans le monde de l’inversion spectaculaire universalisée, les choses doivent toujours se lire à l’envers de ce que le système cabalistique de l’aliénation prétend… L’incendie généralisé qui couve sous la cendre du réel si mal dissimulé par les mensonges du fétichisme spectacliste, est bien évidemment l’expression dialectique d’une réaction en chaîne strictement souhaitée et supervisée qui voit les djihadistes de la C.I.A. du front Sud, sur-armés suite notamment au pillage délibéré et prémédité des arsenaux libyens, préposés à l’édification d’un Sahélistan pendant que leurs collègues du front Nord partis combattre le système el-Assad, eux, chapeautés par les diverses antennes américano- israéliennes du renseignement et de la feinte appuyées sur l’argent qatari coulant à flots, sont dépêchés à l’édification d’un Syristan.
 
Désormais, la dictature démocratique de l’argent est parvenue au stade supérieur de sa domination complètement réalisée. En tout lieu, règne le spectacle autocratique de la marchandise, de sa violence, de ses impostures et de sa terreur. Les seules forces spectaculaires organisées sont celles qui veulent le spectacle de la violence, de la terreur et de ses impostures en une Union sacrée politicienne de la propagande tous azimuts… Aucune structure politique efficiente ne peut donc plus être ennemie de ce qui existe comme indistinction généralisée du faux omni-présent ni contrevenir à la soumission universelle qui concerne tout et tous dans la réussite sociale répandue du mensonge circulatoire triomphant de la maffia étatique mondialiste.
 
La démocratie totalitaire du marché est cette tyrannie si parfaite qu’elle possède le don de pouvoir façonner elle-même son pire ennemi mythologique, le terrorisme. En réalité, elle ambitionne exclusivement d’être regardée à l’aune métaphorique des ennemis allégoriques qu’elle modèle dans des fictions extraordinaires et formidables plutôt que sur la matérialité de la pourriture de sa nature concrète.
 
L’équivoque, l’obscurité, le double-sens, l’énigme, l’inconnaissance, l’imbécillité et le bobard sont ainsi organisés partout par le spectacle tyrannique de l’indistinction. La préservation de la domination marchande sur le monde des spectateurs asservis s’opère donc la plupart du temps par attaques inventées sous faux-drapeaux dont la transmission médiatique a pour objet essentiel de faire bien sûr oublier les véritables enjeux, la portée logique et les conséquences recherchées.
 
Les manœuvres terroristes persistantes du G.I.A. algérien sont directement nées des bureaux nébuleux de la sécurité militaire algérienne dans le but de mobiliser l’opinion internationale en faveur du gouvernement F.L.N. et de discréditer le F.I.S. afin de museler alors durablement la population qui avait porté ce dernier au pouvoir en décembre 1991. Quelle ganache journalistique pourrait encore désormais faire semblant de ne point savoir qui était vraiment derrière la vague d’attentats commis en France en 1995 et l’assassinat des moines de Tibhirine l’année suivante ?
 
Mais qui est donc ce Mokhtar Belmokhtar figure emblématique des services spéciaux du djihad algérien qui serait l’architecte de l’attaque sanglante du site gazier de B.P. à In Amenas? C’est tout bonnement un ancien d’Afghanistan formé au combat par les légions islamiques de la C.I.A., vétéran du G.I.A., vénérable du G.S.P.C. (Groupe salafiste pour la prédication et le combat) et représentant de la nébuleuse barbouzarde Al-Qaïda au Maghreb islamique (Aqmi). Chef racailleux de divers services parallèles spécialisés en enlèvements multiples, caïd d’innombrables trafics multiformes, allant des armes aux drogues en passant par les cigarettes, et alimentant de la sorte tous les circuits économiques souterrains de la criminalité étatiquement parrainée dans ce vaste Sahara aux millions de dollars d’argent sale voracement attendu par tous les banquiers cossus du blanchiment en argent propre.
 
