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jeudi, 30 avril 2009

Il North Stream sempre piu un gasdotto europeo

La Finlandia ha espresso un ‘tiepido’ sostegno per Mosca , garantendo una decisione per la risoluzione del problema ecologico entro la fine dell'anno. Il sostegno di Helsinki potrebbe aprire uno spiraglio per l'approvazione dello studio di fattibilità entro la fine dell'anno, nonostante la forte opposizione dei Paesi del Baltico, che temono per i rischi ambientali della conduttura. Intanto Nord Stream AG., il consorzio internazionale che realizzerà il progetto, potrebbe avere come nuovo partner la francese Gaz de France, affiancandosi ad azionisti olandesi e tedeschi.


La Russia potrebbe a breve chiudere la partita diplomatica con il Paesi del Baltico per la realizzazione del gasdotto Nord Stream, progetto che sta divenendo più europeo che mai. Questo rappresenta lo scopo di fondo della due giorni istituzionale del Presidente russo Dmitri Medvedev in Finlandia, discutendo con il suo omologo finlandese, Tarja Halonen, le priorità dell'accordo energetico ed economico tra i due Paesi, focalizzando i colloqui sul gasdotto del Nord. Questo che dovrebbe attraversare i fondali del Mar Baltico collegando il porto russo di Vyborg al porto tedesco di Greifswald, con una conduttura di 1200 km e una capacità produttiva annua di 27,5 miliardi di metri cubi, la cui costruzione dovrebbe cominciare nel 2010; il secondo tratto dovrebbe essere pronto entro il 2012, e consentirà di trasportare una quantità pari a 55 miliardi di metri cubi. Le trattative finali con i Paesi le cui acque territoriali saranno attraversate dalla conduttura, hanno subito un brusco arresto in relazione all'impatto ambientale dell'impianto - come il caso di Finlandia, Estonia e Svezia - o alle ricadute politiche, in particolare per la Polonia, che sarebbe nei fatti aggirata con la relativa perdita delle royalties per il transito del gasdotto.

Deboli aperture sembrano profilarsi con la Finlandia, che ha espresso un ‘tiepido’ sostegno per Mosca , garantendo una decisione per la risoluzione del problema ecologico entro la fine dell'anno, come riportano AFP/LETA. "Per noi finlandesi, questo è un problema ecologico . Se la conduttura può essere costruita nel rispetto della natura, allora sarà un'ottima cosa", afferma Halonen, anticipando che la relazione sull'impatto ambientale del progetto sarà pubblicato alla fine di giugno o all'inizio di luglio, dopodiché il consorzio Nord Stream potrebbe richiedere l'autorizzazione del Governo finlandese e il permesso delle autorità della Finlandia occidentale. Medvedev, da parte sua, ha accolto con favore l'approccio positivo della Finlandia, nell'ottica che il progetto dell'oleodotto del Nord ha come scopo essenziale quello di migliorare la sicurezza energetica dell'Unione Europea. Secondo i media russi, dietro l'arretramento della Finlandia vi potrebbe essere la proposta del Cremlino di concedere migliori condizioni per l'esportazione di legname, materia prima essenziale le l'industria finlandese di trasformazione di legno e carta. Ricordiamo che società finlandesi come Stora Enso e UPM-Kymmene per anni hanno importato legno russo a buon mercato, sino al 2006, quando la Russia ha introdotto gradualmente maggiori restrizioni, fino ad imporre dazi sulle esportazioni di legname. La decisione ha avuto un forte impatto sulla produzione e un successivo calo della domanda interna, conseguenze che potrebbero acuirsi il prossimo anno, quando le tasse sulle esportazioni di legname grezzo dalla Russia dovrebbe raddoppiare per raggiungere il 20%. Il Primo Ministro russo, Vladimir Putin, ha già concordato, tuttavia, lo scorso ottobre, con il suo omologo Matti Vanhanen il blocco della crescita dei dazi per 9-12 mesi, dando così tempo ad Helsinki di elaborare bene la questione. Dunque, un provvedimento nato per stimolare l'industria del legno russa per contrastare i concorrenti stranieri, si è inaspettatamente tradotta in una leva di negoziazione a favore del Nord Stream.

Lo sviluppo del progetto ha aperto anche un fronte dalla Lettonia che propone la possibilità di costruire una pipeline sul suo territorio, connettendosi così alla conduttura del Nord di Gazprom e dando a Riga la possibilità di trarre un vantaggio commerciale dalla cooperazione russa. Il Presidente lettone Valdis Zatlers afferma infatti che, se l'oleodotto avrà una deviazione sulla terraferma, la Lettonia era in grado di offrire un sito di stoccaggio per il gas, in alternativa alla costruzione subacquea in un tratto di mare molto critico. Zatlers ha infatti osservato che i rischi ambientali connessi ad un gasdotto sotto il Mar Baltico sono elevati, perché, a differenza del Mare del Nord, non vi è un ricambio dell'acqua, tale che nei fatti può essere considerato un lago. Allo stesso tempo avverte che la Lettonia potrebbe rifiutare il suo consenso, anche se tutti i problemi ambientali legati alla posa delle condotte verranno affrontati. La rigida posizione della Lettonia, potrebbe, in questo frangente rafforzare anche le posizioni di Svezia ed Estonia, entrambe alacri avversari del progetto russo. D'altro canto, la Germania rappresenta lo Stato maggiormente favorevole, chiedendo come alternativa la creazione di gasdotti attraverso l'Ucraina e la Bielorussia. Da questo punto di vista, il gasdotto baltico, potrebbe divenire un progetto fortemente europeo. Il gestore del progetto è la Nord Stream AG., società registrata in Svizzera, il cui 51% è controllato dalla Gazprom, insieme poi alle tedesche Wintershall e E. ON Ruhrgas (20% ciascuno) e l'olandese Gasunie (9%), mentre si fa sempre più reale un ingresso della francese Gaz de France. Infatti, la tedesca E. ON Energia intende ridurre la sua partecipazione al progetto Nord Stream, in favore dei francesi, cedendo il 4,5% della quota, mentre non è da escludere che GDF possa acquisire una quota maggiore. La sua adesione darebbe al progetto ancor più credibilità agli occhi dell'Unione Europea, principale referente della Russia nell'implementazione di progetti che implicano un rapporto di approvvigionamento di gas al mercato europeo.

La tacita rivalità tra il progetto europeo del Nabucco e il Sud Stream russo ha creato all'interno dell'Unione Europa una sorta di avversione nei confronti di opere infrastrutturali che implicano una certa dipendenza dalle fonti russe. La Germania e l'Italia sono state forti sostenitrici delle cooperazioni con la Russia, sino ad ottenere la riduzione del budget per i progetti energetici di matrice europea. L'influenza russa potrebbe essere ancora più incisiva, all'indomani della proposta di riscrivere la Carta dell'Energia, ampliando l'elenco dei partecipanti e i settori regolamentati, come riportato dai media russi. Il presidente russo ha infatti promesso, durante la sua visita in Finlandia, "che i partner del G8, del G20 e del CSI, nonché i paesi vicini" presenteranno "un documento di base con riferimento alle questioni di cooperazione internazionale nel settore energetico, comprese le proposte per gli accordi sul transito ". La novità del documento risiede, inoltre, nell'ampliamento dell'elenco delle risorse energetiche, inserendo oltre al petrolio e il gas, il combustibile nucleare, l'elettricità e il carbone. La Russia prevede inoltre di ampliare l'elenco dei paesi, che dovrebbe includere i principali attori del mercato energetico, compresi gli Stati Uniti, Canada, Cina, India e Norvegia, accentrando il regolamento sullo scambio e la ripartizione delle risorse, nonché sulla risoluzione dei conflitti e la responsabilità dei paesi di transito. La Russia infatti sottolinea proprio la necessità di implementare un meccanismo efficace di sanzioni, che possono indurre ogni Stato ad evitare ogni possibile tentativo per bloccare il transito del gas. Su tale tema l'Unione Europea sembra ancora molto divisa, perché il settore energetico resta ancora sotto la giurisdizione dei singoli Paesi e non della Commissione europea, con una parziale ingerenza solo per i progetti sovranazionali. Per il resto, l'Unione Europea ha mostrato la sua grande miopia ed inadeguatezza nel rispondere alle crisi energetiche, da mettere a rischio la stabilità economica di tutta la regione.

Fulvia Novellino

mercredi, 29 avril 2009

Vuelve la tension al Caucaso

Vuelve la tensión al Cáucaso

Ex: http://labanderanegra.wordpress.com/

A una veintena de kilómetros de la capital georgiana, Tiflis, se encuentra la base militar de Vaziani, que hasta mediados del año 2001 albergó unidades militares soviéticas, herencia de los años en que Georgia fue una república constitutiva de la URSS. Fue devuelta al Gobierno georgiano, que en ella instaló algunas de sus unidades de reacción rápida.

Precisamente en esa base tuvieron lugar en el verano de 2008 unos ejercicios combinados con las Fuerzas Armadas de EEUU, financiados por el Pentágono, justo un par de semanas antes de que estallara el conflicto ruso-georgiano. Éste, irreflexivamente provocado por el presidente Saakashvili en relación con los territorios independentistas de Osetia del Sur y Abjasia, elevó peligrosamente la tensión en tan crítica zona del Cáucaso y deterioró las relaciones entre Rusia, la OTAN y EEUU, como es de sobra sabido.


Tras el relevo en la Casa Blanca y los nuevos esfuerzos desplegados por Washington y Moscú para mejorar el entendimiento entre ambas potencias, la tensión internacional parecía haberse reducido en esa zona, aunque el descontento popular con el Gobierno de Saakashvili no ha dejado de manifestarse periódicamente a través de una oposición política cada vez más activa.

En estas circunstancias, la OTAN ha anunciado que no modificará sus planes para desarrollar unos ejercicios militares en colaboración con Georgia, previstos para el próximo mes de mayo. El hecho de que esos ejercicios se centrarán en la citada base de Vaziani, de claras connotaciones relacionadas con la guerra del año pasado, añade un crítico interés al asunto, al que no son ajenos los medios de comunicación georgianos.

La televisión local concede amplios espacios al acontecimiento, que las autoridades del país valoran como un claro indicativo de que Georgia tiene gran importancia estratégica para Occidente. El ministro de Defensa declaró que “los ejercicios militares sirven para situar a Georgia más cerca de las estructuras euro-atlánticas y mejorar el cumplimiento de los estándares occidentales”.

Conocedor del peculiar modo de actuar del presidente georgiano, el representante de Rusia en la OTAN sospecha que aquél “considerará la presencia de tropas y equipos militares de la OTAN en su territorio como un renovado beneplácito para atacar a las repúblicas vecinas de Abjasia y Osetia del Sur”. Y añadió: “Estos ejercicios parecen ser un apoyo moral y armado al régimen de Saakashvili”. En la misma línea, Moscú ha decidido no participar en el próximo Consejo Rusia-OTAN, previsto para el 7 de mayo, si las maniobras no son suspendidas.

La OTAN intenta quitar hierro al asunto aduciendo que tales maniobras no implican el empleo de material militar pesado y recordando que estaban planeadas con anterioridad a la guerra del Cáucaso del año pasado. Por su parte, Tiflis denuncia a su vez otras actividades militares que Rusia está llevando a cabo con ambas repúblicas independentistas. El Gobierno georgiano alega que lo que Moscú persigue con esto es que su país aparezca a los ojos del mundo como “un Estado agresivo, con el que no es aconsejable tener tratos”.

Desde Tiflis, un analista georgiano considera que no se deberían esperar “grandes dividendos” de las maniobras, pues la OTAN no quiere perjudicar sus relaciones con Rusia, dados los problemas que tiene pendientes en Afganistán: “La OTAN está más interesada en obtener la cooperación rusa que Rusia en cooperar con la Alianza”. Basa su opinión en el hecho de que Rusia no aspira a entrar en la OTAN, no depende de ésta para su seguridad y no considera prioritarias las relaciones con la organización atlántica.

En Moscú se advierte del riesgo de que se produzcan en Georgia actos de provocación contra las tropas de la OTAN, que se atribuirían a los servicios secretos rusos, para enconar la ya complicada situación. El citado representante de Rusia en la OTAN opina que Saakashvili anhela internacionalizar el conflicto como modo de reforzar su inestable posición política: “Este hombre es peligroso para el mundo”, declaró.

Por último, el ministro ruso de Asuntos Exteriores declaró a una agencia local de noticias: “La OTAN ha vuelto a la Guerra Fría y a la lógica de la confrontación. Pero la guerra tiene sus propias reglas, como todos sabemos”.

Es probable que se trate solo de un desahogo verbal, a tono con la situación, pero los términos del conflicto están ya sobre la mesa y las posturas negociadoras parecen sofocadas bajo una arriesgada dinámica militar, propia y peculiar de la organización atlántica, que habrá que vigilar muy de cerca. La oscura sombra de Afganistán se cierne también sobre el Cáucaso, para una OTAN que parece crear más problemas que los que resuelve.

