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mardi, 16 mars 2010

Il Grande Gioco in Asia Centrale

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Il Grande Gioco in Asia centrale

di Marco Luigi Cimminella

Fonte: eurasia [scheda fonte] 

Con la vittoria del filo-russo Janukovič alle elezioni presidenziali ucraine, svoltesi lo scorso mese, Mosca ha ritrovato un probabile alleato nello scontro energetico ingaggiato dalle grandi potenze in Asia centrale e meridionale. Il petrolio vicino-orientale non basta a soddisfare il fabbisogno di idrocarburi di Europa e Stati Uniti, che spinti alla ricerca di nuovi canali di approvvigionamento, hanno finito per posare gli occhi sulle riserve caspiche e caucasiche. L’estrazione e l’esportazione di queste risorse sono da tempo sottoposte al rigido monopolio del colosso russo Gazprom che, con una serie di condutture che attraversano il territorio ucraino, rifornisce i mercati occidentali.


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Nel tentativo di contrastare questo chiaro “leverage” della politica estera russa, Washington, di concerto con alcuni paesi europei, ha approntato alcuni importanti progetti. Pensiamo al gasdotto Nabucco (il tragitto nella foto) o all’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che permettono agli idrocarburi asiatici di viaggiare in direzione ovest scavalcando la Russia a sud. Allo stesso modo deve essere analizzato il proposito di costruire delle condutture che, attraversando le acque del Mar Nero e collegando Supsa, in Georgia, con Odessa, in Ucraina, permetta agli idrocarburi azerbaigiani, turkmeni e kazaki di raggiungere l’Europa, senza passare per il territorio di Mosca. Inizialmente il Cremlino aveva potuto ostacolare questo progetto grazie alla collaborazione del governo ucraino, con a capo il filo-russo Kučma. In seguito alla rivoluzione arancione che si era ultimata, nel 2004, con la nomina a presidente del liberale Juščenko, l’Ucraina si era mostrata favorevole ad aderire al disegno occidentale, manifestando chiare intenzioni di entrare a far parte della Nato e attirandosi così le dure critiche della classe dirigente russa. Nel febbraio scorso, Janukovič ha riportato, in seguito ad elezioni contestate dalla rivale Timošenko, un’importante vittoria che potrebbe cambiare gli assetti degli schieramenti impegnati in quella frenetica competizione, tesa all’accaparramento delle risorse energetiche, conosciuta come il Grande Gioco del XXI secolo.


Contesto storico del Grande Gioco

L’Asia centrale e meridionale ha sempre rivestito un’importanza fondamentale nello scacchiere internazionale. Considerandola come il cuore della “World Island”, cioè della massa continentale che comprende Eurasia e Africa, H. Mackinder, padre della geopolitica moderna, aveva scritto: “Who rules East Europe commands the Heartland; who rules the Heartland commands the World-Island; who rules the World-Island controls the world”. In queste tre semplici frasi, il noto studioso raccoglieva il succo della sua teoria dell’Hertland, destinata ad avere grande successo nei secoli successivi e ad essere sottoposta anche a diverse rielaborazioni1. La teoria di Mackinder ha trovato riscontro pratico nel corso dell’Ottocento in relazione al cosiddetto “Grande Gioco”, il lungo ed estenuante conflitto che vide impegnati lo Zar e Sua Maestà nel tentativo continuo di imporre il proprio dominio in Asia centrale e meridionale.

La regione che Mackinder definisce “Terra cuore”, si identificava, nel corso della seconda metà dell’800, con il territorio sottoposto al controllo russo. Inaccessibile dal mare, ricca di petrolio e gas naturale, quest’area faceva dell’impero zarista lo stato perno dello scacchiere internazionale. Con una rottura dell’equilibrio di potenza, originatosi con il congresso di Vienna del 1814 in seguito alle sconfitte napoleoniche, lo Zar avrebbe potuto condurre l’esercito imperiale verso la conquista dei territori periferici dell’Eurasia. Successivamente, sfruttando le ingenti risorse energetiche della regione, San Pietroburgo avrebbe potuto dotarsi di una immensa flotta, capace di concorrere con quella britannica per il dominio dei mari. Proprio lo sbocco al mare ha costituito una delle priorità dell’agenda zarista nel corso dell’Ottocento. Due in particolare erano gli obbiettivi si San Pietroburgo: il Mediterraneo e l’Oceano Indiano. L’interesse per il primo fu parzialmente spento in seguito alla sconfitta nella Guerra di Crimea2 (1853-1856), che comportò un cambiamento di rotta nella politica estera zarista. La Russia puntava ora ad estendere la propria influenza nei khanati in Asia centrale, e da qui, procedendo verso sud, avrebbe potuto garantirsi uno sbocco sull’Oceano Indiano.

Naturalmente, le mire espansionistiche di San Pietroburgo andarono presto incontro alla dura opposizione britannica. Difatti, in Asia meridionale vi era l’India, considerata dalla regina Vittoria la gemma del suo impero coloniale. Il continuo avanzamento delle truppe zariste nei territori centro-asiatici costituiva una grande minaccia che bisognava debellare. In particolare, il Foreign Office aveva individuato nell’Afghanistan un’ottima base strategica che le truppe russe avrebbero potuto utilizzare per infliggere duri attacchi alla prediletta fra le colonie della regina. La necessità di contenere l’espansionismo zarista, facendo dell’Afghanistan uno stato cuscinetto contro le pretese egemoniche di San Pietroburgo, diede inizio ad un esasperante conflitto che si ripercuoterà nel corso dei secoli, giungendo prorompente sullo scenario internazionale attuale.


L’importanza strategica dell’Asia centrale oggi

Questa regione ha assunto un’importanza strategica considerevole nel contesto internazionale odierno. Le motivazioni sono evidenti. In primo luogo, significativa è la questione energetica. Secondo il parere di geologi ed esperti, l’intera area trabocca di idrocarburi. Vero è che tali riserve non sono quantitativamente comparabili a quelle del Golfo Persico. Ciononostante, sono in grado di saziare, almeno per il momento, gli ingordi appetiti energetici delle grandi potenze, comportandosi come un ottimo succedaneo agli idrocarburi vicino-orientali, la cui fruizione è sempre soggetta a continue oscillazioni dovute al fondamentalismo islamico e al terrorismo internazionale. I giacimenti più ricchi li rinveniamo nel bacino caspico, nonché in Azerbaijan, Turkmenistan, Kazakistan, Uzbekistan e Iran. In Azerbaijan, l’estrazione di petrolio è aumentata da 180.000 barili al giorno (barrels per day bbl/d) del 1997 a 875.000 bbl/d nel 2008. Apprezzabili anche le riserve di gas naturale, la cui produzione ha raggiunto, nel 2008 572 btc (billion cubic feet). Un altro importante produttore è il Turkmenistan, che nel 2008 ha raggiunto i 189.400 bbl/d di oro nero e 70.5 miliardi di metri cubi di oro blu. Considerevoli anche le riserve uzbeke, che nel 2008 ammontavano a 67.6 miliardi di metri cubi di gas e 83.820 bbl/d di petrolio. Le coste caspiche kazake garantiscono un ottimo approvvigionamento di petrolio, con una produzione di 1,45 milioni di barili al giorno nel 2007. Infine l’Iran, che solo nel 2008 ha esportato 2,4 milioni di barili al giorno, sia verso l’Asia che verso i paesi europei facenti parte dell’OECD (Organization for Economic Cooperation and Development)3.

In secondo luogo, vi sono anche consistenti motivazioni di carattere commerciale che non bisogna sottovalutare. Fin dai tempi antichi, infatti, questa regione aveva assunto il ruolo di crocevia di itinerari terrestri, marittimi, fluviali che, mettendo in comunicazione la Cina con il Mediterraneo, consentiva alle carovane di mercanti di vendere i pregiati ed esotici prodotti orientali sui mercati occidentali. Questo corridoio commerciale fu chiamato, dal geologo e geografo tedesco Ferdinand von Richthofen “Seidenstrabe” (via della seta). La classe dirigente zarista prima, poi quella sovietica e infine quella russa, ha sempre considerato l’Asia centrale come una regione strategica per Mosca. In particolare, nel corso del secondo conflitto mondiale e poi successivamente durante la guerra fredda, questo territorio fungeva da bacino energetico per la potente macchina bellica comunista. In seguito al collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, come scrive Zbigniew Brzezinski, si generò un buco nero, che successivamente finì per ridimensionare la presenza russa nel territorio. L’erosione del controllo moscovita fu accelerata dall’indipendenza politica dell’Ucraina nel 1991, dai continui tentativi della Turchia di accrescere il proprio peso in Georgia e Armenia, dalla rinascita del fervore nazionalista e musulmano nelle ex-repubbliche centro-asiatiche, continuamente impegnate nel porre fine ad una soffocante dipendenza economica, dal sapore marcatamente sovietico, nei confronti di Mosca.

Di conseguenza, fin dai primi anni novanta, l’esigenza di diversificare i propri partner politici ed economici ha assunto una significativa importanza per questi paesi, che, nel conseguimento di quest’obbiettivo, hanno incontrato non poche difficoltà. L’adozione di un approccio liberale classico, esplicatosi in questo caso in una maggiore collaborazione economica fra i paesi centro-asiatici, preludio ad un’integrazione di carattere politico, ha mostrato serie difficoltà nella sua applicazione pratica. In primo luogo, l’implementazione iniziale di politiche liberali da parte delle ex-repubbliche sovietiche ebbe dei seri risvolti negativi. Il Kirghizistan entrò a far parte, nel 1998, del WTO, mentre Uzbekistan, Tagikistan, Kazakistan, Afghanistan, Iran ne divennero osservatori. Ben presto questi paesi si accorsero che le loro deboli economie, scarsamente diversificate, non potevano reggere contro l’inondazione delle esportazioni straniere, in particolare quelle cinesi, più convenienti e vantaggiose. Per salvaguardare l’economia nazionale era quindi necessario adottare, almeno inizialmente, politiche protezioniste, e solo dopo aver sviluppato solide basi, concorrere con le altre potenze su un piano mondiale. In secondo luogo, allo scopo di incentivare una maggiore integrazione economica e finanziaria, i fragili paesi centro-asiatici avevano bisogno degli investimenti stranieri per promuovere la costruzione di infrastrutture funzionali alla realizzazione di profittevoli scambi commerciali in Eurasia. Da qui la frenetica competizione delle grandi potenze, in una lotta diplomatica senza esclusione di colpi, tesa ad una spartizione della torta asiatica che le favorisca.

Come scrive Joseph Nye4 siamo ormai catapultati in una realtà sempre più interdipendente, frutto di una globalizzazione a diversi livelli, economico, politico, socioculturale, religioso. Il ripristino di corridoi multimodali, funzionali al commercio e al trasporto di idrocarburi, si presenta inevitabile, garantendo la possibilità, agli stati della regione, di diversificare i propri partner energetici, finanziari, commerciali, politici, militari. Ed è così che la Cina, gli Stati Uniti, l’Unione Europea prendono parte ad un interessante affare che per più di cinquant’anni è stato dominio esclusivo di Mosca. Un nuovo “Grande Gioco” è scoppiato quindi in Asia centrale e meridionale. Nuovi paesi recitano, sul proscenio internazionale, uno scontro, di kiplingiana memoria, che deciderà i destini dell’equilibrio mondiale. Washington, Pechino, Mosca, Bruxelles, nel perseguire ciascuno i propri obiettivi nella regione, non potranno assolutamente sottovalutare le esigenze delle piccole e medie potenze dell’area che, lungi dall’essere semplici spettatori passivi, rivendicano un ruolo da protagoniste attive nel decidere le sorti del futuro assetto geopolitico internazionale.


* Marco Luigi Cimminella, dottore in Relazioni internazionali e diplomatiche (Università l’Orientale di Napoli), collabora con la redazione di “Eurasia”


Note

1 – Degno di nota fu la rivisitazione della teoria di Mackinder ad opera di Spykman, che attribuì maggiore importanza al concetto di Rimland, intesa come la fascia costiera euroasiatica dove si sarebbe inscenato lo scontro fra le potenze di terra e quelle di mare per il dominio del mondo.

2 – San Pietroburgo poteva infatti garantirsi uno sbocco nel Mediterraneo in due diversi modi. Il primo consisteva nel passare attraverso la regione dei Balcani, sottoposta al controllo turco. La seconda, controllare lo stretto dei Dardanelli e del Bosforo, entrambi sotto la reggenza ottomana. La strategia russa fu quella di attendere che l’esasperazione dei popoli salvi, insofferenti alla dominazione del sultano, prorompesse in una guerra contro la dominazione turca. Le forze militari russe avrebbero allora combattuto a fianco della popolazione locale, di cui lo zar si proclamava protettore, per stroncare le truppe ottomane e imporre il proprio controllo sulla regione. L’ostilità e l’opposizione turca nei confronti delle mire zariste fu rafforzata dall’impegno bellico di Regno Unito, Piemonte e Francia, che segnò, nella guerra di Crimea, la fine militare delle pretese pseudo religiose ed espansionistiche di Nicola I.

3 – Fonte dati: http://www.eia.doe.gov/

4 – http://www.theglobalist.com/StoryId.aspx?StoryId=2392

lundi, 15 mars 2010

Faut-il se garder d'une "russophilie" excessive?

omon.jpgFAUT-IL SE GARDER D’UNE « RUSSOPHILIE » EXCESSIVE ?

 

Entretien avec Pascal LASSALLE

 

Pascal LASSALLE est historien, professeur et conférencier. Il a fait ses classes militantes au sein des réseaux de la « Nouvelle Culture » (G.R.E.C.E, Synergies Européennes, Terre et Peuple), et reste plus que jamais attaché à la promotion d’une Europe-puissance souchée sur ses patries charnelles.

Il s’intéresse depuis quelques années aux problématiques est-européennes, en particulier celles qui concernent la Russie et son « étranger proche ».

Il est déjà intervenu à plusieurs reprises dans le cadre du G.R.E.C.E , Terre et Peuple (Tables rondes de 1999 et 2006, bannières locales), du cercle Sainte Geneviève ainsi que sur les ondes de Radio Courtoisie et Radio Bandiera Nera.

Il a dirigé les adaptations françaises des ouvrages de Gabriele Adinolfi, Noi Terza Posizione  (Nos belles années de plomb, l’Aencre, 2004) et Tortuga, l’isola che (non) c’è. (Pensées corsaires, abécédaire de lutte et de victoire, Editions du Lore, 2008) et collabore occasionnellement au mensuel le Choc du mois, à l’agence d’informations Novopress et au site d’analyses et de débats métapolitiques Europe maxima.

 

 

 

ID Mag: L’opposition grandissante de la Russie rénovée à la toute puissance américaine, associée à la personnalité « volontariste et patriote » de Vladimir Poutine, engendre un très vif engouement des milieux nationalistes et identitaires pour la patrie des Tsars et son actuel gouvernement. De votre côté, tout en soulignant les forces et les réalisations de la Russie nouvelle, vous mettez en garde contre un soutien systématique et sans nuance à toutes les prises de positions russes et une vision étroitement et uniquement  « géopolitique » de nos relations avec « l’empire de l’Est ». Pouvez-vous préciser et expliciter votre position ?

 

 

PL : Je suis depuis plus d’une vingtaine d’années partisan pour des raisons géopolitiques et civilisationnelles d’une synergie continentale euro-russe qu’un Guillaume Faye a pu qualifier d’ eurosibérienne . Depuis la prise de pouvoir par Vladimir Vladimirovitch Poutine, j’observe l’œuvre de redressement et de restauration en cours avec beaucoup d’intérêt, dans un premier temps assez captivé par la figure de cet Octave/Auguste de l’Est ou plutôt ce nouveau Mikhaïl Romanov qui a mis fin aux « temps des troubles » eltsiniens.

Les événements ukrainiens de 2004 et une découverte approfondie de ce pays « fantôme de l’Europe » pour reprendre l’expression de l’historien Benoist-Méchin ont agi sur moi comme un puissant révélateur de tendances et de phénomènes à l’oeuvre en Russie qui peuvent aisément nous échapper, vu que la patrie de Pouchkine a constitué de tous temps une réalité qui ne se laisse pas facilement appréhender.

Depuis, je m’efforce d’être un observateur attentif, dépassionné et lucide des évolutions en cours dans la Fédération russe et son « étranger proche », car lire régulièrement la presse locale ou regarder quotidiennement le journal télévisé de RTR Planeta pour ne citer que ces exemples vous permet d’entrevoir d’autres réalités pas toujours perceptibles au premier abord.

Je le fais en ayant toujours à l’esprit l’impératif civilisationnel d’une fédération impériale grande-européenne respectueuse de ses patries constitutives, sans négliger les intérêts géopolitiques et stratégiques d’une AlterEurope à venir.

À partir de là, je crois que tout patriote identitaire européen conséquent devrait se faire plus critique sur plusieurs aspects de la politique russe mis en œuvre depuis quelques années.

Un tel engouement confinant parfois à une certaine « russolâtrie » ne m’étonne pas vraiment quand il émane de cénacles nationalistes et souverainistes communiant encore et toujours dans le culte d’un état-nation jacobin, l’illusion d’un renouveau républicain, la promotion d’une Europe des nations, voire une europhobie et un antifédéralisme primaires (alors qu’au contraire, le machin de Bruxelles est beaucoup plus jacobin qu’autre chose).

Pour autant, une adhésion inconditionnelle au régime de Poutine chez des représentants de la mouvance identitaire ou néo-droitiste, voire nationaliste-révolutionnaire, me surprend davantage.

Encore que, je suis bien conscient des motifs avancés pour cela.

On peut évoquer la nécessité de faire contrepoids à l’hégémonie américaine et de contribuer à l’émergence d’un monde multipolaire, des phénomènes de compensation psychologiques (« c’est un Poutine qu’il nous faudrait ») ou l’espoir d’un « salut » venu de l’Est (« les divisions russes vont nous sortir de notre décadence et assainir nos banlieues »).

On soulignera également l’impératif d’une construction continentale de Brest à Vladivostok et l’affirmation que la Russie est pleinement européenne d’un point de vue identitaire, avec le constat que certaines réalités déplaisantes ne peuvent être que des épiphénomènes pudiquement évacués, voire occultés au nom d’une realpolitik bien pensée et de la crainte de faire le jeu du camp atlantiste.

Un désenchantement et une déception à l’égard des pays frères d’Europe centrale et orientale est palpable chez beaucoup, indéniablement à la hauteur des espoirs soulevés en 1989-91.

L’auteur de ces lignes fut l’un d’entre eux, mais il s’efforce de faire la part des choses,  ayant pris acte du fait que la plupart de ces pays ex-communistes ont embrassé la cause de l’atlantisme : ce positionnement plus que regrettable ne les transforme pas pour autant en états parias[1]

On trouvera aussi la fascination de certains pour les constructions intellectuelles néo-eurasistes et le statut envié d’un Alexandre Douguine qui s’est propulsé d’une marginalité nationale-bolchevique jusqu’aux périphéries du pouvoir poutinien.

Le numéro 131 d’avril-juin 2009 de la revue Eléments intitulé « Demain les Russes ! », illustre bien ces positionnements et se révèle d’ailleurs bien décevant dans son conformisme convenu, son absence de point de vue propre (pas d’articles étoffés, seulement un éditorial et trois longs entretiens) et de débat constructif : le sujet méritait incontestablement mieux ![2]

Qu’en est-il de ces réalités et équivoques que je m’efforce régulièrement de mettre en évidence ?

Tout d’abord le fait que la Russie du tandem Poutine/Medvedev entrevoit son avenir en regardant dans le rétroviseur d’une histoire mythifiée, voire falsifiée lorsqu’on se réfère aux « vérités » d’une historiographie soviétique dont la rigueur scientifique est devenue proverbiale. Entre amnésie sélective, raccourcis fulgurants, manipulations du réel et réhabilitations posthumes (le généralissime Staline), celle-ci a permis d’éviter à la Russie de connaître une culpabilisation collective à l’allemande, mais l’a fait tomber dans l’excès inverse, celui d’une « Histoire qui ne veut pas passer » et qui bégaye à nouveau, de manière durable semblerait-il.

Ces enjeux mémoriels et historiques ne doivent pas être négligés et considérés comme un épiphénomène somme toute secondaire.

Bien au contraire, ils apparaissent primordiaux dans l’esprit du pouvoir russe actuel avec l’écho démesuré qui leur est accordé. En témoignent par exemple l’ouvrage d’une Natalia Narotchnitskaia[3], qui, à l’exception de Dominique Venner[4], a souvent suscité des réactions plutôt complaisantes dans les mouvances précitées, l’importance donnée aux commémorations du 9 mai et de la « Grande guerre patriotique »[5] ou la mise en place le 19 mai 2009 d’une commission chargée de lutter contre les falsifications de « l’histoire commune » contraires aux « intérêts » russes dans les pays baltes ou en Ukraine[6].

On peut également évoquer la guerre culturelle qui se déploie sur les écrans avec la promotion de superproductions historiques nationales-patriotiques souvent sponsorisées par le Kremlin.

Ces longs-métrages, souvent intéressants et bien réalisés, n’hésitent pas à dépeindre sous les traits les plus sombres  un Occident éternellement hostile, que ce soient les Polonais (1612 de Vladimir Khotinenko, Taras Boulba de Vladimir Bortko) ou les Suédois (Alexandre,la bataille de la Neva de Igor Kalenov), alors que les cosaques zaporogues ukrainiens sont dépeints comme des combattants pour la « terre russe orthodoxe » ! (encore Taras Boulba). Attendons de voir le film de Fëdor Bondartchouk sur Stalingrad, en cours de production …

De fait, les Russes ont le grand mérite de cultiver une longue mémoire historique que nous avons ici reléguée aux oubliettes afin se reconstruire légitimement une identité post-soviétique.

Mais ils le font sur des bases problématiques et discutables, autant pour eux que pour nous.

On y perçoit l’extrême difficulté, voire l’incapacité qu’ils ont de se penser en dehors de l’empire, un empire originellement expansionniste (« tout territoire ayant un jour été russe est destiné à le rester ou le redevenir ») aux frontières toujours mal définies, centralisateur et russificateur. Cette tendance lourde, déclinée sur le mode d’un complexe post-impérial, n’a jamais disparu depuis la chute de l’URSS et me semble destinée à empoisonner durablement les relations de la Russie avec ses voisins.

Ce phénomène est renforcé par la quête obsessionnelle d’une puissance largement illusoire qui néglige des défis domestiques persistants, place ses priorités dans des enjeux symboliques et dans la reconstitution d’un espace, ou du moins, d’une aire d’influence exclusive recouvrant l’espace ex-soviétique, le fameux « étranger proche ».

Moscou devrait accepter de s’inscrire dans des frontières sécurisées et internationalement reconnues, prenant comme base solide celles de la Fédération actuelle.

Les dirigeants russes sont-ils bien conscients que dans leur situation particulière, celle d’un territoire immense au climat souvent hostile, l’espace est un considérable réducteur de puissance ?

Dès lors, je pense qu’il faut arrêter de victimiser systématiquement une Russie qui, pour être l’objet de réelles menées américaines dans sa périphérie, n’en porte pas moins une part de responsabilité dans le maintien de contentieux historiques régulièrement ravivés avec ses voisins, permettant de maintenir un levier commode et rêvé pour la Maison-Blanche.

Je ne suis pas loin de penser qu’un Zbignew Brzezinski à Washington s’accommode fort bien du renforcement des tendances chauvinistes, néo-impériales et néo-soviétiques en Russie, plutôt qu’être confronté à un pays régénéré sur des bases saines et solides, constituant un pôle attractif pour ses voisins (beaucoup de progrès à faire à Moscou dans le domaine du soft power), entretenant des relations normales avec eux et se rebâtissant un projet politique et identitaire connecté aux moments européens de son histoire.

 

ID Mag : Certains rêvent d’une Europe « de Brest à Vladivostok ». Selon vous, peut-on affirmer que la Russie est historiquement, culturellement et ethniquement « européenne » ?

 

 

PL : La Russie se révèle incontestablement européenne dans ses fondements originels.

L’ensemble grand-russien découle d’une ethnogénèse entre adstrats slaves orientaux et tribus finno-ougriennes sur la périphérie coloniale septentrionale d’un vaste empire patrimonial, communément et incorrectement qualifié de « Russie de Kiev » et qu’il vaudrait mieux nommer dans un souci d’objectivité historique, Rou’s (ou Ruthénie) de Kiev (Kyiv en ukrainien), un ensemble relié dynastiquement[7], économiquement et culturellement au reste de l’Europe du Haut Moyen Age.

L’invasion mongole constituera une rupture radicale dont les effets se feront sentir jusqu’à nos jours.

La Moscovie, noyau fondateur du futur empire russe (terme officialisé sous Pierre le Grand) se construira dès lors sur des ressorts politiques et culturels doublement asiatisés et orientalisés car relevant de l’influence tataro-mongole de la Horde d’Or et d’un modèle byzantin tardif, bien éloigné de ses racines helléno-européennes, introduit sous Ivan III[8].

Un modèle monarchique autocratique, patrimonial et prédateur, un fort messianisme politico-religieux (mythe de la « Troisième Rome », Orthodoxie figée) et certaines dispositions mentales en constituent les manifestations les plus patentes.

Ensuite, à partir des réformes de Pierre le Grand, la Russie « retardée » de plusieurs siècles par rapport aux évolutions civilisationnelles du reste de l’Europe, ne va cesser d’osciller dans un récurrent mouvement de balancier entre des relations passionnelles de fascination/répulsion avec l’Europe « romano-germanique », dilemme illustré par les débats entre occidentalistes, slavophiles, panslavistes et (néo)eurasistes.

Ce dernier n’a jamais été tranché jusqu’à aujourd’hui et une analyse rigoureuse du contexte russe le démontre régulièrement.

À mon sens, il serait de la responsabilité des mouvances identitaires de sensibiliser avec tact et franchise les interlocuteurs russes sincères et ouverts à la nécessité d’opérer un retour à l’Europe en activant dans leur héritage politique, culturel, ce qui ressort indiscutablement d’un héritage commun.

Commençant à connaître la mentalité russe, je ne me fais pas forcément beaucoup d’illusions. Aujourd’hui la tendance dominante, au sein des élites comme dans l’opinion, est de considérer la Russie comme une réalité singulière, une civilisation en soi, entre Europe et Asie.

Dans mes moments de doute, j’arriverais presque à me persuader que cette rupture est insurmontable et que la branche grande-russienne s’est radicalement coupée de l’arbre boréen.

Mais sachant qu’il n’y a pas de fatalité en Histoire, je me dis que nous devons œuvrer inlassablement pour favoriser une prise de conscience et un retour à notre Europe de frères prodigues souvent attachants, mais parfois bien distants et irritants…

 

ID Mag : Les « révolutions de couleurs » qui agitent certains pays de l’ex-bloc de l’Est  sont généralement présentées comme de pures manipulations et orchestrations américaines. Ici encore, vous appelez à la mesure et à la nuance. Quelle est, selon vous, la réalité de la situation, notamment dans le cas ukrainien ?

 

 PL : Le traitement de la fameuse question des « révolutions de velours » dans les mouvances (méta)politiques précitées renvoie souvent à un schéma réducteur, ou témoigne parfois d’une imprégnation pure et simple par les théories du complot, déclinées sur le mode du vieux complexe obsidional de la forteresse assiégée, très en vogue ces dernières années à Moscou.

Cette tendance très ancienne en Russie s’explique par une histoire troublée, mais en dernier lieu, cela me semble relever d’une infirmité politique et constituer sur un mode incapacitant une facilité empêchant les autorités russes de se remettre en cause et de se poser parfois les bonnes questions.

Dans le cas ukrainien, le postulat d’un mouvement mécaniquement téléguidé et prémédité de l’étranger ne tient pas et cette « révolution orange » n’aurait jamais eu lieu si de nombreuses conditions n’avaient pas été réunies avec l’espoir d’un profond changement, sans parler du lancinant contentieux historique avec le voisin russe.

Les ONG américaines, maintes fois évoquées, ont bien injecté des dollars et formé les militants de structures activistes comme Pora, mais l’ampleur du phénomène, répétition sur une plus grande échelle d’un mouvement de contestation semblable réprimé au printemps 2001, démontre que d’autres ressorts ont joué.

L’Ukraine, pivot géopolitique selon Zbigniew Brzezinski, a été à cette occasion l’objet d’ingérences répétées de la part des Américains, de l’UE, mais aussi de son « grand voisin du nord ».

Vladimir Poutine a commis là-bas, de l’avis de nombreux observateurs politiques, la première erreur marquante de son « règne ». Il s’est cru chez lui et ses visites répétées en faveur d’une présidence Koutchma corrompue et complètement déconsidérée ont été très mal reçues, y compris dans l’Est et le Sud russophones du pays.

Ces empiètements russes furent principalement motivés par le fait que l’accession au pouvoir d’une présidence « orange » remettait en cause le processus d’intégration programmé de l’Ukraine au sein d’un Espace Economique Commun dominé par Moscou, en plus d’interrompre la mise en place d’un régime autoritaire à la bélarussienne.

Ils ont une fois de plus révélés que l’Ukraine n’avait depuis 1991 qu’une indépendance formelle et que, gouvernée par des oligarchies créoles post-communistes, elle oscillait, notamment sous Koutchma, entre Occident et Russie au gré des intérêts de la nomenklatura en place.

Rappelons aux amateurs de vérités simples que c’est sous le « pro-russe » Viktor Ianoukovytch, alors Premier ministre, que se sont déroulées les premières participations de l’Ukraine au Partenariat pour la Paix, antichambre de l’Otan et que c’est le président « pro-russe » Leonid Koutchma qui a envoyé un contingent ukrainien en Irak.

C’est également ce dernier qui a écrit le livre « L’Ukraine n’est pas la Russie », réalité que les Russes dans leur ensemble, opinion publique et classe politique confondues, des libéraux pro-occidentaux aux nostalgiques de Staline, se refusent toujours à admettre, considérant l’Ukraine comme « le berceau » de la Russie et comme partie intégrante de leur ethnos.

L’élection de Viktor Iouchtchenko a été à ce moment-là perçue par beaucoup d’Ukrainiens comme la promesse d’une véritable indépendance et d’un «retour à l’Europe » si longtemps différé. C’était bien sûr à tort, l’impéritie, les rivalités personnelles et les choix funestes de la présidence « orange » se chargeant de rattraper la bourde initiale de Poutine.

Mais le contentieux historique est plus que jamais vivace et Moscou n’a pas manqué une occasion pour faire jouer tous les leviers en sa possession (Gaz, Crimée, flotte russe de Sébastopol, question linguistique et controverses historiques) afin de faire pression sur un état dont elle n’a jamais admis l’existence[9].

Cette querelle de couple dans laquelle l’épouse ukrainienne a fini par divorcer d’un conjoint moscovite insupportable, n’en finit pas de se prolonger pour le plus grand bonheur du notaire américain : il faudra bien pourtant que monsieur finisse par se rendre à l’évidence.

Ce n’est pas l’élection récente de Viktor Ianoukovytch[10] le 7 février dernier au poste de président qui devrait significativement changer la donne. Celui-ci, pour de multiples et récurrentes raisons, risque de s’en tenir à une politique multivectorielle de non-alignement. Les Russes restés prudents au cours de ce scrutin ne se font d’ailleurs pas beaucoup d’illusions ainsi qu’en témoignent par exemple les écrits de Douguine ou  des journalistes de RIA Novosti à propos de  l’homme de Donetsk[11].

Pour un patriote identitaire européen, s’opposer à l’entrée de l’Ukraine dans l’OTAN est une chose nécessaire et légitime, nier son identité propre et son droit à construire un état souverain en est une autre, à laquelle nous ne pouvons et ne devons nous résoudre.

Je souhaiterais que tous ceux qui, par méconnaissance ou calcul, proclament que « l’Ukraine et la Russie sont consubstantielles » fassent preuve d’un peu plus de rigueur, de discernement et de cohérence intellectuelle ou idéologique. Ils seraient bien avisés de cesser de répéter pieusement la version de l’Histoire made in Moscow, de se contenter d’un strict positionnement géopolitique et de relayer les scénarios russes, peu crédibles d’ailleurs, d’annexion ou d’éclatement du pays.[12]

Des ouvrages relativement objectifs et impartiaux sont aujourd’hui disponibles pour qui veut se donner la peine d’y voir plus clair.

Jean Mabire fut l’une des rares figures de la mouvance identitaire à avoir défendu le droit des Ukrainiens à une existence propre.

Effectivement l’Ukraine a eu, comme la Russie, une histoire tourmentée. À l’inverse de sa puissante voisine, elle a vu sa construction étatique maintes fois contrariée, mais elle est restée arrimée au noyau européen et ses fractures internes actuelles résultent d’une domination plus ou moins longue, selon les régions, du grand voisin du nord.

Elle a mené au cours des siècles une lutte pour sa liberté contre les dominateurs russes et polonais avec une opiniâtreté qui force l’admiration et ne va pas sans évoquer le combat des fils de la verte Erin contre la domination britannique.

L’Ukraine, identité enracinée sur un territoire, appartient de plain-pied à l’ensemble géopolitique et civilisationnel européen. Il est de notre devoir de le faire savoir et de convaincre les Russes que des relations apaisées, étroites et véritablement fraternelles entre peuples apparentés ne peuvent se baser que sur une pleine reconnaissance de l’identité de chacun.

Le pays des cosaques zaporogues a, de plus, toujours contribué à ancrer la Russie en Europe (Pierre le Grand a, par exemple, assis ses réformes à l’aide de cadres politiques et ecclésiastiques ukrainiens), d’où l’idée qu’une Ukraine réintégrée dans son cadre originel pourrait encourager la Russie à se déterminer significativement et à tourner une fois pour toutes son regard dans notre direction, loin de ses tentations eurasistes…

 

ID Mag: On parle de plus en plus d’une vague de « nostalgie », en Russie », pour la période soviétique et même de volonté de réhabilitation de celle-ci. Qu’en est-il exactement ?

 

 

PL : Comme je le signalais plus haut, une certaine nostalgie soviétique, l’idéologie communiste en moins, est à l’ordre du jour et ce processus s’est amplifié depuis le deuxième mandat de Poutine.

Nostalgie chez les petites gens qui, ayant subi les effets désastreux de l’ère Eltsine, ont tendance à idéaliser une période durant laquelle les besoins vitaux de la population, l’ordre public et d’autres choses comme l’accès généralisé à la culture étaient largement assurés.

Dans le domaine sportif, les piètres performances des athlètes russes aux jeux olympiques d’hiver de Vancouver ont ravivé cette sovietalgie.

La mémoire populaire se révèle généralement sélective  et il est de plus propre à l’être humain de refouler les peurs et agressions qu’un système oppressif a générées chez cet homo sovieticus brossé en son temps par un Alexandre Zinoviev et qui est bien loin d’avoir disparu.

Dans la Korpokratoura (Jean-Robert Raviot) actuellement au pouvoir où sphères politiques et économiques sont étroitement imbriquées, outre que cette période, pour la majorité d’entre eux, continue de structurer une bonne partie de leur paysage mental, on retient surtout de l’ère soviétique la grandeur apparente d’une grande puissance redoutée et respectée, qui, sous Staline notamment, avait porté les frontières de l’empire à son zénith.

Mêlée à des éléments de l’ère tsariste (symboles nationaux notamment), cette composante soviétique doit servir à renforcer un patriotisme officiel assis sur l’idée étatique (derjavnost’) et celle d’Unité affirmée sur un mode mobilisateur.

Dans le contexte d’un système de représentations si ambivalent, on referme l’accès aux archives d’Etat et on réécrit l’Histoire en faisant la part belle aux mensonges et fables de l’ère soviétique tout en déniant aux voisins de l’ « étranger proche » le droit de créer (sur un mode, il est vrai, parfois passionnel et polémique) leurs historiographies nationales et d’honorer ceux qu’ils considèrent comme des héros de la lutte anti-communiste (souvent ravalés par Moscou aux rangs de simples collaborateurs des nazis, dans la plus pure langue de bois soviétique).

Encore une fois, on pourrait s’étonner du relatif silence de ceux qui ont en leur temps justement condamné la reductio ad hitlerum dans notre beau pays et évitent de faire de même lorsqu’il s’agit de la Russie. Et qu’on ne vienne pas me dire que c’est de bonne guerre !

Moscou désire assurer une « continuité » dans son histoire récente sans risquer de fragiliser par l’évocation des « heures sombres » une identité problématique, encore convalescente après la chute de l’Union soviétique, « plus grande catastrophe géopolitique du XXème siècle » (Poutine).

Plusieurs déclarations du président Medvedev démontrent que remettre en cause le petit catéchisme officiel concernant la « Grande guerre patriotique » et « l’histoire commune »  aurait pu devenir difficile, voire judiciairement risqué (projet de loi de la Douma daté du 6 mai 2009 réprimant le « révisionnisme historique », finalement rejeté par le gouvernement le 29 juillet de la même année)[13], à l’intérieur comme à l’extérieur des frontières de la fédération.

Le drame pour le peuple russe est que la voie tracée par un Alexandre Soljenitsyne sur un traitement lucide et responsable de la période communiste n’ait pas été suivie et approfondie.

Le Kremlin se fait l’écho aujourd’hui de représentations majoritaires encore agissantes au sein de la population autour d’un passé récent qui continue à être mythifié par la nouvelle histoire officielle.

Poser ainsi les bases du futur me semble fâcheusement lourd d’impasses, d’équivoques et de contradictions qui ne manqueront de s’amplifier et de continuer à compromettre davantage l’image de la Nouvelle Russie.

 

ID Mag: Le redressement de la Russie est spectaculaire, il n’en est pas pour autant sans failles. Quelles sont selon vous les principales faiblesses qui le menacent ? La chasse aux oligarques a-t-elle été menée jusqu’au bout ? Où en sont- la démographie et la maîtrise de l’alcoolisme endémique ?

 

PL : Ce redressement spectaculaire, comme vous dites, a été freiné par les effets de la crise systémique mondiale qui a fini par toucher la Russie de plein fouet : Il semblerait que le pays commence timidement à s’en remettre, bien que des soubresauts sociaux transparaissent ça et là au travers du voile posé par les médias plus ou moins sous contrôle. L’avenir proche nous dira davantage ce qu’il en est dans ce domaine.

La Russie a le plus grand mal à faire le deuil de son empire et à se faire à l’idée que seule, elle est condamnée à rester une puissance régionale ayant hérité d’un arsenal nucléaire vieillissant, dont il est admis en haut lieu qu’il ne pourra être que partiellement modernisé (missiles stratégiques Topol-M et Boulava).

Sans l’Europe et une synergie bien pensée dont les contours ne peuvent encore être définis, elle me semble condamnée à rester une « puissance pauvre ».

Ce redressement pour avéré qu’il soit dans de nombreux domaines reste néanmoins fragile et peut même apparaître comme un phénomène « Potemkine » qui cache un envers du décor beaucoup moins reluisant.

Société civile embryonnaire en proie depuis des siècles aux prédations d’un pouvoir patrimonial, état faible contrairement aux idées reçues, phagocyté par une Korpokratoura, dont le mode d’exercice du pouvoir plébiscitaire et non compétitif préfigure peut-être les formes de régime post-démocratiques en voie de renforcement rapide en Occident.

Économie de rente dont les actifs sont plus ou moins affectés par une certaine baisse des cours du gaz et du pétrole, outil industriel dépassé (y compris la branche militaire, souvent incapable de satisfaire la demande étrangère et qui a perdu une grande partie de ses savoir-faire), infrastructures dignes d’un pays du Tiers-monde (une fois sorti de Moscou, Saint-Pétersbourg et de quelques îlots urbains « développés »).

La liberté d’expression est réelle sur des thématiques fondamentales qui nous sont chères, mais il ne vaut mieux pas s’aventurer à enquêter sur des affaires précises touchant des personnes bien identifiables...

La société est minée par une corruption structurelle qui n’est pas nouvelle (voir Les âmes mortes de Gogol par exemple) et dont on se demande si le pouvoir actuel s’en accommode ou montre son impuissance à la combattre efficacement, tellement le mal est profond, ceci en dépit de  sanctions conjoncturelles et exemplaires, fortement médiatisées.

L’armée doit être rapidement réformée à la lumière des enseignements du conflit géorgien, avec une professionnalisation et un « dégraissage » pour lequel la haute hiérarchie militaire freine des quatre fers. Sans parler du remplacement de matériels largement obsolètes dont le faible rythme de renouvellement pourrait être mis à mal par une baisse annoncée des crédits militaires : beaucoup d’effets d’annonce en général à l’occasion par exemple du vol récent du prototype d’un chasseur de 5ème génération, le Sukhoi PAK-FA T-50 qui est loin d’être entré en service et ne le sera qu’au prix d’une coopération avec l’Inde.

Les négociations au sujet de l’achat de bâtiments de projection et commandement français type Mistral, outre leurs arrière-pensées géopolitiques, démontrent qu’un savoir faire technologique s’est perdu depuis l’éclatement de l’URSS (les chantiers navals de Mykolaiv qui avaient conçu les porte-avions de la classe Kuznetsov sont aujourd’hui situés dans l’Ukraine indépendante).

Concernant les oligarques, on a éliminé ceux qui ont été associés à l’ancien pouvoir eltsinien (Boris Berezovski) ou qui ont eu des velléités de s’opposer au Kremlin en s’associant à des intérêts politiques et économiques étrangers (Mikhail Khodorkovski). Les autres, comme Roman Abramovitch ou Oleg Deripaska sont toujours là, plus discrets, rentrés dans le rang ou étroitement associés au pouvoir. Ils servent parfois de boucs émissaires pour le bon peuple et c’est l’occasion de réprimandes de la part du père fouettard Poutine sous l’œil attentif des caméras.

Selon certaines sources récurrentes, le judoka préféré des Russes ne serait pas dépourvu d’une fortune personnelle conséquente.