La société moderne de la démocratie aboutie du spectacle du faux qui repose sur l’industrie moderne du fétichisme marchand de l’indistinction n’est pas fortuitement ou superficiellement terroriste, elle l’est fondamentalement parce que le spectacle de la terreur devient l’une des principales productions de la crise actuelle de l’économie politique à mesure que l’argent qui a totalement asservi les hommes ne parvient plus à produire la possibilité de sa propre re-production.
 
Le pouvoir étatique du mensonge déconcertant est devenu si mystérieux qu’après les ténébreux attentats ésotériques du 11 septembre 2001, on a pu se demander qui commandait vraiment l’hermétique complexe militaro-industriel des États-Unis, la puissance la plus considérable du monde démocratique du despotisme du négoce ? Et donc qui diable peut commander le monde démocratique du négoce despotique si ce n’est justement la terreur de la loi de la valeur elle-même…
 
Le spectacle capitaliste des marionnettes terroristes de l’exotisme islamique est une sorte de théâtre d’effigie dont la clandestinité structurelle reproduit à l’extrême la division du travail pour que la base utilisée ignore tout du sommet utilisateur. La représentation des lampistes n’y est naturellement jamais assurée par les commanditaires en chair et en os mais par des figurines naïves (les marionnettes de l’exécution) manipulées dans l’ombre par des marionnettistes (les manipulateurs des corps détachés de la supercherie étatique, eux-mêmes impersonnellement manœuvrés par la dialectique anonyme et impitoyable des chimères de la folie de l’acquisition marchande).
 
Après avoir été massivement utilisés contre la Libye, les groupes islamo-trafiquants sahéliens d’ailleurs soutenus implicitement par l’O.T.A.N. dans leur liquidation de la contraignante présence armée Touareg, se sont renforcés en une vaste continuité territoriale potentielle s’approchant d’abord du Tchad et du Nigeria pour aller ensuite toucher les larges étendues possibles qui vont du Sénégal jusqu’au Soudan. Il est clair que si le gouvernement du spectacle mondial entend bien les utiliser comme force dépendante de déploiement de ses machinations stratégiques pour étaler son chaos régulé, il n’entend point, en revanche, leur laisser la possibilité d’acquérir une puissance d’expansion autonome. C’est là ce que vient signifier très emblématiquement ce rappel à l’ordre belliqueux du petit brigadier yankee Hollande qui est censé faire ressortir là que l’or, la drogue, les diamants, l’uranium et les métaux précieux que recèle singulièrement le Mali peuvent certes donner lieu à d’importantes commissions pour les agents islamistes de sécurité du nouvel ordre mondial mais que l’essentiel des ressources doit bien continuer à être géré principalement et directement par la classe capitaliste du spectacle mondialiste, elle-même.
 
En fait et toutes proportions gardées, c’est un peu comme lorsque la police organise en banlieue une descente emphatique dans un blafard quartier de vente de drogues… À l’évidence, elle ne vient pas annoncer qu’elle va abolir l’économie souterraine, elle procède uniquement à une vérification d’encadrement de ses flux pour les ajuster aux nécessités générales du commerce officiel des servitudes indispensables.
 
Le terrorisme islamiste des appendices armés du gouvernement du spectacle mondial est le dernier mystère de la crise généralisée du capitalisme moribond, et seul ceux dont la compréhension radicale va jusqu’à dé-chiffrer le fétiche des mystifications démocratiques peuvent saisir le piège tordu de la terreur étatique.
 
Le spectacle terroriste industriel de masse de la tromperie mondialisée est apparu avec la démocratie complètement réalisée de la liberté despotique du marché. On vérifiera qu’il ne pourra disparaître du monde qu’avec l’anéantissement de cette dernière. Alors les hommes fatigués de n’être plus que de pauvres pacotilles déambulatoires emprisonnées par les grandes surfaces de la transaction, se mettront certainement en mouvement pour substituer aux servilités de la civilisation de l’Avoir, l’auto-émancipation vers la communauté de l’Être.