Alberto Piris

samedi, 25 avril 2009

Les guerres de nouvelle génération

Archives de "SYNERGIES EUROPEENNES" - 1997

Les guerres de nouvelle génération

 

Les « guerres de nouvelle génération » sont les guerres de types ancien et nouveau, dans lesquelles nous, les contemporains de la fin du XXième siècle, sommes bon gré, mal gré, entraînés: les guerres informatique, les guerres religieuses, psychotropiques, énergétiques, technologiques, économiques, financières, les guerres de classes, etc. On mène ces guerres simultanément et dans des espaces différents, c'est pourquoi chacune d'elles, directement ou indirectement, touche chacun de nous.

 

Le monde a toujours été en état de guerre. Dans un premier temps, cet antagonisme fondamentales des forces différentes a été situé au ciel (Indra-Vrtra, Ahura-Daevas, les conflits des dieux de l’Olympe, titanomachie, les anges et les démons) et ensuite sur la terre, tant entre les civilisations, qu'à l'intérieur de celles-ci (Mahabharata, Illiade, Grèce, Rome, Carthage, les Barbares, l'invasion arabe et la Reconquista espagnole, le joug des Tatares et des Mongols en Russie, la conquête de l'Amérique et de la Sibérie, les guerres coloniales, mondiales, etc.). Il n'y a aucune période de l’histoire où les guerres ont cessé complètement quelque part sur notre planète. D'où les dictons comme « La paix c'est la guerre » ou « Si tu veux la paix, prépare la guerre ».

Le sens de la guerre ne s'épuise pas par le meurtre d'un adversaire. Vaincre, cela signifie obtenir la supériorité, l'autorité, le pouvoir. C'est pourquoi tous les mythes pacifistes et les conjurations réclamant « La paix pour le monde » ou priant pour « Que la guerre ne commence pas! » n'ont aucun fondement.

 

Guerres du ciel et guerres de classes

 

Les guerres du ciel (célestes, transcendantales, de l'autre monde) sont interprétées conformément à la tradition religieuse dominante. L'Orthodoxie russe a développé la doctrine chrétienne de la hiérarchie des forces angéliques, de l'ange déchu Satan et de sa révolte contre le Dieu-Créateur, du Diable-séducteur et des démons. Tels symboles mystiques, comme la Croix, les Saintes Icônes, les temples, le Saint Sépulcre, Jérusalem sont une réalité absolue pour les Chrétiens. Les guerres religieuses font que la réalité céleste descend sur la terre et, le résultat qui s’ensuit, est profanation de ces guerres ;  elles sont abaissées au niveau d'un antagonisme entre les peuples, les races et les civilisations. L'amour du Christ a mené plus d'une fois à l'extermination des Païens et de leurs valeurs culturelles et religieuses ; la fidélité à Allah a été jusqu’à l’incendie des villes et des églises chrétiennes, sans parler des victimes humaines.

 

La guerre des classes, la guerre des prolétaires contre les bourgeois exploiteurs a des fonctions analogues, mystiques au fond. Le caractère inventé de cet idéologème typique s'exprime en toute clarté par la haine des communistes internationalistes à l’encontre de leurs compatriotes industriels et par l'amour des "frères de classe" d'Afrique, d’Asie et d’Amérique. En considérant notre Patrie comme une combinaison organique d’espaces de types différents (céleste, historique, géographique, communicatif, personnel, etc), unis par un Destin commun, nous découvrirons, que dans ce champ, s’est toujours déroulé, depuis un temps immémorial, le conflit des forces, éléments et tendances différents, qui forment les mondes variés.

 

Guerres classiques et guerres non classiques

 

Les guerres classiques (avec la participation de capitaines, officiers et soldats armés) peuvent être catégorisées sur le plan historique en guerres anciennes, classiques, modernes et surmodernes. On étudie aujourd'hui les guerres anciennes dans un but pédagogique et didactique, mais l'expérience vécue de ces guerres est très importante aussi pour la compréhension des orientations géopolitiques actuelles. On étudie les guerres classiques dans les écoles et académies militaires (les guerres de Napoléon, les deux guerres mondiales, les révoltes des colonies contre les métropoles), ainsi que les conflits limités avec l'utilisation d’armes meurtrières (les guerres civiles, la résistance des partisans, le terrorisme). Les guerres modernes sont les guerres qu'on fait aujourd'hui avec l'utilisation de tous les moyens disponibles.

 

On appelle « guerres non-classiques » les formes de conflits qui sortent des limites et des règles admises, qui fixent comment il faut faire la guerre, mais ces formes sont souvent plus efficaces et remontent à l'antiquité. Un guide original dans le domaine des guerres non-classiques : la lecture des célèbres principes stratégiques chinois, où l'art de la guerre inclut l'intelligence, la décision, la ruse, la fraude et l'hypocrisie: "tuer avec un couteau d'autrui", "piller durant un incendie", "pêcher en eau trouble", "attirer vers le toit et enlever l'escalier", "lutter contre le drapeau rouge en agitant le drapeau rouge", etc. La République Populaire de Chine, en utilisant la ruse de guerre, a voulu que « deux tigres (les Etats-Unis et l'URSS) se harassent l'un l'autre, tandis que le singe (la Chine) observe leur duel d'une distance sûre ». Et Chine y a réussi en partie. Mais les instigateurs de la guerre entre l’URSS et le Troisième Reich ont utilisé cette méthode encore plus efficacement. Cette guerre, ce sont les Etats-Unis, Israël, les corporations transnationales et les structures bancaires internationales qui l’ont gagnée.

 

Réflexions russes sur la « guerre froide »

 

Un mythe-stéréotype récent n’a cessé d’affirmer que l’un des traits caractéristiques des guerres modernes était l'utilisation des armes d'anéantissement massif, c'est-à-dire des bombes A et H, des matières chimiques empoisonnantes et paralysantes, des matériels d'artillerie ultra-performants et des fusées de grande puissance. On pensait que pour gagner la guerre à l'époque actuelle l'utilisation de tels moyens était possible et même nécessaire et leur utilisation en commun pourrait amener à l'anéantissement du globe terrestre tout entier.

 

Dans les circonstances de la course aux armements nucléaires, on a inventé le terme de « guerre froide ». Il s'agit d’une opposition globale entre blocs militaires et politiques adverses, où les collisions, la lutte, les controverses et les autres formes de rivalité existent, mais où on ne les conduit pas jusqu'au conflit meurtrier sur une vaste échelle. Cela a conduit au partage du monde en deux camps hostiles, l’un communiste et l’autre capitaliste. Les idéologies hostiles et non pas les grandes orientations de civilisation jouaient le rôle principal dans cet antagonisme planétaire. Le blocus de l’information ("Le rideau de fer") a été organisé de part et d’autre et cela a stimulé le partage artificiel de l’Allemagne, l'union contradictoire de l'URSS et de la Chine contre l'Europe et la division de la Corée.

 

L'isolation du camp communiste du reste du monde a mené le développement des pays assiégés à l'impasse économique et sociale. Ces pays sont tombés dans le piège classique et la Russie a subi tous les principes stratégiques des guerres non-classiques: elle a été "tuée avec un couteau d'autrui", "pillée durant un incendie", on a pêché ici longtemps en "eau trouble", on a fait les guerres contre les autres peuples “jusqu’au dernier Russe" et enfin, on "a enlevé l'escalier, en nous attirant vers le toit". La Russie, immergée dans les mythes chrétiens et communistes, ne s’était jamais préparée à ces jeux politiques, inhabituels pour elle, et elle a perdu ainsi la Troisième guerre mondiale, en gardant tout son potentiel nucléaire intact. En outre, l'énergie du réacteur nucléaire, explosé à Tchernobyl, a causé à notre pays un grand dommage, comparable au résultat d'une guerre locale.

 

La « guerre froide », déclarée par Churchill et Truman, dont  le programme minimal visait à ne pas admettre l'élargissement de la sphère d'influence de l'URSS et du communisme, et dont le programme maximal entendait forcer l'URSS à reculer jusque dans ses anciens confins, a été gagnée par l'Occident avec un avantage énorme. Un nouveau partage du monde a lieu sous nos yeux (Yougoslavie, Pays Baltes, Ukraine, Crimée, Caucase) et la Russie est rejetée dans un rôle de troisième rang dans la politique internationale et, pire, son niveau économique est celui d’un pays "sous-développé".

 

Cela est clair : nous, Russes, avons été vaincus avec des moyens "pa­cifiques" (comme la ruse, la corruption, les démonstrations de for­ces, la propagande), plus précisément, nous avons perdu la guerre des civilisations. Nonobstant le fait que notre civilisation soviétique avait quelques avantages face à la civilisation occidentale (par exemple, une économie planifiée, une discipline de travail, une éducation à la spartiate, un ascétisme et un idéalisme communistes), elle cédait le pas du point de vue du niveau de la vie (l'air vicié et pollué, la mauvaise qualité de l'habitation, le manque de moyens de transport personnels, le niveau des salaires, les possibilités de voyager à l'étranger). Si la civilisation soviétique avait pu offrir de tels avantages, les élites d’Europe et des Etats-Unis auraient immigré en Sibérie ou dans l’Oural et nos transfuges ne se seraient pas enfui en Occident.

 

Ainsi, force est de constater aujourd’hui que la condition la plus importante de la victoire, c'est la qualité de la vie, c'est-à-dire une bonne organisation de l'espace vital, que stimule toutes les fonctions de l’organisme « théanthrope » ; grâce à une telle organisation, le lieu d'habitation permanent se transforme en une maison confortable, avec un jardin agréable ; elle est un objet de la fierté nationale. C'est évident : nous ne pouvons apporter une telle qualité de vie qu'à une partie seulement de la Russie, tout en considérant le fait, que la quantité de notre peuple a commencé à diminuer ; une dégradation générale des fonctions, propres à donner la vie, est observable aujourd’hui. C'est pourquoi, il me paraît très important de définir avec précision les priorités nationales dans les domaines de la géopolitique, de la géographie économique et des liaisons internationales.

 

La quatrième guerre mondiale a commencé

 

Nous pouvons clairement affirmer aujourd’hui, que sitôt la Troisième guerre mondiale, la guerre froide, s’est achevée, la Quatrième guerre mondiale a commencé à acquérir vigueur et contours. Cette guerre se mène dans des espaces nouveaux, avec l'utilisation de technologies nouvelles et la participation de sujets nouveaux. Les agresseurs principaux sont les compagnies transnationales, les banques internationales et les organisations comme l’OTAN, l’ONU, l’OSCE. Leur but est l'établissement du "nouvel ordre mondial" et leurs moyens sont, avant tout, les technologies les plus modernes et les courants d'information. Les formes d'opposition ont changé aussi. Auparavant, il fallait prendre une ville d'assaut pour l'occuper et dicter aux habitants les conditions du vainqueur ; maintenant, une telle invasion s’opère par l'intermédiaire des média (TV, radio, journaux, revues). La propagande, la publicité et la culture étrangères dominent dans l'espace de l’information, les technologies occidentales déterminent l'image de l'industrie moderne et les marchandises étrangères ont évincé du marché les marchandises de production locale. Les structures bancaires internationales contrôlent la plupart des économies nationales. Il est donc légitime de parler de domination.

 

On peut placer au nombre des formes de guerre sur-moderne des méthodes d'invasion comme la "thérapie de choc", le "monétarisme", le “crochet énergétique" (les fournisseurs de matières premières contre le complexe militaire-industriel), une guerre locale subordonnée à des objectifs transnationaux (le piège de la Tchétchénie dans le cadre d'un scénario global), le “diktat technologique" (programmes pour les ordinateurs, licences pour les différents types de technique), "la fuite des cerveaux" bien organisée, l'attaque psychotropique (les élections du Président), etc. Les cours du rouble, attaché au cours du dollar, le contrôle d’internet, les virus d'ordinateur sont aussi des variantes d'une agression menée sur une vaste échelle contre la Russie.

 

Une victoire chaque jour !

 

Que pouvons-nous opposer à cette expansion nouvelle? La force de l'intelligence, avant tout. C'est inutile de penser à une contre-offen­si­ve sans supériorité intellectuelle. Il faut encourager, bien payer, dé­ve­lopper et faire de la propagande pour toutes les formes d'activité intellectuelle. Il est nécessaire de créer un champs d’action moderne et intellectuel (par l'intermédiaire de notre presse, par des réseaux informatiques, des fax-modems, etc.). Il faut combiner l'étude des disciplines fondamentales, de la tradition nationale, de la stratégie mil­itaire et politique avec l'analyse opérative. Les structures hermétiques de caste doivent remplacer les structures politisées de masse. Dans le domaine de la théorie et de la pratique, il est nécessaire de com­biner la Tradition et la Révolution, c'est-à-dire l'appropriation des val­eurs sacrales et simultanément, la correspondance aux exigences d'au­jourd'hui, et toujours le haut niveau professionnel et l'aspiration à la suprématie. Dans le domaine des liaisons extérieures, il faut établir des contacts avec les organisations paneuropéennes et eurasiennes, dres­ser des ponts entre nos alliés dans tout le monde.

