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samedi, 11 mai 2013

Le guerre per l’acqua in Africa

Le guerre per l’acqua in Africa

Secondo un rapporto di Archivio Disarmo, nel continente nero il rischio di “idroconflitti” è particolarmente “grave”

Francesca Dessì

L’acqua è la fonte della vita. Come la maggior parte delle risorse naturali, è oggetto del contendere e alimenta dissapori e ostilità. È soprannominata, non a caso, “l’oro blu”. Per lei sono state combattute tante guerre e ce ne saranno altre nel prossimo futuro. È quanto emerge in un rapporto intitolato “I conflitti per l’acqua. Le aree e i caratteri più significativi dei conflitti per l’acqua in Africa”, pubblicato ieri dall’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo. Nel continente nero, il rischio di “idroconflitti”, si legge nel documento, “è particolarmente grave, dato che ogni Paese africano condivide almeno un fiume e quindici Stati ne condividono cinque o più determinando un contesto geopolitico nel quale risulta inevitabile la presenza di attriti. (…)Se più Paesi fanno riferimento alla stessa fonte idrica, l'uso condiviso di questa risorsa può generare competizione e discordia”. L’esempio più eclatante è il Nilo, che bagna l’Egitto, il Sudan, il Sud Sudan, l’Etiopia, l’Eritrea, il Kenya, l’Uganda, la Tanzania, il Ruanda, il Burundi e la Repubblica democratica del Congo. La gestione comune dell’acqua e l’interdipendenza idrologica delle nazioni e dei popoli si ripercuotono “oltre confine”. Il rapporto fa alcuni esempi: “La ritenzione d’acqua a monte dei fiumi limita i flussi a valle, l’inquinamento può essere trasportato in altri Paesi e la presenza di dighe, oltre a impedire il flusso naturale dell’acqua, può causare il deposito di limo nei bacini idrici artificiali, impedendo che questo prezioso fertilizzante naturale raggiunga le pianure a valle”.


Pertanto, si legge sempre nel documento, “la divergenza di potere economico e politico degli Stati che condividono lo stesso bacino genera relazioni asimmetriche nelle quali tendono a prelevare gli interessi dei Paesi più forti ( vedi l’Egitto, ndr) che si riflettono nella scelta delle modalità di uso della risorsa e di disciplina dei conflitti”.


In Africa c’è poi il problema dei cicli di siccità che si tramutano in stragi di carestie. Come si evince dallo studio di Archivio Disarmo “la carenza d’acqua è un problema della vita di tutti i giorni per gran parte della popolazione. In molti Paesi, vista la scarsità delle risorse idriche, l’irrigazione agricola dipende esclusivamente dalle condizioni climatiche”.


Secondo un rapporto pubblicato venerdì scorso dalla Fao, la carestia ha ucciso 260mila persone in Somalia tra il 2010 e il 2012. Circa la metà era costituita da bambini sotto i cinque anni. Dati allarmanti che non tengono conto dell’intera regione del Corno d’Africa, colpita da una delle più drammatiche crisi di siccità degli ultimi vent’anni, e di quella del Sahel.
“Con la domanda crescente e una storia di cattiva gestione delle risorse di molti governi africani” precisa il rapporto di Archivio Disarmo “i conflitti sembrano quasi inevitabili, alimentati, oltre che dalla ineguale distribuzione delle risorse idriche tra i Paesi, anche, a livello locale, dalla privatizzazione delle risorse idriche, dall’inquinamento massiccio delle falde acquifere dovuto allo sfruttamento del suolo da parte delle multinazionali del petrolio e dal rancore delle molte persone sfollate a causa delle dighe lungo i fiumi”. È il caso del Delta del Niger, la regione meridionale della Nigeria, dove le fuoriuscite di petrolio dagli oleodotti e la pratica di “gas flaring” (un processo in cui il gas che fuoriesce dai giacimenti viene bruciato a cielo aperto) hanno devastato l’ecosistema fluviale, distrutto la pesca e reso imbevibile l’acqua. Per quanto riguarda le dighe, l’esempio più lampante è quella dell’Etiopia, dove il governo di Addisd Abeba sta sfrattando migliaia di indigeni dalle loro terre nella valle dell’Omo per la costruzione della mega-diga, che si chiama Gilgel Gibe III, e per la vendita delle terre fertili alle multinazionali.

Secondo lo studio di Archivio Disarmo, i conflitti possono essere generati “anche per l’utilizzo della falde freatiche, che contengono oltre il 90% dell’acqua dolce allo stato liquido a livello mondiale, quando queste si snodano sotto dei confini statali. Queste riserve oggi sono oggetto di uno sfruttamento sempre più intenso nelle zone aride del mondo”. Si fa l’esempio, nel rapporto, del più grande sistema acquifero detto “Arenaria nubiana” che attraversa un’area di oltre due milioni di chilometri quadrati compresi tra Ciad, Egitto, Libia e Sudan. “Esso contiene grandi quantità di acque sotterranee dolci non rinnovabili perché risalenti a migliaia di anni fa durante climi molto più umidi”.


“I principali conflitti e le contese per l'acqua in Africa - prosegue lo studio - hanno inevitabilmente luogo nelle aree dei bacini dei principali fiumi del continente. (…) Di solito al primo stadio della disputa uno dei Paesi beneficiari delle fonti idriche comuni intraprende un’azione unilaterale di sfruttamento con progetti che intervengono sui corsi d'acqua: ciò causa la protesta degli altri Paesi che vedono intaccate le loro risorse idriche e possono far seguire vere e proprie condizioni di ostilità, mentre nell’ultima fase i Paesi in conflitto riprendono i contatti diplomatici e si sforzano di trovare lente e complesse risoluzioni”.
L’esempio più naturale è forse quello del Nilo. Uno dei fiumi più lunghi al mondo ( al secondo posto, dopo il Rio delle Amazzoni), che ha dato la vita all’Egitto con le sue piene periodiche. Eppure il Nilo nasce in Sudan, dall’unione delle acque del Nilo Azzurro e del Nilo Bianco, che a loro volta nascono rispettivamente dal Lago Tana in Etiopia e dal Lago Vittoria, le cui acque attraversano i confini di Kenya, Uganda, Tanzania. Ognuno di questi Paesi ha il diritto sovrano di poter gestire le acque del fiume, costruendo dighe o altri progetti. Ma non sulla carta, in quanto violerebbero gli accordi internazionali sulle acque del Nilo, del tutto favorevoli all’Egitto.


Il primo accordo sulle acque del Nilo è stato firmato nel 1929 da Egitto e Gran Bretagna, che agiva in nome delle sue colonie dell’Africa orientale. È poi stato in parte rinegoziato nel 1959, poco prima dell’inizio dei lavori per la grande diga di Assuan, da Egitto e Sudan ormai indipendenti, dando ai due Stati rispettivamente 55,5 e 18,5 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno. Ma tutti gli altri Paesi non hanno partecipato alla spartizione. E ormai da anni chiedono, in particolare Tanzania e Etiopia, di poter riaprire la partita negoziale per stabilire delle quote più eque di utilizzo delle acque.
 


07 Maggio 2013 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=20724

vendredi, 10 mai 2013

Italia sotto attacco

Italia sotto attacco

Marco della Luna: quinte colonne della finanza internazionale presenti nel governo

Federico Dal Cortivo

Federico Dal Cortivo ha intervistato Marco Della Luna, autore del libro “Traditori al governo? Artefici, complici e strategie della nostra rovina”. L’Italia è oramai da anni sotto attacco, non militare, non ve ne è bisogno essendo la penisola dalla fine della Seconda Guerra Mondiale occupata militarmente dagli Stati Uniti, ma economicamente.Gli obiettivi fin troppo chiari: distruggere completamente il sistema Italia che era fatto anche d’imprese anche a partecipazione statale, lo Stato sociale, le regole del mondo del lavoro, la previdenza pubblica e la sanità, la scuola e l’università dello Stato e infine mettere le mani sul nostro patrimonio economico, colonizzando definitivamente la penisola.
 
Avv. Della Luna lei ha recentemente pubblicato un saggio da titolo eloquente, “Traditori al governo”, nel quale analizza in modo esauriente le dinamiche e i personaggi che hanno portato la nostra nazione al punto in cui si trova oggi dopo l’ultimo governo tecnico di Mario Monti . Quali sono stati a suo avviso i passaggi fondamentali che ci hanno portato alla situazione attuale di grave crisi economica?
Le principali tappe della rovina voluta, e finalizzata a dissolvere il tessuto produttivo del Paese, desertificandolo industrialmente e assoggettandolo alla gestione via centrali bancarie fuori dai suoi confini, onde farne territorio di conquista per capitali stranieri, sono i seguenti:
- la progressiva e totale privatizzazione-divorzio dal Ministero del Tesoro della proprietà e della gestione della Banca d’Italia, con l’affidamento ai mercati speculativi del nostro debito pubblico e del finanziamento dello Stato (operazione avviata con Ciampi e Andreatta negli anni Ottanta);
- l’immediato, conseguente raddoppio del debito pubblico (da 60 a 120% del pil) a causa della moltiplicazione dei tassi, e la creazione di una ricattabilità politica strutturale del Paese da parte della finanza privata;
- la svendita agli amici/complici e ai più ricchi e potenti, stranieri e italiani, delle industrie che facevano capo allo Stato e che erano le più temibili concorrenti per le grandi industrie straniere;
- la privatizzazione, con modalità molto “riservate”, ma col favore di quasi tutto l’arco politico, della Banca d’Italia per mezzo della privatizzazione delle banche di credito pubblico (Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma, Banca Nazionale del Lavoro, Credito Italiano, con le loro quote di proprietà della Banca d’Italia);
- la riforma Draghi-Prodi che nel 1999 ha autorizzato le banche di credito e risparmio alle scommesse speculative in derivati usando i soldi dei risparmiatori e alle cartolarizzazioni di mutui anche fasulli, come i subprime loans americani;
- l’apertura delle frontiere alla concorrenza sleale dei Paesi che producono schiavizzando i lavoratori e bruciando l’ambiente;
- l’adesione a tre successivi sistemi monetari – negli anni Settanta, Ottanta e Novanta – che impedivano gli aggiustamenti fisiologici dei cambi tra le valute dei paesi partecipanti – anche l’Euro non è una moneta, ma il cambio fisso tra le preesistenti monete – con l’effetto di far perdere competitività, industrie e capitali ai paesi meno competitivi in favore di quelli più competitivi, che quindi accumulano crediti verso i primi, fino a dominarli e commissariarli.
Da ultimo, le misure fiscali del governo Monti-Napolitano-ABC, che, tra le altre cose, hanno depresso i consumi,hanno messo in fuga verso l’estero centinaia di miliardi, svuotando il Paese di liquidità; hanno distrutto il 25% del valore del patrimonio immobiliare italiano, paralizzato il mercato immobiliare così che imprese e famiglie non possono più usare gli immobili per ottenere credito, e l’economia è rimasta senza liquidità, con insolvenze che schizzano al 30% e oltre..
 
Nel suo libro lei parla senza mezzi termini di “tradimento”, di quinte colonne che, neppure camuffate, operano all’interno dei governi per agevolare l’opera di conquista economica, che si traduce anche in politica, dell’Italia. Personaggi che devono avere dei requisiti ben precisi a suo avviso, ce ne può parlare?
Ma io nego che siano definibili “traditori”. Sono piuttosto definibili “nemici”, perché fanno gli interessi stranieri contro quelli nazionali, in modo scoperto. Definisco traditori, invece, i dirigenti dell’ex PCI che sono passati al servizio del capitalismo finanziario sregolato e collaborano con esso alla costruzione di una società e di un nuovo ordinamento nazionale e mondiale al servizio di esso, tradendo il loro elettorato. A dirla tutta, però, non ci sono nemici né traditori: l’Italia è un Paese tanto radicalmente mal assortito e tanto irrimediabilmente entropizzato, che l’unica cosa che razionalmente se ne può fare è ciò che quei signori ne stanno facendo, lasciando ai giovani, ai ricercatori, agli imprenditori la possibilità di emigrare verso paesi più funzionanti. Quindi sono assolti, anche moralmente.
 
Ci dica di Mario Monti e dell’altro Mario, quel Draghi che regge la BCE. Ambedue hanno prestato i loro servizi… alla stessa banca d’affari, la Goldman Sachs. A quali poteri, economici e non, rispondono realmente questi figuri? Per il primo si può ipotizzare oggi il reato di Alto Tradimento?
Per quali interessi lavorino è nella loro storia obiettiva… non è un mistero. Ciò vale anche per Romano Prodi, altra carriera con Goldman Sachs: quando non era suo advisor, era al governo e la nominava advisor del governo per le privatizzazioni… pensiamo specialmente a quella della Banca d’Italia… sono tutte storie di vita e lavoro convergenti… dirlo ieri poteva suonare ardito e fantasioso, dirlo oggi suona per contro ovvio. Il reato di alto tradimento, previsto dall’art. 77 del Codice Penale Militare di Pace, presuppone che l’autore del fatto sia un militare; altra ipotesi di questo reato è quella enunciata dall’art. 90 della costituzione, in relazione al solo capo dello Stato. Quindi un civile in generale, e in particolare un premier, può commettere il reato di alto tradimento solo in concorso o con un militare o col capo dello Stato. Altrimenti, a un civile diverso dal capo dello Stato si possono ipotizzare altri reati, di attentato alla Costituzione e all’indipendenza della Repubblica, commessi con la violenza consistita nel sottoporre il Paese e il popolo a gravi sofferenze e minacce economiche per indurlo a modificare il suo ordinamento costituzionale e a cedere la sua sovranità sancita dall’art. 1 della Costituzione.
 
E veniamo al Presidente Giorgio Napolitano, ha favorito la caduta dell’ultimo governo Berlusconi, posto sotto ricatto dalla famosa lettera della BCE ,con la quali si ordinava all’Italia di prendere tutta una serie di misure antisociali per favorire i “mercati”. Che ruolo ha avuto e ha tutt’ora colui che fin dai tempi del PCI aveva ottimi rapporti con gli Stati Uniti e quali sono i suoi legami con i poteri finanziari e massonici?
Dico che non so se e che legami abbia coi poteri finanziari forti e con le massonerie. E direi così anche se li conoscessi. Quando si parla di un presidente della Repubblica, bisogna stare attenti. A meno che si parli da un Paese estero, sotto la protezione di un’altra bandiera. Da dove sono, posso dire che egli si intende di macroeconomia, quindi capiva e capisce ciò che stava e sta avvenendo, e che effetti hanno certe manovre.
 
Per un attimo un passo indietro, certe cose non sono solo di oggi come lei ben saprà. Come giudica i precedenti governi, sia di centrosinistra sia di centrodestra, che nulla hanno fatto per tutelare gli interessi nazionali negli ultimi decenni? Si potrebbe, a suo avviso, far partire la loro “negligenza” (ma meglio starebbe il termine “tradimento” degli interessi nazionali) da quella famosa riunione a bordo del panfilo reale Britannia al largo di Civitavecchia nel giugno 1992?
 
Facendo seguito alla mia prima risposta direi che la partitocrazia italiana, complessivamente, dalla fine degli anni ‘70, lavora per rendere il Paese territorio di conquista per i capitali stranieri, come ho già detto. Ciò ha fatto e sta facendo soprattutto la sinistra sotto la copertura di due concetti, quelli del riformismo e dell’europeismo.
 
E veniamo alla cura proposta dalle teste d’uovo di Bruxelles, del FMI e dalla BCE: pareggio di bilancio, privatizzazioni, tagli alla sanità, alla scuola, alle pensioni, riforma del lavoro ecc. Queste cose dove sono state messe in pratica non hanno certo portato prosperità per i popoli, bensì solo per i cosiddetti mercati, che non sono di certo un entità aliena. Ce ne può parlare?
La parola “riformismo”, di cui tutti si riempiono oggi la bocca, ha avuto, dopo la metà degli anni ‘70, un’inversione di significato: dapprima, dalla seconda rivoluzione industriale, e anche nella Carta Costituzionale del 1948, e ancora nello Statuto dei Lavoratori, “riformismo” significava riforma della proprietà agraria per porre fine allo sfruttamento dei contadini da parte dei latifondisti; significava diritti sindacali, previdenziali e di sciopero per por fine allo sfruttamento degli operai da parte dei grandi imprenditori; significava contrastare le sperequazioni di reddito, diritti e opportunità tra lavoratori e capitale finanziario; significava consapevolezza del crescente strapotere delle corporations e del capitalismo rispetto ai cittadini, ai lavoratori, agli elettori, ai risparmiatori, ai piccoli proprietari, degli invalidi (uno strapotere che oggi è moltiplicato dalla globalizzazione e dal carattere apolide della grande finanza). Era un riformismo per la solidarietà, l’equa distribuzione delle opportunità e del reddito, l’accessibilità al lavoro e alla proprietà privata. Da tutto ciò l’art. 1 con la Repubblica fondata sul lavoro; l’art. 3 con la parità dei cittadini e l’obbligo di rimuovere gli ostacoli anche economici che, di fatto, limitano questa parità; gli artt. 35-40 con la tutela del lavoro; l’art. 41, che vieta l’iniziativa economica che sia contro l’interesse sociale o la sicurezza e dignità umane, stabilendo che la legge possa indirizzarla ai fini collettivi; l’art. 42 che assicura le funzioni sociali della proprietà; l’art. 43 che prevede l’esproprio nel pubblico interesse; etc.; fino all’art. 47, che tutela il risparmio, e non le maxifrodi ai danni dei risparmiatori, e i bonus e le cariche pubbliche in favore di chi le ordisce.
Dalla fine degli anni ‘70, “riformismo” ha preso a significare esattamente l’inverso, ossia la demolizione di tutto quanto sopra al fine, dichiarato, di togliere ogni limitazione alla possibilità di azione e profitto del capitale finanziario, della proprietà privata, della privatizzazione di beni e compiti pubblici, sul presupposto che ciò genererà più ricchezza, più equità, più produzione, più occupazione, più libertà, più stabilità, più razionale allocazione delle risorse. Con i risultati che vediamo: crescente estrazione della ricchezza prodotta dalla società da parte di cartelli e oligopoli multinazionali, anzi soprannazionali. È la linea, come dicevo, della scuola economica di Chicago, del Washington Consensus, della CIA, di Thatcher, Reagan, etc. E dell’europeismo. Ma nonostante questi risultati, i vari Monti, Draghi, Rehn, Merkel e compagnia bella non fanno che ripetere che bisogna continuare sulla via delle riforme, altrimenti non c’è speranza, e se qualcosa non funziona, è appunto perché le riforme non sono state abbastanza risolute e complete. In realtà personaggi come la Merkel non sono tanto ottusi da non capire che il modello è radicalmente sbagliato e devastatore, ma alcuni paesi, Germania in testa, traggono vantaggio da esso in quanto la sua applicazione colpisce in modi diversi quei medesimi Paesi e altri, come l’Italia; e l’effetto di tale diversità è che esso, come già detto, spinge capitali, imprese e lavoratori qualificati a trasferirsi nei Paesi più forti, depauperando i più deboli ed eliminandoli come concorrenti. Se vi prendete qualche minuto e leggete attentamente i suddetti articoli della Costituzione, che regolano la sovranità e i rapporti e valori socio-economici, noterete, forse con stupore, che tutto il percorso di riforme in materia di moneta, finanza, lavoro, Banca d’Italia, sistema monetario europeo (Maastricht), globalizzazioni, privatizzazioni, liberalizzazioni, cartolarizzazioni, finanziarizzazione dell’economia – tutto, dico, è costituzionalmente illegittimo perché va esattamente, intenzionalmente e organicamente contro quelle norme costituzionali e contro lo stesso impianto sociale e valoriale e teleologico della Costituzione, che è appunto teso all’esclusione dell’attività imprenditoriale contraria all’interesse della società e alla realizzazione di una parità anche sostanziale dei cittadini in un quadro di solidarietà e di sicurezza in fatto di lavoro, reddito, servizi, pensioni. E non di “casinò” speculativo che comanda il Paese da piattaforme finanziarie estere attraverso il potere del rating e della manipolazione dei mercati, decidendo irresponsabilmente e insindacabilmente come si debba vivere e morire e governare.

È un disegno eversivo della Costituzione. Illecito. A esso hanno collaborato attivamente quasi tutti i “rappresentanti” del popolo, soprattutto la sinistra parlamentare. Senza farlo capire al popolo, ovviamente. Qui sta il conflitto di interessi vero. L’incompatibilità assoluta con le cariche pubbliche. Quindi i veri e primi incandidabili, ineleggibili, portatori di conflitto di interessi sono proprio i leaders della sinistra, assieme a Monti e Draghi: tra i vivi, Prodi, Bersani, Amato…
 
Lei parla di “ sacrifici senza prospettive e di “ sogno che la crisi finisca”, ma non vede la luce in fondo al tunnel? Eppure Monti e i suoi sodali ci hanno ripetuto fino alla nausea che siamo in ripresa… e che bisogna avere fiducia nei “mercati”. Lei contesta le linee economiche e fiscali imposte all’Italia dai paladini del “libero mercato”. Ci spieghi perché.
L’Italia è vicina alla fine, lo ha detto anche Squinzi il 24 marzo parlando al premier incaricato Bersani. Gli indici sono tutti al peggio, e vengono frequentemente corretti al peggioramento. Non vi è outlook di ripresa. Le migliori risorse del Paese – capitali, imprenditori, cervelli – se ne sono andate o se ne stanno andando. Chi dice che l’Italia stia riprendendosi, o è pazzo o mente. Secondo la tesi adottata dalle istituzioni monetarie, dalla Ue, da quasi tutta la politica che vuole governare, il libero mercato spontaneamente realizzerebbe l’ottimale impiego delle risorse e l’ottimale distribuzione dei redditi, inoltre automaticamente preverrebbe o riassorbirebbe le crisi. I fatti hanno clamorosamente smentito questa tesi. Del resto quella tesi valeva per i mercati dell’economia reale, non per i mercati della speculazione e dell’azzardo della finanza, che sono un’altra cosa.
O meglio, il libero mercato non esiste, perché per essere libero un mercato dovrebbe essere trasparente (cioè con operatori visibili, eleggibili dentro), non dominato da cartelli, non influenzato da asimmetrie informative, etc. etc. I mercati reali sono dominati, cioè manipolati, da cartelli di soggetti che approfittano di enormi asimmetrie informative (anche in fatto di tecnologie), che si mantengono opachi (anche FMI, BCE, Ue, Tesoro Usa, hedge funds, grandi banche…).
E che influenzano, pagandole o ricattandole, le funzioni politiche
 
Nel suo libro non disdegna di toccare la vicenda MPS,l a famosa banca senese da sempre nell’orbita della sinistra, fatti che al momento sembrano essere stati messi a tacere, con una Magistratura tutta impegnata nell’attacco a tutto campo contro Berlusconi. Chi sono i protagonisti principali e perché si è arrivati a questo, e il ruolo del duo Draghi-Monti e del PD di Bersani? Un Bersani che oramai interpreta da tempo, così come tutta la sinistra italiana, il ruolo di “mosca cocchiera dei poteri finanziari antinazionali”.
Volete i protagonisti principali? È una cerchia di nomi che potete individuare ricercando gli amministratori e i beneficiari effettivi di società derivate, di controllo, di gestione, cessionarie di rami di aziende, sicav, siv, stichtingen,… società che ricevono strani e grandi prestiti da banche in condizioni sospette… andate a consultare il Cerved, farete molte interessanti scoperte. E, per i bilanci, guardate in Cebi…Draghi ha prestato in segreto 2 miliardi a MPS già in crisi di liquidità a seguito non solo dell’acquisto di Antonveneta per un multiplo del suo dubbio valore, ma anche per una storia precedente di molti mutui concessi a soggetti che si sapeva non avrebbero pagato, e per le storie Myway e 4you, e per l’acquisizione della Banca del Salento (121)… e Monti presta 4 miliardi pubblici a MPS che in banca ne capitalizza 2,7.
Bisogna salvare MPS, l’ho detto dal mio primo articolo su di esso, del 29.06.11, ma salviamola per farne una banca nazionale di finanziamento all’economia produttiva, non solo per proteggere interessi privati o di uomini politici.
 