Pour L’Internationale, Gustave Lefrançais

 


 

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Angelica Balabanoff: du Duce à Lénine

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Bruno GRAVAGNUOLO:

Angelica Balabanoff: du Duce à Lénine

Angelica Balabanoff était une “libertaire” qui ne faisait pas de compromis. Cette révolutionnaire venue d’Ukraine a fini par se mettre au service de despotes, au nom même de ses principes, ce qui est un paradoxe. De 1880 à 1965, elle a mené une vie extraordinaire. Un livre récent esquisse sa biographie.

Le destin d’Angelica Balabanoff a été tragique et paradoxal: cette révolutionnaire ukrainienne, fille d’un riche propriétaire terrien juif, fugue, très jeune, et quitte Tchernigov, pour partir à la recherche d’elle-même. Dans cette quête, elle est devenue une icône du socialisme révolutionnaire européen à cheval sur deux siècles. Les vicissitudes de cette existence, Amedeo La Mattina, journaliste à la “Stampa” en Italie, les raconte avec toute la rigueur et la précision voulues dans son livre “La vita di Angelica Balabanoff. La donna che ruppe con Mussolini e Lenin” (Einaudi, 314 pages, 20 euro; “La vie d’Angelica Balabanoff. La femme qui rompit avec Mussolini et Lénine”). Il y a beaucoup d’amertume dans ce destin surtout parce qu’Angelica a cru aux despotes au nom d’une utopie libertaire qui refusait tout compromis. Désillusionnée, se sentant trahie, elle a finit par confier cette utopie à ce qu’elle détestait le plus dans sa tendre jeunesse, le réformisme ministériel (celui de Saragat). Désarmée par les médisants, oubliée au terme de sa vie, elle n’a jamais renié ses choix (mis à part au moment où elle était consumée de douleur à la mort de sa mère dont elle s’était séparée pour vivre sa propre vie).

D’Octobre à Saragat

Entre sa naissance en Ukraine vers 1880 et sa mort solitaire à Rome en 1965 s’est pourtant déroulée une vie extraordinaire. C’est donc cette existence que nous narre La Mattina, avec, pour toite de fond, l’émergence dans toute l’Europe du socialisme, des racines du fascisme, avec la révolution d’octobre 1917, le fascisme, la guerre et l’anti-fascisme. Beaucoup de femmes exceptionnelles ont été les amies d’Angelica, comme l’anarchiste Emma Goldmann, Rosa Luxemburg, Anna Koulichiov, Clara Zetkin, etc. Ces amitiés sont le fil d’Ariane de la vie d’Angelica, les étapes aussi de toute la tragédie du 20ème siècle.

Parmi les atouts de cette biographie, citons surtout la capacité, dont l’auteur fait montre, à éclairer les rapports qu’Angelica a entretenus avec les despotes. Ce qui permet de saisir l’esprit qui les animait. Il y a d’abord Mussolini qu’Angelica a véritablement introduit dans les milieux révolutionnaires à Zürich en 1902, où le futur Duce errait parmi les émigrants et les proscrits subversifs de toute l’Europe. Pour ceux qui connaissaient déjà les grands du socialisme de l’époque, les Turati, Labriola et Kautski, Benito Mussolini apparaissait comme un paumé qui se gobait. Perdu, sans style ni manières, sans le sou, sans rôle à jouer, toujours furieux et désespéré, personne ne le prenait au sérieux. Angelica va prendre le futur Duce en mains, non seulement elle le formera en philosophie, lui fera saisir ce qu’est le socialisme, mais elle lui fera prendre conscience de sa valeur. Elle tombera amoureuse de cet Italien rustique et en deviendra sans doute l’amante, donnant force et puissance à cet ego tourmenté et blessé, piquant au vif la volonté de grandeur encore frustrée qui gisait en lui. Mussolini admettra sa dette dans une conversation avec Yvonne de Begnac: “Sans la Balabanoff, je serais resté un petit fonctionnaire, un révolutionnaire du dimanche”. C’est donc Angelica qui donnera l’impulsion première à tous les succès politiques ultérieurs du futur Duce, à commencer par la victoire des maximalistes lors du congrès socialiste de Reggio Emilia en 1912. Cette année 1912 fut la première où Mussolini joua un rôle de premier plan, notamment en s’opposant à la guerre de Libye, pour devenir rapidement, par la suite, directeur du journal “Avanti”.