 

Mais le point capital est l'offensive. L'attaque! Ici, tout de suite et tou­jours - une victoire chaque jour !

 

Pavel TOULAEV,

Vice-Président de « Synergies-Russie ».

(Traduit du russe par A. M. Ivanov ; texte abrégé issu du bulletin politologique international d'information Imperativ, Berlin, 1997, n°3, pp 55-57).

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mardi, 21 avril 2009

Conférence sur l'Eurasisme

Annonce de la prochaine conférence de Robert Steuckers sur l'"Eurasisme"

L'eurasisme? Nouvelle mouture du soviétisme ou innovation fondamentale qui reprend les règles du "Grand Jeu" qui avait opposé, au temps de Rudyard Kipling, la Russie des Tsars à l'Angleterre de la Reine Victoria, Impératrice des Indes?

Pour comprendre la dynamique pluriséculaire de la masse continentale eurasienne et de son centre géographique, fait de steppes semi-désertiques, entre l'Altai et la Volga, il faut remonter à la proto-histoire, quand les peuples cavaliers proto-iraniens se sont rendus maîtres de cet espace pour le céder, au fil de l'histoire, à leurs homologues huns, turcs et mongols, avant que les cosaques d'Ivan le Terrible et ses successeurs ne reprennent l'offensive.

Le géopolitologue britannique Halford John Mackinder disait: "Qui détient la Terre du Milieu (sibérienne), tient l'Ile du Monde et est donc maître de la planète". Or le pouvoir hégémonique des Britanniques hier et des Américains aujourd'hui ne vient pas de la maîtrise de ce vaste espace continental mais de celle de l'Océan Indien, Océan du Milieu, comme vient de l'expliquer dans les colonnes de "Foreign Affairs" l'essayiste américain Robert Kaplan.

L'histoire du monde serait-elle déterminée par la dialectique entre "Terre du Milieu" et de l'"Océan du Milieu"? N'est-ce pas la l'enjeu majeur des prochaines décennies du 21ème siècle? le nouveau "Grand Jeu" comme n'hésite pas à l'appeler Kaplan?

L'OTAN et la Russie: entretien avec N. S. Babourine

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1997

 

 

L'OTAN et la Russie: entretien avec Nicolaï Sergueï Babourine, vice-président de la Douma

 

La visite récente qu'a apportée à Moscou Madeleine Albright, secrétaire des affaires étrangères des Etats-Unis, avait pour but de faire fléchir l'attitude négative des Russes face à l'extension vers l'Est de l'OTAN et à l'inclusion de la Pologne, de la Tchéquie et de la Hongrie dans le système de défense atlantique. La rencontre entre Madeleine Albright et les plus hauts dirigeants de la Russie n'a pas eu les résultats escomptés. (...). Fin janvier 1997, sous la direction du Vice-Président de la Douma, Sergueï Nicolaï Babourine, un nouveau groupe parlementaire voit le jour, le groupe “anti-OTAN”. Fin février, 110 parlementaires y adhéraient, principalement des députés de l'extrême-gauche et de l'extrême-droite. Babourine, ancien recteur de la faculté de droit d'Omsk, la mégapole de Sibérie méridionale, est le plus farouche adversaire de l'élargissement de l'OTAN. Babourine a 38 ans, il est juriste et président de la “Fédération du Peuple Russe”, proche du PC de la Fédération de Russie. Il est un homme politique conservateur appartenant à la jeune génération. Il n'a pas été “mouillé” par le communisme, il a acquis sa maturité politique au début des années 90, après l'effondrement de l'Union Soviétique. «Babourine est l'un des rares, sinon le seul, parmi les hommes politiques nationalistes de gauche en Russie à manifester clairement son opposition à l'élargissement de l'OTAN à des pays ex-socialistes», nous a dit le chroniqueur parlementaire d'un journal moscovite à gros tirage.

 

Les adversaires de Babourine, les parlementaires qui ne partagent pas les mêmes opinions que lui dans la Douma, estiment qu'il est un homme politique clairvoyant. Plusieurs partis démocratiques cherchent à obtenir ses faveurs ou à l'attirer dans leurs rangs. Babourine est le plus jeune des hommes politiques russes à occuper d'aussi hautes fonctions, tout en étant membre d'une fraction parlementaire proche des communistes et dénommée “Le Pouvoir au Peuple” (Vlado VURUSIC, Zagreb).

 

VV: Quelle est la raison qui pousse la Pologne, la Tchéquie et la Hongrie à adhérer à l'OTAN? Ces pays ont-ils peur de la Russie?

 

NSB: Je ne crois pas que les problèmes se trouvent dans les pays qui veulent adhérer à l'OTAN. A mon avis, il faut chercher la raison dans l'OTAN elle-même, qui, en principe, est un système de sécurité collective en Europe. L'élargissement de l'OTAN vers l'Est conduit à une déstabilisation et contribuera à amener de nouveaux clivages et de nouvelles divisions en Europe. La question est la suivante: qui a besoin de ce système? De qui faut-il le protéger? De la Russie? Cela signifierait ipso facto que les relations entre l'Ouest et la Russie ne se sont pas modifiées d'un poil depuis la guerre froide? Absurde! Pour moi, la façon de procéder des pays membres de l'OTAN et des pays qui souhaitent y adhérer ou qui attendent d'en faire partie, est un acte de méfiance à l'égard de la Russie, quoi qu'ils veulent bien nous faire croire. Ce sentiment de méfiance est un danger pour la Russie.

 

VV: Pourquoi pensez-vous que l'OTAN est un danger pour la Russie? L'OTAN n'a-t-elle pas demandé à la Russie d'en faire partie elle aussi?

 

NSB: L'OTAN est un danger permanent pour notre sécurité. Elle possède un commandement unifié et constitue un système politique commun. Souvenons-nous des bombardements massifs subis par les Serbes en Bosnie et en Herzégovine. Qu'est-ce qui peut nous garantir qu'un jour nous ne subirons pas le même sort? Vous remarquez que l'OTAN a demandé à la Russie de faire partie de l'alliance, moi, je pense que cette proposition n'était pas honnête et sérieuse. Nous nous retrouverions dans une position subalterne, si nous demandions d'en faire partie, nous devrions faire la queue en attendant d'être acceptés et, finalement, nous risquerions d'être rejetés!

 

On nous dirait alors: “Les cartes d'entrée ont toutes été distribuées, vous avez attendu pour rien”. Pour nous, qui restons une grande puissance, ce serait une humiliation sans précédent. Ensuite, je me permettrais de vous rappeler qu'en son temps, l'URSS en la personne de Nikita Khrouchtchev, Secrétaire général du PCUS, avait demandé au Président américain Eisenhower notre adhésion à l'OTAN. Ils nous ont refusés. Après avoir rencontré des diplomates européens à Bruxelles et à Strasbourg ou en avoir reçus ici à Moscou, il me semble que les Européens conçoivent l'OTAN de la même façon que les Américains.

 

De toutes ces réunions, je suis revenu convaincu que les diplomates européens et américains conçoivent l'OTAN comme une forme de vie, comme un style de vie impassable. Cette façon de penser est profondément ancrée dans le subconscient de ces gens: il y a été enfoncé pendant toute la durée de la guerre froide. Ce subconscient, ils l'ont gardé jusqu'aujourd'hui, malgré le changement de donne. Pour eux, l'OTAN n'existe que contre la Russie. Or, s'ils voient les choses ainsi, il est tout naturel que nous, les Russes, nous nous montrions prudents. Pour ces diplomates, l'OTAN est l'élément principal dans l'architecture globale de la sécurité européenne.

 

C'est comme s'ils ne pouvaient pas comprendre que le Pacte de Varsovie n'existe plus, ce Pacte qui donnait a posteriori une raison d'être à l'OTAN. Ensuite, l'URSS, puissance nucléaire dont ils avaient peur, puissance qui était leur adversaire potentiel, n'existe plus non plus. Si l'on prend ces deux faits majeurs en considération, les efforts déployés par l'OTAN pour s'étendre vers l'Est menacent de fait la sécurité européenne dans son ensemble. Vu ainsi, cet élargissement en cours n'est pas seulement une reprise des hostilités à l'encontre de la Russie.

 

VV: Vous ne pensez donc pas que l'élargissement de l'OTAN soit une garantie pour la sécurité européenne, qu'elle soit une part du processus d'intégration qui anime l'Europe d'aujourd'hui et auquel la Russie est conviée?

 

NSB: Non. Pour moi, ce ne sont pas les garanties de sécurité qui constituent l'enjeu majeur; je crois qu'il s'agit en toute première instance de menacer la Russie. De plus, l'élargissement de l'OTAN vers l'Est pose problème pour l'avenir des accords et des traités signés jadis entre l'OTAN et la défunte URSS. De facto et de jure, ces accords et ces réglements, sur lesquels repose la sécurité européenne, ont été dénoncés unilatéralement par les membres européens et américains de l'OTAN.

 

En première instance, il s'agit des accords réglant la réduction des armes nucléaires. C'est justement l'OTAN, à ce niveau, qui menace la sécurité européenne dans ses fondements: même si l'OTAN n'acquiert qu'un seul nouveau membre, pour nous, cette situation crée une base juridique rendant caducs les accords du passé, par exemple ceux qui portent sur la limitation de l'emploi de missiles à courte et moyenne portée. C'est l'OTAN qui porte la responsabilité de la caducité de ces accords!

 

Car, enfin, osons poser la question: l'OTAN est-elle une alliance dirigée contre la Chine? Certes, les parties co-signatrices de ces accords devenus caducs par la volonté de l'OTAN, c'est-à-dire l'URSS et le Pacte de Varsovie, n'existent plus, mais il va tout de même de soi que c'est la Russie qui a hérité des obligations liées à ces accords.

 

Car on semble effectivement oublier que la Russie a repris à son compte les obligations liées à ces accords, signés par l'ex-URSS. Enfin, sur le plan juridique, si l'OTAN s'étend vers l'Est à des pays qui ont accepté eux aussi la teneur de ces accords au titre de membres du Pacte de Varsovie, alors la problématique peut être envisagée d'une toute autre façon. Quoi qu'il en soit, l'élargissement de l'OTAN vers l'Est constitue une entorse de taille aux accords passés qui avaient réglés les problèmes généraux de la sécurité européenne.

 

VV: Pourquoi affirmez-vous sans détours que l'OTAN menace la Russie?

 

NSB: La Russie et l'OTAN (du moins ses principaux membres) sont des puissances nucléaires. Ensuite, nous, les Russes, devons retirer tout notre potentiel nucléaire hors des pays qui faisaient jadis partie de l'URSS. Rien que la simple existence de l'OTAN est signe qu'il y a un ennemi, que cette alliance militaire existe contre quelqu'un. Si, finalement, la Russie vient à faire partie de l'OTAN, contre quel ennemi sera dirigée son adhésion? Sans doute contre notre plus gros voisin, la Chine, un pays de plus d'un milliard d'habitants? Ce pays considérera sans doute que notre adhésion à l'OTAN est un acte d'hostilité à son égard: avons-nous besoin de cela? Très logiquement, les Chinois se demanderaient si la Russie prépare la guerre contre eux. La Chine est un pays important, avec lequel nous entendons coopérer harmonieusement. Nous ne voulons pas le provoquer.

 

VV: La Russie prend-elle des mesures contre l'élargissement de l'OTAN vers l'Est?

 

NSB: Nous invitons toutes les forces de gauche en Europe à se mobiliser contre l'élargissement de l'OTAN vers l'Est. Nous avons déjà obtenu le soutien des représentants de la gauche dans le Conseil Européen. Ensuite, nous allons reprendre les meilleures relations possibles avec les pays non alignés.

 

L'OTAN est devenu une organisation qui n'a d'autre but que de se perpétuer. On peut se poser la question: l'OTAN existe-t-elle pour l'Europe, ou l'Europe existe-t-elle pour l'OTAN? Si les dirigeants européens l'avaient voulu, l'OTAN se serait auto-dissoute une semaine après l'auto-dissolution du Pacte de Varsovie voire même dès la dissolution de l'URSS. Dans les circonstances actuelles, je ne vois pas de raison objective pour que cette alliance atlantique se perpétue ou s'élargisse.

 

Je suis sûr que l'OTAN disparaîtra comme elle s'est jadis constituée. J'espère que dans quelques années, tout ce que je dis ici, ne sera plus qu'anecdotique, plus que matière pour les historiens et les chroniqueurs politiques et parlementaires.

 

VV: Mais pourquoi les Polonais, les Tchèques et les Hongrois veulent-ils intégrer l'OTAN?

 

Je vois et je comprends les motivations pour lesquelles des pays d'Europe orientale veulent adhérer à l'OTAN. Les Polonais et les Tchèques craignent surtout l'Allemagne réunifiée, ils craignent qu'elle ne réclame les territoires annexés en 1945. Si la Pologne et la Tchéquie deviennent membres de l'OTAN, elles obtiendront des garanties quant à leur sécurité mais aussi des garanties pour leurs frontières.

 

Lorsque l'on converse avec des hommes politiques est-européens, on perçoit chez eux une drôle de psychose, faite de tension et d'impatience. Ils parlent comme s'ils étaient agités par une fièvre et me disent: «Comprenez-vous? Tous autour de nous veulent entrer dans l'OTAN, alors pourquoi ne le ferions-nous pas?». J'interprète cela comme un phénomène psychologique, post-traumatique. Il y a quelques jours, j'étais en Bulgarie. Là-bas, les politiques m'ont dit souvent: «Pourquoi n'entrerions-nous pas dans l'OTAN, si tous les autres le font. Même si nous ne le souhaitons pas, nous devons y adhérer parce que tous nos voisins sont dans l'OTAN, nous ne pouvons pas rester en marge...».

 

VV: Manifestement, ni l'OTAN ni les pays est-européens ne sont en mesure de prendre leurs distances avec l'élargissement de l'alliance militaire atlantique...

 

NSB: Il faut que la Russie prenne des décisions claires, qui ne soient pas que paroles et qu'elle annonce aux Européens, qu'elle les convainc qu'un tel comportement induira des contre-mesures russes, par exemple, la reprise de la production de certains types d'armes, la remise en question de certains traités sur la réduction des armes nucléaires, de même que la reprise de tests ou l'adoption de nouveaux systèmes d'armes, ou encore la réactualisation de certains éléments de notre doctrine militaire, alors l'Ouest sera obligé de réfléchir... Justement, c'est dans le domaine de la doctrine militaire que je veux rester: une clause de cette doctrine est toujours théoriquement valable; elle dit que la Russie a le droit d'administrer la première frappe nucléaire. Le principe de la doctrine militaire soviétique, qui veut que la Russie garde pour elle le droit d'effectuer une première frappe, n'a pas été abandonné officiellement. La Russie peut donc conserver son droit de frapper la première.

 

Dès lors, la Russie a non seulement le droit de riposte mais aussi le droit d'initiative, si elle se sent menacée. Ce que pouvait la puissante URSS de jadis, la Russie affaiblie d'aujourd'hui le peut encore. Les dirigeants de l'OTAN devraient y penser. Ensuite, l'intégration de la Russie et de la Biélorussie progresse, bientôt ces deux pays seront à nouveau réunis. L'Occident doit aussi y réfléchir. La réunification russo-biélorusse sera un événement important, qui obligera l'OTAN à s'élargir encore davantage. De son côté, la Russie devra développer des processus d'intégration comparables avec les pays de l'ex-URSS. Ce sera sa réponse à l'OTAN et elle s'efforcera de créer en Europe un système efficace de sécurité collective, limité au territoire de l'ancienne URSS.

 

VV: Quelques pays de l'ancienne URSS se sont toutefois donné pour objectif de devenir eux aussi membres de l'OTAN...

 

NSB: Il n'en est pas question. Nous réclamerons le soutien du Conseil de l'Europe et nous ferons en sorte que l'Ukraine acquiert le statut d'un pays non aligné, qui, par sa propre volonté, renonce à l'arme nucléaire.

 

VV: Comment les futurs rapports entre la Russie et l'Europe évolueront-ils après l'adhésion des nouveaux membres de l'OTAN?

 

NSB: La Russie devra immédiatement réviser ses rapports avec les Etats qui viennent d'adhérer à l'OTAN et prendre toutes les mesures adéquates pour assurer la défense de ses frontières. On nous a dit assez souvent que la Fédération de Russie possédait une frontière commune avec la Pologne, en Prusse orientale. Nous allons devoir défendre nos frontières. L'élargissement de l'OTAN coûtera fort cher: aux nouveaux pays membres, à ceux qui les soutiennent et à la Russie. Toutes ces charges seront portées par nos contribuables. La Russie n'hésitera pas à défendre ses frontières: chaque région, chaque citoyen.

 

VV: Pouvez-vous nous dire quelles mesures la Russie compte-t-elle concrètement adopter après l'adhésion des nouveaux membres de l'OTAN?

 

NSB: La Russie prendre position face aux événements. Mais elle ne peut dévoiler ses cartes. Mais soyez-en sûrs, la Russie ne laissera pas l'élargissement de l'OTAN vers l'Est sans réponse.

(propos recueillis par Vlado Vurusic pour le journal Globus de Zagreb, le 28 février 1997. Trad. all.: Dr. Hrvoje Lorkovic; une version allemande écourtée est parue dans Junge Freiheit n°16/1997; trad. franç.: R. Steuckers). 

mardi, 14 avril 2009

L'ENI guida la missione italiana in Russia

L’Eni guida la missione italiana in Russia

Ex: htpp://www.ladestra.info/
Tratto da Rinascita
Di Andrea Angelini
Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni, a margine della missione imprenditoriale italiana in Russia, in corso a Mosca, ha sottolineato che ogni passo che si fa per stringere i rapporti con la Russia finisce per andare a beneficio sia del consumatore italiano che della sicurezza dell’approvvigionamento energetico del nostro Paese. Ieri Scaroni ha firmato l’accordo che prevede il ritorno a Gazprom del 20% della quota azionaria di Gazpromneft (il ramo petrolifero del gruppo russo) attraverso l’esercizio del diritto di opzione. Eni aveva acquistato tale quota nel 2007. Gazprom sborserà la stessa cifra pagata allora da Eni più gli interessi per un totale di 4,2 miliardi di euro. Scaroni ha precisato che in nome della cooperazione strategica in materia di energia, i due gruppi svilupperanno progetti congiunti in Russia e fuori dalla Russia, sulla base del principio di reciprocità. Eni e Gazprom hanno firmato, sotto il patrocinio dei due governi, una serie di accordi di collaborazione in Russia e all’estero anche con le principali società energetiche russe come Inter Rao UES, Rosneft, Transneft e Stroytransgas, sia nel settore del cosiddetto “upstream”, cioè ricerca e produzione di idrocarburi, che della raffinazione. Scaroni ha insistito sul fatto che gli accordi dell’anno scorso con Gazprom, che fra l’altro hanno garantito al nostro Paese la fornitura di gas fino al 2035, si è ora allargato a tutte le altre compagnie energetiche russe. Soprattutto, ha sottolineato, con il colosso russo c’è anche un rapporto tecnologico. Come Eni, “investiamo in Russia e continuamo ad essere il loro partner favorito”.
In ogni caso, ieri sono stati firmati solo gli accordi più commerciali. Per gli altri che rivestono un’importanza più strategica e politica, se ne parlerà fra qualche settimana nel prossimo incontro fra Putin e Berlusconi, trattenuto in Abruzzo dal terremoto.
Tali accordi riguarderanno ad esempio il potenziamento della capacità del gasdotto South Stream, che parte dalla Russia, sotto il Mar Nero, per poi attraversare la Bulgaria, la Grecia per arrivare infine in Italia. Ma interesseranno anche l’ingresso di Gazprom con la quota di comando del 51% in Artikgas, società controllata dalla joint venture Severenergia (partecipata da Eni, 60% ed Enel, 40%). Artikgas gestisce giacimenti di gas naturale che un tempo facevano parte di Yukos, il gruppo già controllato dall’ex magnate Mikhail Khodorkovski, ora in galera sia per evasione fiscale sia per essere un prestanome della Exxon americana. Ultimo punto che dovrà essere visto da Putin e Berlusconi riguarda il giacimento Elephant in Libia situato ad 800 chilometri a sud di Tripoli il cui destino faceva parte degli accordi più generali sottoscritti l’anno scorso tra i due governi e i due gruppi.
Anche Finmeccanicasi muove
Anche la Finmeccanica ha rafforzato la propria presenza in Russia con la firma di tre nuovi accordi. Questi hanno interessato tre diversi settori. Quello della sicurezza con Selex Sistemi Integrati, quello dell’aeronautica con Alenia Aeronautica e quello del segnalamento ferroviario con Ansaldo Sts.
Alenia Aeronautica, in particolare, ha perfezionato l’acquisizione del 25% della Sukhoi Civil Aircraft Corp. (SCAC), la società che si occupa della progettazione e produzione del Sukhoi Superjet 100 (SSJ100), l’aereo ad utilizzo regionale di nuova generazione da 75-110 posti al cui sviluppo la società italiana stava già lavorando. Il nuovo aereo ha ricevuto finora ordini per un totale di 98 esemplari, ed entro la fine del 2009 è stata prevista la consegna del primo velivolo alla Aeroflot, la compagnia di bandiera russa.
Prospettive per le piccole e medie imprese

Emma Marcegaglia presidente di Confindustria, ha parlato delle grandi prospettive che si aprono per l’industria italiana nel suo complesso. Non solo quella grande ma anche la media e piccola. La Russia, ha spiegato, è interessata a sviluppare un tessuto fatto di piccole e medie imprese. Su questo l’Italia può dare “un contributo vero e forte”. Quasi il 90% delle imprese partecipanti alla missione in Russia sono piccole e medie imprese. E allora se i grandi gruppi hanno i loro canali già aperti si deve pure ammettere che hanno aiutato le piccole imprese a entrare nel mercato russo. Certo, ha ammesso, non sono tutte rose e fiori. Le imprese hanno problemi soprattutto nel sistema dei pagamenti.
Da parte sua, il ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola, nel ricordare l’apertura dell’Italia agli investimenti russi, dimostrata dall’ingresso di Gazprom nel settore della distribuzione del gas e di Lukoil nella raffinazione, ha auspicato che si verifichi un ulteriore flusso di investimenti russi nel nostro Paese, sulla scorta di ciò che sta accadendo per il turismo. Del resto il legame strategico esistente tra i due Paesi è evidenziato dalla crescita dell’interscambio, che negli ultimi 10 anni è più che quadruplicato, passando da 6 miliardi di euro del 1999 ai 26 miliardi del 2008.

jeudi, 09 avril 2009

Grigori P. Yakoutovski, prophète slave

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1995

 

Grigori P. Yakoutovski, prophète slave

 

Grigori Pavlovitch Yakoutovski, né en 1955 à Moscou de père biélorusse et de mère russe, est “bachelier de psychologie” de l'Université de Moscou, thérapeute-psychologue et auteur de manuels présentant des méthodes pratiques d'entraînement psychologique. Après ces études, il s'est plongé dans l'histoire, la philosophie, l'ethnographie, l'histoire de l'art, les sciences religieuses, les sciences occultes et mys­tiques, ce qui a changé radicalement son existence et ses activités professionnelles.

 

Depuis 1990, il est actif comme lecteur, narrateur, chanteur, organisateur de fêtes et de cérémonies ins­pirées par les réflexes religieux innés des Slaves de l'Est. Les prêtres de l'Eglise orthodoxe l'appellent le “prophète slave”. Désignation significative car une prophétie a annoncé qu'à la fin du XXième siècle un Slave fera renaître la foi païenne et que l'orthodoxie ne réussira pas à redevenir la religion de la Russie nouvelle.

 

Grigori P. Yakoutovski est l'auteur de plusieurs livres, dont Langue de la magie et magie de la langue  (une étude sur la mystique traditionnelle slave et une tentative de la réactiver dans nos temps présents) et Monde russe et paradis terrestre  (une étude sur l'histoire, l'ethnographie, la mythologie et la magie des Slaves de l'Est).

 

L'essentiel de la vision de l'auteur se résume ainsi: il faut considérer la mythologie, la mystique, la philo­sophie et la culture des Slaves de l'Est comme un élément prépondérant dans la civilisation mondiale, et plus particulièrement dans le domaine indo-européen, et il faut tenir compte des particularités historiques et ethno-psychologiques de ce peuples est-slave qui a joué un rôle déterminant dans le destin du monde et continuera à le jouer pour l'avenir de l'humanité tout entière. En fait, Yakoutovski nous explique qu'il faut davantage réveiller et réactiver les traditions que les faire renaître.

 

En 1992, naît la société ”Koupala” (Centre pour l'Unité Culturelle des Slaves de l'Est). Elle organise des fêtes et des cérémonies selon l'esprit immémorial et traditionnel du peuple, ainsi que des expositions pour les artistes et les artisans qui s'inspirent de cette tradition populaire slave. Elle organise également des séminaires et collecte des informations sur l'histoire, l'ethnographie et la culture du peuple.

 

La mission historique que s'assigne le centre “Koupala” est, pour l'essentiel, de diffuser de l'information, à l'échelle la plus large possible. “Koupala” respecte le choix des autres et se porte garant afin que les opi­nions, points de vue et thèses de tous les invités soient pris en considération et que tout cela soit coor­donner pour qu'une vaste coopération puisse s'établir dans le pays et en dehors. “Koupala” ne travaille pas comme une entreprise commerciale, n'impose à personne une organisation strictement hiérarchisée et n'est pas une communauté religieuse au sens traditionnel du terme. C'est une association regroupant des hommes et des femmes qui partagent une même vision mystique de la vie et de l'homme, supposant une prédominance des forces divines sur les spéculations humaines, trop humaines. “Koupala” se place en dehors de toute lutte politique, de tout esprit de concurrence et de toutes les discussions strictement scientifiques.

 

“Koupala” est ouvert à tous les contacts avec tous les représentants de toutes les traditions païennes, afin d'enrichir le patrimoine commun de tous ceux qui s'inspirent des religions enracinées et visent à pro­mouvoir de concert des idées communes.

 

Anatoly Mikhaïlovitch IVANOV.

 

Contact téléphonique à Moscou: (07) (095) 948.08.42.

dimanche, 05 avril 2009

Tantra-Sangha: tantrisme en Russie aujourd'hui

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1995

 

 

Tantra-Sangha: Tantrisme en Russie aujourd'hui

 

L'association religieuse tantrique “Tantra-Sangha” a été fondée en 1991 par un moine tantrique d'origine russe, Shripada Sadashivacharya, qui avait reçu sa consécration en Inde. Ont adhéré à la “Sangha” les adeptes russes du tantrisme classique, de forme shivaïte-shaktiste, et des éléments se réclamant du paganisme slave; ils sont présents dans toutes les grandes villes de Russie et des pays de la CEI.

 

Les tantristes russes retournent aux sources de la culture spirituelle russe, vers la religion de tous les anciens Indo-Européens et tendant d'enrichir la tradition païenne russe en s'appuyant sur la tradition hin­douiste-tantriste, qui en est fort proche. Ils essayent d'éviter deux travers extrêmes: 1) promouvoir une “renaissance” artificielle du paganisme slave, tel qu'il a été anéanti par le christianisme et 2) introduire l'hindouisme sans tenir compte des conditions spécifiques russes. Les hindouistes d'Inde, du Népal et des autres pays considèrent que les “Hindous russes” sont leurs véritables coreligionnaires.

 

Les tantristes adorent un dieu-père, Roudra, qui est en fait Shiva, et une déesse-mère, Shakti, dont la force est illimitée. Les éléments les plus anciens de ce double culte témoignent de l'antiquité véritable de cette religion et, en la pratiquant, les tantristes russes ont l'avantage de s'appuyer sur des sources ex­clusivement indo-européennes. Selon la tradition, effectivement, les adorateurs de Roudra sont venu de Russie en Inde, il y a 7000 ans. Ces adorateurs de Roudra sont les fondateurs de la tradition shivaïste-tantriste, religion des centaines de millions d'Indiens et de Népalais contemporains. Aujourd'hui, après l'effondrement du système marxiste et avec la déliquescence du christianisme, cette religion revient en Russie, pays qui fut jadis la patrie des Aryens d'Inde, avant qu'ils ne déboulent dans le sub-continent, au-delà de l'Indus.

 

La “Tantra-Sangha” coopère avec les organisations hindouistes et cherche à obtenir que l'on bâtisse à Moscou le premier temple hindouiste de Russie. L'association refuse tout contact avec les pseudo-tan­tristes qui ridiculisent le tantrisme en en faisant une sorte de “yoaga sexualiste”.

 

La “Tantra-Sangha” a une activité “missionnaire” et édite une revue, La Voie tantrique,  ainsi que des bro­chures et des livres. En 1992, deux communautés importantes, issues de la “Tantra-Sangha” étaient en­registrées officiellement à Moscou et à Nijni-Novgorod. L'activité de la “Tantra-Sangha” est pilotée par l'Ordre des Avadhoutas et le Gourou Shripada Sadashivacharya.

 

Anatoly Mikhaïlovitch IVANOV.

 

Adresse de la “Tantra-Sangha”, Tikhvinski per. 13-73, Moscou, Russie. Téléphone: (07) (095) 972.02.30. Cette adresse est également celle du temple. Pour toute correspondance, écrire: “Tantra-Sangha”, P.O.Box 70, Moscou 103.055, Rép. de Russie.

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samedi, 04 avril 2009

A. Latsa: entretien avec A. Douguine

Alexandre DOUGUINE par Alexandre LATSA

 

*

1 - Alexandre DOUGUINE, je doute que mes lecteurs ne vous connaissent pas et renvoie sinon à vos écrits et à la biographie complète de Métapedia à votre sujet. Néanmoins pouvez vous présenter et synthétiser votre combat politique et géopolitique jusqu'à ce jour ?

Je suis né le 7 janvier 1962 à Moscou, dans une famille de militaires. Mon père était officier et mère médecin. Au début des années 80 en étant dissident et ayant l'aversion pour le système communiste en peine décadence, j'ai fait connaissance des petits groupes traditionalistes et des cercles politico-littéraires de Moscou, où participaient le romancier Youri Mamleev, qui émigrera par la suite aux Etats-Unis, le poète Evgueni Golovine et l’islamiste Gueydar Djemal, fondateur en 1991 du Parti de la renaissance islamique. C’est aussi à cette époque que j'ai découvert les écrits d’Evola, de Guénon, de Coomaraswamy et de bien d’autres auteurs (en 1981, j'ai traduit en russe le livre de Julius Evola Impérialisme païen, qui sera diffusé clandestinement en samizdat).

Après la désintégration du système soviétique, au début des années 1990, j'ai crée l’association Arctogaia et le Centre d’études méta stratégiques, après les revues Milyi Angel et Elementy, qui paraîtront jusqu’en 1998-99. Mes idées ont été influencées a partir des années 80 par la Nouvelle Droite européenne et au premier lieu par Alain de Benoist que je tiens en plus grand estime jusqu'à présent. Je le considère un des meilleurs intellectuels français actuels – peut être même le meilleur.

Dernièrement je m’intéresse beaucoup à la philosophie de Martin Heidegger, à la sociologie de M.Mauss, L.Dumont, P.Sorokin et surtout à Gilbert Durand (récemment découvert par Alain de Benoist), mais également à l’anthropologie de G.Dumézil et de Claude Levy-Strauss. J’ai écrit plusieurs textes sur l’économie – entre autres sur les idées de Friedrich List, sur Schumpeter et F.Brodel.

A l’Université de l’Etat de Moscou, j’ai donné des cours de la Postphilosophie étudiant la philosophie de la postmodernité etc. Maintenant je suis professeur à la faculté sociologique et dispense les cours de Sociologie structurelle (sur la base des idées durandiennes sur l'imaginaire)

Si j'étais obligé de définir mes positions philosophiques je les décrirais comme appartenant au "traditionalisme".
Au premier lieu, je suis le disciple de René Guenon et de Julius Evola.

Dans la grande publique en Russie et dans quelques autres pays (Turquie, Serbie, le monde arabe etc) mes écrits géopolitiques sont très connus.

Mon idée est simple: il faut combattre l'impérialisme américain, le monde unipolaire et l'universalisme des valeurs libérales, marchandes et technocrate. Comme Alternative cela devrait être l'organisation du monde multipolaire comme ensemble de grandes espaces – chacun avec ses systèmes des valeurs propres – sans aucun préjugés.

Pour réaliser ce projet il faut créer le projet eurasien – commun pour l'Europe et la Russie mais avec les alliances stratégiques avec d'autres forces et cultures qui rejettent le mondialisme américain et la dictature libérale planétaire. L'eurasisme que je défends c'est le pluralisme absolu des valeurs.

2 - Les bruits ont courus que vous seriez en quelque sorte un "conseiller" (plus ou moins proche) de Vladimir Vladimirovitch Poutine. Pouvez vous le confirmer ? Et est ce que cela a changé depuis la présidence Medvedev ?

Je travaille avec les gens qui sont assez proches de Poutine et de Medvedev.
Je crois que pour l'instant Medvedev suit la même direction que Poutine.

3 - La Russie semble sortir d'une longue hibernation et se préparer a être un acteur de premier plan. Pensez vous que ce pays est les moyens de surmonter les défis en cours ? (démographie, santé, provocations militaires occidentales, immigration très forte.. etc etc). Comment jugez vous la situation en Russie en 2009, avec la crise financière mondiale ?

L'histoire est ouverte. Personne ne connais l'avenir. Je crois que la Russie va a entrer dans la période cruciale de son histoire. La crise va avoir un grand impact sur l'économie russe qui reste, hélas, libérale.
Mais cela va peut être guérir les illusion du pouvoir quant a l'efficacité des préceptes libéraux.

4 - L'unilatéralisme totalitaire décrété en 1991 par l'Amérique semble être arrivé a son terme. On assiste à une sorte de renaissance de grands espaces auto-centrés en Asie (Chine, Inde), dans le monde musulman (Turquie, union panafricaine ..), en Eurasie (Russie ..), en Amérique du sud (Brésil, Vénézuela ..), pensez vous que l'on doive s'en réjouir et pourquoi ?

Je voudrais que cela soit ainsi, mais il est trop tôt pour fêter la victoire. Un jour les États Unis tomberont mais pas maintenant. Je crois qu'ils vont faire LA guerre – Une Troisième Guerre mondiale pure et dure – qui causera d'immenses peines a l'humanité. Les États Unis ne peuvent plus gouverner le monde c'est sur, mais ils ne peuvent pas non plus se résigner – Cela serait pour eux une catastrophe. Leur seule solution – essayer de transposer leur problèmes sur les autres. Ca veut dire la guerre. Sans la fin previsible.

 

5 - L'Europe semble totalement absente de cette renaissance géopolitique, tellement elle est inféodée au parapluie Américain, quelle est votre opinion sur l'Union Européenne et sur la place que devrait avoir l'Europe dans le monde, et avec avec la Russie ?

Je crois que il y a deux Europe. L'Europe continentale (Franco-Allemande) et l'Europe atlantiste (Nouvelle Europe inclue). Ces deux Europes sont géopolitiquemet opposées en tout. Cela explique le blocage. Avec Sarkozy et Merkel la position des forces continentales est devenu plus faible. Je n'ai aucune recette pour l'Europe. C'est l'affaire des européens – quoi choisir.

 

6 - Vous êtes membre du mouvement eurasien, pouvez vous nous présenter ce mouvement (et sa structure jeune) et en définir le projet politique ?

Quelles sont ces ramifications en Europe, et ailleurs ? Pensez vous que ce "projet Eurasien" est proprement Russe ou est adaptable et conciliable avec la pensée pan-européenne (une europe libérée des chaînes Américaines) ?
Alexandre DOUGUINE ayant eu l'amabilité de détailler le programme global du mouvement Eurasien, je renvoie mes lecteurs à ce texte extrêmement intéressant ici.

7 - Pour beaucoup de Français la Russie est un modèle pour sa capacité à proposer un contre modèle civilisationnel, autre que le modèle libéral anglo-saxon et capitaliste. Cela dépasse le clivage droite-gauche, et réunit autant des communistes que des gaullistes historiques ou encore des nationalistes. Des voix s'élèvent même pour que la France intègre l'organisation de la coopération de Shanghai et quitte l'OTAN.
Pourtant au même moment, l'administration Sarkosy semble jouer sur deux tableaux : l'adoucissement avec la Russie (cf avec la guerre en Georgie) tout en réintégrant le commandement armé de l'OTAN ! Jugez vous cette double orientation crédible, et quel en est d'après vous le sens profond ?

Je la juge non crédible et contradictoire.
Quant a la Russie il est un peu naïf de croire que notre économie fonctionne bien. Il manque chez nous le secteur réel et le développement des technologies nouvelles. La Russie a besoin de l'Europe comme l'Europe a besoin de la Russie pour avoir des économies mutuelles garanties par les ressources nécessaires et l'accès aux technologies nouvelles.


8 - Pour les Européens, les grandes inquiétudes du futur sont le plausible leadership économique Chinois et l'explosion démographique des populations musulmanes, notamment à l'intérieur de l'Europe. Comment estimez vous compatible / incompatible ces deux éléments ? Il apparaît que le sujet de l'Islam, ou celui des "relations" avec la Chine par exemple n'est pas abordé de la même façon en Europe et en Russie.
On a les mêmes soucis géopolitiques. Mais on doit commencer par hiérarchiser les dangers.

Premièrement il faut se débarrasser des américains et de la dictature de la pensée unique, et seulement après s'occuper des chinois et de musulmans. Ils faut proposer aux musulmans le modèle de l'intégration dans la culture européenne mais pour cela il faut garder – parfois sauver – cette culture-la. Les chinois sont très sympathiques quand ils vivent en Chine.

Mais pour régler cette affaire de contrôle des vagues migratoires il est de nouveau – nécessaire de se débarrasser des mondialistes, libéraux et des atlantistes. Ce cercle vicieux ne peut être brisé qu'en commençant par la lutte antiaméricaine. Les musulmans et les chinois sont des défis secondaires. C'est pareil que cela soit pour l'Europe et pour la Russie.


9 - L'amérique de Obama "semble" vouloir faire la paix avec le monde entier, j'ai lu son programme, celui ci est pourtant largement plus offensif que celui de McCain notamment en Afghanistan/Pakistan pour poursuivre la lutte contre les "Talibans". Comment jugez vous cette élection et quels changements peux on attendre d'après vous dans les relations avec la Russie ?