Avv. Della Luna i rimedi esistono per uscire da questa situazione, il mercato non è il destino dell’uomo, come non lo sono le banche, le vie alternative al capitalismo esistono, mancano oggi probabilmente gli uomini in grado d’applicarle in Italia e in Europa. Altrove i popoli hanno intrapreso una marcia diversa, e buona parte dell’America Latina ne è un esempio, questo a pochi giorni dalla morte del Presidente della repubblica Bolivariana del Venezuela Chávez, che certamente ha tracciato una via chiara di socialismo del XXI Secolo. Lei che misure adotterebbe per uscire da questo giro infernale usuraio in cui siamo precipitati?
Dalle situazioni non si esce per applicazione razionale e intenzionale di rimedi condivisi, ma perché una situazione si rompe e si cade in un’altra situazione. Non è questione di uomini. Anche il capitalismo finanziario assoluto si romperà, e io mi aspetto che ciò avvenga sia perché il tipo di mondo che esso costruisce per massimizzare la propria efficienza è incompatibile con la vita umana (troppa incertezza, violenza, mutevolezza), sia per effetto della incontrollabile accelerazione e autonomizzazione dei processi informatizzati attraverso cui si realizza lo high frequency computerized algotrading – una rete cibernetica capace di imparare e, in prospettiva, di sfuggire di mano.
 
www.europeanphoenix.com


30 Marzo 2013 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=20032

Première ligne

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The Ties That Bind Washington to Chechen Terrorists

Wayne MADSEN:

Ex: Strategic-Culture.org

The Ties That Bind Washington to Chechen Terrorists

To scan the list of major American supporters of the Chechen secessionist movement, which at some points can hardly be distinguished from Chechen terrorists financed by U.S. allies Saudi Arabia and Qatar, is to be reminded of some of the most notorious U.S. Cold War players.

Evidence is mounting that the accused dead Boston Marathon bomber Tamerlan Tsarnaev, allegedly killed during an April 19 shootout with police in Watertown, Massachusetts, became a «radicalized» Muslim while participating in a covert CIA program, run through the Republic of Georgia, to destabilize Russia's North Caucasus region… The ultimate goal of the CIA's campaign was for the Muslim inhabitants of the region to declare independence from Moscow and tilt toward the U.S. Wahhabi Muslim-run governments of Saudi Arabia and Qatar.

The Western corporate media largely ignored an important story reported from Izvestia in Moscow: that Tamerlan Tsarnaev attended seminars run by the Caucasus Fund of Georgia, a group affiliated with the neo-conservative think tank, the Jamestown Foundation, between January and July 2012. The U.S. media reported that during this six month time frame, Tsarnaev was being radicalized by Dagestan radical imam «Abu Dudzhan», killed in a fight with Russian security forces in 2012. Tsarnaev also visited Dagestan in 2011. 

However, in documents leaked from the Georgian Ministry of Internal Affairs' Counterintelligence Department, Tsarnaev is pinpointed as being in Tbilisi taking part in «seminars» organized by the Caucasus Fund, founded during the Georgian-South Ossetian war of 2008, a war started when Georgian troops invaded the pro-Russian Republic of South Ossetia during the Beijing Olympics. Georgia was supported militarily and with intelligence support by the United States and Israel, and the American support included U.S. Special Forces advisers on the ground in Georgia. The Georgian intelligence documents indicate Tsarnaev attended the Jamestown Foundation seminars in Tbilisi.

The Jamestown Foundation is part of a neo-conservative network that re-branded itself after the Cold War from being anti-Soviet and anti-Communist to one that is anti-Russian and “pro-democracy.” The network not only consists of Jamestown and the Caucasus Fund but also other groups funded by the U.S. Agency for International Development (USAID) and George Soros’ Open Society Institute (OSI).

Georgia has become a nexus for the U.S. aid to the Russian opposition trying to oust President Vladimir Putin and his supporters from power. In March [2010], Georgia sponsored, with CIA, Soros, and British MI-6 funds, a conference titled 'Hidden Nations, Enduring Crimes: The Circassians and the People of the North Caucasus Between Past and Future.' Georgia and its CIA, Soros, and British intelligence allies are funneling cash and other support for secessionism by ethnic minorities in Russia, including Circassians, Chechens, Ingushetians, Balkars, Kabardins, Abaza, Tatars, Talysh, and Kumyks».

The March 21, 2010 conference in Tbilisi was organized by the Jamestown Foundation and the International School of Caucasus Studies at Ilia State University in Georgia. If Georgian counter-intelligence documents have Tamerlan Tsarnaev attending Jamestown conferences in Tbilisi in 2011, could the Russian FSB have tracked him to the Jamestown Hidden Nations seminar in March 2010? In any event, a year later the FSB decided to contact the FBI about Tsarnaev's ties to terrorists.

The first Russian request to the FBI came via the FBI's Legal Attache's office at the U.S. embassy in Moscow in March 2011. It took the FBI until June of 2011 to conclude that Tamerlan posed no terrorist threat but it did add his name to the Treasury Enforcement Communications System, or TECS, which monitors financial information such as bank accounts held abroad and wire transfers. In September 2011, Russian authorities, once again, alerted the U.S. of their suspicions about Tamerlan. The second alert went to the CIA. By September 2011, Russian security agencies were well aware that the Hidden Nations seminar held a year earlier was a CIA-sponsored event that was supported by the Mikheil Saakashvili government in Georgia and that other similar meetings had been held and were planned, including the one that Tamerlan Tsarnaev was to attend in Tbilisi in January 2012. 

At some point in time after the first Russian alert and either before or after the second, the CIA entered Tamerlan's name into the Terrorist Identities Datamart Environment list (TIDE), a database with more than 750,000 entries that is maintained by the National Counterterrorism Center in McLean, Virginia.

The Jamestown Foundation is a long-standing front operation for the CIA, it being founded, in part, by CIA director William Casey in 1984. The organization was used as an employer for high-ranking Soviet bloc defectors, including the Soviet Undersecretary General of the UN Arkady Shevchenko and Romanian intelligence official Ion Pacepa. The Russian domestic Federal Security Bureau and the SVR foreign intelligence agency have long suspected Jamestown of helping to foment rebellions in Chechnya, Ingushetia, and other north Caucasus republics. The March 21 Tbilisi conference on the north Caucasus a few days before the Moscow train bombings has obviously added to the suspicions of the FSB and SVR. 

Jamestown's board includes such Cold War era individuals as Marcia Carlucci; wife of Frank Carlucci, the former CIA officer, Secretary of Defense, and Chairman of The Carlyle Group [Frank Carlucci was also one of those who requested the U.S. government to allow former Chechen Republic 'Foreign Minister' Ilyas Akhmadov, accused by the Russians of terrorist ties, to be granted political asylum in the U.S. after a veto from the Homeland Security and Justice Departments], anti-Communist book and magazine publisher Alfred Regnery; and Caspar Weinberger's Deputy Assistant Secretary of Defense for Public Affairs Kathleen Troia «KT» McFarland. Also on the board is former Oklahoma GOP Governor Frank Keating, the governor at the time of the 1995 Murrah Federal Building bombing.

Cooperating with Jamestown in not only its north and south Caucasus information operations, but also in Moldovan, Belarusian, Uighur, and Uzbekistan affairs, is George Soros's ubiquitous Open Society Institute, another cipher for U.S. intelligence and global banking interests. Soros's Central Eurasia Project has sponsored a number of panels and seminars with Jamestown.

Russian security indicated in their first communication with the FBI that Tamerlan Tsarnaev had changed drastically since 2010. That change came after the Hidden Nations conference in Tbilisi. U.S. support for Chechen and North Caucasus secession came as a result of a public statement on August 2008 by GOP presidential candidate John McCain that «after Russia illegally recognized the independence of South Ossetia and Abkhazia, Western countries ought to think about the independence of the North Caucasus and Chechnya».

Upon becoming President in 2009, Barack Obama adopted McCain's proposal and authorized CIA support for North Caucasus secessionists and terrorists with money laundered through the USAID, the National Endowment for Democracy, Soros's Open Society Institute, Freedom House, and the Jamestown Foundation. In January 2012, Obama appointed a Soros activist and neocon, Michael McFaul of the right-wing Hoover Institution at Stanford University, as U.S. ambassador to Moscow. McFaul immediately threw open the doors of the U.S. embassy to a variety of Russian dissidents, including secessionists from the North Caucasus, some of whom were suspected by the Russian FSB of ties to Islamist terrorists.

Whether Tamerlan Tsarnaev was always a CIA asset and participated in a “false flag” operation in Boston and became an unwitting “patsy” in a CIA plot, much like “U.S. Marine “defector” to the Soviet Union Lee Harvey Oswald became a “patsy” in President Kennedy’s assassination, or he was indeed radicalized in an attempt to infiltrate him into the ranks of the Caucasus Emirate and decided to defect and carry out a terrorist attack against the United States may never be known. If the latter is the case, Tsarnaev is much like Osama Bin Laden, once a CIA fighter in the field in Afghanistan who allegedly decided to launch a jihad against the United States. If Tsarnaev was a “patsy” like Oswald, that might explain the setting off of an incendiary device at the John F. Kennedy Library in Boston ten minutes after the twin bombings at the Boston Marathon. After Boston Police stated the fire was caused by an explosion, the Boston Fire Department went into cover-up mode and tried to claim the fire could have been caused by someone tossing a cigarette on to flammable material.




Republishing is welcomed with reference to Strategic Culture Foundation on-line journal www.strategic-culture.org.

Le Qatar, champion du mensonge et de la dissimulation

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Le Qatar, champion du mensonge et de la dissimulation

Majed Nehmé
 
Ex: http://www.legrandsoir.info/
 

AFRIQUE-ASIE : Sans sponsors et en toute indépendance, à contre-courant des livres de commande publiés récemment en France sur le Qatar, Nicolas Beau et Jacques-Marie Bourget* ont enquêté sur ce minuscule État tribal, obscurantiste et richissime qui, à coup de millions de dollars et de fausses promesses de démocratie, veut jouer dans la cour des grands en imposant partout dans le monde sa lecture intégriste du Coran. Un travail rigoureux et passionnant sur cette dictature molle, dont nous parle Jacques-Marie Bourget.

Écrivain et ancien grand reporter dans les plus grands titres de la presse française, Jacques-Marie Bourget a couvert de nombreuses guerres : le Vietnam, le Liban, le Salvador, la guerre du Golfe, la Serbie et le Kosovo, la Palestine… C’est à Ramallah qu’une balle israélienne le blessera grièvement. Grand connaisseur du monde arabe et des milieux occultes, il publiait en septembre dernier avec le photographe Marc Simon, Sabra et Chatila, au cœur du massacre (Éditions Érick Bonnier, voir Afrique Asie d’octobre 2012)

Nicolas Beau a longtemps été journaliste d’investigation à Libération, au Monde et au Canard Enchainé avant de fonder et diriger le site d’information satirique français, Bakchich. info. Il a notamment écrit des livres d’enquêtes sur le Maroc et la Tunisie et sur Bernard-Henri Lévy.

Qu’est-ce qui vous a amenés à consacrer un livre au Qatar ?

Le hasard puis la nécessité. J’ai plusieurs fois visité ce pays et en suis revenu frappé par la vacuité qui se dégage à Doha. L’on y a l’impression de séjourner dans un pays virtuel, une sorte de console vidéo planétaire. Il devenait intéressant de comprendre comment un État aussi minuscule et artificiel pouvait prendre, grâce aux dollars et à la religion, une telle place dans l’histoire que nous vivons. D’autre part, à l’autre bout de la chaîne, l’enquête dans les banlieues françaises faite par mon coauteur Nicolas Beau nous a immédiatement convaincus qu’il y avait une stratégie de la part du Qatar enfin de maîtriser l’islam aussi bien en France que dans tout le Moyen-Orient et en Afrique. D’imposer sa lecture du Coran qui est le wahhabisme, donc d’essence salafiste, une interprétation intégriste des écrits du Prophète. Cette sous-traitance de l’enseignement religieux des musulmans de France à des imams adoubés par le Qatar nous a semblé incompatible avec l’idée et les principes de la République. Imaginez que le Vatican, devenant soudain producteur de gaz, profite de ses milliards pour figer le monde catholique dans les idées intégristes de Monseigneur Lefebvre, celles des groupuscules intégristes qui manifestent violement en France contre le « mariage pour tous ». Notre société deviendrait invivable, l’obscurantisme et l’intégrisme sont les meilleurs ennemis de la liberté.

Sur ce petit pays, nous sommes d’abord partis pour publier un dossier dans un magazine. Mais nous avons vite changé de format pour passer à celui du livre. Le paradoxe du Qatar, qui prêche la démocratie sans en appliquer une seule once pour son propre compte, nous a crevé les yeux. Notre livre sera certainement qualifié de pamphlet animé par la mauvaise foi, de Qatar bashing… C’est faux. Dans cette entreprise nous n’avons, nous, ni commande, ni amis ou sponsors à satisfaire. Pour mener à bien ce travail, il suffisait de savoir lire et observer. Pour voir le Qatar tel qu’il est : un micro-empire tenu par un potentat, une dictature avec le sourire aux lèvres.

Depuis quelques années, ce petit émirat gazier et pétrolier insignifiant géopolitiquement est devenu, du moins médiatiquement, un acteur politique voulant jouer dans la cour des grands et influer sur le cours de l’Histoire dans le monde musulman. Est-ce la folie des grandeurs ? Où le Qatar sert-il un projet qui le dépasse ?

Il existe une folie des grandeurs. Elle est encouragée par des conseillers et flagorneurs qui ont réussi à convaincre l’émir qu’il est à la fois un tsar et un commandeur des croyants. Mais c’est marginal. L’autre vérité est qu’il faut, par peur de son puissant voisin et ennemi saoudien, que la grenouille se gonfle. Faute d’occuper des centaines de milliers de kilomètres carrés dans le Golfe, le Qatar occupe ailleurs une surface politico-médiatique, un empire en papier. Doha estime que cette expansion est un moyen de protection et de survie.

Enfin il y a la religion. Un profond rêve messianique pousse Doha vers la conquête des âmes et des territoires. Ici, on peut reprendre la comparaison avec le minuscule Vatican, celui du xixe siècle qui envoyait ses missionnaires sur tous les continents. L’émir est convaincu qu’il peut nourrir et faire fructifier une renaissance de la oumma, la communauté des croyants. Cette stratégie a son revers, celui d’un possible crash, l’ambition emportant les rêves du Qatar bien trop loin de la réalité. N’oublions pas aussi que Doha occupe une place vide, celle libérée un temps par l’Arabie Saoudite impliquée dans les attentats du 11-Septembre et contrainte de se faire plus discrète en matière de djihad et de wahhabisme. Le scandaleux passe-droit dont a bénéficié le Qatar pour adhérer à la Francophonie participe à cet objectif de « wahhabisation » : en Afrique, sponsoriser les institutions qui enseignent la langue française permet de les transformer en écoles islamiques, Voltaire et Hugo étant remplacés par le Coran.

Cette mégalomanie peut-elle se retourner contre l’émir actuel ? Surtout si l’on regarde la brève histoire de cet émirat, créé en 1970 par les Britanniques, rythmée par des coups d’État et des révolutions de palais.

La mégalomanie et l’ambition de l’émir Al-Thani sont, c’est vrai, discrètement critiquées par de « vieux amis » du Qatar. Certains, avançant que le souverain est un roi malade, poussent la montée vers le trône de son fils désigné comme héritier, le prince Tamim. Une fois au pouvoir, le nouveau maître réduirait la voilure, notamment dans le soutien accordé par Doha aux djihadistes, comme c’est le cas en Libye, au Mali et en Syrie. Cette option est même bien vue par des diplomates américains inquiets de cette nouvelle radicalité islamiste dans le monde. Alors, faut-il le rappeler, le Qatar est d’abord un instrument de la politique de Washington avec lequel il est lié par un pacte d’acier.

Cela dit, promouvoir Tamim n’est pas simple puisque l’émir, qui a débarqué son propre père par un coup d’État en 1995, n’a pas annoncé sa retraite. Par ailleurs le premier ministre Jassim, cousin de l’émir, le tout-puissant et richissime « HBJ », n’a pas l’intention de laisser un pouce de son pouvoir. Mieux : en cas de nécessité, les États-Unis sont prêts à sacrifier et l’émir et son fils pour mettre en place un « HBJ » dévoué corps et âme à Washington et à Israël. En dépit de l’opulence affichée, l’émirat n’est pas si stable qu’il y paraît. Sur le plan économique, le Qatar est endetté à des taux « européens » et l’exploitation de gaz de schiste est en rude concurrence, à commencer aux États-Unis.

La présence de la plus grande base américaine en dehors des États-Unis sur le sol qatari peut-elle être considérée comme un contrat d’assurance pour la survie du régime ou au contraire comme une épée de Damoclès fatale à plus ou moins brève échéance ?

La présence de l’immense base Al-Udaï est, dans l’immédiat, une assurance vie pour Doha. L’Amérique a ici un lieu idéal pour surveiller, protéger ou attaquer à son gré dans la région. Protéger l’Arabie Saoudite et Israël, attaquer l’Iran. La Mecque a connu ses révoltes, la dernière réprimée par le capitaine Barril et la logistique française. Mais Doha pourrait connaître à son tour une révolte conduite par des fous d’Allah mécontents de la présence du « grand Satan » en terre wahhabite.

Ce régime, moderne d’apparence, est en réalité fondamentalement tribal et obscurantiste. Pourquoi si peu d’informations sur sa vraie nature ?

Au risque de radoter, il faut que le public sache enfin que le Qatar est le champion du monde du double standard : celui du mensonge et de la dissimulation comme philosophie politique. Par exemple, des avions partent de Doha pour bombarder les taliban en Afghanistan alors que ces mêmes guerriers religieux ont un bureau de coordination installé à Doha, à quelques kilomètres de la base d’où décollent les chasseurs partis pour les tuer. Il en va ainsi dans tous les domaines, et c’est le cas de la politique intérieure de ce petit pays.

Regardons ce qui se passe dans ce coin de désert. Les libertés y sont absentes, on y pratique les châtiments corporels, la lettre de cachet, c’est-à-dire l’incarcération sans motif, est une pratique courante. Le vote n’existe que pour nommer une partie des conseillers municipaux, à ceci près que les associations et partis politiques sont interdits, tout comme la presse indépendante… Une Constitution qui a été élaborée par l’émir et son clan n’est même pas appliquée dans tous ses articles. Le million et demi de travailleurs étrangers engagés au Qatar s’échinent sous le régime de ce que des associations des droits de l’homme qualifient « d’esclavage ». Ces malheureux, privés de leurs passeports et payés une misère, survivent dans les camps détestables sans avoir le droit de quitter le pays. Nombre d’entre eux, accrochés au béton des tours qu’ils construisent, meurent d’accidents cardiaques ou de chutes (plusieurs centaines de victimes par an).

La « justice », à Doha, est directement rendue au palais de l’émir, par l’intermédiaire de juges qui le plus souvent sont des magistrats mercenaires venus du Soudan. Ce sont eux qui ont condamné le poète Al-Ajami à la prison à perpétuité parce qu’il a publié sur Internet une plaisanterie sur Al-Thani ! Observons une indignation à deux vitesses : parce que cet homme de plume n’est pas Soljenitsyne, personne n’a songé à défiler dans Paris pour défendre ce martyr de la liberté. Une anecdote : cette année, parce que son enseignement n’était pas « islamique », un lycée français de Doha a tout simplement été retiré de la liste des institutions gérées par Paris.

Arrêtons là car la situation du droit au Qatar est un attentat permanent aux libertés.

Pourtant, et l’on retombe sur le fameux paradoxe, Doha n’hésite pas, hors de son territoire, à prêcher la démocratie. Mieux, chaque année un forum se tient sur ce thème dans la capitale. Son titre, « New or restaured democracy » alors qu’au Qatar il n’existe de démocratie ni « new » ni « restaured »… Selon le classement de The Economist, justement en matière de démocratie, le Qatar est 136e sur 157e États, classé derrière le Bélarusse. Bizarrement, alors que toutes les bonnes âmes fuient le dictateur moustachu Loukachenko, personne n’éprouve honte ou colère à serrer la main d’Al-Thani. Et le Qatar, qui est aussi un enfer, n’empêche pas de grands défenseurs des droits de l’homme, notamment français, de venir bronzer, invités par Doha, de Ségolène Royal à Najat Vallaud-Belkacem, de Dominique de Villepin à Bertrand Delanoë.

Comment un pays qui est par essence antidémocratique se présente-t-il comme le promoteur des printemps arabes et de la liberté d’expression ?

Au regard des « printemps arabes », où le Qatar joue un rôle essentiel, il faut observer deux phases. Dans un premier temps, Doha hurle avec les peuples justement révoltés. On parle alors de « démocratie et de liberté ». Les dictateurs mis à terre, le relais est pris par les Frères musulmans, qui sont les vrais alliés de Doha. Et on oublie les slogans d’hier. Comme on le dit dans les grandes surfaces, « liberté et démocratie » n’étaient que des produits d’appel, rien que de la « com ».

Si l’implication du Qatar dans les « printemps » est apparue comme une surprise, c’est que la stratégie de Doha a été discrète. Depuis des années l’émirat entretient des relations très étroites avec des militants islamistes pourchassés par les potentats arabes, mais aussi avec des groupes de jeunes blogueurs et internautes auxquels il a offert des stages de « révolte par le Net ». La politique de l’émir était un fusil à deux coups. D’abord on a envoyé au « front » la jeunesse avec son Facebook et ses blogueurs, mains nues face aux fusils des policiers et militaires. Ceux-ci défaits, le terrain déblayé, l’heure est venue de mettre en poste ces islamistes tenus bien au chaud en réserve, héros sacralisés, magnifiés en sagas par Al-Jazeera.

Comment expliquez-vous l’implication directe du Qatar d’abord en Tunisie et en Libye, et actuellement en Égypte, dans le Sahel et en Syrie ?

En Libye, nous le montrons dans notre livre, l’objectif était à la fois de restaurer le royaume islamiste d’Idriss tout essayant de prendre le contrôle de 165 milliards, le montant des économies dissimulées par Kadhafi. Dans le cas de la Tunisie et de l’Égypte, il s’agit de l’application d’une stratégie froide du type « redessinons le Moyen-Orient », digne des « néocons » américains. Mais, une fois encore, ce n’est pas le seul Qatar qui a fait tomber Ben Ali et Moubarak ; leur chute a d’abord été le résultat de leur corruption et de leur politique tyrannique et aveugle.

Au Sahel, les missionnaires qataris sont en place depuis cinq ans. Réseaux de mosquées, application habile de la zaqat, la charité selon l’islam, le Qatar s’est taillé, du Niger au Sénégal, un territoire d’obligés suspendus aux mamelles dorées de Doha. Plus que cela, dans ce Niger comme dans d’autres pays pauvres de la planète le Qatar a acheté des centaines de milliers d’hectares transformant ainsi des malheureux affamés en « paysans sans terre ». À la fin de 2012, quand les djihadistes ont pris le contrôle du Nord-Mali, on a noté que des membres du Croissant-Rouge qatari sont alors venus à Gao prêter une main charitable aux terribles assassins du Mujao…

La Syrie n’est qu’une extension du domaine de la lutte avec, en plus, une surenchère : se montrer à la hauteur de la concurrence de l’ennemi saoudien dans son aide au djihad. Ici, on a du mal à lire clairement le dessein politique des deux meilleurs amis du Qatar, les États-Unis et Israël, puisque Doha semble jouer avec le feu de l’islamisme radical…

Le Fatah accuse le Qatar de semer la zizanie et la division entre les Palestiniens en soutenant à fond le Hamas, qui appartient à la nébuleuse des Frères musulmans. Pour beaucoup d’observateurs, cette stratégie ne profite qu’à Israël. Partagez-vous cette analyse ?

Quand on veut évoquer la politique du Qatar face aux Palestiniens, il faut s’en tenir à des images. Tzipi Livni, qui fut avec Ehud Barak la cheville ouvrière, en 2009, de l’opération Plomb durci sur Gaza – 1 500 morts – fait régulièrement ses courses dans les malls de Doha. Elle profite du voyage pour dire un petit bonjour à l’émir. Un souverain qui, lors d’une visite discrète, s’est rendu à Jérusalem pour y visiter la dame Livni… Souvenons-nous du pacte signé d’un côté par HBJ et le souverain Al-Thani et de l’autre les États-Unis : la priorité est d’assister la politique d’Israël. Quand le « roi » de Doha débarque à Gaza en promettant des millions, c’est un moyen d’enferrer le Hamas dans le clan des Frères musulmans pour mieux casser l’unité palestinienne. C’est une politique pitoyable. Désormais, Mechaal, réélu patron du Hamas, vit à Doha dans le creux de la main de l’émir. Le rêve de ce dernier – le Hamas ayant abandonné toute idée de lutte – est de placer Mechaal à la tête d’une Palestine qui se situerait en Jordanie, le roi Abdallah étant déboulonné. Israël pourrait alors s’étendre en Cisjordanie. Intéressante politique-fiction.

Le Qatar a-t-il « acheté » l’organisation de la Coupe du monde football en 2022 ?

Un grand et très vieil ami du Qatar m’a dit : « Le drame avec eux, c’est qu’ils s’arrangent toujours pour que l’on dise “cette fois encore, ils ont payé !” » Bien sûr, il y a des soupçons. Remarquons que les fédérations sportives sont si sensibles à la corruption que, avec de l’argent, acheter une compétition est possible. On a connu cela avec des jeux Olympiques étrangement attribués à des outsiders…

Dans le conflit frontalier entre le Qatar et le Bahreïn, vous révélez que l’un des juges de la Cour internationale de justice de La Haye aurait été acheté par le Qatar. L’affaire peut-elle être rejugée à la lumière de ces révélations ?

Un livre – sérieux celui-là – récemment publié sur le Qatar évoque une manipulation possible lors du jugement arbitral qui a tranché le conflit frontalier entre le Qatar et Bahreïn. Les enjeux sont énormes puisque, sous la mer et les îlots, se trouve du gaz. Un expert m’a déclaré que cette révélation pouvait être utilisée pour rouvrir le dossier devant la Cour de La Haye…

Les liaisons dangereuses et troubles entre la France de Sarkozy et le Qatar se poursuivent avec la France de Hollande. Comment expliquez-vous cette continuité ?

Parler du Qatar, c’est parler de Sarkozy, et inversement. De 2007 à 2012, les diplomates et espions français en sont témoins, c’est l’émir qui a réglé la « politique arabe » de la France. Il est amusant de savoir aujourd’hui que Bachar al-Assad a été l’homme qui a introduit la « sarkozie » auprès de celui qui était alors son meilleur ami, l’émir du Qatar. Il n’y a pas de bonne comédie sans traîtres. Kadhafi était, lui aussi, un grand ami d’Al-Thani et c’est l’émir qui a facilité l’amusant séjour du colonel et de sa tente à Paris. Sans évoquer les affaires incidentes, comme l’épopée de la libération des infirmières bulgares. La relation entre le Qatar et Sarkozy a toujours été sous-tendue par des perspectives financières. Aujourd’hui Doha promet d’investir 500 millions de dollars dans le fonds d’investissement que doit lancer l’ancien président français à Londres. Échange de bons procédés, ce dernier fait de la propagande ou de la médiation dans les aventures, notamment sportives, du Qatar.

François Hollande, par rapport au Qatar, s’est transformé en balancier. Un jour le Qatar est « un partenaire indispensable », qui a sauvé dans son fief de Tulle la fabrique de maroquinerie le Tanneur, le lendemain, il faut prendre garde de ses amis du djihad. Aucune politique n’est fermement dessinée et les diplomates du Quai-d’Orsay, nommés sous Sarkozy, continuent de jouer le jeu d’un Doha qui doit rester l’ami numéro 1. En période de crise, les milliards miroitants d’Al-Thani impliquent aussi une forme d’amitié au nom d’un slogan faux et ridicule qui veut que le Qatar « peut sauver l’économie française »… La réalité est plus plate : tous les investissements industriels de Doha en France sont des échecs… Reste le placement dans la pierre, vieux bas de laine de toutes les richesses. Notons là encore un pathétique grand écart : François Hollande a envoyé son ministre de la Défense faire la quête à Doha afin de compenser le coût de l’opération militaire française au Mali, conduite contre des djihadistes très bien vus par l’émir.

Majed Nehmé

http://www.afrique-asie.fr/menu/actualite/70-points-chauds/5510-le-qat...

* Le Vilain Petit Qatar – Cet ami qui nous veut du mal, Jacques-Marie Bourget et Nicolas Beau, Éd. Fayard, 300 p., 19 euros

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jeudi, 09 mai 2013

Stealing Syria’s Oil: The EU Al-Qaeda Oil Consortium

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Stealing Syria’s Oil: The EU Al-Qaeda Oil Consortium

Global Research

The decision of the European Union to lift the embargo on Syrian government’s energy exports by importing oil from the ‘armed opposition’ is another flagrant violation of international law. It violates the UN General Assembly declaration of 1962 on Permanent Sovereignty over Natural Resources and is yet another violation of the 1981 UN declaration on the Inadmissibility of Intervention and Interference in the Internal Affairs of States. But it is much more than a technical violation of the law. It marks the decent of civilization into barbarism.

London and Paris, have more than Washington, been at the forefront of aggression against Syria. In spite of the fact that it has now been confirmed by most media sources that the Syrian ‘opposition’ is Al-Qaeda, London and Paris persist  in their insane drive to arm the terrorists, using the spurious argument that if they don’t arm the ‘moderates’ the ‘extremists’ will take over the country. However, in the words of the New York Times, ‘nowhere in rebel-controlled Syria is there a secular fighting force to speak of’. [1] The fact that the Syrian ‘rebels’ are in fact Al- Qaeda has even  been admitted by the war-mongering French daily  Le Monde.[2]

So, Paris and London are pushing for further arming of Al-Qaeda and the legalization of oil trading with the jihadi terrorists. In plain language this means that the loose, terrorist network known to the world as Al-Qaeda will soon become one of the EU’s partners in the oil business. A new absurd chapter in the Era of Terror is about to be enacted.

International law and its violators.

The 1962 UN Resolution 1803 on the Permanent Sovereignty Over Natural Resources states:

‘Violation of the rights of peoples and nations to sovereignty over their natural wealth and resources is contrary to the spirit and principles of the Charter of the United Nations and hinders the development of international co-operation and the maintenance of peace’[3]

Japhat Al-Nusra and other Al-Qaeda affiliated groups do not in any way represent the Syrian people, nor do they constitute a sovereign state according to the categories of international law.  The ‘armed opposition’ IS Al-Qaeda. Therefore, the European Union’s decision to officially buy oil from terrorist gangs currently occupying territories in the Syrian Arab Republic constitutes a heinous crime and makes a further mockery of the basic principles governing the relations between states.

The 1981 UN document explicitly condemns:

‘the increasing threat to international peace and security owing to frequent recourse to the threat or use of force, aggression ,intimidation, military intervention and occupation, escalation of military presence and all other forms of intervention or interference, direct or indirect, overt or covert, threatening the sovereignty and political independence of other States, with the aim of overthrowing their Governments’,

The declaration goes on to categorically condemn the deployment of ‘armed bands’ and ‘mercenaries’ by states for the use of overthrowing the governments of other sovereign states:

‘Conscious of the fact that such policies endanger the political independence of States, freedom of peoples and permanent sovereignty over their natural resources, adversely affecting thereby the maintenance of international peace and security,

Conscious also of the imperative need for any threat of aggression, any recruitment, any use of armed bands, in particular mercenaries, against sovereign States to be completely ended, so as to enable the peoples of all States to determine their own political, economic and social systems without external interference or control’ [4]

Western governments, who for many years have been openly and shamelessly violating all known and agreed principles of international law, arming terrorist gangs who murder and maim civilians, funding common criminals who traffic drugs and recruit child-soldiers, have now descended to a new low by purchasing oil and gas from these same terrorist gangs, natural resources which are legally the property of the Syrian Arab Republic and its citizens.

EU governments colluding with terrorists

Europe’s descent into absolute moral turpitude and lawlessness is further reflected in the fact that EU authorities are doing nothing to prevent brainwashed Muslim youths from traveling to Syria in order to fight NATO’s war. Yet, the officials of EU states readily admit that hundreds if not thousands of jihadis from Britain, Ireland, Spain, Germany, Belgium, the Netherlands and other states are now joining the ranks of the so-called ‘Syrian rebels’.  But they also admit that their only concern is that these terrorists might be a threat to European security if they ever return. The fact that these terrorists are putting bombs in busy market squares; cars; universities; schools; hospitals and mosques throughout Syria, and that US State Department’s own reports confirm this, doesn’t seem to bother the EU’s governments. Their only concern is that they might eventually bite the hand that feeds. [5] The EU ‘anti-terror’ chief Gilles de Kerchove tells the BBC:

“Not all of them are radical when they leave, but most likely many of them will be radicalized there, will be trained

“And as we’ve seen this might lead to a serious threat when they get back.”[6]

We know from Israeli intelligence sources that most of the terrorists are being trained in US/NATO military bases in Turkey and Jordon.[7]

So, why doesn’t the EU’s ‘anti-terror’ chief seem to know about this? This is the man responsible for protecting Europe from terrorism?  As I reported before, France’s ‘anti-terror’ magistrate actually admitted on French state radio in January 11th  that the French government was on the same side as Al-Qaeda in Syria:

“There are many young jihadists who have gone to the Turkish border in order to enter Syria to fight Bachar’s regime, but the only difference is that there France is not the enemy. Therefore we don’t look on that in the same way. To see young men who are at the moment fighting Bachar Al-Assad, they will be perhaps dangerous in the future but for the moment they are fighting Bachar Al-Assad and France is on their side; they will not attack us’’.[8]

The cynical double standard which states that all territories outside the EU are barbaric and therefore outside the realm of international law has now become a policy that goes unnoticed by Europe’s brainwashed masses.  Euro-Atlantic powers are not only behaving like criminals but are now openly displaying their criminality.  One should also note that the French government has now decided to call the Syrian president by his first name. Calling a state official by his first name is a sign of deep disrespect in French etiquette. Since the Sarkozy regime, French diplomacy has been dragged through the mud, with France’s diplomatic corps now behaving like a cross between spoilt brats and fascist thugs.

Syria’s Oil Geopolitics

The quest for sources of cheap energy is one of the geopolitical contexts driving the war in Syria. Christof Lehmann has written that the discovery of the Iranian Pars gas field in 2007 and Teheran’s plan to pipe the gas to the Eastern Mediterranean by constructing a pipeline through Iraq and Syria holds the potential of turning Iran into a global economic power, giving Teheran enormous leverage over the EU’s Middle East policy. This development would pose a threat to the Zionist entity. It would pose an existential threat to the despotic emirates of the Gulf, who depend on the power of the petro-dollar for their survival.[9]

That is one of the reasons why NATO and the Gulf Cooperation Council are using Al-Qaeda terrorists to break the Shite-led alliance of Iran, Iraq, Syria and Lebanon’s Hezbollah. As Italian geographer Manlio Dinucci has reported, contrary to received opinion, Syria actually has massive energy reserves.

Dinucci writes:

‘The U.S. / NATO strategy focuses on helping rebels to seize the oil fields with a twofold purpose: to deprive the Syrian state of revenue from exports, already strongly decreased as a result of the EU embargo, and to ensure that the largest deposits pass in the future, through the “rebels” under the control of the big Western oil companies. [10]

The first implementation of the ‘humanitarian intervention’ ideology was during the NATO bombing of Serbia in 1999. Since then, the truncated entity called Kosovo has become Europe’s number one criminal state, run by a convicted organ and drug trafficking mass murderer called Hacim Al Thaci, a protégé  of Brussels and Washington. This is the kind of narco-mafia anti-state NATO has installed in Libya since the Blitzkrieg against that country in 2011 and it is the type of criminal regime that will rule over Syrians if NATO succeeds in bombing that country.

One can read hundreds of articles in the mainstream press about the criminality of the Kosovar regime and articles describing the chaos in post-Gaddafi Libya have not been rare. But the same media outlets will systematically ignore the fact that they were the ones cheering on the CIA’s Kossovo Liberation Army during the destruction of Yugoslavia. The same prestitutes are now pushing for more arming of the terrorists in Syria and for military intervention by NATO.

The closing of the European mind

The pontificators of European integration and Europe’s role in the world like to pepper their speeches with pompous references to the ‘rule of law’ and the universality of ‘European values’.

This specious rhetoric is unceasingly drummed into European students throughout our universities and institutions of higher learning and it is repeated ad nauseum by the mass media. The people now using Al-Qaeda terrorism to further their interests in the Middle East teach courses in prestigious European universities on ‘international relations’.

It is no wonder ordinary people are incapable of seeing and understanding what is happening before their very eyes. The sheer scale and complexity of the global institutional networks built upon an empire of lies, self-righteousness and deceit is simply too overwhelming for the unschooled intellect to comprehend. Something in our order-seeking minds rejects reality when its horror surpasses our horizons of tolerance and intelligibility. As a result, the mind recoils, filters out the real, preferring instead to see in our masters the expression of complex, contradictory and arcane policies, whose moral content is consigned to the studies of ‘experts’ and ‘specialists’, who are themselves the products and propagandists of the same corrupt institutions.

There are now so many academic institutions, conferences; foundations; think tanks; policy institutes and university courses proclaiming the virtues of ‘humanitarian intervention’ that it has acquired the status of a dogma. The repetition and reproduction of this dogma by the scholastics of neo-liberal academia has turned that which critical reason would normally scoff at into an apriori principle of ‘global governance’.

In chapter 22 of his seminal work on international law De Juri Belli ac Pacis, (On the Law of War and Peace), the great 17th century Dutch jurist Hugo Grotius wrote:

‘Some wars were founded upon real motives and others only upon colorful pretexts. This distinction was first noticed by Polybius, who calls the pretexts, profaseis and the real causes, aitias. Thus Alexander made war upon Darius, under the pretense of avenging the former wrongs done by the Persians to the Greeks. But the real motive of that bold and enterprising hero was the easy acquisition of wealth and dominion, which the expeditions of Xenophon and Agesilaus had opened to his view.’ [13]

Little has changed since the days of Alexander the Great. Wars are still fought for pillage and plunder and the furtherance of empire. Polybius’s vocabulary of ‘profaseis’ and ‘aitias’ will be useful here. Since the start of the Syrian nightmare in 2011, the ‘profaseis’ propagated by corporate media agencies calling for military intervention in Syria has been the desire to ‘protect civilians’ from a ‘brutal regime’.  Only the naïve and ignorant could now defend such nonsense as the same media agencies have finally admitted that the ‘opposition’ is in fact Al-Qaeda, a fact the alternative media have been pointing out since the beginning of the violence in Deraa in March 2011.

NATO’s ‘aitias’ in this conflict is clear: break up and destroy an independent sovereign state; rob and pillage all of its resources; rape and terrorize its citizens into submission by unleashing drugged and brain-washed death squads on the population; constantly blame all of this on the ‘regime’, then finish the country off with an intensive aerial bombing campaign before installing a crime syndicate to run the country. Finally, call that holocaust freedom. Call that holocaust democracy. It’s a tried and trusted formula which is now being deployed all over the world in NATO’s megalomaniacal drive for global supremacy.

Grotius again:

‘Others make -use of pretexts, which though plausible at first sight, will not bear the examination and test of moral rectitude, and, when stripped of their disguise, such pretexts will be found fraught with injustice. In such hostilities, says Livy, it is not a trial of right, but some object of secret and unruly ambition, which acts as the chief spring. Most powers, it is said by Plutarch, employ the relative situations of peace and war, as a current specie, for the purchase of whatever they deem expedient.’

 In the war-ravaged 17th century Europe of Hugo Grotius, to establish the distinction between profaseis and aitias or the pretexts and real reasons for war was not considered heretical in the domain of rigorous juridical discourse. Today, those who make such distinctions are dismissed as ‘paranoid conspiracy theorists’.  In an interview entitled LA PENSÉE CRITIQUE COMME DISSOLVANT DE LA DOXA,(Critical Thought as a solvent of Doxa)French sociologist Loic Wacquant argues that ‘never before have false thought and false science been so prolix and ubiquitous.’[14]

In this age of technological lawlessness, the basic precepts of international and domestic law have been dismantled. With the promulgation of the Patriot Act and now the National Defense Authorization Act, the United States has regressed to the kind of juridical tyranny that preceded the drafting of the Petition of Right in the England of 1628, a document denouncing imprisonment without trial, torture and martial law and providing the legal and moral groundwork for the English Revolution of 1640.

Conclusion

It behooves us all to reflect upon the current war in the Levant.  What we are witnessing is the destruction of the Westphalian state system and a return to the kind of chaos of the 17th century’s Thirty Years War, except this time it is festering on the borders of Europe where the principle of bellum se ipsum alet, war will feed itself, is being acted out by private military corporations, drug gangs, terrorist networks and international crime syndicates linked directly and indirectly to the ideological state apparatuses of the Atlantic powers.

And so, the KLA have been training the ‘Syrian Free Army’, while Libya’s Islamic Fighting Group has also joined the ‘holy war’ in Syria. Like the Thirty Years War, the armed gangs and mercenaries are funding themselves by pillaging the local economies and selling their booty as contraband. Whole factories in Syria have been dismantled and stolen by mercenaries in the service of Turkey and Qatar, while the drug trade is now booming like never before. When one country is destroyed and reduced to despotic fiefdoms and emirates, Western corporations move in with their private military companies and proceed to pillage the country’s resources, unhindered by the rules and regulations of the Sovereign State. The terrorist hordes then move on to the next country on NATO’s hit list. This is NATO’s strategy of chaos, a form of liquid warfare that is spreading rapidly throughout the Southern Hemisphere.

Given the criminality of Western oil companies in the past, it is perhaps not entirely surprising that they would now, in the form of the EU, be openly buying oil from terrorist organizations. What is surprising, however, is the morbid insouciance of Europe’s populations.  How could there be so many ‘respectable’ people in our media and academic institutions prepared to collaborate with these mobsters? Why have there been few if any significant demonstrations against NATO? How is it possible that the powers that be should be allowed to get away with such unmitigated criminality?

The Roman poet Horace wrote- neglecta solent incendia sumere vires -a neglected fire always gathers in strength. Since the destruction of  the Democratic Republic of Afghanistan by the Western-backed Mujahedeen terrorists in the 1979, sovereign states have fallen prey to mercenaries and terrorist gangs backed by Western imperialism, while civil liberties have been curtailed in America and Europe in the name of the ‘War on Terrorism’.

The fire has since spread to the former Yugoslavia; Rwanda; Côte d’Ivoire; Sudan; Somalia; Iraq; DRC; Chechnya,Libya and now Syria. If people don’t wake up and mobilize against the criminals planning these wars, the flames of destruction will eventually come home in the form of martial law, and a fascist, panopticon police state which will be deemed necessary during the prosecution of a Third World War against Iran, Russia and China. If this fire of terrorism is not put out in Syria, it will continue into the Caucasus, Central Asia, the Russian Federation and Eastern China until all possible resistance to NATO’s drive for ‘full spectrum dominance’ is eliminated and a tyrannical, corporate hyper-state rules over the planet.

World wars have happened in the past and given the scelerate Will-to-Power of our current rulers, there is no reason to believe that a world war will not happen again. Many in the West, inured to televised violence and indifferent to distant wars, have a tendency to believe that politics is a domain that does not affect them. But in the words of the French politician Charles de Montalembert  ‘Vous avez beau ne pas vous occuper de politique, la politique s’occupe de vous tout de même.’[It is easy for you not to be concerned about politics, but politics, however, is concerned about you] In the light of current events the statement merits reflection.

Notes

[1]http://www.globalresearch.ca/time-to-end-western-support-for-terrorists-in-syria-opposition-is-entirely-run-by-al-qaeda/5333204

[2] http://www.globalresearch.ca/frances-media-admits-that-the-syrian-opposition-is-al-qaida-then-justifies-french-government-support-to-the-terrorists/5331289

[3] http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/9D85892AC6D7287E8525636800596092

 [4] http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/NaturalResources.aspx

[5]http://www.un.org/documents/ga/res/36/a36r103.htm

[6] http://www.state.gov/r/pa/prs/ps/2012/12/201759.htm

[7] http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-22275456

[8] http://www.globalresearch.ca/syria-nato-s-next-humanitarian-war/?print=1

[9] http://nsnbc.me/2012/12/28/the-dynamics-of-the-crisis-in-syria-conflict-versus-conflict-resolution-part-5/

[10]http://www.globalresearch.ca/oil-and-pipeline-geopolitics-the-us-nato-race-for-syrias-black-gold/5330216

[11] http://www.franceinter.fr/emission-le-79-marc-trevidic-et-jean-pierre-filiu

[12] http://nsnbc.me/2012/12/28/the-dynamics-of-the-crisis-in-syria-conflict-versus-conflict-resolution-part-5/

[13] http://www.constitution.org/gro/djbp_222.htm

[14][http://www.homme-moderne.org/societe/socio/wacquant/pensecri.html

Jean Aziz et le face à face Iran – Arabie Saoudite au Liban et en Syrie

Jean Aziz et le face à face Iran – Arabie Saoudite au Liban et en Syrie

La thèse que je défends sur ce blog est que la crise syrienne a dès le départ donné lieu à une immixtion de forces étrangères à ce pays ; des forces qui ont engagé très tôt une action violente, parfois très professionnelle, contre l’appareil policier et militaire du régime.

Ces forces étrangères, non contentes d’armer militairement et d’outiller dans la guerre médiatique des citoyens syriens, qu’ils appartiennent à la mouvance des Frères Musulmans, du wahabbisme ou tout simplement à celle de ceux qui pensent que leur avenir personnel ou celui de leur clan pourrait être plus radieux sans Bachar al-Assad, ont fait venir des mercenaires de Turquie, de Jordanie, et même de Tunisie, de Tchétchénie et d’Europe (je ne parle pas là de Syriens résidant en Europe).

Il va sans dire que ceux qui espéraient une démocratisation de la vie politique en Syrie en sont pour leurs frais.

Jean Aziz, qu’on a déjà croisé sur ce blog, grossit peut-être un peu le trait, mais oui, nous assistons en Syrie à une guerre entre l’Iran et le Hezbollah d’une part, et l’Arabie Saoudite, le Qatar, la Turquie et les Etats Unis d’autre part.

Et c’est l’axe turco-arabo-occidental qui a pris l’initiative de cette guerre et a fait en sorte qu’elle perdure faute de possibilité de règlement politique qu’il s’est ingénié à empêcher, exactement comme en Libye.

Sauf que l’enjeu stratégique est nettement plus important en Syrie qu’en Libye et que si les Américains jouent là avec la sécurité de leur entité sioniste adorée, les monarques jouent peut-être leurs têtes !

Pourtant, dans un monde rationnel, cette crise aurait été réglée depuis longtemps ou n’aurait jamais eu lieu.

Mais un monde rationnel serait un monde où les Etats Unis au lieu de chercher la confrontation avec l’Iran, le Hezbollah et la Syrie, chercheraient à avoir des relations normales avec ces pays avec lesquels ils ne devraient avoir à priori pas de conflit aigu.

Oui, j’écris ces pays car je ne compte pas le Hezbollah qui n’existerait pas si les Etats Unis ne s’entêtaient pas à soutenir inconditionnellement une entité sioniste qui ne pourra jamais avoir un statut normal dans la région.

Même si, pour les pétromonarchies d’Arabie et du Qatar, tout l’enjeu d’une défaite de l’axe Syrie – Hezbollah – Iran est la possibilité de pouvoir enfin normaliser leurs relations avec l’entité sioniste et donc d’enterrer définitivement les droits du peuple palestinien.

L’objectif est illusoire certes et les monarques comme le Grand Turc devraient méditer ce propos de Kant :

Est illusion le leurre qui subsiste même quand on sait que l’objet supposé n’existe pas.

L'Iran contre la diplomatie saoudienne au Liban

par Jean Aziz,  

Al-Monitor Lebanon Pulse, 29 avril 2013 traduit de l’anglais par Djazaïri

Trois semaines de développements de la situation au Liban ont suffi pour effacer le sentiment qu’une percée dans les relations entre l’Arabie Saoudite et l’Iran était proche, du moins au Liban. Ce sentiment avait pris corps le 6 avril quand le parlement libanais a désigné, dans un consensus presque total, le député de Beyrouth Tammam Salam pour former le nouveau cabinet.

Au début, il y avait certains signes qu’une percée dans la relation entre l’Arabie Saoudite et l’Iran était en vue. L’ambassadeur Saoudien à Beyrouth, Ali Awad Asiri, avait clairement fait une ouverture en direction du Hezbollah. A un point tel que certains avaient dit que l’Arabie Saoudite avait entamé des contacts directs avec la plus puissante organisation chiite du Liban par l’intermédiaire d’un officiel des services de sécurité libanais qui jouit de la confiance du secrétaire général du Hezbollah Hassan Nasrallah en personne. On a même dit que l’adjoint de Nasrallah, le Cheikh Naim Qassem devait se rendre en Arabie Saoudite à la tête d’une mission du Hezbollah avec la mission de discuter des relations entre la banlieue sud de Beyrouth et Riyad. La délégation devait aussi aborder le problème de la formation d’un nouveau gouvernement [au Liban] et l’acceptation d’une nouvelle loi pour les élections législatives pour faire en sorte que les élections interviennent avant la fin du mandat de l’assemblée actuelle le 20 juin et éviter ainsi au Liban d’aller vers l’inconnu.

Cette impression optimiste a vite disparu et il est devenu évident que la stratégie de la tension entre les axes saoudien et iranien reste d’actualité  jusqu’à nouvel ordre.

Il semble que les deux parties pratiquent un jeu de dupe pour améliorer leurs positions et leurs capacités en préparation d’une attaque surprise contre l’autre camp.

Sous couvert d’ouverture en direction du Hezbollah à Beyrouth, l’axe saoudien a l’œil rivé sur une bataille régionale pour renforcer le siège du régime syrien et renverser le président Bachar al-Assad. Au moment où les Saoudiens se préparaient à attaquer la capitale syrienne, ils avaient jugé prudent de ne pas ouvrir plus d’un front à la fois. Ils ont donc fait une trêve avec le Hezbollah et montré de la bonne volonté à l’égard de ce dernier, tandis que le nœud coulant arabo-turco-occidental se resserrait autour du cou d’Assad.

Image

Jean Aziz prend la pose entre Michel Aoun (à droite sur la photo) et Hassan Nasrallah

De leur côté, l’Iran et le Hezbollah ne se sont pas laissés berner par la manoeuvre saoudienne. Quelques jours après avoir commencé à tester les réactions de l’autre camp, l’Arabie Saoudite a commencé son attaque : les alliés libanais de Riyad ont durci leurs positions en formant un nouveau gouvernement et en définissant une loi électorale, ce qui a fait prendre conscience à l’axe du Hezbollah [le Hezbollah et ses alliés au Liban] de la manœuvre, ce qui a amené cet axe à changer de tactique. Le Hezbollah a alors contre attaqué sur presque tous les fronts.

Il semble que l’Arabie Saoudite avait misé sur une évolution favorable de la situation militaire en Syrie quand  cette évolution a en fait été favorable au camp iranien. Un facteur sur le terrain a inversé la donne : en deux semaines, les forces pro-régime ont avancé dans toutes les régions autour de Damas et de Homs. Ce développement a placé les 370 kilomètres de frontière syro-libanaise sous le contrôle du régime syrien et de ses alliés au Liban. Ce qui a piégé et isolé une partie significative des Sunnites – qui sont traditionnellement soutenus par l’Arabie Saoudite et sont près d’un demi-million à Akkar et à Tripoli – par l’interposition de l’armée syrienne et de ses alliés libanais.

Mais la riposte contre l’Arabie Saoudite au Liban a d’autres manifestations: la visite du Hezbollah à Riyad dont on parlait n’a jamais eu lieu et on a appris que Nasrallah est allé à Téhéran dernièrement. Malgré de nombreuses conjectures sur les objectifs de cette visite et son timing, le Hezbollah a ostensiblement gardé le silence sur ce sujet. Le parti ne l’a ni confirmée, ni infirmée. Cependant, des photos de Nasrallah rencontrant le Guide Suprême Iranien Ali Khamenei ont été publiées sur les réseaux sociaux. Des cercles proches du Hezbollah affirment que la photo était tirée d’archives, mais la photo n’a pourtant pas l’air bien ancienne.

Une autre manifestation de la contre attaque a été l’annonce par Israël de la destruction au dessus de la mer au large d’Haïfa d’un drone venu du Liban. Mais à la différence d’incidents similaires, comme quand Israël avait détruit le drone Ayyoub le 9 octobre 2012, le Hezbollah a promptement démenti avoir un rapport quelconque avec cette affaire. Certains ont interprété ce démenti comme étant causé par l’échec du drone «Ayyoub 2» à pénétrer en profodeur en territoire israélien. Mais le drone avait peut-être simplement comme objectif de survoler les champs gaziers israéliens en Méditerranée. Dans ce cas, le drone a réussi à envoyer le message à Israël, ce qui explique aussi le démenti du Hezbollah.

Ces deux derniers jours, ce cercles proches du parti ont traité cette affaire d’une manière évasive en demandant: Et si toute cette affaire se résumait à un gamin du sud Liban qui jouait avec un avion télécommandé amenant les Israéliens à suspecter le Hezbollah de leur faire la guerre ?

Certains à Beyrouth pensent que la contre attaque iranienne contre les avancées de l’Arabie saoudite, qui se sont traduites par la démission de l’ancien premier ministre Libanais Najib Mikati se déploie bien au-delà de la scène libanaise pour toucher le Bahreïn et même l’Irak. On a parlé de découvertes de caches d’armes pour l’opposition bahreïnie à Manama ; et les troupes du premier ministre Irakien Nouri al-Maliki sont entrée à Hawija et menacent de faire la même chose à Anbar.

Toutes choses qui confirment une fois encore que tout accord entre les Libanais doit se faire sous des auspices internationaux, c’est-à-dire au minimum une entente entre Washington et Téhéran. Mais une telle entente ne pourra sans doute pas intervenir tant que ne se seront pas produits certains événements, que ce soient les élections présidentielles en Iran en juin prochain ou les résultats des discussions d’Almaty sur le nucléaire (si elles reprennent).

Entre temps, la situation libanaise va déboucher soit sur la prolongation de la crise par la prolongation du mandate du parlement et le report de la formation d’un nouveau gouvernement, soit sur l’explosion de la situation!

La plupart des organisations libanaises et des parties étrangères préfèrent la première option.

Jean Aziz est un collaborateur d’ Al-Monitor’s Lebanon Pulse. Il est éditorialiste au journal libanais Al-Akhbar et anime une émission de débat politique sur OTV, une chaîne de télévision libanaise.

Ajoutons que ce chrétien a d’abord appartenu aux Forces Libanaises, un mouvement d’extrême droite avant de rejoindre le général Michel Aoun sur une position nationaliste, modérément antisyrienne (ou modérement prosyrienne), favorable à l’entente interconfessionnelle et hostile à l’entité sioniste. C’est pourquoi on dit qu’il est proche du Hezbollah. Il l’est à peu près à la façon de Michel Aoun.

http://mounadil.wordpress.com/2013/04/30/jean-aziz-et-le-face-a-face-iran-arabie-saoudite-au-liban-et-en-syrie/

Rassegna Stampa - Maggio 2013/2

Rassegna Stampa: articoli in primo piano (Maggio 2013/2)
 

Intronisation du facteur falseflag

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Intronisation du facteur falseflag

http://www.dedefensa.org/

On connaît depuis longtemps, quasiment depuis l’attaque de septembre 2001, le tour polémique aigu qu’a pris le concept du “complotisme” (ou “théorie des complots”), dont l’expression falseflag est une des expressions sémantiques de représentation récemment mise en vogue et très utilisée aujourd’hui. Il s’agit d’abord d’une question centrale de communication accordée au règles de fer du conformisme-Système, avec le constat que l’idée même d’une telle hypothèse de montage a été, dans son principe, dès l’origine, non seulement rejetée mais diabolisée à l’égal des pires diabolisations imposées par le Système. Cela correspondait bien entendu à la “mythologisation” de l’événement 9/11 que rien ne devait entacher ni mettre en doute, qui s’est accompli selon un processus-Système quasiment automatique (c’est-à-dire sans “complot” humain de la part du Système, puisque de la part du Système), impliquant un verrouillage fait de références obligatoires et destiné à emprisonner l’esprit dans un mode de pensée de pérennisation et de légitimation du Système. (A notre sens, ce processus, toujours dans un mode automatique renvoyant à la dynamique de surpuissance du Système, est allé jusqu’à une tentative de faire de 9/11 un événement métaphysique [voir le 11 octobre 2011]. A cet égard, l’événement de l’attaque du 11 septembre 2001 peut sans le moindre doute être considéré comme “refondateur” de la légitimité du Système pour sa dernière phase d’expansion et de domination telle qu’on l’a vue se développer, justement à partir de 9/11, – mais, très vite, avec des avatars et des crises tendant à l’autodestructiont qui ont rendu encore plus sensible toute mise en cause avec potentialité de “dé-mythologisation” de cet événement.)

De ce point de vue évoqué, la situation était que toute personne envisageant une telle possibilité de complot, de manipulation, de montage, etc., concernant 9/11, puis bientôt concernant tous les actes de la “politique de l’idéologie et de l’instinct” de l’époque Bush, transformée ensuite avec l’abandon de références politiques courantes en politique-Système, devait être considérée comme subversive, moralement condamnable sans appel, quasiment relaps ou hérétique, etc. Nous insistons particulièrement sur ce point : nous ne parlons pas de la valeur ou non, de la véracité ou non de telle ou telle hypothèse de complot, de montage, etc., mais bien d’un principe-Système. (Si le mot “principe” peut-être accolé au Système, ce qui est en soi une contradiction, mais qui peut être accepté pour ce cas en comprenant que le terme “principe” est employé techniquement et nullement dans sa signification ontologique. S’il est considéré ontologiquement, il doit être apprécié dans ce cas comme une totale inversion de la véritable signification d’un “principe”.)

C’est dans ce contexte de terrorisation des psychologies opérationnalisée par le Système que la nouvelle selon laquelle l’ancien chef de cabinet du secrétaire d’État (2001-2005) Colin Powell, le colonel Lawrence Wilkerson, estime que l’actuelle polémique sur l’emploi du chimique en Syrie pourrait être, notamment mais significativement, une opération falseflag israélienne est un fait important. L’emploi même de l'expression/du mot falseflag, qui fait partie du vocabulaire “démonisé” par le Système, est en soi un fait symbolique d’une grande signification. Quoi qu’il ait déjà exprimé des opinions critiques très appuyées, Wilkerson reste, du fait de sa carrière et de ses fonctions anciennes, un personnage qui peut être considéré comme faisant partie du Système. Cette appréciation est d’autant plus acceptable qu’il est admis qu’à cause de ses liens avec Powell les déclarations de Wilkerson sont d’une façon courante considérées comme implicitement cautionnées par Powell, – personne considérable du Système, pour sa part. (Il est possible que sa déclaration fasse évoluer ce “statut” de Wilkerson, mais c’est une autre affaire. Dans tous les cas, cela nous paraît improbable à cause du désordre régnant aujourd’hui à l’intérieur du Système, – comme nous argumentons plus loin.)

La nouvelle a été donnée dans un article de Jurriaan Maessen sur son site Explosive Report, le 3 mai 2013. Elle a été aussitôt reprise, bien entendu, sur Infowars.com, le même 3 mai 2013. (On connaît la réputation et la spécialité d’Infowars.com. Le site ne va pas rater une nouvelle qui conforte à ce point son fond de commerce fondamental, qui est l’exploitation des nouvelles et hypothèses en tous genres, de complots, manipulations, et falseflag en tous genres.)

«Former chief of staff to Colin Powell, Retired Colonel Lawrence Wilkerson, told the Young Turks the early “indications” of the use of chemical weapons by the Syrian regime could point to “an Israeli false flag operation”. Wilkerson: “We don’t know what the chain of custody is. This could’ve been an Israeli false flag operation, it could’ve been an opposition in Syria… or it could’ve been an actual use by [Syrian President] Bashar al-Assad, but we certainly don’t know with the evidence we’ve been given.”»

Le reste de l’article reprend diverses occurrences où des hypothèses de falseflag dans diverses affaires ont été évoquées dans des organisations proches du Système, par des personnalités-Système mais de moindre envergue que Wilkerson. Ces cas n’ont absolument pas la signification symbolique de l’intervention de Wilkerson et ne servent que d’illustrations pour la défense du “principe” de la possibilité de falseflag, chose qui ne nous intéresse pas ici. (Que les falseflag, les “complots”, etc., existent, c’est une évidence à laquelle il est inutile de s’attarder. Le cas traité ici est bien entendu celui du principe-Système qui repousse cette hypothèse comme relaps dès lors qu’elle a quelque lien que ce soit avec 9/11, qui reste la référence sacrée à cet égard.)

Le cas de Wilkerson tend à renforcer les constats que nous faisions dans un de nos textes consacrées à l’attaque de Boston, le 23 avril 2013 : «Le premier et le principal constat remarquable de cette deuxième phase de l’attaque de Boston, avec l’identification et l’élimination des deux suspects aussitôt qualifiés de coupables, c’est ce climat extraordinaire où l’hypothèse du montage et de la manipulation par les services de sécurité US, FBI en tête, est non seulement une hypothèse honorablement admise mais pas loin d’être l’hypothèse principale. Dans tous les cas, il y a une sorte d’unanimité dans la mise en cause du FBI, allant effectivement de l’hypothèse d’incompétence aux hypothèses beaucoup plus sombres de manipulations.» Nous développions ensuite le thème de cette “popularisation du complotisme”, le 26 avril 2013Boston et la symbolique du triomphe du complotisme»). Il est bien entendu que nous plaçons l’intervention de Wilkerson dans le cadre du “climat” qui a notamment permis que se développe, à propos de l’attentat de Boston, ce que nous en avons décrit.

D’une façon générale, cette évolution n’est pas anecdotique et ne peut être considérée simplement comme la progression de perceptions plus nuancées à l’intérieur du Système, dans le cas de l’un ou l’autre individu, non plus simplement comme une progression de la perception de la situation syrienne et du comportement d’Israël. Il s’agit de l’illustration d’une tendance plus générale qu’on a vue déjà exposée à l’occasion de l’affaire de l’attentat de Boston et autour de cette affaire, au niveau du système de la communication. On y distingue aisément la décadence d’une perception générale accordée aux normes du Système et de l’expression de l’unité de vue au moins sur les grands thèmes et les grands axes de jugement à l’intérieur des directions politiques et des élites du Système. On peut alors interpréter cet épisode, comme la situation générale à laquelle on se réfère, comme le reflet au sein du système de la communication de différents désordres qui prolifèrent, aussi bien dans les aspects extérieurs de la politique-Système, comme le désordre de la politique-Système en Syrie par exemple, aussi bien dans les aspects intérieurs avec le désordre de politique intérieure à Washington même, que ce soit entre les différents centres de pouvoir, les concurrences entre agences et ministères, ou que ce soit à l’intérieur du corps politique, à l’intérieur des deux ailes (démocrates et républicains) du “parti unique” et entre ces deux ailes. La conséquence de ces désordres est la démobilisation et la dissolution de la psychologie-Système dans son rôle premier d’interprétation absolument favorable au Système avec censure hermétique de quelques grands domaines “sacralisés”. Le résultat est la dégradation et la dissolution de l’interprétation de la politique-Système générale, la dissolution de la cohésion, et la perte de vue des références essentielles du Système.

mercredi, 08 mai 2013

L’Ue resta alla mercé delle agenzie di rating americane

L’Ue resta alla mercé delle agenzie di rating americane

Non riesce la strategia di rompere il monopolio delle agenzie private statunitensi. Dopo molti tentativi la società di consulenza Berger getta la spugna e i tecnocrati europei non favellano

Andrea Perrone

Fallisce il disegno europeo di rompere il monopolio delle agenzie di rating statunitensi. L’intenzione di lanciare un’agenzia indipendente tutta europea non ha avuto seguito per non aver suscitato l’interesse sperato nel mondo delle imprese. Dopo tre anni di sforzi, ha dichiarato il suo cofondatore si è rinunciato ai piani, come si evince da un’intervista pubblicata dal quotidiano tedesco Handelsblatt. “Non c’erano abbastanza investitori”, ha commentato nel corso di una serie di domande il quarantanovenne Markus Krall (nella foto), ex partner tedesco della società di consulenza Roland Berger e ipotetico presidente della naufragata – ancor prima di nascere – agenzia di rating europea.

La società Berger aveva previsto di contribuire a lanciare l’impresa attraverso una ricerca di ben 30 investitori per creare una fondazione con circa 300 milioni di euro di capitale iniziale. I progetti di Krall avevano immaginato un’agenzia in grado di competere alla pari con le statunitensi Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch. Tutte e tre le agenzie statunitensi agiscono a scopo di lucro per i loro clienti e per questo Krall aveva tentato di sfidarle nel tentativo di creare un’agenzia di rating Ue sul modello di una Fondazione, affinché contrastasse attivamente e positivamente lo strapotere delle tre Parche della finanza apolide e cosmopolita al servizio dell’usura internazionale, che elevano o affossano Stati e istituti di credito a loro piacimento. Gli investitori, mutuatari, e le amministrazioni pubbliche utilizzano i rapporti di agenzia per contribuire a rendere decisioni di investimento e finanziarie. Tuttavia non va dimenticato il dominio a livello globale dell’impero a stelle e strisce non soltanto politico-militare, ma come conseguenza di questo anche economico fondato sulla potenza del biglietto verde. Le agenzie statunitensi infatti dominano infatti il 95 per cento del mercato globale che ancora usa come moneta di riferimento per il peso a livello globale il dollaro Usa. Tutte e tre hanno subito delle dure critiche in passato per il modo in cui non hanno saputo valutare gli inizi  della crisi finanziaria nel 2008. Standard&Poor’s e Moody’s ha avuto una serie di cause legali stabilirono con l’Abu Dhabi Commercial Bank e la King County di Washington, nei giorni scorsi accettando di pagare dei crediti con l’accusa di aver truffato degli investitori poco prima della crisi immobiliare statunitense, come ha riportato il quotidiano della City, Financial Times. Standard&Poor’s ha precisato che l’insediamento non è un’ammissione di colpa. Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti è stato anche citato in giudizio da Standard&’sPoor’s per una somma pari a 5 miliardi di euro per aver preteso la concessione di rating migliori sui mutui subprime sulle grandi spese pur conoscendo i pericoli insiti nella loro natura finanziaria. E così i Signori del danaro, i banksters, quelli che speculano ignobilmente sulle miserie dei popoli riescono sempre a farla franca, grazie naturalmente al sostegno palese o velato dei politicanti di tutto il mondo, come dei tecnocrati di Bruxelles e Strasburgo.


Nel gennaio di quest’anno, infatti, l’Europarlamento ha votato nuove regole su quando e come le agenzie di rating possono votare i debiti dello Stato e allo stesso tempo valutare la salute finanziaria delle aziende private. Le nuove regole – affermano gli eurocrati – permetteranno agli investitori privati ​​di citare in giudizio le agenzie per eventuali negligenze, omissioni o attacchi indiscriminati. In più si è posto anche un limite alla partecipazione di un’agenzia di rating nelle aziende valutate, per evitare conflitti di interessi e quindi di valutazione. “Le nuove regole contribuiranno ad una maggiore concorrenza nel settore del rating dominato da pochi operatori di mercato”, ha osservato con poca verve il commissario Ue al Mercato interno Michel Barnier, in linea con il voto espresso dall’Assemblea di Strasburgo. Insomma gli eurocrati sono soddisfatti dell’insuccesso, che lascia lo stesso libertà di movimento in favore dell’usura internazionale alle agenzie di rating made in Usa. I tecnocrati preferiscono lo status quo per restare legati mani e piedi a Signori del danaro, quelli che speculano ignobilmente sui prestiti ad usura, così come all’impero a stelle e strisce, che laddove non arriva a conquistare nuovi mercati causando la povertà con l’oppressione del dollaro, giunge nei luoghi prefissati con i cacciabombardieri a portare la morte.


03 Maggio 2013 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=20688

Dans l’Hexagone de François Hollande

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Dans l’Hexagone de François Hollande

par Georges FELTIN-TRACOL

Dans l’Hexagone de François Hollande, il ne fait pas bon être opposant. Ce triste constat se vérifiait déjà au temps de l’atlantiste Nicolas Sarközy. À cette époque oubliée par quelques demeurés droitards sans cervelle, ni mémoire, désormais fans d’une véritable imposture appelée la « Droite forte », C.R.S. et gendarmes arrêtaient avec une violence certaine les manifestants hostiles aux pièces de théâtre blasphématoires, en particulier la pièce de Romeo Castellucci, Sur le concept du visage du fils de Dieu. Des manifestants courageux tentèrent d’interrompre certaines représentations et se firent arrêter. Prévenus d’entraves de manière concertée à la liberté d’expression, par voies de fait, destruction ou dégradation et violence, ces victimes du politiquement correct risquent d’après l’article 431 – 1 du Code pénal  45 000 € d’amende et trois ans d’emprisonnement. Qu’en pensent Amnesty International, la Ligue internationale des droits de l’homme et Human Rights Watch si prompts en général à dénoncer les législations iranienne, russe et bélarussienne ?

Pigiste à l’hebdomadaire bourgeois mondialiste Charlie Hebdo, Sigolène Vinson rapporte que « leur action se doublait d’actes subversifs constituant à balancer des poules puantes ou à souffler dans des sifflets à roulette (1) ». De vrais actes terroristes… « À l’audience, la présidente rappelle les termes de la commission rogatoire, faisant état de propos tenus par les manifestants : “ Le Seigneur vous pardonne ” “ Allez au diable ”, etc. (2) ». De pareils mots bafouent vraiment la sacro-sainte (sic !) laïcité républicaine et la dignité de policiers guère habitués à de telles « injures » probablement plus scandaleuses que les insultes proférées par la racaille des banlieues de l’immigration…

Ce « deux poids deux mesures » est une caractéristique constante de la part des pseudo-autorités ripoublicaines. Alors que quatre militants de Génération Identitaire pâtissent de conditions draconiennes inacceptables de contrôle judiciaire parce qu’ils ont osé organiser l’occupation pacifique du chantier de la future grande mosquée de Poitiers, les FemHaine qui investissent, seins nus, la nef de Notre-Dame de Paris, beuglent leur joie à l’abdication de Benoît XVI et saccagent les nouvelles cloches, n’ont qu’un simple contrôle d’identité…

Ces faits ne sont pas isolés; ils se répandent plutôt. Le 18 octobre 2012, le président d’Entraide-Solidarité, François Maris, fut placé en garde à vue pendant dix-sept heures. Pourquoi ? Parce qu’il défendait un couple de harkis à Gorniès dans l’Hérault. Les gendarmes l’accusèrent d’« installation en réunion sans autorisation d’un mobil-home » (un délit puni de six mois de prison !), et de… « génocide » ! Vite conscients de l’absurdité des accusations, les pandores enquêtèrent alors sur le « vol d’une banderole » ! Puis, comprenant que l’objet du délit avait été récupéré dans une décharge, ces Sherlock Holmes de bas-étage retinrent finalement une banale « installation d’une habitation légère en un lieu non autorisé».

Le Régime aime terroriser. Outre des pressions psychologiques et sociales sur l’entourage de ses proies, il n’hésite pas à instrumentaliser le fisc contre ceux qui lui tiennent tête. Suite à un redressement fiscal, l’humoriste Dieudonné a été condamné à une amende d’un million d’euros. On cherche ainsi à museler les grandes gueules. À leur faire peur aussi. Le 18 novembre 2012, les FemHaine agressaient les paisibles manifestants de Civitas qui, voyant l’inaction des policiers, réagirent avec vigueur. Or, raconte Aurélien, l’une des victimes de ces hystériques, « le mercredi 28 novembre à six heures précise, j’ai été réveillé par les forces de l’ordre (le S.I.T. [Service d'investigation transversale, une unité de la police nationale hexagonale chargée des enquêtes pour motif politique] plus précisément) qui m’ont menotté dans mon lit, une arme à feu braquée sur ma tempe. J’ai ensuite fait quarante-huit heures de garde à vue et quinze heures de dépôt (une sorte de prison sous le tribunal de Paris) et je suis désormais sous contrôle judiciaire avec interdiction de sortir du territoire Français, et l’obligation de pointer tous les quinze jours au commissariat de ma ville, tant que le jugement ne sera pas rendu. J’ai un travail, je n’avais pas de casier judiciaire, j’ai été traité comme un terroriste, alors que c’est nous qui avons été agressés ! Il y a eu quatre autres interpellés ce même jour… […] Nous risquons 45 000 € d’amende et trois ans de prison, sans compter les dommages et intérêts (3) ».

L’action policière contre des personnes solvables et honnêtes a atteint son point culminant au moment des démonstrations de force de la « Manif pour tous ». Suite à des manœuvres provocatrices d’agents infiltrés parmi les manifestants, le 24 mars 2013, des enfants ont été gazés par les lacrymogènes des forces du « désordre » établi ! Conditionné à s’élever à la seconde près contre les soi-disant violences policières à l’Est ou ailleurs dans le monde, le Parlement européen, cette pétaudière inutile, a gardé un silence éloquent et n’a nullement protesté contre la centaine d’interpellations et les six gardes à vue ! La République a maintenant ses prisonniers politiques.

Quant aux prisonniers d’opinion, après l’historien dissident Vincent Reynouard, voici le président de l’Œuvre française, Yvan Benedetti, et le responsable des Jeunesses nationalistes, Alexandre Gabriac, d’être poursuivis pour des motifs futiles par une justice devenue par enchantement d’une rare intransigeance. Incapables d’empêcher les « nouvelles attaques de diligence » dans le R.E.R. D en Île-de-France ou des T.E.R. en Provence – Alpes – Côte d’Azur ou l’épidémie de kalachnikovite aiguë dans les quartiers marseillais, le Pouvoir préfère réprimer les « factieux ». Il faut dire que les risques sont souvent bien moindres face aux familles, aux jeunes gens sympathiques et aux « veilleurs » que devant la voyoucratie des banlieues lourdement armée.

Les responsables du désordre public légal ont en effet reçu des consignes précises, iniques et grotesques. Le 1er avril dernier, venu depuis l’Aisne pour passer quelques jours dans la capitale avec son épouse et leurs six enfants, Franck Talleu est arrêté par les agents du parc du Luxembourg, conduit une heure au poste et poursuivi par le ministère public. Qu’a donc commis cet honorable père de famille ? A-t-il agressé une personne âgée qui promenait son chien sous le contrôle vigilant des pervenches des caniveaux ? Entraîné ses enfants dans une salle de shoot ou bien payé son séjour parisien grâce au compte singapourien de Jérôme Cahuzac ? Non, Franck Talleu a fait pire. Il portait, ce jour-là, un maillot de corps sans slogan, ni inscription, de la « Manif pour tous ». Il a d’abord été verbalisé pour « port d’une tenue contraire aux bonnes mœurs ». On hallucine ! Voilà pourquoi la Gay Pride ne passe jamais par ces jardins… Devant l’énormité du motif, le procès-verbal a ensuite été modifié (4). Fort de ce précédent incroyable, les gendarmes ont ensuite réprimé une douzaine de personnes au même endroit pour le port de maillots semblables. « Interpellés, emmenés au poste, écrit Delphine de Mallevoüe, certains ont été fouillés et ont subi un interrogatoire de une à deux heures, avant de recevoir un P.V. [pour] organisation d’une manifestation ludique sans autorisation spéciale [ou] gêne à la tranquillité des promeneurs par affichage ostentatoire d’éléments relatifs à une manifestation interdite (5) ». Ces zélés fonctionnaires auraient-ils ainsi agi devant les solides gaillards des Jeunesses nationalistes, de Génération Identitaire, du Renouveau français ou du G.U.D. ?

Une telle entrave à la liberté d’expression réelle (on n’est pas dans un théâtre subventionné !) est somme tout cohérente venant d’un Système mortifère qui proscrit le voile intégral musulman. La police du vêtement et des tenues va de pair avec le flicage de la pensée. La peste du politiquement correct contamine tout. En raison d’un risque supposé de troubles à l’ordre public (toujours la même rengaine), la journée régionale de Synthèse nationale dans le Nord a été interdite, Synthèse nationale devant même payer un millier d’euros au maire U.M.P. de Marcq-en-Barœul. Fort heureusement, l’équipe nordiste a pu trouver une autre salle, ailleurs, et la réunion prévue du 28 avril s’est bien tenue. Elle a été un succès. Le fait est révélateur qu’il est maintenant difficile pour les résistants au Nouvel Ordre mondial d’organiser des réunions publiques et de trouver des salles.

Sous le prétexte fallacieux de maintenir la « légalité républicaine », le Régime entend frapper fort afin de contenir, voire d’étouffer, tout mouvement protestataire durable. Dans la nuit du 14 au 15 avril, soixante-sept « campeurs illégaux », les « veilleurs », âgés de 18 à 25 ans, ont été raflés et placés en garde à vue. Stéphane Kovacs évoque des gardes à vue de quarante-quatre heures ! Outre « la fouille – intégrale -, la prise d’empreintes, les photos de face et de profil, “ comme des criminels ” (6) », ces nouveaux prisonniers politiques « ont dû se soumettre à des tests A.D.N. et seront inscrits au fichier (7) ». Or le fichage génétique ne concernait à l’origine que les affaires de terrorisme et les crimes sexuels. « La Manif pour tous n’est pas du tout appréciée en haut lieu… » avance Amicie, une étudiante de 25 ans interpellée qui a eu droit à une confidence de policier (8). Sur la même place près du Palais-Bourbon se tiennent régulièrement des manifestations d’étrangers clandestins sous l’œil placide des policiers. « Les délinquants sont ici ceux qui ont le front de s’opposer au Pouvoir pour des raisons de conviction », écrit la philosophe Chantal Delsol (9). Taubira adore tellement les délinquants qu’elle en crée de nouveaux…

Les exactions policières témoignent de l’étroite connivence de l’appareil d’État aux mains de l’hyper-classe mondialiste avec les racailles allogènes des banlieues annoncée en son temps par Éric Werner qui voit son hypothèse validée. La protection des sites officiels implique pour l’heure « moins de sécurisation des cités et plus de mission pour protéger les palais nationaux (10) », affirme un officier des forces mobiles.

Un an après l’élection du « capitaine de pédalo (heureuse expression de Jean-Luc Mélenchon) » « Flamby le Pépère », une ambiance de fin de règne s’installe dans la population. Des comités de hués de ministres se lèvent partout dans le pays. Certes, les conditions de 1992 quand les membres du gouvernement socialiste ne pouvaient plus circuler ne sont pas encore réunies. En outre, parier sur une convergence des luttes entre les opposants de l’Ayraultport à Notre-Dame des Landes, la colère sociale incitée par la fermeture massive d’entreprises et l’Accord national interprofessionnel (A.N.I.) qui nie les droits des salariés, et le combat sociétal contre le mensonger « Mariage pour tous » relève de l’impossibilité tactique, faute d’investissements militants tangibles dans le syndicalisme et l’action écolo-agricole. Les tensions actuelles traduisent néanmoins un ras-le-bol patent du pays réel. Son réveil pourrait à terme provoquer un anti-Mai 68 ou un contre-4 Septembre 1870. On comprend que pour les hiérarques faillis du Pouvoir, la répression, c’est maintenant !

Georges Feltin-Tracol

Notes

1 : dans Charlie Hebdo, 6 février 2013.

2 : Idem.

3 : entretien d’Aurélien avec Laurent Bayard, La Voix de la Russie, 13 décembre 2012.

4 : La contravention porte sur « organisation d’une manifestation ludique dans le jardin du Luxembourg sans autorisation spéciale », dans Emmanuel Ratier, Faits & Documents, du 15 au 30 avril 2013, p. 9.

5 : dans Le Figaro, 9 avril 2013.

6 : Stéphane Kovacs, dans Le Figaro, 24 avril 2013.

7 : Stéphane Kovacs et Jean-Marc Leclerc, dans Le Figaro, 16 avril 2013.

8 : Stéphane Kovacs, dans Le Figaro, 24 avril 2013.

9 : dans Le Figaro, 25 avril 2013.

10 : cité par Jean-Marc Leclerc, dans Le Figaro, 16 avril 2013.


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Schweiz und Russland verbindet eine lange Geschichte

Schweiz und Russland verbindet eine lange Geschichte

Ex: http://www.zeit-fragen.ch/

thk. Die Beziehungen zwischen der Schweiz und dem riesigen russischen Reich bzw. der Russischen Föderation haben eine lange und bewegte Geschichte. Während Jahrhunderten gab es einen regen Austausch zwischen beiden Staaten, sowohl auf offizieller als auch auf privater Ebene. Das geht zurück bis in die Zeit Peters des Grossen. Damals entstanden erste Ausländervorstädte in Moskau, die auch von Schweizern, vor allem Handwerkern und Offizieren, als neue «Heimat» gewählt worden waren. Das Buch «Käser, Künstler, Kommunisten», herausgegeben von Eva Maeder und Peter Niederhäuser, berichtet über das interessante Kapitel schweizerisch-russischer Beziehungen.1 Berühmtheit erlangte der Genfer Francois Lefort, der ein Vertrauter Peters des Grossen wurde und es bis zum General und ersten Admiral der russischen Geschichte brachte.2 Aber auch weniger berühmte Schweizer versuchten ihr Glück in den russischen Weiten und sorgten so für einen Austausch zwischen den Kulturen. Letztlich kam der vorzügliche Tilsiter Käse ursprünglich aus der Schweiz. Ausgewanderte Schweizer Käser stellten diese Käsesorte in Tilsit her, und interessierte Berufskollegen vor Ort lernten die schweizerische Verkäsungskunst. So wurde der Tilsiter geboren, dessen Name wieder zurück in die Schweiz importiert wurde und sich bei uns grösster Beliebtheit erfreut.

Im Bereich der Architektur haben Schweizer offensichtlich bis heute sichtbare Spuren hinterlassen. Der Tessiner Architekt Luigi Fontana wanderte im jungen Alter von 21 Jahren im Jahre 1845 nach Petersburg aus. Hier stellte er seine grossen Fähigkeiten unter Beweis und bekam den Titel eines «kaiserlichen Architekten» verliehen. Er erschuf sowohl öffentliche Bauten, wie zum Beispiel das grosse dramatische Theater «Towstonogow», das ursprünglich «kleines kaiserliches Theater» hiess und am rechten Ufer der Fontanka liegt, als auch neben Ausstellungs- und Handelshäusern ganz «einfache» Wohnhäuser.

Russen in der Schweiz

Ungefähr 25 000 Schweizer wanderten nach Russland aus. Es zog aber nicht nur Schweizer nach Russland, sondern auch Russen lockte es in die kleine, aber nicht minder attraktive Schweiz. Bereits 1667 nehmen die Republik Genf und die Moskauer Kanzlei für auswärtige Angelegenheiten offizielle Beziehungen auf. Zar Iwan V. tauschte mit der Genfer Regierung offizielle Gesandte aus. Das interessante Werk von Michail Schischkin, «Die russische Schweiz»3, berichtet über die Beziehungen von Russen zur Schweiz. Im 17. und 18. Jahrhundert, so schreibt Schischkin, war es die hohe Gesellschaft, die besonders Genf wegen seiner ausgezeichneten Akademie grosse Beachtung schenkte, «die strengen Sitten der Stadt Calvins, der hohe Wissenstand der Professoren und die Verständlichkeit der Sprache» waren triftige Gründe für die russische Aristokratie, Genf als einen wichtigen Bestimmungsort wahrzunehmen. So galt Genf lange als das Zentrum russischer Immigranten. Als sicherer Hort erwies sich die Schweiz und insbesondere Genf, als gegen Ende des 19. Jahrhunderts das zaristische Russland gegen die politische Opposition und die Aktivitäten der sogenannten russischen Sozialrevolutionäre vorging.

Der russische General Suworow will Napoleon aus der Schweiz vertreiben

Nahezu hundert Jahre vorher, im Zuge der Napoleonischen Kriege, wird die Schweiz zum Schauplatz militärischer Auseinandersetzungen. 1798 besetzte Napoleons General André Masséna die Schweiz. Paris zwingt den Schweizern die Helvetische Republik auf; die alte Eidgenossenschaft bricht zusammen.
Napoleon hatte daraufhin Österreich, das mit Russland und England verbündet war, den Krieg erklärt. Die monarchischen Länder beschliessen eine gemeinsame Offensive gegen Frankreich. Im Jahre 1799 tobt die Schlacht in der Schweiz, in deren Zuge der russische General Suworow eine wichtige Rolle spielt, auch wenn es nicht gelingt, die Franzosen entscheidend zu schlagen und aus der Schweiz zu vertreiben. Unter grossen Verlusten muss sich die antinapoleonische Koalition zurückziehen. Mit der Neuordnung Europas auf dem Wiener Kongress 1814/15 nach der endgültigen Niederlage Napoleons erhält die Eidgenossenschaft ihre volle Souveränität zurück. Auch wenn Napoleon der Schweiz schon 1803 den Rücken zugekehrt hatte, stand das Land bis 1813 noch in direkter Abhängigkeit zu ihm. Der Wiener Kongress bringt die ersehnte Wende.

Russischer Zar stützt Schweizer Neutralität

Es war auch Zar Alexander II., der sich auf dem Wiener Kongress massgeblich für die völkerrechtliche Anerkennung der Schweizer Neutralität eingesetzt hat, so wie sie der Schweizer Diplomat Charles Pictet de ­Rochemont eingebracht hatte. Für den Zaren war klar, dass die Schweiz als Kleinstaat zwischen den europäischen Grossmächten wie Frankreich, Italien, Österreich und Preussen nur dann überleben kann, wenn sie den neutralen Status erhält und dieser auch von den umliegenden Grossmächten respektiert wird. Zwar bietet die völkerrechtliche Anerkennung einem neutralen Kleinstaat einen gewissen Schutz, aber den Respekt, im Ernstfall nicht doch angegriffen zu werden, erreicht man nur mit einer schlagkräftigen Armee, sonst sind die Begehrlichkeiten der Grossmächte, wie ein Blick in die Geschichte beweist, nur allzugross. Wohlweislich haben die Gründerväter der modernen Schweiz der Neutralität den Zusatz «bewaffnete» und «immerwährende» gegeben. Nur so konnte das erreicht werden, was der Schweiz seit dieser Zeit gelungen ist, sich aus allen internationalen Kriegen und Konflikten herauszuhalten.

Schweiz bietet Verfolgten Asyl

Die Neutralität der Schweiz und ihr liberaldemokratischer Aufbau machten sowohl im 19. als auch im 20. Jahrhundert das Land zu einem Zufluchtsort politisch Verfolgter aus aller Herren Ländern, besonders aus jenen Ländern, die im 19. Jahrhundert mit aller Härte gegen liberale und demokratische Bewegungen vorgegangen sind und an dem monarchischen System festhalten wollten. Dass die neutrale Schweiz hier einen wichtigen Beitrag zur Demokratisierung Europas geleistet hat und im Grunde genommen immer noch leistet, wird oft viel zuwenig wahrgenommen. So bot die Schweiz auch Kritikern des zaristischen Russland ein sicheres Zuhause.
Dass Wladimir Iljitsch Uljanow, genannt Lenin, der seine April-Thesen in der Zentralbibliothek der Stadt Zürich verfasste, schon längere Zeit in der Schweiz politisches Asyl genossen hatte, zeigt uns, wie konsequent die Schweiz damals ihren Anspruch als neutrales Land umgesetzt hatte.
Besonders Genf blieb das Zentrum der russischen Revolutionäre. Erst mit dem Ausbruch der Oktober-Revolution zog es die russischen Immigranten in ihre Heimat zurück, um am Aufbau Sowjetrusslands teilzunehmen.

Schweiz nimmt 1946 diplomatische Beziehungen mit der Sowjetunion auf

Auch nach dem Zweiten Weltkrieg blieben die Schweiz und Russland (bis 1991 Sowjet­union) im Austausch. So nahm die Schweiz kurz nach dem Zweiten Weltkrieg diplomatische Beziehungen mit Moskau auf und die Sowjetunion mit der Schweiz. Bis heute ist die russische Botschaft in Bern ein wichtiges Bindeglied zwischen der Schweiz und der Russischen Föderation.

Achtung anderer Staaten als gleichwertige Mitglieder der Staatengemeinschaft

Mit der Öffnung und dem Ende des Kalten Krieges wurden die Beziehungen zwischen der Schweiz und Russland immer intensiver. Das hängt unter anderem damit zusammen, dass beide Staaten eine Politik der Unabhängigkeit verfolgen. Die Grundprinzipien der Nichteinmischung in die inneren Angelegenheiten eines anderen Staates, die Achtung  anderer Staaten als gleichwertige Mitglieder der Staatengemeinschaft und die Wahrung legitimer Interessen, wie sie von Präsident Putin immer wieder erwähnt und von ihm als Grundlage einer partnerschaftlichen Zusammenarbeit zwischen den Staaten gesehen werden, werden im Grundsatz auch von der Schweiz geteilt und stehen in Übereinstimmung mit der Uno-Charta.
Für die Schweiz als Kleinstaat inmitten einer sich immer dreister gebärdenden EU sind bilaterale Beziehungen zu anderen Staaten von äusserster Wichtigkeit, und vor allem dann auch von grosser Bedeutung, wenn das Interesse auf Gegenseitigkeit beruht.
Der offizielle Besuch des damaligen russischen Präsidenten Dmitri Medwedew, der als erster russischer Staatspräsident im Jahre 2009 die Schweiz bereist, und schon damals die Schweiz als ganz besonderen Partner bezeichnet hat, unterstreicht die Qualität der schweizerisch-russischen Beziehungen.
Wenn der russische Aussenminister Sergej Lawrow in die Schweiz kommt und sich den Fragen der Presse stellt, ist das letztlich Ausdruck einer bilateralen Partnerschaft zwischen zwei Ländern, die, wenn sie in bedeutenden Fragen weiterhin einen Konsens finden, eine gewichtige Stimme in Europa und auch weltweit sein werden.    •

1    Eva Maeder, Peter Niederhäuser (Hg.). Käser, Künstler, Kommunisten. Vierzig russisch-schweizerische Lebensgeschichten aus vier Jahrhunderten. ISBN 978-3-0340-0508-1
2    Zeit-Fragen vom 11.12.2011
3    Michail Schischkin. Die russische Schweiz. Ein literarisch-historischer Reiseführer. ISBN 3-85791438-6

 

Was ist die OSZE?

Die in Wien ansässige Organisation für Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa (OSZE) wurde 1975 als Konferenz für Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa (KSZE) gegründet und 1992 als regionale Abmachung im Sinne von Kapitel VIII der Charta der Vereinten Nationen anerkannt. 1994 wurde die KSZE in OSZE umbenannt. Die Schwerpunkte der Tätigkeit der OSZE liegen in der Präventivdiplomatie, der Konfliktverhütung und Krisenbewältigung sowie im Wiederaufbau und der Festigung demokratischer Gesellschaftsstrukturen nach Konflikten. Damit trägt die OSZE aktiv zur Förderung von Demokratie, Menschenrechten und Rechtsstaatlichkeit bei. Im politisch-militärischen Bereich bemüht sie sich durch Herstellung von Offenheit, Transparenz und Berechenbarkeit darum, Spannungen abzubauen, das gegenseitige Vertrauen zu stärken und dadurch zur gegenseitigen Rüstungskontrolle im OSZE-Raum beizutragen. Die OSZE umfasst 57 Teilnehmerstaaten, darunter die Schweiz seit 1975. Nächstes Jahr wird die Schweiz den Vorsitz in der OSZE für ein Jahr übernehmen.

Quelle: www.eda.admin.ch/eda/de/home/topics/intorg/osce.html

'Alliantie Israël met Arabische Golfstaten, Jordanië en Turkije in de maak'

'Alliantie Israël met Arabische Golfstaten, Jordanië en Turkije in de maak'

Ex: http://xandernieuws.punt.nl/

Wordt dit het in de Bijbel voorzegde 'verbond met de dood' dat de laatste eindtijdoorlog zal inluiden?


De ondertekening van de Camp David vredesakkoorden in 1979. Zal dit verbond binnenkort worden 'versterkt' met andere Arabische/islamitische landen?

Volgens een artikel in de Sunday Times probeert het Witte Huis achter de schermen een nieuwe defensie alliantie in het Midden Oosten te vormen waar behalve Israël ook Saudi Arabië, Jordanië, Turkije en de Verenigde Arabische Emiraten aan deel zouden moeten nemen. Het doel van het verbond is om een nucleair bewapend Iran in bedwang te houden, en niet militair te confronteren. Strategie analist Mark Langfan heeft het al over de MEATO, de Middle East Alliance Treaty Organization.

Russia Today bericht dat de Joodse staat samen met de genoemde 'gematigde' Soennitische islamitische staten een front wil vormen om een met kernwapens bewapend Iran in bedwang te houden. Israël en de Arabische landen zouden onder andere informatie van elkaars radar- en antiraketsystemen gaan delen. In het voorstel moet Jordanië beschermd gaan worden door Israëls Arrow lange-afstands afweerraketten.

Diplomaten spreken van een '4+1' voorstel waar de Verenigde Staten een bemiddelende rol in spelen. Een official van het Turkse ministerie van Buitenlandse Zaken verklaarde echter dat het 'manipulatieve bericht niets van doen heeft met de realiteit.'

Midden Oosten versie van de NAVO

Israël en Amerika hebben jarenlang volgehouden dat een nucleair bewapend Iran onacceptabel is. Voormalige hoge Israëlische veiligheidsofficials, waaronder oud Mossad directeur Meir Dagan, verzetten zich echter met hand en tand tegen een militaire aanval op de Iraanse kerninstallaties. Het nieuws zou dan ook een signaal kunnen zijn dat Israël en de VS besloten hebben het -al dan niet toekomstige- bestaan van Iraanse kernwapens te accepteren.

Het is onduidelijk of en wanneer dit bericht bevestigd wordt. Strategie analist Mark Langfan neemt het in ieder geval heel serieus. 'De MEATO is geboren. De Middle East Alliance Treaty Organization is gecreëerd op de puinhopen van de val van (de Egyptische president) Hosni Mubarak.' (1)

Bijbel voorzegt verbond Israël met 'de dood'

We berichtten de laatste maanden al vaker dat er geruchten en aanwijzingen zijn voor een baanbrekend akkoord tussen Israël en diverse islamitische landen. Het is niet ondenkbaar dat ook Egypte hier deel van zal uitmaken. De profeet Jesaja voorzegde duizenden jaren geleden dat zo'n verbond er in de eindtijd inderdaad gaat komen:

'Omdat u zegt: Wij hebben een verbond gesloten met de dood, en met het rijk van de dood zijn wij een verdrag aangegaan, wanneer de alles wegspoelende gesel voorbijtrekt komt hij niet bij ons, want van de leugen hebben wij ons toevluchtsoord gemaakt en in het bedrog hebben wij ons verborgen,... Dan zal uw verbond met de dood tenietgedaan worden, uw verdrag met het rijk van de dood zal geen stand houden. Trekt de alles wegspoelende gesel voorbij, dan zult u door hem afgeranseld worden.' (Jes.28;15+18)

De tot het christendom bekeerde voormalige Palestijnse terrorist Walid Shoebat zegt al jaren dat de uitleg van dit vers duidelijk is: Israël zal (met o.a. Turkije) een vredesverdrag sluiten -mogelijk in Egypte-, een 'verbond met de dood' dat wellicht een bevestiging '('versterking' genoemd door de profeet Daniël) en uitbreiding zal zijn van de bestaande Camp David akkoorden tussen Egypte en Israël en de vrede met Jordanië. Dit nieuwe verdrag zal voor Israël echter op een compleet drama uitlopen:

'Wee jullie, koppige kinderen -spreekt de Heer- die plannen uitvoeren tegen mijn wil (NBG/SV: 'niet van mijn Geest'), verdragen sluiten tegen mijn zin en zo zonde op zonde stapelen; die zonder mij te raadplegen op weg gaan naar Egypte, om te schuilen in de vesting van de farao en bescherming te zoeken in de schaduw van Egypte.' (Jes.30:1-2)

Turken zullen Israël aanvallen

Vanaf het moment dat de Turken Israël zover krijgen een nieuw of versterkt vredesverdrag te sluiten, waarschijnlijk met steun en deelname van Amerika en andere islamitische landen en wellicht ook de EU, zullen er volgens de profeet Daniël slechts 3,5 jaar voorbij gaan voordat de Turken Jeruzalem zullen aanvallen en zullen bezetten. 'Maar dan zal de G-d van Israël de stad (en het volk) redden van deze gesel (het Tweede Paasfeest),' aldus Shoebat.

In zijn visioen (of droom) zag Daniël het laatste wereldrijk, het rijk van de Antichrist: het opnieuw opgerichte Ottomaanse Rijk, het rijk van 'het beest' dat zal herstellen van zijn dodelijk wond, opgelopen in 1917 toen de Turken zonder slag of stoot werden verdreven uit Jeruzalem. Het Tweede Paasfeest, de definitieve verlossing van Israël door de komst van de Messias, zal volgens Shoebat worden ingeluid door de totale vernietiging van dit in de maak zijnde Turks-islamistische imperium.Xander

(1) Arutz 7

Zie ook o.a.:

29-03: Door profeet Daniël voorzegd vredesverdrag met Israël nabij
23-03: Turkse minister BuZa: Wij zullen weer heersen van Sarajevo tot Damascus
21-03: Jordaanse koning waarschuwt het Westen voor Turkse premier Erdogan
12-03: Duitse geheime dienst: Turkije werkt al jaren aan kernwapens

Exposition Tardi - Paris

mardi, 07 mai 2013

Machiavelli & the Conservative Revolution

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Machiavelli & the Conservative Revolution

By Dominique Venner

Ex: http://www.counter-currents.com/

Translated by Greg Johnson

Borne along by the French Spring, the Conservative Revolution is in fashion. One of its most brilliant theorists deserves to be remembered, even if his name has long been maligned. Indeed it is scarcely flattering to be described as “Machiavellesque” if not “Machiavellian.” It can be seen as an aspersion of cynicism and deceit. 

And yet what led Niccolò Machiavelli to write the most famous and the most outrageous of his works, The Prince, was love and concern for his fatherland, Italy. It was published in 1513, exactly 500 years ago, just like Albrecht Dürer’s “The Knight, Death, and the Devil [2].” A fertile time! In the early years of the 16th century, Machiavelli was nevertheless the only one to worry about Italy, the “geographical entity,” as Metternich later said. Then, one cared about Naples, Genoa, Rome, Florence, Milan, and Venice, but nobody cared about Italy. This had to wait a good three centuries. This proves that we should never despair. The prophets always preach in the wilderness before their dreams reach the unpredictable waiting crowds. We and some others believe in a Europe that exists only in our creative memory.

Born in Florence in 1469, died in 1527, Niccolò Machiavelli was a high official and diplomat. His missions introduced him to the grand politics of his time. What he learned, and what he suffered for his patriotism, prompted him to reflect on the art of conducting public affairs. Life had enrolled him in the school of great upheavals. He was 23 years old when Lorenzo the Magnificent died in 1492. The same year, the ambitious and voluptuous Alexander VI Borgia became Pope. He swiftly made one of his sons, Cesare (at that time, the popes cared little for chastity), a very young cardinal and then the Duke of Valentinois thanks to the king of France. This Cesare, gripped by a terrible ambition, cared nothing about means. Despite his failures, his ardor fascinated Machiavelli.

But I anticipate. In 1494 came a huge event that would change Italy for a long time. Charles VIII, the ambitious young king of France, made ​​his famous “descent,” i.e., an attempt at conquest that upset the balance of the peninsula. After being well-received in Florence, Rome, and Naples, Charles VIII then met with resistance and was forced to retreat, leaving a terrible chaos. It was not finished. His cousin and successor, Charles XII, came back in 1500, this time for longer, until Francis I became king. Meanwhile, Florence was plunged into civil war, and Italy was devastated by condottieri greedy for loot.

Appalled, Machiavelli observed the damage. He was indignant at the impotence of the Italians. From his reflections arose The Prince in 1513, the famous political treatise written thanks to its author’s disgrace. The argument, with a compelling logic, seeks to convert the reader. The method is historical. It is based on the confrontation between the past and the present. Machiavelli stated his belief that men and things do not change. This is why the Florentine councilor continues to speak to us Europeans.

Following the Ancients–his models–he believes Fortune (chance), represented by a woman balancing on an unstable wheel, rules half of human actions. But she leaves, he says, the other half ruled by the virtues (qualities of manly boldness and energy). Machiavelli calls for men of action and teaches them how to govern well. Symbolized by the lion, force is the primary means to conquer or maintain a state. But one must also have the cunning of the fox. In reality, one must be both lion and fox. “We must be a fox to avoid traps and a lion to frighten wolves” (The Prince, ch. 18). Hence his praise, devoid of any moral prejudice, of Alexander VI Borgia, who “never did anything, and never thought of doing anything, other than deceiving people and always found a way to do so” (The Prince, ch. 18). However, it is in the son of this curious pope, Cesare Borgia, that Machiavelli saw the incarnation of the Prince according to his wishes, able “to win by force or fraud” (The Prince. ch. 7).

Placed on the Index by the Church, accused of impiety and atheism, Machiavelli actually had a complex attitude vis-à-vis religion. Certainly not devout, he nevertheless went along with its practices but without abdicating he critical freedom. In his Discourses on the First Ten Books of Titus Livy, drawing lessons from ancient history, he questioned which religion best suits the health of the state: “Our religion has placed the highest good in humility and contempt for human affairs. The other [Roman religion] placed it in the greatness of soul, bodily strength, and all other things that make men strong. If our religion requires that we have strength, it is only to be more capable of suffering heavy things. This way of life seems to have weakened the world, making it easy prey for evil men” (Discourses, Book II, ch. 2). Machiavelli does not risk religious reflection, but only a political reflection on religion, concluding: “I prefer my fatherland to my soul.”

Source: http://www.dominiquevenner.fr/2013/04/machiavel-et-la-revolution-conservatrice/ [3]


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[2] The Knight, Death, and the Devil: http://en.wikipedia.org/wiki/The_Knight,_Death_and_the_Devil

[3] http://www.dominiquevenner.fr/2013/04/machiavel-et-la-revolution-conservatrice/: http://www.dominiquevenner.fr/2013/04/machiavel-et-la-revolution-conservatrice/

Relire le Capital au-delà de l’économie

Relire le Capital au-delà de l’économie

Pierre Le Vigan
 
Paul Boccara fut longtemps un des principaux responsables avec Philippe Herzog de la section économique du PCF, des années 1970 aux années 90. Il est resté, contrairement à Philippe Herzog rallié à une vision libérale de l’Europe, attaché à ne pas jeter par-dessus bord l’héritage de la pensée marxiste.
 
Paul Boccara est l’auteur de travaux pertinents à l’époque mais datés sur le capitalisme monopoliste d’Etat (CME). Mais on lui doit aussi des essais regroupés sous le titre Sur la mise en mouvement du ‘’Capital’’ et parus en 1978 (éditions sociales-Terrains). Il y explorait le caractère dynamique et inachevé du Capital de Marx. Il appelait à prolonger Marx dans une réélaboration continue. Il s’attachait aussi à rejeter à la fois l’antihumanisme théorique de Louis Althusser et l’hyper humanisme philosophique de Roger Garaudy (celui des années 70), discutant aussi les conceptions de Maurice Godelier.
 
 
Le dernier essai de Paul Boccara prolonge ces travaux. Ce que l’auteur retient de Marx c’est non pas une doctrine figée mais la tentative de saisir la réalité phénoménale du capitalisme. Paul Boccara retient d’abord le projet fondateur de Marx, celui d’une critique de l’économie politique, autrement dit la volonté d’aller au-delà de l’économie, de reconstruire la société sur d’autres bases que les liens économiques entre les hommes. C’est la veine associationniste de Marx qui est mise en valeur ici. 
 
Avec l’idée d’anthroponomie Boccara reprend l’idée de Marx comme quoi le capitalisme représente une révolution anthropologique 
 
Le point de vue de Marx que Paul Boccara reprend particulièrement est le fait que le capitalisme changerait la nature humaine elle-même, constituant une révolution anthropologique, agissant sur les sphères non économiques de la vie humaine, ce que P. Boccara appelle l’anthroponomie, une idée centrale chez Marx. « En même temps que l’homme agit par ce mouvement de la production sur la nature extérieure  et la modifie, il modifie sa propre nature » (Marx, Le Capital, Livre I). Cette hypothèse de la production de l’homme par lui-même est présente chez Marx dès les Manuscrits de 1844. 

 
En outre, dans la lignée du Livre III du Capital, P. Boccara développe une analyse de la suraccumulation/dévalorisation du capital qui l’amène à mettre en cause avant tout le gaspillage capitaliste des êtres humains. C’est donc moins en fonction (ou pas seulement) de l’objectif d’une efficacité économique supérieure que d’un souci d’aller au-delà de l’économie que l’auteur se réfère à Marx, critique radical de l’économisme. De même, l’auteur développe des points de convergence entre analyses néo-marxistes et analyses néo-keynésiennes, Keynes ayant été pionnier en affirmant que « le développement du capital devient le sous-produit de l’activité d’un casino » (Théorie générale).
 
C’est pourquoi sur de nombreux points, Paul Boccara rejoint les propositions du collectif des « Economistes atterrés ». Très justement, Boccara insiste sur le choix par Marx de formes politiques décentralisées, autogestionnaires, au rebours de ses premières tendances, sous l’influence de la Révolution française, à la reprise des thèmes du centralisme révolutionnaire (Auguste Blanqui) et même de l’invention du concept de dictature du prolétariat. 
 
Marx n’était pas léniniste : il était pour l’autonomie ouvrière !
 
Il y a toutefois 3 points faibles dans les analyses de Paul Boccara. Face au capitalisme mondialisé, il ne comprend pas que la démondialisation est désormais la condition non suffisante mais nécessaire du dépassement du capitalisme et pour le dire plus clairement de la sortie du capitalisme car c’est de cela qu’il doit s’agir. La démondialisation est aussi une conséquence inévitable de la crise écologique. En outre, cette démondialisation ou relocalisation est cohérente par rapport à l’objectif marxiste de désaliénation. 

 
En second lieu, Paul Boccara prône une gouvernance mondiale. Faisant cela, il sous-estime, contrairement à Marx, le rôle nécessaire et persistant du politique. Or, si le politique retentit sur le monde, son lieu privilégié n’est pas le monde au sens de « les terriens » mais les peuples. On habite le monde mais on est citoyen d’un peuple, ou d’une communauté de peuples. 
 
Le libéralisme est anticonservateur au plan sociétal
 
Enfin, P. Boccara semble aveugle, contrairement à Jean-Claude Michéa ou Costanzo Preve - et aussi Francis Cousin -, au fait que le libéralisme est fondamentalement anticonservateur au plan sociétal, et que le capitalisme s’alimente d’une nouvelle culture pseudo-libertaire – le « nouvel esprit du capitalisme » étudié par Luc Boltanski et Eve Chiapello -, une culture qui, au nom de l’autonomie et des « droits » de l’individu aboutit à marchandiser tous les hommes et tout dans l’homme. Une élue du Parti socialiste, Christine Meyer, maire adjointe de Nantes, disait récemment : «En tant que femme de gauche, je fais un lien entre le libéralisme économique qui vise à supprimer toute norme ou règle faisant obstacle à la circulation généralisée des marchandises et la libération infinie des désirs qui elle aussi refuse toute norme ou obstacle.» (Marianne, 27 janvier 2013). On peut imaginer la formidable analyse que Marx aurait fait de ce processus. 
 

Caroline Fourest: féministe virile et journaliste engagée

Caroline Fourest: féministe virile et journaliste engagée

par Michel Lhomme

Ex: http://metamag.fr/

Le 17 janvier 2013 dans les salons d’honneur du ministère de la Culture, rue de Valois, la journaliste Caroline Fourest, ancienne présidente du Centre gay et lesbien (CGLB) s’est vue remettre par Aurélie Filippetti, ministre de la culture, les insignes de Chevalier de l’ordre national des Arts et Lettres, une distinction censée honorer “les personnes qui se sont distinguées par leur création dans le domaine artistique ou littéraire ou par la contribution qu’elles ont apportée au rayonnement des arts et des lettres en France et dans le monde”.
 
 
Chevalier de l’ordre national des Arts et Lettres
 
En 1998, Caroline Fourest coécrit, avec Fiammetta Venner, « Le guide des sponsors du FN »(Editions Raymond Castells). Utilisant de nombreuses sources écrites (publications proches du Front national, documents officiels), le livre dressera notamment la liste des nombreuses entreprises ayant financé le parti.
 
 
En 1999, elle publie, à nouveau avec Fiammetta Venner, « Les Anti-PACS ou la dernière croisade homophobe », (Ed Prochoix) une enquête sur les mouvements anti-PACS, leurs liens avec la droite catholique radicale et Christine Boutin.
 
 
En septembre 2008, profitant du voyage du Pape Benoît XVI, Caroline Fourest renoue avec son sujet de prédilection et enquête, en compagnie de Fiammetta Venner, « sur les réseaux intégristes catholiques » (Les nouveaux soldats du pape, Panama, Ed Panama).
 
Passée à l’audiovisuel, elle réalise une enquête sur « Les Réseaux de l’extrême », diffusée en quatre parties et en en prime time par « France 5 ».
 
Un auteur décrié
 
Caroline Fourest a été lauréate du prix National de la laïcité (2005), du prix du Livre politique (2006), du prix Jean Zay (2006), du Prix Condorcet-Aron (2008), du prix Adrien Duvand de l’Académie des sciences morales et politiques (2009) et du Prix de la licra(2010).
En 2008 André Waroch dans « France Terminus » évoquait Caroline Fourest en parlant du « quart-monde de la pensée ». Pascal Boniface, directeur de l’Institut des relations internationales et stratégiques (IRIS) la traitait quant à lui de « sérial-menteuse ».
 
Qui est Caroline Fourest ?

Caroline Fourest est née en 1975 à Aix-en-Provence. Après des études dans un collège privé catholique, elle s’installe à Paris à 14 ans. C’est durant son adolescence qu’elle découvre son homosexualité. Elle vit aujourd’hui en couple avec l’essayiste et politologue Fiammetta Venner, de quatre ans son aînée.  Elle est diplômée de l’École des Hautes Études en Sciences sociales et titulaire d’un DESS en sciences politiques obtenu à l’Université de la Sorbonne.
 
 
Pour « Le Monde » du 12 mai 2006, cette « militante se réclame d’un féminisme radical et libertaire » et se retrouve dans «tout ce qui est minoritaire ». Après avoir dénoncé presque exclusivement l’extrême-droite et l’intégrisme chrétien pendant plus de dix ans, Caroline Fourest surprit son monde en dénonçant, en 2006, dans deux livres, « Frère Tariq » ( Ed Grasset) et « La tentation obscurantiste »,(Ed Grasset) un islamisme radical intellectuel. Dans « Frère Tariq », Caroline Fourest propose une interprétation du discours de Tariq Ramadan, à partir de lectures et d'écoutes de ses livres et cassettes. Selon elle, Tariq Ramadan tient une sorte de «double discours», relativement libéral lorsqu'il s'exprime dans les médias et fondamentaliste et réactionnaire quand il s'exprime devant ses partisans musulmans. Tariq Ramadan affirmera qu'elle multiplie les approximations, les erreurs historiques et les mensonges.

Aujourd’hui en France, il y a une « orwellisation » de la pensée. Caroline Fourest y participe à sa façon. La meilleure arme à opposer restera toujours le bon sens, la vérité, et la connaissance.

EU wil genmanipulant Monsanto totale macht over ons voedsel geven

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EU wil genmanipulant Monsanto totale macht over ons voedsel geven

Ratten krijgen massaal agressieve kanker van Monsanto's producten, maar de EU heeft deze toch toegelaten.

Als het aan de Europese Unie ligt gaat de Amerikaanse multinational Monsanto bepalen wat wij in de toekomst eten. Diverse onafhankelijke wetenschappelijke onderzoeken hebben de afgelopen jaren uitgewezen dat Monsanto's genetisch gemanipuleerde zaden de gezondheid van zowel mens als dier grote en onherstelbare schade kunnen toebrengen. Niettemin wil de EU de omstreden producten van het concern vrij baan geven. Dat komt niet in de laatste plaats omdat Monsanto lobbyisten een stevige greep op diverse EU commissies hebben gekregen.

Er is veel verzet onder de Europese bevolking tegen de komst van genetische gemanipuleerde zaden, kortweg genzaden genoemd. Zowel vertegenwoordigers van onafhankelijke boeren als milieugroepen proberen te voorkomen dat Brussel binnenkort de complete macht krijgt over alle soorten groenten en fruit. De EU Commissie gaat volgende week een wet voorstellen die het vrijwel onmogelijk maakt om zaden te kopen die niet van de grote concerns afkomstig zijn.

Industrie stelt EU wetten op

Door de extreem complexe en ontransparante EU structuren heeft Brussel het voor gewone burgers doelbewust vrijwel onmogelijk gemaakt om enige invloed uit te oefenen op het besluitvormingsproces. Recent werd duidelijk dat de EU vaak wetten invoert die door lobbyisten van de industriële concerns zijn opgesteld. Amerikaanse internetbedrijven hebben zelfs een speciale stichting die hen toegang tot de EU parlementariërs verzekert.

Ook de zaden- en levensmiddelenconcerns hebben al jaren geleden een stevige greep op Brussel weten te krijgen, zozeer dat niet de politiek, maar de industrie -en met name Monsanto- bepaalt welke wetgeving wordt ingevoerd. Bovendien gebeurt dit op basis van 'wetenschappelijk' onderzoek dat door deze bedrijven zelf is uitgevoerd. De agrochemische lobby -de producenten van zaden en bestrijdingsmiddelen- is hiermee één van de machtigste in de EU. 'Hun handelwijze is deels zeer agressief,' verklaarde Nina Katzemich van de organisatie LobbyControl.

EFSA hand in hand met concerns

Hoe groot de invloed van de machtige biotechbedrijven is blijkt ook uit het feit dat in de zogenaamd onafhankelijke Europese levensmiddeleninstantie EFSA regelmatig personen zitten die rechtstreeks uit de voedselindustriële en agrochemische lobby afkomstig zijn en/of hier jaren een ongezonde relatie mee hebben of hadden:

* Harry Kuiper, EFSA genexpert, bijna 10 jaar nauw samenwerkend met het International Life Science Institute (ILSI) dat gefinancierd wordt door o.a. Coca-Cola, Danone, Kraft, Unilever, Nestlé en McDonald's en dat samenwerkt met Monsanto, Dupont, DowAgroSciences, Syngenta en Bayer;

* Diana Bánáti, bestuursvoorzitter bij zowel de EFSA als het ILSI. Na kritiek van het EU parlement trok ze zich in 2010 uit het ILSI terug, terug om daar in 2012 alsnog naar terug te keren;

* Suzy Renckens, EFSA gentechnologie leider tot 2008, daarna lobbyist namens Syngenta bij dezelfde EFSA;

* Albert Flynn, voorzitter van de voedselcommissie, afkomstig van het Amerikaanse concern Kraft. Hij zorgde ervoor dat omstreden graanproducten van Kraft in de EU werden toegelaten. Andere links tussen de EFSA en de industrie: Jiri Ruprich (Danone), Carlo Agostoni (o.a. Nestlé, Danone, Heinz).

De EU Commissie ging in 2012 zelfs zover door Mella Frewen, voorzitter van de Europese industrielobby FoodDrinkEurope en tevens oud Monsanto medewerker, tot het bestuur van de EFSA te willen benoemen. Na protest van het EU parlement werd haar nominatie ingetrokken.

Twee jaar eerder had de EU Commissie na intensieve lobby van BASF de gen-aardappelsoort 'Amflora' toegelaten. Na een onderzoek van het Corporate Europe Observatory  bleek dat meer dan de helft van de leden van de gentech-raad van het EFSA belangenconflicten hadden met de genetische industrie. De Europese Rekenkamer uitte daar zware kritiek op en het EU parlement eiste vervolgens meer onafhankelijkheid in de EFSA.

Ook andere EU commissies geïnfiltreerd

Andere EU commissies zijn eveneens door de genlobby geïnfiltreerd. Isabelle Clément Nissou zit in de directie van DG SANS (Europese Gezondheid en Verbruikers) en werkt tegelijkertijd voor de GNIS lobbygroep van de genindustrie. Dezelfde GNIS is in Frankrijk belast met de controle van de kwaliteit van het zaaigoed. Nissou heeft op deze wijze al diverse EU wetten negatief beïnvloed.

Eenzelfde dubieuze situatie deed zich voor bij het toestaan van controversiële bestrijdingsmiddelen die voor massale bijensterfte verantwoordelijk worden gehouden.

Onafhankelijk onderzoek ontkend

Ook wat wetenschappelijk onderzoek betreft zit de EU diep in de tas van de industrie, met name van Monsanto. Vorig jaar bleek uit een onafhankelijke Franse wetenschappelijke studie dat Monsanto's genmaïs bij ratten een veel hoger risico op agressieve kanker veroorzaakt. Omdat de EU dit maïs al had toegelaten betitelde Brussel dit Franse onderzoek als 'niet wetenschappelijk' en werd er dus geen actie ondernomen.

Draaideureffect ook in VS

In de VS bestaat hetzelfde 'draaideureffect' tussen politiek en industrie. Voormalig minister van Defensie Donald Rumsfeld was CEO bij voedselconcern Searle en verkocht dit aan Monsanto. Oud Opperrechter bij het Hooggerechtshof Clarence Thomas was advocaat voor Monsanto. Toenmalig minister van Landbouw Anne Veneman had zitting in de toezichtsraad van een Monsanto-dochter. Ex officier van Justitie John Ashcroft was één van de vele politici die grote sommen geld van Monsanto ontving voor zijn herverkiezingscampagne.

Monsanto maakt de dienst uit

De conclusie is duidelijk: Grote multinationals, maar vooral Monsanto, maken wat ons voedsel betreft de dienst uit in Europa. Als het aan de EU en Monsanto ligt gaat dat ook gelden voor de zeer omstreden genzaden. De naar verwachting dramatische gevolgen zijn voor ons en de generaties die na ons komen. En daar kan een andere, even machtige lobby, die van de farmaceutische/medische industrie, weer flink van profiteren.
Winst over rug burgers

De ene industrie maakt ons ziek, en de andere maakt ons weer beter (??). De Europese burger is anno 2013 vervallen tot een product over wiens rug een kleine groep industriëlen zoveel mogelijk winst probeert te maken en daar ruim baan van krijgt van de Brusselse politiek.

Xander

 

(1) Deutsche Wirtschafts Nachrichten

Quel rôle les dieux grecs ont-ils joué dans la guerre de Troie ?

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Quel rôle les dieux grecs ont-ils joué dans la guerre de Troie ?

Pierre Sineux

Ex: http://linformationnationaliste.hautetfort.com/

Au chant III de l'Iliade, Priam s'adresse à Hélène : "Tu n'es, pour moi, cause de rien, les dieux seuls sont cause de tout : ce sont eux qui ont déchaîné cette guerre" (III, 164-165). Les vieux Troyens, au demeurant, quand ils voient Hélène marcher sur les remparts, sont prêts à excuser tout à la fois Troyens et Achéens "si pour telle femme, ils souffrent si longs maux. Elle a terriblement l'air, quand on l'a devant soi, des déesses immortelles" (III, 156158). Hélène n'y serait pour rien ou plutôt, quand bien même y serait-elle pour quelque chose, ce serait la faute de cette part "divine" qui est en elle, cette beauté qui, précisément, la met du côté des dieux et matérialise une destinée de nature divine. Voyons les faits. Dans l'Iliade, il faut se rendre au chant XXIV pour trouver une allusion à l'événement qui déclencha la guerre de Troie alors que les dieux délibèrent au sujet du cadavre d'Hector, Héra, Poséidon et Athéna conservent leur rancune à l'égard de Troie et de Priam : "ils pensent à l'affront qu'en son aveuglement Pâris à ces déesses autrefois infligea : lors, dans sa bergerie elles étaient venues, mais il leur préféra celle qui lui fit don d'un objet de douloureux désir" (XXIV, 28-30). À Héra et à Athéna Pâris-Alexandre préféra Aphrodite qui lui fit don d'Hélène. Mais Pâris n'était en fait que l'instrument d'une querelle qu'aux noces de Thétis et de Pélée, Éris avait suscitée entre les trois déesses pour savoir laquelle des trois était la plus belle.

L'épisode figure dans les Chants Cypriens, une épopée perdue qui racontait les événements antérieurs à ceux qui sont évoqués dans l'Iliade, depuis les noces de Thétis et de Pélée jusqu'à la capture de Chryséis, la fille d'un prêtre d'Apollon, par Agamemnon. La guerre de Troie y apparaît en définitive comme le fruit d'un complot ourdi par Zeus et par Thémis. Zeus cherchait, en effet, à délivrer la terre du poids de tant de mortels ; Gaia, accablée par le nombre des hommes et par leur impiété, s'était plainte auprès de lui qui, d'abord, provoqua la guerre des Sept contre Thèbes puis qui, sur les conseils de Mômos ("Sarcasme"), maria Thétis à un mortel (ce sera Pélée et de l'union naîtra Achille) et engendra lui-même une fille très belle (de son union avec Léda naîtra Hélène). C'est ce qu'Euripide rappellera en faisant d'Hélène un instrument dont les dieux se sont servi pour dresser Grecs et Phrygiens les uns contre les autres "et provoquer des morts afin d'alléger la Terre outragée par les mortels sans nombre qui la couvraient" (Hélène, 1639-1642).

De l'origine de la guerre à l'histoire des batailles, tout, en apparence, dépend d'eux, l'idée même qui fait naître l'action puis le résultat d'une entreprise. D'emblée, à propos de la querelle entre Achille et Agamemnon, le poète le dit : "Qui des dieux les mit donc aux prises en telle querelle et bataille ? Le fils de Létô et de Zeus" (I, 8-9) : Apollon a vu l'un de ses prêtres, Chrysès, méprisé par Agamemnon (à qui il a refusé de rendre sa fille) et il descend des cimes de l'Olympe décocher, neuf jours durant, ses traits à travers l'armée jusqu'à ce qu'Achille appelle les gens à l'assemblée et que Calchas révèle l'origine de son courroux. On le sait, Agamemnon contraint de rendre sa captive, fera enlever Briséis, la "part d'honneur" d'Achille qui s'en va alors implorer sa mère. C'est précisément au moment où Zeus répond à la plainte de Thétis outragée en la personne de son fils qu'il fait parvenir un message à Agamemnon sous la forme d'un songe mensonger qui vient, alors que celui-ci est endormi, se poster au-dessus de son front : "Je suis, sache-le, messager de Zeus... Il t'enjoint d'appeler aux armes tous les Achéens chevelus – vite, en masse. L'heure est venue où tu peux prendre la vaste cité des Troyens. Les Immortels, habitants de l'Olympe, n'ont plus sur ce point d'avis qui divergent. Tous se sont laissé fléchir à la prière d'Héra. Les Troyens désormais sont voués aux chagrins. Zeus le veut" (Iliade, II, 26-33). Et puisqu'Agamemnon croit qu'il va le jour même prendre la cité de Priam, ignorant l'oeuvre que médite Zeus, il relance l'affrontement... Le monde homérique est donc peuplé de divinités en relation pour ainsi dire permanente avec les humains. Le dieu peut être favorable, défavorable, hostile ou bienveillant mais dans tous les cas de figures, il va de soi que son intervention est normale. On peut même aller jusqu'à dire que l'intervention des dieux est au coeur de la psychologie des héros d'Homère (Chantraine, 1952 : 48), ce que deux vers de l'Odyssée résument : "les dieux peuvent rendre fou l'homme le plus sage, tout comme ils savent inspirer la sagesse au moins raisonnable" (XXIII, 11-13).  

Si le dieu inspire la crainte ou la colère, donne l'élan de l'action, cela ne signifie pas que les héros sont dépourvus d'une volonté et d'un caractère qui leur sont propres. Causalité divine et causalité humaine coexistent, se doublent et se combinent comme le montre particulièrement la collaboration, voire la symbiose, qui se manifeste entre Athéna et Ulysse. Et lorsqu'à la fin de l'Iliade, Achille s'entend dire par Thétis que, selon la volonté de Zeus, il faut rendre le corps d'Hector, lui-même se laisse toucher par la pensée de son père que lui rappelle Priam, manque de se fâcher à nouveau, puis accepte... Dans de nombreux cas, au demeurant, ce sont les décisions prises par les héros et leurs actions qui poussent les dieux à intervenir : ainsi, quand Achille se bat avec Memnon, les deux mères divines, Thétis et Éos, entrent en scène. 

Ce rapprochement du divin et de l'humain commande en définitive la place des dieux dans l'épopée où le seuil que constitue l'immortalité tend à être sans cesse franchi. Achille est le fils de Thétis, Énée est le fils d'Aphrodite, Hélène est la fille de Zeus... Ces liens de parenté ne sont qu'un élément qui explique l'intérêt que les dieux manifestent à l'égard des hommes. Leur acharnement dans la lutte vient d'une façon générale de leur attachement pour certains mortels, leurs mérites ou leur piété – ou, inversement de leur aversion – et de la nécessité qu'il y a pour eux à exiger des honneurs de la part des hommes. Prenant parti pour les uns ou pour les autres – Héra, Athéna, Poséidon sont de tout coeur avec les Achéens, Apollon est tout entier du côté des Troyens, Aphrodite n'a d'yeux que pour Énée... – les dieux se retrouvent combattant les uns contre les autres.  

Or, précisément, tout à leur passion pour les affaires des hommes les dieux agissent et réagissent comme des hommes. Zeus a beau y faire, lui, le roi, l'aîné, le père souverain, il doit constamment rappeler à l'ordre sa famille prête à désobéir et à en découdre, ce qui ne manque pas de donner à l'épopée ici et là des allures de comédie. Et chacun de se quereller, de venir se plaindre à lui, de se moquer des uns et des autres. Et lui d'interdire aux dieux de se mêler de la guerre, de menacer de ses coups, de promettre le "Tartare brumeux" à ceux qui désobéissent. Lui-même craint sa femme, Héra, toujours prompte à le tancer : "... même sans cause, elle est toujours là à me chercher querelle en présence des dieux immortels, prétendant que je porte aide aux Troyens dans les combats" (Iliade, I, 518-521). Celle-ci peut le berner, en éveillant son désir puis en l'endormant (Iliade, XIV, 158-350) pour laisser Poséidon donner toute sa mesure dans le secours qu'il apporte aux Achéens. Ces histoires tout humaines dont l'épopée regorge mettent en lumière le caractère anthropomorphique des dieux et les limites de leurs pouvoirs.

On comprend alors que lorsque les dieux descendent de l'Olympe pour intervenir directement dans la mêlée, c'est sous une forme humaine, en prenant, le plus souvent, l'aspect d'un proche de la personne à qui ils veulent apparaître. Ce type d'épiphanie est fréquent : Aphrodite apparaît à Hélène sous les traits d'une ancienne servante mais elle est reconnue : sa gorge splendide, sa belle poitrine, ses yeux fulgurants sont ceux d'une déesse (Iliade, III, 396-398). Athéna vient au secours de Diomède qui la reconnaît et s'installe sur son char, saisissant le fouet et les rênes pour conduire les chevaux contre... le dieu Arès (Iliade, V, 839-842). Souvent, le dieu se cache dans une nuée aux yeux de la foule et ne se laisse voir que par le personnage à qui il veut se manifester : Apollon se fait reconnaître auprès d'Hector (Iliade, XV, 247-266) mais, au milieu des Troyens, il s'enveloppe d'un nuage (307). Parfois, lorsque le dieu apparaît sous les traits d'un proche, il peut laisser les mortels dans l'illusion : Apollon apparaît à Hector sous les traits de son oncle maternel, le vieil Asios, l'encourage à repartir au combat mais reste incognito (Iliade, XVI, 718). Les personnages d'Homère s'attendent à tout moment à rencontrer un dieu sous une forme humaine ; d'où la crainte, dans la bataille, de se trouver face à face avec un dieu : "Serais-tu quelque Immortel descendu des cieux ? Je ne saurais combattre une des divinités célestes" crie Diomède à Glaucos (Iliade, VI, 128). S'il arrive parfois que les dieux interviennent dissimulés, par une métamorphose, dans le corps d'un animal par exemple, la norme est bien une représentation anthropomorphique des dieux.  

On peut donc dire qu'en jouant leur rôle dans la guerre de Troie, les dieux révèlent, par la grâce du poète, leur anthropomorphisme, non seulement plastique mais fondamental : les dieux agissent et se conduisent comme des hommes. Autrement dit, la poésie épique donne une forme organique et visible à la sphère du divin et, en faisant des dieux les protagonistes d'un récit, elle leur attribue les qualités spécifiques aux individus : ils ont un nom, une "personnalité" et un caractère particuliers (Vegetti, 1993 : 388). Et pourtant... Les dieux sont bien différents. D'une certaine façon, ils apparaissent comme des héros dont l'areté (la valeur) aurait été poussée jusqu'à ses extrêmes limites : ils les surpassent par la beauté, la force, l'intelligence. L'éclat surgit dès qu'il est question d'un dieu. Laissons parler Thétis : "Zeus à la grande voix, assis à l'écart, sur le plus haut sommet de l'Olympe aux cimes sans nombre" (Iliade, I, 498-499). À cette image de la majesté divine, il faut ajouter ce trait qui change tout : les dieux sont immortels. Après avoir donné à Pélée des chevaux immortels qui pleurent la mort imminente de leur jeune maître Achille, Zeus se lamente : "Pauvres bêtes ! Pourquoi vous ai-je donc données à Sire Pélée - un mortel ! – vous que ne touche ni l'âge ni la mort ? Est-ce donc pour que vous ayez votre part de douleurs avec les malheurs humains ? Rien n'est plus misérable que l'homme entre tous les êtres qui respirent et marchent sur la terre" (Iliade, XVII, 443-447). Affirmation d'une supériorité qui fait des dieux des maîtres fondamentalement séparés des hommes.  

Nul doute que lorsqu'elle prend forme, l'épopée a pour toile de fond quantité de récits mythiques traditionnels sur les divinités et les puissances naturelles qui habitent et dominent le monde. Mais le plus remarquable est que pour faire le récit des derniers jours de la guerre de Troie, le poète, en sélectionnant, en mettant en œuvre et en réélaborant un immense matériau, a esquissé pour les siècles à venir la figure de ce qu'est un dieu grec.

Editions Klincksieck

lundi, 06 mai 2013

The Moral Hollowness of the Elites

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The Moral Hollowness of the Elites


Ex: http://www.alternativeright.com/

The Establishment presents itself as moral and opposed to low things like "prejudice," "narrow-mindedness," and "bigotry." This helps create a sense of arrogance that prevents them from questioning whether they have actually created a multiracial utopia or not. They are prejudiced, but against their own people. Furthermore, their unrealistic and irrational policies have brought about the very same situation that the ideology of the last sixty years was designed to prevent.

The dominant ideology since the Second World War has been multiracialism with variants like "anti-racism," enthusiasm for open borders, and other variations which are idealistic and progressive. The zealots for immigration have justified it by lies like "the economy needs it" or blaming working people, who "won't do the dirty jobs"! 

In the 1960s the New Left took over Liberalism. They kept the name but changed the content. For example, and this is profoundly important, individual rights were changed to group rights, which introduced totalitarian thinking, as group rights gave minority ("victim") groups preferential treatment over the host population ("the oppressors"). The watchwords of The New Left were “everything is political,” which reveals their totalitarian approach, and “we must change attitudes,” which uncloaks their social engineering agenda. Liberalism was effectively changed to a form of Marxist totalitarianism.

The New Left were not working-class socialists but Bourgeois-Socialists, with middle-class students serving as the apparatchiks. They eschewed economics for identity politics, which was effectively an inverse of Hitler's racial superiority ideology, as they promoted ethnic minorities, gypsies, and homosexuals - all groups that had the inverse endorsement of Hitler's disdain. These new Left Liberals were authoritarian where Classic Liberals genuinely believed in rights. The New Left took over universities in 1968 and nearly brought the French government down with riots in Paris. The London School of Economics and Berkeley in the US suffered similar occupations. Many leaders of New Left/Trotskyist groups, like Tariq Ali, then went on to become part of the new Establishment.

Up to the 1960s Liberals had undermined Western nations with guilt, but from then on it changed to hatred of their own people. Multiracialism has the same structure as Nazism, except Whites became the target group in place of Jews. It was a reaction to Hitler's attempt to exterminate European Jews and to stop that happening again. The people the Nazis persecuted were almost deified, while Whites became the scapegoats when things went wrong, as they always do now, under the term “racism.”

The New Left project was to destroy existing communities, especially the working-class communities that supported the old moderate Socialists, while using the term "communities" for their new constituency groups, the “Black” and “gay”communities.

The individual subjects of classic Liberalism were transformed into representatives of favoured groups, like “single mothers,” “lesbians,” “gays,” and “alternative life-styles.” Traditional units of organization, like the family and community, were opposed, and in their place personal freedom and sexual emancipation were promoted with little concern for the consequent unhappiness, loneliness, and deprivation. Abstract justification was all; practical consequences nothing. Schools' curricula were feminised and young White men were denied the invigoration of competition and suitable male role models.

The Liberal capitulation

This movement would have got anywhere without the support of major popular musicians of the time, like Bob Dylan and The Beatles. John Lennon donated money to the IRA and Black Panthers.

William Rees-Mogg, editor of The Times, defended Mick Jagger and Keith Richards who were on drugs charges in an infamous and cowardly article, “Who breaks a butterfly on a wheel?”  In 1971 the state capitulated to the convicted editors of the counter cultural OZ magazine when the Lord Chief Justice of England, Lord Widgery had them brought from prison and told them that if they agreed to stop working on the magazine their appeal would be certain to succeed, which is exactly what happened, making them "martyrs who had suffered nothing" and effectively mocking the remnants of conservative power in the state.

Classical Liberals believed in rights for ethnic people and homosexuals, but Cultural Marxists instead gave them preferential treatment and started moves to to dispossess and dehumanise Whites.

This shift in the 1960s can be characterized as a change from fighting for racial equality to dehumanising Whites as haters. The term “racist” replaced “racialist.” In a book review for The Salisbury Review of Spring 2003, Sir Alfred Sherman, former speech writer for Mrs Thatcher and leader writer for the Daily Telegraph, recalled the process at work in parts of London:

I was horrified. My natural vague sympathies for the immigrants, strangers in a foreign land, was replaced by strong but hopeless sympathy for the British victims of mass immigration, whose home areas were being occupied. I was made aware of a disquieting evolution in “Establishment” attitudes towards what they called immigration or race relations and I dubbed “colonialisation.” The well-being and rights of immigrants and ethnic minorities had become paramount. The British working classes, hitherto the object of demonstrative solicitude by particularly the New Establishment on the left, but the working classes had acquired new status as the enemy, damned by the all-purpose pejorative “racists."

 

In education Liberals allowed free expression within Liberal parameters. The style of essay writing changed to favour cultural relativism, with students asked to consider the pros and cons of a case, rather than rights and wrongs. Cultural Marxists also proceeded to remove many subjects from the curriculum, especially conventional history, because forgetting our common roots and shared ancestry would make it easier for them to socially engineer us into a new people ready for their utopia. The process of dumbing-down and reducing vocabulary, so that people could only think what the elites want them to, was also favoured.

The Public Abasement of Dissidents

Cultural Marxism derived much from Chairman Mao's Little Red Book, a fashionable item for middle-class students from the 1960s onward. Mentors like Herbert Marcuse and Eric Hobsbawm were open admirers of Stalin. In Marxist China and the Soviet Union dissent was typically dealt with through public show trials, where the victims publicly abased themselves and confessed their crimes. In contemporary Britain this persecution role is now in the hands of the media.

In 2007, Dr. James Watson, the 79-year-old geneticist who, with Francis Crick, discovered the structure of DNA, and who is regarded as one of the great scientists of his time, was persecuted for telling the Sunday Times that he was "inherently gloomy about the prospect of Africa" because "all our social policies are based on the fact that their intelligence is the same as ours – whereas all the testing says not really." He also said there was a natural desire that all human beings should be equal but "people who have to deal with black employees find this not true." He claimed the genes responsible for creating differences in human intelligence would be found within a decade.

The British establishment's agency of inquisition, the Equality and Human Rights Commission, responded, saying it was studying Dr Watson's remarks "in full." Politicians moved to persecute him: "It is a shame that a man with a record of scientific distinction should see his work overshadowed by his own irrational prejudices," opined David Lammy, the Skills Minister.

The loathsome mayor of London Ken Livingstone said, "Such ignorant comments...are utterly offensive and give succour to the most backward in our society." The Science Museum cancelled a sell-out meeting it had planned to hold to honour Watson on the grounds that his remarks had gone "beyond the point of acceptable debate." Several other centres scheduled to host his talks followed suit. What a scientific argument! His employers, the Cold Spring Harbor Laboratory in Long Island suspended him as chancellor. Scientist Richard Dawkins saw the real issue:

What is ethically wrong is the hounding, by what can only be described as an illiberal and intolerant "thought police," of one of the most distinguished scientists of our time, out of the Science Museum, and maybe out of the laboratory that he has devoted much of his life to, building up a world-class reputation.

Around the same time "celebrity" Jade Goody had the "wrong attitude" to Indian film star, Shilpa Shetty, in Celebrity Big Brother, and was accused of racist bullying. The programme is based on getting an assortment of diverse characters into a house and titillating the viewers to keep the viewing figures up, with bullying and personality clashes. This is the whole attraction.

Following the clash Goody was presented as "common" and a "chav,"  a derogatory term for White working class Britons, while Shetty was made into something of a saint. This set the scene for the inevitable public kowtowing and abasement before the gods of multiculturalism. Jade kept apologising, confessing publicly that she was disgusted with herself - the Cultural Marxist rulers version of a Soviet show trial.

She had to be broken in public, made to repent and show abject contrition. Jade had some Afro-Caribbean ancestry. An honest person would look for a cause other than racism, like class envy or bad manners, but there is an ideology at work which imposes the same explanation on different situations – anti-White racism.

The British state is now persecuting a dissident, Emma West. The incident that got West persecuted was a film of her being abusive on a tram against multiracialism in general but to no one in particular. This was 18 months ago and the case has since been delayed, with five scheduled hearings cancelled, not for practical or legal reasons, but because West has not suitably abased herself and maintains a plea of not guilty. West is a danger to the authorities because pleading not guilty raises the threat of the case becoming a public debate and the state wants to maintain the illusion that everyone agrees with mass immigration apart from a few nutters.

The problems we are facing stem from the moral code imposed by the Enlightenment and the replacement of an aristocratic class, based on blood and land, with secular elites united by ideology with membership dependent on thinking and saying the right things - an Ideological Caste - with pretensions to morality based on abstractions. The climatic moment was the French Revolution. Even then, the perceptive French philosopher Joseph De Maistre analysed the problem in Considérations sur la France in 1797:

I will simply point out the error of principle that has provided the foundation of this constitution and that has led the French astray since the first moment of their revolution.
The constitution of 1795, like its predecessors, has been drawn up for Man. Now, there is no such thing in the world as Man. In the course of my life, I have seen Frenchmen, Italians, Russians, etc. I am even aware, thanks to Montesquieu, that one can be a Persian. But, as for Man, I declare that I have never met him in my life. If he exists, I certainly have no knowledge of him.
....This constitution is capable of being applied to all human communities from China to Geneva. But a constitution which is made for all nations is made for none: it is a pure abstraction, a school exercise whose purpose is to exercise the mind in accordance with a hypothetical ideal, and which ought to be addressed to Man, in the imaginary places which he inhabits....
What is a constitution? Is it not the solution to the following problem: to find the laws that are fitting for a particular nation, given its population, its customs, its religion, its geographical situation, its political relations, its wealth, and its good and bad qualities?
Now, this problem is not addressed at all by the Constitution of 1795, which is concerned only with Man.

Restructuring  Peoples' Thinking

In accordance with such abstractions and the moral pretensions of those who enforce them, we are being socially engineered and traditional ways of thinking systematically broken down.  Another example: The television programme Gypsy Wars contrasted a local woman and travellers who had invaded her land. They showed her as a representative of us but then presented the travellers in such a way as to make her attitudes seem mistaken, intolerant, and extreme.

They edited out all the young Gypsy men, because they are aggressive and would garner support for the woman; the life of the village threatened by the travellers was not shown, because that is appealing and viewers would sympathise with the woman. Also, the woman was selected because she is not typical of rural people, but a bit eccentric and someone who could be set up as the aggressor even though she was in fact the victim. When the police had to evict the travellers from Dale Farm in accordance with British law, the media again showed no men. This program was a casebook study of how television restructures people's thoughts to fit them into an anti-British ideology.

How do we counter the dominant ideology?

People follow the dominant elites because they appear strong and successful, and many who agree with us vote for the dominant parties for that reason. A conviction based on the knowledge that they follow in the steps of great national figures would help counter that disadvantage. For this reason it is important to emphasize traditions of opposition to multiculturalism and the fact that most of the great and the good in history have been on our side in one way or another

By linking to traditions, our people link with great historical figures, like Queen Elizabeth I and Lord Palmerston, who are role-models, as are Enoch Powell, the great 5th Marquess of Salisbury, who fought against immigration, and Sir Winston Churchill, who tried to introduce a Bill to control immigration in 1955 and wanted to fight the 1955 general election under the slogan "Keep England White."

In the US they have the precedent of Eisenhower's Operation Wetback. In 1949 the Border Patrol seized nearly 280,000 illegal immigrants. By 1953, the numbers had increased to over than 865,000, and the U.S. government had to do something about it. In 1954, agents found over one million illegal immigrants. 

The ideology of multiracialism was supposedly a reaction to Hitler's attempted extermination of European Jews, and its aim was to ensure that genocide would never happen again. But it is happening again, and it is being caused by the Western elites who pledged to stamp it out. They have been using every form of manipulation, intimidation, corruption, brainwashing, and bullying at their command. But the evils they employ in pursuit of a supposed "good" have become instead evils for the sake of evil.

Loi Taubira : Vote sous pression du « grand capital »

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Loi Taubira : Vote sous pression du « grand capital »

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Le débat sur le mariage homosexuel qui a accaparé l’actualité au cours des derniers mois tend à apparaître comme un débat franco-français lié à l’affrontement des partis et des sensibilités propres à l’Hexagone et l’outre-mer français. Il a pourtant une dimension internationale déterminante. Il n’est même, d’un certain point de vue, que l’un des champs de bataille dans une guerre non déclarée qui fait rage dans une grande partie du monde, pas seulement occidental.

En même temps que les parlementaires français débattent de la loi Taubira, en effet, le mariage unisexe fait la une aux États-Unis avec le recours auprès de la Cour suprême contre l’État de Californie qui a interdit le « mariage gay » par référendum (et un autre recours, le cas Wilson, tendant à faire reconnaître un « mariage » lesbien conclu au Canada).

Si la Cour suprême annule la décision de l’État de Californie comme contraire aux droits de l’homme, le mariage homosexuel qui, jusqu’ici, n’avait été admis que par neuf États sur 50 [1], deviendrait obligatoire sur tout le territoire de l’union. La décision de la Cour suprême est attendue pour la fin juin.

 Le business gay

Une des dimensions de cette bataille particulièrement âpre est l’intervention massive des plus grandes sociétés américaine en faveur du mariage homosexuel. 278 d’entre elles ont signé un mémoire déposé à la Cour suprême en tant qu’amici curiae (une procédure propre aux États-Unis, qui permet à des tiers, « amis de la Cour », de donner leur avis dans une affaire) lui demandant instamment d’admettre cette revendication.

Parmi les signataires, rien que du beau linge : Apple, Bain & Co, Bank of New York Mellon, Black Rods, CBS, Facebook, Goldan Sachs, Jet Blue, Johnson & Johnson, Starbuck, Twitter, Viacom, Walt Disney. Tous les secteurs sont représentés mais d’abord la banque et la communication.

Ce mouvement des grandes sociétés en faveur du mariage homosexuel se fonde sur l’idée que le reconnaître serait « bon pour le business ». Il est, au dire d’observateurs, un fait nouveau, illustrant l’emprise croissante de la culture « gay » sur l’Amérique des affaires.

La bataille qui fait rage outre-Atlantique va jusqu’à des campagnes de boycott commercial par l’un ou l’autre des camps. Que dirait Disney si les familles nombreuses qui peuplent notre Manif pour tous boycottaient Disneyland ?

Relativement discret dans son premier mandat, le président Obama est aujourd’hui ouvertement engagé du côté des partisans du mariage homosexuel.

Socialisme et grand capital

On peut mettre l’engagement d’une partie du business américain en parallèle avec l’aide que reçoit de sociétés comme Microsoft ou Ernst &Young, la Fondation Terra Nova, proche du Parti socialiste et ardente promotrice des réformes sociétales.

Un rapport récent de cette fondation avait attiré l’attention en 2011 car il proposait que le Parti socialiste prenne définitivement ses distances avec ses appuis historiques, classe ouvrière ou fonctionnaires, pour se tourner vers « une nouvelle alliance des diplômés, des jeunes, des minorités , des femmes, des urbains et des non-catholiques, tous supposés tournés vers l’avenir et adeptes du libéralisme culturel ».

De ce côté de l’Atlantique, la fondation socialiste n’effraye pas non plus le grand capital : Areva, Air France, Casino, EADS, Suez, Sanofi, Vivendi lui apportent leur soutien.

On s’est interrogé sur le financement des femens, ces jeunes femmes venues d’Ukraine pour perturber les manifestations anti-mariage unisexe en France. Il semblerait que pour une jeune femme de ce pays encore très pauvre, où le taux chômage est élevé, la condition des femmes très difficile (notamment en raison de l’alcoolisme, générateur de brutalités), il y aurait d’autres priorités que la condition des homosexuels en France (si tant est que sa promotion aille de pair avec la cause féministe, ce qui reste à prouver).

D’autant que vivre à Paris coûte cher. Mais elles y recevraient pour ce faire un salaire représentant trois fois le salaire moyen ukrainien !

Qui paye ? Parmi les financeurs possibles de ce mouvement, on cite le nom de George Soros, le milliardaire américain dont la Fondation pour une société ouverte s’attache à promouvoir la démocratie et surtout les idées libertaires en Europe de l’Est. Elle a pris pour cible depuis quelques années, le régime de Poutine, encore trop attaché à son gré aux valeurs chrétiennes et patriotiques.

Le Parti socialiste entretient, quant à lui, des liens suivis avec la galaxie du parti démocrate américain, en particulier la National endowment for democracy, fondation chargée de promouvoir à travers le monde la vision américaine « libérale » de la démocratie.

La France sous surveillance

C’est dire que ce qui se passe en France en matière de droits des homosexuels est observé attentivement par des forces internationales aussi puissantes que vigilantes. Pierre Berger, qui a osé dire : « Louer son ventre pour faire un enfant ou louer ses bras pour travailler à l’usine, quelle différence ? » et dont on connaît l’engagement en faveur des LGBT, est, sur ces sujets, pleinement en phase avec George Soros.

Ces forces, largement relayées à la commission de Bruxelles, ne séparent pas ce qui est libéral de ce qui est libertaire. La France était, à leurs yeux, en retard sur les deux plans. Elles attendaient du gouvernement Hollande qu’il « modernise » la France sur le double plan social et sociétal.

Sur le plan social, il s’agissait de remette en cause une législation protectrice héritée d’un siècle de politique social-démocrate, Le projet de loi « sur la sécurisation de l’emploi » est un pas dans ce sens mais jugé encore trop timide.  Sur le plan sociétal, on attendait bien sûr de lui qu’il fasse adopter à la France le mariage dit « gay ».

Pressé par ces puissants mentors, Hollande, ces derniers mois, a paru un peu mou sur l’un et l’autre dossier. Il ne serait pas étonnant qu’on l’ait mis en demeure de faire rapidement ses preuves, ne serait-ce que pour améliorer son image internationale désastreuse.

François Hollande a pris la décision, immédiatement après le vote du Sénat, d’accélérer le passage en force de la loi Taubira. On a d’abord pensé qu’il voulait par-là se débarrasser vite d’une question épineuse. Mais cette accélération est en phase avec le calendrier mondial de la question.

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Suspecte précipitation

N’en déplaise à ceux pour qui la France n’est plus qu’un pays de second rang sans influence, l’adoption du mariage homosexuel chez nous pourrait avoir un impact sur les décisions attendues de la Cour suprême. Si la loi n’avait été votée qu’à l’automne, comme il en avait d’abord été question, elle serait, à cet égard, venue trop tard.

Si dans le courant de cet été l’adoption de la loi française se conjuguait avec une décision de la Cour suprême favorable au lobby « gay », l’équilibre mondial basculerait de manière décisive en sa faveur. Jusqu’ici en effet, contrairement à ce que prétend la propagande homosexuelle, seuls de petits ou moyens pays, au total 11 sur 200[2], avaient adopté cette forme de mariage ; les grandes puissances étaient toutes réticentes.

L’adjonction à la liste de deux pays comme le États-Unis et la France serait une victoire emblématique pour les partisans de la révolution libertaire ; la phase suivante, la destruction définitive du mariage pourrait être rapidement engagée.

Mais nous savons qu’en France, la décision ultime est désormais entre les mains du Conseil constitutionnel. Nous voyons par tout ce contexte combien sa responsabilité est lourde.

Abandon du mariage gay en Colombie

En Colombie, une proposition de loi autorisant le mariage entre personnes du même sexe vient d’être abandonnée mercredi 24 avril. Le Sénat a repoussé très largement ce texte qui ne pourra pas être transmis à la Chambre des députés, où il aurait dû être validé en dernier ressort. Bogota avait adopté le principe des unions civiles entre homosexuels en 2011. La Cour constitutionnelle avait fixé au parlement un délai pour décider ou non d’étendre cette législation aux mariages.

Notes :

[1] Plus le district fédéral de Columbia (ville de  Washington) et trois tribus indiennes.

[2] Sept monarchies : les Pays-Bas, la Belgique, le Danemark, la Norvège, la Suède, l’Espagne, le Canada et quatre républiques : l’Islande, le Portugal, l’Afrique du Sud et l’Argentine, à quoi s’ajoutent certains États des États-Unis, du Mexique et du Brésil (qui sont aussi des États unis).

Liberté Politique  http://fortune.fdesouche.com

Les Fêtes celtiques et les trois fonctions

Les Fêtes celtiques et les trois fonctions

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Nous prendrons pour point de départ les quatre fêtes canoniques irlandaises telles qu’elles sont énumérées et décrites dans les textes médiévaux :

• Samain (« réunion, assemblée ») au premier novembre ;
• Imbolc (« lustration ») au premier février ;
• Beltaine (« feu de Bel ») au premier mai ;
• Lugnasad (« réunion de Lug ») au premier août.

Il importe de remarquer que ces quatre fêtes ne portent pas d’autre nom, que leur nom est limité à l’Irlande sans être transposable à une quelconque fête continentale et qu’il n’y a aucun terme spécialisé en irlandais pour désigner la « fête » proprement dite. Le terme usuel, irlandais féil, gallois gwyl, breton gouel, est un emprunt au latin vigilia et ne sert à désigner que la fête d’un saint dans le calendrier liturgique chrétien. Pour les fêtes profanes, il faut se contenter de l’irlandais feasta et du breton fest (qui sont des emprunts, direct ou indirect, par l’intermédiaire de l’anglais, au vieux français feste). Le gallois a un autre mot : gwledd « banquet ».

 Nous vous renvoyons, quant à la description générale, à tout ce qui a été dit dans Les Druides (éd. 1986, p. 231-262) et dans La Civilisation celtique (éd. 1990, p. 160-163) et dans Les fêtes celtiques (éd. 1995). La répétition serait superflue. Mais nous insisterons ici sur l’aspect trifonctionnel des quatre fêtes celtiques lequel est très clairement implicite.

Samain, au 1er novembre, marque le début de la saison sombre, clôt la période d’activité militaire et marque le début de l’année. C’est la fête collective de toute l’Irlande puisque la présence de chacun est obligatoire sous peine de mort ou de sanction grave. Elle est l’occasion de cérémonies religieuses et officielles mais le principal moment en est un banquet auquel participent toutes les classes de la société. N’appartenant, ni à l’année qui se termine ni à celle qui commence, Samain est en dehors du temps chronologique et se situe de ce fait dans le mythe, sans idée de durée, c’est-à-dire en réalité dans l’éternité: des événements mythiques se produisent sans interruption ni discontinuité d’une Samain à l’autre, ce qui explique que les gens du sid puissent intervenir dans les affaires humaines ou laisser des hommes pénétrer dans le sid, voire les y inviter ou les y emmener. Avec la participation des druides, de la flaith ou noblesse guerrière et des gens du peuple, la fête est explicitement totale et trifonctionnelle. Elle a été remplacée dans le calendrier chrétien par la Toussaint et la fête des morts. C’est la seule fête celtique dont nous ayons la dénomination gauloise correspondante: Samonios dans le calendrier de Coligny. Le sens étymologique du nom est « réunion ».

Imbolc est, au 1er février, en dépit de tentatives étymologiques aberrantes, la fête de la « lustration » après toutes les souillures de l’hiver. Elle est très peu attestée dans les textes parce qu’elle a pratiquement disparu pour être remplacée par l’immense folklore de sainte Brigit, comprise en cette occurrence comme l’accoucheuse de la Vierge. Elle correspond aux Lupercales latines ou fêtes de février. C’est typiquement la fête de la troisième fonction productrice et artisanale. 

Beltaine « feu de Bel » est, au 1er mai, la fête du feu et des maîtres du feu et des éléments atmosphériques, les druides. Fête sacerdotale par excellence, elle indique le début de la saison claire et aussi le commencement de l’activité guerrière. Il n’y a pas d’équivalence continentale attestée mais, dans toute l’Europe, y compris l’ancien domaine celtique, le folklore de mai est immense et varié. C’est surtout celui qui a été le plus difficilement christianisé.

Lugnasad ou «assemblée de Lug» est, au 1er août, la fête royale par définition intrinsèque, en particulier celle du roi régulateur et « centre » de la société humaine. Cela explique les jeux, les concours de poésie et les assemblées de toutes sortes qui en marquent le déroulement. Mais le roi est toujours et en toutes circonstances, en tant que détenteur du pouvoir politique, le représentant le plus éminent de la classe guerrière. Le folklore a fait de Lugnasad une fête agraire à cause de sa position dans le calendrier mais c’est un glissement tardif et l’attribution à Lug de la fête résulte de sa position centrale dans le calendrier. L’équivalent gaulois, récupéré par la politique romaine du début de l’Empire, porte le nom latin de Concilium Galliarum ou « assemblée des Gaules ». 

Ces quatre fêtes ont en commun d’être décalées de quarante à quarante-cinq jours sur la date calendaire normale. Deux d’entre elles, Samain et Belteine, comportent des sacrifices et des cérémonies religieuses en même temps que des assemblées administratives et politiques. Elles ont toutes survécu et laissé des traces importantes dans le folklore irlandais. Samain a été récupérée par l’Église pour la fête des morts et de la Toussaint, cependant que le folklore de mai est resté très important dans toute l’Europe occidentale.

Pour aller plus loin :

1

• Christian-J. Guyonvarc’h et Françoise Le Roux, Les fêtes celtiques, Ouest France, 1995

2

• Philippe Walter, Mythologies chrétiennes, Imago, 2003.

Cattos  http://www.propagandes.info
 Source :  http://lecheminsouslesbuis.wordpress.com

L’être de l’aikido

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L’être de l’aikido

Ex: http://dhdc2917.eu/

L’aikido est le principe de la lignée des dix mille générations de l’univers.
 L’aikido est la vérité reçue du ciel, l’agissement merveilleux de l’aiki de takemusu.
 L’aikido est la voie d’harmonie du ciel, de la terre et des hommes.
 Mais encore, l’aikido est la voie d’ordonnance des dix mille choses.

O’Sensei Morihei Ueshiba

« La multitude des visages de l’aikido, apparaissant souvent comme antagonistes par certains de leurs aspects, doit nous engager à nous poser cette question essentielle, en nous tournant vers Ueshiba Morihei : qu’est-ce que l’aikido ? Si depuis la disparition de Ueshiba Morihei, l’intérêt légitime du pratiquant a été le faire et le « comment faire ? », la question de l’être, de ce qu’est l’aikido, a été le plus souvent éludée. En matière de discipline orientale, l’appréhension de l’être passe nécessairement par la pratique et par conséquent, la question de ce qu’est l’aikido et la question de savoir comment faire l’aikido sont uniment liées. Pour autant le questionnement quant à l’essence fait le plus souvent défaut. Or, c’est proprement l’objet de ces discours, et particulièrement du premier d’entre eux, transcrit dans le présent volume. Ueshiba n’explique pas ici tel ou tel mouvement. Il ne s’agit ni d’une description technique ni de la présentation historique de la discipline, mais plutôt de l’essence de ce qu’on appelle « aikido ». Ainsi, dès les premiers mots de cette conférence, Ueshiba nous propose-t-il d’opérer un changement de point de vue, d’une part, en nous détournant de la question proprement gestuelle du comment, et d’autre part, d’une manière plus fondamentale, en nous invitant à abandonner l’idée qui consiste à réduire le terme aikido à une discipline particulière. En effet, à la question qu’est-ce que l’aikido ? il ne répond pas par une phrase du type : « L’aikido est une discipline martiale créée en telle année dont les pratiquants, aikidoka, portent tels et tels vêtements et usent de telles armes… », mais par « L’aikido est le principe de la lignée unique des dix mille générations de l’univers », assignant ainsi au terme « aikido » la valeur d’un principe et non celle d’un fait particulier. Au fil de ces conférences, Ueshiba Morihei donne ainsi un double sens au terme aikido : le premier désigne la discipline qu’il fonde au cours du vingtième siècle, le second signifie un principe naturel* de création et d’ordonnance qui, comme tel, existe depuis toujours concomitant à la création du monde. Les deux aspects du terme ne sont pas étrangers l’un à l’autre, mais entretiennent, pour Ueshiba, un rapport de type causal : l’aikido en tant que discipline est l’expression phénoménale adéquate, le visage, ou du moins sa recherche, de l’aikido en tant que principe**.

Dès lors la question qu’est-ce que l’aikido ? ouvre un questionnement sur l’être de l’aikido en tant qu’il est à la fois principe et chemin vers la réalisation effective de ce principe. Le double sens du terme « aikido » renvoie ainsi à l’idée d’actualisation, autrement dit au passage d’une virtualité à sa réalité tangible. Il y a donc implicitement l’idée majeure, s’agissant d’un principe naturel, d’une évolution de la nature vers sa pleine réalisation, son parachèvement [kansei]. »

Bruno Traversi, in préface de « Takemusu Aiki » de Morihei Ueshiba.

———————————————-
* Le rapport de l’aikido avec la nature est communément admis. Toutefois, il faut préciser que nature doit s’entendre dans un double sens : la nature dans ses expressions, dans son foisonnement, et la nature en tant que force productrice et ordonnatrice du réel, autrement dit dans ses principes, nature naturée et nature naturante. On se fourvoierait certainement en pensant les techniques d’aikido d’après une imitation des formes et des mouvements de la nature. La corrélation entre nature et aikido doit se penser selon un plan plus fondamental, celui des principes. L’aikido, en tant que discipline, est naturel en ce que l’aikido, en tant que principe, est un principe naturel, et non une convention humaine et sociale. Et si, effectivement, on trouve entre les mouvements d’aikido et les mouvements de la nature une certaine similitude, c’est qu’ils sont produits selon les mêmes principes, issus d’une même origine ou racine [kongen].

** Ces notions sont particulièrement importantes pour comprendre que la génèse de l’aikido ne résulte nullement de la synthèse de différents arts martiaux, mais est un principe naturel qui se révèle à Ueshiba à travers diverses expériences spirituelles et martiales. Cet aspect fait l’objet de long développements dans ses conférences.

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Bismarck im Bett

Bismarck im Bett

Andrej Iwanowski, RIA Novosti

Ex: http://de.rian.ru/

bismark1295041568.jpgAm 6. August 1862 begegnet Otto von Bismarck in Biarritz dem russischen Fürsten Nikolai Orloff und dessen Gattin Katharina, geborene Trubezkaja. Der künftige „Eiserne Kanzler“ verknallt sich auf der Stelle in die 22-jährige Blondine. Er selbst ist bereits 47.

Völlig erfunden ist die Liebesgeschichte wohl nicht. Jedenfalls kann der russische Autor Eduard Topol, dessen Kurzroman „Bismarck. Die russische Liebe des Eisernen Kanzlers“ soeben in Moskau erschien, unter anderem auf den 1930 von Orloffs Enkel in Berlin herausgebrachten Briefwechsel zwischen Bismarck und „Kathi“ hinweisen – in dem allerdings die beiden einander siezen und in dem die junge Fürstin ihren wesentlich älteren Briefpartner mit „Onkel“ anredet.  „Natürlich war er kein Idiot, und sie war auch keine Idiotin, um den Charakter ihrer Beziehung in den Briefen erkennen zu lassen“, so Topol in einem Gespräch mit RIA Novosti. „Wenn man aber die Vorgeschichte kennt und sich das ganze Drumherum vorstellt, lese ich in diesen Briefen zwischen den Zeilen klar und deutlich: Die beiden waren ineinander verliebt. Und sogar mehr als das.“ 

Vor einigen Jahren war Topol nach eigenen Worten auf einen Zeitungsartikel gestoßen, wo es hieß, dass Otto von Bismarck „ein platonisches Verhältnis“ mit der russischen Fürstin hatte, als er 47 und sie 22 war. „Das gibt es nicht, dachte ich sofort“, so der Autor. „Das kann einfach nicht sein.“ 


„Ich besorgte mir Literatur über Bismarck. In ziemlich allen Büchern wurde die Geschichte mit Trubezkaja erwähnt, überall hieß es aber, dies sei eine zwar längere, aber eine platonische Beziehung gewesen. Je mehr ich aber über Bismarck las und je mehr ich mir diesen großen, starken, intelligenten und einflussreichen Mann vorstellte, desto weniger glaubhaft erschien mit dieses ‚Platonische‘.“ 

In Topols Roman geht der Autor gleich zur Sache: Das Ehepaar Orloff wohnt im Biarritzer „Hotel d’Europe“ genau über Bismarck. Nachts sind die Fenster in allen Zimmern dem Meereswind entgegen geöffnet, und der künftige „eiserne Kanzler“ muss dem Stöhnen des über seinem Kopf „auf dem Fußboden“ kopulierenden russischen Fürstenpaares zuhören.  Der arme Graf Bismarck weiß nicht wohin mit seiner Eifersucht und seiner Erregung. 
Fürst Orloff, Russlands Gesandter in Brüssel, ist zwar mit 35 wesentlich jünger als Bismarck, war aber kurz zuvor im Krim-Krieg neunmal verwundet worden. Dort hat er ein Auge verloren, ein Arm ist weitgehend gelähmt. So überlässt er seine temperamentvolle Gattin dem robusten Preußen: Beide wandern zu zweit über Felsen und schwimmen bis zur Erschöpfung im Meer. So etwas kann ja nicht gut ausgehen.

 Der heute in Paris lebende Fürst Alexander Trubezkoi, ein Ur-Nachspross in der rassigen Sippe der attraktiven Blondine, will es genau wissen: „Katharina Trubezkaja hat in der Tat ihren Gatten mit Bismarck betrogen, der aber dieses Verhältnis unterhielt, um vertrauliche Informationen über die russische Diplomatie zu ergattern. Die Franzosen nennen das ‚Bett-Diplomatie‘.“ Das erzählte er auch Topol, der Literat will ihm aber nicht glauben. Sein literarisches Metier ist die erotische Passion, und seiner Version bleibt er auch im jüngsten Werk treu. 

topoled.jpgDer heute 74-jährige Topol (Bild), der in den 70er-Jahren nach Europa und anschließend in die USA ausgewandert war, sich später aber auch in seiner postsowjetischen Heimat einen Namen machte, hat nämlich für Erotik einiges übrig. Mit seinen Büchern „Russland im Bett“, „Neues Russland im Bett“,  „Die unschuldige Nastja, oder: Die ersten 100 Männer“, „Ich will dein Mädchen“ etc. sorgte er dafür, dass seine Leserschaft in jedem neuen Werk von ihm auf Prickelndes wartet. In „Bismarck“ kommt sie – wenn auch nicht mehr so ausgiebig wie früher – auf ihre Kosten. „Ich kann mich noch erinnern, wie das funktioniert“, gesteht der Autor schmunzelnd. 

Ein Telegramm „von Fürstin Katharina Orloff an Minister-Präsident Otto von Bismarck“ vom 10.09.1864 soll angeblich in Archiven noch auffindbar sein: „Nikolai und ich haben heute in Darmstadt Kaiser Alexander und König Wilhelm besucht. Am 11.09. bleibt Nikolai bei Kaiser Alexander, ich fahre mit dem Zug zu meiner Freundin nach Heidelberg.“

Egal, was danach in Wirklichkeit passiert ist: In Topols Roman lässt Bismarck alles stehen und liegen, düst zum Bahnhof (sorgt natürlich dafür, dabei unbemerkt und unerkannt zu bleiben), steigt an einer Zwischenstation in den Zug und verbringt einen halben Tag zu zweit in Katharinas Abteil. Topol:„Es steht Ihnen frei, es sich so vorzustellen, dass sie diese Zeit beim Zigarrenrauchen und politischen Diskussionen verbracht haben.“ In seinem Roman wird es etwas anders beschrieben: „Sie steht auf, und ihre Pelzstola fällt ab von ihrem nackten Körper. Bismarck, vom Regen noch ganz nass, fällt vor ihr auf die Knie. (…) Einige Stunden später, am Bahnhof Weinheim, steigt Bismarck aus und kehrt mit dem Zug nach Frankfurt zurück.“ 


„Ein Fakt, der Bände spricht: In seinen Sarg ließ Bismarck laut Testament ein Uhrkettenanhängsel aus Achat legen, auf dem Katharina ihren Namen hatte eingravieren lassen, und einen Olivenzweig, den sie ihm einmal schenkte“, behauptet Topol. 

topolbis.JPGKatharina stirbt aber noch viel früher als er mit 35. Als Bismarck das erfährt, verfällt er für sieben Jahre in Depression. Inzwischen hat er als Politiker ziemlich alles erreicht, die Liebe seines Lebens ist aber nicht mehr auf dieser Welt. Wozu dann das Ganze? 

Von seiner Ausbildung her ist Topol Drehbuchautor und als solcher hat er seinerzeit auch die Moskauer Filmhochschule absolviert. „Der Roman ist aus einem Drehbuch entstanden“, gesteht er. „Ich stellte mir diese Geschichte gleich als einen Film vor: In schönen Kostümen, vor der historischen Kulisse, mit Kriegs- und Liebesszenen, mit namhaften europäischen Stars.“ Dass sich Bismarcks Geburtstag am 1. April 2015 zum 200. Mal jährt, ist Topol ebenfalls durchaus bewusst. „Wahrscheinlich werden die Deutschen aus diesem Anlass einen Film drehen wollen. Da stehe ich schon mit meinem Drehbuch startbereit. Was ich brauche, wären nur fünf Millionen Dollar.“