La population reste préservée de flux migratoires massifs venus de l’étranger. Elle connaît cependant quelques problèmes de cohabitation avec des ethnies non-slaves. Le pouvoir oscille entre une définition ethnique et étatique de l’appartenance russe (deux termes différents existent dans la langue de Dostoïevski pour désigner l’une ou l’autre) avec une certaine préférence donnée officiellement à cette dernière. I’année dernière, les Nachii, jeunesses poutiniennes « antifascistes » se sont vues confier dans plusieurs villes du pays la tâche de vider la rue de ses groupes nationalistes.

Groupes qui, lorsqu’ils ne sont pas infiltrés, voire purement et simplement générés par le FSB, sont largement instrumentalisés et tolérés au gré des intérêts et de la conjoncture du moment.

Je ne parle même pas de « l’ultranationaliste »  guébiste Vladimir Volfovitch Eidelstein alias Jirinovski qui, à la tête du LDPR  (Parti Libéral-démocrate de Russie) constitue l’exemple même de ces partis «pro régime » qui captent à la fois un certain électorat et constituent une tribune pour des prises de positions provocatrices et extrémistes que le Kremlin ne peut pas toujours assumer au grand jour, lâchées comme ballons d’essai à destination de l’opinion intérieure et internationale .

Le pouvoir joue clairement la carte de la cohésion ethnique et religieuse  de la population.

Cette dernière, qui bénéficie encore d’un haut niveau d’études et de qualification grâce à un système éducatif sélectif (malgré la corruption d’une partie du corps enseignant), connaît un collapsus démographique structurel malgré les mesures natalistes adoptées par le Kremlin et la très légère embellie de la dernière année (solde naturel à peine positif) : elle pourrait s’établir dans le pire des scénarios autour de 80-100 millions de personnes vers 2050 !

Son état sanitaire général reste préoccupant (je ne m’étendrai pas davantage sur les ravages de l’alcoolisme à tous points de vue) et son univers mental reste marqué par l’empreinte communiste dont les effets délétères seront longs à extirper.

Un nihilisme ambiant, empreint de matérialisme, de cynisme et d’une certaine dépolitisation prévaut dans une bonne partie de la jeunesse. Celle-ci subit un processus d’occidentalisation accéléré qui n’est pas efficacement contrebalancé par le « patriotiquement correct » au goût du jour et la mise en place d’organisations comme les Nachii.

Les fervents admirateurs du régime poutinien auront ainsi remarqué qu’il n’entreprend rien de significatif pour enrayer ce phénomène préoccupant et s’accommode fort bien de cette situation où la quête effrénée d’argent, le goût de l’informe, du strass et des paillettes n’a trop souvent rien à envier à  celui de nos sociétés occidentales, décliné de plus au tamis de la démesure russe comme en témoigne par exemple le cinéaste Andreї Mikhalkov-Konchalovsky dans son film Gloss (Glyanets en vo).

La population russe semble trouver un puissant dérivatif à un quotidien souvent gris dans une fierté nationale entretenue par le pouvoir, vis-à-vis duquel elle ne nourrit aucune illusion (« eux » et « nous »). Fierté nationale non condamnable en soi bien entendu, mais déclinée sur un mode excessif avec une paranoïa obsidionale et toujours une phobie atavique de l’ennemi intérieur et extérieur.

Je suis toujours frappé par le fait que le système communiste aux mensonges duquel presque personne ne croyait a réussi à tuer chez beaucoup d’anciens ressortissants soviétiques toute forme d’engagement politique et social au service d’un idéal collectif qui les dépasse : je me suis souvent heurté à des réactions empreintes de scepticisme désabusé.

Je n’ai pas vraiment développé, conformément à votre question les points positifs dans le tableau partiel parfois sombre et pessimiste que j’ai donné de ce peuple jeune (Moeller van den Bruck), mais nous savons que rien n’est jamais joué et que là où il existe une volonté, il y a un chemin.

 

ID Mag : Dans le cadre du monde multipolaire auquel nous aspirons, comment envisagez-vous l’évolution des relations entre la Russie et la puissance chinoise ?

 

PL : La Chine et la Russie ont établi un partenariat stratégique au sein de l’Organisation de coopération de Shanghai pour tenter de faire un tant soit peu contrepoids à la puissance hégémonique américaine.

Cette entente ne repose pas sur des fondements civilisationnels et stratégiques solides et n’est pas, selon moi, destinée à un grand avenir.

Pour l’instant, les deux pays font des manœuvres militaires communes fortement médiatisées. L’armée chinoise modernise son arsenal à grands renforts d’armes russes, bien que Moscou veille à limiter autant que possible les transferts de technologie.

Posture devenue récurrente, le Kremlin penche ostensiblement vers son voisin asiatique dès que des désaccords politiques ou économiques interviennent avec l’Union Européenne.

Cela n’empêche pas que l’avenir des relations sino-russes reste pavé de lourdes incertitudes.

Moscou ne peut que craindre le colossal différentiel démographique avec son voisin qui peut lorgner demain sur les immenses ressources minérales et stratégiques de l’hinterland sibérien.

Une immigration chinoise croissante pourrait poser un problème stratégique majeur dans un avenir très proche.

Bien que les contentieux territoriaux aient été récemment résolus, les Chinois n’ont pas oublié les « traités inégaux » du XIXème siècle et n’ont peut-être pas renoncé à récupérer un jour les territoires de la « Mandchourie du nord » avec Khabarovsk et Vladivostok[14].

Les Russes doivent comprendre qu’ils auront besoin de nous pour mettre en valeur ce « Grand Est » sibérien et que des contingents européens ne seront pas de trop pour assurer une veille vigilante sur le fleuve Amour, nouvelle frontière d’une Grande Europe à bâtir.

 

 

 

ID Mag : Un mot pour conclure et peut-être quelques conseils de lecture sur ce sujet ?

 

PL : Je suggèrerais à ceux qui sont intéressés par la question de faire l’effort de s’imprégner des réalités russes en essayant de franchir la barrière de la langue et en se plongeant dans ce monde passionnant (presse, littérature, cinéma, télévision), ce qui n’empêche pas de voyager et de faire des rencontres...

Je pense qu’un militant identitaire sérieux et sincère doit appréhender ces réalités de manière lucide et détachée en restant fidèle aux valeurs et principes qui sont les siens tout en faisant preuve d’intelligence (méta)politique.

Ce n’est pas en manifestant une adhésion aveugle et inconditionnelle aux évolutions en cours dans la Russie poutino-medvédienne que nous rendrons un grand service à notre cause et aux Russes eux-mêmes.

À nous de faire preuve d’une bienveillance critique qui n’empêche pas la ferme condamnation de phénomènes négatifs et contre-productifs et d’éviter l’écueil d’un pacte russo-européen qui abandonnerait à nouveau plusieurs peuples frères aux séculaires et incorrigibles convoitises de Moscou, car la tentation est réelle chez certains de lui  reconnaître une sphère d’influence exclusive en terre européenne[15].

Une observation attentive de la politique internationale de Moscou montre qu’elle a le plus grand mal à s’accommoder de l’Union Européenne, perçue, malheureusement à juste titre, comme une structure bâtarde, acéphale et vassalisée par Washington.

De ce fait, prenant compte de l’existence d’une nouvelle Europe proaméricaine, elle privilégie les relations bilatérales avec les états du noyau carolingien comme l’Allemagne, la France ou l’Italie, perçus comme des entités solides ayant fait leur preuve sur la scène de l’Histoire, sans perdre de vue le classique adage divide et impera .

Je pense qu’une avant-garde européenne telle que prônée par le Forum Carolus et Alain de Benoist par exemple, vertébrée par le noyau dur carolingien, élargi à l’Autriche et à la Hongrie, ne doit être envisagée que dans la perspective d’une grande Europe-puissance qui n’exclue pas nos frères européens de l’ex Pacte de Varsovie pour l’instant encore sensibles aux sirènes étatsuniennes.

Hypothèse pro-vocante et devant nous pousser à la réflexion : une Russie qui résonne toujours en terme de sphère d’influence exclusive sur son ancien « espace historique » (Narotchnitskaia), englobant des pays incontestablement européens comme le Belarus et l’Ukraine serait-elle prête à admettre l’existence à ses frontières d’une Grande Europe-puissance unifiée, détachée de la vassalité américaine et amicale qui affirmerait ses intérêts légitimes sans complexe ? Serait-elle prête à jouer avec nous la carte d’une fédération impériale paneuropéenne, à terme intégrée, une véritable entité eurosibérienne et non celle d’un empire simplement russe ou eurasiatique ?

Poser la question en embrassant la longue durée historique, c’est déjà commencer à apporter quelques éléments de réponse…

Un tel édifice respectueux de ses entités nationales et ethniques, pensé selon un nouveau jus publicum europaeum et un sain principe de subsidiarité aurait, entre autres choses, l’avantage de réduire à néant la plupart des contentieux territoriaux persistants et pesants.

Quoi qu’il en soit, pour survivre dans un nomos planétaire en pleine recomposition et rester dans l’Histoire, Européens et Russes devront entamer, chacun à partir de prémisses et de situations différentes, un mouvement de régénération convergeant vers un héritage boréen plurimillénaire, base matricielle commune d’un renouveau et d’un destin envisagés ensemble. Favorisons donc l’émergence d’un véritable courant altereuropéen et eurosibérien en Russie.

Sinon, dans le cas où le Kremlin s’obstinerait dans une perspective vétéro-impériale autocentrée et obsidionale, je crains fort que la Troisième voie, position risquée et peu aisée à assumer, ne puisse redevenir tôt ou tard d’actualité.

Quelques conseils de lecture ?

Pour la Russie, Les ouvrages de Gustave Welter (Histoire de Russie), Gonzague de Reynold (Le monde russe) et Andreas Kappeler (La Russie, Empire Multiethnique) peuvent offrir un cadre de réflexion historique solide. On pourra y ajouter les « classiques » de Nicolas Riazanovsky (Histoire de la Russie), Michel Heller (Histoire de la Russie et de son empire) ou Jean-Pierre Arrignon (Culture Guide Russie). Pour mieux saisir les réalités politiques et sociologiques d’un univers à la fois si loin et si proche, on pourra se référer aux ouvrages de Iouri Afanassiev (De la Russie), Jean-Robert Raviot, Marlène Laruelle, Jean-Sylvestre Mongrenier (La Russie menace-t-elle l’Occident ?), Georges Nivat, André Ropert (La misère et la gloire, histoire culturelle du monde russe), Alla Sergueeva (Qui sont les Russes ?), Lorraine Millot (La Russie nouvelle) ou d’Igor Kliamkine et Lev Timofeev (La Russie de l’ombre).

Signalons également un curieux ouvrage anonyme intitulé Projet Russie. Je peux également citer les remarquables biographies d’Henri Troyat sur les tsars et écrivains russes, ainsi que naturellement les grands classiques de la littérature, de Pouchkine à Soljenitsyne.

Mention particulière pour les romans « au marteau » d’un enfant terrible de la nouvelle littérature russe, Vladimir Sorokine  (notamment Journée d’un opritchnik, La glace ou la voie de Bro).

Les amateurs de polar pourront par exemple se plonger dans les œuvres de Thierry Marignac (Fuyards), Alexandra Marinina (Ne gênez pas le bourreau) ou Leif Davidsen (L’épouse inconnue)

Sur l’Ukraine, il serait indispensable de lire attentivement les travaux incontournables de Iaroslav Lebedynsky (Ukraine, une histoire en questions)[16], Mykola Riabtchouk (De la « Petite-Russie » à l’Ukraine) et Andreas Kappeler (Petite histoire de l’Ukraine) sans oublier le mythique Benoist-Méchin (Ukraine, le fantôme de l’Europe). On pourra compléter par Léonid Pliouchtch (Ukraine : à nous l’Europe !), Annie Daubenton (Ukraine : les métamorphoses de l’indépendance), Alain Balalas (De l’Ukraine) ou Arkady Joukovsky (Histoire de l’Ukraine). Les amoureux du mythe cosaque pourront parcourir le maître-livre de Iaroslav Lebedynsky, Les cosaques, une société guerrière entre libertés et pouvoirs, Ukraine 1490-1790.

 

 

Version révisée en mars 2010 d’un entretien recueilli en juillet 2009 par Xavier Eman pour ID magazine n°16 (automne 2009)



[1] Un fossé psychologique s’est considérablement creusé entre nous et nos frères de « l’Est ». Nous avons généralement une extrême difficulté à appréhender ce qu’ils ont vécu durant la période communiste et c’est bien sûr un peu normal. Néanmoins, rien ne nous empêche et c’est même fortement recommandé, de faire un réel effort d’empathie (je n’ai pas dit complaisance) à leur égard, par des rencontres et une connaissance accrue de ces réalités. Un survol de leurs représentations est tout à fait instructif : je signalerai par exemple ces entretiens avec l’Ukrainien Mykola Riabtchouk (http://www.europemaxima.com/?p=665) ou le Lituanien Richard Backis (http://www.diploweb.com/L-heritage-mental-du-sovietisme.html).

[2] Dans l’éditorial de ce numéro, Robert de Herte/Alain de Benoist ne fait pas mystère de son engouement pour la figure et les positions d’Alexandre Douguine, dont l’œuvre, nonobstant de nombreux points dignes d’intérêt, se présente fondamentalement comme les habits neufs d’une récurrente vision impériale russocentrée, sans parler de ses propos à l’emporte pièce dans les médias télévisés russophones où l’éminent penseur disserte sur la partition et l’invasion militaire de l’Ukraine avant de théoriser l’existence dans la partie orientale et méridionale du pays d’un fantasmatique peuple « nouveau-russe » (http://tap-the-talent.blogspot.com/search/label/Dugin).

En 1993, la figure historique de la Nouvelle droite écrivait dans une réponse au publiciste allemand Wolfgang Strauss publiée dans la revue Europa Vorn ( n°57, 15 septembre 1993, p: 3 , citée par Pierre-André Taguieff in Sur la Nouvelle droite, Descartes & Cie, 1994, p:311) : « Je suis en particulier hostile à toute forme de jacobinisme ou d’impérialisme. Je ne confonds pas l’idée traditionnelle d’Empire (…) avec les impérialismes modernes : français, anglais, américain, russe ou allemand. Je soutiens le droit des peuples à disposer d’eux-mêmes, qu’il s’agisse des Ukrainiens, des Géorgiens, des Tchétchènes, des habitants des pays baltes, des Irlandais du Nord, des Corses, des Bretons (…). Je ne crois pas que les Russes résoudront les problèmes auxquels ils sont affrontés en tentant de soumettre à nouveau à leur joug des peuples qui n’ont que trop évidemment manifesté le désir de s’en affranchir. Pour dire les choses autrement, je crois que leur avenir n’est pas dans l’imitation- qu’il s’agisse de l’imitation de l’Occident ou de l’imitation du passé (tsariste ou stalinien). Les Russes ont  certainement, compte tenu de leur histoire, un rôle à jouer en Asie. Je suis en revanche plus que réservé vis-à-vis de toute construction eurasiatique, qui me paraît être essentiellement fantasmagorique ».

Plus récemment, interrogeant longuement Douguine dans un captivant entretien publié dans la revue Krisis (N°32, juin 2009, p :143-146), Alain de Benoist n’a pas manqué cependant de lui poser une question reprenant nos informations sur les activités anti-ukrainiennes du Mouvement de la jeunesse eurasiste, question à laquelle son honorable interlocuteur n’a pas jugé bon de répondre franchement…

[3] « Que reste-t-il de notre victoire ? » Editions des Syrtes, Paris, 2008. Nous renvoyons les lecteurs à notre critique de cet ouvrage consultable sur (http://www.polemia.com/article.php?id=1674).

Madame Narotchnitskaia est par ailleurs à la tête d’une ONG mise en place avec l’aval du Kremlin, sise à Paris et New-York, L’Institut de la Démocratie et de la Coopération (IDC) qu’elle anime avec le journaliste britannique conservateur John Laughland.

[4] Dans un long et pertinent article intitulé « Mémoire russe et mémoire européenne » publié dans le numéro 38 de La Nouvelle Revue d’Histoire, septembre-octobre 2008, pages 32-35

[5] Comme l’affirmait Boris Gryzlov, président en exercice de la Douma russe que je cite de mémoire, la « Grande guerre patriotique » est le seul événement récent de l’histoire nationale susceptible de rassembler un maximum de citoyens autour d’un nouveau consensus identitaire.

Une véritable mythologie impulsée par Vladimir Poutine lors de sa fameuse allocution du 9 mai 2005 qui ne supporte donc aucune forme de critiques ou de remises en cause, aussi ténues soient-elles. Au besoin, intimidations et répression s’abattent sur les « contrevenants » ainsi qu’en témoigne le cas de Mikhaïl Suprun, un historien russe enquêtant sur le sort d’Allemands emprisonnés en Union soviétique durant la Seconde Guerre mondiale, qui a été arrêté en septembre 2009.L’historien a été brièvement détenu par des officiers des services de sécurité russes. Ils ont fouillé son appartement et emporté l’ensemble de ses archives. Accusé d’atteinte à la vie privée ( !), il risque en cas de condamnation une peine maximale de quatre ans de prison. Professeur d’histoire à l’Université Pomorskyi d’Arkhangelsk, ses travaux portaient notamment sur les prisonniers de guerre allemands capturés par l’Armée rouge et sur les minorités russes d’origine germanique, la plupart en provenance de Russie méridionale, déportés par Staline dans les camps d’Arkhangelsk.

 

[6] Cette commission comprenait deux personnalités présentées comme des historiens, l’incontournable Natalia Narotchnitskaia et Alexandre Tchoubarian, auteur d’un livre au titre prometteur, mais au final bien décevant, La Russie et l’idée européenne, (Editions des Syrtes, 2009). Ce dernier, interpellé par nos soins lors d’une présentation parisienne de l’ouvrage en octobre 2009, sur le fait de siéger dans une telle commission pour des historiens de métier, a  « dédramatisé » l’enjeu et magnifiquement botté en touche dans la plus pure tradition de la rhétorique soviétique, version perestroïka.

[7] Citons la princesse Anne, fille de Iaroslav le Sage qui a épousé notre bon roi Henri 1er en 1051, à propos de laquelle, en cette année France-Russie et d’exposition sur « La Sainte Russie » au Louvre, on a pas fini d’entendre parler de princesse « russe »…

[8] L’article d’Aymeric Chauprade, « Byzance écartelée entre deux mondes » publié dans la Nouvelle Revue d’Histoire  (n°15, novembre-décembre, 2004, p : 56-58) est, à cet égard, très éclairant.

[9] La question de la résistance nationaliste ukrainienne durant la seconde guerre mondiale n’en finit pas de susciter des réactions indignées à Moscou, qui pour l’occasion n’hésite pas à se joindre au chœur  planétaire (http://fr.rian.ru/world/20100127/185945143.html). La politique d’affirmation historique et mémorielle menée par la présidence Iouchtchenko était justifiée et légitime sur le fond ; même si sur la forme, elle est critiquable sur de trop nombreux points.

Les décrets faisant de Roman Choukhevytch (commandant suprême de l’Armée Insurrectionnelle Ukrainienne, l’UPA) et de Stepan Bandera (chef de l’aile révolutionnaire de l’Organisation des Nationalistes Ukrainiens OUN-R :  http://fr.novopress.info/35214/anniversaire-de-l%E2%80%99assassinat-de-stepan-bandera-notre-longue-memoire/) des héros de l’Ukraine ont créé des remous y compris à l’intérieur du pays tant les clichés mensongers de l’époque soviétique sont encore prégnants dans une bonne partie de la population. Dans le cas de Bandera, le calendrier choisi (en janvier dernier, entre les deux tours de scrutin présidentiel) révélait des arrière-pensées politiciennes évidentes et maladroites. Il n’empêche que l’accusation infâmante et diabolisante de collaboration avec les nazis ne tient pas stricto sensu et il est regrettable de voir les autorités russes user cyniquement de ces questions hautement sensibles dont elles bien connaissent la charge émotionnelle pour un public occidental.

Que ces hommes aient été tentés de jouer brièvement la carte allemande avant de déchanter (en camp de concentration dès l’été 1941 pour Bandera ou devant un peloton d’exécution pour d’autres) est l’évidence même. Etait-ce collaborer aux plans nazis et leur politique raciale que d’avoir été soutenus par certains secteurs de la Wehrmacht et de l’Abwehr pour former deux bataillons de volontaires en 1940-41 ? Il est bien facile de juger après-coup quand on connaît la fin de l’histoire.

L’amalgame entre la résistance de l’OUN/UPA et la division SS ukrainienne « Galicie » ne résiste pas à un examen historique sérieux, ni les accusations conjointes de la part des nazis puis des soviétiques d’avoir participé à des pogroms antijuifs, notamment à L’viv en 1941.

Par contre, si on veut rester sur le registre de la collaboration avec le régime national-socialiste, que dire du grand Staline qui a livré quantité de communistes allemands, parfois juifs, aux autorités hitlériennes entre septembre 1939 et juin 1941, sans parler des matières premières stratégiques qui ont alimenté la machine de guerre nazie dans sa guerre à l’Ouest ?

Il est confondant de voir des compatriotes issus souvent de milieux traditionnellement anticommunistes embrayer docilement le pas aux vieilles lunes de l’historiographie soviétique joignant leurs voix au concert des derniers dinosaures staliniens de l’université française qui s’évertuent, dans un registre voisin, à nier l’existence du Holodomor, la famine-génocide ukrainienne de 1932-33.

[10] Il est intéressant de noter que le nouveau président ukrainien a recouru, dès 2005, aux services du consultant politique américain Paul Manafort, républicain convaincu qui a notamment travaillé pour John McCain, rival malheureux de Barack Obama en 2008.

[11] Lors d’une conférence de presse commune entre Medvedev et Ianoukovytch, à l’occasion de la visite officielle de ce dernier à Moscou le 5 mars 2010, les deux hommes ont fait de belles déclarations de principe dans une atmosphère cordiale et détendue, mais se sont bien gardé de fixer des échéances précises. Une nouveauté cependant dans la bouche de Medvedev qui a évoqué un possible statut de la langue ukrainienne en Russie avec l’octroi de chaînes de télévision ukrainophones.

[12] À cet égard, l’Ukraine n’est pas comparable aux Balkans. Ce pays a payé le prix du sang au XXème siècle et son peuple a un tempérament généralement plus « doux », moins convulsif que ceux d’autres ethnies slaves. La guerre culturelle a cependant fait rage à Moscou tout au long de l’année 2009, avec toute une littérature clairement ukrainophobe qui allait des techno thrillers de gare, catégorie sous-Tom Clancy (comme Ukraine champ de bataille : le trident brisé de Georgiy Savitsky ) à des écrits assez délirants comme le fameux American salo d’O. Volia (http://www.kyivpost.com/news/nation/detail/38758/)

[13] Voir : http://www.lph-asso.fr/index.php?option=com_content&view=article&id=135%3Aderniere-heure-par-nikolay-koposov&catid=31%3Adossier-russie&Itemid=78&lang=fr

[14] Voir l’intéressant dossier du n° 995 du Courrier international (du 26 novembre au 2 décembre 2009) intitulé « Far East, quand la Sibérie sera chinoise ».

[15] Cela semble être le cas, par exemple, pour le géopoliticien Aymeric Chauprade, qui  avait déjà repris à son compte le théorème « mécaniste » de la révolution orange selon un storytelling simplificateur. Dans un article publié dans La Nouvelle Revue d’Histoire  (N°20, septembre-octobre 2005, p:38, texte repris dans la 3ème édition de Géopolitique, constantes et changements dans l’Histoire, Ellipses, 2007, p:558) et intitulé « les frontières de l’Europe », il exposait l’existence de cinq ensembles géopolitiques européens en affirmant que « même si elle présente d’incontestables traits civilisationnels européens (…), l’Ukraine, immense plaine ouverte sur l’Est, n’a pas vocation à faire partie du bloc européen ». Il écrit ultérieurement, dans un entretien donné à la revue Eléments (N° 131, avril-juin 2009, p : 32) qu’ « avec un peu moins de 50 millions d’habitants, l’Ukraine représente tout de même le tiers du poids démographique de la  Fédération de Russie. Mais c’est surtout le berceau de la Moscovie : historiquement, l’Ukraine et la Russie sont consubstantielles, d’autant que la première offre à la seconde un débouché sur la mer Noire, donc sur la Méditerranée ». De tels propos me paraissent démontrer les limites du pur exercice géopolitique lorsque ses critères d’analyse priment excessivement sur les impératifs civilisationnels et identitaires.

[16] Voir notre recension : http://www.polemia.com/article.php?id=1719

vendredi, 12 mars 2010

Is de oorlog om de olie en gas uitgebroken?

Is de oorlog om olie en gas uitgebroken?

Ex: Nieuwsbrief Deltastichting - n°33 (maart 2010)
Het is duidelijk dat we ons al een tijdje in een overgangsfase bevinden, een interregnum: de oude zekerheden van vorige eeuw zijn weggevallen, de opdeling van de wereld in ‘goeden’ – de NAVO, het vrije Westen, West-Europa, Amerika – en de ‘slechten’ – de communistische staten rond de USSR en China – is ongedaan gemaakt, en in de plaats daarvan is een ingewikkelde wereld met veel en tegenstrijdige krachten. China botst met Rusland, Amerika botst met iedereen, China eist een stuk van de markt in Afrika, Rusland zoekt toenadering met Europa, dat nochtans een veilige afstand wil bewaren. De globalisering van de economie – waarvan het einde nu ook al voorspeld wordt door Chinakenner Jacques Martain in De Tijd (06.03.2010) – zorgt ervoor dat nog meer dan vroeger de controle over de energiebronnen een, zoniet dé inzet wordt van de strijd tussen de grote spelers op de wereldmarkt.
 
Het mag dan al zo zijn, dat we in snel tempo aan het afstevenen zijn naar het einde van het tijdperk van de fossiele brandstoffen, feit is nochtans dat de strijd ook en nog steeds gaat om de controle van onder andere olie. Maar ook in toenemende mate gas. Daarover willen we het hier hebben.
 
Rusland was in de jaren 80 van vorige eeuw de grootste producent van petroleum, maar met het ineenstorten van de Sovjet-Unie zakte ook de productie in elkaar. Met Poetin aan de macht in het Kremlin werd hieraan grotendeels verholpen en moet men vaststellen dat Rusland opnieuw is opgeklommen tot de tweede producent van petroleum, na Saoedi-Arabië. Rusland is goed voor ongeveer 6% van ontdekte wereldreserves, maar gelet op het feit dat nog heel wat grondgebied niet volledig is onderzocht, zou dit aandeel wel eens kunnen stijgen in de komende jaren. Maar Rusland speelt vooral een grote rol op het vlak van de gasproductie, haar reserves zijn goed voor 30% van de wereldvoorraad. Daarnaast bevinden zich 25% van de steenkoolreserves op het Russische grondgebied. Zij is dus een hoofdspeler op de wereldenergiemarkt.
 
Op dat vlak is ze de perfecte tegenspeler op het vlak van energievoorziening: het islamitische deel van het Midden-Oosten (Saoedi-Arabië, Irak, Iran, de Golfemiraten). Dit politiek en economisch belangrijke stuk van het Midden-Oosten controleert 2/3de van de wereldreserves van aardolie en meer dan een derde van alle gasvoorraden.

 

Wie doet beroep op en is afhankelijk van de Russische energievoorziening? De Europese Unie eerst en vooral (ze koopt er de helft van haar gas en zo’n 20 van haar petroleum), Japan, China, India, Korea. Tegen 2020 zal een belangrijk deel van de energie-export van Rusland in de richting van Zuid-Oost-Azië gaan, rekenen economische commentatoren ons voor.
 
Zo bekeken was het voor Poetin al heel lang overduidelijk dat de energievoorziening de joker wordt van de Russische heropstanding. Met dit onderwerp heeft de Russische politicus zijn doctoraat aan de universiteit van Sint-Petersburg gehaald, en met dezelfde vaststellingen bouwt hij zijn politiek verder uit. Niet alleen zal de export van energie Rusland de middelen verschaffen om haar dominante militaire, economische en politieke rol in de wereld te vestigen, de staten die voor hun energievoorziening afhankelijk zijn van de toevoer vanuit Rusland, zullen dit ook politiek vertaald zien.

Aan de andere kant van het geografische spectrum blijven de VSA natuurlijk ook op een zeer prominente manier aanwezig. Niet alleen hebben zij sinds de oorlog tegen Irak hun controle op de petroleum in het Midden-Oosten versterkt, maar daarenboven domineren zij met hun enorme oorlogsvloot zowat alle grote zeevaartroutes ter wereld. Terwijl Amerika dus met haar oorlogsvloot Rusland wil verzwakken door haar te omsingelen, gebeurt eigenlijk hetzelfde door Rusland, dat Amerika wil verzwakken door continentale aanvoerroutes op te zetten van aardolie en gas. Op die manier wil Rusland haar positie van wereldspeler veilig zetten, terwijl Amerika er alles aan doet om haar eerste rangsrol te verdedigen. De oorlog om het gas en de olie is dus inderdaad losgebroken. De Europeanen zitten in deze ‘vreedzame’ oorlog op een uitermate ongemakkelijke plaats: ze hebben een militaire alliantie met de VSA, maar zij economisch sterk afhankelijk van de olie- en gastoevoer vanuit Rusland.
 
Misschien als uitsmijter het volgende meegeven: de strijd van Poetin om de energiemarkt is een strijd op twee fronten. Hierboven hebben we al een kleine inkijk gegeven op de strijd buiten de grenzen van Rusland. Maar de strijd werd eerst intern gevoerd, en die strijd heeft Poetin grotendeels gewonnen. Ik heb het dan over de strijd tegen de grote olie-oligarchen op het Russische grondgebied. Een aantal namen zijn wellicht bij onze lezers blijven hangen: Gazprom en Rosneft, maar vooral Joekos en Michaël Khodorchovski. Sommigen hebben het in dat verband zelfs over petroleumnationalisme. 

(Peter Logghe)

jeudi, 11 mars 2010

New Article on Dugin

duginssssxxx.jpgNew article on Dugin

Ex: http://traditionalistblog.blogspot.com/
Anton Shekhovtsov, "Aleksandr Dugin’s Neo-Eurasianism: The New Right à la Russe," Religion Compass 3/4 (2009): 697–716

Abstract:
Russian political thinker and, by his own words, geopolitician, Aleksandr Dugin, represents a comparatively new trend in the radical Russian nationalist thought. In the course of the 1990s, he introduced his own doctrine that was called Neo-Eurasianism. Despite the supposed reference to the interwar political movement of Eurasianists, Dugin’s Neo-Eurasian nationalism was rooted in the political and cultural philosophy of the European New Right. Neo-Eurasianism is based on a quasi-geopolitical theory that juxtaposes the ‘Atlanticist New World Order’ (principally the US and the UK) against the Russia-oriented ‘New Eurasian Order’. According to Dugin, the ‘Atlanticist Order’ is a homogenizing force that dilutes national and cultural diversity that is a core value for Eurasia. Taken for granted, Eurasia is perceived to suffer from a ‘severe ethnic, biological and spiritual’ crisis and is to undergo an ‘organic cultural-ethnic process’ under the leadership of Russia that will secure the preservation of Eurasian nations and their cultural traditions. Neo-Eurasianism, sacralized by Dugin and his followers in the form of a political religion, provides a clear break from narrow nationalism toward the New Right ethopluralist model. Many Neo-Eurasian themes find a broad response among Russian high-ranking politicians, philosophers, scores of university students, as well as numerous avant-garde artists and musicians. Already by the end of the 1990s, Neo-Eurasianism took on a respectable, academic guise and was drawn in to ‘scientifically’ support some anti-American and anti-British rhetoric of the Russian government.

mercredi, 10 mars 2010

La Russie veut assurer son autosuffisance alimentaire et devenir une grande puissance agricole

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La Russie veut assurer son autosuffisance alimentaire et devenir une grande puissance agricole

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Assurer enfin l’indépendance alimentaire du pays et devenir une grande puissance agricole. Telles sont les ambitions de la Russie, invitée d’honneur du Salon international de l’agriculture, jusqu’au dimanche 7 mars. A la suite de l’explosion de l’URSS, Moscou avait pourtant abandonné ce secteur. La production agricole russe s’était effondrée de moitié entre 1991 et le tournant des années 2000. Au point que l’Union européenne avait dû faire parvenir, fin 1998, une aide alimentaire d’urgence d’un montant de 400 millions d’euros.

 

Le revirement date de 2005, quand Vladimir Poutine, alors président, a fait de l’agriculture un des piliers de l’essor économique du pays. Deux ans plus tard, Moscou a même lancé un plan quinquennal pour le secteur de 551 milliards de roubles (13,7 milliards d’euros). Une somme censée être doublée par les régions.

Mais, malgré les progrès affichés ces dernières années, Moscou reste très dépendant des importations : en 2009, le pays a acheté à l’étranger 30 % de sa consommation de viande et 20 % de ses produits laitiers, selon le ministère russe de l’agriculture. Un chiffre qui atteindrait même, selon un spécialiste local, 70 % pour les fruits.

« L’indépendance alimentaire est une composante de la sécurité d’Etat », explique Elena Borisovna Skrynnik, la ministre de l’agriculture russe. « Notre objectif est d’arriver à produire nous-mêmes, en 2012, 85 % de notre consommation de viande, de produits laitiers ou de sucre. En 2009, nous avons réduit les importations de viande d’un quart. »

Le dossier est supervisé en haut lieu : le plan quinquennal a été placé sous la responsabilité du vice-premier ministre russe, Viktor Zoubkov, un proche de M. Poutine qui fut son premier ministre lors des derniers mois de sa présidence. Et les oligarques ont été invités à s’intéresser à l’agriculture : Vladimir Potanine, le confondateur du géant Norilsk Nickel, est ainsi devenu un acteur de poids du secteur.

Ce marché prometteur ainsi que la flambée des cours des matières premières en 2008, depuis retombée, ont attiré de nouveaux investisseurs : « J’ai vu arriver des banquiers ou des vendeurs de 4×4, qui venaient me voir pour mettre de l’argent dans l’agriculture », explique un Français basé à Moscou. « Certains étaient prêts à acheter 10 000 vaches en une commande. »

Une aubaine pour les fournisseurs étrangers de bêtes, de semences ou de matériels, à commencer par les Allemands, les Néerlandais ou les Danois, qui ont été les plus prompts. Si des bovins français – comme la Salers ou l’Aubrac – ont fait leur apparition en Russie, leur présence n’est toutefois pas à la hauteur de la réputation des races de l’Hexagone.

La Russie, qui a pu faire office dans le passé de « grenier à blé » du monde, est aussi redevenue un acteur incontournable sur le marché des céréales. Lors de la campagne 2008-2009, le pays a exporté 17,5 millions de tonnes de blé, juste derrière les Etats-Unis (26,5 millions) et l’Union européenne (21 millions). Et vise à terme 35 à 50 millions de tonnes. Il est vrai que la Russie possède un atout de taille : les tchernozioms, ces fameuses terres noires très grasses et extrêmement fertiles.

« Comme l’Ukraine ou le Kazakhstan, la Russie est devenue un pays redoutable et très agressif », explique François Gatel, directeur de France Export Céréales, un organisme de promotion des produits français. « Avec des coûts de production bien inférieurs et des parités monétaires plus avantageuses, elle a réussi à pénétrer des marchés où nous nous étions fortement développés, comme l’Egypte. »

Et le pays possède un énorme potentiel. D’abord du fait de sa taille : 220 millions d’hectares de surface agricole utile, soit presque 10 % des terres cultivables dans le monde, très loin d’être toutes exploitées. Ensuite en raison de rendements encore faibles : en moyenne 22 quintaux de blé par hectare (70 en France). De quoi devenir, dans dix ans, une puissance agricole incontournable, voire la plus puissante ?

« On fera tout pour y parvenir », glisse Mme Skrynnik. Avant d’ajouter en souriant : « Mais comme vous, les Français. »

Le Monde

vendredi, 05 mars 2010

Analyse dissonante des élections en Ukraine

Analyse dissonante des élections en Ukraine

Un peu moins de 900.000 voix voix séparent Viktor Ianoukovitch (48.95% et 12 480 053 voix), et Youlia Timoshenko (45.47% et 11 589 638 voix) mais c'est le premier qui a été élu président, au cours d'une élection, dont la transparence a été soulignée par tous les grands états et les principales instances internationales mais qui a surtout mis un terme au mythe de la « démocratie Orange ». Seule la ravissante Youlia (l'Evita Peron de la mer noire), malheureuse perdante, a quelque peu tardé à reconnaitre le choix de ce peuple qui l'avait pourtant généreusement soutenu en 2004, veillant dans le froid et la nuit sur la place centrale de Kiev.

Orangisme, mauvaise gestion et dérives nationalistes
La gestion économique et politique des Orangistes n'a pas été brillante, aggravée il est vrai par la crise économique qui a très durement frappé le pays, comme le montre le graphique dessous sur l’évolution du PIB sur la période 2006-2009. 





Les brimades linguistiques à l'encontre de la minorité Russophone n'ont certainement pas contribué à favoriser leur implantation électorale à l'est du pays et le président sortant Viktor Iouchenko, héros de la démocratie et chouchou de l’Occident en 2004 (!), a réuni moins de 6% des suffrages et a choisi de décorer (entre les deux tours) la figure historique Ukrainienne de la collaboration nazie, Stepan Bandera, (dont les hommes ont tués plus de 100.000 Polonais pendant la seconde guerre mondiale). Il est d'ailleurs assez surprenant de n'avoir entendu aucun commentaire des démocraties Occidentales a propos de cette "émouvante cérémonie" de l’entre deux tours. Le premier ministre ayant alors affirmé que le président Ukrainien « crachait au visage de ses anciens sponsors». Logiquement, au second tour, les mouvements d'extrême droite Ukrainiens  ont appelé à soutenir le candidat Orange.
Cet échec flagrant des Orangistes est à la fois électoral mais également financier, la crise ayant privé de crédits leurs principaux bailleurs de fonds, les stratèges des diverses ONGs qui pullulent dans les pays frontaliers de la Russie, Ukraine et Géorgie en tête.
La victoire du candidat bleu n'est pas cependant une surprise totale pour tout commentateur initié, elle était même au contraire relativement prévisible. Un sondage de l'institut Ramsukov (pourtant affilié au parti du président défait) montre bien l'évolution forte des mentalités en Ukraine de 2005 (révolution Orange) à 2009 et le basculement "a l'est". En 2009 un sondage durant l'été montrait que le gouvernement Orange d'Ukraine était le gouvernement avec le soutien populaire le plus faible au monde, 85% des Ukrainiens désapprouvant l'action de leur gouvernement.

L'Ukraine plus unie qu'il n'y parait
Les élections de 2004 avaient dévoilées l'existence de deux Ukraines, la bleue (orientale, tournée vers la Russie) et l'orange (tournée vers l'Occident). Cette coupure n'est pas seulement politique et culturelle. Elle est aussi linguistique, les Ukrainiens « bleus » lorsqu'ils ne se considèrent pas comme Russes sont souvent Russophones voir parlent un dialecte local Ukraino-russe. Dans la partie Orange les populations sont Ukraïnophone (ou parlent un dialecte local Ukraino-polonais).

Les élections de 2010 ont quelque peu atténués cette coupure, comme le précise Jean Marie Chauvier, Ianoukovitch et son Parti remportent leurs plus grands succès dans les régions à majorité russophone de l’Est et du Sud : 90% à Donetsk (Donbass), 88% à Lugansk, 71% à Kharkov, 71% à Zaporojie, 73% à Odessa, 79% à Simféropol (Crimée), 84% à Sébastopol. Le leader « régionaliste » avait reçu l’appui du Parti Communiste et d’autres formations de gauche, en très net recul au premier tour.  Mais Ianoukovitch remporte également de substantiels succès dans l’Ouest ukraïnophone : 36% à Jitomir, 24% à Vinnitsa, 18% à Rovno, 41% en Transcarpatie…C’est seulement dans les régions de Galicie (Lvov, Ternopol, Ivano-Frankovsk), traditionnels bastions du nationalisme radical antirusse et antisémite, que ses scores sont les plus faibles : inférieurs à 10%.
Une remarque symétrique s’impose pour les résultats de Ioulia Timochenko. Majoritaire à l’Ouest (de 85 à 88% dans les régions galiciennes, 81% à Lutsk, 76% à Rovno, 71% à Vinnitsa, mais seulement 51% en Transcarpatie), elle remporte également des succès remarquables à l’Est (29% à Dniepropetrovsk, 34% à Kherson, 22% à Kharkov). Les 29% à Dniepropetrovsk ne sont pas le fruit du hasard : Ioulia en est originaire, et le clan industriel de cette région est rival de celui de Donetsk que domine Ianoukovitch. Comme quoi, là non plus, le clivage « est-Ouest » ou « Russophones contre ukraïnophones ne joue pas. La ville de Kiev se partage entre 65% pour Ioulia et 25% pour Viktor Ianoukovitch, alors que cette capitale est très majoritairement russophone. Le leader de l’Est industriel et ouvrier n’y est pas reconnu par une bourgeoisie et une « classe moyenne » pourtant très attachée à la langue et à la culture russes.
Enfin la percée du 3ième homme Sergueï Tiguipko montre bien que la lassitude des électeurs envers cette scission et l’intérêt que porte une grande partie d’entre eux à une éventuelle 3ième voie.


L'Ukraine nouvelle, pont entre l'est et l'ouest
Pourtant contrairement à ce que beaucoup de journalistes ou commentateurs ont affirmé, le résultat des élections en Ukraine ne traduit pourtant pas du tout un retour de l’Ukraine dans le giron Russe ou une quelconque résurgence impériale Russe qui serait un danger pour l’Ouest. Bien au contraire, la victoire bleue affirme la position de l’Ukraine comme nation périphérique de la Russie, sur la « route vers l’Europe » mais également comme « partenaire de nouveau fiable » pour la Russie. La position de Ianoukovitch de tendre la main à l’ouest et à l’est ne fait que confirmer la situation économique réelle du pays (afflux de capitaux Russes) mais également son besoin de capitaux Européens pour moderniser le pays et faire face au problèmes économiques aggravés depuis l’été 2008. A ce titre l’Ukraine de Ianoukovitch pourrait se retrouver dans la position d’un « pont » entre l’Europe et la Russie et non plus d’un fusible dirigé par Washington pour déstabiliser les relations Euro-Russes (guerre du gaz, conflits de pipelines etc.). La volonté du nouveau président de faire ses deux premiers voyages à Bruxelles et Moscou devrait rassurer les chancelleries Européennes mais également le Kremlin quand à la création du cartel énergétique Ukraino-Russe mais également du maintien de la flotte Russe en Crimée ou son opposition à ce que l’Ukraine rejoigne l’OTAN.

Comme l'a précisé le président Ukrainien lors de son investiture : " L'Ukraine poursuivra l'intégration avec l'Europe et les pays de l'ex-URSS en tant qu'Etat européen n'appartenant à aucun bloc ... L'Ukraine sera un pont entre l'Est et l'Ouest, une partie intégrante de l'Europe et de l'ex-URSS en même temps, l'Ukraine se dotera d'une politique extérieure qui nous permettra d'obtenir un résultat maximum du développement des relations paritaires et mutuellement avantageuses avec la Russie, l'UE, les Etats-Unis et autres pays qui influencent le cours des événements dans le monde". (source de l'extrait).

L’élection de Ianoukovitch semble donc ancrer l’Ukraine entre Bruxelles et Moscou, mais l’éloigner de Washington et cette ligne « globale » semble être souhaitée par le peuple Ukrainien, au début de l’année, un sondage du Kiev post montrait que 60% des Ukrainiens souhaitaient l’intégration à l’UE, 57% sont contre l’intégration à l’OTAN et seuls 7% voient la Russie comme un état hostile, 22% souhaiteraient un état unique Russie-Ukraine (Source :
Johnson Russia List 2010 issue 34 number 2).

Ianoukovitch, un « poutine ukrainien » pour la presse Occidentale ?
Il est symptomatique de voir à quel point la presse anglo-saxonne a critiqué les résultats de l’élection, l’égérie Kremlinophobe du Moscow Times, Youlia Latynina allant même jusqu’à expliquer le résultat des élections comme logique, les électeurs pauvres étant tentés par des votes Poujadistes (« letting poor people vote is dangerous »). Pas de chance pour elle, la carte électorale montre bien que c’est la partie la plus riche d’Ukraine, la plus industrielle qui est majoritairement « bleue » et pro Russe. 



Autre critique plutôt surprenante du résultat des élections, l'oligarque en exil Boris Berëzovski qui s'est fendu d'un commentaire des plus insultants (Uk / Ru), après avoir affirmé qu'il avait soutenu et financé la révolution orange.

L’Ukraine au cœur de l’Eurasie.
Le 1er janvier 2012 entrera en vigueur l’Espace économique commun Russie-Biélorussie-Kazakhstan impliquant la liberté de circulation des capitaux et des travailleurs. L’Ukraine est fortement invitée à s’y joindre ou, du moins, à s’en rapprocher. Les Russes insistent sur « l’intérêt pour l’Europe » d’encourager la formation de ce nouveau « marché commun » opérant une sorte de trait d’union entre les parties orientales (principalement la Chine) et occidentale (Union Européenne) de l’Eurasie. 
On peut se poser la question de savoir si le futur du continent ne se dessine pas également via la création de ces deux «zones», celle Occidentale de Bruxelles et celle Eurasiatique de Moscou. Une scission entre ces deux Europes, l’Occidentale, et l’Orientale reprenant la délimitation territoriale telle que le définit le projet de sécurité Européenne proposé par la Russie qui définit dans son point 10 la zone de Vancouver à Vladivostok comme séparée en deux, avec une partie qualifiée d’Euro-Atlantique et l’autre partie qualifiée d’Eurasiatique.

Pour l’heure comme le souligne l’expert Michael Averko, la tentative d’installer le nouveau mur entre les Europes à Kiev a échoué. L’impatience de l’OTAN et son extension à l’est forcenée, ou ses différentes actions militaires anti Serbes ont finalement contribué à involontairement et indirectement améliorer l’image de la Russie.

mardi, 02 mars 2010

Les Cosaques de la liberté: l'expérience de l'anarchisme de Nestor Makhno en Ukraine

makhno_seul.jpgArchives de SYNERGIES EUROPENNES - 1987

Les Cosaques de la liberté : l'expérience de l'anarchisme de Nestor Makhno en Ukraine

par Ange Sampieru

 

Présenter en 475 pages la vie et l'action de Nestor lvanovitch Makhno (1889/1934), inspirateur et réalisateur de la seule expérience de communisme libertaire pendant la période de la révolution russe (entre 1917 et 1921) est un pari réussi par A. Skirda. Spécialiste de la Russie Soviétique, l'auteur exprime sans aucun doute sa sympathie politique pour l'anarchisme makhnoviste au travers d'une étude aussi complète que variée.

 

Un travail d'apologie

 

En dépit de tout l'intérêt des analyses  historiques de l'expérience originale accomplie par Makhno et ses partisans, le plan choisi par Skirda nous apparaît peu significatif. Après avoir étudié  son sujet d'un point de vue chronologique et événementiel (de l'enfance de Makhno à sa mort en exil à Paris en 1934), il revient sur une recherche plus psycho-historique dans un second temps, achevant son ouvrage par une revue très critique des livres consacrés à l'anarchisme ukrainien et à son fondateur. On suit alors assez péniblement ces mouvements assez "anarchiques". Au fond, on lit ici trois ouvrages différents : l'un est un livre d'histoire, fort brillant au demeurant, consacré à l'histoire de l'expérience anarchiste en Ukraine dans ses rapports avec le phénomène global de la Révolution russe. Le second est une monographie de N. Makhno, fondateur et "Batko" ("petit père" en quelque sorte) de ce mouvement de "communisme libertaire". Le troisième enfin est une recension critique des textes (brochures, articles de presse, romans, etc.), ayant pour thème principal ou quelquefois secondaire l'expérience makhnoviste. C'est cet "éclatement" qui. sans remettre en cause la richesse et le sérieux de ce travail historique, rend peut-être mal à l'aise le lecteur que je suis. Un dernier point de forme enfin : la sympathie presque "religieuse" de l'auteur pour son héros et ses idées l'amènent, dans tous les cas,  à une défense quasi militante de ses décisions et de ses choix politiques et militaires. Ainsi l'exécution, aussi barbare qu'inutile, d'émissaires des "gardes blancs" de Dénikine lui proposant une alliance face aux divisions de l'armée rouge n'appelle de sa part aucun commentaire. Commentaires qui, tout au contraire, abondent quand il s'agit d'actes de trahison commis par les responsables politiques ou militaires léninistes. Où fut alors la grandeur d'âme du héros qui fit pendre, le long d'un chemin, des porteurs de missives protégés par leur statut d'émissaires. Par ailleurs, dans ce que nous avons convenu de nommer le "second livre" il n'y a, chez Skirda, aucun aspect critique dans son analyse du personnage de Makhno. Nous regrettons cette vision toute théorique, l'auteur réservant ses critiques, souvent fondées, aux adversaires de Makhno et à ceux de ses partisans ou amis qui ont eu le malheur de ne pas le suivre en tous points dans son existence mouvementée.

 

 

Les deux visages du makhnovisme : identitaire ukrainien et anarchiste

intellectuel

 

Ceci étant, il nous apparaît que le mouvement anarchiste, fondé en Ukraine par Nestor Makhno, connait deux visages. L'un est celui du discours anarchiste, que nous comprenons comme idéologie cohérente, inscrit dans une filiation intellectuelle proprement occidentale. L'anarchie est ici une forme assez radicale de contestation du pouvoir d'État et, au-delà même, de toute structure politique et administrative centrale de direction. L'État confisquant à son profit le pouvoir politique, il confisque aussi la démocratie comprise comme forme autonome et locale de représentation et de gestion. On trouve ces critiques tant dans le mutualisme proudhonien, inquiet des empiétements grandissants de l'État post-révolutionnaire en France, que dans l'anarcho-syndicalisme sorélien, partisan d'une révolution spontanée prolétarienne contre la conception républicaine et bourgeoise du pouvoir politique. Dans tous les cas, on assiste à une renaissance de l'idéologie ancienne et traditionnelle des "libertés communautaires" qui structurent la démocratie européenne. Chez Makhno, l'anarchie inscrit ses références dans une même problématique. Une problématique nationale et sociale, puisque apparaissent en filigrane la revendication "nationale" ukrainienne, face au pouvoir central moscovite russe, et la revendication sociale paysanne, face à l'administration politique urbaine. L'anarchie répond alors à cette double revendication. Réponse "voilée" puisqu'aussi bien dominée par les "grands thèmes" occidentaux de l'idéologie moderne. Ainsi ni la revendication nationale (comprise comme désir explicite d identité culturelle et linguistique traduit en termes de pouvoir politique) ni la revendication paysanne (l'autonomie maximale face à la philosophie occidentale de la ville) ne sont reconnues à part entière. Ce  refus résulte d'une présence souveraine des valeurs de l'anarchie comprise comme idéologie sociale occidentale.

Plus proche encore d'une revendication ethno-culturelle, l'auteur souligne la présence majoritaire au sein des troupes makhnovistes des descendants des cosaques zaporogues. Il est indubitable, à la lecture de ce livre, que le mouvement anarchiste dans les steppes de l'Ukraine résulte beaucoup plus d'un sentiment culturel, plus ou moins enfoui dans sa mémoire des paysans cosaques, que dans l'adhésion aux valeurs globales de la révolution anarchiste, au sens des intellectuels de l'anarchie formés à l'école citadine et théorique de Bakounine et Kropotkine.

Et les explications de Skirda sur cette adhésion toute théorique aux réflexions et aux valeurs de l'Anarchie (avec un grand A) sont non seulement peu convaincantes mais aussi et surtout constamment démenties par les descriptions du premier livre. Les paysans et les quelques ouvriers qui suivirent Makhno sont-ils des militants anarchistes ou plus simplement des Ukrainiens opposés non seulement à la restauration de l'ancien régime social des grands propriétaires (régime fondé sur un mélange détonnant de féodalisme et de valeurs socio-économiques bourgeoises) mais aussi à la perpétuation du pouvoir moscovite, que celui-ci se présente sous une couleur blanche ou rouge. L'Anarchie serait alors une "béquille théorique", une superstructure dans le langage marxiste, qui serait bien loin du concret historique. Le véritable ressort résiderait dans la volonté consciente, chez la masse paysanne de descendance zaporogue ou non (bien que les premiers aient été les inspirateurs et les vrais décideurs du mouvement), de restaurer une communauté sociale et politique en accord avec leur propre vue du monde. Skirda, militant anarchiste formé à l'école occidentale, refuse de souligner cette présence. C'est une erreur et elle révèle un point de vue très théorique que l'on regrettera.

 

Les raisons de l'hostilité des makhnovistes à l'égard des bolchéviques

 

makh.jpgA contrario, nous découvrons avec beaucoup d'intérêt, chez Skirda, les rapports conflictuels  entretenus par cette armée libertaire et paysanne avec les autorités léninistes-bolchéviques. Lénine et Trotsky, intellectuels et citadins, n'avaient que mépris et incompréhension, quelquefois mués en haine, à l'égard des masses paysannes. D'autant plus si ces dernières étaient opposées à leur autorité et non-russes ! La politique de répression, la NEP, la lutte contre les moyens propriétaires (les fameux Koulaks), bref la guerre civile à outrance menée contre les ruraux non russes et russes, résulte de ces sentiments développés et théorisés dans l'idéologie prolétarienne ouvrière des émules de Marx (bourgeois finalement conservateur et citadin). La misère des sociétés industrielles de l'Ouest fut élevée au rang de péché suprême que la Révolution devait effacer. Dans ce cadre, le paysannat était aussi, même si des nuances étaient introduites, complice et soutien du système bourgeois. Ce qui était un raccourci fulgurant dans la pensée et l'analyse chez Marx, devenait un dogme idéologique d'État chez Lénine. Dans ce schéma, l'anarchisme makhnovien, appuyé sur la multiplication des "soviets libres" en Ukraine, pouvait structurer les réactions spontanées d'autodéfense des paysans locaux.

 

Le prélèvement autoritaire et violent de la production paysanne au profit des villes, la substitution  du marché d'État à l'ancien marché des propriétaires féodaux, enfin le statisme des lieux (Moscou reste le centre du pouvoir) et des méthodes de pouvoir (utilisation normale de la force policière et militaire dans les opérations de prélèvement) confirmait les sentiments latents des producteurs locaux. En fait, il y eut politique de pillage des productions rurales ­au profit des centres urbains, politique justifiée par un discours révolutionnaire et appliquée par des forces répressives similaires aux forces de l'ancien régime tsariste (Tchéka au lieu de l'Okhrana). Les anarchistes eurent alors beau jeu d'identifier la politique autoritaire de Lénine avec l'ancienne pratique tsariste. Après la première révolution (renversement du tsarisme et création d'un État constitutionnel de type occidental) et la seconde révolution (coup d'État bolchévique), la "troisième révolution" consistait à établir un communisme social égalitaire sans autorité d'en haut. C'était du moins le programme de militants anarchistes. Le spontanéisme plus ou moins dirigé des révoltes populaires en Ukraine face à la politique de l'autorité moscovite-bolchévique se brise pourtant contre la puissance de l'armée rouge et des méthodes de répression de masse utilisées. Cet échec constitue une leçon historique. L'État bolchévique, en dépit de sa rhétorique communiste (atteindre l'utopie vivante de la société sans état et sans classes), appliqua les règles strictes du pouvoir moderne, issues de l'expérience révolutionnaire française (notamment en Vendée).

 

Un modèle applicable au monde entier

 

La seule issue aurait peut-être été de réaliser la synthèse entre les deux forces motrices de toute l'histoire : celle qui unit la force de la volonté d'existence identitaire (qui est une force nationale mais non nationaliste) et la construction d'une communauté démocratique et sociale, basée sur les valeurs de justice et d'égalité civique. C'est cette fusion, modifiée par les circonstances locales, qui assura la puissance révolutionnaire dans diverses régions du monde : révolution nassérienne, idéologie de la nation arabe chez le chef de l'État libyen, révolution populaire vietnamienne, sandinisme nicaraguayen, révolution du capitaine Sankara au Burkina-Faso. etc. Mais il eut fallu pour cela que l'anarchie ne fut pas une des nombreuses facettes de l'idéologie dominante moderne, mais l'expression réelle et locale de la volonté d'indépendance d'un peuple. À ce titre, l'auteur reste dans un schéma idéologique bien éloigné de la véritable voie de l'indépendance, qui pourrait tout aussi bien se nommer "anarchie" que trouver une autre étiquette.

 

 

Ange SAMPIERU.

Alexandre SKIRDA, Les Cosaques de la liberté, Jean-Claude Lattès, Paris, 1986, 475 p.

jeudi, 25 février 2010

La république des Maris, dernière nation païenne d'Europe

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES  - 1995

La république des Maris, dernière nation païenne d'Europe

 

Arms_of_Mari_El_svg.pngLa République des Maris est voisine de la République des Tatars. Les Maris sont un peuple d'origine fin­noise, qui se partage en deux groupes distincts: une minorité, les Maris des Montagnes, convertis depuis longtemps au christianisme et, une majorité, les Maris des Prés, qui sont restés païens.

 

Chaque village mari a son “karte” (son prêtre païen). Jusqu'en 1887, on pouvait assister à des prières collectives, avec la participation de tous les kartes et de dizaines de milliers de pélerins. Ensuite, les au­torités tsaristes ont interdits ces rassemblements religieux.

 

Aujourd'hui, les mouvements religieux jouent dans la région de la Volge un rôle plus important qu'en Russie "russe”. Depuis 1991, le paganisme renaît activement chez les Maris. En 1991, ont été déposés les statuts d'une «union religieuse», dénommée «Ochmari Tchimari» («Mari blanc/Mari pur», qui est au­jourd'hui la plus grande association païenne de toute la Fédération de Russie. Le prêtre suprême est un écrivain mari, Iouzykaïne. Les intellectuels maris considèrent que le paganisme est un instrument dans la lutte contre la russification.

 

Les Maris estiment que leur foi ancestrale est la plus pure. Le dieu-créateur suprême, Blank, est un «Grand Dieu» anthropomorphe, tsar de tous les dieux. Leur panthéon compte encore des dizaines d'autres dieux: le dieu de la vie organique, la Terre-Mère, la Mère-Soleil et les esprits de la nature qui habi­tent les bois et les arbres sacrés. Les kartes aspirent à rétablir les fêtes traditionnelles, où l'on sacrifie publiquement de grands nombres d'animaux.

 

Le président de la République des Maris est V. Zotine, un Mari de la Montagne converti au christianisme. L'opposition, elle, est païenne, et se propose de renverser le pouvoir chrétien. La République des Maris pourrait bien devenir un centre d'attraction pour les autres païens de la Fédération de Russie: les Oudmourtes, les Mordves et les Tchouvaches (source: Nezavissimaïa gazeta, 17 mars 1994).

 

La forêt de prières

 

Le 29 septembre 1995 s'est déroulé une grande cérémonie de prière collective des païens maris près du village de Koupriyanovo. Plusieurs milliers de personnes ont participé à cette cérémonie religieuse qui ne se déroule que très rarement: les précédentes ont eu lieu en 1953 et en 1882. Les kartes y sacrifiaient à l'époque des chevaux, des taureaux et des oies. Au XVIième siècle, au temps du Tsar Ivan le Terrible, les Maris ont été vaincus par les Russes et convertis de force au christianisme. Ils sont cependant demeurés fidèles à leur culte. A la différence des païens russes, les Maris n'avaient aucune idole et ne vénéraient que des forêts sacrées (source: Komsomolskaïa Pravda, 3 novembre 1995; l'auteur de cet article, l'écrivain V. Peskov, qualifie le paganisme comme “la plus ancienne et la plus poétique de toutes les reli­gions).

 

Anatoli Mikhaïlovitch IVANOV.

(correspondant de «SYNERGIES EUROPÉENNES» en Russie). 

mercredi, 17 février 2010

Russie: ce qui va changer en 2010!

Russie : ce qui va changer en 2010

Russia Beyond the Headlines publie un article très intéressant intitulé : Ce qui va changer en 2010 !
Miss_Russia_06_Tatiana_Kotova.jpgAu premier janvier 2010 :
* La Russie a entamé la valorisation des retraites, c'est-à-dire la révision du montant des allocations de retraite pour les personnes ayant commencé à travailler avant 2002. Globalement, le montant des retraites augmentera de 10%, plus 1% pour chaque année travaillée jusqu'en 1991. Les personnes handicapées toucheront des pensions de travail qui dépendront de groupes d'invalidité, sans prise en compte de leur capacité ou non à travailler.

* Les familles pourront commencer à utiliser l'argent du « capital maternel », prime distribuée à la naissance du deuxième enfant et des suivants. Il y a tout juste trois ans que le soutien aux familles avec enfants a été mis en place. Actuellement, le montant de ce capital est de 343 400 roubles (environ 8 100 euros).

* Les médicaments vitaux et essentiels, rassemblés sur une liste, verront leurs prix régulés. Ces prix seront dorénavant fixes et les régions devront se conformer aux restrictions concernant les autorisations de majoration de prix.

* Les tarifs des monopoles naturels sont en augmentation en ce début d’année. En effet, le coût de l'électricité a augmenté de 10% pour les particuliers et de 7,6% pour les industries. Les entreprises ont vu le prix de gaz augmenter de 15%, contre 5% pour les particuliers. De plus, le prix du gaz pour les particuliers sera majoré de 15% au premier avril 2010.

* La contribution sociale généralisée a été annulée. A sa place, les employeurs paieront 20% sur les salaires de leurs employés au Fonds de pension, 3,1% à l'Assurance Maladie et 2,9% à la Sécurité sociale. Le taux cumulé de ces cotisations restera dans les limites de la contribution sociale généralisée, soit 26%.

* Une Cour d'assises a été établie en Tchétchénie, la seule région de Russie qui n'en était toujours pas dotée fin 2009. Malgré l'établissement de jurys d'assises sur l'ensemble du territoire national (l'absence de Cour d'assises en Tchétchénie avait constitué l'une des raisons justifiant la mise en place du moratoire sur la peine capitale) et la possibilité formelle de condamner à la peine de mort, la Cour constitutionnelle de Russie a prolongé le moratoire sur la peine capitale.

* Neuf importants producteurs russes de boissons gazeuses, de chips et de confiseries se sont engagés à limiter la publicité pour les produits alimentaires et les boissons à destination des enfants de moins de 12 ans. L'interdiction a été appliquée à la publicité pour les produits alimentaires ne répondant pas aux normes définissant une alimentation saine, établies par le ministère de la Santé et du Développement social, et les normes sur l'alimentation infantile en Russie.

* Les musées, les archives et les bibliothèques nationaux et municipaux seront désormais exonérés de TVA dans les cas d'importation depuis l'étranger de biens culturels, quelle que soit leur nature, autrement dit, les achats et les dons privés de mécènes étrangers ne seront pas sujets à la TVA.

* L'obligation relative au montant minimal du capital des banques, qui s’élève à 90 000 000 de roubles (plus de 2 millions d'euros), a été mise en place. Selon les prévisions de la Banque de Russie, 80% des petites banques devraient conserver leur licence.

* Les licences de construction, de conception de projets et d'études d'ingénierie sont supprimées. L'activité des entreprises de bâtiment et d'ingénierie sera contrôlée par les organismes autorégulés.

* Les modifications portées aux Codes Fiscal, Pénal et Code de Procédure pénale de Russie, ainsi qu'à la loi "Police" sont entrées en vigueur. Dès à présent, une personne jugée pour la première fois pour le non-paiement de ses impôts sera affranchie de responsabilité pénale si elle s'acquitte de la totalité de la somme due, des pénalités de retard et des amendes. De plus, l'auteur présumé d'une fraude fiscale ou l'accusé ne pourra pas être placé en garde à vue.

* Le tarif douanier commun de l'Union douanière Russie-Biélorussie-Kazakhstan est effectif depuis début 2010. Cela a entraîné un changement de taxes douanières pour environ 18% des types de produits. Qui plus est, au premier juillet 2010, on prévoit l'entrée en vigueur du Code des douanes.

* Parmi les nouveautés de 2010, on note également la nouvelle loi permettant aux particuliers et aux entreprises d'accéder librement aux informations relatives aux activités des autorités nationales et locales.

* Le prix minimal d'une bouteille de vodka de 0,5 l s'élève depuis le début de l'année à 89 roubles. La vodka vendue à un prix inférieur est désormais étiquetée comme contrefaçon. Pour les bouteilles de volume différent, le prix minimal est calculé au prorata du volume.

* Le 10 janvier 2010, un nouveau type de peine a été établi en Russie, la liberté limitée. La détention à domicile sur décision du tribunal entend que le condamné n'a pas le droit de changer librement de domicile, de lieu de travail ou d'études, ou par exemple de se rendre dans certains endroits. Cette peine peut s'appliquer pour un délai de deux mois à quatre ans pour les délits mineurs, et de six mois à deux ans pour des délits majeurs (comme peine supplémentaire).

* En outre, le premier février entrera en vigueur la loi sur le commerce. Le gouvernement pourra fixer les prix maximaux pour certains types de produits alimentaires essentiels, pour une période maximale de 90 jours.

* Le premier mars le délai de privatisation gratuite du logement doit prendre fin (la possibilité d'une prolongation de ce délai sera débattue à la Douma) et le 8 mars, l'application de la prime à la casse sera mise en place pour les voitures des constructeurs nationaux et étrangers, âgées de plus de dix ans.

* A partir du 26 juin, tous les paquets de cigarettes et autres produits de tabac porteront l'inscription "Fumer tue", qui occupera au minimum un tiers de la partie frontale du paquet.

* A compter du premier juillet, toutes les décisions de justice seront publiées sur internet.

samedi, 13 février 2010

Raketenstationierung in Polen und Rumänien: USA setzen provokative Einkreisungsstrategie gegenüber Russland fort

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Raketenstationierung in Polen und Rumänien: USA setzen provokative Einkreisungsstrategie gegenüber Russland fort

F. William Engdahl - Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Schon vor einigen Tagen hat Washington bekannt gegeben, dass Polen die amerikanischen »Patriot«-Luftabwehrraketen angeboten werden, jetzt folgt die Ankündigung, dass das Raketenabwehrsystem »zum Schutz Europas« auf Rumänien ausgedehnt wird.

Obwohl Präsident Obama im September 2009 erklärt hatte, auf die geplante Stationierung moderner US-Raketen- und Radarsysteme in NATO-Ländern wie Polen und der Tschechischen Republik zu verzichten – eine Entscheidung, die allgemein als Schritt zur Reduzierung der Spannungen zwischen den USA und Russland betrachtet wurde –, zeigt sich  jetzt, dass Washington lediglich den Ort der Stationierung und den Typ der Luftabwehrraketen verändert hat. Die Strategie der Einkreisung Russlands, für Moskau eine große militärische Herausforderung, wird also beibehalten. Die Gefahr einer weltweiten atomaren Katastrophe durch Fehlkalkulation bleibt unvermindert oder nimmt sogar noch zu.

Der rumänische Präsident Traian Basescu hat die Zustimmung seines Landes zu dem amerikanischen Plan der USA, im Rahmen des Raketenschutzschildes für Europa Abfangraketen auf rumänischem Territorium zu stationieren, bekannt gegeben. In der entsprechenden Ankündigung der USA hieß es, die Anlagen sollten 2015 einsatzbereit sein und dienten der Verteidigung gegen eine »aktuelle und künftige Bedrohung durch iranische Raketen«. Anstatt also die Pläne, die sich in Wirklichkeit ausschließlich gegen das noch verbliebene Nukleararsenal Russlands richten und nicht gegen eine mögliche Bedrohung Europas durch den Iran, tatsächlich aufzugeben, hat die Regierung Obama zu psychologischer Taktik gegriffen und das Offensivsystem einfach nur neu verpackt. Jetzt ist ein flexibleres System aus einer Kombination von luft- und seegestützten Abfangraketen geplant, die im Laufe der kommenden vier Jahre in Zentraleuropa stationiert werden sollen.

Die jüngste Ankündigung Rumäniens widerspricht Obamas Versicherung, er suche den Dialog mit Moskau, um gemeinsam und mit Beteiligung der Staaten der Europäischen Union die tatsächliche Bedrohungslage für beide Seiten zu untersuchen.

Dass die Bedrohung Moskau gegenüber wächst, wird auch dadurch bestätigt, dass die polnische Regierung in Warschau jetzt bekannt gegeben hat, dass die amerikanischen Patriot-Raketen im Norden des Landes, nur etwa 100 Kilometer von der Grenze zur russischen Enklave Kaliningrad entfernt, und nicht in Warschau stationiert werden sollen.

Wie der polnische Verteidigungsminister Bogdan Klich versichert, hat die Entscheidung, in Morag, das der russischen Grenze weit näher liegt als Warschau, eine Basis für die Patriot-Raketen zu errichten, keine strategischen Gründe. »In Morag konnten wir den amerikanischen Soldaten die besten Bedingungen und die optimalen technische Basis für die Ausrüstung bieten«, so Klich. Seine Erklärung klingt jedoch wenig überzeugend. Der polnische Außenminister und frühere Verteidigungsminister Radek Sikorski, der die provokative US-Raketenstrategie rückhaltlos unterstützt, gehört zum engen Kreis der neokonservativen Clique um Bush und Cheney. Sikorski war führendes Mitglied der Washingtoner Neo-Con-»Denkfabrik« namens American Enterprise Institute und Direktor der New Atlantic Initiative, die die Einkreisung Russlands unterstützt und dafür plädiert hat, so viele ehemalige Mitgliedsstaaten des Warschauer Pakts wie möglich in die NATO aufzunehmen.

Die Patriot-Einheit in Polen wird aus etwa 100 US-Soldaten bestehen; bis zu acht Raketensysteme sollen stationiert werden. Die ersten US-Soldaten werden Ende März in Polen erwartet. Das Patriot-Flugabwehrraketensystem (MIM-104) kann gegen taktische ballistische Raketen, Marschflugkörper und Flugzeuge eingesetzt werden.

 

Atomarer Erstschlag und Raketenabwehr

Die Stationierung des US-Raketenabwehrsystems birgt das größte Destabilisierungpotenzial, nicht nur für die Beziehungen zwischen den USA und Russland, sondern auch für die Frage Frieden und Atomkrieg durch Fehlkalkulation.

Sollte es den USA gelingen, nur wenige Flugminuten von den russischen Raketensilos entfernt einen noch so primitiven Raketenschirm zu stationieren, während Russland nicht über ein entsprechendes Abwehrsystem verfügt, dann erhielte das Pentagon damit zum ersten Mal seit Anfang der 1950er-Jahre das – im Jargon der Militärstrategen – »nukleare Primat«, nämlich die Fähigkeit zu einem erfolgreichen Erstschlag. Bevor eine solche Drohung jedoch Wirklichkeit wird, steht die andere Seite, also Russland, unter dem enormen Druck, rechtzeitig zum Präventivschlag auszuholen. Für US-Militärexperten wie den ehemaligen Direktor des US-Raketenverteidigungsprogramms, Lt. Colonel Robert Bowman, stellt die Raketenabwehr das »fehlende Verbindungsglied [missing link] zu einem Erstschlag« dar. Kein Wunder, dass die amerikanisch-russischen Beziehungen ziemlich frostig wurden, als Washington Anfang 2007 die entsprechenden Pläne bekannt gab.

 

Dienstag, 09.02.2010

Kategorie: Geostrategie, Politik, Terrorismus

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samedi, 06 février 2010

Colaboracion energetica ruso-venezolana

Colaboración energética ruso-venezolana

El líder venezolano dio instrucciones a su gobierno de acelerar la realización del proyecto sobre la construcción por las compañías rusas del complejo de centrales termoeléctricas que funcionan a base de coque de petróleo. El ministro de Energía y Petróleo de Venezuela Rafael Ramírez llegará pronto a Moscú y discutirá este problema con sus colegas rusos.

De momento, Moscú y Caracas realizan las tesis del memorando sobre la colaboración en la esfera energética firmado en 2008 por los Presidentes de los dos países, Dimitri Medvedev y Hugo Chávez respectivamente. Según los compromisos contraídos entonces, Rusia presta ayuda a Venezuela en la construcción de una central atómica, en la formación del personal, los dos países explotan juntos los yacimientos de uranio. En la etapa final está el proceso de fundación del banco conjunto ruso-venezolano que va a financiar proyectos comerciales y económicos bilaterales, incluso en la esfera petrogasífera.


Guennadi Shmal, presidente de la Unión de Productores de Petróleo de Rusia, comenta las perspectivas de la colaboración energética de Rusia con Venezuela y con otros países de América Latina:

Últimamente, Rusia establece relaciones cercanas con Venezuela y América Latina en general. Y eso a pesar de que allí existen ciertas dificultades, por ejemplo las legislativas. Como ejemplo, en algunos países no se permite la participación de compañías extranjeras en las industrias petrolera y gasífera. En este caso Venezuela es una excepción agradable, por eso muchas empresas rusas, entre ellas Lukoil y Gazprom, colaboran activamente con las venezolanas. Creo que en adelante nuestra cooperación vaya ampliándose. Venezuela, importante productor de petróleo pesado, al igual que otros Estados de la citada región, necesita nuevas tecnologías. El intercambio de experiencia y tecnologías puede ser objeto de nuestra colaboración.

Actualmente, Moscú considera a América Latina como una de las principales regiones políticas y económicas. Según estimaciones de expertos, en los próximos 10-15 años el producto interno bruto de Venezuela, Argentina, Brasil y México va a crecer en vez y media más rápido comparando con el resto del mundo. El aumento de la exportación y de la demanda interna de recursos energéticos abre perspectivas para ampliar notablemente la cooperación ruso-latinoamericana en el campo de la seguridad energética global.

Extraído de La Voz de Rusia.

~ por LaBanderaNegra en Febrero 1, 2010.

lundi, 25 janvier 2010

The Ataman and the Bloody Baron - About Russian warlords and their Assyrian connection

The Ataman and the Bloody Baron

About Russian warlords and their Assyrian connection

Ex: http://shlama.be/

August 1921 somewhere on the Russian-Mongolian border. A lonely warrior on horseback wanders through the endless steppe. He has lost most of his uniform and Mongolian talismans are swaying on his naked chest. It is the last ride of Ungern-Sternberg, the Mad Baron. His Mongolian soldiers will soon seize him and hand him over to the Red cavalry in pursuit of the small army that Ungern has lead from Mongolia into Soviet territory. And so the legend grows – the exploits of Baron Roman von Ungern-Sternberg, the most notorious partner in crime of the Cossack warlord Grigori Semenov in the Siberian Far East during the Russian Civil War.
 
Assyrians and Cossacks
 
In the autumn of 1914 Great-Britain, France and Russia have declared war on Turkey. In the spring of 1915 the Turkish government orders the mass deportation of the Armenians on its territory. The whole Armenian population is driven out of its homeland in eastern Anatolia and an awful number of Armenians is exterminated by Turkish zaptieh and Kurdish bands, while the survivors of these forced marches are left to their fate, without food or shelter in the Syrian desert. 

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Mar Shimun's homeland - Hakkari Mountains
In the summer of 1915 the Assyrian tribes in the Hakkari mountains in SE Turkey come under the sword of Islamic Jihad. Mar Shimun, the patriarch of the Assyrian mountaineers, presides at a general meeting of the Assyrian chieftains. They decide to throw in their lot with the Allied nations against Turkey. Turkish troops and Kurdish irregulars invade the Assyrian homeland. The Assyrians retreat to the high mountains, where they make their last stand. Mar Shimun crosses the passes with a small party and reaches Persian territory that has been occupied by the Russian army. He tries to get support from the Russians and returns to his besieged people in Hakkari.
   The Russians send a small expeditionary force of 400 Cossacks to the Hakkari Mountains. The Cossacks advance towards Oramar, the stronghold of the Kurdish chieftain Soto. Agha Soto is a fierce enemy of the Assyrian mountaineers. He sacks their villages, steals their flocks, he abducts their women and murders the male villagers. The Russian Cossacks are unaware of this. Blinded by Soto’s oriental hospitality, they accept his guides to lead them through the mountain passes. In a deep gorge the Cossacks are ambushed. Soto’s clansmen and other Kurds attack them from all sides and they are slaughtered to the last man. The 18 Cossacks who have stayed behind in Soto’s home as his honoured guests are massacred as well. So much for this Russian attempt to relieve the Assyrians of Hakkari in the summer of 1915.
   The Assyrian mountaineers can only rely on themselves. They break through the enemy lines, they suffer heavy losses when they flee from Hakkari, but the greater part of them survives and most of them become refugees in the Russian occupied northwestern part of Persia. In this region west of Lake Urmia they are among other Christians, Assyrians of the plain, who have been living there for many centuries.
 
Massacre at Gulpashan 
 
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Lake Urmia in northwestern Persia
Even before the arrival of the Assyrians from Hakkari the Assyrian inhabitants of the Urmia plain have endured terrible persecutions from their Muslim neighbours. During the first days of 1915 the Russian armed forces in control of the area suddenly retreat, leaving the Assyrian minority to its fate. Turkish troops occupy Urmia. Thousands of panic-stricken Assyrians of the Urmia region leave their homes and follow the trail of the Russian army, heading north towards the Caucasus. It is a horrendous exodus in midwinter, the weaker ones perish along the way. Those who have stayed behind hope to be spared in their villages or take refuge in the compounds of the British Anglican and the American Presbyterian Missions in Urmia town.  

Gulpashan is one of the most important and prosperous Assyrian villages in the Urmia plain. Paul Shimmon, an Assyrian who has returned to his homeland after his studies in the USA, describes what has happened in Gulpashan. The sister village of Gogtapa has already been plundered and burnt by Muslim mobs, while Gulpashan is at first left in peace. Shimmon mentions that this is probably due to the fact that one of the Assyrian village masters is related to the German consular agent in Urmia. The latter has sent his servant to Gulpashan and Turkish soldiers guard the place.

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Gogtapa - Assyrian graveyard
End February 1915 a band of fanatic Persian Muslims invades the village. They pretend to have come in peace, but then they seize the Assyrian men of Gulpashan, tie them up and drag them to the cemetery. The victims are barbarously butchered and finally the bloodthirsty intruders turn to the village women. After the massacre at Gulpashan American missionaries come from Urmia town to the village to bury the dead. Shimmon concludes: ‘The awful deeds that were perpetrated here were telegraphed to America, whereupon such strong representations were made by the United States Government that an order was given for their cessation.’ Although the Russian army pushes back the Turkish enemy and reoccupies the Urmia region in the early spring of 1915, later events will prove that Shimmon has been too optimistic. 
   In January 1916 Patriarch Mar Shimun, acting as the leader of the united Assyrians, visits the headquarters of the Russian Caucasian Army in Tiflis (Tbilisi), the capital of Georgia. He is received there with great honour by Grand Duke Nicholas, the Tsar’s uncle and the commander in chief of the Russian Caucasian Army. The result of the meeting is that the Russians agree to supply the Assyrians with weapons and ammunition. After Mar Shimun’s return the Russian consul Nikitin, stationed in Urmia, publicly reads the telegram in which Tsar Nicholas II expresses his gratitude towards the Assyrian Patriarch ‘for the help he has rendered in the war and for his willingness to co-operate with us.’
   Soldiers are recruited among Mar Shimun’s mountaineers, they are trained by Russian officers and in the autumn of 1916 two Assyrian battalions are ready for  battle. Russian protection however won’t last much longer. The Tsarist Empire is about to collapse in the turmoil of the revolution of 1917.
 
Enter Semenov and Ungern
 
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Grigori Semenov
Grigori Semenov is a Russian officer of mixed blood. His father was a Siberian Cossack, his mother belonged to the Buryat people living on the steppe east of Lake Baikal, and this distant Transbaikal area is Grigori Semenov’s homeland. When the Fist World War rages at its peak, he serves on the Galician Front that runs through western Ukraine and he distinguishes himself in battle against the Austrian-German enemy. From that period dates his long lasting friendship with a colleague officer, Baron Roman von Ungern-Sternberg.
   The latter has his roots in Baltic Estonia. He is the descendant of German crusaders, the warlike Teutonic Knights, and later on his family builds up a tradition in military service of the Russian Tsarist Empire. His superior, General Wrangel, writes about Ungern in his memoirs: ‘War was his natural element... When he was promoted to a civilised environment, his lack of outward refinement made him suspicious.’
   Semenov and Ungern are reactionary officers, devoted to Russian imperial autocracy and fanatically opposed to all kinds of democratic changes. In other words: the Tsar rules; without his supreme authority chaos is inevitable and Russia will fall apart. It is needless to say that the Russian Revolution of 1917 causes the final and fatal breaking-point in their careers.  
   Towards the end of 1916 Semenov and Ungern request to be posted on the Persian Front. The transfer is granted and in January 1917 they are stationed together in the Urmia region. Semenov joins the Transbaikal Cossacks, the fierce warriors of his Siberian homeland who already serve in that Russian occupied part of Persia, and he becomes the commander of a sotnia or cavalry squadron of the Third Verchne-Udinsk Regiment. That unit has its cantonment ‘in a village close to the shore of Lake Urmia’,  as Semenov puts it. It is Gulpashan, the Assyrian village where about a year before his arrival Persian Muslims have slaughtered a lot of Christian villagers. Bloodshed and massacre – Semenov and Ungern are surrounded by their natural elements. 

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Roman von Ungern-Sternberg
The February Revolution breaks out in Petrograd (Saint Petersburg) and the last Russian emperor, Tsar Nicholas II, abdicates. The Provisional Revolutionary Government issues Army Order 1, which orders the formation of elected soldiers committees. The garrison of Transbaikal Cossacks at Gulpashan elects Semenov as their representative and he leaves for Urmia town where the committee of the Russian Caucasian Army Corps meets. One of the representatives proposes to increase the soldiers’ pay at the expense of the officers’ salary. Such stupid nonsense, Semenov sneers, the revolt of the unleashed rank and file. It gets even worse when Semenov notices that the commander of the Russian army corps in Urmia takes an active part in the public celebration of the revolution.

Semenov and Ungern decide to counter the events with drastic counterrevolutionary action. April 1917 permission is obtained from the local Russian army staff to start recruiting new volunteers among the Assyrians in the Urmia region. They will be trained under the personal command of ‘the exceptionally brave officer Baron RF Ungern-Sternberg’, as Semenov characterizes his companion. 
   The Assyrian volunteers, mainly tribal warriors from the Hakkari mountains, know how to fight, but due to the revolutionary upheaval among the Russian soldiers the efforts of the Assyrian fighters fail to restore military discipline. The Russians are fed up with the war. Domoj! they shout, they want to go home.
 
Guerrilla and Exodus
 
The Russian writer Viktor Shklovsky, who serves in Persia after the February Revolution of 1917, notices that a guerrilla band under the command of the Assyrian general Agha Petros raids the country. Shklovsky writes: ‘The exiled Assyrian mountaineers starved, plundered and aroused the burning hatred of the Persians. They visited the bazaars dressed in small felt caps, multicolored vests and wide pants made from scraps of calico and tied above the ankles with ropes. The Christian religion, which bound the Assyrians together, had long since grown slack and subsisted only as another means of differentiating them from the Muslims.’
   Apparently with the support of Semenov Ungern has trained a tough Assyrian militia, fit for guerrilla fighting and eager to annihilate the enemy. No mercy, raid and kill – it is the kind of warfare Semenov and Ungern will put into practice during the civil war in eastern Siberia. Is it far-fetched to presume that the uncompromising behaviour of the Assyrian warriors has inspired them to some extent?   
  
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Chal castle - Soto's stronghold
Well trained and highly motivated by feelings of revenge, Assyrian militias under the command of Mar Shimun’s brother David and General Agha Petros cross the Persian-Turkish border in the summer of 1917 and march against the Kurdish chieftain Soto at Oramar. Among the Russian Cossack officers who accompany this punitive expedition are neither Semenov nor Ungern. In those days they have already left the Urmia region.
   The Assyrian expeditionary force engages in heavy fighting against the Oramar Kurds. Assyrian warriors conquer and sack Oramar. Soto has fled and the Assyrians hunt him down in his last mountain stronghold at Chal. In a dashing attack they storm the castle and break through its main gate. The Kurdish defenders are slain, others are taken captive and the fortress is burnt to the ground. Soto himself has escaped once more, but the Assyrians have ravaged his territory and back in Urmia they get their reward – Russian military medals for bravery under fire. Viktor Shklovsky cynically  points out the other support the Assyrian fighters have got from their Russian allies: ‘We gave them nothing but rifles and cartridges, and even the weapons supplied were mediocre French three-shot Lebel rifles.’

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Urmia today - Central Square
What follows is sad history. In Russia the Bolsheviks have seized power after the October Revolution of 1917 and in January 1918 the Russians hastily retreat from Urmia. Once again the Assyrians are abandoned and left at the mercy of their enemies. Patriarch Mar Shimun is murdered close to Salmas, during negotiations with the treacherous Kurdish chieftain Simko. Assyrian militias crush a rebellion of Persian bands in Urmia and occupy the town, while Turkish troops are closing in on them. Harsh fighting devastates the region. Agha Petros holds out with his mounted fighters at first, but in plain summer Turkish armed forces break through and invade Urmia.
   The Assyrians have just one option left – a general exodus. The whole Assyrian nation, men, women and children, flee in a desperate attempt to reach the advance guard of a British expeditionary force that is approaching from the south. After the Russian retreat the British have promised to support the Assyrians, but promises is once more the only thing the Assyrians get. They are constantly under attack, there is no food, no shelter, and thousands of Assyrians perish during that awful march of a whole month through the Kurdish mountains of Persia. Those who make it are assembled by the British and taken to a refugee camp north of Baghdad. That summer of 1918 marks the end of the Assyrian nation in the Urmia region. It is also a turning point in the life of Semenov and Ungern, but for them it means the start of their most notorious exploits.
 
Siberian Warlords
 
End 1917 Semenov and Ungern prepare their next move in Manchuli, a gloomy garrison town in eastern Siberia at the Russian-Chinese border. According to them Russia will perish without the Tsar, whose autocratic regime must be restored at all costs. Semenov has been in Petrograd in the summer of 1917, a few months before the Bolshevik October Revolution. He has seen the Petrograd Soviet in action and he is absolutely convinced that the Soviet is dominated by deserters and German agents like Lenin and Trotsky. It is time to stop them.
   The first weeks of 1918 Semenov and Ungern advance from their Manchurian base in northern China with a small force of Buryat cavalry and Russian officers. They engage in guerrilla fighting against the Red Guards along the Trans-Siberian Railroad.  Semenov’s men are pushed back, but in the summer of 1918 anti-Soviet rebellions break out in Siberia. The Bolsheviks are obliged to loosen their grip and Semenov’s Special Manchurian Detachment dashes again into Siberian Russia. He conquers the major railroad centre Chita and makes this town the capital of his territory.
   Civil war with Reds fighting against Whites tears the Russian Empire apart. The former tsarist admiral Kolchak is in full control of the White Siberian government established in Omsk, west of Lake Baikal. The Siberian Far East is set ablaze. Japan has sent a contingent of troops, while an American expeditionary force is about to disembark in Vladivostok. In Transbaikalia, east of Lake Baikal, Semenov pulls the strings with money and weapons he gets from the Japanese. He is promoted ataman, supreme leader, of the Transbaikal Cossacks and that period in Transbaikalia is called the Atamansjtsjina, which means the Ataman’s Reign of Terror. His armoured trains terrorize the area and other trains get the even worse reputation of death trains. They transport Bolshevik prisoners of war to their doom. The Red captives are executed along the way or starved to death and when such a train stops at last on a side track near a station the stench of the corpses in the closed wagons is almost unbearable.

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Ataman Semenov in Soviet jail
Ataman Semonov drinks champagne by the bottle and enjoys the company of a whole bunch of mistresses. Then the Bolsheviks strike back. The Red Army has already defeated Kolchak’s White troops and the next offensive is directed against Semenov’s Transbaikalia. End 1920 the Reds march into Chita. Semenov escapes and flees to Vladivostok. He crosses the Pacific and seeks asylum in the United States. His request is rejected, he is called a criminal of war in the American press and he will have to stand trial. Semenov leaves the States and goes to Japan.
   Finally he settles down in Chinese Manchuria, a puppet state of Japan after 1930, and there he keeps agitating against Soviet Russia as the leader of the White Cossacks. At the end of the Second World War the Soviets invade Manchuria.  Semenov is arrested, put to trial and sentenced to death by a Soviet court. End of August 1946 he is hanged in a basement. The Bolshevik hangmen prolong his agony and shout at him Repent, reptile! And that is how die-hard Cossack warlord Grigori Semenov meets his end.
 
Back to 1920. Semenov still rules in Transbaikal Siberia when Ungern claims his own dominion at the Manchurian border. Russian refugees heading on trains for China are robbed and thank their good fortune if they get through alive. Ungern is equally ruthless towards his own men, a bunch of wild and often sadistic warriors.  Drunkenness and attempts to desert are severely punished. Flogging to death is one of Ungern’s methods. ‘Did you know’, he once said, ‘that men can still walk when their flesh is separated from their bones?’
   In the autumn of 1920, when Semenov is about to leave Transbaikia, Ungern starts his most stunning campaign. He invades Mongolia with a cavalry division of Mongolians, Cossacks and Tibetans, altogether some five thousand troops. The Tibetans have been sent to him by the Thirteenth Dalai Lama, who hopes that Ungern’s army will free Mongolia and Tibet from the Chinese. The first attack of the invaders is driven off, but in February 1921 Ungern’s men storm the Mongolian capital Urga (Ulan-Bator), they massacre the Chinese garrison and sack the city.
   Ancient times of terror and bloodshed revive in Urga during Ungern’s rule. He adopts the features of a militant Buddhist, as appears from his new colourful outfit. In the eyes of his Mongolian followers he is the God of War, the incarnation of Genghis Khan, and he reveals his ultimate plan – restoring the Great Mongolian Empire through fire and sword. He will advance against Soviet Russia and, as he puts it, create a lane of gallows with the corpses of Bolsheviks and Jews.

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Ungern in Mongolia
In the early summer of 1921 Ungern leads his force into Soviet territory. The invaders are crushed by Red Army troops and what is left of Ungern’s ragged mob is scattered in a desperate retreat. Surrender is not an option for the Mad Baron, he urges his men to follow him and strike back from the last stronghold – Tibet. Even extreme madness has its limits, though. The White Russians in his army camp revolt and fire their guns at him. Ungern jumps on his white horse and disappears into the night, looking for his faithful Mongolian outriders. Precisely these men will hand him over to the Red cavalry in pursuit of the invaders.
   In September 1921 he stands trial in a Soviet court in Novosibirsk. When asked by the Bolshevik prosecutor, a Siberian Jew, if he often beat people to death, Ungern answers: I did, but not enough! He is put before a Red firing squad and executed. Legend has it that Baron von Ungern-Sternberg even in better times more than once declared: Ich war ungern von Sternberg. In English: I have always hated being me.
 
Semenov and Ungern – after the Great War Siberian warlords of the worst kind and in the spring of 1917 Russian Cossack officers training Assyrian militias in the Persian Urmia region. The Russian writer Viktor Shklovsky liked the Assyrians, he called them a fantastic people. This may be true, but they have all too often picked the wrong allies. Or maybe these dubious allies picked them. Wrong place, wrong moment and wrong alliances – it seems to be the fate of the small Assyrian nation in history. 
 
Sources: Viktor Shklovsky, Sentimental Journey (Berlin, 1923); James Palmer, The Bloody White Baron (London, 2008); Jamie Bisher, Cossack Warlords of the Trans-Siberian (New York, 2005); Ataman Semenov, O sebe (Moscow, 2002).                                   Text - A. Thiry    

mardi, 19 janvier 2010

Gamelin chargé d'envahir le Caucase

Gamelin.jpg19 janvier 1940: Il est un plan concocté par les Franco-Britanniques en 1940 que l’on oublie généralement de mentionner dans les histoires de la seconde guerre mondiale: celui que Daladier a demandé à Gamelin de mettre au point pour attaquer l’URSS, alors alliée à l’Allemagne dans le cadre du pacte germano-soviétique ou pacte Molotov/Ribbentrop, dans le Caucase, afin de s’emparer des puits de pétrole d’Azerbaïdjan et des oléoducs qui acheminent le brut dans les républiques soviétiques au Sud de la chaîne caucasienne. C’est le 19 janvier 1940 que Daladier convie Gamelin à s’atteler à cette tâche, qui n’aura pas de lendemain mais qui préfigure tout de même toute l’affaire géorgienne d’août 2008. La France, n’ayant été rien d’autre que la réserve continentale de chair à canon pour l’empire britannique, a donc été conviée à lancer une opération destinée à réaliser un vieux voeu de l’impérialisme anglais, conçu avant la première guerre mondiale, mais mis sous le boisseau car Londres avait besoin de la chair à canon russe pour éliminer l’Allemagne, non pas tant celle de Guillaume II, mais celle, plus cohérente, de l’Amiral von Tirpitz, qui entend épauler le développement industriel et commercial allemand dans le monde entier et en Amérique latine en particulier, par une flotte aguerrie, capable de se mesurer aux autres flottes de guerre de la planète. Avant de donner l’ordre à Gamelin de travailler à un plan d’invasion du Caucase méridional, le gouvernement français avait décidé le 8 janvier 1940 de créer une armée d’Orient en Syrie, sous les ordre du Général Weygand, celui-là même qui avait aidé les Polonais à refouler les Soviétiques au-delà de la Ligne Curzon, autre démarcation inventée dans les bureaux londoniens pour élargir au maximum l’espace entre l’Allemagne et la nouvelle URSS, prêtes à s’allier sous la double impulsion de Rathenau et de Tchitchérine qui s’étaient rencontrés à Rapallo en 1922. Il est évident qu’une occupation des champs pétrolifères caucasiens aurait privé également la Wehrmacht allemande de son carburant.

 

J. Parvulesco: les missions européennes et grandes-continentales de la Russie

dugin_parvulesco.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1994

Les missions européennes et grandes-continentales de la Russie

 

Jean PARVULESCO

 

Karl Haushofer

Subha Chandra Bose

in memoriam

 

L'axe franco-allemand est une

Révolution Mondiale

 

Dans les milieux géopolitiques du gaullisme, j'entends à l'intérieur de ses fort confidentiels groupes géopolitiques, dont l'action, quoi qu'on en dise, continue dans l'ombre, on est plus que jamais convaincu de la nécessité vitale, ontologique, d'une grande politique continentale franco-allemande.

 

Car, tout en se tenant très en retrait par rapport aux engagements que le mouvement gaulliste officiel a contracté, actuellement, en France, à travers l'expérience gouvernementale poursuivie par Edouard Balladur et Charles Pasqua, les groupes géopolitiques n'en surveillent pas moins attentivement l'évolution de plus en plus inquiètante de la situation politique générale en Europe.

 

Or, pour le gaullisme de la fin, pour le gaullisme en voie d'accomplissement final, qui seul est nôtre, plus la politique européenne se trouve en difficulté, par rapport à elle-même aussi bien que sur ses fronts d'affirmation extérieure, planétaire, plus il faut que le rapprochement franco-allemand s'intensifie, et qu'à la limite il finisse même par se résoudre en une intégration fédérale décisive, allant jusqu'à l'identification totale. Une identification finale destinée à changer, comme par réverbération sismique, de l'intérieur et irréversiblement, l'ensemble de la situation politique continentale.

 

Le gaullisme, le plus grand gaullisme, a été, est, quoi qu'on en dise et fasse de contraire, et va devoir se poser visionnairement jusqu'à la fin, comme un concept géopolitique axé sur l'intégration de l'ensemble du continent eurasiatique à partir du noyau révolutionnaire central franco-allemand. Pour le Général de Gaulle, la mise en chantier immédiate d'une communauté de destin franco-allemande était, à la fois en termes de devenir et en termes d'achèvement final, une Révolution Mondiale. Cette conscience unitaire fondationnelle, cette intelligence gaulliste supérieure, agonique, du problème franco-allemand trouve ses origines dans les années tragiques, embrasées et chaotiques de la fin de la dernière guerre civile européenne, dans l'hiver fatidique de 1944.

 

Rappelons donc que, dans ses Mémoires,  le Général de Gaulle cite, sans aucun commentaire mais exhaustivement la lettre personnelle qui lui était parvenue, en 1945, par des voies spéciales, de la part de Heinrich Himmler, alors que celui-ci était déjà en train d'être happé par les ténèbres. Lettre dans laquelle Heinrich Himmler adressait un appel prophétique à la constitution d'une future communauté franco-allemande de destin, dont il invitait fortement le Général de Gaulle à en prendre la responsabilité politique immédiate et active. «En vérité le seul chemin qui puisse mener votre peuple à la grandeur et à l'indépendance, c'est celui de l'entente avec l'Allemagne vaincue. Proclamez-le tout de suite! Entrez en rapport, sans délai, avec les hommes qui, dans le Reich, disposent encore d'un pouvoir de fait et veulent conduire leur pays dans une direction nouvelle. Ils y sont prêts. Si vous dominez l'esprit de la vengeance, si vous saisissez l'occasion que l'histoire vous offre aujourd'hui, vous serez le plus grand homme de tous les temps», se permettait encore d'écrire Heinrich Himmler.

 

Or, dès 1945, le tout premier souci, le souci fondamental du Général de Gaulle avait été celui de distinguer, et ensuite de mobiliser, au sein de l'Allemagne dévastée, politiquement et socialement anéantie, les ressources de vie non encore entamées, la “part ultime”, mystérieusement préservée envers et contre tout, afin qu'un autre commencement de l'histoire puisse y trouver ses assises, l'ouverture immédiate de l'ensemble de ses développe­ments à venir, une ouverture-là, d'ailleurs comme prévue d'avance. Ce que le Général de Gaulle allait alors demander  —déjà—  à l'Allemagne, c'était, disait-il, de rebâtir, avec la France, «notre Europe et notre Occident».

 

En parlant de ce dramatique tournant de la nouvelle histoire européenne naissante  —renaissante de ses propres cendres—  le Général de Gaulle notait, alors, dans ses Mémoires:  «Fribourg, en Forêt Noire, groupe pour recevoir de Gaulle tout ce qui est représentatif des régions occupées par nous sur la rive droite du Rhin. Le 4 octobre, le Dr Wohleb me présente les personnalités de Bade. Le 5 dans la matinée, M. Carlo Schmitt introduit celles du Wurtemberg. L'archevêque de Fribourg, Mgr Groeber, ainsi que Mgr Fisher du diocèse de Rotthausen, sont parmi les visiteurs. Puis, ces hommes de qualité, frémissants de bonne volonté, se réunissent afin de m'entendre évoquer «les liens qui, jadis, rapprochaient les Français et les Allemands du Sud et qui doivent, maintenant, réapparaître, pour servir à bâtir notre Europe et notre Occident».

 

Au sujet aussi de cette volonté visionnaire du Général de Gaulle, soucieux de recommencer, à peine la guerre finie, l'histoire occidentale interrompue, de bâtir, en avant, la plus grande histoire européenne à venir en la fondant sur l'axe ontologique franco-allemand, Dominique de Roux écrivait, lui, dans son livre révolutionnaire sur le Général de Gaulle, ces lignes qui resteront, définitivement: «C'est dans ce sens-là qu'il faudrait assurément comprendre l'affirmation du Général de Gaulle, parlant du rapprochement franco-allemand, quand il disait en juin 1963, dans les Charentes, qu'après d'immenses malheurs, ayant conclu entre elles la paix et s'étant unies pour un destin commun, l'Allemagne et la France ont accompli, ensemble, une Révolution Mondiale».

 

Heureux les Pacifiques

 

Cependant, il n'en reste pas moins évident que l'Axe Franco-Allemand ne saura avoir aucune réalité politique et historique directe et active s'il n'était pas soutenu par son dédoublement géopolitique à l'Est, par ce que, en 1994, le ministre des Affaires Etrangères de Moscou, Andreï Kozyrev, n'hésite pas à appeler, lui, l'Axe Germano-Russe.

 

On voit comment le destin suprahistorique de la communauté politique grand-continentale eurasiatique des années à venir s'identifie révolutionnairement avec le destin politique actuel de l'axe grand-européen Paris-Berlin-Moscou, raison d'être déjà en action, fondement de la plus Grande Europe dans laquelle notre génération est appelée à rencontrer son destin et l'épreuve décisive de celui-ci, son épreuve suprême. Car, à présent, «tout rentre à nouveau dans la zone de l'attention suprême».

 

Ainsi devient-il plus qu'urgent, ainsi devient-il vital que l'on se souvienne, aujourd'hui, du fait que la thèse grand-continentale de l'axe Paris-Berlin-Moscou à l'heure présente, répétons-le, thèse contre-stratégique fondamentale des groupes géopolitiques agissant à l'intérieur de la mouvance gaulliste en place  —apparaît comme étant d'une origine bien plus lointaine que celle des premières tentatives de la projeter, de la faire s'incarner directement dans le cours de la grande histoire qu'avait entreprises, d'une manière plus ou moins souterraine, dans les années 1960, le Général de Gaulle alors au pouvoir à Paris en tant que Président de la République, et qui n'avaient à ce moment-là échoué que du seul fait de la très suspecte  —de la plus que suspecte—  incompréhension du gouvernement de Bonn.

 

La thèse de l'axe grand-continental Paris-Berlin-Moscou n'était en effet pas, à l'origine, comme on serait tenté de le croire aujourd'hui, de gènèse exclusivement gaulliste, mais provenait de certains aménagements idéologico-doctrinaux français apportés, pendant les dernières années de la guerre, à Paris, au corps des positions géopolitiques de pointe soutenues, armées doctrinalement, par la vision du Kontinentalblock  de Karl Haushofer, du Bloc Continental. Il s'agissait alors des travaux d'aménagement doctrinal ayant pris naissance au sein de certains groupements secrets d'influence et de pénétration qui agissaient, à Paris, sous la responsabilité de Georges Soulès  —mieux connu, plus tard, sous l'identité du romancier Raymond Abellio—  à l'intérieur, et depuis l'intérieur des hautes sphères dirigeantes du Mouvement Social Révolutionnaire (MSR), tout en se tenant en étroite relation  —non sans le soutien, dans l'ombre, de certains services politiques supérieurs allemands—  avec une certaine fraction de la résistance politico-militaire gaulliste sous les ordres, dans la clandestinité, du futur Général de Bénouville.

 

Dans son premier roman, Heureux les Pacifiques,  paru à Paris en 1950, Raymond Abellio soulève un coin du voile en faisant parler un de ses personnages  —un de ses doubles— du fait, jusqu'alors tenu pour secret, qu'il y eût «des socialistes partout», des socialistes nationaux-révolutionnaires, dans tous les camps en confrontation dans ces années-là, et jusqu'au paroxysme même des dernières années de la guerre, après 1942, car il y a aussi  —il y eut, et il s'y verra de plus en plus à l'œuvre, dans l'avenir—  une internationale souterraine, clandestine, du socialisme révolutionnaire national et impérial, un socialisme grand-continental, «eurasiatique». Raymond Abellio: «Il y a, dit-il, des socialistes partout: ils voudraient voir se créer un bloc franco-germano-russe, un axe Paris-Berlin-Moscou qui dégagerait l'Occident de la tutelle et des contradictions de l'économie anglosaxonne».

 

Pour ceux qui savent, les forces premières ontologiquement présentes dans l'histoire en marche resteront, toujours, les mêmes, absolument inchangées. Hier comme aujourd'hui, il n'y a eu, il n'y a qu'un seul ennemi de ce qui sans fin revient à l'attaque pour imposer l'ordre cosmique de sa propre identité polaire des origines, l'Imperium  hors d'atteinte de ceux qui, «venus des étoiles» par la Jonction de Vénus, avaient établi, sur la terre, la première station hyperboréenne des hauts-commencements, et contrôlé toutes les stations de transmigration ultérieures et leurs descentes ontologiques successives et de plus en plus éloignées de l'être  —de ce que Heidegger appelle, lui, 1'«être de l'être»—  et de par cela même de plus en plus obscurcies, nocturnes, oublieuses de toute antériorité, de plus en plus voisines des gouffres du Sud Ultime. Encore que, de toutes les façons, le Sud Ultime, une fois atteint, il provoquera  —cela, je veux dire, provoquera—  comme de par soi-même le Redressement Final, le «Grand Renversement», ce que les voyants des temps védiques avaient désigné du nom de Paravrtti.

 

Or, à l'heure actuelle, le camp polaire du socialisme national-révolutionnaire européen d'ouverture grand-continentale se trouve encore une fois directement mobilisé sur les barricades du combat pour la reconstitution politique et historique immédiate de l'axe Paris-Berlin-Moscou. C'est là, et là seulement que se portent, à présent, tous les combats d'avant-garde, c'est là qu'est en train de se produire, tectoniquement, le renouvellement intérieur, abyssal, de la «grande histoire».

 

Au centre de l'Europe ainsi interpellée par son nouveau destin, l'Allemagne se retrouvera écartelée et par la double attraction et par la double pétition de rencontre qui contredit cette attraction tout en faisant qu'elle s'accomplisse, attraction en cours qu'exercent, sur elle, chacune de son côté et les deux ensemble, et la France et l'Allemagne, l'Ouest et l'Est du Grand Continent Eurasiatique déjà happé par le vertigineux tourbillon final de la réintégration grand-continentale en train de se donner à faire sous les auspices à la fois ardentes et polaires de 1'Imperium Ultimum.

 

D'immenses puissances négatives, dissimulées

 

C'est très précisément la raison pour laquelle d'immenses puissances négatives secrètes, dissimulées, s'opposent aujourd'hui à l'intégration définitive de la France et de l'Allemagne, tout comme d'immenses puissances négatives secrètes s'opposeront aussi, et en même temps, à l'intégration définitive de l'Allemagne et de la Russie : or, dans les deux cas, ces puissances négatives, occultement et depuis toujours assujetties au non-être et au chaos originel dans ses persistances nocturnes, dissimulées, s'avéreront être les mêmes. Si nous sommes donc restés les mêmes, l'ennemi ontologique de tout ce que nous sommes et avons été, de tout ce que nous serons à nouveau, est lui aussi resté le même, inconditionnellement identique à lui-même et à ses missions commandées par les “ténèbres extérieures”.

 

Le péril est également à invoquer, et là, avec la clarté la plus tranchante, des puissantes manœuvres de retardement, de “blocage antifasciste”, de déstabilisation permanente que poursuit, contre nous, à la fois en plein jour et tout à fait dans l'ombre, l'Internationale Socialiste et ceux qui la prédéterminent, silencieusement, dissimulés dans les arrière-coulisses nocturnes de notre propre histoire en cours. Il s'agit donc de dénoncer avec force le socialisme marxiste et cosmopolite, antinational et antieuropéen, subversivement véhiculé par les Partis Socialistes du Portugal, d'Espagne, de France, d'Italie, de Belgique, d'Allemagne, refuges et bases activistes durcies des Partis Communistes apparemment auto-neutralisés, passés au stade tactique des “présupposés antérieurs”. Le cas du PDS italien reste le plus flagrant qui, masses électorales, cadres, organisations parallèles et dirigeants, Achille Occhetto en tête, n'est rien d'autre que le PCI renforcé par les boues alluvionnaires d'un “front populaire” autrement manigancé, et d'autant plus dangereux.

 

D'autre part, la situation reste particulièrement critique en Allemagne, où l'eventuelle arrivée au pouvoir, à la faveur des prochaines élections legislatives, de la SPD confortée par la candidature gauchiste de Rudolf Scharping, dont la pensée politique interlope et les relations subversives avec les formations alternatives clandestines sont notoires, provoquerait une catastrophe politique de dimensions européennes, et sans doute bien plus encore. Ce qui devra donc être empêché par tous les moyens, y inclus, comme disait l'autre, “par les moyens les plus légaux”.

 

Nous nous situerons donc d'emblée, et comme inconditionnellement, aux côtés du chancelier Helmut Kohl, héros de la réunification totale de l'Allemagne et des retrouvailles définitives de l'Allemagne avec elle-même, ainsi que du nouveau recommencement de la plus Grande Europe, qui en provient directement. Que le chancelier Helmut Kohl compte donc sur nous qui, de notre côté, nous saurons toujours qui est qui.

 

Ainsi, le voit-on, toutes les forces en confrontation, dans le visible et dans l'invisible, se retrouvent déjà en état d'alerte maximale, rangées à leurs places préétablies, prêtes à tout.

 

L'heure du grand tremblement de terre se fait proche, qui ébranlera, encore une fois, tout. Aussi vais-je citer là cette terrible parole prophétique du chancelier Helmut Kohl, parole prophétique dont l'actualité intime s'accélere, et qu'il faut savoir comprendre à son double niveau: Ce que nous avons semé en mai, nous en aurons la récolte en octobre.

 

Les déplacements de la “Terre du Milieu”

 

Des changements arrivent partout, et qui vont, tous, dans le même sens, le sens du renouveau total qui s'annonce, et dont c'est à nous autres qu'il reviendra la tâche révolutionnaire d'en maîtriser un jour la ligne de tumulte.

 

Mais la situation, désormais, s'éclaircit, aussi, dans les profondeurs. Si, par rapport à 1'“Empire du Milieu” allemand, par rapport aux  “Terres Immuables” de la centralité polaire, hors d'atteinte, incarnée, en ces temps de la fin, par l'Allemagne, la France, de son côté, y représente, aujourd'hui, et y apporte  —car telle est sa mission prédestinée—  l'ensemble du camp occidental grand-européen, l'Ouest donc du Grand Continent Eurasiatique et, plus visiblement, la base impériale occidentale Madrid-Rome-Bruxelles, la Russie, en ce qui la concerne, représente, et y apporte, principiellement, l'Est du Grand Continent Eurasiatique, comprenant “la plus Grande Inde” et “le plus Grand Japon”.

 

Cependant, ainsi que j'avais déjà eu l'occasion de le montrer dans mon étude sur “les fondements de la géopolitique secrète du gaullisme”, le concept de Heartland, de “terre du milieu”, équivalent géopolitique fondamental des “Terres Immuables” du Taoisme, concept de heartland  déjà défini  —en termes de géopolitique active—  par Sir Halford  John Mackinder, et auquel Karl Haushofer avait aussi souscrit entièrement dans ses travaux, est un concept voué à se déplacer à l'intérieur de l'espace central qui constitue son aire continentale de présence et d'action propres, ses déplacements suivant la spirale qui véhicule en avant et qui manifeste le grand cycle cosmique en cours.

 

Ainsi, qui détient le secret des cheminements prévus d'avance, inscrits d'avance sur la spirale régissant les déplacements du heartland  du Grand Continent Eurasiatique, détient aussi, de par cela même, le secret du devenir de la puissance intérieure de l'Imperium, et de l'historial visible de celui-ci dans l'histoire en marche vers sa conclusion ultime, vers cet Imperium Ultimum où l'histoire sera appelée à s'identifier assomptionnellement avec l'au-delà de l'histoire.

 

Le projet contre-stratégique fondamental des nôtres, à la veille même de nos plus grandes batailles suprahistoriques et révolutionnaires de la fin devra donc savoir trouver l'audace nécessaire pour aller à la rencontre de ce qui nous apparaît comme le secret déjà en action du futur déplacement ontologique du centre de gravité géopolitique du Grand Continent, de sa prochaine recentrification impériale et polaire. Il faut que nous sachions faire de la fatalité même de l'histoire notre arme suprahistorique décisive, le courant porteur de notre plus haut pouvoir d'intervention historique et politique à venir.

 

Pour les nôtres, et en cette heure plus que jamais, les choix profonds du destin sont, d'avance, comme “inscrits dans les étoiles”.

 

Ainsi se fait-il donc que, si, pendant la saison de nos actuelles préliminaires à la mise en place de principe, conceptuelle, du Grand Empire Eurasiatique de la fin l'emplacement ontologique de la “terre du milieu” se trouve encore situé en Allemagne, une fois le processus impérial grand-continental révolutionnairement entamé au niveau de l'action historique et politique directe, et directement inscrite dans l'histoire en cours, le heartland, le principium  des “terres du milieu” va devoir se déplacer  —ainsi que de prévu—  sur la Russie, pour y rejoindre son emplacement prévu depuis toujours, et prévu aussi pour qu'il durât jusqu'à la fin, pendant tout le millénaire  —ou les dix millénaires de notre légende antérieure—  de la prochaine projection temporelle, immédiatement historique, qui sera celle de l'Imperium Ultimum.

 

D'ailleurs, quelqu'un dont le regard est habitué —ou plutôt habilité—  à surprendre l'essentiel du devenir historique sous le cours apparent, obscur et troublé de ses propres contingences à l'œuvre, se doit d'avoir déjà compris, comme de par lui même, que le centre de gravité de la nouvelle histoire occidentale du monde se déplace actuellement vers la Russie, dont l'attirance se fait de plus en plus irrésistible, et dont le cœur le plus profond s'est sans doute déjà mis à battre —à rebattre—  quelque part. Ainsi 1'“élévation polaire” de la Russie, territoire prédestiné de la prochaine émergence des “terres du milieu” s'accomplit-elle, et va.

 

Personne, d'autre part, ne saurait l'ignorer, la Russie, à l'heure présente, se trouve prisonnière d'une situation apparemment sans issue, en proie à des difficultés extraordinaires et tout à fait noires, déstabilisantes, dans une situation encore plus noire que sans aucun doute ne l'était celle de l'Allemagne en 1945, parce que le désastre de l'Allemagne de 1945 ne pouvait pas ne pas pouvoir chercher en lui-même de quoi amorcer le processus d'une reprise future, alors que le vertige suspect dans lequel semble s'enfoncer actuellement la Russie est fait pour qu'il s'auto-intensifie et ne puisse pas s'arracher à la fatalité de mort que l'on y a investie à dessein. Car il y a un vaste dessein à l'œuvre pour empêcher que la Russie n'en vienne à émerger de par elle-même du piège d'anéantissement qui l'enserre de partout et tente de l'étouffer, qui la maintient crucifiée sur l'inconcevable honte de son actuelle réduction ontologique à la misère, au démantèlement économique et social, sans nul secours majeur, et cette conspiration conçue, de l'extérieur et de l'intérieur, préventivement, pour la spolier de sa miraculeuse libération du communisme et pour lui interdire de rejoindre le nouveau destin transcendantal et suprahistorique, polaire, qui est à présent le sien envers et malgré tout.

 

La comparaison de la situation de détresse totale qui est actuellement celle de la Russie de l'interrègne, de la transition post-communiste, et de ce qu'avait été la catastrophe historique de l'Allemagne en 1945 ne concerne que la face visible, extérieure et immédiate des choses.

 

Car, si l'Allemagne, en 1945, avait été vaincue, la Russie, elle, n'a pas été vaincue. Au contraire. La Russie, elle, a été sauvée. Quelle que puisse être la situation actuelle de la Russie, la Russie est, face à nous autres, ressuscitée d'entre les morts. Et cette resurrection, à présent, dit sa voie présente, et sa voie à venir.

 

L'horizon marial de la Nouvelle Russie

 

Or, miraculeusement délivrée, sans guerre civile intérieure ni défaite militaire extérieure, du cauchemar sanglant et sans faille de soixante-dix années de ténèbres et de honte, d'impuissance totale face à l'emprise communiste et de ce qui se cachait derrière le communisme, la Russie ne le fut que par la seule œuvre du Cœur Immaculé de Marie, qui a tenu tous ses engagements secrets et sa mystérieuse promesse de Fatima: aujourd'hui, la Russie est, ainsi que je viens de le dire, un pays ressuscité d'entre les morts, et qui porte dans son être même, et à jamais, les stigmates d'un inconcevable miracle comme autant d'entailles eucharistiques, embrasées vives, déjà irradiantes, salvatrices, inextinguibles.

 

Aussi la Russie, à présent, doit-elle trouver, avant tout, la manière la plus appropriée de faire ses Actions de Grâces, de remercier sa Divine Salvatrice pour la victoire inouïe et très haute, pour l'intervention abyssale dont son Cœur Immaculé a si bien su la faire bénéficier, comme en un songe, comme si de rien il n'y avait entre temps.

 

On se souvient de la prédiction de Saint Maximilien Kolbe, le mystique supplicié d'Auschwitz: que le jour venu, avait-il dit, la statue de Marie remplacera, au sommet du Kremlin, le tourbillon infernal de l'“Etoile Rouge”. Aussi tout doit être mis en branle, et tout de suite, pour que ce changement symbolique vienne à être chose faite, dans les formes, nuptialement. Avant, rien ne se fera de ce qui doit se faire pour la promotion impériale de la Nouvelle Russie appelée à l'avant-garde transcendantale pour les batailles finales de notre Imperium Ultimum.

 

Et, dans cette circonstance, il m'est, à moi, tout à fait impossible de ne pas m'intimer de reproduire, ici, parce que c'est bien ainsi que cela doit se faire, les conclusions de mon récent entretien catholique et marial avec Eric Vatré, entretien publié, depuis, dans un ouvrage de groupe, intitulé La droite du Père.

 

Je commençais donc la dernière partie de ce long entretien par une citation de Pie XII. Un fragment de l'extraordinaire discours que Pie XII avait fait, à Rome, à la Noël 1942. Au cœur même de l'hiver suprêmement décisif, juste à l'instant où tout devait basculer dans les ténèbres de l'égarement et de la défaite, et pour si longtemps et désormais sans plus aucune trêve.

 

«Ne faut-il pas plutôt,  disait Pie XII, que sur les ruines d'un ordre public qui a donné des preuves si tragiques de son incapacité d'assurer le bien du peuple, s'unissent tous les cœurs droits et magnanimes dans le vœu solennel de ne se donner aucun repos jusqu'à ce que dans tous les peuples et toutes les nations de la terre, devienne légion la troupe de ceux qui, décidés à ramener la société à l'inébranlable centre de gravité de la loi divine, aspirent à se dévouer au salut de la personne humaine et de sa communauté anoblie en Dieu? Ce vœu, l'humanité le doit aux innombrables morts enterrés sur les champs de bataille; le sacrifice de leur vie dans l'accomplissement de leur devoir est l'holocauste offert pour le nouvel ordre social à venir, et qui sera autre».

 

Et moi-même, alors, j'ajoutais ce commentaire, qui reprenait, en l'actualisant, la ligne combattante de Pie XII: «Ayant posé les fondations visibles et invisibles dans le sang, dans 1e sacrifice heroïque et mystique de ceux qui ont donné leurs vies pour l'avenir et l'honneur tragique de leur foi, la nouvelle unité continentale voulue par Rome est en marche, et rien ne l'arrêtera Le soleil de Rome se lève à nouveau à l'occident du monde; l'Europe portée aux dimensions du Grand Continent Eurasiatique redevient une idée transcendantale».  Et ensuite: «Mon message va s'adresser exclusivement à ceux qui se trouvent déjà engagés, ou qui vont l'être, dans la terrible conspiration spirituelle et nuptiale du mystère de l'Incendium Amoris».

 

La conspiration de l'Incendium Amoris, comment agit-elle, quels en sont les buts ultimes et l'ultime horizon d'embrasement? La réponse à cette question nous concerne de la manière la plus directe: «Au-delà de leurs futures incarnations historiques et de ce qui s'y verra impliqué, ainsi, processionnellement, dans les temps portés vers l'assomption finale du Regnum Sanctum, de l'Imperium Sanctum, les grands événements à venir et qui auront tous, dans leur ensemble, Rome pour centre polaire et la lumière métahistorique de Rome pour horizon de retour, en appellent aussi, désormais, et avec une violence de plus en plus passionnée, à une incarnation mariale finale, décisive, coronaire».

 

Et d'une manière encore plus précise, et de par cela même plus périlleuse: «Marie doit assurer de sa venue testimoniale et amoureuse le retour de l'Europe  —de la plus Grande Europe—  à l'être de la foi catholique renouvellée, de même que c'est par la proclamation du dogme de la Coronation de Marie que Rome se doit d'armer surnaturellement son actuelle offensive contre-stratégique finale pour le recouvrement catholique du Grand Continent Eurasiatique». Et pour finir, très dangereusement, et très à dessein ainsi, le Livre de Baruch, III 38, disant, alors qu'il y parlait de la Sagesse: Puis elle est apparue sur terre, et elle a vécu parmi les hommes.

 

Le cercle des assomptions géopolitiques continentales va-t-il se refermer sur la pétition coronaire d'une assomption d'élévation solaire, d'une montée spirituelle communionale “jusqu'au soleil”, confirmée cosmiquement par la venue même de l'Epouse vêtue de Soleil, de la très virginale Sponsa Soli?

 

Agissant sur l'histoire, nous agissons, aussi, sur l'au-delà de l'histoire, toute vision géopolitique majeure, fondationnelle, décisive, implique également sa propre coronation géothéologique  —voire géothéologale—  car, ainsi que l'écrivait Moeller van den Bruck, «il n'y a qu'un seul Reich comme il n'y a qu'une seule Eglise».

 

A l'échelle donc des ultimes horizons de l'histoire occidentale en marche vers l'accomplissement de sa prédestination la plus cachée, ontologiquement cachée, le but de la “grande géopolitique”, de ce que certains des nôtres et en premier lieu moi-même avons déjà pris coutume d'appeler, entre nous, la “géopolitique transcendantale”, n'est autre que celui qui va devoir s'incarner  —qui, déjà, s'incarne, amoureusement—  dans le dogme cosmique de la Coronation de Marie

 

Néanmoins, pour le moment, l'ordre des urgences sur le terrain apparaît comme autre.

 

Les tâches des missions qui sont nôtres, à l'heure présente, interpellent la part la plus visible et la plus tragique de l'histoire immédiate, retrouvent les dimensions politiques et activistes de nos combats et s'y engagent avec toute l'intensité, avec toute la violence de ceux qui dans le devenir même des contingences interceptent, de l'intérieur, la lumière vivante du perpétuel appel, en eux, de la base polaire antérieure.

 

L'ordre des urgences

 

Pour le moment, l'ordre des urgences contre-stratégiques sur le terrain exige que l'on fasse tout le nécessaire pour que l'Allemagne  —l'Allemagne de l'axe Germano-Russe souhaité par Andreï Kozyrev—  puisse fournir à la Russie, en temps utile, le soutien demandé par son rétablissement et son maintien politique et économico-industriel au niveau de superpuissance planétaire, niveau qui, en principe, ne peut absolument pas ne pas être encore le sien.

 

Seule nous importe, dans le cadre du combat final pour la plus Grande Europe continentale eurasiatique, la Russie dans son identité de superpuissance planétaire disponible aux exigences de sa prédestination impériale suprahistorique.

 

Encore que, désormais, la seule superpuissance continentale planétaire de taille à faire face aux Etats-Unis et aux conspirations océaniques et autres de l'imperium  de fait entretenu par les Etats-Unis au niveau de ses propres prétentions et contingences mondiales, apparaît comme étant la plus Grande Europe, régie par l'axe Paris-Berlin-Moscou et qui déjà s'apprête à s'élever de par elle-même au niveau du futur grand Empire Eurasiatique de la fin, de notre Imperium Ultimum.

 

Nous avançons que le moment politique mondial est donc des plus propices pour qu'à l'intention des nôtres une grille opérationnelle immanente vienne à être établie, produisant les thèses contre-stratégiques et, par la suite, dans un second temps, stratégiques et défensives, destinées à mobiliser, suivant les délais d'une première mise en place impériale grand-continentale d'ensemble, 1es structures doctrinales et d'action directe à la disposition de l'axe fondamental Paris-Berlin-Moscou et des projets révolutionnaires de base poursuivis par celui-ci.

 

Aussi nos dernières analyses de la situation en charge à son niveau impérial grand-continental d'ensemble nous conduisent-elles à répondre aux défis qui se dégagent, de cette situation même, par une grille immanente de sept thèses opérationnelles, quatre thèses contre-stratégiques d'engagement directement continental, et trois thèses stratégiques offensives portant sur un niveau révolutionnaire planétaire. Les combats à l'intérieur et à l'extérieur du Kontinentalblock constituent, cependant, un seul front. Un seul front, un seul commandement.

 

Contre-offensive à l'intérieur, offensive à l'extérieur du Kontinentalblock  de Karl Haushofer, du Bloc Continental sur lequel s'exercent les influences polaires, les pouvoirs supérieurs de ce que nous servons nous autres, soldats d'un seul Concept Absolu.

 

Aussi cette grille immanente des sept thèses opérationnelles de base destinées à promouvoir sur le terrain l'axe géopolitique fondamental Paris-Berlin-Moscou à son niveau impérial d'avant-garde, à son niveau grand-continental eurasiatique, nous apparaît-elle donc devoir être, au moment présent et vue notre situation profonde, très certainement définissable de la manière suivante, et que nous faisons notre entièrement:

 

1.

C'est au tréfonds d'elle-même, de son histoire conçue, voulue, engagée dans sa totalité active, de sa plus occulte prédestination spirituelle, que la Russie  —que la Nouvelle Russie qui est nôtre—  doit tenter d'assurer envers elle-même l'effort suprahumain de trouver  —de retrouver—  son propre centre polaire de gravité, son propre pôle d'unité transcendantale vivante, car c'est bien à partir de ce moment d'embrasement eucharistique intérieur, et seulement à partir de ce moment-là, que la Russie renouvellée en elle-même depuis son centre polaire même, pourra se concevoir réellement en état d'assurer les tâches suprahistoriques impériales qui sont les siennes en propre, depuis toujours et jusqu'à la fin de tout, apocalyptiquement.

 

2.

Car, à ce que la plus Grande Europe, interpellée actuellement par son axe de mobilisation Paris-Berlin-Moscou, peut et doit faire, d'urgence, pour 1e rétablissement politique et économico-industriel de la Nouvelle Russie, la Russie, la Nouvelle Russie, de son côté, doit pouvoir répondre par la mise en œuvre, à sa charge, du renouveau révolutionnaire spirituel et charismatique devant soulever, incendier en conscience et irrationnellement, l'ensemble de l'Europe et du Grand Continent: c'est de Russie, nous ne l'ignorons plus, que devra nous venir, maintenant, le nouvel Incendium Amoris  qui changera tout.

 

3.

Pour l'axe contre-stratégique Paris-Berlin-Moscou, l'objectif économique et industriel absolument prioritaire à l'échelle européenne grand-continentale reste, à l'heure présente, et avant toute autre option de combat, quelle qu'elle fût, celui de la mise en chantier des projets confidentiels concernant 1e développement révolutionnaire en commun de la Sibérie, à tous les niveaux disponibles, avec le soutien à part entière du Japon et excluant d'avance toute participation ou droit de regard des puissances non-continentales comme les Etats-Unis ou de la mouvance à couvert de qui suit les Etats-Unis.

 

D'autre part, il devient évident que la participation immédiate, directe et entière du Japon au Projet Continental Grande Sibérie (PCGS) va constituer, dans les faits, l'acte fondationnel, le vœu originel de l'entrée  —de la rentrée—  du “plus Grand Japon” au sein du camp d'intégration continentale avancé du futur Empire Eurasiatique de la Fin, et que le reste suivra. Une audacieuse volonté, une volonté à la fois abrupte et nouvelle y trouvera ses voies, et toutes ses voies, y inclus celles, prophétiques et sacrales, de la “passe à l'Ouest“.

 

Par ses engagements envers le Projet Continental Grande Sibérie (PCGS), le Japon se tourne vers l'Ouest, rejoint le Kontinentalblock.

 

Quand Karl Haushofer dit comprendre les Chinois comme une race du Nord en descente migratoire vers le Sud et les Japonais comme une race du Sud en montée migratoire vers le Nord, il définit, en plus, 1e cyclone démographique dont le Japon ne pourra se libérer qu'en échangeant le poids négatif de la Chine dans son environnement océanique immédiat contre le contre-poids positif du Kontinentalblock  dans son grand environnement d'ensemble, planétaire. L'intégration du Japon dans le Kontinentalblock,  sa réorientation vers l'Ouest, représente, pour le Japon, son accession à ce que le Taoisme appelle “la passe de l'Ouest”.

 

Mais “la passe de l'Ouest”  —tel aura été, à la fin, le “grand secret” du Taoisme—  représente, en réalité, le passage obligé, le seul “chemin de passage” vers le Nord, le chemin même de la Jonction de Vénus. Pour la Jonction de Vénus, à revoir, sous son angle opérationnel le plus secret, L'étoile de l'Empire Invisible.

 

Or c'est bien la Nouvelle Russie qui se trouve pressentie pour conduire le Japon dans le périlleux chemin de “la passe de l'Ouest”, dans son retour final vers le Nord et “la zone d'attention suprême” de ses plus occultes gratifications polaires dans les hauts chemins glaciaires de 1'“Acier Polaire”.

 

Car c'est bien par rapport à la mise en marche du Projet Continental Grande Sibérie (PCGS) que le nouvel axe Germano-Russe pressenti par Andreï Kozyrev pourra donner sa pleine mesure, l'Allemagne étant, en cette occurrence précise et tout à fait décisive, le maître d'œuvre et la puissance mobilisatrice centrale de l'ensemble grand-continental appelé à participer à ce projet, premier “grand projet continental” de 1a superpuissance planétaire représentée par la Grande Europe. Dans un certain sens, tout va devoir se passer, désormais, dans l'environnement opérationnel du Projet Continental Grande Sibérie (PCGS), et des implications supérieures de la mise en chantier de celui-ci.

 

4.

A la limite, que sommes-nous d'autre, en ces temps de vertige et de décision secrète, que sommes-nous d'autre que la conscience visionnaire de notre propre action révolutionnaire sur le terrain, action présente et, surtout, action à venir?

 

En d'autres circonstances, nous écrivions déjà: «Porteuse des puissances d'être et de changement révolutionnaire qui lui reviennent en propre, la conscience visionnaire de l'avenir proche et plus lointain de la Grande Europe et de ses destinées eurasiatiques impériales s'approche déjà, et de plus en plus, de l'histoire immédiate, et cette marche d'approche est en elle-même, déjà, de plus en plus d'ordre organisationnel, dans le sens profond, fractal et cosmogonique du terme. L'interpellation organisationnelle de l'histoire en change-t-elle le cours?». Or cette dernière interrogation justifie subversivement et fonde toute notre action présente et à venir, nous donne les droits qui sont déjà nôtres à prétendre à un pouvoir d'emprise transcendantale sur la plus grande histoire, pouvoir d'emprise que nous allons devoir enlever de haute lutte à ceux qui en détiennent aujourd'hui les clés cachées. Des clés qui ne sont d'ailleurs pas celles de l'histoire, mais de 1a sombre anti-histoire qui, pour peu de temps encore, leur sert d'histoire, de faux semblant d'histoire.

 

Ainsi, «une première assemblée consultative géopolitique grand-continentale va devoir se trouver mise en place par nos soins, qui réunira, en vue de consultations ultérieures, que l'on peut déjà envisager dans leurs lignes majeures, des représentants de tous les pays ou régions significatives du Continent Eurasiatique, du Japon à l'Islande, un gouvernement Provisoire Continental (GPC) étant appelé à en émerger par la suite. Et, aussi, un président à vie émergeant de l'entité Impériale de la Fin, élu d'une manière identique à celle qui décide encore de la Dévolution Romaine, et disposant des pleins-pouvoirs ontologiques appartenant à l'état de sa prédestination impériale secrète, mais qui se manifestera en temps prévu, signo dato.  Un président à vie de l'Entité Eurasiatique Impériale de la Fin élevé par l'irrationalité dogmatique à l'état et aux titres d'un concept absolu, et ce “concept absolu” n'étant lui-même, alors, que le dernier état de l'irrationalité dogmatique en action».

 

5.

La première tâche stratégique offensive, la première “tâche extérieure” de l'axe Paris-Berlin-Moscou sera alors celle de pourvoir à l'établissement  —au rétablissement—  des états ontologiques identitaires, d'être et de destin, avec les hautes terres d'Amérique Latine, avant-poste de combat planétaire contre l'impérialiste global de la centrale subversive nord-américaine et de ceux qui la manipulent occultement, et, en même temps, espace de renouveau cosmique en relation directe avec le prochain retour en puissance des Pléiades. A couvert, l'héritage horbigerien, dans 1es Andes, se maintient encore. Or nous y reviendrons, suivant les plans prévus.

 

Ainsi avons-nous pris connaissance, en attendant, et avec la plus extrême attention activiste, de l'article de combat planétaire du Dr Carlos A. Disandro, de La Plata, Bolivie, «Global Invasion y defensa cultural, etnica, telurica», paru dans la revue chilienne Ciudad de 1os Cesares, Vina del Mar, Chili, mars-avril 1993.

 

6.

L'axe continental Paris-Berlin-Moscou devra également assumer  —réassumer, réactiver et redéployer en avant—  toutes les tâches politico-stratégiques sur le terrain, toutes les missions d'intervention révolutionnaire offensive qui avaient déjà été celles du “grand gaullisme”, du gaullisme des années 1960  —le Général de Gaulle étant au pouvoir—  en direction du Québec, du Canada et de la partie des Etats-Unis qui, sur les confins de la Louisiane, garde encore la mémoire souterrainement vivante de ses origines européennes et françaises, tête de pont culturelle et politico-stratégique pour nos futures actions de libération et de recouvrement à terme de nos anciennes Terres Nordiques, de l'“Amérique du Nord”.

 

7.

L'intégration finale de l'ensemble des courants de spiritualités supérieures ayant surgi dans l'espace grand-continental des premières processions hyperboréennes viendra à se constituer sous la protection active des retrouvailles géopolitiques impériales marquant la fin du cycle cosmique actuel, l'Empire Eurasiatique de la Fin se trouvant ainsi porté à être, pour les christologies mariales et paraclétiques de la fin, ce que Rome avait déjà été, une première fois, pour l'ensemble historique du christianisme naissant, pour la “nouvelle religion” appelée à surgir en Occident.

 

Et ce sera donc dans les espaces polaires de la dernière Terre du Milieu, en Russie et dans ce que sera alors devenue la Nouvelle Russie, que viendront se retrouver les descendances éparses de la grande Lumière Antérieure, dont la Dernière Rome ne fera qu'achever en l'accomplissant le processus suprahistorique des retrouvailles intérieures et l'ultime Identité Divine, “Marie de la Fin”.

 

Et, pourquoi ne pas le dire, les hauts travaux de rassemblement, de ressourcement polaire poursuivis actuellement, depuis Moscou, par Alexandre Douguine et les groupes de veilleurs qui lui sont proches et qui s'y trouvent déjà à l'œuvre, entretiennent, sur place, les préliminaires déjà confidentiellement entamées de ce qui, plus tard, mènera au Grand Retour.

 

Or, de même que la réintégration du camp grand-continental du futur Empire Eurasiatique de la Fin devra se faire, pour le Japon, pour “le plus Grand Japon”, par les voies de sa participation fondamentale, ontologique, au Projet Continental Grande Sibérie (PCGS), l'Inde, “la plus Grande Inde”, va rejoindre le même espace métahistorique impérial en apportant aux nôtres, comme de l'intérieur, ce qui, ne fût-ce que d'une façon abyssalement occulte, au tréfonds de la spiritualité hindoue et tibétaine ne peut pas ne pas subsister encore de l'immense Lumière Antérieure, de la “vive lumière” des temps védiques et hyperboréens, polaires, d'avant même les temps védiques.

 

Ainsi la double mission de la Nouvelle Russie à l'Est du Grand Continent Eurasiatique sera-t-elle mise, bientôt, en état d'accomplissement, double mission qui concerne et engage, ainsi que nous l'avons déjà vu, les retrouvailles ontologiques, profondes, de l'axe géopolitique fondamental Paris-Berlin-Moscou, et de l'ensemble du Grand Continent mobilisé par celui-ci, avec “la plus Grande Inde” et avec le “plus Grand Japon”. Raymond Abellio: il y aura alors des épousailles inouïes.

 

Car ce qui à ce moment-là devra se rejoindre, constituer l'Est du Grand Continent et du suprême Projet Impérial de celui-ci, va s'y rejoindre par l'intermédiaire de la Nouvelle Russie, conçue métahistoriquement pour qu'elle reçoive, en même temps et comme de par le même mouvement, l'Ouest du même Bloc Continental mobilisé par l'Axe fondamental Paris-Berlin-Moscou.

 

A la fin du cycle, et nous y sommes, le Kontinentalblock  de Karl Haushofer aura son centre polaire d'affirmation géopolitique impériale quelque part dans les espaces qui sont actuellement ceux de la Russie, et c'est au cœur même de notre Nouvelle Russie que se tiennent les nouvelles “Terres du Milieu” et leurs inaccessibles espaces intérieurs de virginalité impériale amoureusement, nuptialement au service de l'Ultime Marie et de l'Imperium Ultimum  qui l'entourera dans l'invisible et, aussi, dans le visible. Car, en ce moment prédestiné et très secret, souvenons-nous, comme nous devons le faire, de la parole prophétique fondamentale, du verbum novissimum  de Baruch, puis elle est apparue sur terre, et elle a vécu parmi les hommes.

 

Tel me semble donc être l'ordre des urgences commandant la ligne fondamentale de nos combats actuels et la grille immanente des thèses opérationnelles destinées à en promouvoir les déploiements sur le terrain, le passage à l'action directe.

 

Jean PARVULESCO.

Paris, le 28 mai 1994.

 

mercredi, 13 janvier 2010

Le crépuscule de l'axe Washington-Moscou

eltsine_boris.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1992

Le crépuscule de l'axe Washington-Moscou

 

par Wolfgang STRAUSS

 

Camp David, dans les montagnes enneigées du Maryland. 1er février. Le Russe fête son anniversaire. L'Américain lui offre des bottes de cow-boy. Ils s'appellent mutuellement «ami George» et «ami Boris». Le soir, ils signent une déclaration. «La Russie et les Etats-Unis ne se considèrent plus comme des adversaires potentiels. A partir d'aujourd'hui, leurs rapports se caractériseront par l'amitié et le partenariat, se baseront sur la confiance réciproque et le respect mutuel, ainsi que sur un engagement conjoint pour faire avancer la démocratie et la liberté économique».

 

Au même moment, à Moscou, couverte de neige, une vieille femme verse le contenu de son porte-monnaie sur le comptoir d'une boulangerie d'Etat. Ses yeux expriment la crainte et la honte. «Je vous en prie, donnez-moi du pain, autant que vous le pouvez». Mais les piécettes qu'elle a secouées hors de son porte-monnaie ne sont que des kopeks. Quand cette pauvre vieille s'est mise en route, ce matin-là, elle avait 40 roubles. Elle les a dépensés pour s'acheter du charbon et des pommes de terre. «Excusez-moi, je n'ai rien de plus...».

 

Dans le point 5 de la déclaration commune, on lit: «Nous entreprendrons tous les efforts nécessaires pour promouvoir partout dans le monde les valeurs de la démocratie, que nous partageons, la primordialité du droit, le respect des droits de l'homme, y compris des droits des minorités». Mais la déclaration ne parle pas du droit des hommes à mourir dans la dignité...

 

En effet, à Saint-Petersbourg, la plupart des retraités ne peuvent payer leur propre enterrement. Car il faut 5000 roubles, pour offrir au défunt des obsèques simples, sans luxe. Une couronne bon marché coûte de 300 à 500 roubles. Enfin, il faut 1200 roubles pour la tombe. Les plus pauvres doivent enterrer les leurs comme au temps de l'encerclement par la Wehrmacht. Sans la moindre pelletée de terre, les corps sans vie sont abandonnés en lisière des cimetières, enveloppés dans un drap.

 

«Je ne suis pas venu, pour tendre la main» a dit Eltsine aux milliardaires américains. Devant le numéro 26 de la perspective Koutouzov, une longue file de citoyens russes se forme devant les vitrines du premier magasin d'alimentation privé du quartier. Ces citoyens ne tendent pas la main; ils se contentent d'ouvrir les yeux. Très grand. Ils voient toutes les sortes de saucissons imaginables, du pudding en poudre, des pâtes, des saucisses allemandes, du chocolat français, du lard, du jambon en boîte, de la limonade, du fromage, du lait en conserve. Les badauds n'achèteront rien car ils ne peuvent rien acheter. 160 roubles pour 300 grammes de jambon; 290 roubles pour un kilo de salami. Les deux amis de Camp David ont parlé de «liberté économique»...

 

«Tout homme doit vivre comme une grande flamme claire et brillante, étinceller autant qu'il le peut»: tel est la devise que s'est donné Boris Eltsine. Et il a ajouté: «A la fin, cette belle flamme s'éteint. Mais il valait mieux qu'elle fut grande, qu'elle ne fut pas petite et misérable».

 

La flamme chiche des petits, des sans-grade de toutes les Russies, a déjà commencé à s'éteindre. Le 27 janvier 1992, on pouvait lire dans la Pravda: «En Suède, c'est l'individu qui est l'objet premier des préoccupations de l'Etat, l'individu dans ce qu'il a de particulier. Nos premiers pas vers le capitalisme, eux, se caractérisent par la plus sauvage des inhumanités. Le pouvoir politique n'entreprend rien pour freiner ce délire de pillage, ce besoin maladif d'amasser. Comment expliquer alors qu'il ait toléré des mesures anti-populaires comme l'augmentation des prix des crèches et jardins d'enfants, des vêtements d'enfants, des colonies d'été? Sans vergogne, le gouvernement fait disparaître les conditions de survie des plus pauvres et des malades. Jadis, les pauvres se maintenaient en vie avec du pain, des pommes de terre, du charbon, des carottes et des saucisses. Aujourd'hui, avec ce qu'il reste dans leur porte-monnaie, ils ne peuvent plus rien acheter. Le prix de la bière, du repas principal de midi, vient de décupler. Pour le travailleur du bas de l'échelle, les très petites joies de la vie quotidienne ne sont plus possibles: on les lui a volées».

 

Et Eltsine est revenu les mains vides de Camp David. Il est revenu dans une Russie condamnée à l'isolement. Sans rémission. «Nous avons besoin d'argent et d'aide pour parfaire nos réformes. Si ces réformes échouent en Russie», a dit Eltsine lors d'une rencontre de trois heures avec les représentants de l'économie américaine à New York, «la conséquence sera une nouvelle guerre froide, qui pourra très vite se transformer en une guerre chaude». Après cette rencontre, le Président russe a dit: «Très étonnante, l'attitude de ces pays qui ne font guère plus que parler».

 

Mais qu'attendait-il, au fond, d'un pays qui glisse inexorablement vers la crise économique, qui est miné par les faillites, les cessations d'activité, les fermetures d'entreprises, les licenciements en masse?

 

Pour guérir l'économie russe, plusieurs recettes pouvaient être appliquées. On n'en a appliqué qu'une seule: la libéralisation des prix. Conclusion: sont au pouvoir en Russie, ceux qui veulent faire du pays une deuxième Amérique et qui, en conséquence, copient le modèle américain.

 

Or le problème numéro un en Russie, c'est la distribution du pain. Pour les Russes, le pain signifie davantage qu'un aliment de base; le pain est une assurance-vie, un élément de la dignité. Le pain a un caractère sacré. Dans les régions industrialisées, on ne le vend plus que sur présentation d'un bon d'achat. Avant la libéralisation des prix, une miche de pain coûtait 80 kopeks; en janvier, le prix est monté à 4,20 roubles; en mars, il fallait payer le double. Officiellement, seul le pain le plus simple, noir, est encore vendu au prix contrôlé; mais on ne le trouve plus nulle part.

 

Pour une brique de beurre, il fallait donner, fin février, 120 roubles; pour un kilo de viande, 120 roubles. Or les retraitées veuves ou célibataires perçoivent, dans les grandes villes, une retraite de 185 roubles par mois. Bien sûr, elle ne meurent pas de faim; mais on ne peut pas parler d'une vie... Les fonctionnaires à la pension ont le droit d'acheter aux prix subventionnés. Mais à quoi cela leur sert-il, si les réserves de marchandises subventionnées sont épuisées depuis longtemps? «90% des habitants ne peuvent plus payer leur nourriture, leur électricité et leur loyer», constatait Sobtchak, le maire de Saint-Petersbourg dès janvier.

 

Eltsine reproche à son cabinet de ne pas avoir pris des mesures en faveur des pauvres. Son représentant, Routskoï, exige sans arrêt que l'on proclame l'«état d'urgence dans le domaine économique» et réclame une guerre de l'Etat contre les spéculateurs.

 

L'époque où Moscou vivait sur le dos de l'ensemble du pays est bien révolu. A cette époque, les provinciaux prenaient les magasins moscovites d'assaut pour obtenir viande ou vêtements. Aujourd'hui, c'est l'inverse: les Moscovites se rendent dans les bourgs et les villages de province. Sur le marché, règne la loi de la jungle.

 

Sonia Margolina, écrivain à Moscou, a rencontré son ancien professeur. Celle-ci se plaignait: «On a promis une aide à notre école contre la famine: mais rien n'est arrivé. Les parents des élèves téléphonent tous les jours parce qu'ils croient que les enseignants ont volé les boîtes de conserve; ils ne peuvent plus imaginer qu'il existe des citoyens qui ne volent pas» (cf. Frankfurter Allgemeine Zeitung, 8 février 1992). Seuls 6 à 7% des colis de vivres arrivent à destination. Déjà à l'aéroport, le vol sauvage et le vol organisé commencent, à peine les conteneurs sont-ils ouverts. 80% des envois caritatifs venus d'Allemagne disparaissent dans les réseaux mafieux du marché noir. La caricature du capitalisme pillard, que les communistes avaient décrit aux Russes pendant des décennies, est devenu réalité à Moscou et dans les grandes villes de la CEI.

 

En Russie, plus aucune autorité ne demeure intacte; plus aucune autorité n'est en mesure de répartir correctement et de façon efficace les marchandises disponibles ou venues de l'Ouest. Les planifications du transport par route ou par air ne servent à rien: aucun horaire ne peut être tenu à cause de la pénurie de carburant. Les gens attendent des journées entières dans les gares ou les aéroports, que leur train ou leur avion arrivent. «Les chefs des républiques et les parlements gouvernent vaille que vaille, alors que toutes les structures du pouvoir se disloquent. Mais ils sont dépassés par des chefs locaux, des chefs tribaux, des responsables du parti ou des princes auto-proclamés. Dans la CEI, une décision politique ne vaut que pour quelques jours, dans un rayon de quelques centaines de kilomètres. Les gens font ce qu'ils veulent» (Süddeutsche Zeitung, 1 février 1992).

 

Ebranlé par l'effondrement spirituel et moral dans sa vieille patrie, le germaniste russe et israëlite Lew Kopelew vient de revenir de Russie. Cet émigré, qui vit à Cologne, cet ami et compagnon de combat de Sakharov, ne comprend plus comment tourne le monde. Les ensembles chorégraphiques sont dissous, les théâtres ferment, des institutions culturelles vieilles de plusieurs siècles cessent leurs activités, les artistes sont jetés à la rue. Depuis que règne la «liberté dans le domaine artistique». Conclusion de Kopelew: «N'est pas nécessairement bon, ce qui était interdit hier».

 

Son compatriote Viktor Konyetski donne lui aussi son diagnostic: l'âme russe est horriblement malade, le désorientement et la haine se répandent comme un feu de brousailles; les vieilles icônes sont flétries, brisées, et l'occidentalisation avance à grands pas: «Le Yakoute affamé, qui croupit dans sa hutte sale, entendra bientôt de la musique rock à la télévision et y verra de jeunes femmes le cul tout nu. Alors, enflammé par la colère, il prendra sa fourche ou son fusil» (Lettre internationale, Berlin, n°15, 1991).

 

Alexandre Zinoviev, le géant de la satire, dans son exil munichois, ne prononce que des mots de dégoût, en voyant comment ses compatriotes affamés changent de paradigmes. Avec la même âpreté de fauve, explique-t-il, la même mentalité grégaire qu'au temps de Staline, ils donneront leur cœur à une nouvelle idéologie, le lui jetteront en pâture: cette idéologie est le capitalisme, qu'ils voudront total et suicidaire, à la mode russe. La conséquence: un égarement massif des sens; une schizophrénie collective, culminant dans l'idéalisation du matérialisme occidental (cité par Arnulf Barning, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 24 décembre 1991).

 

Malheureusement, les idées nobles de l'Europe occidentale ne pénètrent que très lentement en Russie, constate le Patriarche Alexis II. Après l'effondrement du bolchévisme démoniaque, la Russie ne s'est pas connectée aux sources limpides de l'Europe, mais à ses égoûts. Ce Savonarole slave, revêtu du blanc qui sied aux patriarches, ne mâche pas ses mots: «La sous-culture du rock, de la toxicomanie, ces attitudes superficielles dictées par les médias, sont-ce là des valeurs dignes d'être désirées? L'occidentalisation de notre mode de vie, auquel nous assistons aujourd'hui, n'a que très peu de choses en commun avec l'humanisme et le christianisme». Et le Patriarche ajoute qu'un élément essentiel de cette occidentalisation est le «dégoût et la haine pour tout ce qui relève de l'histoire nationale» (Der Spiegel, n°30/1991; Moscow News, n°8/1991).

 

Pour l'intellectuel russe qu'est le Professeur Anatoli Outkine, qui enseigne la littérature américaine à l'Académie russe des sciences, l'occidentalisation équivaut à une commercialisation de la vie intellectuelle. Le capitalisme américain, en niant toute forme de spiritualité, nie la culture nationale. «Comme la Russie s'est tournée vers le capitalisme, la pensée, à son tour, est devenue marchandise (...) La capacité la plus importante des intellectuels russes, servir un idéal, lui faire don de soi, n'est pas une valeur demandée dans un monde de pure accumulation» (Frankfurter Allgemeine Zeitung, 22 janvier 1992).

 

La Russie décohoit-elle au rang d'une colonie américaine? Le Ministre des Affaires Etrangères américain, Baker, vient en effet de visiter les républiques de la CEI comme un inspecteur. «Dans une économie intégrée englobant toute l'Europe, notre Russie aurait le rôle d'un fournisseur de matières premières bon marché et servirait de dépôt pour les résidus de toutes les technologies qui polluent l'environnement», a déclaré le propre ministre de la privatisation, Anatoli Tchoubaï, nommé par Eltsine mais retourné par cette vision apocalyptique. La politiques des investissements devra être sévèrement contrôlée, a exigé Tchoubaï en janvier, pour éviter que le capitalisme multinational étranger «n'achète de gros morceaux de l'économie russe pour un salaire de misère».

 

Mais un miracle ne suffirait pas à sortir la Russie de l'embarras! L'un des grands espoirs des occidentalistes dans les années 89/90, co-auteur du «programme des 500 jours» de Chataline, Grigori Yavlinski est passé dans le camp anti-capitaliste. Cet Ukrainien, qui fit partie de l'ancienne équipe d'Eltsine, est aujourd'hui le directeur d'un centre privé de recherches en économie et en politique. Yavlinski est devenu sceptique et a dressé son bilan en 1992: la libéralisation des prix, lancée le 2 janvier, conseillée par les Harvard Boys, n'a réglé aucun problème; au contraire, elle a accéléré l'augmentation permanente des prix. Le rouble, à cause de l'hyperinflation, n'a même plus la valeur du papier sur lequel il est imprimé; il est houspillé par les devises étrangères, fléchit devant le dollar ou le DM, qui sont aujourd'hui les monnaies réelles de la Russie. L'industrie et la production n'ont pas accru leurs prestations; les stocks de marchandises et de réserves ont fondu (Moscow News, 2/92).

 

Mais la Russie russe est l'ennemie de l'Amérique; elle ne se soumet pas à la Doctrine Bush, qui parle des «droits de l'homme», d'«économie libre de marché» et de «démocratie parlementaire» pour mieux faire passer son impérialisme; elle perçoit un grand danger dans l'«Occident américanocentré» qui prend, en Russie, le relais du communisme (cf. Alexandre Douguine, dans éléments, n°73, 1992).

 

Eltsine a eu beau faire des salamalecs à Camp David et à New York; il s'y est humilié avec une intesité qui frise la folie mais l'Amérique n'a réagi qu'avec perfidie. «Tous les restes de l'hostilité du temps de la guerre froide» devront être éliminés, lisait-on dans la déclaration du 1er février. «A partir d'aujourd'hui, nous ne nous considérons plus comme des ennemis», a juré Eltsine. Il a même proposé un système de défense globale contre toutes les attaques atomiques potentielles, de conjuguer la technologie américaine, née du programme IDS, au savoir-faire russe pour élaborer un système de défense anti-missiles dans l'espace. Eltsine a même annoncé que la Russie était prête à mettre un terme à la fabrication des bombardiers stratégiques. Il s'est livré à le surenchère: «je considère que les Etats-Unis et les autres pays de l'alliance atlantique sont les alliés de la Russie».

 

Pourtant, le jour même où Eltsine déclarait en grande pompe devant le parlement de Russie que l'Amérique avait un intérêt vital au succès de ses réformes, le New York Times publiait un document émanant du Pentagone, où étaient esquissés des scénarios de crise pour les dix prochaines années. Point d'orgue de ces scénarios: une guerre entre l'Amérique et la Russie! Si l'armée d'un nouveau régime autoritaire et expansionniste russe pénétrait de force dans les Pays Baltes, l'Amérique, flanquée de ses tirailleurs sénégalais de l'OTAN, riposterait par des moyens militaires. Objectif: libérer la Lituanie en 90 jours (cf. Die Welt, 19 février 1992). Or une Russie «autoritaire», selon les bellicistes américains, serait une Russie comme le souhaite Alexandre Soljénitsyne, exilé dans l'Etat américain du Vermont.

 

Avec une clarté désarmante, le quotidien moscovite de gauche, libéral et pro-américain, Moskovskiye Novostii, esquisse les plans que concocte l'Amérique au sujet de la Russie. La soumission de la direction moscovite à l'alliance occidentale et l'adhésion potentielle de la Russie à l'OTAN ne sert qu'un seul objectif: «L'Ouest a besoin de la Russie, car elle est la clef de l'espace politique que constitue la CEI et parce qu'elle est le facteur principal dans toute politique de containment des menaces en provenance du continent asiatique». La Russie serait ainsi un bastion avancé, un territoire et une population sacrifiés, en cas de guerre entre l'impérialisme américain, d'une part, et le Japon, la Chine et le monde islamique, d'autre part. Le quotidien occidentaliste, sans honte, remercie l'Amérique du rôle humiliant qu'elle assigne à la Russie! «Selon toute vraisemblance, la Russie devra se satisfaire de ce rôle» (Moscow News, mars 1992). Mais dans le cas où éclaterait une seconde révolution russe, cette fois dirigée contre le policier du nouvel ordre mondial et contre l'idéologie occidentale aliénante, les Moskovskiye Novostii prophétisent une guerre au finish entre l'Amérique et la Russie. Après un changement de politique éventuel, après une redistribution possible des cartes du pouvoir à Moscou, la Russie ne serait plus, comme elle l'est aujourd'hui, «un allié de l'Ouest» mais un facteur de puissance «complexe, imprévisible, insupportable». Ce serait un Etat russe, non un laquais slave.

 

Les forces pro-américaines en Russie paniquent. L'ennemi qu'elles désignent, c'est la «droite». Qu'elle soit nationale-bolchévique, qu'elle adhère au patriotisme populiste d'un Soljénitsyne, peu importe, les «démocrates» la classent, sans nuances, dans le tiroir de l'anti-démocratie, en sortant les accusations habituelles, en réitérant les soupçons bien connus, en ressortant les vieilles théories conspirationnistes. Les occidentalistes mettent en scène une véritable sarabande de sorcières. Mais quelles sont ces Cassandres, ces dénonciateurs officieux et officiels? D'abord Gorbatchev lui-même, depuis peu collaborateur permanent du New York Times. Ensuite, les médias russophobes de la côte Est des Etats-Unis (qui sont aussi germanophobes, anti-japonais, anti-arabes et anti-gaulliens, comme par hasard, ndlr), qui ne cessent d'avertir les bonnes âmes du danger que représenteraient les «forces dormantes de la réaction».

 

D'après l'ancien chef du KGB, Vadim Bakatine, néo-bolchéviks et néo-slavophiles se prépareraient très activement à provoquer un effondrement économique pour favoriser un changement de régime. La révolution sociale, qui pointe à l'horizon, pourrait culbuter la Russie dans le fascisme, pense un certain Professeur Obminski, expert ès-matières économiques au ministère russe des affaires étrangères. Des «mouvements nazis» russes, composés de très jeunes gens, augmenteraient leur audience (Süddeutsche Zeitung, 6 février 1992). Si Eltsine ne réussit pas, la «démocratie» ne triomphera jamais en Russie, prophétise le vice-président américain Don Quayle.

 

Dans la Russie qui s'effrite, il n'y a pas que le «somnambule qui erre entre deux mondes», c'est-à-dire Mikhaïl Gorbatchev, qui prononce de sombres oracles comme celui-ci: «Le nationalisme sauvage, vulgaire, incorrigible est extrêmement dangereux; une vague de nationalisme pourrait s'emparer du pouvoir» (Corriere della Sera, 8 février 1992). A la chasse aux sorcières dirigée contre les patriotes russes, participe aussi, depuis peu, un patriote russe, le Sauveur de la Russie en août 1991, Boris Eltsine. Il dit déjà sentir «dans nos cous le souffle chaud des porteurs de chemises rouges ou brunes», comme il l'a formulé à Paris (Die Welt, 7 février 1992).

 

La droite russe se défend. Elle passe à la contre-offensive. Elle est sur le point de se donner une idéologie, de forger sa propre vision de l'homme, de la liberté, de la société. Une vision qui n'a pas d'équivalent. Axe central de cette vision globale du monde et de la politique: le caractère eurasien de la terre russe, qui implique une géopolitique particulière. Cette droite réintroduit la géopolitique dans un discours grand-russe, eurasien.

 

L'ennemi désigné de cette droite qui se souvient brusquement des leçons de la géopolitique est le totalitarisme américain, la civilisation qui meurt très lentement du libéralisme. En décembre, l'envoyé spécial d'Eltsine, Igor Maximytchev, un occidentaliste, avait déclaré lors d'une conférence de presse à Berlin, que la Russie, en adoptant le libéralisme et en libéralisant les prix, «retournait à la civilisation mondiale»!

 

L'Amérique agit comme une thalassocratie. La Russie incarne la tellurocratie classique. Là-bas règnent les marchands, les capitalistes. Ici règnent les soldats et les paysans. Puissance maritime contre puissance continentale. L'Amérique est Carthage. La Russie est Rome. Carthage sombrera, lorsque la Quatrième Rome trouvera un Scipion l'Africain.

 

Wolfgang STRAUSS.

(texte issu de Staatsbriefe, n°3/1992; adresse: Dr. Hans-Dietrich Sander, Postfach 14 06 28, D-8000 München 5; abonnement annuel: DM 100,-; étudiants, lycéens, apprentis et soldats du contingent, DM 50,-).  

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dimanche, 10 janvier 2010

Entretien exclusif avec A. Soljenitsyne

180px-Solzhenitsyn.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1991

Entretien exclusif avec Alexandre SOLJENITSYNE

 

propos recueillis par Wolfgang STRAUSS

 

Depuis novembre 1987, une complicité spirituelle lie le Prix Nobel de littérature Alexandre Soljénitsyne, en exil à Cavendish (Vermont, USA), et notre camarade Wolfgang Strauss, collaborateur des revues Europa Vorn, Staatsbriefe  et, pour les traductions françaises, de Vouloir. Cette amitié s'est scellée par une intense correspondance entre les deux hommes. Les propos ci-dessous ont été recueillis avant les événements d'août.

 

Q.: Le peuple allemand est enfin réunifié. Prenez-vous part aux événements qui se déroulent en Allemagne?

 

AS: Oui, évidemment. Car pour moi, vous ê­tes un important intermédiaire. Avant déjà, je lisais vos articles et vos recensions: un éditeur allemand me les envoyait. Lorsque je les lisais, j'étais surpris par la précision de vos connais­san­ces en histoire russe. Mais maintenant que je sais que vous avez séjourné dans l'Archipel Gou­lag, je comprends.

 

Q.: Les Allemands dans leur majorité aujourd'hui sont russophiles; ils se solidarisent avec le combat russe pour la liberté, pour la renaissance de la Russie, dont vous êtes le représentant, tant sur le plan politique que sur le plan spirituel. Mais, malheureusement, les informations que nous recevons sont rares et lacunaires.

 

AS: Bien sûr, vous avez appris personnel­le­ment à connaître la Russie et vous savez beau­coup de choses qu'il est difficile d'expli­quer à vos compatriotes. Ne perdez pas cou­ra­ge, gardez votre énergie, poursuivez vos efforts.

 

Q.: Au vu de la décadence dominante, quelles sont, à votre avis, les chances d'un renouveau spirituel et éthique chez les Russes et les Allemands?

 

AS: Oh, le chemin sera long avant que les peuples de Russie et de notre communauté ne recouvrent la santé morale. L'Allemagne, elle aussi, se trouve dans une triste situation, une situation pathologique, et peu de temps nous res­te pour retrouver la voie de la convales­cen­ce et de la guérison.

 

Q.: Quelle est votre tâche principale, aujourd'hui?

 

AS: Depuis six ans déjà, je ne réponds plus aux questions que me posent les médias occi­den­taux. Mon devoir, c'est d'écrire des livres. Et ce qui me reste à faire est titanesque. 

vendredi, 08 janvier 2010

La Russia sbarra il passo allo scudo antimissile USA

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La Russia sbarra il passo allo scudo antimissile Usa

 

Gli stati canaglia-terroristi e i nemici della globalizzazione

 

di Federico Dal Cortivo / Ex: http://www.italiasociale.org/

La Russia è decisa a creare le misure adatte per contrastare il tentativo neppure tanto nascosto degli Stati uniti di accerchiarla, mediante stati “vassalli” e uno scudo antimissile, che nelle intenzioni di Washington, dovrebbe essere costituito in funzione anti-terrorismo. Se il primo motivo è quello più temuto dai Russi, il secondo ,sia pur non più così in voga come ai tempi di Bush , resta pur tuttavia una reale possibilità.
Ma per la politica globale Usa, vi sono anche altri obiettivi, i cosiddetti” terroristi”, che sono tutti coloro che si oppongono alla politica egemone della globalizzazione, dal Venezuela di Hugo Chavez, alla Corea del Nord, dall’Iran alla Russia. Nel recente passato vi erano inclusi anche la Serbia di Milosevic, rea di interpretare una via autonoma in politica interna ed estera, e l’Iraq di Saddam, vecchio alleato degli Stati Uniti ai tempi della guerra contro l’Iran di Khomeini, trasferito poi nella lista dei cattivi quando c’era da impossessarsi delle immense riserve petrolifere di cui abbonda il sottosuolo iracheno.

E di queste giorni la notizia proveniente da Vladivostok ,nell’Estremo Oriente, per bocca del Primo Ministro Putin, che la Russia svilupperà nuove armi offensive per contrastare le batterie antimissile statunitensi, questo a salvaguardia dell’equilibrio internazionale che si regge sulla reciproca dissuasione. Nulla di nuovo quindi da parte della Russia, che negli ultimi anni ha ripreso in mano il proprio destino grazie all’accorta politica di Putin e di Medvedev. Russia che ha già dato prova della propria fermezza durante le operazioni militari condotte in Georgia, sbaragliando in poco tempo le forze locali appoggiate dai consiglieri israeliani e dell’Us Army.Ma non è solo la Russia ad impensierire la politica estera di Washington, proprio nel cosiddetto cortile di casa si stanno materializzando “nuovi nemici” . L’America Latina sembra aver imboccato una strada a senso unico che va a cozzare contro gli equilibri che gli Stati Uniti avevano sapientemente costruito per meglio depredare il continente delle sue immense ricchezze naturali, fondamentali per l’industria statunitense,per non dire vitali. La Bolivia di Evo Morales, l’Ecuador di Rafael Correa e il Venezuela di Chavez stanno creando un fronte unico incentrato sull’alleanza politica Alba, che a fatto proprie le idee rivoluzionarie di Simon Bolivar e del migliore socialismo nazionale. E se il Brasile di Lula ancora indugia su dove posizionarsi apertamente e l’Argentina della presidente Kirckner potrebbe fare la differenza in un prossimo futuro tra chi ha scelto la via nazionale e socialista e chi è ancora vassallo Nord Americano come Cile ,Perù e Colombia ; qualcosa sta finalmente cambiando negli equilibri di questa parte del mondo. Un nuovo asse di speranza sta nascendo e ha gettato le proprie basi , lo si potrebbe chiamare Sud-Sud oppure America Latina - Eurasia, sta di fatto che il recentissimo viaggio del presidente iraniano Ahmadinejad che ha toccato Brasile, Venezuela e Bolivia, è doppiamente significativo: sotto il profilo geopolitico è volto a creare quell’alleanza che permetterà all’Iran di uscire da una sorta d’isolamento in cui l’Occidente lo vorrebbe relegare( la Russia al momento è troppo impegnata nel delicato scacchiere dei rapporti con Washington e si è per il momento defilata dal prendere una posizione più netta nei confronti di Teheran)e al tempo stesso darà la possibilità alle nazioni Latino Americane di avere un alternativa all’Occidente con cui relazionarsi, da affiancare ai buoni rapporti con Russia , Cina e India. Sul versante economico invece gli accordi bilaterali che sono stati stipulati durante la visita del presidente iraniano, rappresentano un qualcosa di assolutamente nuovo perché non sono più basati sul rapporto sfruttatore e sfruttato, con tutto quello che ne consegue in termini di intromissione negli affari interni del continente Sud Americano, ma su base paritaria, volta al reciproco sviluppo.

Tutto ciò non poteva non provocare apprensione al Dipartimento di Stato, che come al solito ha scatenato la ben oliata macchina mediatica tesa a criminalizzare tutti coloro che si oppongono alla globalizzazione o al cosiddetto “ volere di Washington”. E così come da copione non passa giorno che dalle colonne del Financial Times, New York Times, fino ad arrivare agli allineati Le Monde e Corriere della Sera, non si faccia l’esame di democrazia agli Stati canaglia, non si enfatizzi marginali episodi di piazza, come di recente in Iran, che riguardano sparuti gruppi di protesta, su una popolazione che sfiora i settanta milioni di persone. Inflazionato è poi l’uso del termine “regime”, per designare tutti gli Stati sulla lista nera Usa,così come dare del dittatore anche a chi come Chavez o lo stesso Ahmadinejad sono stati regolarmente eletti in libere elezioni. Ma questi sono dettagli e fanno parte del copione recitato da oltre un secolo dalle plutocrazie occidentali ogni qualvolta volevano scatenare una guerra d’aggressione,oggi anche affiancate dal “cane da guarda sionista”, che per sopravvivere in un mondo sempre più arabo, e dopo essersi macchiato ripetutamente di “crimini di guerra”, ha l’estrema necessità delle inarrestabili forniture di armi a fondo perduto che la potenza Nord Americana elargisce a piene mani.

E proprio l’entità sionista, dotata di armi nucleari, rappresenta il pericolo più grave per la pace del Vicino Oriente e non certamente la Repubblica Islamica dell’Iran, che cerca solamente di dotarsi di centrali nucleari in prospettiva futura, quando anche l’abbondante petrolio della regione comincerà a scarseggiare.
Israele ha manifestato più volta la precisa volontà di un attacco preventivo volto a distruggere gli impianti nucleari iraniani, la sua aviazione avrebbe già pronti i piani operativi, ma su tutto necessita sempre il disco verde degli Usa e la collaborazione dell’intelligence statunitense ed eventualmente delle sue aereo cisterne strategiche, le sole che possano garantire la riuscita di un attacco ad una distanza maggiore di quello già effettuato dalla Israeli Air Force nel 1981 contro il reattore nucleare di Tammuz in Iraq.
Per funzionare il piano israeliano deve essere pressoché perfetto ed anche per l’allenata macchina bellica sionista la cosa potrebbe presentare qualche problema di troppo, sempre che non ci metta lo zampino il potente alleato di sempre che ha tutt’oggi un interesse primario nel vedere scomparire l’attuale governo iraniano . “Dopo aver distrutto i centri nevralgici della sua economia, ecco pronto qualche doppiogiochista alla Karzai, che consegnerebbe il Paese alle grandi Corporation statunitensi, libere di mettere le mani sulle grandi riserve petrolifere iraniane”. Ma il grande incubo degli Stati Uniti è la possibilità neppure tanto remota, che le future transazioni del petrolio possano essere fatte non più in dollari ma in euro,e la costruenda borsa di Kish potrebbe segnare la svolta.

In questo progetto monetario,l’Iran ha incontrato il favorevole appoggio di Caracas e un domani vicino potrebbe trovare l’assenso della Russia e della Cina, trascinandosi dietro l’India ed altri Stati Latino Americani.” Nel 2003 Giampaolo Caselli esperto di economia politica scriveva:Tutti i contratti petroliferi sono fatturati in dollari, qualora alcuni Stati produttori dovessero preferire l’euro, il tasso di cambio fra le due valute sarebbe sottoposto a ulteriore tensione, e si comincerebbe ad assistere alla sostituzione del dollaro con l’euro come moneta di riserva di molti Paesi produttori di petrolio, ed eventualmente da parte della Cina ,che ha già annunciato un tale movimento di fronte alla perdita di valore del dollaro.”(1)
Nel 2000 fu proprio la decisione di Saddam Hussein di adottare l’euro come moneta per i pagamenti delle forniture del piano Oil for food ad innescare il processo che portò poi alla guerra del 2003. Ora gran parte degli scambi di idrocarburi avviene sulle borse di Londra e New York, in pratica gli angloamericani controllano le maggiori transazioni a livello mondiale, la borsa di Kish, sarebbe un’azione ostile verso gli interessi vitali degli Stati Uniti e il fatto che il dollaro sia l’unica moneta finora utilizzata permette alla sofferente economia Usa di finanziare gran parte del proprio enorme passivo. Nel vertice degli Stati dell’Opec nel 2007 affiorò una linea di pensiero che sinteticamente così recitava:L’Impero del dollaro deve finire”, dissero all’unisono Chavez e Ahmadinejad .
La sfida per i futuri assetti economici non è mai cessata, ma ora stanno entrando in campo diverse variabili a livello geopolitico che potrebbero riservare non poche sorprese nei prossimi anni, con un mondo che potrebbe non essere più unipolare, con la potenza egemone attuale costretta sulla difensiva su vari teatri, anche se i rischi di pericolosi colpi di coda ed annesse guerre di aggressione sono sempre possibili…Ma intanto Mosca ha deciso di giocare da subito la carta del riarmo. Come dicevano i Romani,che di queste cose se ne intendevano “Si vis pacem para bellum”.


Federico Dal Cortivo


1)”I predatori dell’oro nero e della finanza globale”.
Benito Livigni

SISTEMA DI DIFESA ANTIMISSILE IN EUROPA


Il Progetto dell’Amministrazione Bush


L’Amministrazione Bush e la MDA (Missile Defense Agency, Agenzia per la Difesa Antimissile) presentano il sistema di difesa antimissile americano, inclusa la sua componente da basare in Europa, come uno strumento urgente ed essenziale per garantire la protezione del territorio statunitense ed europeo da un attacco missilistico da parte di quelli che essi chiamano “stati canaglia”, quali la Corea del Nord e l’Iran ( eventualità alquanto improbabile).
Il sistema europeo di difesa antimissile, GMD (Ground-based Midcourse Defense, Difesa basata a terra contro i missili in fase intermedia di volo), sarebbe uno degli elementi del più vasto BMDS (Ballistic Missile Defense System, Sistema di difesa contro i missili balistici), analogo alla componente già basata in Alaska e in California. Quest’ultima è costituita, oggi, da una ventina di missili intercettori a tre stadi (diventeranno più di quaranta entro tempi brevi) per proteggere il territorio statunitense da un attacco missilistico da parte di stati come la Corea del Nord.
 

02/01/2010

Catherine II prend la Crimée

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8 janvier 1784 : Le Sultan ottoman est contraint de céder la Crimée à la Tsarine Catherine II. Celle-ci avait pour politique principale d’étendre la Russie vers le Sud, vers la Mer Noire et le monde grec. Elle avait tourné le dos à la politique russe antérieure, qui était de prendre la Baltique toute entière et d’affronter, pour y parvenir, le royaume de Suède et la Pologne. Catherine II tourne donc toutes ses forces vers le Sud. L’année précédente, elle avait protégé le khan de Crimée contre ses sujets révoltés, alors que ce khan était vassal de la Sublime Porte. Celle-ci est trop affaiblie pour réagir, et l’ambassadeur de France, Vergennes, dissuade le Sultan de riposter. Vergennes participe à une grande politique continentale : la France n’est plus l’ennemie de l’Autriche, car Louis XVI a épousé Marie-Antoinette ; et Joseph II, Empereur d’Autriche, qui a succédé en 1780 à sa mère Marie-Thérèse, souhaite la paix avec la France et avec la Russie. Implicitement, il existe à l’époque un Axe Paris/Vienne/Saint-Pétersbourg, donc une sorte de bloc eurasiatique ou eurosibérien avant la lettre. Quand Catherine II prend la Crimée, en rêvant d’y réaliser une synthèse russo-germano-grecque, l’Empereur Joseph II gagne pour l’Autriche le droit de faire circuler ses navires dans les Détroits. Contrairement à ce qui va se passer à la fin du 19ème siècle, après l’occupation de la Bosnie par les Autrichiens en 1878, il n’y avait pas, au départ, d’animosité russo-autrichienne, mais un franc partage des tâches, dans une harmonie européenne, que la révolution française, invention des services de Pitt le Jeune, va ruiner.

 

 

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8 janvier 1792: Traité de Jassy

catherine_the_great.jpg8 janvier 1792: Comme les souverains de Prusse et d’Autriche souhaitent mobiliser tous les efforts militaires de l’Europe pour vider le chancre de la révolution française, pure fabrication des services secrets de Pitt le Jeune et non soulèvement populaire et “démocratique” comme le veulent les légendes colportées depuis lors, les Autrichiens sont contraints d’abandonner toutes les conquêtes récentes qu’ils venaient de faire dans les Balkans. A cause des voyous parisiens stipendiés par l’Angleterre, la Russie se retrouve seule face aux Ottomans de Sélim III qui tentent de profiter de l’aubaine pour réaffirmer leur présence en Serbie. Le peuple serbe est l’une des premières victimes collectives du chancre sans-culottes, on l’oublie trop souvent, car les Autrichiens, pour faire face à une France dévoyée ont dû suspendre leur protection et ramener une bonne partie de leurs troupes à l’Ouest, où l’alliance implicite de la France et de l’Autriche, sous Louis XVI et Joseph II, les avait rendues inutiles. Néanmoins, l’armée de la Tsarine Catherine II parvient à écraser les troupes ottomanes à Mashin, le 4 avril 1791. Le Sultan ne peut plus formuler d’exigences. Il devra entériner le Traité de Jassy, signé le 8 janvier 1792.

 

Dans les clauses de ce Traité, les Ottomans acceptent l’annexion de la Crimée à la Russie et la suzerainté russe sur la Géorgie othodoxe, libérée du joug musulman. Le Dniestr devient la frontière entre les empires russe et ottoman. Cette extension russe permet aux Tsars de dominer la Mer Noire, ce qui leur vaudra l’inimitié tenace de l’Angleterre, une inimitié qui se concrétisera lors de la fameuse Guerre de Crimée (1853-1856), où la France sera entraînée. Ensuite, la présence russe sur le Dniestr pèse sur les “Principautés” danubiennes, la Moldavie et la Valachie, que Vienne entendait dominer afin de contrôler l’ensemble du cours du Danube, jusqu’à son delta et d’obtenir ainsi une fenêtre sur la Mer Noire. Le Traité de Jassy jette donc aussi les bases de l’inimitié entre la Russie et l’Autriche, qui compliquera considérablement la diplomatie du 19ème siècle et constituera l’un des motifs de la première guerre mondiale.

 

Si l’on jette un coup d’oeil sur la situation actuelle dans la région, nous constatons que les Etats-Unis ont repris en quelque sorte le rôle de la thalassocratie anglaise: ils sont les protecteurs de la Turquie, en dépit d’une mise en scène où celle-ci fait semblant de branler dans le manche et d’adopter, avec Davutolgu, une diplomatie autonome; en tant qu’héritiers de la politique pro-ottomane de l’Angleterre du 19ème siècle, ils veillent aussi à détacher la Crimée de la sphère d’influence moscovite, en pariant sur le contentieux russo-ukrainien et, aussi, à arracher la Géorgie orthodoxe à l’influence russe. Les Etats-Unis ont pour objectif de défaire les acquis du Traité de Jassy de 1792. Nous constatons également que la frontière sur le Dniestr constitue aujourd’hui aussi un enjeu, avec la proclamation de la  république pro-russe de Transnistrie, face à une Moldavie qui pourrait se joindre à la Roumanie et, ainsi, se voir inféodée à l’OTAN et à l’UE.

 

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lundi, 04 janvier 2010

Les 25 mythes russophobes

POUTINE-2-20080506.jpg

Alexandre LATSA :

http://alexandrelatsa.blogspot.com/:

Les 25 mythes russophobes

A l'occasion de l'année de la France en Russie, en 2010, j'ai choisi de terminer l'année 2009 sur une petite synthèse du travail de re-information et de décodage de la scène Russe, effectué via ce blog. 
L'idée de cet article m'a été soufflée par Anatoly de sublime oblivion, qu'il en soit remercié. 


Cet article tombe à point puisque le Figaro vient de publier avec de l'encre "orange" un article qui me permet d'attribuer à son auteur le prix du Russophobe de l'année. J'incite tous mes lecteurs à signaler leur mécontentement au Figaro, soit en contactant directement le journal, soit en postant un commentaire à la suite de l'article. Seul ce travail commun et quantitatif peut avoir une influence sur les contenus des articles, alors manifestez vous !


Voila ce sera tout pour 2009. 


Je souhaite à tous mes lecteurs une bonne fin d'année, je les remercie de leur soutien grandissant et leur confirme ma grande détermination à continuer mon travail en 2010, avec de nombreux projets pour rendre le blog plus populaire, plus interactif, et avec sans doute l'arrivée de nouveaux participants ;)


**


1 - Sous Poutine, la vie ne s’est améliorée que pour les Riches et les Oligarques, et les pauvres n’ont pas vu une augmentation de leur niveau de vie.
Faux, sous le gouvernement Poutine, la pauvreté a considérablement diminué. Le taux de Russe vivant sous le seuil de pauvreté est passé de 35 à 23% de 2000 à 2004 et était tombé à 13,5% en 2008 (avant la crise).
2000 (arrivée de poutine au pouvoir): 35%
2004 (fin du premier mandat Poutine): 23%
2008 (fin du second mandant Poutine): 13,5%
Mémo : Il est à noter que en France en 2007 : 13,7% de la population vivait sous le seuil de pauvreté. 


2 - La spirale démographique Russe devrait voir la population de ce pays diminuer à moins de 100 millions d’habitants contre 142 millions aujourd’hui.
Faux. Il est très fréquent de « lire » en effet que le taux de natalité est bas, que le taux de mortalité est élevé, ainsi que le taux d’avortements et de suicides, et que la Russie perdrait inexorablement 700.000 habitants par an. Pourtant ce n’est pas le cas.
En 2005 la population russe a décrue de 760 000 habitants, ce qui était le record absolu.
En 2006 la baisse n’a été « que » de 520 000 habitants.
En 2007 la baisse n’a été « que » de 280 000 habitants.
En 2008 la baisse est de a peu près 116.000 habitants
En 2009 la population a augmenté de 12.000 personnes, la natalité ayant augmenté de 3% sur l’année 2009 et ce malgré la crise économique. Les mesures Medevedev de 2005 ont donc eu un résultat absolument foudroyant.
Mémo : Aujourd’hui les prévisions démographiques Russes ne sont donc pas plus pessimistes que celles de la Chine ou bien de pays du G7 comme l’Allemagne.


3 - Sous Poutine en Russie il y a une baisse des droits de l’homme, plus de 200 journalistes ont été assassinés et la Russie revient à son passé « totalitaire ».
Pas de chance seulement 3% des Russes sont d’accord avec ce point de vue ! En plus si sous le règne de Poutine 17 journalistes ont malheureusement trouvé la mort, c’est bien moins que sous Eltsine (30 morts).
Selon la CIA elle-même , si la Russie est le 4ième pays au monde pour le nombre de journalistes tués depuis 1992, elle n’est que 14ième au ratio du nombre de journalistes assassinés / nombre d’habitants dans le pays, devant Israël et l’Algérie et juste devant la Turquie qui prétend entrer dans l’UE.
Egalement, au classement des pays ex URSS, la Russie n’est que 5ième (sur 13) derrière un pays membre de l’UE, la lettonie.
Enfin il faut rajouter que en 2009, au classement du nombre de journalistes emprisonnés, la Russie est  au même niveau que le Vietnam ou encore la Turquie, candidat à l’UE.


4 - L’économie Russe est basée uniquement sur les matières premières, et la sévérité de la récession de 2009 l’a bien montré.
Personne n’a jamais nié que la Russie (comme d’autres états) est  extracteur et exportateur de matière première. Néanmoins ce n’est pas cela qui a contribué à ce que la Russie subisse la crise de 2009, puisque son économie est relativement fermée et que la demande intérieure est restée forte, ce qui  permet théoriquement de soutenir l’économie.
Par contre les coupures de crédits par les banques occidentales (chez qui les sociétés russes avaient empruntés) ont grandement contribué à freiner le développement économique du pays. En outre, les  appels du département Américain en 2008 a sanctionner la Russie  après l’affaire Georgienne ont grandement contribué à accroitre l’instabilité économique et faire sortir les capitaux de fin 2008 à fin 2009 (anglo saxons en grande partie).


5 - La Russie a brutalement envahie la Géorgie en aout 2008.
En réalité quelques heures après son discours télévisé promettant à tous les habitants de la Georgie la « paix », les chars ouvraient le feu sur l’Ossétie. Aidé par des conseillers militaires et mercenaires Américains, Ukrainiens et Israéliens, ces attaques allaient tuer des civils et des soldats de maintien de la paix sous mandat de l’ONU. Malgré toute la propagande à vouloir laisser paraitre que c’était la partie Russe l’agresseur, la réponse militaire Russe a été juste et proportionnée. Plus que tout, le gros des infrastructures Georgiennes a été épargné (notamment énergétiques) et la capitale pas touchée.
Le rapport de la mission internationale sur ces événements à rendu un rapport le 01 10 2009 affirmant que la Géorgie était à l’origine du déclenchement des troubles militaires et avait la première ouvert le feu (sur l’Ossétie).
En outre, de nombreux trucages photos à destination des Occidentaux ont été fournis, par exemple ici, la ou ici.
Question : pourquoi personne ne s’émeut des manifestations interdites de l’opposition Georgienne, des arrestations d’opposants et des assassinats d’opposants Georgiens à l’étranger ?


6 - Les « libéraux » Russes sont les défenseurs des libertés individuelles et ne peuvent librement agir politiquement car le Kremlin les en empêche.
Ce n’est pas tout à fait exact, les libéraux Russes ont toujours pu librement participer aux élections et exister politiquement en Russie mais leur influence politique ne cesse de baisser (12 % aux élections législatives de 1993, 7 % aux élections législatives de 1995 et 1999, 4 % en 2003, 2 % en 2006 ..)
En outre le modèle de société calquée sur l’occident n’attire « plus » une population Russe qui a beaucoup voyagé (1/4 des citoyens est déjà allé en Europe) et est consciente de ses intérêts a ne pas brader la souveraineté nationale. Enfin les méthodes des kasparov et consorts à organiser des manifestations coup de poing manifestation déclenchées sans autorisations légales (de façon à être délibérément arrêtés) et avec des banderoles en Anglais (à destination des médias étrangers sans doute) ne le rendent pas du tout crédible aux yeux des Russes.


7 - Les Russes sont des racistes, sexistes et haïssent l’Occident.
Les Russes ne sont pas racistes puisque leur pays est absolument multi ethnique et multi confessionnel. Il n’y a pas plus (sinon moins) de racistes en Russie que dans les autres pays dits civilisés (Amérique, Allemagne, Ukraine ..).
Quand aux femmes, les sociétés Slaves sont matriarcales, les femmes y jouent un rôle économique essentiel, et jouissent du droit de vote et à l’avortement depuis bien longtemps. Pou le droit de vote : 30 ans avant les Françaises !


8 - La Russie est agressive avec ses voisins géographiques proches.
Contrairement aux autres grandes superpuissances, la Russie n’a jamais envahi militairement un autre état. Enfin, de nombreux ressortissants des états voisins seraient d’accord pour que leur état ré-intègre la fédération de Russie .


9 - La Russie est frappé par un SIDA endémique.
On lit partout que la Russie comprendrait une part énorme de sa population séropositive etc En réalité, le scan (test) de la population est presque terminé et le gros des séropositifs à été identifié (donc testé). Le plateau a été atteint en 2002 et la tendance depuis est à la baisse sauf dans certaines populations très identifiés (narcomanes par injections, prostituées, prisonniers..)
Par conséquent l’épidémie de sida si elle reste importante (comme dans tous les pays développés) semble sous contrôle et ne devrait pas prendre une tournure sub-saharienne. 


10 - Une nation avec une natalité de type européenne et une mortalité à l’Africaine ne peut avoir aucun avenir.
Et pourquoi cela ?
La baisse de la natalité post soviétique est due à la situation économique des années 90 et au choc moral et économique créé par l’effondrement de l’URSS, hors depuis cette période la natalité est remontée et de type Européenne aujourd’hui (point 2), rien ne dit qu’elle ne soit pas plus élevée demain ou après demain.
Quand à la surmortalité, elle est aujourd’hui est néanmoins en baisse et ne touche que les hommes âgés de cette période, hors ceux la ne contribuent pas à la natalité Russe (ils sont déjà pères, voir grand pères).


11 - L’inégalité est en Russie très forte, du niveau de la Russie Tsariste et cela est aggravé par une corruption endémique. Tout cela s’est aggravé depuis l’arrivé de Poutine au pouvoir.
L’économie Russe est une économie originale, ni totalement libérale, ni  totalement autoritaire. Elle est une économie mi ouverte, mi fermée, est marquée par un très fort  interventionnisme de l’état et une corruption relativement élevée, ce que personne ne le nie.
Néanmoins depuis l’arrivé au pouvoir de Vladimir Poutine, la guerre contre les « oligarques » a été menée avec succès. La presse Occidentale, qui fustigeait ces oligarques enrichis dans les années 90 s’et mise très curieusement a fustigé Poutine lorsque celui-ci à commencer à les mettre au pas. Pour quelles raisons ?
Plus sérieusement, comme le précisait le président 
d’un groupe de sécurité économique lors d’un forum au sénat Français : «  le temps où de méchants garçons en blouson noir venaient frapper aux portes est révolu depuis les années 1995. Le temps est également révolu -depuis les années 2000- où les acteurs informels « rouges » (c'est-à-dire les administrations telles que la police ou les associations des anciens des Services spéciaux) remplaçaient les acteurs informels « noirs ».  L'époque actuelle est presque celle des relations de marché civilisées en Russie ».



12 - La Russie a réprimée dans la violence la plus terrible l’insurrection tchétchène dont les combattant ne souhaitaient que l’indépendance et sortir du Giron Russe.
Faux, après la première guerre en Tchétchénie (1995) et le retrait Russe, les Tchéchènes vivaient une indépendance de facto. La situation a terriblement dégénèré, des groupes mafieux islamistes sous influence étrangère (wahhabites) ont commencé à terroriser la population et des raids militaires ont été effectués par des milices dans les états voisins pour tenter de déstabiliser le Caucase et établir un califat islamiste, indépendant de la Russie. Hors la Tchétchénie se situe « en » Russie et la grande majorité des Tchétchènes ne veut pas l’indépendance mais la paix.
Depuis la fin de la seconde guerre de Tchétchénie, le pays est dirigé par Ramzan Kadyrov d’une main de fer, mais un état légal existe, le pays est presque pacifié et la reconstruction quasi terminée.


13 - Le programme spatial Soviétique a été développé par des « prisonniers » de guerre Allemands.
Malheureusement pour l’Allemagne, le programme Spatial Soviétique est le fait des Russes (comme Korolev), qui n’ont eux pas bénéficié du plan Marshall pour reconstruire le pays après la seconde guerre mondiale. A l’inverse, de nombreux prisonniers Allemands ont été capturés et utilisés aux Etats-Unis pour contribuer au développement, le plus célèbre étant le savant nazi Von Braun.


14 - La Russie n’a pas permis de transition démocratique, Poutine à mis en place sa marionnette Medevedev.
Poutine est régulièrement mal traduit, volontairement mal interprété et systématiquement présenté comme un « dictateur », un « non  démocrate ». Lorsque Medvedev a été élu, la presse nous a assuré qu’il n’en était rien, que rapidement celui c i allait démissionner, ou changer la loi afin que Poutine soit de nouveau au pouvoir. Au final il n’en a rien été, il ne s’agissait une fois de plus que de dénigrements. Le duo Poutine-Medvedev marche main dans la main depuis les années 2000 (il y a 10 ans). 


15 - La situation est catastrophique en extrême orient, colonisé par les Chinois, demain la Sibérie sera entièrement Chinoise !
Les relations Russo-chinoises n’ont jamais été mauvaises, malgré ce qu’affirment les « spécialistes Occidentaux ».  Tout d'abord il n'y a pas une "invasion" de Chinois comme on aimerait nous le faire croire. Plus surprenant, une étude de 2008 a tracé le portrait d'un "migrant Chinois Typique, en interrogeant 1000 personnes dans toutes les grandes villes de Russie. Voila ce qu'il en ressort : 60% sont des hommes, 20% ont une éducation supérieure (la moyenne Chinoise étant de 12%). 94% travaillent et la grande majorité est issue des villes frontalières de la Russie. Plus de la moitié sont auto entrepreneurs et font du commerce.
La grande question est "combien" sont-ils ? D'après le FMS, 200.000 en 2006 et 320.000 en 2007, dont de nombreux travailleurs saisonniers. Bien sur cela ne compte pas les clandestins mais jusqu'à présent, malgré les hurlements de certains (Golts, Latynina..) pas de ville millionnaire Chinoise n'a été découverte en extrême orient Russe. Néanmoins un chiffre de 500.000 (dont les 2/3 de migrants légaux et saisonniers) semble être un chiffre raisonnable.  " En face" de cela il y a 5 millions de Russes. 


Même si les Chinois devaient abandonner leur « objectif » du sud est asiatique (ce qui est improbable) et chercher un conflit avec la Russie (encore plus improbable), la supériorité militaire Russe (notamment nucléaire) est largement dissuasive.


16 - La Russie à prouvée qu’elle n’était pas un partenaire fiable pour l’oues, notamment pour les approvisionnements énergétiques (cf : les coupures de gaz).
Lorsque l’on regarde en détail  « qui » à réellement agressé l’autre on est en droit de penser l’inverse en fait. S’est t’on posé la question de savoir ce que due doivent penser les Russes de l’extension à l’est de l’OTAN, de l’affaire du Kosovo, du traitement des minorités Russes dans les pays Baltes, de l’agression militaire Georgienne, des révolutions de couleurs financées par la CIA etc) ?
De la même façon, les coupures d’approvisionnements de l’hiver dernier ont été déclenchées par l’Ukraine qui n’a pas payé la Russie pour le gaz qu’elle a acheminée sur « son » territoire.
La Russie alimente depuis très longtemps la Turquie en gaz (depuis 2003 via Blue Stream) et il n’y a jamais eu de tels problèmes, preuve s’il en est que la Russie est un partenaire et un fournisseur fiable.


17 - Les Russes exagèrent les accusations de « discriminations » qui frapperaient leurs ressortissants en Estonie et en Lettonie.
Non, de nombreuses associations des droits de l’homme Européennes ont pointé du doigt la terrible situation de ces minorités Russes, brimées à différents niveaux : administratifs, linguistiques, pour l’accès au travail etc.
La conséquence est que dans ces états ¼ de la population est coupée d’un droit à l’enseignement et n’a même pas accès à la citoyenneté ! Certains n’étant pas Russes (ils ont les passeports Soviétiques), ils se retrouvent « sans » nationalités, apatrides et traités comme des citoyens de seconds rangs, le tout au cœur de l’Europe.
Dans ces mêmes états, des marches de vétérans SS sont tolérés et les monuments Soviétiques sont effacés, des russes sont tués et l’UE ne dit rien.


18 - Le potentiel militaire Russe est totalement obsolète, sa doctrine militaire également et la Russie serait incapable de « tenir » une éventuelle confrontation avec la Chine ou l’OTAN.
La réalité est autre : la Russie développe actuellement une quantité d’armes de toutes sortes et de très hautes technologies, que ce soit les chasseurs militaires, les bombardiers lourds, le matériel de surveillance ou encore les armes de destruction massive (boulava, voivoda).. etc.
La guerre en Géorgie a prouvé la supériorité militaire de l’armée Russe sur une armée entrainée et « aidée » par l’OTAN depuis 5 ans.
La nouvelle doctrine militaire Russe est tout sauf obsolète et liée au « plan 2020 », les propositions récentes du Kremlin sur un « nouvel ensemble de sécurité continental » étant au contraire visionnaires et futuristes.  Enfin, le plan de modernisation de l’armée est considérable.


19 - La société civile a été annihilée par Poutine, et le système judiciaire est « tenu ».
En réalité, le nombre de plaignants allant au tribunal à considérablement augmenté entre 1999 et 2009 puisqu’il a été augmenté par six ! Le système des « jurés » a été introduit en Russie et les plaignants gagnent désormais 71% de leurs procès contre l’état. De plus un système d’aide juridique gratuite existe.
L’image des ONGs brutalisées par le pouvoir vient de l’expulsion de la Freedom House en 2004 pour non paiement de loyer. Mais quand on sait les activités révolutionnaires oranges de telles associations, il est normal que le pouvoir est saisi la « première » occasion pour les faire interdire.


20 - Khodorkovsky  a été injustement arrêté et détenu alors que c’était juste un entrepreneur efficace et ouvert aux idées libérales de l’Ouest.
Khodorkovsky est détenu pour des comportements frauduleux, illégaux (corruption, soudoiement, détournement et évasion fiscale..). Plus de la moitié des Russes jugent normal son arrestation. (54% en 2006).
Khodorkovsky a également mis en péril l’intérêt national Russe puisqu’il avait prévu de céder Youkos à Exxon, cédant ainsi les matières premières Russes (qui ne lui appartenaient pas) à une société Américaine, le tout au lendemain de la guerre froide. En outre, ces avoirs « personnels » ont été après son arrestation été transférés à Rothschild ce qui semble normal finalement, Khodor est lié aux néo conservateurs US et siégeait à Carlyle avec les proches de Bush.


21 - Eltsine a été un vrai démocrate.
Il a même posé sur un tank, comme ceux qui ouvraient le feu sur la Douma dont les députés (communistes) s’opposaient à ces réformes « libérales / corrompues ».
Il a ensuite déclenché une guerre non préparée en Tchétchénie, qu’il a perdue. Il a nommé des ministres incompétents et voleurs, permis aux oligarques de s’enrichir, pendant que le peuple s’appauvrissait et que des mafias caucasiennes prenaient le contrôle du pays.
Il était alcoolique et ridiculisait la Russie. Il était pour tout cela extrêmement apprécié par les occidentaux.


22 - La Russie se sert de l’énergie pour « tenir » ses voisins et utilise son expansion énergétique au profit de projets politiques.
Un fournisseur a le droit de choisir son tarif, et les clients de payer ou non. Le pays au monde qui utilise l’énergie à des fins politiques est l’Amérique qui se permet de bombarder des pays comme l’Irak et l’Afghanistan.


23 - La Russie est dirigée par des néo-communistes, eurasiens, nationalistes et qui sont avant tout contre l’Ouest et l’Europe.  
Le système politique Russe est très différent des systèmes politiques Européens. Le spectre politique est très large même au sein d’un seul parti. Mais oui c’est vrai les Russes sont très patriotes et cela dans les partis de droite comme de gauche.
Lorsqu'il a été demandé à Vladimir Poutine de quelle idéologie il se réclamait celui-ci a répondu : « vous ne trouvez pas que les idéologies ont fait assez de mal ?»  Récemment, Sergueï Lavrov affirmait que la Russie se sentait part de la civilisation Européenne.


24 - La Russie sera un califat islamique en 2050.
La réalité est tout autre, les russes ethniques représentent 80% de la population du pays.  Selon un sondage de 2006 seulement 6% des citoyens de Russie se considèrent comme « musulmans », confortant l’adage que « en Russie la vodka a dissous le Coran ». En outre, même au cœur des zones musulmanes de Russie (tatarstan, bachokorstan..) les « russes de souche slave » représentent plus de 50% de la population.
En outre la fertilité des « Russes de souche » est désormais plus élevée que celle des « musulmans » Russes, hormis dans certaines régions comme la Tchétchénie, mais sa population ne représente que «1% de la population Russe.


25 - Berezovsky a permis l’arrivée de Poutine au pouvoir et est désormais soumis à un harcèlement des autorités Russes, l’empêchant de revenir dans son pays.
Comme le général Lebed disait: “Berëzovski est l’apothéose de cette petite clique au pouvoir qui n’est pas satisfaite par montrer qu’elle vole mais qu’elle le fait en toute impunité. Lebed est mort dans un accident d’hélicoptère.
Le journaliste de Forbes Paul Khlebnikov a écrit un livre sur lui « parrain du Kremlin », en mettant en évidence ces liens avec les mafias, celui-ci est également mort assassiné.
Berëzovski a été mis en cause dans de nombreuses affaires scabreuses et meurtres non résolu. Il a des mandats d’arrêts contre lui en Russie mais également en Amérique du sud.
Il n’est pas surprenant que ce « grand démocrate » soit défendu par nombre d’occidentaux.

mercredi, 30 décembre 2009

La Doctrine Brzezinski et le Caucase

GrandCaucase-b.jpg

 

 

Lorenzo MOORE :

 

 

La Doctrine Brzezinski et le Caucase

 

Malgré la relève de la garde à Washington, depuis l’accession d’Obama au pouvoir, le Caucase reste une « région stratégique » dans la tentative américaine de contrôler totalement ou en partie les anciennes zones d’influence russe en Asie centrale, région riche en matières premières. Sur ce front rien n’a changé en fait : c’était clair depuis la première décision prise par la nouvelle présidence d’augmenter les effectifs américains destinés à renforcer la guerre d’occupation en Afghanistan.

 

La partie est mortelle entre les massacres de Grozny et de Beslan

 

Durant la présidence néoconservatrice de Bush, le Caucase avait à nouveau fait parler de lui avec le double attentat aérien contre deux avions de ligne russes et avec la monstrueuse séquestration des enfants de Beslan, où quelques dizaines de guérilleros tchétchènes avaient pris des écoliers et des parents d’élèves en otage dans un établissement scolaire de la ville principale de la république autonome d’Ossétie du Nord, appartenant à la Fédération de Russie. La confrontation entre Russes et Tchétchènes n’est pas le seul conflit en cours dans la région qui fait le pont entre l’Europe et l’Asie. En Géorgie, le président Mikhaïl Saakashvili, après avoir fait plier la république sécessionniste d’Adjarie, entre la Géorgie et la Turquie, a ensuite mené une attaque, vite avortée, contre l’Ossétie du Sud, dont la population est ethniquement et culturellement la même qu’en Ossétie du Nord mais dont le territoire, jadis autonome en Géorgie, est aujourd’hui indépendant après une intervention russe.

 

L’Ossétie du Sud est indépendante de facto depuis 1993, lorsque les indépendantistes sud-ossètes ont obtenu la victoire lors d’une brève guerre de sécessions contre les Géorgiens, peu de temps après l’effondrement de l’URSS. Les Russes avaient appuyé cette sécession et, grâce aux mouvements indépendantistes d’Ossétie, d’Abkhazie et d’Adjarie, ils ont pu revenir dans la région au sud du Caucase. Dans les petites républiques indépendantes grâce aux efforts des troupes de maintien de la paix, les Russes ont pu construire des bases militaires, leur territoire étant soustrait au contrôle de Tbilissi. Avec l’appui des Etats-Unis, Saakashvili avait réussi en décembre 2003 à chasser du pouvoir Chevarnadze. Ce fut le premier épisode dans le processus de reformulation du projet nationaliste géorgien visant à récupérer les territoires cédés dans les années 1991-93. Ce projet nationaliste géorgien n’est possible qu’avec l’appui des Etats-Unis et d’Israël, qui comptent quelques centaines de militaires sur le terrain, officiellement pour contrer le terrorisme mais en réalité pour entrainer l’armée géorgienne.

 

L’appui de Washington ne provient pas d’un amour subi pour la Géorgie en butte avec ses ethnies rebelles, ossètes et abkhazes, mais d’une volonté de chasser définitivement la Russie de la zone où seront transportés vers l’Europe les hydrocarbures de la Mer Caspienne.

 

Le nouveau président géorgien s’est engagé à construire l’oléoduc Bakou/Ceyhan destiné à acheminer le pétrole de la Caspienne et de l’Azerbaïdjan vers le port turc, en traversant le territoire géorgien. Cet oléoduc mettrait hors jeu le tracé menant au port russe de Novorossisk sur la Mer Noire. Ajoutons que cet oléoduc russe passe par le territoire de la Tchétchénie. On voit dès lors clairement pourquoi le conflit en Tchétchénie revêt une importance stratégique cruciale dans les rapports Etats-Unis/Russie et pourquoi Washington se mobilise (en vain) pour inciter les Géorgiens à éliminer les deux petites républiques rebelles et à chasser les bases russes hors du Caucase méridional. La construction d’un oléoduc entièrement contrôlé par la Géorgie, au moment où l’oléoduc concurrent est continuellement menacé de sabotage par la guérilla tchétchène, garantirait par ricochet le contrôle exclusif par les Américains des ressources pétrolifères du Sud de la Caspienne, tout en isolant la Russie de l’Europe et en complétant l’encerclement de l’Iran.

 

C’est dans ce contexte qu’il faut analyser la guerre qu’a déclenché la Géorgie contre l’Ossétie et l’appui récurrent de Tbilissi à la guérilla tchétchène. Saakashvili avait espéré déclencher une guerre de courte durée pour faire plier les Ossètes, pour provoquer leur fuite vers le territoire de la Fédération de Russie et pour contrôler à nouveau le territoire de peuplement ossète. Les Ossètes savaient bien qu’en cas de défaite ils devaient s’attendre à une « purification ethnique » des plus féroces, visant la « géorgianisation » de leur pays, surtout que les Ossètes n’ont pas oublié les 20.000 morts (presque tous des civils) que leur population a subis lors de la guerre de sécession avec la Géorgie.

 

Les Russes, pour leur part, savent que, s’ils sont chassés de leurs bases d’Ossétie et d’Abkhazie, ils seront mis hors jeu dans le Caucase et que les rébellions au sein des nombreuses républiques autonomes de la Fédération se multiplieraient. C’est ce qui explique la riposte militaire russe, rapide et soudaine, contre l’agression géorgienne. Cette action a donné de facto l’indépendance à l’Ossétie du Sud.

 

La question de l’oléoduc est centrale dans ce conflit : c’est elle qui a failli amener la Russie et les Etats-Unis à un conflit chaud, même si c’eut été par tiers acteurs interposés.

 

Qui souffle sur les braises ? Les patrons et les parrains de l’indépendantisme tchétchène !

 

L’assaut donné contre l’école de Beslan et les massacres qui s’ensuivirent, où les guérilleros tchétchènes ont tué un grand nombre d’otages, des enfants, des enseignants et des parents, suite à l’attaque du bâtiment scolaire par les forces spéciales russes, s’inscrivent dans cette seule et même guerre qui dévaste le Caucase depuis la fin de l’URSS. Il est peut-être vrai, comme aiment à le rappeler les commentateurs des médias occidentaux, que la guerre coloniale russe contre les Tchétchènes a commencé dans la première moitié du 19ème siècle, à une époque où l’expansion de la Russie atteignait les régions méridionales du Caucase. Cette guerre n’a jamais pris fin. Mais il est tout aussi vrai que la nouvelle flambée indépendantiste tchétchène a commencé en 1991, avec la déclaration d’indépendance de la petite république autonome du Caucase septentrional et avec la guerre voulue et perdue par Eltsine qui s’ensuivit de 1994 à 1996. Cette phase nouvelle du conflit russo-tchétchène a les mêmes « sponsors » et les mêmes parrains que le renouveau nationaliste géorgien qui a déclenché l’agression contre l’Ossétie méridionale en août 2008. L’indépendantisme tchétchène moderne était laïque au départ et animé par d’anciens officiers soviétiques, bien décidés à profiter du déclin de la Russie après les journées de confusion de l’automne 1991. Ces hommes voulaient affirmer l’indépendance d’un territoire qui aurait pu compter sur les dividendes du transit pétrolier pour assurer sa prospérité.

 

Mais dans les années qui ont suivi l’affirmation de ce premier indépendantisme tchétchène, les Américains ont ressorti la fameuse doctrine Brzezinski, préalablement appliquée en Afghanistan pour chasser le gouvernement laïque pro-russe. Pour y parvenir, les Etats-Unis ont financé des intégristes islamistes, les talibans, et un mystérieux réseau, Al-Qaeda, construit de toutes pièces sous l’égide américaine en utilisant les services de l’extrémiste wahhabite Osama Ben Laden. Dans le Caucase également, les Américains ont bien veillé à éliminer progressivement tous les leaders laïques pour leur substituer une direction religieuse d’obédience wahhabite. Le financement de ces nouvelles équipes vient en premier lieu de la monarchie saoudienne, désireuse d’étendre sa propre influence politique sur tous les territoires à majorité musulmane, par le biais d’une exportation de la version la plus réactionnaire et la plus obscurantiste de la religion islamique, née dans la péninsule arabique au 18ème siècle et adoptée par la dynastie des Saoud qui régnait à cette époque sur les bédouins du Nadjd qui étaient en conflit permanent avec tous les autres royaumes de l’Arabie péninsulaire et avec les shérifs de La Mecque dont provient la dynastie hachémite (à laquelle appartiennent les rois actuels de la Jordanie).

 

Dans les régions du Caucase septentrional, le wahhabisme saoudien a islamisé l’indépendantisme tchétchène et l’a transformé en une guérilla féroce, qui fait feu de tous bois: attentats suicides, massacre d’otages, guerre ouverte, infiltration sur le territoire russe, etc. Mais le wahhabisme n’agit pas seul: à ses côtés se tient l’une des principales compagnies pétrolières mondiales, la Chevron-Texaco, dont la conseillère pour l’espace caucasien et la responsable pour les politiques locales de cette zone de turbulences, est une dame que le monde entier a appris à connaître au cours de ces dernières années: Condoleeza Rice, déjà ministre de la Sécurité nationale sous la présidence de Bush junior.

 

La présence parmi les guérilleros tchétchènes de volontaires wahhabites, issus des nationalités les plus disparates (il y a parmi eux des Arabes de la péninsule, des Algériens, des Egyptiens, des Afghans, des ressortissants du Bengla Desh, etc.) indique, en outre, que le recrutement de ces effectifs wahhabites inclus dans les forces rebelles tchétchènes s’est effectué depuis le début des années 90 sous le patronnage de l’ISI, le fameux service secret pakistanais, inventeur et soutien majeur du régime des talibans en Afghanistan et responsable de l’organisation politique et militaire des militants wahhabites et déobandistes (les déobandistes relèvent d’une autre école islamiste, aux orientations très réactionnaires, née au 19ème siècle parmi les musulmans d’Inde).

 

Finalement, comme en Afghanistan, on voit fonctionner la synergie entre pétrodollars et idéologie religieuse saoudienne, logistique et formation pakistanaises et supervision géopolitique et géoéconomique par le complexe économico-politique américain. L’intérêt des multinationales américaines dans le développement et le maintien de la guérilla tchétchène est évident: mettre hors jeu toutes les concurrences européennes et asiatiques dans le transport du brut de la Caspienne, et, simultanément, couper l’herbe sous les pieds des monopoles russes. Ces objectifs sont poursuivis en même temps qu’un soutien toujours plus marqué aux oligarchies qui gouvernent sur le mode autocratique les Etats asiatiques issus de la désintégration de l’Union Soviétique: en premier lieu, l’Azerbaïdjan qui possède des gisements aux infrastructures déjà bien rodées. Dans ce contexte, par la création de toutes sortes de menées agressives, les intérêts pétroliers et géopolitiques des Etats-Unis cherchent à saboter les tracés anciens des oléoducs transportant le brut azéri, tracés construits à l’époque soviétique et qui mènent tous vers l’intérieur des terres russes.

 

Si l’on tient compte de ce point de vue, tant l’insurrection tchétchène sur le territoire qui mène au port pétrolier de Novorossisk sur la Mer Noire que la guerre avortée déclenchée par la Géorgie de Saakashvili, ont été in fine concoctées par Washington afin de multiplier les incidents, de déstabiliser la région pour aboutir à un contrôle exclusivement américain des flux d’hydrocarbures. Les présidences américaines successives, qu’elles aient été démocrates ou républicaines, de Carter à Obama, ont poursuivi inlassablement cette politique dont l’intention finale est d’empêcher la Russie de devenir une puissance autonome face aux Etats-Unis. Une Russie autonome serait parfaitement capable de poursuivre l’ancienne politique soviétique de s’opposer au leadership unique des Etats-Unis dans le monde. Les Etats-Unis visent aussi à créer les conditions qui feront de l’immense pays qu’est la Russie un objet pour les spéculations de la finance internationale, téléguidées depuis l’Amérique.

 

Par ailleurs, dans ses visées coloniales sur la Russie, les Etats-Unis ont trouvé en Russie même la collaboration intéressée de cette nouvelle classe composée d’anciens fonctionnaires du parti communiste recyclés en oligarques grâce aux positions clefs qu’ils occupent dans le petit monde des capitalistes de la “nouvelle Russie”. Leur action s’avère destructrice du point de vue du développement de la production industrielle russe mais, en même temps, extrêmement habile pour générer des profits chez les financiers. Ce sont eux qui ont fait gonfler au maximum la bulle financière russe qui a explosé en 1998, entraînant la disparition de l’épargne nationale tout en sauvegardant les immenses fortunes que cette nouvelle classe de capitalistes sans entreprises avait accumulées au cours des années précédentes.

 

La guerre en Tchétchénie a toujours été une bonne affaire pour cette nouvelle classe dominante: même si nous faisons abstraction des profits réalisés par la contrebande et le commerce des armes avec l’ “ennemi” tchétchène, la guérilla islamiste du Caucase septentrional est devenue un excellent prétexte pour dévier le mécontentement russe vers un objectif extérieur et pour décider, finalement, du destin politique de la Russie au 21ème siècle. Pour atteindre ces objectifs, Eltsine lui-même et sa bande ont été définitivement sacrifiés à la suite d’une offensive terrible des guérilleros tchétchènes qui ont placé des bombes à Moscou et occupé des hôpitaux au Daghestan en 1999 (toutes ces actions ont été menées par un chef notable, Bassaïev, concurrent du président tchétchène en exil Makhadov; Bassaïev est également le responsable de l’horrible massacre de Beslan).

 

Après Eltsine, Poutine a pris le pouvoir, en se présentant à la nation comme le président de la renaissance russe. Les règles du jeu ont alors changé, Washington a été tenu en échec, tandis que les oligarques ont été soit expropriés soit contraints à l’exil. Poutine a pu avancer dans la mise en oeuvre d’un capitalisme national russe, capable de développer ses propres infrastructures de production et de renforcer ses liens commerciaux et politiques avec les pays européens. Cette politique a été rendue possible grâce à l’exclusion de cette classe d’oligarques liée étroitement au capital financier américain et à la vente à l’encan des matières premières du pays.

 

Derrière cette attaque indirecte contre la Russie, nous voyons se profiler une alliance en apparence bigarrée entre les intérêts stratégiques américains, les intérêts économiques des multinationales américaines du pétrole, du néo-nationalisme géorgien, du fondamentalisme wahhabite téléguidé par l’Arabie Saoudite et de l’oligarchie financière russe repliée à l’étranger. L’objectif de cette alliance est d’abord de démontrer que Poutine n’est pas en mesure de défendre la Russie en y suscitant un climat qui permettrait à terme de lui substituer un autre homme, plus faible et plus enclin à servir les intérêts de la haute finance internationale en Russie et à l’étranger. Cet objectif ne s’est pas réalisé. Et ce n’est donc pas un hasard si le ministre russe des affaires étrangères, Sergueï Lavrov a déclaré, en critiquant directement les pays occidentaux: “[l’Occident] est indubitablement responsable de la tragédie qui frappe le peuple tchétchène parce qu’il donne l’asile politique aux terroristes. Lorsque nos partenaires occidentaux nous disent que nous devons réviser notre politique, qu’ils appellent ‘tactique’, je les invite à ne pas intervenir dans les affaires intérieures de la Russie”. Lavrov faisait directement référence aux décisions prises par les Etats-Unis et l’Angleterre de donner l’asile politique à deux chefs du séparatisme tchétchène, Ilyas Akhmadov et Akhmed Zakaïev, qui vivent aujourd’hui, l’un à Londres, l’autre à Washington.

 

Il suffit de faire quelques recherches sommaires sur la stratégie préconisée par les milieux libéraux-impérialistes d’Angleterre et des Etats-Unis pour déchiffer aisément la stratégie atlantiste qui visait jadis et vise encore aujourd’hui à soustraire toute la région caucasienne à l’influence russe, parce que cette région est riche en pétrole. Cette stratégie a été remise en selle et en pratique, et à toute vapeur, en 1999 et qui s’inscrit plus généralement dans le fameux “Plan Bernard Lewis”, mis en oeuvre dans les années 70. Ce plan proposait de “miner” toutes les régions se situant au sud du territoire de l’URSS et de les transformer en un “arc de crises”. L’objectif principal envisagé dans ce plan était de déstabiliser à long terme cet ensemble de régions en misant surtout sur le fondamentalisme islamique. Les deux points principaux, où devait se concentrer les attaques indirectes, étaient la Tchétchénie et l’Afghanistan.

 

On ne s’étonnera pas dès lors que, parmi les architectes de ces provocations organisées actuellement dans le Caucase, nous retrouvons Zbigniew Brzezinski, conseiller de Carter pour la “sécurité nationale” et qui fut le premier à adopter les plans géopolitiques mis au point par Lewis pour le compte de l’ “Arab Bureau” de Londres. Brzezinski et Lewis comptaient utiliser le radicalisme islamiste contre le communisme soviétique.

 

D’après une revue fort bien informée, Executive Intelligence Review, la notion d’arc de crise, théorisée par Lewis et Brzezinski, fut reprise en bloc par les présidences Reagan et Bush à partir de 1981. Ce fut en bonne partie grâce aux bons offices du directeur de la CIA William Casey et du chef des services français, Alexandre de Maranches. La promotion des moudjahhidins est ainsi devenue un projet cher aux néoconservateurs, qui l’ont introduit au Pentagone et au Conseil de Sécurité nationale à l’époque de Reagan, notamment sous l’impulsion de Douglas Feith, Michael Ledeen et Richard Perle.

 

En 1999, un centre de coordination destiné à orchestrer les déstabilisations est mis en place: les néoconservateurs justifieront son existence au nom de l’idéologie des droits de l’homme. Quant à la “Freedom House”, fondée par Leo Cherne, elle lance un organisme baptisé “American Committee for Peace in Chechnya” (ACPC), dont l’objectif déclaré est d’intervenir dans les affaires intérieures de la Russie, en avançant l’excuse et le prétexte que la “guerre dans l’aire caucasienne” doit être résolue “pacifiquement”.

 

Mais lorsqu’on consulte la liste de ces pacifistes autoproclamés de l’ACPC, on reste bien perplexe. Les fondateurs de ce caucus sont Brzezinski, Alexander Haig (le secrétaire d’Etat qui avait dit, “c’est moi qui suis aux commandes” quand Reagan fut victime d’un attentat en 1982) et l’ex-député Stephen Solarz. Parmi les membres, nous trouvons: Elliot Abrams, Kenneth Adelman, Richard Allen, Richard Burt, Elliot Cohen, Midge Decter, Thomas Donohoue, Charles Fairbanks, Frank Gaffney, Irving Louis Horowitz, Bruce Jackson, Robert Kagan, Max Kampelman, William Kristol, Michael Ledeen, Seymour Martin Lipset, Joshua Muravchik, Richard Perle, Richard Pipes, Norman Podhoretz, Arch Puddington, Gary Schmitt, Helmut Sonnenfeldt, Caspar Weinberger et James Woolsey. L’ACPC se sert des structures de la “Freedom House” mais aussi de celles de la “Jamestown Foundation”, un centre d’études sur la guerre froide dirigé par Brzezinski et Woolsey, dont le but est de promouvoir des opérations de “démocratisation” dans les Etats “totalitaires”. Ce centre d’études édite une “newsletter”, Chechnya Weekly, pour le compte de l’ACPC, de même que d’autres bulletins de propagande dirigés contre la Chine, la Corée du Nord et d’autres pays européens ou asiatiques qui sont dans le collimateur de Washington.

 

Ce sont les Britanniques qui ont recruté les terroristes du Caucase!

 

Les gouvernants russes savent très bien qu’au moment où, aux Etats-Unis, on créait l’ACPC, le gouvernement britannique offrait une aide toujours plus directe aux milieux terroristes.

 

Dans un série de documents datant du 21 janvier 2000 et adressés à Madeleine Albright, alors secrétaire d’Etat, nous trouvons une missive intitulée: “L’Angleterre doit être mise sur la liste des Etats qui promeuvent le terrorisme”. L’Executive Intelligence Review rapporte comment les autorités britanniques ont facilité le recrutement de certains éléments du djihadisme en Angleterre pour les transporter ensuite clandestinement en Tchétchénie. Dans un document de l’ Executive Intelligence Review (sur: http://www.movisol.org/ ), nous pouvons lire, parmi d’autres révélations: “Le 10 novembre 1999, le gouvernement russe avait déjà présenté ses protestations diplomatiques formelles via son ambassade à Londres, pour les attaques perpétrées contre des journalistes russes et pour l’hospitalité offerte au cheikh Omar Bakri Mohammed, chef d’Al Muhajiroon, aile politique de l’organisation de Ben Laden, qui était le groupe recrutant des musulmans en Angleterre pour les envoyer combattre en Tchétchénie contre l’armée russe. L’organisation de Bakri travaillait librement au départ de bureaux situés dans le faubourg londonien de Lee Valley  —deux pièces dans un centre informatique—  et géraient une entreprise offrant des connections à internet. Bakri a admis que des officiers de l’armée ‘en congé’ entraînaient les nouvelles recrues à Lee Valley, avant de les envoyer dans des camps en Afghanistan ou au Pakistan ou avant de les faire entrer clandestinement en Tchétchénie”.

 

Lorenzo MOORE.

(article issu du quotidien romain “Rinascita”, jeudi 11 juin 2009; trad. franç.: Robert Steuckers).

 

 

 

 

 

 

mardi, 15 décembre 2009

La Russie: enjeux géopolitiques

minsk_parade_may_2005_1_2.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2006

Robert STEUCKERS:

La Russie: enjeux géopolitiques

 

La “Guerre Froide” n’était pas encore finie et on ne parlait pas encore de Gorbatchev, de sa “glasnost” et de sa “perestroïka” que notre courant de pensée rompait, résolument, notamment sous l’impulsion de Guillaume Faye, avec la vision dominante en Occident, où, des ultra-conservateurs aux ultra-libéraux et aux ultra-gauchistes (trotskistes), tous communiaient dans la vision d’une Union Soviétique comme indéfectible croquemitaine, prête à se jeter, vorace, sur les pauvres Etats-agneaux libéraux, démocratiques, etc. On attribuait cette posture infâmante à l’URSS parce qu’elle était, volens nolens, l’héritière de la Russie éternelle, celle des Tsars qui avaient repoussés Mongols et Tatars hors des territoires européens. Aujourd’hui, pour fustiger les tentatives de renouveau du Président Poutine, on voit s’unir les mêmes forces qui, dans l’univers des media, se livrent sans relâche à ce que l’on appelle désormais “une guerre cognitive” (nous disions: “métapolitique”) afin qu’une majorité de citoyens, dans tous les pays du monde et dans toutes les chapelles politiques imaginables, accepte benoîtement l’une variante ou l’autre du discours vulgarisé en dernière instance par les officines de désinformation américaines. La volonté de ces officines est de “faire voir et concevoir” le monde selon les besoins de la politique hégémonique de Washington. C’est-à-dire de faire accepter sur la planète entière une politique qui 1) vise l’élimination ou la réémergence de toutes les puissances “challengeuses” sur les zones côtières d’Asie et d’Europe, soit sur les “rimlands” des géopolitologues anglo-saxons et 2) continue à parfaire l’encerclement et l’étouffement de la grande puissance maîtresse de la “Terre du Milieu” sibérienne, soit un très vaste territoire situé entre l’Europe, l’Inde et la Chine. Cette puissance est évidemment la Russie.

 

Très nombreux sont ceux de nos contemporains qui entérinent sans la moindre critique cette “vision” des relations internationales, où l’on pose systématiquement comme “ringard” ou “passéiste” tout ce qui émane de la “Vieille Europe qui ergote et tergiverse” (dixit Robert Kagan), de la “Russie corrompue non guérie de son passé totalitaire”, de la Chine “cruelle et rétrograde” ou de l’Inde “aux mains des fondamentalistes hindous” (quand le BJP est au pouvoir). Ces discours, largement répétés dans les media, assénés sans relâche, empêchent un vaste regroupement des forces identitaires, de dimensions continentales, cherchent à éviter l’émergence d’un véritable dialogue entre les civilisations, où chacune conserverait le droit d’être tout simplement elle-même, de respecter l’héritage de ses ancêtres (mos majorum, disaient les Romains), au profit d’une panacée insipide et sans mémoire, globaliste et “panmixiste”, ouverte à toutes les manipulations venues de l’unique hyper-puissance restante.

 

En Europe, la première étape d’une riposte à l’hégémonisme américain est d’ouvrir un dialogue constructif avec la Russie et de combattre efficacement l’offensive “cognitive/métapolitique”, qui est en cours aujourd’hui dans toutes les sociétés européennes et véhicule une russophobie systématique, notamment en prenant toujours la défense des terroristes tchétchènes, en minimisant les malheurs vécus par la population russe et en mettant en exergue les moindres déboires des ignobles “oligarques” pour qu’on les prenne en pitié. Le travail des forces identitaires est avant tout de contrer cette offensive, portée par l’alliance tacite, mais bien réelle, des ultra-libéraux et des trotskistes, infiltrés partout dans l’univers médiatique et dans les rouages de cette détestable politique politicienne, où se font toutes ces décisions calamiteuses pour l’avenir de nos peuples.

 

Ce travail métapolitique, que nous avons à parfaire, dès aujourd’hui, sans retard, je le vois articulé autour de quatre réflexions premières:

◊ Des réflexions d’ordre historique d’abord. Contrairement à la vision purement idéelle dominante, qui aime à se parer du qualificatif de “républicaine” en France, l’histoire des hommes et des peuples n’est jamais la simple succession d’épisodes clos sur eux-mêmes. L’histoire se fait, n’est pas terminée, découle très naturellement de tout ce qui l’a précédé depuis la plus lointaine ère proto-historique et cette histoire, nous y participons, nous sommes plongés en elle, que nous le voulions ou non, et notre destin de zoon politikon en dépend inéluctablement. Ce que je viens d’énoncer, ici, en passant, est d’ailleurs le noyau philosophique essentiel de nos idéaux identitaires. En Grande-Bretagne, les écoliers des “grammar schools”, l’équivalent de nos lycées, collèges, gymnases ou athénées, apprennent l’histoire aujourd’hui dans les atlas historiques de Colin McEvedy, historien et géographe écossais. Pour McEvedy, l’histoire n’est rien d’autre que la collision entre des peuples “archétypaux”, parmi lesquels les “Indo-Européens”, les “Hunno-Turco-Mongols”, les “Sémites” de la péninsule arabique, etc. L’histoire tout entière est le produit des vicissitudes, des systoles et diastoles, qui affectent le destin existentiel de ces peuples “matriciels”, qui les font bouger, aller de l’avant ou se recroqueviller sur leur patrie initiale. Les  périodes offensives sont les périodes de gloire; les périodes de repli indiquent un déclin et une misère.

 

Dans les atlas de McEvedy, on peut suivre à la trace la conquête indo-européenne de l’Asie, d’abord de l’Asie Mineure, puis de l’Asie centrale, de la Perse, de l’Inde et du Sin-Kiang, région à partir de laquelle ils ont sans doute, un jour, atteint le Pacifique. Cette formidable épopée des Cimmériens, Scythes, Sarmates, Alains et Sakhes a commencé en –2500 et s’est achevée par le laminage des cultures indo-européennes, dont celle des Tokhariens, par le terrible assaut des Huns, qui s’est terminé, comme on le sait depuis notre école primaire, dans les Champs Catalauniques en Champagne, où les attendaient de pied ferme les troupes romaines, wisigothiques et alaines. Ce sont les Cosaques, à partir d’Ivan IV le Terrible qui vont venger plus de mille ans de défaites européennes, ou de ressacs cruels, face aux hordes venues de l’”Urheimat” des peuples hunniques, turcs et mongols (Huns, Avars, Magyars, Khazars, Pètchénègues, Coumans, Seldjouks, Tatars, Mongols, Horde d’Or, etc.). La politique britannique du 19ième siècle, puis la politique américaine de Théodor Roosevelt à Georges Bush Junior, vont contester cet acquis formidable de l’histoire russe et européenne et tenter d’en disloquer la cohésion. Avec le risque terrible de rendre définitivement aux peuples turco-mongols islamisés les territoires conquis par les peuples cavaliers indo-européens de la proto-histoire et par les Cosaques d’Ivan et de ses successeurs, dont la Grande Catherine II. L’objectif de la géopolitique anglo-saxonne est de réanimer la dynamique destructrice des peuples nomades pour disloquer un territoire, qui, uni, serait inexpugnable. Zbigniew Brzezinski l’écrit clairement. Nos positions identitaires, basées sur “la plus longue mémoire”, nous interdisent de participer à cet ignoble projet, qui nous mettrait à perpétuité à la merci d’invasions incessantes. En Asie, et sur les rives de l’Océan Indien, dans le Pacifique, nous sommes du côté de la Russie, parce que notre survie en dépend. 

 

Medvedev_Putin.jpg◊ Ensuite, il y a des raisons militaires qui doivent faire de nous les avocats d’un tandem euro-russe. Carl Schmitt nous a enseigné qu’un continent, un grand espace (Großraum), était libre si et seulement si aucune puissance étrangère à son espace pouvait y intervenir. Les interventions des Etats-Unis s’effectuent sur toutes les zones névralgiques du point de vue géo-stratégique: l’intervention dans les Balkans en 1999 visait à occuper la zone qui a servi aux Indo-Européens de la proto-histoire, aux Hittites, aux Galates celtiques, aux Macédoniens d’Alexandre et aux Romains de s’élancer vers le Proche- et le Moyen-Orient (jusqu’à l’Indus pour Alexandre), aux peuples cavaliers de prendre la steppe au nord de la Mer Noire et d’atteindre le Pacifique; l’intervention en Irak vise à verrouiller, sur le territoire de l’ancien empire assyrien, toutes expansions venues du Nord et du Nord-Ouest, c’est-à-dire toute réédition d’un projet euro-turco-arabe (laïc) similaire à celui préconisé, en son temps, par le Kaiser Guillaume II. Le soutien apporté aux terroristes tchétchènes vise à éloigner la Russie du Caucase, à isoler l’Arménie et à éviter que ne se constitue une continuité territoriale pour un éventuel axe Moscou-Téhéran. Les troubles suscités artificiellement en Asie centrale post-soviétique visent à instaurer des régimes américanophiles, qui dénonceront tous les traités d’amitié qui lient encore ces Etats à la Russie, à l’Iran, à l’Inde ou à des pays européens. Ces effervescences, qui prennent très souvent la forme fabriquée et ultra-médiatisée  de la “révolution orange” en Ukraine en décembre dernier, ou, naguère, de la “révolution des roses” en Géorgie, ont pour autre objectif d’empêcher toute jonction territoriale entre la Russie et une Inde redevenue pleinement consciente de son passé.

 

Toutes ces interventions en Eurasie de l’hyperpuissance d’Outre-Atlantique correspondent parfaitement à la définition que donnait Carl Schmitt de l’inacceptable ingérence des thalassocraties dans les affaires intérieures des puissances continentales ou littorales. Face à ces interventions/agressions, car ce sont bel et bien des agressions à l’ère des “guerres cognitives” ou des “guerres électroniques”, il importe de dénoncer clairement et définitivement les alliances militaires telles l’OTAN qui nous lient encore à l’Amérique, de se rapprocher de la Russie, de créer des pôles de production militaro-industriels communs, de lutter sans aucun compromis contre les terrorismes locaux fabriqués à partir de forces tribales excitées par les services spéciaux américains (mafieux albanais, tchétchènes, etc.). Comme nous l’a très bien expliqué Xavier Raufer dans le cas de la collusion patente entre la mafia albanaise et l’UÇK, les ramifications de ces terrorismes touchent, via la drogue, la prostitution, les trafics, les diasporas, les économies parallèles, l’ensemble de nos sociétés et les conduisent sur la pente descendante du déclin et de la déchéance, ce que souhaite également Washington, pour affaiblir l’Europe, pour handicaper sa société civile, pour l’obliger mobiliser des fonds publics considérables, au détriment d’autres secteurs, afin de lutter contre une grangrène mafieuse, intérieure, insidieuse et persistante.

 

◊ Parlons maintenant des raisons énergétiques. Très récemment, le grand hebdomadaire britannique The Economist évoquait les derniers soubresauts dans le jeu géostratégique et géo-économique majeur de la guerre du pétrole, véritable dénominateur commun des événements qui ont secoué récemment les Balkans, le Proche- et le Moyen-Orient, l’Afghanistan et l’Asie centrale; l’enjeu de cette guerre, c’est la domination que tous veulent exercer sur le tracé des oléoducs. En clair, les Etats-Unis ont toujours souhaité que les oléoducs, acheminant le pétrole de la région caspienne, ne passent pas par le territoire de puissances qu’ils jugent ennemies ou potentiellement “challengeuses”, surtout la Russie et l’Iran. Ils ont agencé leur politique de sorte que les oléoducs soient installés sur le territoire d’Etats alliés, faibles et sûrs, manipulables ou satellisés. Leur objectif est de soustraire le pétrole à la gestion immédiate des puissances posées comme adverses (Russie) et de ne pas en faire bénéficier des “alliés” dont on redoute la concurrence potentielle (Europe). Avant l’invasion de l’Irak en 2003, la Turquie, par exemple, jouait sans arrière-pensées le jeu anti-russe, anti-arabe et anti-iranien que lui dictait Washington, en espérant en tirer le maximum de dividendes. Cette apparente servilité reposait sur un calcul simple: la fidélité d’Ankara aux Etats-Unis devait, in fine, être récompensée par le retour de la région pétrolifère, ethniquement kurde, de Mossoul sous une sorte de suzeraineté turque, afin que l’Etat kémaliste puisse bénéficier d’une autonomie énergétique, qu’il n’a jamais plus possédée depuis les traités d’après 1918, qui lui avaient ôté toute souveraineté sur les régions arabes du Croissant Fertile. Sans ce pétrole irakien, rappelons-le, la Turquie est un Etat condamné à la dépendance énergétique et à la stagnation industrielle : elle a pu vivre avec ces  deux inconvénients majeurs pendant quelques décennies, mais le boom démographique qu’elle connait depuis dix ans, et qui a franchi un seuil réellement critique, ne l’autorise plus à s’en contenter. Pour récompenser cet allié fidèle, Washington aurait dû composer; ne pas l’avoir fait et avoir jeté ainsi la Turquie dans une impasse inacceptable est un des échecs majeurs de la diplomatie de Bush junior. Dont les conséquences seront peut-être incalculables...

 

Le refus de Washington d’accorder à la Turquie une part des ressources pétrolières de Mossoul a donc déséquilibré complètement les agencements stratégiques de la guerre froide dans la région. La revue diplomatique américaine Turkish Policy Quarterly, dans son dernier numéro du printemps 2005, constate, sous la plume de politologues américains, israéliens et turcs, que la “relation spéciale” qui liait Ankara à Washington, et qui était quasiment de même nature que celle qui liait les Etats-Unis à la Grande-Bretagne ou à Israël, avait cessé d’exister. La revue constate également que les relations américano-turques ne reposaient sur aucune analyse historique ou culturelle profonde, qu’elles étaient purement fortuites, occasionnelles et stratégiques et n’avaient jamais été étayées par des réflexions de fond. Mark Parris, ambassadeur des Etats-Unis à Ankara de 1997 à 2000, en conclut que le “partenariat stratégique” est devenu un “partenariat allergique”, car, en effet, l’anti-américanisme est devenu le sentiment le plus partagé en Turquie aujourd’hui.

 

Les observateurs patentés en veulent pour preuve deux ouvrages de politique-fiction à grand succès: le premier porte pour titre Amerika Bizimdir (= “L’Amérique est à nous”). Le second: Metal Firtina (= “Tempête de métal”). La trame du premier est l’occupation des Etats-Unis par des armées turques victorieuses qui s’emparent des agences et officines médiatiques et diffusent aussitôt dans le monde une “culture turque” ou pantouranienne, appelée à remplacer ce que nous avons toujours appelé le “mondialisme américano-centré”. Le second ouvrage turc, qui bat là-bas tous les records de vente, évoque au contraire l’occupation de la Turquie actuelle par les armées américaines, après application de la stratégie habituelle, celle des tapis de bombes. D’où le titre, qui pourrait nous paraître énigmatique. Ces deux ouvrages ont contribué à transformer l’allié incontournable d’hier en ennemi absolu. Erdogan ne peut plus ignorer son opinion publique et semble faire machine arrière: il a déjà déclaré que les élections irakiennes n’étaient pas démocratiques et relevaient de la farce. Mais la nouvelle politique turque va encore plus loin : elle négocie avec la Russie, soit l’ennemi d’hier, le passage sur son territoire d’un oléoduc amenant le pétrole russe directement du port russe de Djoubga/Novorossisk à Ceyhan via Samsun sur la Mer Noire. Rappelons ici que Ceyhan est le port méditerranéen qui devait réceptionner en toute exclusivité, selon Washington, les hydrocarbures en provenance de la Caspienne en évitant les territoires iranien et russe. Le plan américain d’isoler la Russie et de la “contenir” d’une manière nouvelle, vient d’échouer par la volte-face turque. 

 

Les avatars du transport des hydrocarbures en Mer Noire et en Méditerranée suivaient la même logique que partout ailleurs sur la planète : empêcher des communications optimales entre le centre du continent eurasiatique et les zones côtières à grande densité œcuménique. Dans les aires maritimes du Pacifique et de l’Océan Indien, la politique américaine des gazoducs et oléoducs était la même : pas de liaison directe entre la Russie-Sibérie, la Chine, les Corées et le Japon. Pas de liaison directe non plus entre la Russie et le vaste espace contenant l’Afghanistan, l’Iran et le Pakistan et bordant l’Océan Indien. L’Arabie Saoudite et les Emirats, pétromonarchies corrompues et pro-américaines, à l’Ouest, et le Pakistan, à l’Est, font barrage contre l’Iran et pratiquent la vieille politique de l’endiguement préconisée depuis le début du 20ième siècle par les géopolitologues anglo-saxons (Mackinder, Lea). La Russie et l’Iran cherchent à faire sauter ce barrage, notamment en appuyant la rébellion beloutche au Sud-Ouest du Pakistan. Commencée immédiatement après la tragédie de Beslan perpétrée par les Tchétchènes, cette révolte, qui a connu son maximum d’intensité en janvier dernier, vise la création d’un Beloutchistan indépendant, sous la direction du chef traditionnel Akbar Bugti et appuyé par Téhéran et Moscou. Ce Béloutchistan indépendant offrirait ses ports sur l’Océan Indien et en ferait les terminaux d’oléoducs et de gazoducs venus de la Caspienne et du Turkestan, où pourraient venir s’approvisionner des pétroliers chinois, japonais et indiens, qui, du coup, ne passeraient plus par des intermédiaires plus ou moins liés aux Etats-Unis. La révolte de l’ethnie guerrière des Béloutches, qui furent une réserve de farouches soldats de l’ancien Empire britannique, fragilise le Pakistan, allié des Etats-Unis. Cette révolte n’est nullement matée à l’heure actuelle; elle constitue la réponse des Iraniens et des Russes aux pressions américaines, notamment au soutien indirect au terrorisme tchétchène. L’issue de cette bataille, de cette “guerre de basse intensité”, comme disent les stratégistes actuels, sera déterminante pour la liberté de toutes les composantes politiques et civilisationnelles de la masse continentale eurasiatique. Les médias occidentaux, orchestrés par les agences médiatiques américaines, ne pipent mot de cette révolte et de cette riposte. Ce qui ne signifie nullement qu’elle n’existe pas : la presse asiatique indépendante en parle beaucoup; nos concitoyens, noyés dans les mensonges de l’américanosphère, ne doivent rien savoir de ce coup de maître sur l’échiquier international: l’”Empire du Bien” doit toujours triompher et ne doit jamais connaître d’échecs...

 

En Extrême-Orient, le Président Poutine vise un apaisement des conflits entre Chinois, Coréens et Japonais, au moment où la “médiasphère” américanisée, justement, ne cesse d’évoquer les  querelles de prestige qui opposent les peuples de la région, à propos des événements de la seconde guerre mondiale et de leurs interprétations divergentes. La perspective eurasiatique des Russes vise la paix et le transit pacifique des hydrocarbures vers les grands centres industriels d’Extrême-Orient. La perspective thalassocratique et maritime des Etats-Unis vise, au contraire, à perpétuer des querelles anciennes, pour éviter que le principal but de guerre japonais, dès 1931 et 1937, soit la constitution d’une “sphère de co-prospérité est-asiatique”, ne puisse revivre dans les circonstances nouvelles de ce début du 21ième siècle.

 

RussianArmy.jpgLa création du nouvel oléoduc entre la Russie et la Méditerranée à travers la Turquie, la révolte béloutche au Pakistan, les projets en Extrême-Orient sont autant d’événements qui doivent nous induire à affirmer le principe clair de la “liberté absolue des peuples d’Eurasie à acheminer et réceptionner les énergies dérivées des hydrocarbures”, version actualisée des principes de libre circulation et de “non-intervention dans un espace donné de puissances hors espace” (Carl Schmitt).

 

◊ Viennent ensuite les raisons technologiques et électroniques. Les explorer exploserait le cadre restreint de notre propos. Mais une chose est certaine: nous ne sommes plus les seuls à réclamer une émancipation européenne en ces matières. Emancipation qui ne peut se réaliser vite qu’avec le concours de la Russie. L’équipe réunie autour de David W. Versailles, Valérie Mérindol, Patrice Cardot et Rémi Barré a sorti un ouvrage-clef pour connaître les bases fondamentales du dossier “Recherche et Technologie” (La recherche et la technologie, enjeux de puissance, Economica, Paris, 2003). Cette équipe plaide pour que soit comblé le “gap” technologique entre les Etats-Unis et le reste du monde (pas seulement l’Europe!), “gap” qui accentue et perpétue la dépendance et l’impuissance de notre continent, en matières civiles et militaires. Le programme GALILEO est la principale réalisation qui tente aujourd’hui de nous  sortir de cette dangereuse impasse. Mais si le projet est audacieux, s’il intéresse Russes, Indiens et Chinois, il court encore le risque d’être devancé par un projet américain analogue, parce que les processus de décision sont trop lents au sein de l’UE, parce que la conscience du danger américain n’est pas partagée par tous et que les traîtres à notre civilisation sont très nombreux, qui croient encore et toujours dans le mythe fallacieux de l’”Amérique libératrice”. Cette course contre la montre, pour imposer et consolider le projet GALILEO, implique l’urgence de joindre tous les efforts existants et pas seulement ceux de la seule UE. Les avancées russes en technologies spatiales sont nécessaires pour construire la politique commune de toutes les puissances eurasiatiques.

 

Le Général d’aviation Jean-Paul Siffre, de l’armée française, avait publié, juste avant de mourir, un ouvrage sur la guerre électronique, véritable vade-mecum, dont le leitmotiv était: “Maître des ondes, maître du monde” (La guerre électronique. Maître des ondes, maître du monde, Lavauzelle, 2003). Le Général Siffre, bon pédagogue, révèle à ses lecteurs comment la guerre électronique est devenue un enjeu primordial dès les années 90, où la maîtrise de l’espace “virtuel” décide de la domination ou.... de la subordination. Brouillages et destructions, au niveau électronique, sont désormais des méthodes de guerre couramment utilisées, qu’il s’agit de connaître, afin que le personnel politique soit capable (?) de prendre les bonnes décisions en ce domaine. Or, cette guerre électronique, qui se déroule dans l’invisible et demeure de la sorte inconnue et imperceptible pour la plupart de nos contemporains, ne peut se gagner sans une maîtrise des technologies de l’espace, domaine dans lequel la Russie, depuis les réalisations pionnières de l’URSS des années 50, possède quelques longeurs d’avance.

 

On a beaucoup parlé d’un “Axe Paris-Berlin-Moscou”, à la suite d’un ouvrage remarqué de Henri de Grossouvre, paru naguère chez “L’Age d’Homme” à Lausanne. Cet Axe demeure un voeu pieux sans une volonté claire de mettre en commun, tout de suite et sans délais, les atouts épars des grandes puissances continentales d’Eurasie. C’est la raison majeure pour laquelle il est impératif de créer et de vulgariser une géopolitique euro-russe et eurasiatique. Pour aboutir à la libération des peuples, asservis par les lobbies pétroliers islamo-yankees, par le terrorisme tchétchène ou al-quaediste  —inféodé à Washington parce que créé de toutes pièces par les services spéciaux américains—  par les réseaux ploutocratiques qui éradiquent nos traditions culturelles (Ezra Pound), par les agences médiatiques manipulatrices,  dont les effets destructeurs ont été critiqués très tôt déjà par George Orwell et Guy Debord.

 

Pour répondre à la menace, il faut une conscience historique, telle celle que nous transmet McEvedy, il faut un système satellitaire euro-russe qui puisse contrer la double guerre que nous mènent les Etats-Unis, soit la guerre cognitive et la guerre électronique, et il faut une liberté totale de construire des oléoducs et de mener une politique énergétique sans l’immixtion permanente d’une hyper-puissance étrangère à notre grand espace eurasien, qui avait été uni jadis, dès la proto-histoire, dont nous conservons la longue mémoire, par les peuples cavaliers indo-européens.

 

Robert STEUCKERS,

Forest-Flotzenberg, juin 2005.

 

Bibliographie :

La plupart des articles cités dans cette bibliographie proviennent du site “Asia Times”, un quotidien asiatique, basé à Singapour, qui constitue un véritable antidote à la pensée “occidentaliste”, “politiquement correcte” et plaide en faveur d’un dialogue entre civilisations sur base d’une rationalité et d’une cohérence géopolitiques. Les journalistes et analystes qui s’expriment sur ce site proviennent de partout, mais souvent d’Iran et d’Inde; ils nous livrent une visiontraditionnelle des relations internationales, rarement entachée par les déséquilibres générés par les “religions  du livre”. Le pseudonyme du principal animateur de la rubrique philosophique de  ce journal électronique  est “Spengler”, ce qui est assez révélateur...  Nous ne saurions que trop conseiller à nos amis maîtrisant l’anglais de se brancher régulièrement sur ce site et d’en exploiter au maximum les ressources.

◊ ◊ ◊

 

- XXX, “Black Sea: Oil over troubled waters”, The Economist, May 28th, 2005.

- Dirk VERMEIRE, “Allergisch Partnership”, Knack, Brussel, 18 mei 2005 (texte néerlandais).

- Iason ATHANASIADIS, “A troubled triangle: Iran, India and Pakistan”, Asia Times : http://www.atimes.com  ( April 22, 2005).

- Ramtanu MAITRA, “US scatters bases to control Eurasia”, Asia Times : http://www.atimes.com  (March 30, 2005).

- John HELMER, “China beats Japan in Russian pipeline race”, Asia Times : http://www.atimes.com  (April 29, 2005).

- Sergei BLAGOV, “Russia walks thin line between Japan and China”, Asia Times : http://www.atimes.com  (April 28, 2005).

- Sergei BLAGOV, “Russia’s hydrocarbon geopolitics”, Asia Times : http://www.atimes.com  (February 3, 2005).

- Ioannis LOUCAS, “The new geopolitics of Europe and the Black Sea Region”, Naval Academy, National Defence Minister’s Staff, http://www.da.mod.uk/CSRC/documents .

- W. Joseph STROUPE, “The inevitability of a Eurasian alliance”, Asia Times : http://www.atimes.com  (August 19, 2004).

- K. Gajendra SINGH, “Russian Bear calls on Grey Wolf”, Asia Times : http://www.atimes.com  (August 28, 2004) (Très important pour connaître les prémisses du nouveau rapprochement russo-turc).

- Ray MARCELO, “India looks  to Russia and Iran for energy”, Financial Times, http://news.ft.com (January 8, 2005).

- Syed Saleem SHAHZAD, “Musharraf blusters as Balochistan boils”, Asia Times : http://www.atimes.com  (January 13, 2005).

- Syed Saleem SHAHZAD, “Tribals looking down a barrel in Balochistan”, Asia Times : http://www.atimes.com  (January 15, 2005).

- K. Gajendra SINGH, “The Kirkuk tinderbox”, Asia Times : http://www.atimes.com  (January 22, 2005) (Sur le contentieux turco-américain à propos des champs pétrolifères de Mossoul et Kirkouk).

- Marwaan MACAN-MARKAR, “India shifts regional geopolitical cards”, Asia Times : http://www.atimes.com  (January 27, 2005).

- Bülent ARAS, “Russia, Turkey stress pragmatic ties”, Asia Times : http://www.atimes.com  (February 10, 2005).

 

jeudi, 10 décembre 2009

Destabilizacion de Oriente Proximo y de Oriente Medio y origen del colapso sovietico en la praxis geopolitica estadounidense

troupessoviet.jpgdesestabilización de Oriente próximo y de oriente medio y origen del colapso soviético en la praxis geopolítica estadounidense

 

di Tiberio Graziani *

 

1979, el año de la desestabilización

 

Entre los distintos acontecimientos de política internacional de 1979, hay dos particularmente importantes por haber contribuido a la alteración del marco geopolítico global, por entonces basado en la contraposición entre los EE.UU. y la URSS. Nos referimos a la revolución islámica de Irán y a la aventura soviética en Afganistán.

La toma del poder por parte del ayatolá Jomeini, como se sabe, eliminó uno de los pilares fundamentales sobre el que se sustentaba la arquitectura geopolítica occidental guiada por los EE.UU.

 

El Irán de Reza Pahlavi constituía en las relaciones de fuerza entre los EE.UU. y la  URSS una pieza importante, cuya desaparición indujo al Pentágono y a Washington a una profunda reconsideración del papel geoestratégico americano. Un Irán autónomo y fuera de control introducía en el tablero geopolítico regional una variable que potencialmente ponía en crisis todo el sistema bipolar.

Además, el nuevo Irán, como potencia regional antiestadounidense y antiisraelí, poseía las características (en particular, la extensión y la centralidad geopolítica y la homogeneidad político-religiosa) para competir por la hegemonía de al menos una parte del área meridional, en contraste abierto con los intereses semejantes de Ankara y Tel Aviv, los dos fieles aliados de Washington y de Islamabad.

 

Por tales consideraciones, los estrategas de Washington, en coherencia con su bicentenaria «geopolítica del caos», indujeron, en poco tiempo, al Irak de Saddam Hussein a desencadenar una guerra contra Irán. La desestabilización de toda la zona permitía a Washington y a Occidente ganar tiempo para proyectar una estrategia de larga duración y, con toda tranquilidad, desgastar al oso soviético.

Como puso de relieve hace once años Zbigniew Brzezinski, consejero de seguridad nacional del presidente Jimmy Carter, en el curso de una entrevista concedida al semanario francés Le Nouvel Observateur (15-21 de enero de 1998, p. 76), la CIA había penetrado en Afganistán con el fin de desestabilizar al gobierno de Kabul, ya en julio de 1979, cinco meses antes de la intervención soviética.

 

La primera directiva con la que Carter autorizaba la acción encubierta para ayudar secretamente a los opositores del gobierno filosoviético se remonta, de hecho, al 3 de julio. Ese mismo día el estratega estadounidense de origen polaco escribió una nota al presidente Carter en la que explicaba que su directiva llevaría a Moscú a intervenir militarmente. Lo que puntualmente se verificó a finales de diciembre del mismo año. Siempre Brzezinski, en la misma entrevista, recuerda que, cuando los soviéticos entraron en Afganistán, él escribió a Carter otra nota en la que expresó su opinión de que los EE.UU. por fin tenían la oportunidad de dar a la Unión Soviética su propia guerra de Vietnam. El conflicto, insostenible para Moscú, conduciría, según Brzezinski, al colapso del imperio soviético.

El largo compromiso militar soviético a favor del gobierno comunista de Kabul, de hecho, contribuyó ulteriormente a debilitar a la URSS, ya en avanzado estado de crisis interna, tanto en la vertiente político-burocrática como en la socio-económica.

Como bien sabemos hoy, el retiro de las tropas de Moscú del teatro afgano dejó toda la zona en una situación de extrema fragilidad política, económica y, sobre todo, geoestratégica. En la práctica, ni siquiera diez años después de la revolución de Teherán, toda la región había sido completamente desestabilizada en beneficio exclusivo del sistema occidental. El contemporáneo declive imparable de la Unión Soviética, acelerado por la aventura afgana y, sucesivamente, el desmembramiento de la Federación Yugoslava (una especie de estado tapón entre los bloques occidental y soviético) de los años noventa abrían las puertas a la expansión de los EE.UU., de la hyperpuissance, según la definición del ministro francés Hubert Védrin, en el espacio eurasiático.

Después del sistema bipolar, se abría una nueva fase geopolítica: la del “momento unipolar”.

El nuevo sistema unipolar, sin embargo, tendrá una vida breve, que terminará –al alba del siglo XXI –con la reafirmación de Rusia como actor global y el surgimiento concomitante de las potencias asiáticas, China e India.

 

Los ciclos geopolíticos de Afganistán

 

Afganistán por sus propias especificidades, referentes en primer lugar a su posición en relación con el espacio soviético (confines con las repúblicas, por aquella época soviéticas, del Turkmenistán, Uzbekistán y Tayikistán), a las características físicas, y, además, a la falta de homogeneidad étnica, cultural y confesional, representaba, a ojos de Washington, una porción fundamental del llamado « arco de crisis », es decir, de la franja de territorio que se extiende desde los confines meridionales de la URSS hasta el Océano Índico. La elección como trampa para la URSS cayó sobre Afganistán, por tanto, por evidentes razones geopolíticas y geoestratégicas.

Desde el punto de vista del análisis geopolítico, de hecho, Afganistán constituye un claro ejemplo de un área crítica, donde las tensiones entre las grandes potencias se descargan desde tiempos inmemoriales.

El área en que se encuentra actualmente la República Islámica de Afganistán, donde el poder político siempre se ha estructurado sobre la dominación de las tribus pastunes sobre las otras etnias (tayikos, hazaras, uzbecos, turcomanos, baluchis) se forma precisamente en la frontera de tres grandes dispositivos geopolíticos: el imperio mongol, el janato uzbeco y el imperio persa. Las disputas entre las tres entidades geopolíticas limítrofes determinarán su historia posterior.

En los siglos XVIII y XIX, cuando el aparato estatal se consolidará como reino afgano, el área será objeto de las contiendas entre otras dos grandes entidades geopolíticas: el Imperio ruso y Gran Bretaña. En el ámbito del llamado “Gran Juego”, Rusia, potencia de tierra, en su impulso hacia los mares cálidos (Océano Índico), India y China choca con la potencia marítima británica que, a su vez, trata de cercar y penetrar la masa eurasiática en Oriente hacia Birmania, China, Tíbet y la cuenca del Yangtsé, pivotando sobre la India, y en Occidente en dirección a los actuales Pakistán, Afganistán e Irán, hasta el Cáucaso, el mar Negro, Mesopotamia y el Golfo Pérsico.

En el sistema bipolar, a finales del siglo XX, tal y como hemos descrito antes, Afganistán se convierte en un terreno en el que se miden una vez más una potencia de mar, los EE.UU., y una de tierra, la URSS.

Hoy, después de la invasión estadounidense de 2001, la que presuntuosamente Brzezinski definía como la trampa afgana de los soviéticos se ha convertido en la ciénaga y en la pesadilla de los Estados Unidos.

 

 

-  ? Director de  Eurasia. Rivista di studi geopolitici – www.eurasia-rivista.org - direzione@eurasia-rivista.org

 

           

dimanche, 06 décembre 2009

Die neue russische Nukleardoktrin

article_DEN01_RUSSIA-_0821_11.jpgDie neue russische Nukleardoktrin

F. William Engdahl

http://info.kopp-verlag.de/

Aufmerksame Beobachter der internationalen Politik sollten eigentlich nicht überrascht sein, wenn Moskau nun eine neue Nukleardoktrin verkündet, die einen »präventiven Atomschlag« unter bestimmten Bedingungen nicht ausschließt. Die neue Doktrin ist eine direkte Konsequenz daraus, dass die USA und NATO seit dem Ende des Kalten Kriegs systematisch die Einkreisung Russlands betreiben, einschließlich der besonders beharrlich verfolgten und beunruhigenden Pläne für den Aufbau einer Raketenabwehr in Polen und der Tschechischen Republik. Diese hätte den USA erstmals seit Anfang der 1950er-Jahre ein nukleares Primat, d.h. die Möglichkeit zum atomaren Erstschlag, verschafft. Moskau hatte angesichts der Eskalation vonseiten der NATO kaum eine andere Wahl. Infolge dieses Wahnsinns ist die Welt einem möglichen Atomkrieg aus Fehleinschätzung wieder einen Schritt näher gerückt.

Nikolai Patruschew, der Generalsekretär des Russischen Nationalen Sicherheitsrats, hat angekündigt, gegen Ende des Jahres werde Präsident Medwedew ein neuer Entwurf der Russischen Nukleardoktrin vorgelegt. Dieser enthält eine Liste möglicher Situationen, in denen ein präventiver Atomschlag gegen eine militärische Bedrohung Russlands und gegen einen Aggressor möglich sein soll. Allerdings behält auch die neue Doktrin eine gewisse Unbestimmtheit bei, unter welchen Bedingungen Atomwaffen zum Einsatz kommen können. Dieser Punkt ist von großer Bedeutung, denn je höher der Grad von Unbestimmtheit in Bezug auf den Einsatz von Atomwaffen, desto effektiver die Abschreckung.

Soweit bekannt, wird in dem neuen Dokument der breitere Einsatz von Atomwaffen verlangt. Russische Militäranalysten verweisen darauf, dass Russland über ein riesiges Territorium verfügt und versucht, die eigenen Streitkräfte zu reformieren – das Militärpersonal zu verkleinern. Die wirtschaftlichen Probleme der vergangenen Jahrzehnte haben dazu geführt, dass Wirtschaft und Bevölkerung heute schlechter auf eine Mobilisierung im Konfliktfall vorbereitet sind.

 

Laut der neuen russischen Militärdoktrin wird ein präventiver Nuklearkrieg möglich.

 

Offensichtlich spielt die Erfahrung der dramatischen Ereignisse vom August 2008 in Georgien eine Rolle. Der vom georgischen Präsidenten Micheil Saakaschwili angeordnete Angriff auf das umstrittene Gebiet Südossetien hatte damals die umgehende Reaktion Russlands zur Folge gehabt. Seitdem ist Russland darauf bedacht, sich davor zu schützen, dass sich ein lokaler Konflikt unerwartet zu einem großen Krieg entwickelt, für den Russland nicht gerüstet wäre. Denn wäre Georgien Mitglied der NATO, dann hätte der Konflikt von 2008 sehr schnell zu einem Krieg zwischen der NATO und Russland führen können, so die Einschätzung der Strategen. Für diesen Eventualfall besitzt Russland Atomwaffen.

Seit 1993 benennt Russland in seiner Militärdoktrin keine feindlichen Nationen mehr, es besteht aber kein Zweifel daran, dass die einzig mögliche Bedrohung von der NATO und ganz besonders von Washington herrührt.

 

Russland modernisiert seine Atomstreitmacht

Die Russischen Strategischen Raketentruppen, der landgestützte Teil der sogenannten »nuklearen Triade«, bekommen bis Ende 2009 ein zweites Regiment mit mobilen Startanlagen für Topol-M-Raketen. Die Topol-M-Raketen (SS-27 Stalin) bilden den Kern der landgestützten Atomstreitkräfte. Zu Beginn des Jahres 2009 verfügten die Strategischen Raketentruppen über 50 silogestützte (stationäre) und sechs mobile Topol-M-Raketensysteme.

Das erste Raketenregiment mit dem mobilen Raketensysem Topol-M ist bereits nahe der 240 Kilometer nordöstlich von Moskau gelegenen Stadt Teikowo stationiert und einsatzbereit. Ein sechstes Regiment wird 2010 nahe Saratow im Südwesten Russlands mit silogestützten Topol-M-Systemen ausgestattet.

Die Topol-M-Rakete verfügt über eine Reichweite von etwa 11.000 Kilometer und ist angeblich gegen alle derzeit eingesetzten ABM-Raketenabwehrsysteme immun. Sie kann Ausweichmanöver durchführen und somit einem Angriff von Abfangraketen in der Flugendphase ausweichen, sie kann Täuschmanöver durchführen und verfügt über Attrappen, sogenannte Decoys. Sie ist gegen Strahlung, elektromagnetische Pulse und Kerndetonationen abgeschirmt und übersteht jeden Angriff mit Laserwaffen. Russland arbeitet auch daran, die Lebensdauer der SS-18-Raketen auf 31 Jahre und die der SS-25-Topol- und RS-20B-Raketen auf 23 Jahre zu verlängern.

Wie das russische Verteidigungsministerium kürzlich mitteilte, hat auch die russische Atom-U-Boot-Flotte erfolgreich eine ballistische Rakete getestet. Am 1. November wurde von dem atomkraftbetriebenen U-Boot Bryansk aus in der Barentssee mit Erfolg eine Interkontinentalrakete zu einem Testflug gestartet. »Die Sprengköpfe haben ihr Zielgebiet in der vorgesehenen Zeit erreicht«, ließ das Verteidigungsministerium verlauten.

Die nukleare Triade Russlands besteht aus landgestützten Raketensystemen, atombetriebenen und mit Atomraketen ausgerüsteten U-Booten sowie strategischen Bombern, die Atomraketen und mit nuklearen Sprengköpfen versehene Marschflugkörper transportieren.

Eine Woche später unterzeichnete der russische Präsident ein Gesetz, wonach die russischen Streitkräfte unter bestimmten Bedingungen im Ausland eingesetzt werden können. Das Gesetz war im Oktober von beiden Häusern des russischen Parlaments verabschiedet worden.

Präsident Dmitri Medwedew betonte, Russland werde seine Streitkräfte nur im äußersten Notfall zum Schutz russischer Staatsbürger außerhalb des Landes einsetzen. Dass alle Bürger Südossetiens vor einigen Jahren russische Pässe erhielten, ist ein Beispiel dafür, über welche Art von Einsätzen man in Moskau nachdenkt. »Solche Entscheidungen werden nur getroffen, wenn es absolut unumgänglich ist«, erklärte Medwedew. »Unsere Bürger müssen überall auf der Welt geschützt werden und sie müssen sich vom Staat geschützt fühlen.« Medwedew hatte die geplanten Änderungen im August dem Parlament vorgestellt, kurz nach dem ersten Jahrestag von Russlands Fünf-Tage-Krieg in Georgien.

Die Änderungen sehen vor, dass russische Truppen im Ausland eingesetzt werden können, um einen Angriff auf außerhalb des Landes stationierte russische Truppen abzuwehren; zur Abwehr und Verhinderung eines bewaffneten Angriffs auf ein Drittland, das Russland um militärischen Beistand gebeten hat; zur Verteidigung russischer Staatsbürger im Ausland gegen einen bewaffneten Angriff; zur Bekämpfung der Piraterie auf See und zur Sicherung der Handelsschifffahrt.

Das derzeit gültige russische Gesetz aus dem Jahr 2006 erlaubt es dem Präsidenten lediglich, Truppen zum Kampf gegen den Terrorismus aus ausländischem Boden einzusetzen. Experten haben bemängelt, das Gesetz definiere die Begriffe »Krieg« und »Kampfsituation« nicht eindeutig genug, was den Einsatz der Truppen im Ausland kompliziere.

Gemäß dem neuen Dokument kann der russische Präsident vorbehaltlich der Zustimmung des Föderationsrates, des Oberhauses des Parlaments, den Einsatz der Streitkräfte im Ausland anordnen.

Kurz: Die unnachgiebige amerikanische Strategie der letzten Jahre zur Einkreisung Russlands und auch Chinas, die unter Obama unverändert fortgesetzt wird, führt dazu, dass die Welt heute nicht sicherer, sondern eher noch gefährlicher geworden ist als nach dem nominellen Ende des Kalten Krieges vor 20 Jahren. Das Pentagon spricht von »Full Spectrum Dominance«. Man könnte sagen: »Fully insane« – vollkommen verrückt.

 

Mittwoch, 02.12.2009

Kategorie: Geostrategie, Politik

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Entretien avec Pavel Toulaev

Russian_soldiers_on_the_Champs_Elysees_DSC03310.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1998

Entretien avec Pavel Vladimirovitch Toulaev, Vice-Président de « Synergies Européennes » à Moscou

 

1. Pavel Vladimirovitch, comment vous présenteriez-vous à vos amis synergétistes d’Europe occidentale ?

 

PVT : Je m'appelle Pavel Vladimirovitch Toulaev et j'ai 39 ans. Russe et citoyen de la Russie, je réside à Moscou. De par ma formation, je suis traducteur-interprète en langue espagnole, anglaise et française et licencié en histoire ; par vocation je suis poète, philosophe et homme de lettres ; par profession, je suis professeur à l'Université linguistique d'Etat de Moscou ; par engagement social, je suis rédacteur scientifique et littéraire de la revue historique et culturelle Naslednié Predkov (Les legs des ancêtres). J'ai une cinquantaine de publications à mon actif sur la Russie, l'Espagne, l'Amérique latine et l'Amérique du Nord dans les genres les plus divers: des études scientifique aux visions mystiques. Parmi les plus significatives, je citerai: « Comprendre l'Entité russe », « Sept rayons », « La croix sur la Crimée », « La Révolution conservatrice en Espagne », « La Russie et l'Espagne s’ouvrent l'une à l'autre ». Parmi les livres sortis sous ma rédaction, je choisirais les recueils suivants: « La Russie et l'Europe: expérience d’une analyse à partir de l'idée de "sobornost " », « Le peuple et les intellectuels», « Perspective russe » et également « Philosophie posthistorique» par Vitalii Kovalev et « Comment l'ordre organise les guerres et les révolutions » par Antony Sutton.

 

2. Quelles sont les sources de votre mode de penser ?

 

PVT : Ma famille, mes amis et ma Patrie ont joué le rôle principal dans ma formation. Elevé dans les bonnes traditions russes et dans la famille d'un officier des services de renseignement pour l'étranger, j'ai reçu une éducation avec une forte orientation idéologique, fidèle aux principes du patriotisme, du socialisme soviétique et de la pratique sportive et culturelle au sein des organisations des pionniers et du Komsomol. Depuis l'enfance, j'ai eu l'occasion de beaucoup voyager. Né à Krasnodar, dans le sud ensoleillé de la Russie, j'ai passé ma jeunesse au bord de la mer Noire à Sotchi, j'ai été plus d'une fois dans la ville natale de mon père, Saint-Pétersbourg, et en Sibérie, pays natal de ma mère ; j'ai vécu en Autriche et en Australie, j'ai travaillé en Espagne et aux Etats-Unis. Mon expérience à l'étranger a considérablement influencé ma vision du monde, mais j'ai passé la plus grande partie de ma vie dans la capitale de la Russie. C'est surtout grâce à Moscou, avec ses traditions russophiles, orthodoxes et impériales, que j'ai atteint ma maturité.

La beauté et le mystère qui se manifestent dans la nature, dans l'érotisme et dans l'art ont aussi exercé une grande influence depuis toujours sur ma façon de penser. J'ai toujours considéré la création artistique et l'amour comme l'expression la plus naturelle du monde intérieur. Dans ma jeunesse je me suis appliqué à la peinture, j'ai été barde lorsque j'étais étudiant et j'ai vécu d'impressions musicales et théâtrales, j'ai écrit et exécuté moi-même des chansons. Après avoir adopté la foi orthodoxe, j'ai appris à chanter la messe. L'esthétique m'attire sous toutes ses formes et surtout sous sa forme musicale, qui n'a jamais cessé de m'envoûter véritablement. J'écoute régulièrement la musique classique de Bach et Tchaïkovski à Richard Strauss et Rachmaninov. J'aime également la musique populaire y compris l’occidentale par sa vitalité et son naturel.

 

3.Quels auteurs et quels livres vous ont marqué le plus dans votre jeunesse ?

 

PVT : Il est difficile d'opérer une sélection parmi les centaines d'auteurs et de livres que j'ai lus. Depuis l'enfance, j'ai avalé de tout selon de contes, des livres d'aventures, des romans policiers, des romans d'amour et des poésies. La première œuvre sérieuse dont je me rappelle est l'Odyssée d'Homère dans ma jeunesse, en dehors de ma passion pour la peinture et pour la musique, j'ai pris goût aux œuvres ayant trait aux beaux-arts aux musées et aux albums d'art.

 

Pendant les années universitaires sous l'influence de mon éducation soviétique, je me suis passionné pour le romantisme soviétique et le mouvement des partisans de l'époque. Une fois devenu boursier de thèse à l'Institut de lyrique latine de l'Académie des sciences de l'URSS, où je me suis spécialisé dans le Pérou, j'ai été enchanté par les travaux et la biographie de Che Guevara, de Fidel Castro, de Ho Chi Min, de José Carlos Mariategui, de Aya de la Torre, de Simon Bolivar et de José Marti. J'ai traduit et chanté les chansons de Victor Hara.

 

C'est au cours d’un stage de boursier de thèse que j'ai souhaité me familiariser avec les auteurs classiques russes de Pouchkine et Gogol, Tolstoï et Essenine, en dehors des œuvres de Marx, Hegel et Lénine, qu'il fallait obligatoirement lire à l'époque. Je me suis littéralement plongé dans leurs œuvres complètes pendant des semaines et des mois entiers dans les bibliothèques.

Dostoïevski m'a profondément secoué et ce sont surtout  Les Démons et Les frères Karamazov qui ont produit une grande impression sur moi. En lisant Dostoïevski, je me suis reconnu sans réfléchir... Ensuite cela a été le tour de Nikolaï Fedorov, utopiste l'excès, qui rêvait de redonner la vie tous nos ancêtres, une idée qui m'a stupéfié. En bon élève de la période soviétique, j'avais étudié l'histoire selon les principes du matérialisme historique et je me trouvais alors confronté à la résurrection des pères, aux racines aryennes, aux recherches de berceaux indo-européens, à la guerre pour Constantinople. En un mot, j'étais confronté à la contre-révolution. J'ai éprouvé un grand bonheur esthétique en lisant Nabokov. Sa langue somptueuse, veloutée et extraordinairement poétique, m'a charmé. Le roman surréaliste de Nabokov Le Don est un des meilleurs romans du XXième siècle.

 

tulaev.jpgParmi les philosophes, mon premier maître à penser a été Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Pendant mon stage de boursier de thèse, j'ai été obligé d'étudier Les cahiers philosophiques de Lénine qui contiennent beaucoup d'extraits de la philosophie classique allemande. Je n'en suis pas resté là. M'étant armé de patience, j'ai consacré plusieurs mois à l'étude en autodidacte de la dialectique de l’absolu. J'ai étudié L'Encyclopédie philosophique, La

science de la logique, L'éstétique et ensuite La philosophie de l'histoire, le résultat a surpassé toute attente car je suis devenu un idéaliste convaincu.

 

Platon, que j'ai aussi lu en entier, a suivi Hegel et j'ai même composé deux dialogues philosophiques en m'inspirant des siens. Aristote ne m'a pas vraiment captivé et, au lieu d'étudier la Métaphysique, j'ai relu les biographies philosophiques de Diogène Laërce, les poèmes d'Homère et des magnifiques traductions d'hymnes anciens. Les classiques orientaux ont également exercé une influence considérable sur moi: parmi eux  le « Rigveda »,  le « Mahabharata », Le chevalier dans la peau de tigre de Chota Roustavéli ainsi que la poésie lyrique dans l'esprit de Nizami et de Omar Khayyam. En général, j'ai une prédilection pour l'Orient à laquelle ont contribué le Précis d'Histoire mondial de Djavaharlal Nehru, mon engouement pour les livres et les tableaux de Nikolaï Roerich, mon intérêt scientifique pour l'lnde, la Chine et la Corée du Nord. L'Orient de l’époque classique m'a toujours inspiré un sentiment de respect profond et parfois même d'exaltation et de vive émotion.

 

Le Zarathoustra de Friedrich Nietzsche m'a beaucoup marqué. Je l'ai lu pour la première fois dans une édition d'avant la révolution (il n'y avait pas d'éditions soviétiques), par la suite, j'ai eu accès aux nouvelles traductions et j'ai lu avec inspiration La naissance de la tragédie et l’esprit de la musique, L'Antéchrist  et d'autres œuvres. C'est en partie sous l'influence de Nietzsche que j'ai créé la société littéraire moscovite « Prométhée » avec une orientation pour l'esthétique musicale, pour le « cosmos russe » et l'astronautique. C'était une étape importante de mon cheminement spirituel, où trouvèrent leur expression les recherches et les élans de ma jeunesse romantique.

 

4. Quels penseurs ont attiré votre attention dans la maturité ?

 

PVT : Parmi les auteurs occidentaux, ce sont Wagner, Schopenhauer, Heidegger, Camus, Dali, Ortega y Gasset qui m'ont captivé, ensuite Dante, Baltasar Gracian, Ignace de Loyola, Rafael Calvo Serrer (surtout sa Théorie de la Restauration), Escriva de Balaguer (Chemin) et aussi la grandiose poésie épique espagnole « El Cid », que j'ai étudiée dans le texte original. Après avoir travaillé à Séville pour l'Expo-92 et avoir fait connaissance avec des phalangistes, j'ai étudié les œuvres de José Antonio Primo de Rivera, j'ai écrit la brochure La révolution conservatrice en Espagne et l'essai biographique Franco - Caudillo de l'Espagne.

 

Peu à peu, j'ai commencé à préférer les penseurs russes. Encore dans les années soviétiques grâce aux recherches fondamentales du fondateur de l'école mythologique A.H. Afanasiev (son travail principal Les conceptions poétiques des Slaves sur la nature) et de l'académicien B. A. Rybakov (Le paganisme des anciens Slaves et Le paganisme de l'ancienne Russie), j'ai découvert le monde de l'antiquité slave et je me suis sérieusement intéressé aux racines aryennes de notre civilisation. C'est ainsi que mon intérêt profond pour le passé est né et que j'ai été amené à lire avec la plus grande attention l'ouvrage en plusieurs tomes l’Histoire de l'Etat russe par N. M. Karamzine, à cela ont suivi les œuvres choisies sur l'histoire russe de S. M. Soloviev et les conférences renommées de M. O. Klioutchevski. Dans cette période, je suis devenu militant de la Société panrusse de protection des monuments historiques et culturels.

 

Depuis le debut de la « perestroïka », j'ai essayé de lire tout ce qui était interdit auparavant et qui était désormais disponible: les livres des écrivains russes-blancs, les analyses des dissidents soviétiques sur le rôle des juifs et des francs-maçons. Je me suis abonné à une montagne de revues copieuses: Problèmes de philosophie,  Notre contemporain (Nach Sovremenik), Moscou, Science et religion et d'autres sans compter quelques journaux politiques d'orientation patriotique dans le genre du Messager russe (Russkii Vestnik) et de Jour (Dyeïnn). C'est avec difficulté que j'ai avalé cette avalanche d'informations où foisonnaient les scandales, les sujets à sensation et les nouvelles tragiques.

 

Après l'abolition de la censure et la libération totale de la presse, les classiques de la pensée russe ont commencé à être publiés en gros tirages: Vl. Soloviev, N. Berdiaev, P. Florenski, Illin, E. Troubetskoi, L. Tikhomirov, I. Solonevitch et d'autres. Ils sont tous des idéalistes orthodoxes de tendances différentes. Je ne peux affirmer avoir lu toutes leurs œuvres (il y en a des centaines), mais j'ai étudié sérieusement l'essentiel. Sous l'influence des philosophes orthodoxes, j'ai élaboré l'idée russe: la « sobornost », qui signifie la liberté hiérarchique et différenciée en Dieu.

C'est à cette époque que j'ai étudié la Bible et que j'ai lu plusieurs fois l'Evangile. L'Ancien Testament a produit sur moi une impression sombre et lors de la lecture du Nouveau Testament j'ai été particulièrement touché par l'Evangile de Saint-Jean et par l'Apocalypse. La Liturgie divine et l'expérience mystique du martyr aident sensiblement à la compréhension de la véritable Orthodoxie.

 

Sur le plan personnel c'est le père Dmitri Doudko, éminent pasteur moderne et chef spirituel reconnu de l'opposition nationale-patriotique qui m'a offert son aide. J'ai en effet eu l'occasion de réviser un recueil de ses sermons choisis.

 

Alexei Fedorovitch Lossev reste pour moi encore aujourd'hui le dieu de la philosophie. Il est en même temps philosophe, philologue, musicologue, écrivain, expert de l'antiquité. C'est en la personne de Lossev que la pensée russe a surpassé pour la première fois l'école allemande, réunissant en soi les théories les plus innovantes de la dialectique antique et classique, de la phénoménologie moderne, de la philosophie de l'histoire et de la linguistique. La conception de Lossev est complète ; et elle est aussi exquise ; sa compréhension seule offerte un plaisir esthétique. Les travaux de Lossev, que je préfère, sont : La dialectique du mythe, La mythologie des Grecs et des Romains, Le problème du symbole et l’art réaliste  et bien sûr, son oeuvre fondamentale Histoire de l'Esthétique de l'Antiquité. Lossev est encore inconnu en Occident mais, avec le temps, il occupera sans aucun doute la place qui lui revient dans l'Olympe intellectuel.

 

Dans le cadre de cet interview, il faut réserver une place à part au fameux livre de Nikolaï Yakovlevitch Danilevsky La Russie et l'Europe: Aperçu sur l’attitude culturelle et politique du monde slave vis-à-vis du monde romano-germanique, où l'on élabore pour la première fois, sur une base scientifique, la doctrine du « type slave du point de vue historico-culturel ». J'ai non seulement étudié soigneusement cette œuvre fondamentale qui a exercé en son temps une influence fondamentale sur Spengler et qui a suscité un débat animé dans le milieu intellectuel russe de la fin du XIXième et du début du XXième siècle, mais j'ai aussi étudié l'histoire du problème, j'ai tenu une conférence scientifique à ce sujet dans le cadre du programme de la société historico-religieuse « Sobor » que je dirige et j'ai publié la première anthologie de la philosophie russe de l'histoire, qui comprenait des extraits de l’œuvre des slavophiles classiques, des occidentalistes et des eurasiens: Khomiakov, Kiréevski, Tioutchev, Herzen,

Danilevski, Léontiev, Rosanov, Troubetskoï, Ivanov, Fedotov, Lossev, et aussi des articles de mes contemporains et amis: Vitali Kovalev, Igor Demine, Vladimir Martchenkov, Nikolaï Licovoï, Andreï Pavlenko, Gueïdar Djemal, Viatcheslav Parchkov et d'autres auteurs de talent.

 

6. Quelles sont les grandes lignes de votre conception du monde ?

 

L'esprit russe a l'habitude d'écarter les structures de pensée rigides et encombrantes. Le paganisme slave était ouvert et polythéiste. L'Orthodoxie est à sa base apophatique. Les partisans de Bakounine et les marxistes-léninistes ont transformé la dialectique de Hegel en dialectique de la révolution. Les systèmes philosophiques, tels que « la sophiologie » de Vladimir Soloviev ou « la philosophie du nom » d'Alexeï Lossev, sont de rares exceptions.

 

Je n'ai jamais essayé de créer un système philosophique qui soit en même temps développé et achevé. De temps en temps, naturellement, j'ai dressé le bilan de mes recherches, mais à chaque fois une nouvelle vision du monde s'est ouverte à moi. De la fougue révolutionnaire de ma jeunesse, je suis passé à un prométhéisme créatif, du prométhéisme à l'esprit de « sobornost », de cet esprit de « sobornost » à l'académisme romantique. Maintenant je préfère contempler le monde, l'écouter, l'étudier, le comprendre en profondeur, le savourer, l'apprécier tout en exprimant ma volonté dans l'aspiration à la perfection et à la supériorité. D'ailleurs, je n'ai pas tiré un trait définitif sur mes recherches et je reste ouvert à la vie et à la connaissance. Disons que dans la poésie pendant un certain temps j'ai sciemment visé le symbolisme ontologique, mais actuellement, je me sens plus proche de la simplicité organique d'un romantisme concret et combatif. La paix, la guerre, l'amour, le foyer familial, une mort digne me sont nécessaires en tant que tels et non pas par le biais de symboles et de reflets.

 

Dans la thèse que je prépare actuellement sur l'histoire des relations russo-hispaniques, je développe une nouvelle tendance de la sémiotique historique. Je considère, étudie et lis toute l'histoire y compris les relations internationales comme un texte. Pour moi, en tant que culturologue qui se veut objectif et impartial, il est important de fuir l'idéologisation et la modernisation des faits historiques. Cela ne veut pas dire, bien sûr, que je n'ai pas de préférences, de convictions civiques et d'opinions politiques. Je suis un fondamentaliste russe, un patriote, j'aime la liberté et je déteste le pouvoir de l'argent.

 

Ce sont surtout mes poésies et mes essais réunis dans le livre Comprendre l’Entité russe qui illustrent le mieux ma conception. A ceux qui s'intéressent aux racines indo-européennes, aryennes et slaves, je recommande la lecture de mon étude Nos Dieux originaires: Zeus, Léto, Artemis, Apollon et leurs ancêtres et aussi le précis bibliographique Pôle hyperboréen (in : Naslédnié Predkov, n°4). Mes opinions actuelles, fondées sur un paradigme qualitativement nouveau, qui a été élaboré en tenant compte de l'utilisation de l'ordinateur et de l'expérience acquise aux Etats-Unis, ont été exprimées dans le recueil Prospective russe et également dans une série de nouveaux articles de revues et dans des interventions publiques. Une place particulière devrait être réservé, selon moi, à l’article « Les guerres de la nouvelle génération » (NdSE n°39).

 

7. Quel est le contenu du livre Perspective russe?

 

Perspective russe est un recueil collectif d’une dizaine d'écrivains russes, publié en 1996 par le centre de coordination «Pôle» en tant que supplément spécial à la revue Naslédnié Predkov. Ce recueil a le mérite fondamental de créer un modèle de passage au mouvement patriotique russe où le mode de pensée littéraire et idéaliste cèdera la place à une approche militaire et stratégique et où le national-conservatisme sera remplacé par le national-technocratisme.

 

Dans ce livre il y a six divisions: « L'ideologie nationale », « Guerre et Géopolitique », « La percée technologique », « La Russie et le monde contemporain », « Les conférences et les rencontres scientifiques », « Les nouvelles publications », qui contiennent les analyses des intellectuels les plus avancés de mon entourage. A part mon introduction, « La Renaissance russe: objectifs et priorités», les articles présents dans ce recueil sont: « Russie: principe aristocratique » (Alekseï Chiropaév), « La dictature du capital commercial » (Serguéï Gorodnikov), « La compétitivité de la Russie à l’avenir » (Andréï Saveliev), « La quatrième guerre mondiale » (Vladimir Popov), « Le Temps et le poids de la Russie » (Valeriï Milovanov), « Est-ce que la Russie possède une armée apte à combattre ? » (Evguénii Morozov), « La situation géostratégique après la guerre froide » (Alexandre Bedritzki), « L’exposition aéronautique et astronautique à Joukovskii » (Serguéï Guérasioutine). Ce recueil contient aussi une partie analytique, des traductions, des critiques, des nouvelles et de brèves  informations: « Qui Crée notre espace d’information? », « Le résultat des élections présidentielles », « Les droites en Europe Orientale » (d'après le livre de Paul Holenos  La liberté de haïr) ; la discussion du livre d'Antony Sutton Comment l'Ordre organise les guerres et les révolutions avec la critique « Conflits à régler: vers un nouvel ordre mondial », les critiques du « Recueil de géopolitique russe » ; du livre de K. E. Sorokine « La géopolitique de l'époque contemporaine et la géostratégie de la Russie » et le numéro qui vient de paraître de la Revue militaire et aussi la réponse à deux calomniateurs russophobes: Walter Laqueur et Alexandre Yanov, suite à la parution de leur livre Les Cent-Noirs. Naissance de l’extrême droite en Russie et Après Eltsine. La Russie de Weimar. A côté de ces articles, il y a, dans le recueil, mon interview intitulé: « Les USA sont un monde qualitativement à part ».

 

J'attire votre attention sur le fait que c'est justement dans « La perspective russe 1996 » que l'on a osé la première tentative de formuler les objectifs fondamentaux de la « Quatrième guerre mondiale ». En effet, la troisième guerre mondiale (appelée « guerre froide ») contre l'URSS et le communisme mondial, s'est officiellement close le 20 avril 1996, avec la signature au niveau étatique le plus élevé, de la « Déclaration de la rencontre moscovite ». C'est de là que sont nés de nouveaux problèmes et que des questions ont été soulevées ; c'est de là également que vient l'actualité de notre travail que les analystes les plus clairvoyants ont défini comme « une attaque intellectuelle de la nouvelle génération des patriotes ».

 

8. Quelles sont vos opinions géopolitiques et leur influence sur les débats à la Douma ?

 

Mes opinions politiques ainsi que ma vision du monde sont en développement perpétuel. Mon intuition de départ et ma volonté sont assez simples. Tout ce qui est bénéfique pour la Russie, pour ma Patrie, me convient. Tout ce qui est contre les Russes et la Russie dans son ensemble est inacceptable pour moi. Méthodologiquement, je dérive mon argumentation de la multiplicité et de la hiérarchie de l'être unique indivisible, composé de plusieurs types d'espaces: personnel, sacré, physique, historique, économique, d'information, etc. Une telle typologie peut varier. L'important est de comprendre que nous, notre famille, notre people, notre histoire, nos intérêts, nous sommes à l'intersection de ces mondes. Si l'on me lance un défi, je suis obligé de répondre. De surcroît, je veux gagner même si la mort me menace. Je le veux tellement et je ferai tout pour que mon désir se réalise, devienne réel. Cela c'est la substance. Quant à la forme, mon modèle métahistorique et descriptif, si l'on peut le synthétiser au maximum, contient trois espaces, grands et complexes, et de type différent, qui pénètrent l'un dans l'autre:

1) La Croix russe (elle se forme à l'intersection du chemin historique « des Varègues aux Grecs », direction Nord-Sud et de l'artère trans-européenne qui s’étend dans toute la Russie de l'Ouest à l'Est, où se cristallise le noyau russe renouvelé et ethniquement compact).

2) L'axe trans-aryen (il traverse la partie méridionale de l'espace central depuis le Nord-Ouest au Sud-Est et crée une attraction entre le Nord et le Sud aryens).

3) Le bouclier euro-asiatique (l'espace le plus étendu et le plus hétérogène qui pourrait être constitué potentiellement par tous les Etats de notre continent avec les îles adjacentes; son but essentiel consiste à créer une large union de défense contre les forces de l'atlantisme occidental, du mondialisme et du sionisme international). Il est important de ne pas confondre ces trois grands espaces car c'est à l'intérieur de chacun d'entre eux que les problèmes particuliers trouvent leur solution.

 

C'est par un souci d'exactitude scientifique que je dois préciser que mes opinions en matière de géopolitique se sont formées sous l'influence des œuvres d'Alexandre Douguine, surtout de sa revue Elementy. Je souhaite également mentionner le travail de Robert Steuckers « Panorama théorique de la géopolitique » ( j'ai participé à sa traduction en russe), les études d'Evguéniï Morozov et de ses compagnons de lutte dans le Recueil géopolitique russe et aussi les recherches en matière de race et d'eugénisme de Vladimir Avdéev, mon ami, membre du conseil de rédaction de Naslédnié Predkov.

 

Actuellement, j'interprète les anciens problèmes d'une nouvelle façon, je complète et je précise mes études précédentes. Il est indispensable de tenir compte de ce qui a été publié par d'autres auteurs ces dernières années. C'est surtout les Principes de géopolitique de A. G. Douguine, la Géopolitique contemporaine de K. E. Sorokine,  L'Europe unie: problèmes et perspectives de V. Wiedemann, les Manœuvres de la nouvelle géopolitique de A.V. Mitrofanov, l'étude critique de l'« eurocentrisme » de S. Kara-Mouzza. Ce qui différencie essentiellement mes anciennes vues des actuelles, c'est mon plus grand réalisme et le refus du schématisme occidental.

 

Vous me demandez quel est l'impact des projets géopolitiques sur les débats à la Douma. Je ne peux pas répondre avec précision à votre question car j'ai été au Comité de géopolitique seulement quelques fois (récemment, on y a présenté la revue Naslédnié Predkov). Toutefois, s'il faut s'en tenir à quelques démarches pratiques de l'administration actuelle des affaires étrangères du gouvemement d'Eltsine, signalons quelques points qui nous paraissent intéressants et positifs : une amitié préférentielle avec l'Allemagne, des rapports extrêmement chaleureux avec la France, un certain rapprochement avec le Japon, le fait d'accorder un plus grand poids au rôle de l'Espagne, l'intensification de la présence russe dans les Balkans malgré les menaces de la Turquie, et, en même temps, l'évident passage d’un stade à un autre : de l’alliance temporaire avec les USA, nous passons à un éloignement graduel par rapport aux Américains ; nous constatons aussi un rapprochement ostentatoire avec la Chine. La reprise de la lutte en faveur des anciens alliés dans le monde arabe, en Asie, en Amérique latine etc. On ne peut pas s'empêcher de remarquer les changements en faveur de mes amis politiques.

 

9. Comment voyez-vous la future collaboration entre les nouvelles droites en Russie et

en Europe occidentale ?

 

D'un point de vue géopolitique, ce qui m'intéresse ce n'est pas le fait d'être à droite ou à gauche, mais l'attitude réelle par rapport aux Russes, à la Russie, à notre passé, présent et futur. C'est cette vision qu’expriment mes amis espagnols, qui me disent: « Nous aimons les Russes indépendamment du fait qu’ils soient communistes ou monarchistes ». Ils incarnent l'idéal. Et ils ont raison car il y a non seulement des individus mais aussi des pays entiers qui changent leur orientation politique, bien que, malgré cela, les intérêts fondamentaux restent les mêmes dans le fond.

 

En définitive,  je me sens beaucoup plus proche de la droite. Ce n'est pas par hasard que Naslédnié Predkov (« L'héritage de nos ancêtres »), possède un sous-titre « revue des perspectives de droite ». Mais la question est de savoir de quelle droite il s'agit. « Les anciennes droites » diffèrent entre elles, les « nouvelles droites » sont aussi hétérogènes. Chez nous en Russie, par exemple, il y a des tendances extrémistes qui n'ont pas de lien réel avec la tradition nationale. Ce sont les habituels extrémistes de gauche: soit par le fond, soit par le langage, soit par la forme. C'est pour cette raison que la première chose à faire consiste à s'entendre sur les questions principales et à chercher ensuite des alliés.

 

Mais il y a autre chose. L'Europe occidentale, actuellement, n’est pas satisfaite de l'influence excessive des USA dans sa région. Mais elle possède des intérêts russes. En effet, l’intégration des petits Etats de l’Europe orientale ou septentrionale dans le marché commun et l'OTAN etc l'arrange parfaitement car dans ce cas, le rôle de ces mêmes Etats d'Europe occidentale s'accroît et leur structure s'actualise et se dynamise. Il serait plus avantageux pour les Russes que ce processus de dynamisation se développe à l'Est et au Sud par le territoire russe. Mais ce sont justement les conflits militaires provoqués et artificiellement entretenus en Europe orientale qui l'empêchent.

 

Votre organisation a lancé l’initiative « Synergon/Synergies Européennes » avec laquelle je me suis familiarisé en lisant les pages de la revue Impérativ (n°2), dirigée par Vladimir Wiedemann. Le document qu’il y a publié contient des pensées remarquables et constructives et comme, on le dit dans ce cas, chargées d'optimisme. Je suis surtout frappé par l'appel des auteurs à la conservation de la mémoire historique, des cultures enracinées et développées, ayant des traditions spirituelles riches. Vous comprenez profondément les problèmes écologiques et économiques de l'époque actuelle, vous ouvrez des perspectives aux jeunes, aux innovateurs, aux forces dynamiques. Ce sont surtout notre politique d'information et votre intention de contribuer à la création des bases d'un système de soutien intellectuel réciproque entre ceux qui partagent les mêmes idées « sur toute l’étendue du Grand Ordre continental » qui n'ont intéressé. Si j'ai bien compris, il ne s'agit pas ici de l'Europe occidentale qui attire vers elle une partie des pays d'Europe orientale dans les intérêts de l’OTAN mais de la formation sur tout notre continent d'une communauté qualitativement différente pour toute l'Eurasie.

 

Quelle forme prendra cette nouvelle communauté géopolitique, c'est avec le temps que nous le verrons. S'agirait-il de cet Empire Sacré entièrement autonome auquel vous aspirez ou d'une nouvelle Sainte-Allianœ ou de l'héritière de l'Union Soviétique ? Pour le moment, il n'y a pas de réponse précise à cette question comme à beaucoup d'autres. Il est clair que le chemin vers le bloc continental ne sera pas facile et, à l'avenir, il ne faut pas s'attendre à une solution rapide et pacifique de tous les problèmes existants.

 

Qu'est-ce que l'on peut proposer de concret aux membres de la « Synergies européennes » ? Tout d'abord, il s'agira d’apprendre à se connaître en profondeur. Pour le moment, je ne connais pas bien l'UE et je ne suis prêt qu'à avoir un rôle d'observateur. En deuxième lieu, il s'agira d'un champ intellectuel et d'information. Il sera indispensable de comparer notre terminologie, nos valeurs, nos objectifs. Il ne faut pas se hâter de créer un « nouvel ordre », en imitant les modèles historiques qui n'ont pas fonctionné autrefois ou qui se sont auto-éliminés. La troisième étape pourrait être une conférence permanente apte à faciliter le passage de la solution des problèmes théoriques aux questions pratiques. Ensuite, on pourrait envisager la publication d'un périodique en plusieurs langues étrangères y compris le russe.

 

Mais actuellement la Russie n'offre que rarement le matériel, prêt à être publié, pour « Synergies Européennes ». C'est une situation anormale. Elle ne correspond pas à l'apport des Russes au développement du continent. Par conséquent, nous devons tout d'abord créer des conditions aptes à faire naître une collaboration réciproque et passer ensuite aux questions pratiques d'organisation et de droit.

Pour conclure, je voudrais remercier personnellement Robert Steuckers pour l'attention qu'il consacre à la Russie, au nouveau mouvement de droite, à la revue « L'Héritage de nos ancêtres » et aussi pour m'avoir offert l'occasion de m'exprimer sur les pages de votre publication. Pendant que l'on préparait l'interview à l'impression, Anatoli M. Ivanov m'a montré une sélection des numéros  de «NdSE » et de «Vouloir» de ces dernières années. Je m'en félicite ! Vous publiez une revue tout à fait nécessaire et sérieuse. Ce sont surtout les éditions spéciales consacrées à l'idée russe et au bolchevisme national qui m'ont plu.

 

Permettez moi de souhaiter que nos rapports se développent ultérieurement sur la base d’un intérêt réciproque, d'une profonde compréhension mutuelle et des liens constructifs et amicaux. Ensemble, nous constituerons une force !

 

Pavel TOULAEV.

2 février 1998, rédaction : 15.10.98