Vous avez raison. Obama dépend du consortium politique et géopolitique américain. Donc il n'est pas libre de faire quoi que ce soit. Il va faire la guerre exactement comme le ferrait Mac cain.
C'est la logique des lois géopolitiques et non les opinions personnelles qui comptent dans les affaires réelles globales.

10 - Le pentagone semblait vouloir aspirer l'Ukraine dans l'OTAN (après l'échec Georgien) et installer sa flotte dans la mer noire. Ajouté aux remous politiques en cours et aux échéances électorales proches en Ukraine, peut on d'après vous imaginer un "conflit" proche dans ce pays et une scission en deux ou trois entités, a la manière yougoslave ?
En Ukraine habitent au moins deux peuples avec des orientations géopolitiques, stratégiques, culturelles et religieuses contraires. Il n’y a pas un peuple ukrainien. C’est l’appellation générale basée sur le critère territorial – les Ukrainiens ce sont littéralement « les habitants d’Ukraine » (en slave, ça veut dire « provence »). Ethniquement on les appelle « malorossy » -- « petits russes » littérairement. La langue ukrainienne a été créée artificiellement dans XIX siècle par les Polonais qui ont stylisé plusieurs dialectes « malorosses » avec les formes artificielles et assez affreuses imitant maladroitement le Polonais. En créant ce monstre linguistique, on a L’Ukraine actuelle est profondément divisée. L’élite politique est orange, orientée envers OTAN, l'UE et se base sur l’appui des habitants de l’Ouest ukrainien. Cette zone n’entre pas dans l’espace eurasien, il faut le reconnaître. Mais cette élite orange veut imposer sa volonté sur les masses de l’Est où la population se considère russe, rejette l'UE et l'OTAN et veut exister dans le grand espace commun avec les Russes de la Russie. Cette masse forme le second peuple (ou le premier) de l’Ukraine. Ce peuple est chrétien orthodoxe, malorosse (petit-russe) ou velikorosse (grand-russe), il consiste pour la plupart en des descendants des cosaques, et s’identifie à l’Empire eurasien. Ce peuple vote régulièrement pour le « Parti des régions » et en faveur de Yanoukovitch. La carte électorale de l’Ukraine montre comment ce pays est devisé en deux parts.
Dans le cas de l’Ukraine les eurasistes russes et ukrainiens agissent en logique avec leur vision du monde. Nous sommes contre l’Etat-Nation ukrainien parce qu’il est pro-américain, atlantiste et anti-eurasien. Mais aussi parce que le régime du néo-nazisme orange c’est une des parts du "système à tuer les peuples".
C’est le peuple de l’Ukraine de l’Est et de Crimée qui est maintenant en danger d’être oppressé, épuré et anéanti.

 

11 - L'agitation est également grande autour de l'arctique, cette zone énergétique essentielle. Récemment, les pays de l'OTAN ont organisé des manoeuvres militaires à grande échelle en Norvège (7.000 soldats de 12 pays) pour simuler une invasion de l'arctique et une sécurisation des champs pétroliers. Pensez vous que l'arctique puisse devenir la zone de conflit essentielle du 21ième siècle comme le pensent certains spécialistes en géopolitiques ?

Je pense que l'Arctique devient la place centrale de la stratégie d 'encerclement de la Russie – pour des raison stratégiques et pour la raison des ressources naturelles.

 

12 - Pensez vous plausible, ou souhaitable une alliance de l'hémisphère nord (amerique- europe - russie), comme l'a évoqué Dmitri Rogozine récemment pour parer à une éventuelle anarchie dans l'hémisphère "sud" ?

Je considère Rogozine comme atlantiste, opportuniste et neo-nazi antisémite. Il discrédite l'idée nationale russe et travaille toujours pour les américains. Il participait en Kiev à la révolution orange au cote des oligarques Berezovski et ses valets (tel Belkovsky).

13 - Comment voyez vous la situation mondiale en disons 2020 ? Et la Russie (alors que le Kremlin a développé ce fameux plan 2020) ?

Le plan 2020 ne vaut rien. Il n'existe pas. Je crois qu'au Kremlin maintenant prévalent les idées tactiques.
Donc j'attends la guerre et je crois que dans les prochaines années la situation changera trop pour faire quelques prévisions que ce soit.

14 - Le 24 mars dernier, c'était l'anniversaire des bombardements de 1999 sur la Serbie, que vous inspire cet évènement ?

La haine contre les américains et la solidarité avec le peuple serbe héroïque qui a eu assez de dignité de lancer ce "défi" au monstre américain.


jeudi, 02 avril 2009

Pékin soutient Moscou dans sa recherche d'une alternative au dollar

Crise: Pékin soutient Moscou dans sa recherche d’alternatives au dollar

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Le président de la Banque populaire de Chine Zhou Xiaochuan appuie l’initiative russe visant à créer une monnaie de réserve alternative au dollar américain, est-il indiqué dans un article mis en ligne sur le site internet de la banque.

“Le système financier international doit avoir une monnaie de réserve supranationale qui ne serait pas liée à un pays et resterait stable à long terme”, lit-on dans l’article de M.Xiaochuan.

Le banquier soutient la proposition de Moscou de charger le Fonds monétaire international (FMI) d’étudier la création d’une monnaie de réserve supranationale. Selon la Russie, les droits de tirage spéciaux pourraient jouer ce rôle, ceux-ci constituant actuellement une monnaie de réserve pour certains pays.

Dans le même temps, il a reconnu que la mise en place d’une nouvelle monnaie de réserve était “un projet de longue haleine”, la communauté internationale devant faire preuve de perspicacité et de fermeté pour le mener à bien.

A l’heure actuelle, il convient d’améliorer “la gestion des risques dans le cadre du système financier existant”, a conclu le président de la banque.


Article printed from AMI France: http://fr.altermedia.info

URL to article: http://fr.altermedia.info/general/crise-pekin-soutient-moscou-dans-sa-recherche-dalternatives-au-dollar_21649.html

Alexander Solzhenitsyn (1918-2008)

 

 

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Alexander Solzhenitsyn (1918-2008)

 

por Gonzalo Rojas Sánchez  / Ex: http://www.arbil.org/

Solzhenitsyn fue heroico para denunciar a Occidente y a sus mediocridades: "Soy critico de un hecho que no podemos comprender: cómo se puede perder el vigor espiritual, la fuerza de la propia voluntad y, teniendo libertad, no apreciarla, no estar dispuesto a hacer sacrificios por ella."

Ha muerto un coloso. Después de casi 90 años intensos y fecundos, Alexandr Solzhenitsyn ha sellado su vida de modo paradojal: le ha fallado el corazón a uno de los hombres de mayor fuerza cordial del siglo XX.

Un héroe, eso fue el ruso más importante de la centuria pasada. Ante todo -y lo dejaremos hablar a él en estas líneas- fue heroico en la crítica, porque después de lograr sobrevivir a 8 años de trabajos forzados, dio a conocer al mundo el stalinismo, el sistema más opresivo y criminal que jamás se haya diseñado y practicado. Ese sistema por el que "Iván Denisovich había perdido la costumbre de pensar en lo que ocurría al día o al año siguiente, y de qué alimentaría a su familia; la dirección del campo lo pensaba todo por él." Ese sistema en el que "el plato de sopa importa más que la vida que llevaron antes y la que todavía les queda." Es el Gulag, esa palabra ya indeleblemente asociada a Solzhenitsyn y que desde su valiente denuncia estremece a todos, menos a los pocos comunistas aún vigentes.

Además, el premio Nobel practicó más adelante el heroísmo para criticar, cuando ya había sido acusado de antisoviético y corría el riesgo de ser nuevamente encarcelado o proscrito. ¿Quién sino él podía decirle por escrito a los líderes soviéticos que "no abrigo muchas esperanzas de que ustedes se dignen examinar ideas que no me han sido formalmente solicitadas, aun cuando provienen de un compatriota de rara índole; uno que no está en una escala subordinado al mandato de ustedes, que no puede ser despedido de su puesto, ni degradado o promovido o recompensado por uds.?" Sólo podía hablar así a esos burócratas del crimen un hombre heroico en el dominio y en el ejercicio de su libertad interior. Lo hacía porque tenía claro que "el marxismo siempre se ha opuesto a la libertad; el comunismo jamás ha ocultado el hecho de que rechaza todos los conceptos absolutos de moralidad; se mofa de toda estimación del 'bien' y del 'mal'."

Una vez expulsado de la URSS, Solzhenitsyn fue heroico para denunciar a Occidente y a sus mediocridades: "Soy critico de un hecho que no podemos comprender: cómo se puede perder el vigor espiritual, la fuerza de la propia voluntad y, teniendo libertad, no apreciarla, no estar dispuesto a hacer sacrificios por ella."

Vuelto a la Rusia post soviética en 1995, no vaciló en criticar su estado lamentable. "Rusia está pisoteada, hecha girones; han saqueado a Rusia, la han vendido a precio vil, pero hay algo más aún terrible: ¿de dónde vino esta tribu, cruel, bestial, estos ladrones codiciosos que se apropiaron hasta del título de nuevos rusos, que engordaron con tanto placer y elegancia con la desgracia de nuestro pueblo? Más funesta que nuestra miseria es esta deshonra ostensible, esta vulgaridad depravada y triunfal que se ha infllitrado en las capas superiores del Estado."

Pero la suya no fue una voz siempre ácida, sino que también iluminó caminos futuros y propuso nobles desafíos.

A los soviéticos les dijo: "Desechen esta ideología llena de grietas; cédansela a los rivales de ustedes: dejen que se vaya donde quiera; déjenla que siga de largo y se aleje de nuestro país como la nube de una tormenta, como una epidemia."

Y a Occidente lo interpeló: "Si no aprendemos a limitar drásticamente nuestros deseos y demandas y subordinar nuestros intereses a criterios morales, nosotros, la humanidad, sencillamente nos desgararremos, ya que los peores aspectos de la naturaleza humana sacarán a relucir sus colmillos; en la circunstancias cada vez más complejas de nuestra modernidad, el imponernos límites a nosotros mismos es la única senda que verdaderamernte hará posble nuestra preservación; la felicidad no reinará en nuestro planeta, no nos será concedida con tanta facilidad."

Pero sobre todo, en su patria clamó: "El camino es largo, muy largo. Si bajamos por la pendiente durante casi un siglo, ¿cuánto tiempo nos llevará subirla? Años y años, sólo para tomar conciencia de todas las pérdidas, de todos los males. (Š) En la Rusia actual, pervertida, arruinada, desconcertada, asplastada, es evidente que sin el apoyo espiritual de la Iglesia Ortodoxa jamás nos levantaremos; si no somos una manada de seres irracionales, necesitamos un fundamento respetable para nuestra unidad."

Se fue una presencia; quedó una voz rotunda, colosal.

·- ·-· -······-·
Gonzalo Rojas Sánchez

dimanche, 29 mars 2009

Idee chiare e giovani speranze per la nazione russa

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Ampio risalto in questi giorni è stato dato sul primo canale televisivo nazionale russo alla visita che il presidente Putin ha effettuato in Siberia nella città di Kemererovsk, presso alcune grosse industrie della lavorazione dei metalli pesanti, Putin ha parlato di un piano di sostentamento economico a favore delle grandi industrie, con forti sgravi fiscali per favorire uno sviluppo più dinamico nel settore. Ma anche altri temi di grossa rilevanza sociale sono stati affrontati: la Russia ha dedicato quest’anno per il sostegno dei giovani, dagli studenti alle giovane coppie, aiuti concreti con borse di studio per chi si distinguerà nell’impegno per lo studio, un modo questo per assicurare al paese delle nuove energie altamente specializzate e motivate; poi ingenti somme di denaro sono state stanziati anche in favore delle giovani coppie e non. E ancora, per quanto riguarda il problema degli alloggi, un piano di aiuti statali   per chi ristruttura vecchi alloggi o ne compra di nuovi.
 I Giovani russi come Masha Sergeyeva leader della “Giovani Guardie” (un movimento di sostegno a Putin) hanno le idee chiare e tanta voglia di far rinascere l’orgoglio nazionale russo di fronte all’ assalto della globalizzazione  liberista e delle lobby filo-israeliane. In tema di immigrazione Masha parla chiaro, la Russia ai Russi! Gli immigrati non possono ledere il principio in tema di occupazione “della preferenza nazionale” ovvero gli immigrati possono svolgere solo lavori per cui non sono impiegati i Russi, in caso contrario possono tornare nei loro paesi di origine. Idee chiare anche nell’ analizzare gli oppositori di Putin e più in generale i nemici del popolo russo. Il giudizio  che Masha ad esempio da su  Eduard Limonov, scrittore fondatore del Partito Nazional Bolscevico Russo è lapidario: “uno psicopatico”; e in effetti…pur essendo un personaggio a tratti interessante, stupisce per alcune situazioni a cui dice orgogliosamente di aver partecipato. Leggendo per esempio il suo libro autobiografico “Eddy Baby ti amo” lo si trova partecipare  da ragazzino ad uno stupro di gruppo su una giovane donna…Un ideologo dalle tesi  in parte interessanti  ma che per motivi, incompresibilmente, personali si è schierato contro Putin nonostante per un certo periodo di tempo lo abbia anche sostenuto. Ma oggi la Russia sembra avere nelle nuove  generazioni giovani concreti, che hanno individuato nel presidente Russo uno strumento reale di speranza e resistenza della nazione Russa, una nazione che ritrova milioni di uomini e donne non più deviati dalla demagogia pseudo-umanitaria ed individualista della retorica eversiva “occidentale” dove si esalta spesso una presunta “libertà individuale” per distruggere   una libertà di livello più alto che supera i miseri egoismi umani, ovvero quella della”NAZIONE”.
Nazione come comunità di uomini che lavorano, agiscono per un bene comune superiore, che è l’espressione delle loro radici, della loro identità, come è appunto il caso della Nazione Russa. Alla bella Masha(24 anni) e alle migliaia di giovani patrioti russi auguriamo dunque una lotta coronata di successi in nome del popolo russo figlio della grande stirpe della civiltà europea.

Piero Sciacca
http://www.fiammasicilia.it/Palermo_mondo.htm

La "Communauté païenne russe" d'Alexandre Belov

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1995

La «Communauté païenne russe» d'Alexandre Belov

 

Vers la fin des années 80, pour la première fois à cette époque, quelques hommes décident de fonder une «Communauté païenne» officiellement, dont l'objectif est d'“éclairer les esprits”. Cette Communauté évite de se sur-déterminer dans les domaines de la religion, du dogme et de la politique, ce qui est, générale­ment, la tare de pareilles organisations. C'est le célèbre écrivain ruraliste Alexandre Belov qui en fut l'initiateur et l'organisateur. La Communauté réussit d'emblée à donner un élan à la morale sociale nou­velle qu'elle entend promouvoir. Mais, malgré tous ses efforts, elle n'a pas pu excercer une influence idéologique en profondeur. Le point fort de cette Communauté, là où elle s'est consolidée, c'est quand elle a tablé sur les arts martiaux traditionnels. Belov, outre les romans qui l'ont rendu célèbre dans le monde entier, est aussi le créateur d'un art plus affiné du combat singulier, basé sur les traditions nationales russes. La convergence entre les diverses tendances du paganisme s'est donc effectuée dans la revita­lisation de l'art martial russe traditionnel, dit la “combat montagnard slave”.

 

La Communauté s'est aussi donné pour tâche de lutter contre les profanations, parodies, travestisse­ments et primitivisations du paganisme par des néophytes zélés, croyant avoir trouver une “formule libé­ratrice” simple. En se montrant intransigeante, en s'imposant des critères qualitatifs élevés, la CPR se heurta à certains paganismes qu'elle jugeait “insuffisants” ou “inférieurs”, provoquant ainsi de vives ten­sions: notamment avec V. Emilianov, qui simplifiait à outrance le paganisme pour masquer maladroite­ment un “anti-sionisme” politique; ou avec A. Dobrovolski qui confondait paganisme et conduite immorale; ou encore avec les Païens de Léningrad, dirigés par Bezverkhi et Sidazouk. Cette dernière opposition ré­sultait de la volonté de ces païens de Léningrad de réconcilier la paganisme slave avec l'église orthodoxe et de leurs prises de positions “pro-ukrainiennes” qui les amenaient, à mon avis, à déformer l'histoire de la culture slave.

 

Dès le début des années 90, la Communauté, toujours dirigée par A. Belov, concentre son activité à cons­truire des castes, principalement une caste militaire, capable de dominer et de gérer l'Etat. Dans cette optique, la CPR élabore un système bien circonscrit des valeurs spirituelles, impulse des orientations mo­rales et affermit la connaissance du paganisme slave-russe. Le fondement idéologique du mouvement est la création et la diffusion d'une “géo-mentalité paneuropéenne”. Cette géo-mentalité découle de la simili­tude entre les paganismes antiques (gréco-romains), celtiques, germaniques et slaves. Les principales caractéristiques de la CPR sont donc: 1) une orientation claire en direction des arts martiaux et de leur spiritualité; 2) une élévation du paganisme au niveau proprement conceptuel, où le concept de paganisme compte plus que ces manifestations circonstancielles. Cette volonté bien tranchée a provoqué une po­lémique avec les théoriciens du paganisme (exclusivement) slave, comme A. Barkachov, qui estiment que ses arguments sont au-dessus de toute critique.

 

En mars 1995, les deux mouvements, celui des amateurs de combat “slave-montagnard” (dont le nombre s'élève à 20.000 en Russie) et la CPR d'Alexandre Belov (culte du Dieu du Tonnerre) s'unissaient pour poursuivre un même but: créer un Etat militaire nouveau et reconstruire la société en la hiérarchisant au­tour de castes. Parmi celles-ci, la caste militaire doit pouvoir jouer un rôle dominant dans la structure so­ciale. Elle doit être formée de militaires de carrière, de policiers et de personnalités animés intérieurement par des valeurs de type “kshatrya”.

 

Vladimir Avdeyev, théoricien et idéologue du paganisme moderne en Russie, aide à construire cet “Etat militaire”. Avec A. Belov, il est l'un des membre du “Conseil de coordination” du mouvement.

 

Adresse de la Communauté: Alexandre Belov, 3me Krasnogvardeyskaya 2-24, 123.317 Moscou, Russie; tél.: (7)(095) 323-20-87.

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vendredi, 27 mars 2009

Tiberio Graziani: "Les Etats-Unis utilisent l'Europe comme tête de pont pour attaquer l'Eurasie"

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Tiberio Graziani:

 

“Les Etats-Unis utilisent l’Europe comme tête de pont pour attaquer l’Eurasie”

 

Entretien accordé à http://russiatoday.ru/

 

La crise financière mondiale ne concerne pas uniquement l’argent, même si elle a commencé à Wall Street”, nous explique Tiberio Graziani, éditeur du magazine italien “Eurasia”, qui se spécialise dans les études géopolitiques. Tiberio Graziani est également l’auteur de plusieurs ouvrages de géopolitique.

 

Q.: Dans le monde entier, les gouvernements ont adopté des mesures protectionnistes. Celles-ci  touchent tous les niveaux de la société. En Italie, nous voyons que la population apporte son soutien aux politiques anti-immigrationnistes, qualifiées d’extrême-droite. Comment l’Italie peut-elle, comment pouvons-nous, tous autant que nous sommes, survivre à cette  crise financière mondiale?

 

TG: D’abord, nous devrions réflechir aux raisons de cette crise financière qui a aussi touché la production au niveau industriel, aux Etats-Unis dans un premier temps, et ensuite dans tout le monde occidental, lequel se compose de tris piliers, les Etats-Unis, l’Europe et le Japon. La crise a touché l’ensemble du marché mondial. Pour l’Italie, les effets de la crise se sont manifestés un peu plus tard et, à mes yeux, ne s’afficheront dans toute leur netteté qu’en 2009 et en 2010.

 

Parce que l’économie italienne repose essentiellement sur des petites et moyennes entreprises, nous n’avons pas affaire, chez nous, à de fortes concentrations industrielles, raison pour laquelle l’Italie fait montre de davantage de flexibilité pour affronter et contenir la crise. Quoi qu’il en soit, la crise sera fort profonde.

 

Nous serons en mesure de surmonter la crise financière si nous parvenons à oeuvrer dans un contexte géo-économique continental. Cela signifie que nous devrons concevoir des modes de fonctionnement économique où les économies de pays émergents comme la Russie, la Chine et l’Inde joueront un rôle. La crise ne pourra se résoudre seulement à l’aide de recettes étroitement nationales ou par les effets de recettes concoctées uniquement à Bruxelles par la seule Union Européenne.

 

Q.: Parlons un peu de la récente crise gazière, où l’Italie a été bien moins touchée que les Balkans ou l’Europe orientale, mais a néanmoins été prise, elle aussi, en otage. La vérité sur cette crise a été occultée. Quelle est l’origine de la querelle?

 

TG: L’origine de la querelle gazière entre Kiev et Moscou? Elle est en réalité un effet de l’élargissement de l’OTAN en direction de l’Europe de l’Est et de l’extension de l’UE dans la même région. Ces deux élargissements parallèles ont été perçus à Moscou comme une agression occidentale contre son “voisinage proche”.

 

Ce type d’élargissement a commencé dès 1989, immédiatement après la chute du Mur de Berlin. A partir de ce moment-là, les Etats-Unis ont décidé de gérer à eux seuls l’ensemble de la planète. Dans cette optique, ils ont choisi l’Europe occidentale comme base de départ pour avancer leurs pions en direction de la Russie et de l’Asie centrale, car, comme chacun sait, l’Asie centrale possède d’immenses ressources en gaz naturel et en pétrole. Les Etats-Unis ont commencé par étendre leur influence sur les pays de l’ancien Pacte de Varsovie et sur quelques pays ayant auparavant fait partie de l’Union Soviétique, comme l’Ukraine.

 

A partir de 1990, l’Ukraine a entamé un processus de séparation, a cherché à détacher son avenir géopolitique de son environnement naturel et donc à s’éloigner de Moscou et de la Russie. Si nous analysons bien la “révolution orange”, nous constatons tout de suite que derrière les réalisations de cette soi-disant “société civile” ukrainienne, se profilaient des intérêts venus en droite ligne d’au-delà de l’Atlantique, téléguidés depuis Washington. Dans ce contexte, nous ne devons pas oublier l’influence de quelques “philanthropes” auto-proclamés tels George Sörös qui ont contribué à déstabiliser l’Ukraine et aussi les républiques de l’ex-Yougoslavie.

 

Lorsque l’Ukraine a abandonné, ou tenté d’abandonner, son environnement géopolitique naturel, qui lui assignait la mission d’être le partenaire privilégié de Moscou, il devenait évident que, pour les livraisons de gaz, Moscou allait imposer à l’Ukraine les prix du marché, puisque Kiev ne pouvait plus être considéré comme un client à privilégier mais comme un client pareil à n’importe quel autre. Les prix du gaz ont donc augmenté, une augmentation qui a également touché l’Europe, parce que les dirigeants ukrainiens se sont privés d’une souveraineté propre et ne sont mus que par des intérêts occidentaux. Au lieu d’envisager un accord économique, comme on le fait généralement entre pays souverains, l’Ukraine a aggravé la situation en siphonnant le gaz destiné aux nations européennes.

 

Cette véritable raison de la crise a été délibérément ignorée par la presse des pays de l’Europe de l’Est, mais aussi par la presse italienne. Dans la querelle du gaz, la plupart des journalistes italiens n’ont pas focalisé leur attention sur les causes réelles du conflit mais se sont complus à diaboliser le gouvernement russe, en l’accusant d’utiliser les ressorts de la géopolitique comme une arme dans le conflit gazier; or le Président Medvedev et le Premier Ministre Poutine n’ont fait que facturer au prix du marché les transactions gazières, selon les règles de la normalité économique.

 

Q.: Mais l’Ukraine est sur le point de défaillir. Les Russes ne doivent pas escompter que l’Ukraine paiera le prix du marché l’an prochain...

 

TG: Je crois qu’il est toujours possible de trouver un accord économique. Moscou et Kiev peuvent négocier un moratoire. J’aimerais bien rappeler qu’il ne s’agit pas seulement d’un problème économique, d’un problème d’import-export, mais d’un enjeu géopolitique majeur. A l’évidence, si l’Ukraine choisit de rejoindre le camp occidental sous le “leadership” de Washington, cette option atlantiste affectera dans l’avenir non seulement les transactions gazières, mais toutes les autres relations économiques. De ce fait, je crois qu’il sera possible, à terme, de trouver une solution économique mais l’obstacle  vient de Kiev, parce que Kiev est inféodé aux intérêts de Washington.

 

Q.: Tournons nos regards vers Washington et évoquons les bases américaines sur le sol italien: qu’en dit l’opinion publique dans votre pays?

 

TG: La plupart des gens sont conscients que la présence effective de bases militaires américaines en Italie mais n’en tirent aucune conclusion politique. Ainsi, quand nous avons eu le cas de l’agrandissement de la base de Vicenza dans le nord de l’Italie, les arguments des adversaires de ces travaux étaient essentiellement d’ordre écologique. L’argument principal, qu’il aurait fallu développer, est demeuré occulté; en effet, l’agrandissement de cette base sert les forces armées américaines dans la mesure où elles auront l’occasion, dans l’avenir, d’entrer plus facilement en contact avec une base proche, située en Serbie, qui dépend aussi directement de Washington. Dans l’avenir, à partir de ces bases, les Américains pourront intervenir dans la périphérie de l’Europe et au Proche et au Moyen-Orient, contre des Etats comme la Syrie ou l’Iran et aussi, dans une certaine mesure, contre la Russie. La nation yougoslave, en l’occurrence la Serbie, n’a pas été choisie par hasard, mais parce qu’elle a des accointances culturelles et ethniques avec la Russie.