En octobre 1914, toutefois, Mussolini trahit les idées qu’Angelica Balabanoff avait tenté de lui inculquer: il passe d’abord à ce que l’on nommait la “neutralité active” pendant la première guerre mondiale puis opte carrément pour l’interventionnisme. Qui plus est, dans la vie de Benito, déjà marié à Rachele, apparaît une nouvelle femme: Margherita Sarfatti, issue de la haute bourgeoisie juive et “moderniste”. Ce sera elle —répudiée plus tard quand Mussolini sera influencé par l’antisémitisme— qui initiera le Duce aux arts et aux avant-gardes du 20ème siècle, notamment au futurisme qu’il aimera avant de retourner à l‘”ordre esthétique”. C’est ainsi que Mussolini, homme toujours en colère et en révolte, a pu convertir son impétuosité plébéienne initiale en un révolutionnarisme conservateur et populiste concret, qui deviendra bien vite le fascisme. Nous avons donc une curieux mélange de subversion par le haut et par le bas chez un homme, au départ marginal, qui n’a pour but que le pouvoir tandis que l’Italie libérale pré-révolutionnaire et pré-fasciste était en crise profonde. Mussolini fut dominé et sauvé par les femmes: ce sont elles qui l’ont fait homme et despote. Nous avons là, plus que probablement, une clef pour comprendre le 20ème siècle italien et le Ventennio fasciste, une clef que nous fournit le livre de La Mattina sur Angelica Balabanoff. Cet ouvrage constitue une source plus vraie que bien d’autres pour comprendre le véritable caractère du Duce, natif de Predappio. Son fond personnel intime le porte à déployer un “transformisme d’assaut”, porté par un mimétisme psychologique de nature subversive.

Russocentrisme

Pour ce qui concerne les rapports Balabanoff/Lénine, les circonstances sont différentes. Angelica l’admirait mais s’en défiait tout autant: le leader bolchevique est “probe, ascétique et tranquillement féroce”, pense-t-elle de prime abord. C’est en tant que socialiste qu’Angelica adhère à ses thèses communistes, mais elle se détachera de lui dès 1921, quand elle s’est rendu compte que le bolchevisme était un despotisme russocentré, cynique, de surcroît terroriste et hostile à tout humanisme éthique. Mais malgré cette déception, Angelica Balabanoff restera marxiste et socialiste, montrant une intransigeance outre mesure: ainsi, elle s’oppose à Nenni et à toute unité avec les communistes italiens. Harcelée par les espions de Mussolini (qui la craignait toujours), elle émigre en Amérique, où elle témoignera de son socialisme libertaire et anti-réformiste. Quand elle revient en Italie, elle quittera le PSI pour adhérer au PSDI de gauche. Ce sera la ennième désillusion, une grande leçon qui prouve, une fois de plus, son “impolitisme”. Angelica Balabanoff est surtout un témoin capital pour comprendre à quelles écoles ont été s’abreuver les dictateurs et pour connaître leur psychologie.

Bruno GRAVAGNUOLO.

(ex: http://www.ariannaeditrice.it/articoli.php?id_articolo=37619/ ).

Kinski spricht "Der Erlkönig" (Goethe)

Kinski spricht "Der Erlkönig" (Goethe)

mercredi, 23 janvier 2013

Les Indo-Européens, faits et polémiques

16:58 Publié dans Evénement | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : événement, france, indo-européens | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook