lundi, 12 septembre 2011
La distruzione della Libia, una crescente minaccia per la Russia
La distruzione della Libia, una crescente minaccia per la Russia
Guennadi Ziouganov
Ex: http://gazeta-pravda.ru/content/view/8768/34/
Pravda, 1 Settembre 2011
Secondo i media, le forze che cercano di rovesciare il governo della Libia hanno occupato la capitale, Tripoli, e diverse altre città. Ovunque siano commettono omicidi di massa e saccheggi. E’ stato anche saccheggiato l’eccezionale museo nazionale di Tripoli.
Tutto questo parla da se del tipo di persone coinvolte nella lotta contro il governo legittimo. E’ ben noto che l’”opposizione” che si sarebbe ribellata contro la “tirannia” di Gheddafi, sta ricevendo armi dall’estero. Ma ancora, non avrebbero potuto affrontare le truppe del governo libico, senza il sostegno massiccio dell’aviazione della NATO, che ha distrutto i centri di comando, depositi di munizioni e armi e le linee di comunicazione. I “ribelli” appaiono solo dopo che la tempesta di fuoco della NATO ha distrutto ogni cosa sul suo cammino.
Questo è certamente un intervento militare, accuratamente nascosto dietro lo schermo trasparente dei “ribelli”. In Libia, si sta perfezionando una nuova tattica per rovesciare i governi indesiderabili all’Occidente, con ampio uso di eserciti privati e di mercenari come ausiliari alla NATO. Tutto questa orgia si svolge sotto la copertura della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e con l’attuazione del “no-fly zone”, il cui presunto obiettivo era proteggere la popolazione civile della Libia dai bombardamenti. In pratica, gli aerei della NATO ha lanciato attacchi con missili e bombe, non solo contro le posizioni dell’esercito libico, anche contro le strutture civili nelle città. Di conseguenza, essi hanno ucciso migliaia di civili, tra cui anziani e bambini. Fatti come questi sono, secondo il diritto internazionale, un crimine contro l’umanità. Ma la lingua dei Gesuiti della NATO, le vite distrutte vengono chiamate “danni collaterali”.
La Libia è l’ultima vittima dell’intervento globale della NATO, che è diventato possibile dopo la distruzione dell’Unione Sovietica. Proprio in questo momento, con la scomparsa di una forza capace di affrontare l’avventurismo dell’oligarchia mondiale, apparve al nostro attuale “partner” la sensazione dell’impunità. Imposta dall’esterno, ebbe inizio la guerra civile in Jugoslavia, che si è conclusa dopo 78 giorni di bombardamenti di città e cittadine indifese.
Poi gli Stati Uniti ed i suoi alleati hanno invaso l’Iraq, impigliandosi nel filo spinato di quel paese. Poi seguì l’Afghanistan, convertito dalle truppe di occupazione in un ritrovo per la produzione di droga. Nel frattempo, le agenzie d’intelligence dell’Alleanza avviarono le rivolte “arancione” in Georgia, Ucraina e Moldavia. Passando anni a cercare di rovesciare il Presidente bielorusso Lukashenko.
La Siria è prossimo della lista, sottoposta ad attacchi di insorti armati dall’esterno. Assistiamo alla guerra di informazione contro il governo siriano. Prova eloquente dei preparativi per l’intervento della NATO.
Oggi il mondo affronta un nuovo colonialismo, nella sua variante più disgustosa e cinica, proprio come lo era due secoli fa. L’ex potenze coloniali, USA, Regno Unito e Francia ancora rivendicano il diritto di decidere del destino di qualsiasi stato sovrano. Durante questa operazione “umanitaria” hanno calpestato la Carta delle Nazioni Unite e le norme del diritto internazionale. Come risultato, la Libia è stata sommersa nel caos, e potrebbe eventualmente svilupparsi successivamente nello scenario somalo: la divisione in innumerevoli tribù e clan che si combattono tra loro. La Russia è anch’essa responsabile della tragedia in Libia, dal momento che il governo ha dato il via libera alla risoluzione anti-Libia delle Nazioni Unite, non usando il suo potere di veto e, quindi, unendosi alle sanzioni contro la Libia. Questo ha significato non solo che abbiamo perso 20 miliardi di dollari di potenziali benefici dal commercio e della cooperazione economica con questo ricco paese africano, ma abbiamo anche perso uno degli stati amici che avevamo nella regione strategicamente importante del Mediterraneo.
Se non finisce questa orgia del neo-colonialismo, la Russia con i suoi sconfinati territori e le sue enormi riserve di materie prime, diventerà uno degli obiettivi futuri dell’esportazione atlantista della “democrazia”. Indebolito da due decenni di cosciente deindustrializzazione e decadenza, con un esercito demoralizzato e distrutto, il nostro Paese inevitabilmente diventerà un bersaglio per l’intervento.
Il PCRF condanna la pirateria mondiale dell’oligarchia coloniale ed esorta il governo della Federazione Russa a prendere coscienza delle conseguenze più pericolose che comporta la collusione con gli aggressori.
Solo un governo forte e patriottico, in grado di rilanciare l’industria, l’agricoltura, l’istruzione, la scienza e la cultura, il nostro passato di potenza e il ritorno delle nostre Forze Armate, può salvare la Russia dal ripetersi dello scenario libico delle rivoluzioni “colorate”.
Link: [1] http://josafatscomin.blogspot.com/2011/09/destruccion-de-libia-crecela-amenaza.html [2] http://gazeta-pravda.ru/content/view/8768/34/ http://tortillaconsal.com/tortilla/print/9378
Traduzione di Alessandro Lattanzio
http://www.aurora03.da.ru http://www.bollettinoaurora.da.ru http://aurorasito.wordpress.com
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Géopolitique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, russie, europe, affaires européennes, géopolitique, libye, afrique, affaires africaines, afrique du nord, monde arabe, monde arabo-musulman, méditerranée |
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mercredi, 20 juillet 2011
Cossack Duty (music by Dmitri Khvorostovsky)
Cossack Duty (music by Dmitri Khvorostovsky)
00:06 Publié dans Musique, Terres d'Europe | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : terres d'europe, cosaques, cosaques du don, russie, europe, musique |
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dimanche, 17 juillet 2011
Artico: una nuova rotta commerciale per l'Asia

Artico: una nuova rotta
commerciale per l’Asia
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Ex: http://rinascita.eu/
La disputa per il controllo dell’Artico è appena iniziata. In ballo c’è il controllo delle risorse energetiche, le nuove vie per i traffici marittimi e i nuovi spazi per la pesca e il turismo. E proprio l’apertura del Passaggio a Nord-Est costituisce una delle risorse che Mosca intende sfruttare sul piano economico e commerciale.
Un cargo, MV Nordic Barents, ha trasportato oltre 40.000 tonnellate di minerale di ferro, dal porto norvegese di Kirkenes, salpando il 4 settembre scorso e diventando così la prima nave straniera a compiere un viaggio commerciale attraverso le acque dell’Artico russo. Il bastimento ha attraversato la North Sea Route (Passaggio a Nord-est), percorrendo le coste settentrionali della Russia per raggiungere e attraversare lo stretto di Bering. Circa tre settimane dopo, ha attraccato a Xingang, nel nord della Cina. “L’intero viaggio è andato benissimo. Non ci sono stati grandi ritardi ed è stato molto economico. Comparato al Capo di Buona Speranza, il risparmio per il solo carburante è stato di circa 550.000 dollari”, ha dichiarato Christian Bonfils, Ceo della Nordic Bulk Carriers.
I russi utilizzano le acque artiche tutto l’anno, oramai da decenni. Il progressivo ritrarsi della banchisa causato dal surriscaldamento globale negli ultimi anni ha spinto le compagnie di navigazione straniere a guardare verso nord nella speranza di sfruttare le nuove rotte di navigazione commerciale. Ma fino a poco tempo la rotta dell’Estremo Nord era chiusa alle navi straniere. Le aziende era obbligate ad utilizzare il canale di Suez, un viaggio che dalla Norvegia, richiede quasi il doppio del tempo. L’anno scorso la Tschudi shipping che possiede una miniera a Kirkenes, ha chiesto ai russi la possibilità di utilizzare la via del Mare del Nord per raggiungere la Cina, il più grande cliente della miniera.
“Abbiamo ottenuto un messaggio molto chiaro dallo Stato russo: Vogliamo competere con Suez”, ha sottolineato il Ceo Felix Tschudi.
Fino a quel momento l’incertezza era enorme per i costi d’ingaggio di un rompighiaccio russo. “Il prezzo che abbiamo pagato l’anno scorso [210.000 dollari] per il servizio fornito dal rompighiaccio è stata comparabile a quello per il Canale di Suez”, ha chiosato Bonfils. Ciò dimostra che nelle intenzioni dei russi qualcosa sta cambiando. A spiegare le cause è stato il professor Lawson Brigham, dell’Università di Fairbanks in Alaska, sottolineando che tutto ciò è dovuto alla volontà russa di sfruttare le risorse naturali dell’area. “Il motivo di fondo è che il Pil della Russia è legato allo sviluppo delle risorse naturali dell’Artico”, ha osservato il docente, ma interesse di Mosca è anche quello di realizzare un sistema di trasporto delle risorse naturali ai grandi mercati globali, in particolare a quello cinese. Nella regione infatti sono presenti enormi giacimenti di risorse naturali, tra cui nichel, ferro, fosforo, rame e cobalto, nonché idrocarburi. La Russia spera così di sfruttare le enormi ricchezze dei fondali artici e favorire commerci e trasporti attraverso il Passaggio a Nord-est, Una rotta questa più breve di migliaia di km rispetto alle altre: 13mila chilometri verso l’Asia, circa 10mila in meno rispetto alla rotta tradizionale del Canale di Suez. Per l’anno in corso è previsto un traffico di tre milioni di tonnellate, una cifra che il vice premier russo Sergej Ivanov conta di raddoppiare nel 2012.
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Eurasisme, Géopolitique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : arctique, routes maritimes, russie, europe, affaires européennes, asie, affaires asiatiques, géopolitique |
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samedi, 16 juillet 2011
Alexandree Douguine sur "Méridien Zéro"
Alexandre Douguine
sur "Méridien Zéro" (Paris)
00:05 Publié dans Entretiens | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : entretiens, russie, alexandre douguine, révolution conxwservatrice, tradition, traditionalisme |
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vendredi, 10 juin 2011
Siberian language

English translation - Nat Krause, http://store.barcodesforless.com
The Siberian language or Sibirskoj (сибирской говор) is standardised form of certain Northern Russian dialects. It was developed by the Volgota cultural group in 2005.
Historical survey
Historically, there were various East Slavic dialects spoken in the area north of Kiev and east of Polotsk which were distinct from Ukrainian and Belorussian, but also distinct from the Moscovite dialects that later became standard Russian. A distinct Novgorod dialect appeared in 11th or 12th century and was used in writing for several hundred years. The evolution of literary languages based on those dialects, however, was, as in other places, conditioned by the local political situation, and Novgorod was part of the Russian empire from the 15th century onward. When Mikhail Lomonosov layed the groundwork for the standardised literary form of Russian, it was influenced by only a few the empire's old Slavic dialects; in addition, it borrowed numerous words from Old Church Slavonic and other European languages. Thus, it is possible to construct independent literary languages based on dialects spoken in other places.
The Old Siberian dialect, originating from northern Russian and Cossack dialects, was in use by the end of 17th century in parts of Siberia. Unlike in Ukraine and Belarus, the people of Russian Siberia did not develop a literary language during the course of the 19th century. Throughout the 20th century the use of Siberian dialects declined dramatically because of the establishment of the Russian language as the official national language and because of the depopulation of Siberian peasantry which was basis of the dialects. However, in the middle of the 20th century, several linguistic research attempts dealing with the Siberian dialects were started.
In 1873, P. A. Rovinski's Remarks on the Siberian Dialect and a Dictionary of the Same was published by the Siberian News Department of the Russian Newspaper Society. Regarding the Old Siberian dialect, Rovinski wrote: "The Eastern Siberian dialect has a particular phonetic system and many distinct grammatical forms. The dictionary contains three thousand local words unknown in the general Russian language". The modern project of collecting grammatical rules to form the standard this language was undertaken by Yaroslav Zolotaryov, while the other members of the Volgota cultural group assisted in collecting vocabulary from the various rural areas where the dialects in question are spoken.
Phonology
Siberian phonetics has the norms of a north Slavic dialect: the "g" (Г) is pronounced as a stop ([ɡ]), even though this corresponds to the Ukrainian and Belarussian fricative [ɣ] in many words In Siberian, the letter shcha (Щ) is unused, and native speakers of the Siberian dialects sometimes have difficulty pronouncing the sound it represents, [ɕː], in Russian. In Siberian, the letters O (O) and Ye (E) are always pronounced fully as [o] and [jɛ], respectively, whereas, in Russian they are generally pronounced as reduced vowels when they occur in unstressed syllables.Siberian often simplifies consonants clusters into simpler sounds, particularly at the end of words; for example, Russian starost corresponds to Siberian staros and Belarussian voblast corresponds to Siberian voblas.
Siberian also lacks the letters Yo (Ё) and E Oborotnoye (Э), which were added to Russian in the 18th century.
Grammar
The grammar of Siberian is similar to that of Russian. The notable distinctive aspect Siberian grammar concerns conjugation. In Siberian, it is typical for an ending which includes the sound [j] between two vowels to be simplified into one vowel without [j]. Examples of this are Russian znayet, corresponding to Siberian znat, and Russian krasnaya, corresponding to Siberian krasna.
14:50 Publié dans Langues/Linguistique | Lien permanent | Commentaires (2) | Tags : sibérie, russie, langues, linguistique, langues slaves, slavistique |
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mercredi, 08 juin 2011
O. Gutsulyak: In the Presentiment Euroasian Mahdi
http://primordial.org.ua/archives/256#more-256
Oleg Gutsulyak: In the Presentiment Euroasian Mahdi
OLEG GUTSULYAK:
IN THE PRESENTIMENT EUROASIAN MAHDI
Interview to the Italian magazine “LA NAZIONE EURASIA":
BOLLETTINO TELEMATICO PER IL COORDINAMENTO PROGETTO EURASIA”)
(Conversation was conducted by editor-in-chief Daniele Scalea)
Русская версия интервью -http://primordial.org.ua/archives/123
Итальянская версия интервью – http://primordial.org.ua/archives/252
Translated by Sergiy Tyupa
Mr. Gutsulyak, you are the editor of “La Nazione Eurasia”, Ukrainian version. How you decided to do that? Who’s helping you in this work?
· Initially I was interested in the Italian version of “La Nazione Eurasia” and simply wanted to make something alike. There were some resources already in place, and after talking to my friends I learnt that they would be interested in it, too. The decision was made at the meeting of our Group for Studying the Basics of Primordial Tradition “Mesogaia”. The latter is just a section of a more extensive Ukrainian Intellectual Club of the New Right “Gold Griffin” (unfortunately, only two sections of the club are currently active – ours and the literature one; others are only nominal as the people who initially started them lost their interest). We presented the “LNE – UA” project as the one leading away from the narrow constraints of endless wails and weeping over “Ukraine’s bitter destiny”. We have a lot of authors, mostly graduate and undergraduate students and young teachers from our Precarpathian National Vasyl Stefanyk University and other universities, located in Ivano-Frankivsk (our city boasts three state and seven private universities!). The most active among them are Oleh Hrinkevych, Volodymyr Eshkilev, Ihor Kozlyk, Roman and Olga Ivasiv, Ivan Pelypyshak, Oleksandr Horishny, Oleh Skobalsky, Nataliya Lytvyn, Solomiya Ushnevych, Ulyana Makh, Oksana Stasynets, Sergiy Tyupa, Daniil Belodubrovsky, Yevhen Baran, and the late Teacher and Preceptor Yuriy Sultanov. I have to mention that they represent different nationalities living in Galicia – Ukrainians, Russians, Poles, Jews, Azerbaijanians, Moldavians, Hungarians, etc.; and different religions – Roman Catholic, Greek Catholic, Russian Orthodox, Ukrainian Orthodox, Judaism, Muslim, LDS, Neo-Paganism… At one point of time I was helped by Canadian interns who were of Ukrainian descent. “LNE-UA” is not our only project. The first one was our “Mesogaia” web site (http://www.mesogaia.il.if.ua); there is also the “Gall’Art” site (http://www.gallart.narod.ru) and a number of others, whose authors are the members of our Group (http://newright.il.if.ua, http://www.preussen-ua.narod.ru,http://www.goutsoullac.narod.ru, http://www.loveyourace.front.ru). Since printing services are so expensive, we can’t afford to publish a magazine or a newsletter, although we have materials sufficient for many issues. Our foreign friends also help us – Anton Rachev from Bulgaria, Sasha Papovich from Macedonia, Mohammed Nabil from Canada, Kevin Strom from the USA, Aleksandr Novoselov from Moldova, Andrei Pustogarov from Russia, Ellen Dovgan from Estonia.
What does the term “Eurasiatism” mean in your eyes?
· Ukrainian Eurasiatism has a peculiar historical tradition, dating back to early 1920s. That was a period of national movement for individuality, later referred to as “Shot Down Renaissance”. A group of Ukrainian intellectuals and writers with Mykola Fitilev-Khvylevy as their leader proclaimed the idea of “Asian Renaissance” and a slogan “To Psychological Europe!” looking at Ukraine as a peculiar intermediary between East and West, North and South, as a kind of subcontinent. I offered a name for this subcontinent – MesoEurasia, by analogy with MesoAmerica. But Ukraine, rather, resembles South-East Asia – the crossroads of a number of world civilizations (China, India, Islam, Oceania). But what is Ukraine by this analogy – Brunei, Malaysia, Singapore, Thailand, Vietnam, or Burma? I think, time will show.
Is there in Ukraine a big following for ideas as Eurasiatism and European nationalism?
· Yes, there is, and it is natural since Ukraine is one the crossroads between East and West. History proves that Ukrainians have never been aside from common European problems, whether in the Norman times or in the Cossack epoch. We are proud that in Kyivan Rus times our ancestors conquered Constantinople, crushed Mongols and Tatars, and crusaders (long before Russians did it); that Ukrainian troops fought at Grunwald, and that Ukrainian Cossacks seized Moscow in 1612 and then were protecting Vienna together with Polish troops; crashed Huguenots near Dunkirk and the Turks near Sinop. In our country we defeated powerful Polish armies, Peter the Great’s troops, and Bolshevik Red Army. And we have always realized ourselves as bearers of the high European Mission.
What do you think about the actual situation of your country, from a political and social point of view?
· Shortly we’ll take part in the re-run of the second round of the Presidential election. It is a great illusion both for the West and for Russia to think that Viktor Yanukovych is backed by Russia and that Viktor Yuschenko is backed by the USA. This myth was created by that part of the electorate who favour Russia and who consider Russian their native language. In reality Yanukovych is a protege of an extremely narrow stratum of extremely wealthy tycoons who played the Russian “card”, whereas Yuschenko became, perforce, a charismatic leader of the “potential catastrophe” stratum. After all, if current frequency deviated from 50 Hertz, Ukraine would “fall into itself” – energy system would collapse, communities would not be supplied with power and heating. In other words, at any moment a chain reaction of urban environment disintegration could start, together with disindustrialization and return from unbalanced Modern to Pre-Modern, just like it happens in popular “catastrophe movies” – with all mental consequences, resulting in total destruction of the civilization embryos.
How is relationship between Ukraine and Russia after the fall of USSR?
· It must be confessed that relations with Russia are one of the main factors of Ukraininan life, and these relations exist on different levels: between governments, businessmen, scientists, artists, relatives, and just friends. Sometimes they have this or that level of remoteness or intimacy. Not everything is so simple. Leonid Kuchma’s election pledges were in no way different from those of his Belorussian colleague Lukashenko – aiming at integration with Russia. However, when Kuchma came to power, he had to take into consideration not only the 45% of evident anti-Russian state of public opinion, but also the interests of both large-scale capital (who were not willing to see competitors from Russia on their territory and change the existing corruption schemes) and the feeling of a “proprietor” (“it is no concern of mine”) – the feeling that makes Ukrainian mentality different from the Russian one (the latter characterized with the feeling of collectivism).
You think – as Aleksandr Dugin – that President Vladimir Putin could be the leader of an alternative project to Atlantism, or you think he will finish to fall into line with US egemony?
· It is unlikely to expect from Putin, who can be viewed as the embodiment of Hoffman’s “little Zaches”. His desire to have everything under control is not a working habit of a KGB officer. This is the sign of weakness, an attempt to hold the situation firmly at hand. As the representative of the past he cannot admit publicly that Russia had won in the “cold war” – by winning over its own communism. Putin is incapable of offering to the post-Soviet elites any acceptable “vision of the future”, any development program, since the Russian elite have not developed these for themselves, either. You can’t get too far only on “nostalgia”. It is more likely that the world will witness the appearance of a new political personality who would be interesting to government elites in former USSR. He is awaited for with a certain mystical piety, similar to the feeling the Muslims have waiting for Mahdi’s advent. In other words, this “messiah” will come from the outside, from the world, which is transcendental to those, who potentially view themselves as America’s opposition.
What do Ukrainian people think about European Union?
· Apart from a small percent of people mourning for the former USSR, Ukraine’s population, no matter which language they speak or which religion they follow, realize that Ukraine’s entering to the European Union is inevitable. It’s quite another matter if we talk about the time when this is to happen. The majority of extreme nationalistic anti-Russian forces are advocating the immediate joining to the EU and NATO, and introducing European life standards to Ukraine. Their ideal models to follow are the Baltic states (Lithuania, Latvia, Estonia) and Poland. Moderate forces, including the pro-Russian ones, favour simultaneous entering to both the EU and the so-called Single Eurasian Space (alliance with Russia, Belarus, and Kazakhstan). This is referred to as “multi-vector policy”. It is the strongest, but the most difficult to achieve. Moreover, the Single Eurasian Space can be entered even now, but, having done this, Ukraine’s integration to Europe would become way more complicated. Besides, entering the Eurasian union may endanger the viability of the European vector. Secondly, the striving for SES on behalf of former USSR republics is solely and merely the striving for the Russian resources – not only raw materials, but also the infrastructure and technologies. Numerous appeals to longstanding unity of the “sister nations” are nothing but a bluff. As soon as Belarus has the slightest chance of tearing away from Russia and joining another centre of force, it will use its chance by two hundred per cent. Similarly, Ukrainians are not at all creating illusions about the European Union. The EU in its today’s format is incapable of pursuing concrete and independent policy since the current geopolitical structure is seriously distorted; and this framework is unsuitable for carrying out a strategic plan that the continent needs in order to avoid grave consequences of the Atlantic empire. This distortion is rooted in Britain’s presence in the Union. London is the world financial centre, and, purely in the British style, its people are present in Brussels with the only aim – to sabotage. It is evident from the way they hold their position about adopting the EU constitution.
The Chief of Pentagon, Donald Rumsfeld, has defined Eastern Europe as “the new Europe” – that means, a group of country faithful to USA. But really Eastern European peoples are believer of the “American Dream”, or only their governments are so?
· New democracies’ orientation towards the USA is only a developmental disease. In reality, they will bring to the USA so many problems in the future that the current anti-terrorism campaign would seem an easy promenade to Americans. Life is becoming more complicated than 20 years ago. And it will be becoming more complicated still. Think back to the Balkan war against the Ottoman Empire: the countries liberated by Russia soon became her foes (Bulgaria started a war, then fought against the Entente; Romania, Greece and Bulgaria crowned the representatives of German dynasties). Of course, a lot will depend on diplomatic moves of Washington, London, Moscow, and the EU, as well as on the development of networks of non-government and political organizations, focused on this or that “centre of force”. It is possible that as the tension between Old Europe and the USA continues to grow, part of New Europe will strive after the US and, strange as it may seem, be against it, just like centuries ago the Italic tribes declared a war on Rome just in order to receive Roman citizenship!.. And it is also possible that Turkey, geared by British capital, will lead the confrontation between New and Old Europe.
You are an expert of literature. Is there any writer or thinker that could be considered as a master for all European peoples, and an inspiring of European rebirth?
· The thing is that the unification of the Italian language resulted from Risorgismento, while Ukrainian Renaissance became possible because of the unification of the Ukrainian language. We were forced to fight for out independence, we were refused in existing as a unique nation. Just imagine a situation that Napoleon had won and proclaimed that Italian was only a dialect of French, and that Italian nation could not possibly exist and wouldn’t exist, either!.. This is why the Ukrainian literature had a completely different mission than other European national literatures. Its aim was to bring back the world of the people who had a heroic past, the past that was stolen and the past that the nation was destined to win back. For two centuries the Ukrainian literature, represented by Taras Shevchenko and then by Ivan Franko and Lesia Ukrainka, was pursuing this objective. It rejected the possibility of metaphysics that had barely sprung up in the Baroque epoch by Paisiy Velichkovskiy and Kyiv-Mohyla Academy. This line later turned into Russian “starchestvo” and impregnated Dostoevsky. The only air-way we had in this respect was the translations from European literature, we had and still have a brilliant translation school, almost everything is translated… It is only now that the young generation of Ukrainian authors is opening the metaphysics and, consequently, is becoming interesting to Europe. Yuriy Andrukhovych’s and Oksana Zabuzhko’s novels and poems have long ago been translated into German and Swedish, the English-speaking world knows the well-established “New-York Group” of poets, Yuriy Pokalchuk publishes in French; Yuriy Izdryk, Volodymyr Yeshkilev, Stepan Protsiuk are not unfamiliar names, either (as a rule, their works are first translated into Polish, which the German translators take as a certain quality mark). Moreover, Italy expresses interest to Ukrainian literature, too. A well-known poetess, Oksana Pakhlevskaya, the daughter of Ukraine’s living classical author Lina Kostenko, is chairing the Department of Ukrainian Studies at one of the Italian universities; Mario Grasso popularizes Ukrainians in his “New Moon Calendar”… Another thing I would like to add is that writing poems is peculiar to Ukrainian culture. I believe it is the manifestation of introvert national character. Everybody writes here, it’s a kind of national sport. Books of poetry are published in great numbers, poets are regarded as spokesmen of national aspirations, and are easily elected to the Parliament. As an example of that I can bring up a rather popular series “Modern Ukrainian Poetry”, published by Yuriy Vysochanskiy. I feel honoured that my best poems were published in this series.
You have particularly studied the works by Evola and Guenon, haven’t you?
· I can definitely say that I have studies all the available Russian and Ukrainian translations, as well as some English ones. Unfortunately, they are not numerous, but every day the number is increasing. One of my dissertation chapters is devoted to the “new right” and their spiritual leaders – Evola and Guenon. At one time I was member of a militarized organization “UNA-UNSO” (similar to Romanian “Iron Guard”) and was regularly published in its newspaper “Holos Natsii” (“The Voice of the Nation”). That was where we first started translating Evola and Guenon into Ukrainian. Then Ihor Kahanets, editor-in-chief of “Perehid-4″ magazine, continued this topic on a more professional level (http://www.perehid.kiev.ua). As for me, I’m trying to popularize these ideas, introduce them into serious academic writing; I hold a special seminar “Traditionalism Philosophy” at university, which, I hope, will soon turn into a full academic lecturing course.
What do you think about Karl Marx and his disciples?
I went through an excellent school of orthodox marxism-leninism both at secondary school and a Soviet university. I witnessed the realization of Karl Marx’s project from the inside, living in this country. Yes, there were times when I was keen on national-communist ideas and thoughе that Muscovite social-imperialists distorted the essence of socialism (the leading fighter for Ukraine’s independence Simon Petlura, our Simon Bolivar, proclaimed : “Without a socialist Ukraine we don’t need an independent Ukraine!”); there were times when I was listening to the Russian service of the Albanian radio, read everything about Che Guevara, Franc Fannon and the “new left”, distributed leaflets… But the truth turned out to be more complicated. And it indeed was a revelation when I read a social “Charter of Labour” of the Spanish Falangists. This changed me as a strike of lightning…
You are also an expert of anthropological questions. From a pure historical, ethnical and cultural point of view, which are the borders of European Nation?
· It would be caustic to say that the Russians are not a European nation. Maybe, they are the most European one. In the meaning that they preserved a European Christian tradition of Byzantine, which disappeared in Europe long ago. The French, for example, like to mention with sarcasm how at the dawn of the previous century they were taught at schools that Asia started beyond the Rhine. De Goll moved Europe to the Ural Mountains and added Siberia and the Far East as Europe’s dominions. The Ancient Greeks saw Asia beyond the Don river… If to take anthropologically, the Russians are pure Caucasians, just like the Finno-Ugric peoples that became their substratum. And nobody is disputing whether the Finns, Hungarians, or Estonians belong to Europe, it is unthinkable without them. They were Europe’s compensation for losing Indo-Irani and Tohar ethnic groups. Nature abhors a vacuum.
What are the main cultural bonds between Europe and Asia, and what the main cultural differences between Eurasian and American civilizations?
I share the point of view that Alexander the Great organized a totally new space for the world history by invading barbarian lands. And we are not talking about the Hellenistic world since the meaning of Alexander the Great’s image stretches far from the Mediterranean; the geographical remoteness of lands covered even in the legendary glory of his presence allows us to talk about a much wider understanding of the Mediterranean world. His mission was not merely to conquer the whole world, but rather to bring together and make this world agree semantically, with its centre always in the Mediterranean (the Inner Sea). The new Mediterranean space, established by Alexander, was joined by common elements of the material and spiritual culture. And this heterotopic, real, living world of Alexander (in contrast to Fuko’s utopian world) is, in fact, “Eurasia”. Even the USA, which appeared comparatively not long ago on the crest of the “Atlantic revolution”, coherently falls into this self-developing model. From this point of view, the USA is only one of the Mediterranean countries, continuing this macro space’s cultural history. Indeed, Europe and Asia, Eurasia and America are much closer to each other than it seems. In my opinion, these are mainly economic interests of some European transnational corporations with their headquarters in Britain that cause the confrontation between Europe and the USA; they are located in Britain because they are in interested in more flexible tax legislations and state budgets of the European countries since they mainly work for the defense orders. The West now is the battlefield for the bearers of the two vectors for market economy development – the American liberal economic government system with republican approach (liberal in economics and conservative in politics) and the Dutch-British financial government system with democratic approach (conservative in economics and liberal in politics). In other words, between the bearers of Plato’s idealism and Kant’s empiricism… Essentially, the nature of the confrontation is the same as the one between Byzantine and Persia in the 7th century, when the fire-worshipping Iran had seemingly fallen to Emperor Irakli’s feet, but the Arabian sands brought Mohammad’s cavalry… And it is no use wondering who is playing Persia’s role now – Europe or America… As for America, I fully agree with my new acquaintance from Piedmont – a geopolitics expert Fabricio Vielmini – that the USA’s crisis is irreversible and has nothing to do with the administration occupying the White House. If John Kerry had come to power, the democrats would have done everything more politely, but in reality they would have continued to fool other nations and continue the previous policy of maintaining the world hegemony position. Notwithstanding all his education and political correctness, Kerry offered the foreign policy program that essentially is not different from “tough Bush’s” policy. The remaining key elements are “terrorism”, constant and omnipresent “threats”, but there isn’t a single word on how to overcome the fundamental problems. In reality, the Democratic candidate’s global strategy implementation would mean the infringement of each Eurasian nation’s independence.
The religion – your is the Christian Orthodox one – has a great importance in your life and thought?
· As the majority of Western Ukrainians, I belong to the Greek Catholic Church, in other words, I am a Catholic of the Eastern Rite (by the way, most of the Ukrainian labour immigrants to Italy and Portugal are Greek Catholics and, naturally, belong to the European nation, complimentary to Western Europeans; this situation is different in Germany and England, where the immigrants are Muslims and Turks, or Arabs). The Orthodox Christians scornfully call us “uniats” since we are in union with Rome, and the head of our church is a Roman Catholic Cardinal. But the way to Christianity was not simple to me. When the atheist bans disappeared, most of the people here had to face the choice of spiritual orientation. As rule, most of them chose the religion of their fathers – in union with Rome. But I threw myself into spiritual search – first of all to the Oriental religions (especially Hinduism, I still am still not indifferent to it); then I came to neo-paganism (and even became one of the priests of a powerful neo-paganism movement in Ukraine RUNVira). But again, by the Divine Intent, Christianity opened to me in all its providential beauty, as the bearer of the Topic of Strength.
Is there something special you want to say to Italian readers of “La Nazione Eurasia”?
The linguists say that there two most melodious languages in the world. The first one is Italian, the second is Ukrainian. Also, medieval and modern travellers call Ukraine “Italy on the Dnieper banks”. At one time regions of our country were part of the Danube empire. At the dawn of its independence Ukraine try to “flirt” with France through the then President Kravchuk, but France either didn’t understand, or didn’t want to “hurt” its friend (i.e. Russia), and so it didn’t’ become Ukraine’s “center of gravity” and lost its chance, maybe, having been scared of possible expenses for another Guiana. Germany is more concerned with its relations with France…Maybe, we are interesting to Italy?
00:05 Publié dans Entretiens, Eurasisme | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : ukraine, eurasisme, russie, europe, affaires européennes, politique internationale, tradition, traditionalisme, mer noire |
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mercredi, 01 juin 2011
Le face à face russo-chinois

Le face à face russo-chinois : le « vide » sibérien face « au trop plein » chinois
par Marc ROUSSET
La Russie coopère avec la Chine dans le cadre de l’Organisation de coopération de Shanghaï (O.C.S.) qui vise à empêcher toute incursion de l’O.T.A.N. (ou des États-Unis seuls) en Asie centrale. Mais parallèlement, Moscou est très préoccupée de la montée en puissance de la Chine avec qui elle partage 4 300 km de frontières communes. La Russie ne peut oublier que les seules invasions du territoire russe qui aient réussi venaient toujours de l’Est. Moscou est donc de facto très ouvert à toute coopération européenne qui lui permet d’accroître l’encadrement international de la puissance chinoise émergente et également de renforcer sa capacité à défendre les richesses et le potentiel économique de la Sibérie, l’enjeu du XXIe siècle entre la Grande Europe de Brest à Vladivostok et la Chine.
J’ai à maintes reprises demandé aux puissances occidentales de ne pas identifier le communisme soviétique à la Russie et l’histoire de la Russie » a pu dire Alexandre Soljenitsyne. La Russie est en fait la sentinelle de l’Europe face à la Chine et à l’Asie centrale. L’Europe doit se considérer comme l’« Hinterland » de la Russie et voir dans la Sibérie le « Far East » de la Grande Europe. L’Europe ne va pas de Washington à Bruxelles, mais de Brest à Vladivostok. En Sibérie, en Asie centrale, l’Européen, c’est le Russe ! Ces thèmes ont été abordés dans mon ouvrage La Nouvelle Europe Paris-Berlin-Moscou. Il est donc intéressant de s’interroger sur ce que certains ont appelé le « péril jaune » pour le monde européen, suite au déséquilibre structurel démographique entre la Chine et la Russie et au « vide sibérien » face au « trop plein » chinois.
La démographie chinoise
La population de la République populaire de Chine s’élevait fin 2010 à 1 341 000 000 d’habitants. Si l’on y rajoute Hong Kong, Macao et Taïwan, la population de la Chine est la plus grande du monde et s’élève à 1 370 000 000 d’habitants, soit plus du cinquième de l’humanité.
La baisse rapide de la mortalité et le retard du contrôle des naissances sous Mao Tsé-Toung, encourageant un temps les Chinois à procréer une armée de « petits soldats » ont contribué à une forte croissance démographique. En 1953, la Chine totalisait seulement 582 000 000 habitants.
Toutefois, selon les dernières projections démographiques de l’O.N.U. (2008), la population chinoise pourrait ne jamais atteindre 1 500 000 d’habitants, plafonnant à 1 460 000 000 en 2035 avant d’amorcer une décroissance. La politique de l’enfant unique pratiquée par la Chine depuis 1979 sur la décision de Deng Xiao-Ping a porté ses fruits : quatre cents millions de naissances auraient été évitées en vingt-cinq ans. Le taux de fécondité a atteint une moyenne de 1,77 enfant par femme entre 2005 et 2010 quand il était de 4,77 entre 1970 et 1975 et déjà de 2,93 enfants par femme en moyenne les cinq années suivantes.
Il faut bien mesurer les limites de la politique de l’enfant unique. Dès sa mise en place, la loi obligeant tous les Chinois mariés à n’avoir qu’un seul enfant a été battue en brèche par deux exceptions de taille : les couples de paysans avaient droit à deux enfants si le premier s’avérait être une fille, et les ethnies non Han n’étaient pas soumises à la loi car menacées puisque minoritaires. D’autre part, seules les zones urbaines et les six provinces relevant du pouvoir central ont été soumises à la loi de l’enfant unique. Cet ensemble constitue 35 % seulement de la population chinoise totale. La totalité de la Chine a donc, en réalité, 1,47 enfant par couple.
En 2002, une loi autorisait un couple à avoir plusieurs enfants moyennant une taxe de six cents euros par enfant supplémentaire. Depuis juillet 2007, le gouvernement central autorise les couples composés de deux enfants uniques à avoir, eux-mêmes, deux enfants. Une ville comme Shanghaï, dont le niveau de vieillissement de la population est l’un des plus élevé du pays, est allée plus loin en 2009. Elle encourage les couples à avoir deux enfants en supprimant notamment les aides sociales allouées jusque là aux couples sans enfants.
Le gouvernement chinois aurait ainsi tendance à assouplir la politique de l’enfant unique. La Chine est tiraillée entre deux maux, surpopulation et déséquilibre entre les sexes, vieillissement de la population provoqué par un faible taux de la natalité. Les plus de 65 ans étaient cent millions en 2008; ils seront trois cent quarante millions en 2050, soit près de 25 % de la population. La réalité compliquée de la question démographique chinoise ne préjuge pas de ce que décidera finalement le gouvernement chinois. Un fait structurel et objectif demeure : il y aura toujours plus d’un milliard de Chinois au Sud de la Sibérie. Le déséquilibre structurel démographique de l’ordre de 1 à 10 avec la Russie est d’autant plus préoccupant que, comme le disait Aristote, « la nature a horreur du vide ».
Évolution et perspectives de la démographie russe
Le début du déclin démographique russe coïncide avec l’arrivée de Gorbatchev au pouvoir (1985 – 1991), c’est-à-dire avec la mise en place de la Perestroïka suivie de l’effondrement du système soviétique. En 1990, la Russie comprenait cent quarante-neuf millions d’habitants, cent quarante-cinq millions d’habitants en 2001 et cent quarante-deux millions en 2007, soit sept millions d’habitants en moins de vingt ans, un rythme de croisière de disparition du peuple russe de 400 000 citoyens de moins chaque année. En fait, le rythme de disparition était d’environ 800 000 habitants par an car, depuis la fin de l’U.R.S.S., 400 000 Russes ont quitté chaque année les ex-républiques soviétiques pour la mère patrie.
Au début des années 2000, selon Boris Revitch du Centre de démographie russe, l’espérance de vie était de 59 ans pour un homme à la naissance, soit vingt ans de moins qu’en Europe occidentale, pour plusieurs raisons : l’alcoolisme (34 500 morts par an), le tabagisme (500 000 morts par an), les maladies cardio-vasculaires (1 300 000 de morts par an), le cancer (300 000 morts par an), le S.I.D.A., les accidents de la route (39 000 morts par an), les meurtres (36 000 morts par an), les suicides (46 000 décès par an), la déficience du système de santé qui faisait la fierté de l’U.R.S.S. et qui était devenue une catastrophe sanitaire avec, par exemple, une mortalité infantile (11 pour 1000), deux fois plus élevée que dans l’U.E.
Tandis que de plus en plus de Russes mouraient, de moins en moins naissaient. À la fin des années 1990, il y avait au minimum trois millions d’I.V.G. par an en Russie, pour un million de naissances, avec un taux de fécondité tombé au plus bas en 1999 à 1,16 enfants par femme. L’habitat trop exigu dans les grands immeubles du système soviétique contribuait à la nouvelle habitude de l’enfant unique.
Dans son discours au Conseil de la Fédération en mai 2006, le président Poutine a confirmé la mise en place d’une politique nataliste par son bras droit Dimitri Medvedev, en aidant les jeunes couples à faire un second, voire un troisième enfant. Une batterie de mesures a été prise pour aider à la natalité. Les plus importantes sont des primes financières de l’État, des avantages fiscaux, mais aussi des aides au crédit et au logement. Les résultats du plan Medvedev couplés avec une politique migratoire de Russes de l’ex-U.R.S.S. et de nombreux Ukrainiens ont été fulgurants. La population a décru de 760 000 habitants en 2005, 520 000 habitants en 2006, 238 000 en 2007, 116 000 en 2008. En 2009 avec 1 760 000 naissances, 1 950 000 décès, 100 000 émigrants et 330 000 naturalisations, la population russe a augmenté pour la première fois depuis quinze ans de quelque 50 000 habitants. Le taux de fécondité de 1,9 enfant par femme en 1990, tombé à 1,1 enfant par femme en 2000 était remonté à 1,56 enfants par femme en 2009, soit un taux similaire à celui de l’Union européenne de 1,57 enfants par femme. Bien que le nombre d’avortements ait diminué, on recensait encore en 2008 1 234 000 avortements pour 1 714 000 naissances.
D’ici à 2050, la démographie russe va donc être soumise à deux forces contradictoires : d’une part, la politique nataliste gouvernementale, l’opinion publique hostile à l’immigration non russe, la construction en plein essor, les améliorations en matière d’éducation, d’agriculture et de santé (les quatre « projets nationaux »), le retour aux valeurs traditionnelles, à la religion orthodoxe et d’autre part l’effet d’hystérésis, suite à la chute de l’U.R.S.S., qui correspond à un rétrécissement structurel de la strate de population en âge de procréer (1), les influences néfastes de l’Occident et de sa « culture de mort » (libéralisation de la contraception, de l’avortement, de l’homosexualité, féminisme et travail des femmes, regroupement des populations dans les métropoles, destruction des petits agriculteurs, allocations familiales attribuées de plus en plus aux populations immigrées)
Trois prévisions démographiques majeures ont été envisagées pour l’année 2030 en 2010 par le Ministère russe de la Santé.
Selon une prévision estimée mauvaise, la population devrait continuer à baisser pour atteindre 139 630 000 en 2016 et 128 000 000 d’habitants en 2030. Le taux d’immigration resterait « faible » autour de 200 000 par an pour les vingt prochaines années.
Selon une prévision estimée moyenne, la population devrait atteindre 139 372 000 habitants en 2030. Le taux d’immigration serait contenu à 350 000 nouveaux entrants par an.
Selon une prévision haute, la population devrait augmenter à près de 144 000 000 habitants en 2016 et continuer à augmenter jusqu’à 148 000 000 en 2030. Le taux d’immigration serait plus élevé dans cette variante, soutenant la hausse de la population et avoisinerait les 475 000 nouveaux entrants par an. Sur vingt ans, on arriverait à une « immigration » équivalente à 8 % de la population du pays. Celle-ci serait principalement du Caucase et de la C.E.I., soit des populations post-soviétiques, russophones dont des communautés sont déjà présentes en Russie, et donc pas foncièrement déstabilisantes.
Pour l’année 2050, il nous paraît bien difficile pour ne pas dire impossible de se prononcer. Il semble donc plus raisonnable de retenir pour l’année 2050 dans les prévisions 2006 de l’O.N.U. (2), le point haut de 130 millions d’habitants, la prévision de l’O.N.U. étant de 107 800 000 habitants avec un point bas de 88 000 000 habitants.
L’enjeu de la Sibérie
Sibérie tient son nom de la petite ville de Sibir. L’étymologie du mot est incertaine, mais le terme pourrait provenir du turco-mongol sibir désignant un peuplement très dispersé. La Sibérie est la partie asiatique de la Fédération de Russie : une immense région d’une surface de 13 100 000 km2 (environ vingt-quatre fois la surface de la France) très peu peuplée (39 000 000 habitants soit environ 3 habitants au km2). Cette partie Nord de l’Asie représente 77 % de la surface de la Russie, elle-même deux fois plus grande que les États-Unis, mais seulement 27 % de sa population.
La Sibérie a les plus grandes forêts de la planète. L’intérêt économique majeur réside dans les richesses de son sous-sol, de pétrole et de gaz qui pourraient aller jusqu’au pôle Nord où la Russie a planté son drapeau par plus de 4 000 m de fond en juillet 2007. La Sibérie fournit de l’hydro-électricité et du charbon avec de riches bassins tels que celui du Kouzbass. Grâce à la Sibérie, avec cinq cents années de réserve, la Russie est le deuxième producteur mondial de charbon derrière les États-Unis. La Sibérie possède des gisements d’argent, d’or, d’uranium, de cuivre, de titane, de plomb, de zinc, d’étain, de manganèse, de bauxite, molybdène, de nickel… Un diamant sur quatre extrait dans le monde provient de Sibérie. Le réchauffement climatique ouvre la perspective d’exploitation d’autres immenses ressources en hydrocarbures. Moscou va être un acteur de premier plan dans la pièce qui va se jouer pour les ressources naturelles, la science et le transit maritime du XXIe siècle dans le Grand Nord.
La Sibérie d’aujourd’hui : un avant-poste des Européens face à la Chine
La Moscovie s’est construite contre les vagues déferlantes tartares et s’est toujours représentée comme une forteresse érigée au cœur d’un océan de plaines immenses et sans bornes. Les Russes ont colonisé la Sibérie, le Caucase et l’Asie centrale parce qu’ils étaient obligés de le faire. La Russie a connu pendant deux siècles le joug tartaro-mongol. La colonisation russe correspondait à des impératifs vitaux pour sa survie, à l’obligation géopolitique de trouver des frontières naturelles dont elle était dépourvue et qui était indispensable à sa protection. L’expansionnisme russe, contrairement à celui de l’Europe occidentale, était défensif et structurel.
Si les savants ont déclaré solennellement le paisible Oural au paysage ondulé, dont la pente ne devient raide que dans le nord, loin de la toundra, comme une ligne de démarcation entre l’Asie et l’Europe, les autochtones, eux, le considèrent comme une ligne de partage des eaux couverte de forêt, et rien de plus.
Les Russes se souviennent de Yermak comme d’un aventurier cosaque aussi remarquable que Magellan, d’un conquistador aussi intrépide que Cortez, car ce fut Yermak qui conduisit la première mission réussie dans la mystérieuse Sibérie, et qui inspira aux Russes l’idée de repousser leurs frontières de 6 200 km plus à l’Est, jusqu’à la côte asiatique du Pacifique. Trois fois dans l’histoire, la Sibérie fut traversée par des conquérants : par les hordes de cavaliers d’Attila et de Gengis Khan puis, en sens inverse, par le millier d’hommes de Yermak. C’est en 1558 qu’Ivan IV le Terrible accorde des privilèges d’exploitation des territoires situés à l’Est de l’Oural aux Stroganov, équivalents des Fugger, à la recherche de fourrures. Un mouvement est lancé qui conduira les cosaques sur les rives du Pacifique en 1639 (et même plus tard en Alaska). Tandis que Français et Allemands se disputaient quelques lambeaux de territoire en Italie et aux Pays-Bas, une poignée de cavaliers navigateurs explorateurs parcourait une étendue vaste comme vingt fois la France ou l’Allemagne, plusieurs centaines de fois l’Alsace, la Flandre ou le Milanais. À la fin du XVIIIe siècle, la Russie a conquis la Sibérie. Ce territoire reste aujourd’hui vide même si l’une des principales retombées du Transsibérien fut l’augmentation substantielle de la migration vers l’Est de l’Empire russe. 3 800 000 personnes émigrèrent vers la Sibérie entre 1861 et 1914 et contribuèrent à la russification des populations indigènes de Sibérie. Sans le Transsibérien, ces populations auraient émigré vers l’Amérique. La Sibérie ne comptait que 1 500 000 habitants en 1815, dix millions en 1914 et vingt-trois millions en 1960.
La nécessité de l’espace : une vérité qui n’est plus reconnue
Que depuis toujours la politique soit une lutte pour l’espace, pour acquérir une base, une place, que l’espace constitue l’alpha et l’oméga de toute vie, que la politique, la science, le commerce ne sont rien d’autre que l’acquisition de cet espace, voilà une vérité qui n’est plus reconnue.
Un avantage évident revient à qui, outre sa technicité, dispose aussi des matières premières nécessaires. Qui n’a que sa technique à offrir et doit importer les matières premières est désavantagé. C’est l’indépendance à long terme que de pouvoir se nourrir des produits de sa terre, que d’exploiter ses propres matières premières indispensables à la vie et à la protection, que de pouvoir se défendre avec des armes conçues et fabriquées chez soi. La certitude de pareils avantages, c’est un espace suffisamment grand qui la confère, si l’on s’en tient à l’exemple américain. A contrario, le Japon redeviendra à terme le vassal de la Chine simplement en raison du manque d’espace et donc de sa plus faible population par rapport à son futur suzerain.
L’espace contient tout ce dont nous avons besoin, même l’air que nous respirons et l’eau qui nous désaltère. Il constitue donc le bien suprême. Plus d’espace, c’est plus d’oxygène, plus de pain, plus de rivières et de forêts, plus de terrain pour bâtir sa maison, plus de terre pour les jardins, plus de possibilités de repos, plus de distance d’homme à homme, une sphère privée élargie pour chacun, plus d’occasions de fuir les bruits et l’intoxication des villes, plus de calme pour penser, élaborer des projets, travailler, rêver, réfléchir. C’est accroître tout ce qui rend la vie digne d’être vécue et qui, hélas, se fait de plus en plus rare. Renoncer à l’espace, c’est renoncer à la vie.
L’Eurasie, du Pacifique à la Baltique, peut contenir plus d’hommes que le territoire de l’Europe occidentale. Un droit à l’occupation doit donc être reconnu aux peuples européens sur l’espace allant du Sud du Portugal au détroit de Behring, en incluant le Nord-Caucase et la totalité de l’espace sibérien. Sur cet espace, cinq cents millions d’Européens et cent cinquante millions de Russes devraient pouvoir prolonger jusqu’à Vladivostok les frontières humaines et culturelles de l’Europe. Le grand défi de la Sibérie est son trop faible peuplement par trente-neuf millions de Russes avec le risque d’une colonisation rampante par la Chine. La Sibérie restera-t-elle russe et donc sous le contrôle civilisationnel européen ou deviendra-t-elle chinoise et asiatique ?
Les traités inégaux et l’actuelle frontière entre la Chine et la Russie
En 1689, suite à cinquante ans de confrontations armées inégales numériquement entre les cosaques et les Mandchous, les empires chinois et russe signent le traité de Nertchinsk : la Russie renonce à l’intégralité du bassin de l’Amour. L’empire Qing n’avait jamais occupé ces terres du nord, mais il ne souhaitait pas voir les Russes s’y installer. À partir du XVIIIe siècle, la Russie cherche cependant à devenir une puissance navale dans l’océan Pacifique; elle encouragea les Russes à venir s’y établir et développe une présence militaire dans la région. La Chine n’avait jamais gouverné réellement la région et les avancées russes passèrent inaperçues. Les habitants de ces territoires n’étaient pour la plupart pas des Hans, mais des Mandchous, des Tibétains ou des Turcs. Au milieu du XIXe siècle, le bassin de l’Amour restait ainsi une terre sauvage où sur un million de km2 ne vivaient pas plus de trente mille personnes.
Mais dans les années 1850, la donne géopolitique a changé, l’Empire chinois est affaibli. En 1842, la Chine, suite à la Guerre de l’Opium, avait cédé Hong Kong par le traité de Nankin. Une nouvelle expédition russe a lieu pour explorer la région du fleuve Amour. En 1858, la Chine doit signer le traité d’Aïgoun, considéré comme un des nombreux traités inégaux avec les puissances occidentales. La Russie prend le contrôle de la rive gauche de l’Amour, de l’Argoun à la mer. « La Russie a réussi à arracher à la Chine un territoire grand comme la France et l’Allemagne réunis et un fleuve long comme le Danube », commentait Engels dans un article. Deux ans plus tard, en même temps que le sac du Palais d’Été par la coalition franco-anglaise, la Russie confirme et amplifie ses gains par la convention de Pékin. Elle obtient la cession de la région de Vladivostok et Khabarovsk sur les rives droites de l’Amour et de l’Oussouri. Vladivostok qui était un village chinois du nom de Haichengwei « Baie des concombres de la mer » est fondée officiellement en 1860 et signifie « Seigneur de l’Orient ».
La Russie cherche plus tard à contrôler la Mandchourie pour protéger la Sibérie et élargir son ouverture sur l’océan Pacifique. Elle obtient la cession de Port-Arthur (Lüshunkou en chinois). La défaite face au Japon en 1905 ruine cette politique. La Russie renonce à la Mandchourie et doit céder Port-Arthur. Ce dernier retrouvera temporairement la souveraineté soviétique entre 1945 et 1955.
Dans les années 1960, les relations entre la Chine et l’U.R.S.S. se dégradent fortement et MaoTsé-Toung remet en cause les traités signés au XIXe siècle entre les empires russe et mandchou. À partir de 1963, les incidents frontaliers se multiplient. Dès 1964, le président Mao, dans un discours aux parlementaires japonais, fait allusion aux territoires perdus. Ces tensions aboutissent en 1969 à un affrontement armé pour le contrôle de l’île Damanski sur la rivière Oussouri qui fait des centaines de morts, en majorité chinois, mais n’aboutit pas à un nouveau tracé. L’U.R.S.S. envisage même de détruire préventivement les installations nucléaires chinoises. Dans les années qui suivent, la situation reste très tendue et n’évolue guère jusqu’aux années 1980.
À partir de 1988, à l’instigation de Mikhaïl Gorbatchev, les relations entre l’U.R.S.S. et la Chine se détendent et les négociations reprennent. Le 16 mai 1991, la Russie et la Chine signent un traité sur les frontières, qui laisse toutefois en suspens le sort de certains petits territoires disputés. Ces derniers points sont réglés par différents accords signés dans un contexte diplomatique nettement plus détendu. Le dernier traité est signé en 2004. À l’issue de ces règlements, la Chine a réalisé quelques gains territoriaux très mineurs par rapport aux traités antérieurs.
Le résultat final, c’est qu’aujourd’hui la frontière sino-russe est constituée de deux morceaux de longueurs très inégales situés de part et d’autre de la Mongolie. Elle est définie dans son intégralité depuis 2004. Le tronçon de l’Ouest ne mesure que 50 km. Le tronçon de l’Est mesure 4 195 km. C’est la sixième plus longue frontière internationale du monde. L’intégration des territoires frontaliers par les deux empires russe et chinois a été tout à fait différente. Les plaines du Nord-Est de la Chine ont été rapidement peuplées et mises en valeur par des colons chinois dès le début du XIXe siècle. Par contre, le peuplement de l’Extrême-Orient russe par des colons venus de Russie d’Europe a été moins important et beaucoup plus long (3). La différence entre les deux peuplements a donné naissance à une ligne de discontinuité de part et d’autre du fleuve Amour et de la rivière Oussouri : d’un côté, sept millions de Russes, de l’autre, plus de soixante millions de Chinois vivant dans les provinces frontalières du Jilin et du Heilongjiang. Les manuels d’histoire chinois apprennent aux écoliers que l’Extrême- Orient russe a été pris par la force à La Chine qui a signé les traités sous la menace.
Le danger chinois démographique et économique à court terme en Extrême-Orient et en Sibérie russe
En Russie, l’opinion publique est hostile à l’immigration. Contrairement aux affabulations de l’Occident, même si le « péril jaune » est très réel à terme, plus particulièrement en Sibérie et en Extrême-Orient, il y a à ce jour en Russie, un maximum de 400 000 Chinois, selon Zhanna Zayonchkouskaya, chef de Laboratoire de migration des populations de l’Institut national de prévision économique de l’Académie des Sciences de Russie, et non pas plusieurs millions comme cela a pu être annoncé. Les Russes ont veillé au grain et ont pris des mesures très sévères pour éviter une possible invasion. La seule immigration qui a été favorisée est le rapatriement de Russes établis dans les anciennes républiques soviétiques (Kirghizistan, Kazakhstan, Pays baltes, Turkménistan. ). Des villes comme Vladivostok, Irkoutsk, Khabarovsk, Irkoutsk Krasnoïarsk… et même Blagovetchensk, à la frontière chinoise, sont des villes européennes avec seulement quelques commerçants ou immigrés chinois en nombre très limité. Une invasion aurait pu avoir lieu en Extrême-Orient dans les années 1990, tant la situation s’était dégradée. Il est à remarquer que les migrants chinois de l’époque ont profité du laxisme et de l’anarchie ambiante pour filer à l’Ouest de la Russie. Être clandestin n’est pas aisé aujourd’hui en Extrême-Orient et en Sibérie : la frontière est relativement imperméable; le risque est grand; les hôtels sont sous contrôle étroit; le chaos qui suivit l’éclatement de l’U.R.S.S. est déjà loin.
Il n’en reste pas moins vrai qu’un climat d’hostilité, voire de peur, s’est développé envers les Chinois chez les Russes d’Extrême-Orient qui a été largement utilisé dans le débat russe sur les orientations de politique étrangère (3). En 2001, le XVe congrès du Parti communiste chinois avait décidé d’une stratégie de consolidation de la présence chinoise à l’étranger, en encourageant la population à émigrer. Pékin avait fait savoir à Moscou qu’il n’appuierait sa candidature à l’O.M.C. que contre la promesse de ne pas réglementer l’entrée de la main-d’œuvre chinoise sur le marché du travail russe. Le ministre russe de la Défense, Pavel Grachev, avait pu déclarer : « Les Chinois sont en train de conquérir pacifiquement les confins orientaux de la Russie ». Et, selon un haut responsable russe des questions d’immigration, « nous devons résister à l’expansionnisme chinois ». Le problème est d’autant plus grave, au-delà du taux de la natalité, que la région se vide et que de nombreux Russes repartent en Russie de l’Ouest. Ces dernières années, la région de Magadan a été délaissée par 57 % de sa population, la péninsule du Kamtchaka par 20 % et l’île Sakhaline par 18 %. La densité moyenne en Extrême-Orient est de 1,2 habitant au kilomètre carré contre une moyenne nationale de 8,5. Bref, selon les prévisions les plus pessimistes, l’Extrême-Orient russe peuplé de 6 460 000 personnes au 1er janvier 2010 pourrait ne compter que 4 500 000 habitants en 2015, contre 7 580 000 au plus haut.
Sur le plan économique, en 2002, selon l’analyste Andreï PIontkovsky, 10 % seulement des échanges de l’Extrême-Orient russe se faisaient avec les autres régions de Russie. 90 % des achats extra-provinciaux venaient de Chine, Corée du sud ou Japon à cause du coût prohibitif du fret aérien ou ferroviaire avec l’Ouest de la Russie. À Vladivostok, Khabarovsk, et à Irkoutsk en Sibérie, la plupart des voitures avaient le volant à droite parce qu’elles venaient directement du Japon où l’on conduit à gauche. Des mesures ont été prises tout récemment par les autorités, non sans difficultés, pour favoriser l’achat de voitures russes et abaisser le coût du fret.
La structure des échanges commerciaux bilatéraux avec la Chine s’est renversée depuis la fin de la guerre froide. La Russie devient le « junior partner » de la Chine. Dans les exportations russes vers la Chine, les matières premières dominent : produits minéraux (56,4 %) en 2008, principalement pétrole et dérivés; bois et dérivés (15,5 %); produits de la chimie (13,9 %); métaux et dérivés (5,3 %); seulement 4,4 % pour les machines, l’équipement et les moyens de transport. Les exportations chinoises vers la Russie sont, pour l’essentiel, constituées de ces derniers articles(53,9 %), ainsi que de métaux(8,4 %), de produits chimiques (6,8 %) et de textiles (15,1 %). Les autorités russes ne se satisfont visiblement pas de cet état de fait. Le Kremlin n’accepte pas que la Russie devienne un réservoir de matières premières pour la Chine et insiste constamment sur la nécessité de corriger la structure des exportations russes.
La Russie s’efforce aussi d’orienter les investissements chinois de façon à endiguer la désindustrialisation de l’Extrême-Orient russe. Plus globalement, le Kremlin est convaincu que fermer l’Extrême-Orient et la Sibérie à la Chine et à d’autres partenaires étrangers (Corée, Japon, pays d’Asie du Sud-Est ) reviendrait à les condamner à terme, voire à les perdre en les rendant plus vulnérables aux appétits territoriaux d’autres pays de la région, la Chine en premier lieu. En revanche, mettre en concurrence plusieurs pays étrangers dans cette région permet d’espérer qu’aucun d’entre eux « ne parviendra à atteindre l’hégémonie »; de plus, si les relations avec la Chine devaient se détériorer, la Russie aurait acquis la possibilité de défendre plus efficacement ses zones frontalières puisqu’elle les aura mieux développées. Moscou, on le voit, n’écarte pas complètement la perspective d’une réouverture des problèmes territoriaux avec la Chine, malgré le règlement du litige frontalier en 2008 et l’engagement des deux pays, dans leur traité d’amitié et de bon voisinage, à s’abstenir de toute revendication territoriale mutuelle.
Ce souci russe en Asie orientale apparaît encore plus nettement en Asie centrale. Dans cette région, Moscou ne se sent plus aussi sûr que par le passé de la force de ses moyens d’influence (minorités russes, liens historiques et économiques…). La Chine a considérablement étoffé sa présence économique dans cette zone depuis le début des années 2000 et semble en passe de supplanter la Russie comme premier partenaire commercial des États centre-asiatiques. Face à la force de frappe financière et économique de la Chine, la Russie va-t-elle longtemps pouvoir faire le poids ? Au sein de l’O.C.S., à l’heure de la crise économique globale, c’est Pékin qui a occupé le terrain en consentant aux membres de l’Organisation des prêts d’un montant de dix milliards de dollars. La situation est encore plus grave, aux yeux de Moscou, dans le domaine énergétique : la politique de Pékin va directement à l’encontre de la stratégie du Kremlin, déterminé à contrôler le plus possible les hydrocarbures de la zone Caspienne/Asie centrale afin de conforter ses positions face aux clients européens. Le lancement, fin 2009, du gazoduc Turkménistan – Ouzbékistan – Kazakhstan – Chine qui s’ajoute à l’oléoduc kazakho-chinois ne réjouit pas plus la Russie que les tubes Caspienne – Turquie contournant son territoire promus dans les années 1990 par les États-Unis. Au point que certains experts russes estiment que Moscou pourrait être tenté de fomenter des troubles dans le Turkestan oriental pour faire dérailler les accords énergétiques Chine – Asie centrale.
Les visées chinoises inéluctables à moyen terme sur la Mongolie extérieure et à très long terme sur la Sibérie
Le temps n’est plus où la Russie débordait de forces vives, jusqu’à pouvoir sacrifier vingt millions d’hommes dans la lutte contre le nazisme. On comprend mieux pourquoi les responsables russes continuent de refuser pour le moment de vendre certains matériels de portée stratégique tels que les chasseurs bombardiers de type TU 22 ou TU 95, ou encore des sous-marins de quatrième génération de la classe « Amour » ou « Koursk ». Selon le chancelier Bismarck, « l’important, ce n’est pas l’intention, mais le potentiel » et comme chacun sait, l’histoire n’est pas irréaliste (Irrealpolitik) et droit-de-l’hommiste, mais réaliste (Realpolitik) et imprévisible.
La montée en puissance de la Chine ne se traduira pas seulement par le remplacement progressif de l’anglo-américain par le mandarin en Asie, mais aussi par des visées territoriales.
L’expansionnisme nationaliste chinois se traduit d’une façon forte et brutale pour mater dans l’œuf et empêcher toute velléité de résistance, aussi bien au Tibet qu’au Xinjiang. Le chemin de fer à 6 200 000 dollars qui relie Pékin à Lhassa renforce l’emprise de la Chine sur le Tibet et sa capacité de déploiement militaire rapide contre l’Inde. Il est probable qu’après avoir maintenant récupéré Hong Kong et Macao de façon pacifique et selon les traités, la Chine a déjà et aura comme première préoccupation de rétablir sa souveraineté sur l’île de Taïwan. Avec ses 1 400 missiles pointés vers « l’île rebelle », Pékin a menacé d’écraser sous le feu ses « frères » taïwanais, s’ils devaient proclamer leur indépendance. Dans les faits, la réunification avec Taïwan est bel et bien en marche. Le mandarin est la langue officielle à Taïwan. Les vols aériens et les communications ont été progressivement rétablis avec le continent. La symbiose est de plus en plus étroite entre les deux économies
Une fois Taïwan sous sa coupe, la Chine cherchera tout naturellement à récupérer la Mongolie extérieure cédée par la Chine à la Russie en 1912 et devenue ensuite une république populaire, puis un État indépendant lors du démantèlement de l’U.R.S.S. « La Chine va d’abord s’occuper de Taïwan, puis ce sera notre tour » a pu dire B. Boldsaikhan, chef politique en Mongolie extérieure du mouvement Dayar Mongol. État de 1 535 000 km2, sous-peuplée avec seulement 2 800 000 habitants, dotée de très riches gisements aurifères et d’uranium, la Mongolie extérieure, pendant de la Mongolie intérieure autonome chinoise, est déjà contrôlée économiquement par les Chinois, quelque 100 000 Russes ayant fait très rapidement leurs valises en 1990. La Mongolie extérieure sera un jour inéluctablement envahie comme le Tibet et, au-delà de quelques protestations américaines, la Chine rétablira en fait une souveraineté légitime historique sur l’ensemble de la Mongolie qui date de la soumission de la Mongolie aux Mandchous en 1635. Gengis Khan est considéré en Chine comme un héros de la nation chinoise; un mausolée lui a été construit à Ejin Horo, dans la province chinoise de Mongolie intérieure, pour le huit centième anniversaire de sa naissance.
Puis ce sera le tour de l’Extrême-Orient russe. Selon Andreï Piontkovsky, directeur du Centre d’études stratégiques de Moscou, c’est la Chine de l’Orient et non pas l’Occident qui représente la menace stratégique la plus sérieuse pour la Russie. Ces revendications s’inscrivent dans le droit fil du concept stratégique « d’espace vital » d’une grande puissance qui, selon les théoriciens chinois, s’étend bien au-delà de ses frontières.
La Russie et la Chine occupent ensemble un espace géographiquement continu entre la mer Baltique et la Mer de Chine de 26 600 000 km2, habités par 1 400 000 000 personnes. Des similitudes apparaissent lors de l’analyse de l’histoire de ces deux grands et complexes blocs géopolitiques. Tous deux s’étaient constitués au détriment de l’empire nomade des Mongols, dont la Mongolie enclavée entre la Chine et la Russie, constitue le dernier vestige, avec la Mongolie intérieure, rattachée à la Chine, et la Bouriatie faisant partie de la Russie. Tous deux possèdent une zone périphérique, peu peuplée et sous-exploitée (la Sibérie et l’Extrême-Orient pour la Russie, le Tibet et le Xinjiang pour la Chine). Cependant, la Chine est plus peuplée que la Russie. Son poids démographique constitue en même temps un atout (le marché le plus grand de la planète) et un handicap majeur (le pays est surpeuplé et proche de la saturation). Certains spécialistes estiment que le seuil de l’auto-suffisance chinoise se trouve à 1 500 000 000 habitants. En Sibérie et en Extrême-Orient, il y a tout ce qui manque à la Chine : les hydrocarbures, les matières premières et l’espace pour développer l’agriculture. Un paradoxe se dessine, car la Russie est un géant géographique et la Chine manque d’espace. Ces deux ensembles géopolitiques sont donc condamnés soit à collaborer, soit à s’affronter. On se rappellera que le projet communiste a réuni ces deux géants géopolitiques pendant onze ans. La perspective d’un tel rapprochement était devenue le pire des cauchemars pour les responsables occidentaux et américains.
Le retour de la Russie sur le Pacifique était logique et inévitable. Cependant, avec un déclin démographique, la Russie est-elle capable de mettre seule en valeur la Sibérie ? Il n’est pas suffisant d’avoir une volonté politique, il faut également disposer de moyens. C’est pourquoi l’affrontement paraît à long terme inéluctable. Il est clair que l’O.C.S. n’est qu’une parenthèse tactique pour les deux futurs adversaires afin de mieux pouvoir contrer l’Amérique en Asie centrale. La puissance balistique de la Russie avec ses 2 200 têtes nucléaires est dans un horizon prévisible la seule garantie de non invasion de la Sibérie par la Chine.
Une leçon à méditer…
Selon Hélène Carrère d’Encausse, la Sibérie est « un espace vide aux abords d’une Chine surpeuplée » (4). Si l’Europe se considère à terme comme l’Hinterland de la Russie et ne se laisse pas envahir par l’immigration extra-européenne en préservant sa civilisation, elle peut constituer avec la Russie la Grande Europe qui serait une forteresse inexpugnable face à la Chine, l’Islam et l’Asie centrale. Dans ce cas, la Sibérie pourrait rester sous contrôle civilisationnel russe et donc européen.
Le schéma alternatif, c’est que les cent quarante millions descendants des Scythes soient envahis par un milliard et demi de Chinois qui brûlent de passer l’Amour tandis que l’Europe, déversoir naturel de l’Afrique, comme l’a d’ailleurs explicité le Libyen Kadhafi, est tout aussi menacée !
Pour ceux qui trouveront ces propos bien pessimistes, je souhaiterais leur rappeler cette magnifique exposition du musée Guimet : « Kazakhstan : Hommes, bêtes et dieux de la steppe ». Il fut un temps, dès le deuxième millénaire avant notre ère, où le Kazakhstan et l’Ouzbékistan étaient le domaine non des Asiates, mais des Aryens : les Scythes. D’origine et de langue indo-européennes, décrits par Aristote citant Hérodote comme ayant des « cheveux blonds et blanchâtres », les Scythes nomadisaient de l’Ukraine à l’Altaï. Leur civilisation était très riche et d’une rare finesse (art funéraire, maîtrise des métaux précieux, travail des objets utilitaires…). Comment une civilisation aussi brillante dont les chefs entreprenants et guerriers ne craignaient rien tant que mourir dans leur lit, ont-ils disparu ? Sans doute ont-ils été victimes de ce que les Slaves appellent « la peste blanche », la dénatalité. Et son inéluctable corollaire, la submersion par des ethnies à la natalité galopante et l’inévitable métissage. Dans leur match démographique contre la déferlante asiatique, les Scythes ne pesèrent pas lourd. Les hordes tartares les avalèrent et le génie de la race se tarit.
Une leçon à méditer pour les Européens de l’Ouest face à l’Afrique et pour les Russes en Sibérie face au trop plein chinois.
Marc Rousset
Notes
1 : Hélène Carrère d’Encausse, La Russie entre deux mondes, Fayard, 2009, p. 65.
2 : cf. le rapport de l’O.N.U., World Population Prospects : the 2006 revision.
3 : Sébastien Colin, « Le développement des relations frontalières entre la Chine et la Russie », dans les Études du C.E.R.I., n° 96, juillet 2003.
4 : Hélène Carrère d’Encausse, op. cit., p. 172.
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vendredi, 27 mai 2011
Deutliche Warnung an die USA
Deutliche Warnung an die USA: Moskau bezieht Position zu arabischen Aufständen
Am Tag vor der Grundsatzrede des amerikanischen Präsidenten Barack Obama zur Nahostpolitik am Donnerstag, dem 19. Mai, äußerte der russische Präsident Dmitrij Medwedew eine deutliche Warnung in Richtung Washington. Auch wenn der Inhalt der Warnung in keinem direkten Zusammenhang zum Nahen und Mittleren Osten steht, zeigt der Zeitpunkt doch, dass sie eine große Bedeutung für die Region besitzt. Sollte es im Falle des neuen Raketenabwehrschildes nicht zu einer Einigung kommen, erklärte der russische Präsident, könnte dies dazu führen, dass sich seine Regierung aus dem neuen Abrüstungsvertrag zurückziehe und in einen neuen Kalten Krieg gegen den Westen eintrete.
00:22 Publié dans Actualité | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : libye, afrique, affaires africaines, afrique du nord, monde arabe, monde arabo-musulman, géopolitique, russie, chine, etats-unis, actualité, politique internationale |
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jeudi, 26 mai 2011
Adzharian Dance - Horumi / Igor Moiseev's Ballet
Adzharian Dance - Horumi
Igor Moiseev's Ballet
00:04 Publié dans Musique, Terres d'Europe, Terroirs et racines | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : adjarie, géorgie, caucase, russie, musique, ballet, danse, terres d'europe |
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mercredi, 25 mai 2011
Greek Dance - Sirtaki - Igor Moiseev's Ballet
Greek Dance - Sirtaki
Igor Moiseev's Ballet
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mardi, 24 mai 2011
Borodin: Polovetsian Danses with Lyrics
Borodin: Polovetsian Danses with Lyrics
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lundi, 23 mai 2011
Nicholas Roerich
Nicholas Roerich
Nicholas Roerich and Alexander Borodin
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vendredi, 20 mai 2011
Solzhenitsyn and the Russian Question
Solzhenitsyn and the Russian Question
The death of Alexander Solzhenitsyn produced predictable reactions from Western commentators. Yes, they said, he was a moral giant for so bravely exposing the evils of the Soviet penitential system in The Gulag Archipelago; but he later compromised his moral stature by failing to like the West and by becoming a Russian nationalist.
A perfect example of this reasoning was Anne Applebaum’s piece in The Guardian. Herself the author of a history of the Gulag, she wrote,
In later years, Solzhenitsyn lost some of his stature …thanks to his failure to embrace liberal democracy. He never really liked the west, never really took to free markets or pop culture.
Such comments reveal more about their author than about their subject. We are dealing here with something I propose to call geo-ideology: the alas now widespread prejudice that “West” and “democracy” are identical concepts. In the minds of such commentators, moreover, the “West” is also identical with “free markets” and “pop culture.” The “West,” apparently no longer means “the Christian religion” or even that body of inheritance from the magnificent treasure-house of the cultures of Athens and Rome. Instead it means MTV, coke and Coke.
At every level these assumptions are false. Let us start with “free markets,” the endlessly repeated shibboleth of the globalisers. By what possible criterion can Russia be said to have a less free market than the United States of America, or than the majority of European Union member state? One of the key measure of the freedom of a market is the amount of private income consumed by the state. The income tax rate in Russia is fixed at a flat rate of 13% – a fraction of the 25% or so paid in the US, 33% of so paid in the United Kingdom and the 40% or more paid in continental Europe. As for pop culture, Russia unfortunately has plenty of it. Her youth are just as imbued with it, unfortunately, as the youth of Europe and America.
The comments also fail to present the reader with any serious analysis of Solzhenitsyn’s political position. The author makes vague and disparaging references to the unsuitability of Solzhenitsyn’s “vision of a more spiritual society” and to his “crusty and old fashioned nationalism” – judgements which appear to owe much to the Soviet propaganda she says she rejects. But she fails to allow the reader to know just what she means. Surely, on the occasion of a man’s death, it might be opportune to tell people about what he thought.
Anyone who reads Solzhenitsyn’s astonishing essay from 1995, The Russian Question at the End of the Twentieth Century, will see that this caricature is nonsense. There is nothing irrational or mystical about Solzhenitsyn’s political positions at all – and he makes only the most glancing of references to the religion which, we all know, he does indeed hold dear. No, what emerges from this essay is an extremely simple and powerful political position which is easily translated into contemporary American English as “paleo-conservatism.”
Solzhenitsyn makes a withering attack on three hundred years of Russian history. Almost no Russian leader emerges without censure (he likes only the Empress Elizabeth [1741–1762] and Tsar Alexander III [1881–1894]); most of them are roundly condemned. One might contest the ferocity of Solzhenitsyn’s attacks but the ideological coherence of them is very clear: he is opposed to leaders who pursue foreign adventures, including empire-building, at the expense of the Russian population itself. This, he says, is what unites nearly all the Tsars since Peter the Great with the Bolshevik leaders.
Again and again, in a variety of historical contexts, Solzhenitsyn says that Russia should not have gone to the aid of this or that foreign cause, but should instead have concentrated on promoting stability and prosperity at home.
While we always sought to help the Bulgarians, the Serbs, the Montenegrins, we would have done better to think first of the Belorussians and Ukrainians: with the weighty hand of Empire we deprived them of cultural and spiritual development in their own traditions… the endless wars for Balkan Christians were a crime against the Russian people… The attempt to greater-Russify all of Russia proved damaging not only to the living national traits of all the other ethnicities in the Empire but was foremost detrimental to the greater-Russian nationality itself … The aims of a great Empire and the moral health of the people are incompatible … Holding on to a great Empire means to contribute to the extinction of our own people.
There is literally nothing to separate this view from the anti-interventionist anti-war positions of Pat Buchanan (author of A Republic not an Empire) or Ron Paul.
After dealing with both the horrors of Communism, Solzhenitsyn of course turns his attention to the terrible chaos of the post-Communist period. Here again, his concern for the Russian people themselves remains consistent. He writes,
The trouble is not that the USSR broke up – that was inevitable. The real trouble, and a tangle for a long time to come, is that the breakup occurred along false Leninist borders, usurping from us entire Russian provinces. In several days, we lost 25 million ethnic Russians – 18 percent of our entire nation – and the government could not scrape up the courage even to take note of this dreadful event, a colossal historic defeat for Russia, and to declare its political disagreement with it.
Solzhenitsyn is right. One of the most lasting legacies of Leninism, which remains after everything else has been swept away or collapsed, was the decision to create bogus federal entities on the territory of what had been the unitary Russian state. These entities, called Soviet republics, contributed only to the creation of bogus nationalisms and of course to the dilution of Russian nationhood. They were bogus because the republics in question did not, in fact, correspond to ethnic reality: Kazakhs, for instance, are and remain a numerical minority in Kazakhstan, while “Ukraine” is in fact a collection of ancient Russian provinces (especially Kiev) and some Ukrainian ones. This bogus nationalism allowed the Soviet Union to present itself as an international federation of peoples, rather like the European Union today, but it was exploited by Russia’s enemies when the time came to destroy the geopolitical existence of the historic Russian state. This happened when the USSR was unilaterally dissolved by three Republic leaders in December 1991.
And this is the key to the West’s hostility to Solzhenitsyn. The man the West exploited to destroy Communism refused to bend the knee to the West’s continuing attempts (largely successful) to destroy Russia herself. Perhaps it is no coincidence that Anne Applebaum, an American citizen, is the wife of the Foreign Minister of Russia’s oldest historical enemy, Poland.
This article originally appeared in The Brussels Journal.
August 12, 2008
John Laughland's [send him mail] latest book is A History of Political Trials: From Charles I to Saddam Hussein.
Copyright © 2008 John Laughland
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jeudi, 12 mai 2011
O Barao "Sangrento" von Ungern-Sternberg - Louco ou Mistico?

O Barão "Sangrento" von Ungern-Sternberg - Louco ou Místico?
00:05 Publié dans Biographie, Eurasisme, Histoire | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : histoire, russie, sibérie, asie, eurasie, eurasime, ungern-sternberg, révolution d'octobre, révolution russe, guerre civile russe, armées blanches, russie blanche, biographie |
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mercredi, 11 mai 2011
Le plan de Staline pour conquérir l'Europe
Le plan de Staline pour conquérir l’Europe:
Comment l’Union Soviétique «perdit» la 2ème Guerre Mondiale
Daniel W. Michaels
Ex: http://www.counter-currents.com/
Viktor Suvorov (Vladimir Rezun)
Poslednyaya Respublika («La dernière république»)
Moscou : TKO ACT, 1996.
English original here [2]
Il y a maintenant plusieurs années de cela, un ancien officier du renseignement militaire soviétique nommé Vladimir Rezun provoqua de vives discussions en Russie à cause de son affirmation sensationnelle, selon laquelle Hitler a attaqué la Russie soviétique en juin 1941, au moment exact où Staline se préparait à submerger l’Allemagne et l’Europe de l’Ouest, en prélude à une opération bien préparée, visant à «libérer» toute l’Europe en la mettant sous domination communiste.
Ecrivant sous le nom de plume de Viktor Suvorov, Rezun a développé cette thèse dans trois livres. Le Brise-glace (qui a été traduit en anglais et en français [1989] ) et Dni M («M-Day») ont été présentés dans le Journal of Historical Review, nov-déc. 1997. Le troisième livre, présenté ici, est un ouvrage de 470 pages, «La dernière république : pourquoi l’Union Soviétique perdit la Seconde Guerre Mondiale», publié à Moscou en 1996.
Suvorov présente une abondance de preuves, montrant que quand Hitler déclencha son «Opération Barbarossa» contre la Russie Soviétique le 22 juin 1941, les forces allemandes purent infliger d’énormes pertes aux Soviétiques précisément parce que les troupes russes étaient très bien préparées pour la guerre — mais pour une guerre d’agression qui fut programmée pour le début de juillet — et pas pour la guerre défensive qui leur fut imposée par l’attaque préventive de Hitler.
Dans le Brise-glace, Suvorov détaille le déploiement des forces soviétiques en juin 1941, décrivant exactement de quelle manière Staline amassa de vastes quantités de troupes et de stocks d’armements le long de la frontière européenne, pas pour défendre la patrie soviétique, mais en préparation d’une attaque vers l’ouest et de batailles décisives en territoire ennemi.
Ainsi, quand les forces allemandes frappèrent, le gros des forces russes, terrestres et aériennes, étaient concentrées le long des frontières ouest de l’URSS, en face des pays européens contigus, particulièrement le Reich allemand et la Roumanie, prêtes pour l’assaut final contre l’Europe.
Dans son second livre sur les origines de la guerre, M-Day («Jour de mobilisation»), Suvorov décrit comment, entre la fin de 1939 et l’été de 1941, Staline construisit méthodiquement et systématiquement la force militaire la mieux armée, la plus puissante dans le monde — véritablement la première superpuissance du monde — pour sa future conquête de l’Europe. Suvorov explique comment la conversion drastique de l’économie du pays pour la guerre, voulue par Staline, rendait la guerre réellement inévitable.
Une Union Soviétique Mondiale
Dans La dernière république, Suvorov ajoute d’autres preuves à celles présentées dans ses deux livres précédents, pour appuyer son affirmation selon laquelle Staline se préparait à une guerre d’agression, en soulignant les motivations idéologiques des actions du dirigeant soviétique. Le titre fait allusion au malheureux pays qui devait être incorporé en tant que «République finale» dans «l’Union des Républiques Socialistes Soviétiques» mondiale, complétant ainsi le révolution prolétarienne mondiale.
Comme l’explique Suvorov, ce plan était entièrement en accord avec la doctrine marxiste-léniniste, ainsi qu’avec la politique de Lénine dans les premières années du régime soviétique. L’historien russe argue de manière convaincante que ce ne fut pas Léon Trotsky (Bronstein), mais plutôt Staline, son moins flamboyant rival, qui fut réellement le fidèle disciple de Lénine pour la poursuite de la Révolution Communiste Mondiale. Trotsky insistait sur la doctrine de la «révolution permanente», par laquelle le jeune Etat soviétique aiderait à fomenter des soulèvements et des révolutions ouvrières à l’intérieur des pays capitalistes.
A la place de cela, Staline voulait que le régime soviétique tire avantage «d’armistices» occasionnels dans la lutte mondiale pour consolider la force militaire soviétique, afin qu’au bon moment des forces soviétiques plus importantes et mieux armées puissent frapper en Europe du Centre et de l’Ouest, ajoutant de nouvelles républiques soviétiques quand cette force écrasante se mettrait en marche à travers le continent. Après la consolidation réussie et la soviétisation de toute l’Europe, l’URSS renforcée serait prête à imposer le pouvoir soviétique à tout le globe.
Comme le montre Suvorov, Staline comprit très bien que s’ils avaient le choix, les peuples des pays avancés de l’Occident ne choisiraient jamais volontairement le communisme. Il serait donc nécessaire de l’imposer par la force. Staline décida alors que son plan audacieux ne pouvait être réalisé que par une guerre mondiale.
Une preuve d’importance décisive à cet égard est le discours de Staline du 19 août 1939, récemment retrouvé dans les archives soviétiques (cité en partie dans Journal of Historical Review de nov-déc. 1997, p. 32-33). Dans ce discours, l’héritier de Lénine déclare:
L’expérience des vingt dernières années a montré qu’en temps de paix le mouvement communiste n’est jamais suffisamment fort pour prendre le pouvoir. La dictature d’un tel parti deviendra possible seulement en résultat d’une guerre majeure
Plus tard, tous les pays qui avaient accepté la protection de l’Allemagne renaissante deviendront aussi nos alliés. Nous aurons un large champ d’action pour développer la révolution mondiale.
De plus, et comme les théoriciens soviétiques l’ont toujours affirmé, le communisme ne pourrait jamais coexister pacifiquement sur le long terme avec d’autres systèmes socio-politiques. En conséquence, la domination communiste devrait inévitablement être imposée au monde. Ce but de «révolution mondiale» était tellement consubstantiel à la nature et au développement du «premier Etat des travailleurs» qu’il fut un trait cardinal du programme soviétique, même avant que Hitler et son mouvement national-socialiste arrive au pouvoir en Allemagne en 1933.
Staline voulait frapper au moment et à l’endroit de son choix. A cette fin, le développement soviétique des systèmes d’armes offensives les plus avancées, principalement les blindés, les avions, et les forces aéroportées, avait déjà commencé au début des années 30. Pour assurer le succès de son audacieuse entreprise, Staline ordonna à la fin de 1939 de construire une puissante machine de guerre qui serait supérieure en quantité et en qualité à toutes les forces d’opposition possibles. Son premier ordre secret pour la mobilisation militaro-industrielle totale du pays fut émis en août 1939. Un second ordre de mobilisation totale, cette fois-ci pour la mobilisation militaire, devait être émis le jour où la guerre commencerait.
Déception
L’attaque allemande «Barbarossa» anéantit le plan bien établi de Staline pour «libérer» toute l’Europe. Dans ce sens, affirme Suvorov, Staline «perdit» la 2ème Guerre Mondiale. Le dirigeant soviétique ne pouvait considérer que comme une déception d’avoir «seulement» vaincu l’Allemagne et conquis l’Europe de l’Est et du Centre.
14 jours qui sauvèrent l’Occident
«Nombre d’indices tendent à prouver que la date fixée par Staline pour l’opération «Orage» était le 6 juillet 1941.» (Viktor Suvorov, Le Brise-glace)
«Le commandement fasciste allemand réussit, deux semaines avant la guerre, à devancer nos troupes.» (Général S.P. Ivanov)
«Hitler ne savait pas tout, mais il en savait assez: s’il n’attaquait pas, l’autre attaquerait. (…) Hitler reniflait ce danger. (…) C’était une question de vie ou de mort.» (Léon Degrelle, Persiste et signe)
«Ma conviction profonde est que si le Führer ne nous avait pas donné l’ordre d’attaquer à ce moment-là, les Etats européens et la plupart des sociétés humaines seraient à présent bolchevisés.» (Otto Skorzeny, La guerre inconnue)
«… la puissance russe menaçante, ayant ses têtes de pont préparées sur la Baltique et sur la mer Noire, n’attendait qu’une occasion, c’est-à-dire le moment où l’armée allemande serait suffisament occupée par les puissances occidentales, pour que le front oriental soit ouvert à une attaque massive à laquelle l’Allemagne ne serait pas en mesure de résister.» (Sven Hedin, L’Amérique dans la lutte des continents)
«Staline préparait la guerre dans tous les domaines, en partant de délais qu’il avait fixé lui-même. Hitler déjoua ses calculs.» (Amiral N. G. Kouznetsov)
Selon Suvorov, Staline trahit sa déception de plusieurs manières après la fin de la guerre. D’abord, il laissa le maréchal Joukov conduire le défilé de la victoire en 1945, au lieu de le faire lui-même — lui, le Commandant suprême. Deuxièmement, aucun défilé officiel de la victoire du 9 mai ne fut même autorisé jusqu’à la mort de Staline en 1953. Troisièmement, Staline ne porta jamais aucune des médailles qu’il avait obtenues après la fin de la 2ème Guerre Mondiale. Quatrièmement, un jour, dans un moment de dépression, il exprima aux membres de son entourage proche son désir de se retirer [du pouvoir] maintenant que la guerre était finie. Cinquièmement, et c’est peut-être le plus révélateur, Staline abandonna le projet, prévu de longue date, du Palais des Soviets.
Un monument inachevé
L’énorme Palais des Soviets, approuvé par le gouvernement soviétique au début des années 30, devait faire 418 mètres de haut, surmonté par une statue de Lénine de 100 mètres de hauteur — plus haut que l’Empire State Building de New York. Il devait être construit sur le site de l’ancienne Cathédrale du Christ Sauveur. Sur l’ordre de Staline, ce magnifique symbole de la vieille Russie fut rasé en 1931 — un acte par lequel les dirigeants communistes voulaient effacer symboliquement l’âme de la vieille Russie pour faire place au monument central de l’URSS mondiale.
Toutes les «républiques socialistes» du monde, y compris la «dernière république», devaient être représentées dans le Palais. Le hall principal de ce sanctuaire séculier devait être décoré avec le texte du serment que Staline avait fait en termes quasi-religieux lors des funérailles de Lénine. Il comportait ces paroles : «Lorsqu’il nous quitta, le Camarade Lénine nous légua la responsabilité de renforcer et de développer l’Union des Républiques Socialistes. Nous te jurons, Camarade Lénine, que nous nous acquitterons honorablement de tes commandements sacrés.»
Cependant, seules les premières fondations de ce grandiose monument furent achevées, et pendant les années 90, après l’effondrement de l’URSS, la Cathédrale du Christ Sauveur fut soigneusement reconstruite sur le site.
La version officielle
Pendant des décennies, la version officielle du conflit germano-soviétique de 1941-45, soutenue par les historiens de l’establishment, à la fois en Russie et en Occident, fut à peu près cela:
Hitler déclencha une attaque «éclair» par surprise contre l’Union Soviétique tristement mal-préparée, ridiculisant son chef, le naïf et confiant Staline. Le Führer allemand fut conduit vers l’Orient primitif par la convoitise pour «l’espace vital» et les ressources naturelles, et par sa détermination longuement remâchée de détruire le «communisme juif» une fois pour toutes. Dans son attaque traîtresse, qui était une étape importante de la folle campagne de Hitler pour la «conquête du monde», les agresseurs «nazis» ou «fascistes» submergèrent d’abord toute résistance grâce à leur prépondérance en chars et en avions modernes.
Cette vison des choses, qui fut affirmée par les juges Alliés au Tribunal de Nuremberg après la guerre, est encore largement acceptée, à la fois en Russie et aux Etats-Unis. En Russie aujourd’hui, la plus grande partie du public (et pas seulement ceux qui sont nostalgiques de l’ancien régime soviétique) accepte cette version «politiquement correcte». En effet, elle «explique» les énormes pertes de l’Union Soviétique en hommes et en matériel pendant la 2ème Guerre Mondiale.
Condamné depuis le début
Contrairement à la version officielle selon laquelle l’Union Soviétique n’était pas préparée pour la guerre en juin 1941, en réalité, souligne Suvorov, c’était les Allemands qui n’étaient pas vraiment préparés. Le plan allemand «Barbarossa», hâtivement mis au point, qui visait à une victoire éclair en cinq ou six mois avec des forces numériquement inférieures, avançant en trois larges poussées, était condamné depuis le début.
De plus, note Suvorov, l’Allemagne manquait des matières premières (incluant le pétrole) essentielles pour soutenir une guerre prolongée d’une telle dimension.
Une autre raison du manque de préparation de l’Allemagne, affirme Suvorov, était que ses chefs militaires avaient sérieusement sous-estimé la performance des forces soviétiques pendant la «Guerre d’Hiver» contre la Finlande en 1939-40. Elles combattirent, il faut le souligner, dans des conditions extrêmement sévères d’hiver — températures de -40 et des épaisseurs de neige de plus d’un mètre — contre les fortifications et les installations enterrées, bien conçues et renforcées de la «Ligne Mannerheim» de la Finlande. En dépit de cela, on l’oublie souvent, l’Armée Rouge contraignit finalement les Finlandais à un humiliant armistice.
C’est toujours une erreur, souligne Suvorov, de sous-estimer son ennemi. Mais Hitler fit cette faute de calcul décisive. En 1943, après que le cours de la guerre ait tourné contre l’Allemagne, il reconnut son jugement erroné des forces soviétiques, deux années plus tôt.
Disparité des chars
Pour prouver que c’était Staline, et pas Hitler, qui était réellement préparé pour la guerre, Suvorov compare l’armement allemand et soviétique au milieu de 1941, avec une attention particulière pour les systèmes d’armes offensifs, d’importance décisive: les chars et les forces aéroportées. C’est un axiome généralement accepté en science militaire, que les forces attaquantes doivent avoir une supériorité numérique de trois contre un. Cependant, comme l’explique Suvorov, quand les Allemands frappèrent au matin du 22 juin 1941, ils attaquèrent avec un total de 3 350 chars, alors que les défenseurs soviétiques avaient un total de 24 000 chars — ce qui veut dire que Staline avait sept fois plus de chars que Hitler, ou vingt et une fois plus de chars que ce qui aurait été considéré comme suffisant pour une défense adéquate. De plus, souligne Suvorov, les chars soviétiques étaient supérieurs dans tous les aspects techniques, incluant la puissance de feu, l’autonomie et le blindage.
Tel qu’il était, le développement soviétique de la production de chars lourds avait déjà commencé au début des années 30. Par exemple, dès 1933 les Soviétiques étaient déjà passés à la production en série, et livraient à leurs forces le modèle T-35, un char lourd de 45 tonnes avec 3 canons, 6 mitrailleuses, et 30mm de blindage. Par contre, les Allemands commencèrent le développement et la production d’un char de 45 tonnes comparable [ce furent le «Tiger» et le «Panther», NDT] seulement après que la guerre ait commencé à la mi-1941.
En 1939 les Soviétiques avaient déjà ajouté trois modèles de chars lourds à leur arsenal. De plus, les Soviétiques concevaient leurs chars avec de plus larges chenilles, et les équipaient avec des moteurs Diesel (qui étaient moins inflammables que ceux utilisant des carburateurs conventionnels). En outre, les chars soviétiques étaient construits avec le moteur et la direction à l’arrière, améliorant ainsi l’efficacité générale et la vision de l’équipage. Les chars allemands avaient une conception moins efficace, avec le moteur à l’arrière et la direction dans la partie avant.
Quand le conflit commença en juin 1941, montre Suvorov, l’Allemagne n’avait pas du tout de chars lourds, seulement 309 chars moyens, et juste 2 668 chars légers, inférieurs. Pour leur part, les Soviétiques au début de la guerre avaient à leur disposition des chars qui n’étaient pas seulement plus lourds mais de meilleure qualité.
A ce sujet, Suvorov cite les souvenirs du général allemand des blindés Heinz Guderian, qui écrivit dans ses mémoires Chef de Panzers (1952/1996, p. 143) :
Au printemps de 1941, Hitler avait spécialement ordonné qu’une commission militaire russe puisse visiter nos usines et nos écoles de blindés; dans cet ordre il avait insisté pour que rien ne leur soit caché. Les officiers russes en question refusèrent toujours de croire que le Panzer IV était en fait notre char le plus lourd. Ils dirent toujours que nous devions leur cacher nos nouveaux modèles, et se plaignirent en disant que nous n’appliquions pas l’ordre d’Hitler de tout leur montrer. La commission militaire insista tellement sur ce point que finalement nos responsables des services concernés conclurent: «Il semble que les Russes possèdent déjà des chars meilleurs et plus lourds que les nôtres». Ce fut à la fin de juillet 1941 que le T-34 apparut sur le front et l’énigme du nouveau modèle de char russe fut résolue.
Suvorov cite un autre fait révélateur extrait de l’Almanach de la 2ème Guerre Mondiale de Robert Goralski (1982, p. 164). Le 24 juin 1941, juste deux jours après le début de la guerre germano-soviétique:
Les Russes mirent en action leurs chars géants Klim Vorochilov près de Raseiniai [Lithanie]. Des modèles pesant 43 et 52 tonnes surprirent les Allemands, qui trouvèrent les KV presque inarrêtables. L’un de ces chars russes reçut 70 coups directs, mais aucun ne perça son blindage.
Bref, l’Allemagne attaqua le colosse soviétique avec des chars qui étaient trop légers, trop peu nombreux, et inférieurs en performances et en puissance de feu. Et cette disparité perdura pendant toute la guerre. Pendant le seule année 1942, les usines soviétiques produisirent 2 553 chars lourds, pendant que les Allemands en produisaient juste 89. Même à la fin de la guerre, le meilleur char au combat était le modèle soviétique IS («Iosif Staline»).
Suvorov encourage sarcastiquement les historiens militaires de l’establishment à étudier un livre sur les chars soviétiques, par Igor P. Schmelev, publié en 1993 par la «Hobby Book Publishing Company» à Moscou. Le travail d’un honnête analyste militaire amateur tel que Schmelev, qui est sincèrement intéressé et qui aime son travail et la vérité, dit Suvorov, est souvent supérieur à celui d’un employé payé par le gouvernement.
Disparité des Forces Aériennes
La supériorité soviétique en forces aéroportées était encore plus disproportionnée. Avant la guerre, les bombardiers soviétiques DB-3f et SB ainsi que les TB-1 et TB-3 (dont Staline possédait environ un millier) avaient été modifiés pour transporter aussi bien des parachutistes que des bombes. Vers la mi-1941, les Soviétiques avaient entraîné des centaines de milliers de parachutistes (Suvorov dit presque un million) en vue de l’attaque planifiée contre l’Allemagne et l’Occident. Ces troupes aéroportées devaient être déployées et lâchées derrière les lignes ennemies en plusieurs vagues, chaque vague étant formée de cinq corps d’armée aéroportés (VDKs), chaque corps comptant 10 419 hommes incluant un état-major et des services, une division d’artillerie, et un bataillon de chars autonome (50 chars). Suvorov donne la liste des commandants et des bases des deux premières vagues, ou dix corps. Les secondes et troisièmes vagues comportaient des troupes parlant français et espagnol.
Comme l’attaque allemande empêcha ces troupes hautement entraînées d’être utilisées comme prévu, Staline les convertit en «Divisions de la Garde», qu’il utilisa comme des réserves et des «pompiers» pour les situations d’urgence, tout comme Hitler utilisa souvent les unités de Waffen SS.
Cartes et manuels
Pour appuyer sa thèse principale, Suvorov cite des données supplémentaires qui n’étaient pas mentionnées dans ses deux premiers ouvrages sur ce sujet. Premièrement, à la veille du début de la guerre de 1941, les forces soviétiques avaient reçu des cartes topographiques seulement pour les zones de la frontière et pour l’Europe; elles ne reçurent pas de cartes du territoire ou des villes soviétiques, parce que la guerre ne devait pas être menée sur le territoire national. Le Chef du Service Topographique militaire de l’époque, et donc responsable de la distribution des cartes militaires, le major-général Kudryatsev, ne fut pas sanctionné ni même limogé pour avoir manqué à fournir des cartes du territoire national, mais continua à mener une longue et brillante carrière militaire. De même, le Chef d’Etat-major, le général Joukov, ne fut jamais tenu pour responsable de la débâcle des premiers mois de la guerre. Aucun des principaux commandants militaires ne pouvait être tenu pour responsable, souligne Suvorov, parce qu’ils avaient tous suivi à la lettre les ordres de Staline.
Deuxièmement, au début de juin 1941, les forces soviétiques reçurent des milliers d’exemplaires d’un manuel russo-allemand, avec des sections consacrées à des opérations militaires offensives, telles que s’emparer de gares de chemin de fer, orienter des parachutistes, et ainsi de suite, et des expressions [en langues étrangères] utiles comme «arrêtez de transmettre ou je tire». Ce manuel fut imprimé en grand nombre par les imprimeries militaires de Léningrad et de Moscou. Cependant, ils n’atteignirent jamais les troupes sur les lignes de front, et on dit qu’elles furent détruites pendant la phase du début de la guerre.
L’aide des Etats-Unis «neutres»
Comme le note Suvorov, les Etats-Unis avaient fourni du matériel militaire depuis les années 30. Il cite l’étude de A.C. Sutton, National Suicide (Arlington House, 1973), qui relate qu’en 1938 le président Roosevelt conclut un accord secret avec l’URSS pour échanger des informations militaires. Pour le public américain, cependant, Roosevelt annonça la mise en place d’un «embargo moral» contre la Russie soviétique.
Pendant les mois précédent l’entrée en guerre formelle de l’Amérique dans la guerre (décembre 1941), les navires de guerre des Etats-Unis, officiellement neutres, étaient déjà en guerre dans l’Atlantique contre les forces navales allemandes (Voir La Flotte de Mr Roosevelt: la guerre privée de la Flotte US de l’Atlantique, 1939-42 par Patrick Abbazia [Annapolis: Naval Institute Press, 1975] ). Et deux jours après le déclenchement de «Barbarossa», Roosevelt annonça une aide des Etats-Unis à la Russie Soviétique dans sa guerre de survie contre l’Axe. Ainsi, au début de l’opération «Barbarossa», Hitler écrivit une lettre à Mussolini: «En ce moment cela ne fait aucune différence si l’Amérique entre officiellement en guerre ou pas, elle soutient déjà nos ennemis à fond, avec des livraisons massives de matériel de guerre.»
De même, W. Churchill faisait tout ce qui était en son pouvoir pendant les mois précédent juin 1941 — alors que les forces britanniques subissaient défaite sur défaite — pour faire entrer à la fois les Etats-Unis et l’URSS dans la guerre du côté britannique. En vérité, la coalition anti-Hitler des «Trois Grands» (Staline, Roosevelt, Churchill) était effectivement en place avant que l’Allemagne attaque la Russie, et fut une raison majeure pour que Hitler se sentit obligé de frapper la Russie soviétique, et de déclarer la guerre aux Etats-Unis cinq mois plus tard. (Voir le discours d’Hitler du 11 décembre 1941, publié dans le Journal of Historical Review, hiver 1988-89, p. 394-396, 402-412)
Les raisons de l’appui de F. Roosevelt à Staline sont difficiles à établir. Le président Roosevelt lui-même expliqua un jour à William Bullitt, son premier ambassadeur en Russie soviétique: «Je pense que si je lui donne [à Staline] tout ce que je peux, et que je ne demande rien en retour, noblesse oblige, il ne tentera pas d’annexer quoi que ce soit, et travaillera avec moi pour un monde de paix et de démocratie.» (Cité dans Robert Nisbet, Roosevelt et Staline: l’idylle manquée, 1989, p. 6). Peut-être l’explication la plus exacte (et la plus gentille) de l’attitude de Roosevelt est-elle une ignorance profonde, une auto-intoxication ou de la naïveté. Selon l’opinion digne de considération de George Kennan, historien et ancien diplomate américain de haut rang, en politique étrangère Roosevelt était «un homme superficiel, ignorant, dilettante, avec un horizon intellectuel sévèrement limité.»
Un pari désespéré
Suvorov admet être fasciné par Staline, l’appelant «un animal, un monstre sauvage et sanglant, mais un génie de tous les temps et de tous les peuples». Il dirigea la plus grande puissance militaire de la 2ème Guerre Mondiale, la force qui, plus que toute autre, vainquit l’Allemagne. En particulier, dans les années finales du conflit, il domina l’alliance militaire des Alliés. Il dut considérer Roosevelt et Churchill avec mépris, comme des «idiots utiles».
Au début de 1941, chacun admettait que comme l’Allemagne était déjà engagée contre la Grande-Bretagne en Afrique du Nord, en Méditerranée, et dans l’Atlantique, Hitler ne pourrait jamais se permettre l’ouverture d’un second front à l’Est (se rappelant la désastreuse expérience de la 1ère Guerre Mondiale, il avait mis en garde dans Mein Kampf contre le danger mortel d’une guerre sur deux fronts). C’est précisément parce qu’il était sûr que Staline pensait que Hitler n’ouvrirait pas un second front, soutient Suvorov, que le dirigeant allemand se sentit libre de déclencher «Barbarossa». Cette attaque, insiste Suvorov, fut un pari énorme et désespéré. Mais menacé par des forces soviétiques supérieures, prêtes à submerger l’Allemagne et l’Europe, Hitler n’avait guère d’autre choix que de déclencher cette attaque préventive. [Toutes proportions gardées, on peut faire une intéressante comparaison avec l'attaque israélienne de la Guerre des Six Jours en 1967. Dans ce dernier cas, le caractère préventif de l'attaque est admis sans difficulté par les historiens «officiels», alors que dans le cas de «Barbarossa», il est «politiquement incorrect» de le reconnaître, malgré l'évidence de l'immense menace soviétique, imminente ou pas, NDT.]
Reichstag, 1945
Mais c’était trop peu, trop tard. En dépit de l’avantage de frapper le premier, ce furent les Soviétiques qui finalement l’emportèrent. Au printemps de 1945, les troupes de l’Armée Rouge réussirent à hisser le drapeau rouge sur le bâtiment du Reichstag à Berlin. C’est seulement grâce aux sacrifices des forces allemandes et des forces de l’Axe que les troupes soviétiques ne parvinrent pas à hisser le drapeau rouge sur Paris, Amsterdam, Copenhague, Rome, Stockholm, et peut-être, Londres.
Le débat devient plus âpre
En dépit de la résistance des historiens de «l’establishment» (qui en Russie sont souvent d’anciens communistes), l’appui à la thèse de «l’attaque préventive» de Suvorov est allé croissant, à la fois en Russie et en Europe de l’Ouest. Parmi ceux qui sympathisent avec les vues de Suvorov figurent de jeunes historiens russes comme Yuri L. Dyakov, Tatiana S. Bushuyeva, et I. Pavlova (voir le JHR, nov-déc. 1997, p. 32-34).
Concernant l’histoire du 20ème siècle, les historiens américains ont généralement l’esprit plus fermé que leurs collègues d’Europe et de Russie. Mais même aux Etats-Unis, il y a eu quelques voix pour appuyer la thèse de la «guerre préventive» — ce qui est du plus haut intérêt, sachant que les livres de Suvorov sur la 2ème Guerre Mondiale, à l’exception du «Brise-glace», n’ont pas été traduits en anglais (l’une de ces voix est celle de l’historien Russell Stolfi, professeur d’Histoire Européenne Moderne à la Naval Postgraduate School à Monterey, Californie. Voir le compte-rendu de son livre Hitler’s Panzer East dans le JHR de nov-déc. 1995).
Toutes les réactions au travail de Suvorov n’ont pas été positives, cependant. Il a aussi provoqué des critiques et des répétitions des thèses officielles vieilles de plusieurs décennies. Parmi les nouveaux défenseurs les plus représentatifs de la ligne «orthodoxe», figurent les historiens Gabriel Gorodetsky de l’Université de Tel-Aviv, et John Ericson de l’Université d’Edinburgh.
Rejetant tous les arguments qui pourraient justifier l’attaque allemande, Gorodetsky en particulier critique et ridiculise les travaux de Suvorov, spécialement dans un livre proprement intitulé «Le Mythe du Brise-glace». En fait, Gorodetsky (et Ericson) attribue les pertes soviétiques à la supposée impréparation de l’Armée Rouge pour la guerre. «Il est absurde», écrit Gorodetsky, «de prétendre que Staline aurait jamais conçu l’idée d’attaquer l’Allemagne, comme quelques historiens allemands aiment aujourd’hui à le suggérer, pour pouvoir au moyen d’une attaque-surprise, désorganiser l’attaque préventive planifiée par l’Allemagne.»
Il n’est pas surprenant que Gorodetsky ait reçu l’éloge des autorités du Kremlin et des chefs militaires russes. De même, «l’establishment» allemand soutient l’historien israélien. Aux frais des contribuables allemands, Gorodetsky a travaillé et enseigné au Service de Recherche d’Histoire Militaire (MGFA) allemand, semi-officiel, qui a publié en avril 1991 le livre de Gorodetsky, Zwei Wege nach Moskau (Deux chemins pour Moscou).
Dans la «Dernière République», Suvorov répond à Gorodetsky et aux autres critiques de ses deux premiers livres sur l’histoire de la 2ème Guerre Mondiale. Il est particulièrement cinglant dans ses critiques du travail de Gorodetsky, spécialement le «Mythe du Brise-glace».
Quelques critiques
Suvorov écrit de manière caustique, sarcastique, et avec une grande acidité. Mais s’il a raison sur le fond, comme le pense l’auteur de cet article, il a — et nous aussi — parfaitement le droit d’être acerbe, ayant été trompé et désinformé pendant des décennies.
Bien que Suvorov mérite notre gratitude pour son importante dissection d’une légende historique, son travail n’est pas sans défauts. D’une part, son éloge des réalisations du complexe militaro-industriel soviétique, et de la qualité des armements et de l’équipement militaire soviétique est exagéré, voire dithyrambique. Il omet de signaler l’origine occidentale d’une grande partie de l’armement et du matériel soviétique. Les ingénieurs soviétiques ont eu un talent particulier pour modifier avec succès, simplifier, et souvent améliorer les modèles et les conceptions occidentaux. Par exemple, le robuste moteur Diesel utilisé par les chars soviétiques était basé sur un moteur d’avion allemand de BMW.
Une critique qui ne peut pas décemment être faite à Suvorov serait son manque de patriotisme. Se rappelant que les premières victimes du communisme furent les Russes, il fait à juste titre une nette distinction entre le peuple russe et le régime communiste qui le dominait. Il n’écrit pas seulement avec la compétence d’un historien capable, mais en mémoire des millions de Russes dont les vies furent gaspillées pour les plans malsains de «révolution mondiale» de Lénine et de Staline.
Original article: Journal of Historical Review, 17/4 (Juillet-Août 1998), 30-37. Online source of translation: http://library.flawlesslogic.com/suvorov_fr.htm [3]
Article printed from Counter-Currents Publishing: http://www.counter-currents.com
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Exposing Stalin's Plan to Conquer Europe
Exposing Stalin’s Plan to Conquer Europe:
How the Soviet Union ‘Lost’ the Second World War
Daniel W. Michaels
Ex: http://www.counter-currents.com/
Editor’s Note:
Since the publication of his review, Viktor Suvorov’s definitive statement of his research has been published as The Chief Culprit: Stalin’s Grand Design to Start World War II [2] (Annapolis, Md.: Naval Institute Press, 2008).
French translation here [3]
Viktor Suvorov (Vladimir Rezun)
Poslednyaya Respublika (“The Last Republic”)
Moscow: TKO ACT, 1996
For several years now, a former Soviet military intelligence officer named Vladimir Rezun has provoked heated discussion in Russia for his startling view that Hitler attacked Soviet Russia in June 1941 just as Stalin was preparing to overwhelm Germany and western Europe as part of a well-planned operation to “liberate” all of Europe by bringing it under Communist rule.
Writing under the pen name of Viktor Suvorov, Rezun has developed this thesis in three books. Icebreaker (which has been published in an English-language edition) and Dni M (“M Day”) were reviewed in the Nov.–Dec. 1997 Journal of Historical Review. The third book, reviewed here, is a 470-page work, “The Last Republic: Why the Soviet Union Lost the Second World War,” published in Russian in Moscow in 1996.
Suvorov presents a mass of evidence to show that when Hitler launched his “Operation Barbarossa” attack against Soviet Russia on June 22, 1941, German forces were able to inflict enormous losses against the Soviets precisely because the Red troops were much better prepared for war — but for an aggressive war that was scheduled for early July — not the defensive war forced on them by Hitler’s preemptive strike.
In Icebreaker, Suvorov details the deployment of Soviet forces in June 1941, describing just how Stalin amassed vast numbers of troops and stores of weapons along the European frontier, not to defend the Soviet homeland but in preparation for a westward attack and decisive battles on enemy territory.
Thus, when German forces struck, the bulk of Red ground and air forces were concentrated along the Soviet western borders facing contiguous European countries, especially the German Reich and Romania, in final readiness for an assault on Europe.
In his second book on the origins of the war, “M Day” (for “Mobilization Day”), Suvorov details how, between late 1939 and the summer of 1941, Stalin methodically and systematically built up the best armed, most powerful military force in the world — actually the world’s first superpower — for his planned conquest of Europe. Suvorov explains how Stalin’s drastic conversion of the country’s economy for war actually made war inevitable.
A Global Soviet Union
In “The Last Republic,” Suvorov adds to the evidence presented in his two earlier books to strengthen his argument that Stalin was preparing for an aggressive war, in particular emphasizing the ideological motivation for the Soviet leader’s actions. The title refers to the unlucky country that would be incorporated as the “final republic” into the globe-encompassing “Union of Soviet Socialist Republics,” thereby completing the world proletarian revolution.
As Suvorov explains, this plan was entirely consistent with Marxist-Leninist doctrine, as well as with Lenin’s policies in the earlier years of the Soviet regime. The Russian historian argues convincingly that it was not Leon Trotsky (Bronstein), but rather Stalin, his less flamboyant rival, who was really the faithful disciple of Lenin in promoting world Communist revolution. Trotsky insisted on his doctrine of “permanent revolution,” whereby the young Soviet state would help foment home-grown workers’ uprisings and revolution in the capitalist countries.
Stalin instead wanted the Soviet regime to take advantage of occasional “armistices” in the global struggle to consolidate Red military strength for the right moment when larger and better armed Soviet forces would strike into central and western Europe, adding new Soviet republics as this overwhelming force rolled across the continent. After the successful consolidation and Sovietization of all of Europe, the expanded USSR would be poised to impose Soviet power over the entire globe.
As Suvorov shows, Stalin realized quite well that, given a free choice, the people of the advanced Western countries would never voluntarily choose Communism. It would therefore have to be imposed by force. His bold plan, Stalin further decided, could be realized only through a world war.
A critical piece of evidence in this regard is his speech of August 19, 1939, recently uncovered in Soviet archives (quoted in part in the Nov.–Dec. 1997 Journal, pp. 32–33). In it, Lenin’s heir states:
The experience of the last 20 years has shown that in peacetime the Communist movement is never strong enough to seize power. The dictatorship of such a party will only become possible as the result of a major war . . .
Later on, all the countries who had accepted protection from resurgent Germany would also become our allies. We shall have a wide field to develop the world revolution.
Furthermore, and as Soviet theoreticians had always insisted, Communism could never peacefully coexist over the long run with other socio-political systems. Accordingly, Communist rule inevitably would have to be imposed throughout the world. So integral was this goal of “world revolution” to the nature and development of the “first workers’ state” that it was a cardinal feature of the Soviet agenda even before Hitler and his National Socialist movement came to power in Germany in 1933.
Stalin elected to strike at a time and place of his choosing. To this end, Soviet development of the most advanced offensive weapons systems, primarily tanks, aircraft, and airborne forces, had already begun in the early 1930s. To ensure the success of his bold undertaking, in late 1939 Stalin ordered the build up a powerful war machine that would be superior in quantity and quality to all possible opposing forces. His first secret order for the total military-industrial mobilization of the country was issued in August 1939. A second total mobilization order, this one for military mobilization, would be issued on the day the war was to begin.
Disappointment
The German “Barbarossa” attack shattered Stalin’s well-laid plan to “liberate” all of Europe. In this sense, Suvorov contends, Stalin “lost” the Second World War. The Soviet premier could regard “merely” defeating Germany and conquering eastern and central Europe only as a disappointment.
According to Suvorov, Stalin revealed his disappointment over the war’s outcome in several ways. First, he had Marshal Georgi Zhukov, not himself, the supreme commander, lead the victory parade in 1945. Second, no official May 9 victory parade was even authorized until after Stalin’s death. Third, Stalin never wore any of the medals he was awarded after the end of the Second World War. Fourth, once, in a depressed mood, he expressed to members of his close circle his desire to retire now that the war was over. Fifth, and perhaps most telling, Stalin abandoned work on the long-planned Palace of Soviets.
An Unfinished Monument
The enormous Palace of Soviets, approved by the Soviet government in the early 1930s, was to be 1,250 feet tall, surmounted with a statue of Lenin 300 feet in height — taller than New York’s Empire State Building. It was to be built on the site of the former Cathedral of Christ the Savior. On Stalin’s order, this magnificent symbol of old Russia was blown up in 1931 — an act whereby the nation’s Communist rulers symbolically erased the soul of old Russia to make room for the centerpiece of the world USSR.
All the world’s “socialist republics,” including the “last republic,” would ultimately be represented in the Palace. The main hall of this secular shrine was to be inscribed with the oath that Stalin had delivered in quasi-religious cadences at Lenin’s burial. It included the words: “When he left us, Comrade Lenin bequeathed to us the responsibility to strengthen and expand the Union of Socialist Republics. We vow to you, Comrade Lenin, that we shall honorably carry out this, your sacred commandment.”
However, only the bowl-shaped foundation for this grandiose monument was ever completed, and during the 1990s, after the collapse of the USSR, the Christ the Savior Cathedral was painstakingly rebuilt on the site.
The Official View
For decades the official version of the 1941–1945 German-Soviet conflict, supported by establishment historians in both Russia and the West, has been something like this:
Hitler launched a surprise “Blitzkrieg” attack against the woefully unprepared Soviet Union, fooling its leader, the unsuspecting and trusting Stalin. The German Führer was driven by lust for “living space” and natural resources in the primitive East, and by his long-simmering determination to smash “Jewish Communism” once and for all. In this treacherous attack, which was an important part of Hitler’s mad drive for “world conquest,” the “Nazi” or “fascist” aggressors initially overwhelmed all resistance with their preponderance of modern tanks and aircraft.
This view, which was affirmed by the Allied judges at the postwar Nuremberg Tribunal, is still widely accepted in both Russia and the United States. In Russia today, most of the general public (and not merely those who are nostalgic for the old Soviet regime), accepts this “politically correct” line. For one thing, it “explains” the Soviet Union’s enormous World War II losses in men and materiel.
Doomed from the Start
Contrary to the official view that the Soviet Union was not prepared for war in June 1941, in fact, Suvorov stresses, it was the Germans who were not really prepared. Germany’s hastily drawn up “Operation Barbarossa” plan, which called for a “Blitzkrieg” victory in four or five months by numerically inferior forces advancing in three broad military thrusts, was doomed from the outset.
Moreover, Suvorov goes on to note, Germany lacked the raw materials (including petroleum) essential in sustaining a drawn out war of such dimensions.
Another reason for Germany’s lack of preparedness, Suvorov contends, was that her military leaders seriously under-estimated the performance of Soviet forces in the Winter War against Finland, 1939–40. They fought, it must be stressed, under extremely severe winter conditions — temperatures of minus 40 degrees Celsius and snow depths of several feet — against the well-designed reinforced concrete fortifications and underground facilities of Finland’s “Mannerheim Line.” In spite of that, it is often forgotten, the Red Army did, after all, force the Finns into a humiliating armistice.
It is always a mistake, Suvorov emphasizes, to underestimate your enemy. But Hitler made this critical miscalculation. In 1943, after the tide of war had shifted against Germany, he admitted his mistaken evaluation of Soviet forces two years earlier.
Tank Disparity Compared
To prove that it was Stalin, and not Hitler, who was really prepared for war, Suvorov compares German and Soviet weaponry in mid-1941, especially with respect to the all-important offensive weapons systems — tanks and airborne forces. It is a generally accepted axiom in military science that attacking forces should have a numerical superiority of three to one over the defenders. Yet, as Suvorov explains, when the Germans struck on the morning of June 22, 1941, they attacked with a total of 3,350 tanks, while the Soviet defenders had a total of 24,000 tanks — that is, Stalin had seven times more tanks than Hitler, or 21 times more tanks than would have been considered sufficient for an adequate defense. Moreover, Suvorov stresses, the Soviet tanks were superior in all technical respects, including firepower, range, and armor plating.
As it was, Soviet development of heavy tank production had already begun in the early 1930s. For example, as early as 1933 the Soviets were already turning out in series production, and distributing to their forces, the T-35 model, a 45-ton heavy tank with three cannons, six machine guns, and 30-mm armor plating. By contrast, the Germans began development and production of a comparable 45-ton tank only after the war had begun in mid-1941.
By 1939 the Soviets had already added three heavy tank models to their inventory. Moreover, the Soviets designed their tanks with wider tracks, and to operate with diesel engines (which were less flammable than those using conventional carburetor mix fuels). Furthermore, Soviet tanks were built with both the engine and the drive in the rear, thereby improving general efficiency and operator viewing. German tanks had a less efficient arrangement, with the engine in the rear and the drive in the forward area.
When the conflict began in June 1941, Suvorov shows, Germany had no heavy tanks at all, only 309 medium tanks, and just 2,668 light, inferior tanks. For their part, the Soviets at the outbreak of the war had at their disposal tanks that were not only heavier but of higher quality.
In this regard, Suvorov cites the recollection of German tank general Heinz Guderian, who wrote in his memoir Panzer Leader (1952/1996, p. 143):
In the spring of 1941, Hitler had specifically ordered that a Russian military commission be shown over our tank schools and factories; in this order he had insisted that nothing be concealed from them. The Russian officers in question firmly refused to believe that the Panzer IV was in fact our heaviest tank. They said repeatedly that we must be hiding our newest models from them, and complained that we were not carrying out Hitler’s order to show them everything. The military commission was so insistent on this point that eventually our manufacturers and Ordnance Office officials concluded: “It seems that the Russians must already possess better and heavier tanks than we do.” It was at the end of July 1941 that the T34 tank appeared on the front and the riddle of the new Russian model was solved.
Suvorov cites another revealing fact from Robert Goralski’s World War II Almanac (1982, p. 164). On June 24, 1941 — just two days after the outbreak of the German-Soviet war:
The Russians introduced their giant Klim Voroshilov tanks into action near Raseiniai [Lithuania]. Models weighing 43 and 52 tons surprised the Germans, who found the KVs nearly unstoppable. One of these Russian tanks took 70 direct hits, but none penetrated its armor.
In short, Germany took on the Soviet colossus with tanks that were too light, too few in number, and inferior in performance and fire power. And this disparity continued as the war progressed. In 1942 alone, Soviet factories produced 2,553 heavy tanks, while the Germans produced just 89. Even at the end of the war, the best-quality tank in combat was the Soviet IS (“Iosef Stalin”) model.
Suvorov sarcastically urges establishment military historians to study a book on Soviet tanks by Igor P. Shmelev, published in 1993 by, of all things, the Hobby Book Publishing Company in Moscow. The work of an honest amateur military analyst such as Shmelev, one who is sincerely interested in and loves his hobby and the truth, says Suvorov, is often superior to that of a paid government employee.
Airborne Forces Disparity
Even more lopsided was the Soviet superiority in airborne forces. Before the war, Soviet DB-3f and SB bombers as well as the TB-1 and TB-3 bombers (of which Stalin had about a thousand had been modified to carry airborne troops as well as bomb loads. By mid-1941 the Soviet military had trained hundreds of thousands of paratroopers (Suvorov says almost a million) for the planned attack against Germany and the West. These airborne troops were to be deployed and dropped behind enemy lines in several waves, each wave consisting of five airborne assault corps (VDKs), each corps consisting of 10,419 men, staff and service personnel, an artillery division, and a separate tank battalion (50 tanks). Suvorov lists the commanding officers and home bases of the first two waves or ten corps. The second and third wave corps included troops who spoke French and Spanish.
Because the German attack prevented these highly trained troops from being used as originally planned, Stalin converted them to “guards divisions,” which he used as reserves and “fire brigades” in emergency situations, much as Hitler often deployed Waffen SS forces.
Maps and Phrase Books
In support of his main thesis, Suvorov cites additional data that were not mentioned in his two earlier works on this subject. First, on the eve of the outbreak of the 1941 war Soviet forces had been provided topographical maps only of frontier and European areas; they were not issued maps to defend Soviet territory or cities, because the war was not to be fought in the homeland. The head of the Military Topographic Service at the time, and therefore responsible for military map distribution, Major General M. K. Kudryavtsev, was not punished or even dismissed for failing to provide maps of the homeland, but went on to enjoy a lengthy and successful military career. Likewise, the chief of the General Staff, General Zhukov, was never held responsible for the debacle of the first months of the war. None of the top military commanders could be held accountable, Suvorov points out, because they had all followed Stalin’s orders to the letter.
Second, in early June 1941 the Soviet armed forces began receiving thousands of copies of a Russian-German phrase book, with sections dedicated to such offensive military operations as seizing railroad stations, orienting parachutists, and so forth, and such useful expressions as “Stop transmitting or I’ll shoot.” This phrase book was produced in great numbers by the military printing houses in both Leningrad and Moscow. However, they never reached the troops on the front lines, and are said to have been destroyed in the opening phase of the war.
Aid from the ‘Neutral’ United States
As Suvorov notes, the United States had been supplying Soviet Russia with military hardware since the late 1930s. He cites Antony C. Sutton’s study, National Suicide (Arlington House, 1973), which reports that in 1938 President Roosevelt entered into a secret agreement with the USSR to exchange military information. For American public consumption, though, Roosevelt announced the imposition of a “moral embargo” on Soviet Russia.
In the months prior to America’s formal entry into war (December 1941), Atlantic naval vessels of the ostensibly neutral United States were already at war against German naval forces. (See Mr. Roosevelt’s Navy: The Private War of the U.S. Atlantic Fleet, 1939–1942 by Patrick Abbazia [Annapolis: Naval Institute Press, 1975]). And two days after the “Barbarossa” strike, Roosevelt announced US aid to Soviet Russia in its war for survival against the Axis. Thus, at the outbreak of the “Barbarossa” attack, Hitler wrote in a letter to Mussolini: “At this point it makes no difference whether America officially enters the war or not, it is already supporting our enemies in full measure with mass deliveries of war materials.”
Similarly, Winston Churchill was doing everything in his power during the months prior to June 1941 — when British forces were suffering one military defeat after another — to bring both the United States and the Soviet Union into the war on Britain’s side. In truth, the “Big Three” anti-Hitler coalition (Stalin, Roosevelt, Churchill) was effectively in place even before Germany attacked Russia, and was a major reason why Hitler felt compelled to strike against Soviet Russia, and to declare war on the United States five months later. (See Hitler’s speech of December 11, 1941, published in the Winter 1988–89 Journal, pp. 394–96, 402–12.)
The reasons for Franklin Roosevelt’s support for Stalin are difficult to pin down. President Roosevelt himself once explained to William Bullitt, his first ambassador to Soviet Russia: “I think that if I give him [Stalin] everything I possibly can, and ask nothing from him in return, noblesse oblige, he won’t try to annex anything, and will work with me for a world of peace and democracy.” (Cited in: Robert Nisbet, Roosevelt and Stalin: The Failed Courtship [1989], p. 6.) Perhaps the most accurate (and kindest) explanation for Roosevelt’s attitude is a profound ignorance, self-deception or naiveté. In the considered view of George Kennan, historian and former high-ranking US diplomat, in foreign policy Roosevelt was “a very superficial man, ignorant, dilettantish, with a severely limited intellectual horizon.”
A Desperate Gamble
Suvorov admits to being fascinated with Stalin, calling him “an animal, a wild, bloody monster, but a genius of all times and peoples.” He commanded the greatest military power in the Second World War, the force that more than any other defeated Germany. Especially in the final years of the conflict, he dominated the Allied military alliance. He must have regarded Roosevelt and Churchill contemptuously as useful idiots.
In early 1941 everyone assumed that because Germany was still militarily engaged against Britain in north Africa, in the Mediterranean, and in the Atlantic, Hitler would never permit entanglement in a second front in the East. (Mindful of the disastrous experience of the First World War, he had warned in Mein Kampf of the mortal danger of a two front war.) It was precisely because he was confident that Stalin assumed Hitler would not open a second front, contends Suvorov, that the German leader felt free to launch “Barbarossa.” This attack, insists Suvorov, was an enormous and desperate gamble. But threatened by superior Soviet forces poised to overwhelm Germany and Europe, Hitler had little choice but to launch this preventive strike.
But it was too little, too late. In spite of the advantage of striking first, it was the Soviets who finally prevailed. In the spring of 1945, Red army troops succeeded in raising the red banner over the Reichstag building in Berlin. It was due only to the immense sacrifices of German and other Axis forces that Soviet troops did not similarly succeed in raising the Red flag over Paris, Amsterdam, Copenhagen, Rome, Stockholm, and, perhaps, London.
The Debate Sharpens
In spite of resistance from “establishment” historians (who in Russia are often former Communists), support for Suvorov’s “preventive strike” thesis has been growing both in Russia and in western Europe. Among those who sympathize with Suvorov’s views are younger Russian historians such as Yuri L. Dyakov, Tatyana S. Bushuyeva, and I. V. Pavlova. (See the Nov.–Dec. 1997 Journal, pp. 32–34.)
With regard to 20th-century history, American historians are generally more close-minded than their counterparts in Europe or Russia. But even in the United States there have been a few voices of support for the “preventive war” thesis — which is all the more noteworthy considering that Suvorov’s books on World War II, with the exception of Icebreaker, have not been available in English. (One such voice is that of historian Russell Stolfi, a professor of Modern European History at the Naval Postgraduate School in Monterey, California. See the review of his book Hitler’s Panzers East in the Nov.–Dec. 1995 Journal of Historical Review.) Not all the response to Suvorov’s work has been positive, though. It has also prompted criticism and renewed affirmations of the decades-old orthodox view. Among the most prominent new defenders of the orthodox “line” are historians Gabriel Gorodetsky of Tel Aviv University, and John Ericson of Edinburgh University.
Rejecting all arguments that might justify Germany’s attack, Gorodetsky in particular castigates and ridicules Suvorov’s works, most notably in a book titled, appropriately, “The Icebreaker Myth.” In effect, Gorodetsky (and Ericson) attribute Soviet war losses to the supposed unpreparedness of the Red Army for war. “It is absurd,” Gorodetsky writes, “to claim that Stalin would ever entertain any idea of attacking Germany, as some German historians now like to suggest, in order, by means of a surprise attack, to upset Germany’s planned preventive strike.”
Not surprisingly, Gorodetsky has been praised by Kremlin authorities and Russian military leaders. Germany’s “establishment” similarly embraces the Israeli historian. At German taxpayers expense, he has worked and taught at Germany’s semi-official Military History Research Office (MGFA), which in April 1991 published Gorodetsky’s Zwei Wege nach Moskau (“Two Paths to Moscow”).
In the “Last Republic,” Suvorov responds to Gorodetsky and other critics of his first two books on Second World War history. He is particularly scathing in his criticisms of Gorodetsky’s work, especially “The Icebreaker Myth.”
Some Criticisms
Suvorov writes caustically, sarcastically, and with great bitterness. But if he is essentially correct, as this reviewer believes, he — and we — have a perfect right to be bitter for having been misled and misinformed for decades.
Although Suvorov deserves our gratitude for his important dissection of historical legend, his work is not without defects. For one thing, his praise of the achievements of the Soviet military industrial complex, and the quality of Soviet weaponry and military equipment, is exaggerated, perhaps even panegyric. He fails to acknowledge the Western origins of much of Soviet weaponry and hardware. Soviet engineers developed a knack for successfully modifying, simplifying and, often, improving, Western models and designs. For example, the rugged diesel engine used in Soviet tanks was based on a German BMW aircraft diesel.
One criticism that cannot in fairness be made of Suvorov is a lack of patriotism. Mindful that the first victims of Communism were the Russians, he rightly draws a sharp distinction between the Russian people and the Communist regime that ruled them. He writes not only with the skill of an able historian, but with reverence for the millions of Russians whose lives were wasted in the insane plans of Lenin and Stalin for “world revolution.”
Originally published in the Journal of Historical Review 17, no. 4 (July–August 1998), 30–37. Online source: http://library.flawlesslogic.com/suvorov.htm [4]
See also the National Vanguard review of Icebreaker here [5] and Hitler’s Reichstag speech of December 11, 1941 here [6].
Article printed from Counter-Currents Publishing: http://www.counter-currents.com
URL to article: http://www.counter-currents.com/2011/04/exposing-stalins-plan-to-conquer-europe/
URLs in this post:
[1] Image: http://www.counter-currents.com/wp-content/uploads/2011/04/stalin_victory.jpg
[2] The Chief Culprit: Stalin’s Grand Design to Start World War II: http://www.amazon.com/gp/product/1591148383/ref=as_li_ss_tl?ie=UTF8&tag=countecurrenp-20&linkCode=as2&camp=217145&creative=399349&creativeASIN=1591148383
[3] here: http://www.counter-currents.com/2011/04/le-plan-de-staline-pour-conquerir-leurope-comment-lunion-sovietique-%C2%ABperdit%C2%BB-la-2eme-guerre-mondiale/
[4] http://library.flawlesslogic.com/suvorov.htm: http://library.flawlesslogic.com/suvorov.htm
[5] here: http://www.natvan.com/national-vanguard/115/icebreak.html
[6] here: http://ihr.org/jhr/v08/v08p389_Hitler.html
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lundi, 09 mai 2011
Soft Power - der kulturelle Krieg der USA gegen Russland - 1991-2010

Soft Power – der kulturelle Krieg der USA gegen Russland, 1991–2010
Die neue Strategie und ihre Zentren
von Peter Bachmaier
In den letzten zwei Jahrzehnten hat eine Umorientierung des amerikanischen strategischen Denkens stattgefunden: Der Krieg wird nicht mehr rein militärisch definiert, sondern findet auch mit nicht militärischen, informativen und psychologischen Methoden statt, die man als «psychologische Kriegführung» [psychological warfare] oder «kulturellen Krieg» bezeichnet. Diese Methoden haben eine lange Vorgeschichte. Der amerikanische Militärstratege Liddell Hart entwickelte bereits vor dem Zweiten Weltkrieg die Strategie der indirekten Einwirkung [the strategy of indirect approach].1 Während des Zweiten Weltkriegs wandten die amerikanischen und britischen Streitkräfte die «psychologische Kriegführung» gegen Deutschland an, die nachher zur Umerziehung [re-education] des deutschen Volkes eingesetzt wurde. Nach dem Ende des Krieges gründeten die CIA und das Verteidigungsministerium nach dem Vorbild des Tavistock Institute of Human Relations, eines spezialisierten Instituts für den psychologischen Krieg in England, Denkfabriken [think tanks] wie die RAND Corporation, das Hudson Institute von Herman Kahn, und andere, die in erster Linie gegen die Sowjetunion gerichtet waren.
Die Methoden in diesen Zentren wurden von einer Reihe von sozialwissenschaftlichen Instituten entwickelt. Die amerikanischen empirischen Sozialwissenschaften, d.h. Soziologie, Politikwissenschaft, Psychologie, Anthropologie, Kommunikationswissenschaft [communication studies] u.ä. entstanden in ihrer gegenwärtigen Form durch die Initiative und Finanzierung militärischer und nachrichtendienstlicher Agenturen in den 40er und 50er Jahren.2 Eine weitere Quelle waren die grossen Stiftungen wie die Carnegie Corporation, die Ford Foundation und die Rockefeller Foundation. Es waren berühmte wissenschaftliche Zentren wie die New School for Social Research in New York, das Bureau of Applied Social Research in Princeton (von Paul Lazarsfeld geleitet), das Institut für Sozialforschung (geleitet von Max Horkheimer und Theodor W. Adorno, das 1949 nach Frankfurt zurückkehrte), das Center for International Studies (CENIS) am Massachusetts Institute of Technology, aber auch das von Michael Murphy und Gregory Bateson gegründete alternative Esalen Institut in Kalifornien – ein Zentrum der Gegenkultur, das auch an der Organisation des Woodstock-Festivals 1968 beteiligt war –, die diese Aufträge erhielten. Insbesondere die führenden Institute der Kommunikationswissenschaften waren durch die Programme für psychologische Kriegführung geprägt.
Diese Institute gaben Zeitschriften wie das Public Opinion Quaterly (POQ), die American Sociological Review, die American Political Science Review u.ä. heraus. An diesen Instituten arbeiteten Experten, meist Emigranten aus Deutschland und Österreich, die sich später grosse Namen in der Wissenschaft erwarben wie Paul Lazarsfeld, Oskar Morgenstern, Leo Loewenthal, Herbert Marcuse, Walter Lippmann, Harold Lasswell, Gabriel Almond, Daniel Lerner, Daniel Bell, Robert Merton u.v.a. Es waren dieselben Experten und Institute, die auch für die Umerziehung des Volkes in Deutschland verantwortlich waren. Einige dieser Projekte waren auch mit der Vorbereitung der Kulturrevolution der sechziger Jahre mit ihren Begleiterscheinungen Rockmusik, Drogenkultur und Sexuelle Revolution beschäftigt.
In besonderer Weise waren natürlich die «Soviet Studies» von der Regierung abhängig. Das Russian Research Project in Harvard, geleitet von Raymond Bauer und Alex Inkeles, war ein gemeinsames Unternehmen der CIA, der U.S. Airforce und der Carnegie Corporation. Das Institut veröffentlichte 1956 eine Studie mit dem Titel «How the Soviet System Works», die ein Standard-Lesebuch in Soviet Studies wurde.3 Zur psychologischen Kriegführung gehörten auch Radiosendungen der CIA nach Osteuropa, «eines der billigsten, sichersten und effektivsten Werkzeuge der U.S.-Aussenpolitik», wie Jean Kirkpatrick später erklärte, nämlich die Voice of America. RIAS Berlin, Radio Free Europe und Radio Liberty, die bis heute auf russisch und in den Sprachen der GUS senden.4 Diese Sender unterstanden dem Kongress für kulturelle Freiheit, der 1950 mit 400 Mitarbeitern in Paris von der CIA gegründet worden war.5
Der Sieg über die Sowjetunion wurde vor allem mit Hilfe dieser nicht militärischen Methoden erreicht. Die Strategie, die als Ziel keine Koexistenz mit der Sowjetunion, sondern eine «Demontage» des sowjetischen Systems vorsah, wurde von der Reagan-Administration 1982 ausgearbeitet.6 Der Plan umfasste sieben strategische Initiativen, darunter als Punkt 4: Psychologischer Krieg, gerichtet auf die Erzeugung von Angst, Unsicherheit, Verlust der Orientierung sowohl bei der Nomenklatura als auch bei der Bevölkerung.7 Dieser Krieg wurde nicht nur gegen den Kommunismus, sondern gegen Russland geführt, wie die direkten Aussagen Brzezinskis bezeugen: «Wir haben die UdSSR zerstört, wir werden auch Russland zerstören.» «Russland ist überhaupt ein überflüssiger Staat.» «Die Orthodoxie ist der Hauptfeind Amerikas. Russland ist ein besiegtes Land. Es wird aufgeteilt und unter Vormundschaft gestellt werden.»8
Im Jahr 1990 prägte Joseph Nye, ein Mitarbeiter des Council on Foreign Relations und Verbündeter von Zbigniew Brzezinski, für diese Methoden den Begriff «Soft Power» oder «Smart Power», der auf dieselbe Wurzel wie das «Social Engineering» zurückgeht.9 Er veröffentlichte im Jahre 2005 sein Buch «Soft Power: The Means to Success to World Politics», in dem er den Vorschlag machte, Amerika müsse durch seine Kultur und seine politischen Ideale attraktiv werden. Das Center for Strategic and International Studies in Washington, eine neokonservative Denkfabrik, in dessen Aufsichtsrat Henry Kissinger und Zbigniew Brzezinski sitzen, gründete 2006 eine Commission on Smart Power, von Joseph Nye und Richard Armitage geleitet, die 2009 ein Memorandum «A Smarter, More Secure America» vorlegt e, die das Ziel verfolgte, Amerikas Einfluss in der Welt mit «weichen» Methoden zu verstärken.10
Erste erfolgreiche Anwendung der neuen Strategie: die Perestrojka
Zum ersten Mal wurden diese neuen Methoden als Strategie in der Perestrojka eingesetzt, als Michail Gorbatschow an die Macht kam. Die Perestrojka hatte ihre positiven Seiten, sie stellte die Meinungs- und Bewegungsfreiheit wieder her, aber sie war auch eine massive Einflussnahme des Westens.11 Innerhalb des Zentralkomitees der KPdSU und der Nomenklatura bildete sich eine Gruppe, die auf die Positionen des Westens überging und das westliche neoliberale System einführen wollte.
Der eigentliche Architekt der Perestrojka war Alexander Jakowlew, seit 1985 Sekretär des ZK der KPdSU für Ideologie, der in den 50er Jahren in Washington studiert hatte und seit damals ein überzeugter Anhänger des Neoliberalismus war, wie er mir bei einem Gespräch in Wien am 9. November 2004 erklärte. Zu seinem Netzwerk gehörten Leute wie Jegor Gajdar, Grigorij Jawlinskij, Boris Nemzow, Viktor Tschernomyrdin, German Gref und Anatolij Tschubajs. Jakowlew schuf mit ihnen in der UdSSR eine fünfte Kolonne des Westens, die bis heute im Hintergrund die Fäden zieht. Auch Boris Jelzin war ein Mann der Amerikaner, der im September 1989 auf Einladung des Esalen-Instituts in Kalifornien, das seit 1979 ein amerikanisch-sowjetisches Austauschprogramm unterhielt, bei einem Besuch in Washington direkt im amerikanischen Kongress angeworben wurde und 1991 mit ihrer Hilfe die Macht übernehmen konnte.12
Gorbatschow wurde durch Vermittlung von George Soros zum Mitglied der Trilateralen Kommission, die im Jänner 1989 in Moskau eine Konferenz abhielt, an der auch Henry Kissinger und Valéry Giscard d’Estaing teilnahmen.
Westliche Organisationen zur kulturellen Beeinflussung in Russland
In der Zeit der Perestrojka wurden auch die Logen und ihre Vorfeldorganisationen wieder zugelassen.13 Auf Ersuchen Kissingers erlaubte Gorbatschow im Mai 1989 die Gründung der B’nai Brith Loge in Moskau. Seit damals wurden in Russland etwa 500 Logen durch die Grosslogen von England, Frankreich, Amerika u.a. gegründet. Gleichzeitig wurden aber für Politiker, Unternehmer und Angehörige der freien Berufe, die keine Beziehung zu den Ritualen hatten, aber die Prinzipien der Logen teilten, offenere Organisationen, Klubs, Komitees und Stiftungen geschaffen. Es gibt einige tausend Logenmitglieder in Russland, die sich an den Ritualen beteiligen, aber darüber hinaus gibt es zehnmal so viele Mitglieder der «maçonnerie blanche», die keine Rituale benützen, aber die Prinzipien akzeptieren und von Logenbrüdern geleitet werden. Solche Organisationen sind der Klub Magisterium, der Rotaryklub, der Lionsklub, die Soros-Stiftung u.v.a. Diese Mitglieder halten sich für eine Elite, die besondere Rechte hat zu regieren.14
Um die Literaturszene zu kontrollieren, wurde das russische PEN-Zentrum gegründet, eine weitere Vorfeldorganisation. Zu seinen Mitgliedern gehörten bekannte Schriftsteller und Dichter wie Bella Achmadulina, Anatolij Pristawkin, Jewgenij Jewtuschenko, Wassilij Aksjonow und Viktor Jerofejew.
Die Stiftung «Offene Gesellschaft» von George Soros, bereits 1988 in Moskau gegründet, war in den 90er Jahren der mächtigste Mechanismus der Destabilisierung und Zerstörung in den Händen der Hintergrundmächte. Soros richtete seine Tätigkeit auf die Änderung der Weltanschauung der Menschen im neoliberalen Geist, die Durchsetzung des American way of life und die Ausbildung von jungen Russen in den USA. Mit den Mitteln der Soros-Stiftung wurden die wichtigsten russischen Zeitschriften finanziert und für die Unterstützung der Literatur spezielle Preise vergeben.15
Im Rahmen seines Programms gab die Stiftung Lehrbücher heraus, in denen die russische Geschichte im neoliberalen, kosmopolitischen Sinne dargestellt wurde. Im September 1993, während das Parlament beschossen wurde, hatte ich Gelegenheit, an einer Preisverleihung im russischen Bildungsministerium teilzunehmen. George Soros verteilte Preise an die Autoren russischer Lehrbücher für Geschichte und Literatur, und der russische Bildungsminister Jewgenij Tkatschenko erklärte, was das Ziel der neuen Schulbücher war: «Es geht darum, die russische Mentalität zu zerstören.»
Die Programme von Soros waren im kulturellen Bereich so vielfältig, dass praktisch der gesamte nichtstaatliche Sektor von der Finanzierung durch die «Offene Gesellschaft» abhing. Das Institut für die Wissenschaften vom Menschen (IWM), 1983 in Wien gegründet und ebenfalls von Soros unterstützt, förderte die Reform des Bildungswesens und der Universitäten in Russland und den postsozialistischen Ländern. Allein zwischen 1997 und 2000 vergab die Stiftung 22 000 Stipendien in der Höhe von 125 Millionen Dollar.16
Ein weiterer amerikanischer Think tank ist die Nationale Stiftung für Demokratie (NED), 1982 von Reagan gegründet, die ihrerseits wieder die Institute der Demokratischen und der Republikanischen Partei der USA und ihre Büros in Moskau finanziert. Sie unterstützt vor allem private Medien und prowestliche politische Parteien und Bewegungen. Das Budget der NED wird vom Kongress der USA als Unterstützung für das State Department beschlossen. Dem Vorstand gehören prominente Politiker an wie John Negroponte, Otto Reich, Elliot Abrams. Die NED ist die Fortsetzung der Operationen der CIA mit anderen Mitteln. Die NED finanzierte u.a. folgende russische Organisationen (2005): Gesellschaft «Memorial» für historische Bildung und den Schutz der Menschenrechte, Moskauer Helsinkigruppe, das Sacharowmuseum, Mütter Tschetscheniens für den Frieden, die Gesellschaft für russisch-tschetschenische Freundschaft, das Tschetschenische Komitee der nationalen Rettung (in einem Jahr insgesamt 45 Organisationen).17
Das Moskauer Carnegie-Zentrum wurde 1993 als Abteilung der Carnegie-Stiftung für internationalen Frieden, errichtet 1910 von Andrew Carnegie als unabhängiges Forschungszentrum für internationale Beziehungen, gegründet. Die Spezialisten des Moskauer Zentrums befassen sich mit den wichtigsten Fragen der Innen- und Aussenpolitik Russlands. Es gibt eine Sammlung von Informationen über die problematischen Punkte der Entwicklung des Landes. Das Zentrum publiziert Sammelbände, Monographien, Periodika und Nachschlagewerke sowie eine Vierteljahreszeitschrift «Pro et contra», die Serie «Working Papers» und führt regelmässig Vorträge und Konferenzen durch. Die Stiftung wird von grossen Firmen wie BP, General Motors, Ford, Mott sowie von Soros, Rockefeller, dem Pentagon, dem State Department und dem britischen Aussenministerium finanziert. Die Direktorin war bisher Rose Goettemoeller, frühere Mitarbeiterin der RAND Corporation, die derzeit stellvertretende Aussenministerin der USA ist.
Die Vertreter der russischen Geschäftswelt im Aufsichtsrat sind Pjotr Awen, Sergej Karaganow, Boris Nemzow, Grigorij Jawlinskij und Jewgenij Jasin, der Präsident der Moskauer Wirtschaftsuniversität. Führende Mitarbeiter sind Dmitrij Trenin, der auch für Radio Free Europe und Radio Liberty arbeitet, und Lilija Schewzowa, die beide regelmässig in den Westen eingeladen werden, um dort zu erklären, dass Russland die demokratischen Freiheiten einschränkt. Die Forschungen des Zentrums werden von der politischen Klasse Russlands und auch des Westens umfangreich benützt. Die Arbeit des Moskauer Zentrums wird von der Zentrale in Washington durch ein «Russland- und Eurasien-Programm» unterstützt.18
Die Stiftung Freedom House, 1941 auf Initiative von Eleanor Roosevelt gegründet, entstand aus dem Kampf gegen den Isolationismus in den USA. Offizielles Ziel war der Kampf gegen den Nationalsozialismus und Kommunismus, heute wird sie von Soros und der Regierung der USA finanziert. In den 90er Jahren gründete Freedom House Büros in fast allen GUS-Staaten und das Amerikanische Komitee für Frieden in Tschetschenien (Mitglieder: Brzezinski, Alexander Haig, James Woolsey – früherer CIA-Chef). Das bekannteste Projekt ist heute «Freiheit in der Welt», das seit 1972 jährlich alle Staaten der Welt analysiert, wo sie in «freie», «teilweise freie» und «unfreie» eingeteilt werden.19
Im Jahr 1992 wurde die russische Filiale der Rockefeller-Stiftung Planned Parenthood Federation in Moskau und 52 weiteren russischen Städten gegründet. Die Stiftung machte den Versuch, das Fach «Sexualkunde», das in Wirklichkeit die Auflösung der Familie und die Erziehung eines neuen Menschen zum Ziel hat, in allen russischen Schulen einzuführen. Dazu kam es jedoch nicht, da die Beamten des Bildungsministeriums, die Lehrer, die Eltern und die orthodoxe Kirche Widerstand leisteten und das Projekt auf einer Konferenz der Russischen Akademie für Bildungswesen im Jahr 1997 abgelehnt wurde.20
Die Nichtregierungsorganisationen (NGOs) gelten im Westen als die Bausteine der Zivilgesellschaft. Im Falle Russlands haben sie nichts mit dem Aufbau einer direkten Demokratie zu tun, sondern sind Agenturen, die vom Westen finanziert und gesteuert werden.
Die westliche Einflussnahme auf das Bildungswesen und die Medien
Ein wichtiges langfristiges Ziel der westlichen Einflussnahme ist das Bildungs- und Hochschulwesen. Zunächst wurden nach der Wende von 1991 mit Hilfe westlicher Berater der Zentralismus und die marxistische Ideologie aufgelöst. Das Bildungsgesetz von 1992 und die Verfassung der Russischen Föderation von 1993 schrieben eine tiefgreifende Umorientierung des Bildungswesens im Zeichen eines neoliberal-demokratischen Paradigmas nach westlichem Vorbild fest. Es umfasste den Einbau marktwirtschaftlicher Elemente im Bildungswesen und den Aufbau einer Zivilgesellschaft.21
Die Vergabe von westlichen Krediten an das Bildungswesen war an die Erfüllung der Vorgaben gebunden. Auf diese Weise wurde das Bildungswesen im Sinn des neoliberalen Systems umgestaltet. Ein nichtstaatlicher Sektor mit teuren Privatschulen etablierte sich. Die privaten höheren und Hochschulen waren gewinnorientiert und verlangten Schul- und Studiengebühren. Durch die PISA-Studien der OECD wurde das Bildungswesen auf die Wirtschaft ausgerichtet. Viele Schulen in ländlichen Gebieten, die nicht mehr «rentabel» waren, wurden geschlossen. Viele Kinder gehen nicht mehr in die Schule oder schliessen sie nicht ab. Im Jahr 2000 gingen nach einem Unesco-Bericht 1,5 Millionen Kinder in Russland nicht in die Schule. Der Drogenkonsum der Schüler, der früher unbekannt war, breitete sich aus.22
Am bedeutendsten war die Reform des Hochschulwesens, das gleich nach der Wende von Weltbank und Internationalem Währungsfonds evaluiert wurde, die dann ein Programm für eine Umstrukturierung nach angloamerikanischem Vorbild ausarbeiteten. Im Jahr 2004 wurde die Bologna-Deklaration gesetzlich beschlossen: d.h. der Übergang zum vierjährigen Bakkalaureat und zum anschliessenden zweijährigen Magisterstudium sowie eine Präsidialverfassung mit Hochschulräten, in denen Vertreter der Wirtschaft sitzen. Viele russische Bildungsexperten sehen darin eine Zerstörung der Tradition der russischen Universität, weil der Bildungsprozess auf die Weitergabe von Informationen reduziert wird. Von den etwa 1000 Hochschulen und Universitäten in Russland sind heute 40% privat, viele davon vom Westen errichtet, an denen eine neue Elite herangebildet wird.23
Ein weiterer Sektor, der vom Westen mit grosser Aufmerksamkeit verfolgt wird, sind die Medien, die nach 1991 die grösste Wandlung durchgemacht haben. Sie wurden durch die neoliberalen Reformen nach 1991 privatisiert und von Oligarchen oder vom Ausland übernommen. Viele Fernsehstationen, Zeitungen und Zeitschriften erhielten ausländische Eigentümer wie die News Corporation von Rupert Murdoch, die heute die Zeitung «Vedomosti», die führende Finanzzeitung Russlands gemeinsam mit der «Financial Times» herausgibt und die News Outdoor Group, die grösste Werbeagentur, die in etwa 100 Städten Russlands aktiv ist, besitzt. Die Bertelsmann AG, die über das grösste europäische Fernsehunternehmen RTL verfügt, betreibt in Russland den landesweiten Sender Ren TV.24 Die Bertelsmann-Stiftung, 1977 von Reinhard Mohn gegründet, eine der mächtigsten Denkfabriken der EU, arbeitet mit der Gorbatschow-Stiftung zusammen, die ihren Sitz in Moskau hat, aber auch eine Zweigstelle in Deutschland und in den USA unterhält.
Die Medien waren unter Jelzin fast vollständig in den Händen der neuen Oligarchie, die wiederum mit den westlichen Finanzzentren verbunden ist. Gusinskij besass den grössten Fernsehsender NTW, und Boris Beresowskij kontrollierte die Zeitungen. Als Putin begann, den russischen Staat wieder zu stabilisieren, stellte sich als vordringlichste Aufgabe die Kontrolle der Medien, weil die Regierung sonst gestürzt worden wäre.
Zur Amerikanisierung muss man last not least die Alltagskultur rechnen, die mit Rockkonzerten, Internet, Privatfernsehen, Kinopalästen, Discotheken, Musik-CDs, DVDs, Comics, Werbung und Mode fast dieselbe wie im Westen ist.
Das Ziel der amerikanischen Strategie ist der Transfer des westlichen Wertesystems auf die russische Gesellschaft. Der russische Staat soll entideologisiert werden. In der Verfassung von 1993 wurde die staatliche Ideologie als Kennzeichen des Totalitarismus desavouiert und im Art. 13 verboten.25
Die offizielle sowjetische Ideologie beruhte auf einer materialistischen Philosophie, aber hatte Elemente einer nationalen Idee und war die Klammer, die den Staat zusammenhielt. Durch dieses Verbot wurde der Staat der Wertorientierungen der nationalen Idee beraubt. Die geistige Leere wird heute durch die westliche Populärkultur ausgefüllt.
Die kulturelle Offensive der USA hat das Ziel, in Russland eine multikulturelle, d.h. kosmopolitische, pluralistische und säkulare Gesellschaft zu schaffen, in der die einheitliche russische Nationalkultur aufgelöst ist. Das Volk, die Gemeinschaft der Bürger mit einer gemeinsamen Geschichte und Kultur, soll in eine multinationale Bevölkerung umgewandelt werden.
Der Widerstand des russischen Staates und der Intelligenzia
Das unter Staatspräsident Wladimir Wladimirowitsch Putin seit dem Jahr 2000 durchgesetzte Staatskonzept, insbesondere die Forderung nach einem starken Staat, beinhaltete eine teilweise Rezentralisierung, den Übergang von einem multinationalen zu einem nationalrussisch geprägten Staatsverständnis sowie die Tendenz, der russisch-orthodoxen Kirche und Religion eine Sonderstellung im Staat einzuräumen.
Im April 2001 übernahm der staatliche Energiekonzern Gasprom die Kontrolle über den Fernsehsender NTW. Die Tageszeitung «Sewodnja» (Heute) wurde eingestellt, der Chefredakteur des Wochenmagazins gekündigt. Boris Beresowskis Fernsehsender TW-6 wurde im Jänner 2002 geschlossen und Beresowski emigrierte nach England.
Im September 2003 wollte der Ölmagnat Michail Chodorkowski die liberale Wochenzeitung Moskowskije Nowosti übernehmen, um die liberalen Oppositionsparteien «Union rechter Kräfte» und «Jabloko» im bevorstehenden Wahlkampf zu unterstützen. Dieses politische Engagement war ein wichtiger Grund für die Verhaftung Chodorkowskis im Oktober 2003. Diese Massnahmen waren notwendig, weil es der Oligarchie sonst gelungen wäre, mit Hilfe der Medienmacht die Regierung selbst unter ihre Kontrolle zu bringen. Die drei wichtigsten Fernsehsender – ORT, Rossija und NTW – sowie ein bedeutender Teil der Druckmedien werden heute durch staatliche Konzerne (Gasprom und Wneschtorgbank) oder durch den Staat direkt (RTR) kontrolliert.
Der Oligarch Wladimir Potanin kontrolliert aber weiterhin die Tageszeitungen «Izwestija» und «Komsomolskaja Prawda». Derzeit gelten die «Nowaja Gaseta» (unter Kontrolle des Oligarchen Alexander Lebedew und des ehemaligen sowjetischen Präsidenten Gorbatschow) und die Tageszeitung «Wedomosti» (ein Projekt des «Wall Street Journal» und der «Financial Times») als von der Regierung unabhängige Medien.26 Seit dem Jahr 1993 wurden in Russland gemäss einer Statistik 214 Journalisten ermordet, darunter 201 Journalisten in der Jelzin-Ära und 13 seit dem Amtsantritt Putins, darunter aber die meisten in seiner ersten Amtszeit, während es in der zweiten Amtzeit nur mehr drei waren.27
Die nationale Doktrin für Bildung 1999 und die Konzeption 2001 führten im inhaltlich-ideologischen Bereich das nationalpatriotische Gedankengut wieder ein. Eine Hinwendung zu Werten der Zarenzeit traf mit dem Postulat zusammen, die Vorzüge des Bildungssystems der Sowjetunion zu erhalten. Eine Sonderstellung haben die von der russisch-orthodoxen Kirche getragenen Privatschulen und Geistlichen Akademien inne, die seit 2007 staatlich anerkannt sind. In den Lehrprogrammen der Schulen wurden neue Gegenstände wie seit 1999 die obligatorische Vorbereitung auf den Wehrdienst und seit 2007 das Schulfach «Grundlagen der orthodoxen Kultur» eingeführt.28
Zum kulturellen Krieg gehört auch die Kampagne der westlichen Medien gegen Russland, die seit zehn Jahren, vor allem aber seit der Verhaftung Chodorkowskijs 2003 geführt wird unter dem Schlagwort «Russland auf dem Weg zurück zum Sowjetsystem!» Ein weiteres Beispiel ist die sogenannte Verfolgung progressiver Künstler, die darin bestehen soll, dass blasphemische und pornographische Werke aus öffentlichen Ausstellungen entfernt wurden. Es handelte sich in der Regel um Provokationen westlich finanzierter NGOs. Das Sacharow-Zentrum, das sich die Durchsetzung der offenen Gesellschaft zum Ziel setzt, organisierte 2003 eine Ausstellung «Vorsicht! Religion», auf der auch blasphemische antichristliche Exponate ausgestellt waren. Daraufhin forderte die Duma die Staatsanwaltschaft auf, gegen die Leitung des Zentrums tätig zu werden. 2005 wurden die Organisatoren zu einer Geldstrafe verurteilt.
Im Jahr 2005 führte die Regierung einen neuen Staatsfeiertag am 4. November ein, in der Nähe des alten Feiertags der Oktoberrevolution am 7. November. Diesmal sollte aber der Sieg über die polnischen Invasionstruppen im Jahre 1612 gefeiert werden. Im Jahr 2006 wurde ein neues Gesetz über die Nichtregierungsorganisationen verabschiedet, nach dem sich alle neu registrieren mussten und die ausländische Finanzierung genauer kontrolliert wurde. Anfang 2008 wurden alle regionalen Büros des British Council mit Ausnahme des Moskauer Büros geschlossen, weil man dem Council antirussische Tätigkeit vorwarf.29
Im Unterschied zu der Zeit der Perestrojka und der Jelzin-Ära ist die russische Intelligenzia seit dem Nato-Angriff auf Jugoslawien 1999 nicht mehr neoliberal, sondern nationalpatriotisch eingestellt. Die Schriftsteller, Künstler, Filmschaffenden und Theaterleute sind heute Patrioten und werden vom Kreml unterstützt. Die Regierung kontrolliert auch die politische Berichterstattung der Medien, vor allem im Fernsehen, etwas weniger in den Zeitungen.
Die Hauptfigur der Traditionalisten war früher Alexander Solschenizyn, dem aber seine ungenügende Kritik des Westens vorgeworfen wurde. Die führende Gruppe sind heute die «Bodenständigen» [po venniki], sie sind christlich-orthodox, aber sehen die sowjetische Periode in der Tradition der russischen Geschichte. Ihre Ideologen sind Dorfschriftsteller wie Walentin Rasputin, Wassilij Below und Wiktor Astafjew. In den Zeitschriften «Nasch sowremennik», «Moskwa» und «Molodaja gwardija» wurde seit den 70er und 80er Jahren die patriotische Ideologie ausgearbeitet.
Die «Stiftung der historischen Perspektive», die von der ehemaligen Duma-Abgeordneten Natalia Narotschnizkaja geleitet wird, vertritt ein patriotisches und christliches Programm, verfügt über die Schriftenreihe «Zvenja», die Internetzeitschrift «Stoletie» und organisiert Vorträge und Tagungen. Die nationalpatriotische Intelligenz diskutiert eine grundsätzliche Änderung des Systems, die einen starken Staat und eine Schliessung der Grenzen vorsieht. Die Verbände der Kulturschaffenden wie der Schriftstellerverband, der Künstlerverband, der Verband der Filmschaffenden verfügen über Kulturhäuser, Galerien, Kinozentren und Zeitschriften und organisieren ein dichtes Programm von Veranstaltungen. Es gibt in Moskau 150 Theater, Opernhäuser und Konzertsäle, die überwiegend klassische Stücke aufführen. Regietheater, abstrakte Kunst und atonale Musik sind ein Minderheitenprogramm.30
Österreich und Deutschland werden positiv gesehen, man sieht vor allem die alte deutsche Kultur, man hat ein Bild davon, das aus der Vergangenheit kommt, aber man weiss nicht wirklich, was in Deutschland heute vor sich geht. Alexander Solschenizyn hat immer gehofft, Deutschland werde eine Art Brücke zwischen Russland und dem Rest der Welt sein, weil sich Deutschland und Russland gegenseitig zueinander hingezogen fühlen.31 Die deutschen Medien zeichnen aber ein verzerrtes Bild von Russland: dass Russland auf dem Weg zurück zum Sowjetsystem ist und die neoliberalen Intellektuellen einen verzweifelten Abwehrkampf führen. Als Beispiel präsentiert man den Pornoschriftsteller Viktor Jerofejew, der von der Hamburger «Zeit» nach Deutschland eingeladen wurde.32 Die entscheidende Frage ist heute in Russland aber nicht, ob es wieder eine kommunistische Diktatur wird, sondern ob es eine «Diktatur des Relativismus» nach westlichem Vorbild oder eine christliche Gesellschaft wird.33
Die religiöse Erneuerung
Der entscheidende Widerstand gegen die Verwestlichung kommt heute von der orthodoxen Kirche, die antimodernistisch und traditionalistisch eingestellt ist. Die Orthodoxie tritt für traditionelle Werte wie Ehe, Familie und Mutterschaft ein und lehnt die Homosexualität ab. Die Kirchen sind voll, überwiegend mit jungen und jüngeren Menschen. Die Jugend bekennt sich mehrheitlich zur Orthodoxie, d.h. zum Christentum, und heiratet wieder in der Kirche. Es gibt wieder 100 Millionen Gläubige, 30 000 Priester und 600 Klöster. Die Geistliche Akademie in Sergijew Possad ist voll, es gibt vier Bewerbungen für einen Platz. Es gibt eine orthodoxe Radiostation, einen Verlag, eine Reihe von Zeitschriften, Militärgeistliche in der Armee sowie eine Spitals- und Gefängnisseelsorge, und in den Schulen wurde de facto Religion als Unterrichtsfach zum ersten Mal seit 1917 wieder eingeführt. Nach den Umfragen bezeichnen sich 70% der Russen als religiös.34
Im Jahr 2007 beschlossen die russisch-orthodoxe Kirche und der Vatikan, Gespräche aufzunehmen, um ihre langjährigen Differenzen zu beseitigen. Erzbischof Ilarion, Leiter des Aussenamts des Patriarchats, früher russisch-orthodoxer Bischof von Wien, sagte dazu: «Wir sind Bündnispartner und stehen vor der gleichen Herausforderung: einem aggressiven Säkularismus.»35
Die Orthodoxie wird in Russland als die «Religion der Mehrheit» bezeichnet. Am 4. November, dem Tag der Nationalen Einheit in Russland, konnte ich eine ungewöhnliche Prozession auf dem Roten Platz beobachten. Der Patriarch ging in der ersten Reihe, die Spitzen des Islams, der jüdischen Gemeinde und der Buddhisten in der zweiten. Das war als sichtbares Symbol gedacht: «Der Patriarch ist das Oberhaupt der vorherrschenden Religion. Er eint die Gläubigen und fördert die Zusammenarbeit der Religionsgemeinschaften. Der Patriarch ist der geistige Führer des ganzen Volkes, nicht nur der orthodoxen Gläubigen.»36
Schlussfolgerungen
Russland ist heute in einer Krise, die zunächst im Finanz- und Währungssystem zum Ausdruck kommt, aber genauso den Kulturbereich erfasst, ja sogar dort ihre tiefere Ursache hat, die darin besteht, dass pluralistische säkulare Gesellschaft den Menschen keine wirkliche Gemeinschaft, keine Weltanschauung und keinen Sinn gibt.
Russland braucht nicht die «materialistische und egoistische Kultur» der gegenwärtigen westlichen Gesellschaft, sondern eine universelle nationale Ideologie, die alle Seiten des Lebens des Volkes erfasst, das Land entwickelt und alles abwehrt, was die Existenz des Volkes bedroht.37
Die «Neufassung» [reset] der russisch-amerikanischen Beziehungen seit zwei Jahren ändert jedoch nichts an der langfristigen antirussischen Ausrichtung der amerikanischen Politik und hindert die CIA nicht daran, wieder aktiver in Russland zu werden. Auch Hillary Clinton betonte nach dem Besuch Obamas in Moskau, dass die USA am Konzept des absoluten Weltführers festhalten. Russland wird daher früher oder später vor der Wahl stehen, entweder einen souveränen Staat aufzubauen, der die Grenzen schliesst und die Unterminierung seiner Kultur abwehrt, oder zu kapitulieren und eine Provinz des Westens zu werden. •
Dr. Peter Bachmaier, geb. 1940 in Wien, Studium in Graz, Belgrad und Moskau, 1972–2005 Mitarbeiter des Österreichischen Ost- und Südosteuropa-Instituts, seit 2006 Sekretär des Bulgarischen Forschungsinstituts in Österreich, 2009 dreimonatiger Forschungsaufenthalt in Moskau. Vortrag, gehalten auf dem Kongress «Mut zur Ethik» in Feldkirch, 3. September 2010.
1 Basil Liddell Hart, Strategy: The Indirect Approach, 1. Aufl. 1929, 2. Aufl. 1954.
2 Christopher Simpson, Science of Coercion: Communication Research and Psychological Warfare, 1945–1960, New York, Oxford U.P. 1994, p. 4.
3 Simpson, Science of Coercion, p. 87.
4 A. Ross Johnson, R. Eugene Parta, Cold War Broadcasting: Impact on the Soviet Union and Eastern Europe, Woodrow Wilson International Center, Washington 2010.
5 Frances Stonor Saunders, Who Paid the Piper? The CIA and the Cultural Cold War, London 1999, dt. Ausgabe: Wer die Zeche zahlt … Der CIA und die Kultur im Kalten Krieg, Berlin 2001; Simpson, Science of Coercion, p. 68.
6 Peter Schweizer, Victory: The Reagan Administration’s Secret Strategy That Hastened the Collapse of the Soviet Union, New York 1994.
7 S.G. Kara-Murza, A.A. Aleksandrov, M.A. Muraškin, S.A. Telegin, Revolucii na eksport [Revolutionen für den Export], Moskva, 2006.
8 Zitiert nach: V.I.Jakunin, V.Bagdasarjan, S.S.Sulakšin, Novye technologii bor’by s rossijskoj gosudarstvennost’ju [Neue Technologien des Kampfes gegen den russischen Staat], Moskva, 2009, str. 50.
9 oseph Nye, Bound to Lead: the Changing Nature of American Power, Basic Books 1990; Joseph Nye, Transformational Leadership and U.S. Grand Strategy, Foreign Affairs, vol. 85, No. 4, July/August 2006, pp. 139–148.
10 Richard Armitage, Joseph S. Nye, A Smarter, More Secure America, CSIS Commission on Smart Power, 2009.
11 Peter Schweizer, Victory: The Reagan Administrations’s Secret Strategy That Hastened the Collapse oft he Soviet Union, New York 1994.
12 Das steht in der offiziellen Jelzin-Biographie von Wladimir Solowjow, Elena Klepikowa, Der Präsident. Boris Jelzin. Eine politische Biographie, Berlin 1992. Nach der Anhörung Jelzins in einem Ausschuss des Kongresses sagte David Rockefeller: «Das ist unser Mann!»
13 O. A. Platonov, Rossija pod vlast’ju masonov [Russland unter der Macht der Freimaurer], Moskva 2000, S. 35.
14 Platonov, Rossija, str. 3.
15 Platonov, Rossija, str. 15.
16 Jakunin, Novye techologii, S. 81.
17 Jakunin, Novye technologii, S. 90.
18 Jakunin, Novye technologii, S. 94f.
19 Jakunin, Novye technologii, S. 92.
20 www.pravda.ru 03.19.2008.
21 Gerlind Schmidt, Russische Föderation, in: Hans Döbert, Wolfgang Hörner, Botho von Kopp, Lutz R. Reuter (Hrsg.), Die Bildungssysteme Europas, Hohengehren 2010 ( = Grundlagen der Schulpädagogik, Bd. 46, 3. Aufl.), S. 619.
22 Schmidt, Russische Föderation, S. 635.
23 Schmidt, Russische Föderation, S. 632.
24 Pierre Hillard, Bertelsmann – un empire des médias et une fondation au service du mondialisme, Paris 2009, p. 27.
25 «In der Russischen Föderation ist die ideologische Vielfalt anerkannt. Keine Ideologie darf als staatliche oder verbindliche festgelegt werden.» Art. 13 der Verfassung der Russischen Föderation, Dezember 1993.
26 A. Cernych, Mir sovremennych media [Die Welt der gegenwärtigen Medien], Moskva 2007.
27 Roland Haug, Die Kreml AG, Hohenheim 2007.
28 Schmidt, Russische Föderation, S. 639.
29 Das Feindbild Westen im heutigen Russland, Stiftung Wissenschaft und Politik, Berlin 2008.
30 Vladimir Malachov, Sovremennyj russkij nacionalizm [Der gegenwärtige russische Nationalismus], in: Vitalij Kurennoj, Mysljaškaja Rossija: Kartografija sovremennych intellektual’nych napravlenij [Das denkende Russland: Kartographie der gegenwärtigen intellektuellen Richtungen], Moskva 2006, str. 141 ff.
31 nterview mit Alexander Solschenizyn, Der Spiegel Nr. 30, 23.07. 2007; Marc Stegherr, Alexander Solschenizyn, Kirchliche Umschau, Nr. 10, Oktober 2008.
32 Nikolaj Plotnikov, Russkie intellektualy v Germanii [Russische Intellektuelle in Deutschland], in: Kurennoj, Mysljaškaja Rossija, a.a.O., str. 328.
33 Westen ohne Werte? Gespräch mit Natalja Alexejewna Narotschnizkaja, Direktorin des russischen Instituts für Demokratie und Zusammenarbeit in Paris, Frankfurter Allgemeine Zeitung, Nr. 51, 29.02.2008.
34 Jakunin, Novye technologii, str. 196ff.
35 Interview in: Der Spiegel.
36 Der Spiegel, Nr. 51, 14.12.2009.
37 Papst Benedikt XVI. Enzyklika «Spe salvi», Rom 2007, in der er von einer «Diktatur des Relativismus» spricht; Jakunin, Novye technologii, str. 174f.
«Zukunftwerkstätten» in Russland
Im Juli 2010 fand in Jekaterinburg die 21. deutsch-russische Zukunftswerkstatt mit etwa 40 Teilnehmern im Rahmen des Petersburger Dialogs zwischen Deutschland und Russland statt. Diese Seminare, zu denen junge russische Führungskräfte eingeladen werden, wurden im September 2004 von der Deutschen Gesellschaft für Aussenpolitik begründet, die die erste «Zukunftswerkstatt» mit dem Thema «Deutschland und Russland in der globalen Welt» in den Räumen des Bertelsmann-Verlags Gruner und Jahr in Hamburg organisierte. Das Ziel der Seminare, die heute von der Körber-Stiftung unterstützt werden, ist die Aufarbeitung der kommunistischen Vergangenheit und die Verbreitung der Idee der demokratischen Zivilgesellschaft. Die deutschen Vortragenden erklären den jungen Russen, dass eine strategische Partnerschaft mit Russland nur auf der Basis gemeinsamer westlicher Werte möglich wäre. Sie geben ihnen den Rat, das imperiale Erbe Russlands zu beseitigen und sich den Spielregeln der Globalisierung zu unterwerfen.
Die Deutschen sagen den Russen, dass sie in Deutschland seit den 60er Jahren die Auseinandersetzung mit dem Krieg und dem Nationalsozialismus geführt und die Vergangenheit aufgearbeitet hätten, und werfen den Russen vor, mit der Erinnerung an den Sieg im Zweiten Weltkrieg an die sowjetische Identität anzuknüpfen und nicht bereit zu sein, den Totalitarismus umfassend aufzuarbeiten, womit sie eine weitere Demokratisierung der Gesellschaft verhindern würden. Die russischen Teilnehmer antworten, dass sich 1991 ein Bruch in ihrem historischen Bewusstsein vollzog, der zum Zerfall der fundamentalen Werte in der Gesellschaft führte. Die Russen sind bisher nicht bereit, sich vollständig «von der Vergangenheit zu lösen» und die «universalen Werte» zu akzeptieren.
Quelle: Newsletter, DGAP, 20.7.2010
00:10 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Géopolitique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, etats-unis, russie, soft power, europe, affaires européennes, actualité, histoire |
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samedi, 23 avril 2011
Ivan Rebroff - Poljuschko Polje + Es steht ein Soldat am Wolgastrand
Ivan Rebroff - Poljuschko Polje
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mardi, 19 avril 2011
Alexander Dugin: "The Apparent and the Unbelievable" + "Pure Satanism"
"The Apparent and the Unbelievable": Alexander Dugin and Sergei Kapitsa (English subtitles) Part I
Dugin and Kapitsa 2 (Complete)
"Pure Satanism": Alexander Dugin on Postmodernity in Western Society
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lundi, 18 avril 2011
El romanticismo ruso
El romanticismo ruso
Adrià Solsona
Ex: http://idendidadytradicion.blogia.com/
El movimiento romántico ruso tendrá una espectacular repercusión en la literatura, en la formación de unas nuevas corrientes de pensamiento, en la estética, en la música y en la pintura de su país. La poesía será el gran galvanizador y aglutinador de todos los criterios románticos.
El siglo XIX puede considerarse la edad de oro de las letras rusas. Son cien años intensos y que técnicamente podemos dividir en cinco etapas:
1ª) 1790-1820: corriente prerromántica.
2ª) 1820-1840: Romanticismo.
3ª) 1840-1855: aparición de la escuela natural.
4ª) 1855-1880: Realismo.
5ª) 1880-1895: etapa de transición entre el Realismo y el Modernismo.
Esta fase dorada la podemos considerar iniciada con la época romántica. Los siguientes factores darán a las letras rusas una impronta superior, única y diferencial: la calidad técnica, la brillantez argumental, la capacidad de exprimir todas las potencialidades de una lengua, la forja de una literatura transmisora de una conciencia nacional, la recuperación del pasado, la elevación de la poesía a espejo del alma rusa y la presencia de un sentido de peculiaridad y de orgullo identitario.
Las primeras tendencias románticas llegarán de la mano de autores como M. N. Muraviov, N. M. Karamzín y I. I. Dmítriev. A ello le deberemos sumar la fuerte influencia alemana del movimiento Sturm und Drang.
El romanticismo ruso (del periodo 1800-1825), asoció lo propio y peculiar a la recuperación del antiguo espíritu de comunidad popular y esto se llevó a cabo a través de recuperar el mundo de las viejas mitologías eslavas y de todo aquel folklore que era portador de una substancial herencia histórica que, poco a poco, pasó a ser valorada como irrenunciable. La recuperación de cuentos y leyendas, pasaron a ser una bombona de oxígeno para la reactivación de ciertos valores que habían entrado en crisis. Todo ello se conjugó con una búsqueda intensa para intentar hallar cuáles eran las verdaderas esencias de su arte y su cultura. Este clima permitirá generar un elemento diferencial a todo el romanticismo europeo; el carácter optimista y, con él, la superación de la desesperación dramática y del sufrimiento universal. Tal vez, sin pretenderlo, los escritores rusos habían superado al cristianismo doliente y lastimero del que eran hijos. A partir de 1825-1830, se incorpora el elemento social que cobrará un protagonismo notable.

La poesía romántica rusa nace con El cementerio de la aldea, de V. A. Zhukovski. Pero este movimiento poético se especializará en la poesía épica, que será su verdadero estandarte y la prueba de madurez de las letras rusas. Esta épica es muy importante porque nace de la búsqueda del propio centro espiritual del ser ruso. Esta vía espiritual, lógicamente, fue trasladada al hombre, que tuvo que empezar a mirar en su interior para intentar hallar las respuestas personales al desafío del universo. En este sentido, tenemos que reconocer que no todos los autores lograron su objetivo. Igual que pasó en el resto de Europa, muchos se perdieron en el campo de lo sentimentaloide. Este inconveniente puede quedar, parcialmente, compensado con el hecho de que el orgullo y la dignidad, siempre acompañan a los grandes personajes que se crean por las plumas de estos inspirados románticos rusos. De este género épico, vale la pena citar El prisionero del Cáucaso, de Pushkin; El monje, de I. I. Kozlov; Voinarovski, de K. F. Ryléiev; Vladímir, de V. A. Zhukovski y La sirena y Riúrik, de K. N. Bátiushkov.
También el héroe romántico ruso tendrá algo de especial y diferente. Es un héroe que a diferencia de los héroes mitológicos y de muchos de los románticos, será un héroe próximo a las gentes, capaz de cosas y hechos asumibles por todos los lectores pero al mismo tiempo, siempre será un portador de valores eternos e indestructibles. Es el ejemplo a través del cual se intentaba reconquistar la dignidad colectiva y demostrar que todo héroe es, en sí mismo, un portador de valores espirituales.
El poeta V. A. Zhukovski (1783-1852), intuyó que el mundo se rige por una energía sutil, indefinible e inmaterializable[1] y que el hombre, por extensión, tiene un mundo interior que es muy superior a cuanto pueda acontecer en su exterior.
Discípulo del anterior fue K. N. Bátiushkov (1787-1855), el gran perfeccionista de la lengua rusa y que consideró que el hombre era prisionero de una fuerza misteriosa que gobernaba la humanidad en todas las épocas. Esta fuerza conducía a una realidad cruel que no podía ser cambiada por ningún esfuerzo mental ni político. Sólo la vía espiritual podía dar respuestas «porque es la única que puede ser útil en todos los tiempos y para todos los casos». Fíjese el lector que estos poetas están rozando o intuyendo el concepto del Eterno Retorno y también han sabido percibir que la única vía de salida es la interior.
La poesía será, especialmente, mimada y elevada a la categoría de virtuosismo por los decembristas [2], que consideraron el acto de la creación poética como un hecho heroico y una aproximación al espíritu. Este grupo también cantó a la libertad y a las acciones viriles en sus poemas. Es útil retener nombres como K. F. Ryléiev (1795-1826), W. K. Küchelbecker (1797-1846) y A. A. Bestúzhev (1797-1837).
Liubomudry, es el nombre del grupo que creó el poeta D. V. Venevítinov (1805-1827) y que dará paso al romanticismo filosófico. S. P. Shevyriov (1806-1864), definió magistralmente el sentido de este grupo: «la naturaleza no sólo está íntimamente unida al ser humano, sino que parece existir, ante todo, para explicar al hombre. Los misterios de la naturaleza son también los misterios humanos». Para el príncipe Odóievski, el poeta es la expresión universal de la búsqueda de la verdad única. Por ello, el poeta se halla en perpetua armonía con los dioses, las musas, la naturaleza y la belleza.
A. S Jomiakov, en El consuelo, nos plantea el tema de la muerte. Nunca hay una muerte definitiva, siempre queda algo… y el poeta, filosófico, comprendió que él era el portador del pensamiento inmortal. La única vía para conquistar la verdadera Libertad. ¡Éste fue el auténtico sentido de todas sus poesías! La suma de todas las obras y poemas que han tocado el tema de la muerte, durante este periodo, confirma aquello que luego Unamuno supo sintetizar magistralmente: «Dios es el resultado del instinto de inmortalidad del hombre».
Dos últimos personajes pondrán punto y final a esta somera presentación del poco conocido romanticismo ruso. En la figura de F. I. Tiútchev (1803-1873), tenemos a una de las cimas más altas de la poesía rusa, eslava y europea. Merece una reflexión profunda su Peregrino, pues por él transitan elementos sumamente interesantes para el discurso espiritual de la Tradición occidental. Finalmente, nos encontramos con A. S. Pushkin. Él ha representado los valores sólidos, la creación de versos que para siempre han acompañado el día a día de los rusos, es el motor de expansión de la brillantísima prosa rusa del siglo XIX, es el herrero de la lingüística rusa. Ha sido y es, la referencia para muchas generaciones de escritores de todas las tendencias y de todos los países europeos. Curiosamente, sólo se apartó del romanticismo, en el momento en que fue capaz de penetrar una parte de la sabiduría que subyace en la obra de Shakespeare.
Adrià Solsona
[1] Los actuales estudiosos han hecho una lectura restrictiva y se han limitado a hacer valoraciones psicológicas. Planteamiento que sólo consideramos aplicable a algunos de sus poemas. Pero en el conjunto de toda su obra se apunta hacia una percepción mucho más profunda de las cosas.
[2] Nombre asociado al pronunciamiento militar del 14 de diciembre de 1825.
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samedi, 16 avril 2011
Russian Imperial March
Russian Imperial March
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lundi, 04 avril 2011
Das tragische Scheitern des "Postkommunismus" in Osteuropa
Das tragische Scheitern des »Postkommunismus« in Osteuropa
Dr. Rossen Vassilev
Im vergangenen Jahr stürzte sich kurz vor Heiligabend ein Ingenieur des öffentlich-rechtlichen Fernsehens aus Protest gegen die umstrittene Wirtschaftspolitik von einer Balustrade im rumänischen Parlament, als der Ministerpräsident des Landes dort gerade eine Rede hielt. Der Mann überlebte den Selbstmordversuch und soll vor seinem Sprung gerufen haben: »Sie nehmen unseren Kindern das Brot aus dem Mund! Sie haben uns um unsere Zukunft gebracht!« Der Demonstrant, der in ein Krankenhaus gebracht wurde, trug ein T-Shirt mit der Aufschrift »Sie haben uns um unsere Zukunft gebracht« und wurde später als der 41-jährige Adrian Sobaru identifiziert. Seiner Familie war vor Kurzem im Rahmen der letzten Haushaltskürzungen die staatliche Hilfe für seinen autistischen Sohn im Teenageralter gestrichen worden…
Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/dr-...
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vendredi, 01 avril 2011
"Preussens Gloria" auf dem Roten Platz in Moskau
"Preussens Gloria" auf dem Roten Platz in Moskau
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dimanche, 27 mars 2011
Beslan: des victimes modèles

BESLAN: DES VICTIMES MODELES
par Georges HUPIN
Les princes qui nous gouvernent retirent généralement du terrorisme et des terroristes plus d’effets et d’utilité qu’ils n’en retirent des victimes du terrorisme. Nous ne songeons pas ici aux cyniques qui osent financer les services de terroristes dans le but de déstabiliser leurs concurrents, bien que les exemples de ce type de stratégie ne soient pas rares. Nous visons simplement ici les effets et utilités de la grande presse, tant publique que privée, qui donne en général incomparablement moins de visibilité aux victimes du terrorisme qu’à leurs bourreaux.
C’est notamment ce thème du peu de visibilité des victimes du terrorisme qui a été traité à Bruxelles le vendredi 11 mars dernier, dans un colloque international organisé par la DG Justice de la Commission européenne à l’intention des organisations européennes de défense des victimes du terrorisme. Dans leur nombre, il y avait l’association France-Europe-Beslan que nous nous félicitons de soutenir. Hors l’importante délégation française, menée par Guillaume Denoix de Saint Marc, il y avait dans la soixantaine des représentations à ce colloque des délégués d’associations espagnoles, italiennes, néerlandaises, britanniques. France-Europe-Beslan était représentée par son président Christian Maton et, pour sa section belge, par Georges Hupin.
En séance, il a été souligné entre autres que généralement le terrorisme ne paie pas, que dans la masse revendicatrice, qui est naturellement attentiste, les revendicateurs ‘modérés’ ne sont souvent que des radicaux patients, aussi violents en fin de compte qu’est violente la lente étreinte de l’anaconda, que dans notre monde de médiatisation qui formate les masses, le terrorisme est une forme de manipulation violente de ces masses, que cette violence qui vise les populations innocentes est criminelle, qu’elle ne fait pas que des victimes directes, tués, blessés ou disparus, mais aussi un grand nombre de victimes indirectes parmi tous leurs proches dont la vie reste marquée. On notera d’ailleurs que presque tous les intervenants au colloque étaient personnellement touchés par le terrorisme, soit comme survivant d’un attentat, soit comme proches d’une victime directe. Le colloque a rassemblé en fait un réseau mondial de survivants, d’orphelins ou de veufs, de parents de victimes directes. Tous s’accordent sur l’objet du colloque : Faire jouer aux victimes du terrorisme, directes et indirectes, un rôle de prévention contre la radicalisation violente des revendications.
Sur le plan de la prévention de la radicalisation, le comportement de la population d’Ossétie du nord est un modèle d’une importance exceptionnelle. Pas seulement parce que la tuerie de Beslan est, en matière de crime terroriste le summum de l’odieux. D’abord par le choix de la cible : une concentration de jeunes enfants. Ensuite par le nombre des victimes prises en otage : plus de 1.300. Enfin par les circonstance de sa mise en oeuvre : la fête de la rentrée des classes d’une grande école primaire, ‘Jour de la connaissance’ célébré avec les parents et les grands parents, les petits frères et sœurs. A Beslan, ce 1er septembre 2004, Ils étaient tous endimanchés et enrubannés pour la cérémonie, avec ses discours, ses récitations, ses chants et ses fleurs. Et puis soudain c’est l’horreur, les cris, les coups de feu tirés par une bande d’une trentaine de terroristes qui débarquent de camions en tenue de taliban. Le paroxysme est atteint dans la cruauté avec laquelle l’action terroriste va être menée : les enfants et les parents sont parqués vaille que vaille dans la salle de gymnastique; les bandits, -c’est comme cela que les enfants les appellent alors- ;pour marquer aussitôt leur détermination dans les esprits de leurs otages, abattent sous leur yeux plusieurs pères qui protestaient et ils jettent leurs cadavres depuis l’étage sur les pavés de la cour.
C’est alors la stupeur chez les enfant ; les terroristes braillent qu’ils vont faire tout sauter et ils installent des explosifs répartis dans la salle et un dispositif de mise à feu qu’un terroriste maintient pressé sous le regard de tous. Le soleil d’été qui commence à monter fait que dans la salle bondée la chaleur devient bientôt étouffante. Les enfants ont soif, mais on leur refuse à boire. Ils se mettent à pleurer, mais s’arrêtent bientôt, terrorisés par les hurlements Deux membres du commando, des femmes, s’insurgent contre cette inhumanité, qui visiblement n’était pas à leur programme : elles sont exécutées. Et ce n’est là encore que le début d’un long calvaire qui va durer trois jours et deux nuits, dans cette salle où il n’y a pas assez de place pour que tout le monde puisse s’étendre.
Le second jour est aussi torride que le premier et les cadavres exposés au soleil commencent à se décomposer. Certains enfants, déshydratés, délirent. Ils sont obsédés par l’image du robinet de la cour de récréation, qui est tout proche et qu’ils croient entendre, car il fuit effectivement goutte à goutte dans un chuintement aigu. La seconde nuit est interminable et, le troisième jour, dans la touffeur écrasante de midi, soudain, une énorme explosion, suivie de deux autres. Une maladresse probable du terroriste préposé au dispositif de mise à feu qui, fatigue ou tension, a relâché sa pression sur le ressort du déclencheur ? La presse occidentale accuse aussitôt Vladimir Poutine d’avoir lancé ses forces spéciales dans un assaut intempestif. C’est lui le tueur des otages de combattants de la liberté ! Or les troupes spéciales russes ne sont même pas présentes dans le pays, car l’état fédéral a tenu à laisser l’opération à la responsabilité de la police locale. Celle-ci ne dispose malheureusement pas de la formation spécifique. Surpris par les explosions, ses hommes ont aussitôt foncé vers l’école dans l’espoir de sauver des enfant, sans prendre le temps d’enfiler leurs gilets pare-balles. Car, lorsque la poussière est retombée, des enfants se sont précipité au dehors, vers la liberté, vers l’eau. Mais les terroristes postés dans les étages les ont tirés dans le dos et de nombreux policiers payeront alors de leur vie leur généreux dévouement.
Toutefois, il n’est pas salutaire de ruminer indéfiniment ces images lamentables. Il faut même se garder d’en banaliser l’atrocité, pour ne pas risquer d’inciter des névrosés à la surenchère. C’est bien le ton de l’exemple que nous donnent les Ossètes : pour la bonne propagande, pour la propagation du bien et de la paix, il faut tirer de la mémoire du mal des leçons de vie. Plus signifiant que la mémoire du drame, il y a l’horreur de l’horreur et l’espoir qui veut en renaître. C’est ici que réside le miracle de Beslan.
Victime des découpages et des recompositions qui étaient si fréquents à la belle époque de la discordance du concert des nations; la Belgique serait, dit-on, un enfant perdu que l’Angleterre aurait fait dans le dos de la France. Les Belges, sans être des experts en relations interethniques, sont assez ferrés sur la matière pour apprécier ce que les Ossètes ont fait après avoir été les victimes de l’abomination du terrorisme. Et pour proclamer que c’est un modèle pour l’humanité, un modèle d’humanité.
C’est à partir du moment où la fusillade a cessé et où, incrédule, la population ossète de Beslan (80%) compte ses morts et ses blessés, qu’elle va se comporter de manière exemplaire. Elle va accepter de suivre son président (il a eu deux enfants parmi les otages) qui veut à tout prix l’empêcher de tomber dans le piège qui lui est tendu par les stratèges du terrorisme. Le risque que cette large majorité, des Ossètes orthodoxes, se rue alors pour se venger sur les minorités musulmanes ingouches et tchétchènes est vertigineux, dans ce Caucase où tout le monde possède une arme et où la ‘loi du sang’ ne laisse pas aux Corses le monopole de la vendetta. Le peuple ossète doit compter un pourcentage élevé de poètes, qui ont su alors trouver les mots, les gestes, les symboles qui sont parvenus à retenir les tempéraments les plus chauds de mettre le feu aux poudres. Et de déclencher le bain de sang sur lequel les terroristes devaient avoir compté pour déterminer l’internationalisation de la question.
Mais le peuple ossète a fait mieux encore, il a trouvé la manière de reconstruire la paix, dans le pays, mais d’abord dans les cœurs, en transformant une logique de haine et de mort en une logique de confiance et de vie. Il est admirable que dans le cimetière spécial qu’elles ont aménagé pour les martyrs, les autorités de la ville aient opté, de préférence à l’art abstrait, pour un art populaire lisible au premier regard : le mémorial de ‘L’Arbre du Chagrin’ dresse ses trois silhouettes de femmes dont les bras dressés vers le ciel ouvrent leurs branches sur un vol de petits anges dont les ailes sont des feuilles symbole de la vie renaissante. N’est pas moins émouvante la reconnaissance du supplice de la soif qu’ont enduré tous les petits martyrs de Beslan, dont certains pour survivre n’ont pas hésité à boire leur urine, dont d’autres sont morts d’épuisement dans les bras de leur maman. Il n’y aura eu dans l’histoire des hommes que peu de peuples pour exprimer aussi bien leur communion à la souffrance des leurs que par ces deux énormes mains de bronze du Mémorial de la Soif qui présentent au passant un fin filet d’eau. Il évoque le robinet de la cour de récréation qui a obsédé des petits agonisants, ce robinet qui, horrible dérision, était impossible à fermer et à dix pas d’eux à peine continuait de laisser fuir son eau sur le sol.
N’est pas moins émouvant le troisième monument du cimetière de Beslan, dédié aux hommes des forces de sécurité ossètes qui se sont sacrifiés et qui sont morts une seconde fois quand ils ont été calomniés pour de basses raisons d’opportunité politique. Ils sont morts dans l’idéal des guerriers, s’oubliant eux-mêmes pour protéger les leurs. Le mémorial qui évoque avec une belle sobriété leur geste héroïque ne peut qu’apporter aux veuves et aux orphelins qu’ils ont laissés la consolation d’un légitime fierté et d’une mémoire à cultiver.
Nous devons être reconnaissant au peuple ossète pour l’exemple qu’il a su donner aux hommes d’une pleine reconnaissance des victimes du terrorisme dans l’affirmation de valeurs de paix : les petits anges de l’Arbre du Chagrin, les enfants morts deviennent les génies vivant de la paix, les protecteurs de la fragilité d’une paix toujours recommencée. Nous devons savoir gré aux Ossètes de disposer de l’esprit de poésie, vital aujourd’hui pour l’amitié entre tous les peuples d’Europe, une paix comme y prétendait jadis Rome, la Pax Romana.
Georges Hupin
00:15 Publié dans Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : russie, ossétie, ossétie du sud, beslan, massacre de beslan, caucase, terrorisme, terrorisme tchétchène, europe, affaires européennes, politique internationale |
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lundi, 21 mars 2011
Traditionalism and Dugin, in Russian
Traditionalism and Dugin, in Russian
11:38 Publié dans Traditions | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : tradition, traditions, traditionalisme, alexandre douguine, russie |
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