 

Q.: La crise gazière a tendu les rapports entre la Russie et l’UE car bon nombre de pays de l’UE sont en train de chercher des fournisseurs alternatifs. La Russie doit-elle s’en inquiéter?

 

TG: Non, je ne pense pas que la Russie doit s’en inquiéter. Je pense que chaque pays doit chercher les meilleures opportunités qu’offre le marché des ressources et viser l’autonomie énergétique. Dans un contexte géopolitique plus vaste, celui de l’Eurasie, je pense que les relations entre la Russie et l’Europe, entre la Russie et l’Italie, devrait reposer sur les intérêts économiques. Nous devons échanger de la haute technologie, des technologies militaires, des ressources énergétiques et, bien entendu, procéder à des échanges culturels. Je pense que les échanges culturels entre, d’une part, l’UE et l’Italie, et, d’autre part, la Fédération de Russie devraient être renforcés.

 

Après la seconde guerre mondiale, il y a plus de soixante ans, les relations culturelles entre l’Europe occidentale et la Russie se sont considérablement amenuisées parce qu’elles ont été sabotées par la classe intellectuelle dominante en Europe, qui soutenait le processus d’occidentalisation ou plutôt d’américanisation de la culture européenne. Si nous comparons les littératures européenne et italienne de ces récentes années avec celles des années 30, par exemple, nous constatons que beaucoup d’écrivains italiens utilisent désormais une langue viciée, incorrecte, avec trop d’emprunts à l’anglais. C’est l’un des résultats de la colonisation culturelle que nous a imposée Washington depuis la fin de la seconde guerre mondiale. Mais il serait tout aussi pertinent de remarquer que cette tendance au déclin se perçoit également dans les pays de l’ex-bloc soviétique.

 

Q.: Quelle est l’attitude globale de l’Italie à l’égard de la Russie? Les Russes peuvent-ils compter sur l’Italie pour qu’elle joue un rôle important dans l’amélioration des relations entre l’UE et la Russie?

 

TG: L’Italie est certainement, avec d’autres pays de l’UE, un partenaire potentiel de la Russie mais, pour devenir un partenaire réel et non plus seulement potentiel, l’Italie doit acquérir davantage de liberté et obtenir une souveraineté politique totale, qu’elle ne possède pas actuellement. J’aime répéter qu’il existe en Italie aujourd’hui plus de cent sites militaires dépendant directement des Américains, des sites qui sont partie prenante du projet américain d’étendre l’influence de Washington sur l’ensemble de la péninsule européenne. Dans de telles conditions, l’Italie et les autres pays européens se heurtent à des limites et ne peuvent exprimer sans filtre leurs intérêts propres sur les plans politique et économique. Il faut cependant reconnaître qu’au cours de ces dernières années, la politique économique des présidents russes successifs, Poutine et Medvedev, a jeté les bases qu’il faut pour que l’Italie devienne un véritable partenaire de la Russie, non seulement sur le plan économique mais aussi sur le plan politique et même, à mon avis, sur le plan militaire. L’Italie est au centre de la Méditerranée et occupe de ce fait une position stratégique importante. En outre, la position centrale de l’Italie est vitale au niveau géopolitique. Et ce serait une bonne chose si elle jouait de cet atout dans l’optique d’une intégration eurasienne.

 

Je crois que les relations entre l’Italie et la Russie s’améliorent; j’en veux pour preuve les initiatives d’entrepreneurs italiens, qui vont dans le bon sens, parce qu’ils contournent les limites imposées par un pouvoir politique qui réside, in fine, à Washington ou à Londres.

 

Q.: Vos critiques à l’endroit de Washington sont particulièrement sévères; vous décrivez les Etats-Unis comme une nation impériale alors que notre monde actuel n’est plus du tout unipolaire...

 

TG: Mes critiques à l’endroit de Washington sont sévères parce que les Etats-Unis ont inclu l’Europe dans leur propre espace géopolitique et la considèrent comme une tête de pont pour attaquer l’ensemble du territoire eurasien. C’est là la raison majeure de mes positions critiques. Mais, vous avez raison, il faut tenir compte de la situation réelle des Etats-Unis dans le monde actuel. Ceux-ci devraient se rendre compte que l’époque, où ils étaient la seule superpuissance, est révolue. Aujourd’hui, dans la première décennie du 21ème siècle, nous avons affaire, du point de vue géopolitique, à un système multipolaire avec la Russie, la Chine, l’Inde, les Etats-Unis et certains Etats d’Amérique du Sud, qui sont en train de créer une entité géopolitique propre; je pense au Brésil, à l’Argentine, au Chili, au Venezuela et, bien sûr, à la Bolivie. En effet, au vu des libertés que se permettent ces pays sud-américains, en constatant leurs audaces, l’UE devrait s’en inspirer pour quitter le camp occidental dominé par les Etats-Unis et la Grande-Bretagne.

 

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Q.: Vous voyagez beaucoup dans toute l’Europe et surtout dans les régions agitées et dans les points chauds. Vous avez participé à l’organisation des élections en Transnistrie. Il y a une île au large de la Sardaigne, qui faisait partie du territoire italien, et qui vient de déclarer son indépendance, en se disant inspirée par l’Abkhazie et l’Ossétie du Sud. Existe-t-il une formule universelle pour affronter le problème des séparatismes?

 

TG: Chacun de ces problèmes est foncièrement différent de l’autre. En Sardaigne, il y a un mouvement politique séparatiste depuis quelques années mais les gens qui le formaient font partie du gouvernement italien aujourd’hui. Pour la Transnistrie, il faut voir la situation sous l’angle géostratégique. Des pays comme la Moldavie et la Roumanie subissent le poids des Etats-Unis et de l’OTAN. La Transnistrie représente ce que l’on appelle un “conflit gelé”. Je pense que l’indépendance de la Transnistrie serait intéressante car nous aurions, dans ce cas, un territoire auquel les Etats-Unis n’auraient pas accès. Ce serait un territoire de liberté du point de vue eurasien parce que cette Transnistrie serait souveraine. Je n’analyse pas le fait que constitue cette république au départ des attitudes ou de l’idéologie du gouvernement qu’elle possède. J’analyse son existence dans le contexte géopolitique et géostratégique général. De ce fait, je prends acte que la Transnistrie est une république souveraine et que sur son territoire réduit il n’y a aucune base de l’OTAN.

 

(entretien paru sur http://russiatoday.ru/ ; 16 mars 2009; traduction française: Robert Steuckers).

Vladimir B. Avdeyev: écrivain et philosophe païen

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1995

 

Vladimir B. Avdeyev: écrivain et philosophe païen

 

Vladimir Borissovitch Avdeyev, né en 1962, est un écrivain russe contemporain. Il a commencé sa car­rière littéraire par la publication d'une série d'essais de “style romain” (notamment dans la rubrique “Prose d'élite” de la revue littéraire moscovite Literatournaïa Gazeta  en 1989) et par deux romans remarqués, La Passion selon Gabriel (1990) et Le facteur de membres artificiels (1992). Ces romans s'inscrivent dans une tradition littéraire plus philosophique et européenne que classique et russe.

 

Le dépassement du christianisme (1994), troisième grande œuvre de cet auteur, est un traité d'histoire et de philosophie, axé principalement sur les problèmes des religions non conventionnelles. Ce livre contient notamment une analyse des différences structurelles existant entre les religions monothéistes et poly­théistes. Il ouvre de nouvelles perspectives sur le développement des conceptions religieuses de notre monde contemporain.

 

Les déductions tirées par l'auteur sont dépourvues de toute ambigüité: nous sommes à la veille d'une nouvelle ère cosmique, l'ère du Verseau, qui apportera un changement complet dans les paradigmes reli­gieux dominants, annonciateur d'un épanouissement nouveau des religions panthéistes et polythéistes. Vladimir Avdeyev est païen par conviction: ses œuvres sont polémiques contre le christianisme, hostiles aux monothéismes. Il exprime clairement ses convictions, ce qui le rapproche d'une certaine “nouvelle droite”. Avdeyev critique le christianisme non dans le cadre d'une nouvelle école historique ou mytholo­gique, mais le définit comme un phénomène à la fois “occulte” et politique.

 

Vladimir Avdeyev théorise également la “contre-révolution païenne”, ce que ne font pas les autres idéo­logues contemporains de la “révolution conservatrice” en Russie, dont, en particulier, Alexandre Douguine, plus connu dans les médias occidentaux, qui propage un mélange théorique peu convention­nel, où confluent les constructions nées dans les salons européens et les archétypes de l'orthodoxie russe.

 

Vladimir Avdeyev est aujourd'hui membre du Conseil de Coordination de l'Union des Communautés Païennes Russes, dirigé par le célèbre écrivain ruraliste Alexandre Belov. Un congrès de ces “communautés païennes russes” a eu lieu à Moscou en mars 1995. Les congressistes ont décidé de for­mer en Russie une caste de “kshatryas”, c'est-à-dire de militaires et de combattants, vivant en confromité avec les fondements de la conception païenne du monde.

 

Anatoli Mikhaïlovitch IVANOV.

 

(pour tous renseignements: V.B. Avdeyev,113.162 Mytnaya, 23-1-47a, Moscou, Russie).

mardi, 24 mars 2009

Aleksandr Solzjenitsyn - Leven, woord en daad van een merkwaardige Rus

Aleksandr Solzjenitsyn

Leven, woord en daad van een merkwaardige Rus

Ex: http://onsverbond.wordpress.com/

 

Op 3 augustus 2008 overleed de Russische auteur en voormalig dissident Aleksandr Soljzenitsyn. Naar aanleiding van zijn overlijden volgt hier een beknopte schets van het leven, het werk en de nalatenschap van een van de monumenten uit de Russische literatuur.

LEVEN

<Aleksandr Soljzenitsyn werd op 11 december 1918 geboren te Kisovodsk als zoon van een tsaristische officier die gesneuveld was tijdens de Eerste Wereldoorlog. Als overtuigd communist sloot de jonge Soljzenitsyn zich in 1941 aan bij het Rode Leger, na zijn studies in de wis- en natuurkunde te hebben vervolmaakt. Als wiskundig specialist we

rd hij als officier ingedeeld bij de artillerieregimenten van het Rode Leger, hoewel hij reeds vroeg in opspraak kwam

door kritische uitlatingen aan het adres van Stalin in een briefwisseling met een kameraad aan het front. Dit ‘vergrijp’ kwam de kritische jongeling duur te staan: hij werd veroordeeld tot dwangarbeid in diverse werkkampen. Bij de dood van Stalin in 1953 werd zijn straf omgezet in drie jaar ballingschap in de Sovjetrepubliek Kazachstan. Zijn ervaringen met de concentatiekampen in die jaren zou Soljzenitsyn later neerschrijven in zijn romans In de eerste cirkel (1968) en Het Kankerpaviljoen (1968).

De dood van Sta

lin leidde een versoepeling in van de censuurpolitiek onder het bewind van Nikita Chroesjtsjov, waarop Soljzenitsyn de kans zag tot het publiceren van zijn werken. Een in 1962 gepubliceerde novelle Een dag in het leven van Ivan Denisovitsj vormde een klinkend debuut van zijn literaire carrière, hetgeen hem op slag beroemd maakte.

Sovjetleider Jozef Stalin.

Na het afzetten van Chroesjtsjov in 1964 en ook door het succes van Soljzenitsyn verscherpte de censuur zich weer in de USSR, onder meer op aandringen van een conservatief-communistisch gezinde groep van cultuurpolitici in het Kremlin. Aantijgingen, pestcampagnes en dreigementen van de KGB en andere Sovjetautoriteiten aan Soljzenitsyns adres lieten na deze institutionele hervormingen niet op zich wachten en het geheel culmineerde in een buitengewoon stoutmoedige reactie van de dissident zelf: in 1967 schreef hij een open brief aan het 4de Congres van de Schrijversbond met een duidelijke vraag tot het afschaffen van de Sovjetcensuur.

Het intellectueel verzet van de auteur werd stilletjes aan opgemerkt in het kapitalistische Westen naarmate zijn werken er met mondjesmaat gepubliceerd raakten en officiële erkenning van de strijd van de auteur liet dan ook niet lang meer op zich wachten. In 1970 werd immers, ondanks een hetze in de Sovjetpers en Westerse angst voor de eventuele politieke implicaties van deze erkenning, de Nobelprijs voor Literatuur aan Soljzenitsyn toegekend. Deze erkenning gaf het regime in Sovjet-Rusland een nieuwe aanleiding om zijn pijlen op de dissident te richten, hoewel ook deze keer Soljzenitsyn van zich afbeet in een stoutmoedige tot zelfs arrogant aandoende reactie. Naar aanleiding van de vuilbekkende artikels tegen zijn persoon in de Sovjetpers schreef hij een brief aan partij-ideoloog Soeslov met daarin een voor de autoriteiten onaanvaardbaar eisenpakket: Soljzenitsyn wenste zijn werken onder meer te zien verschijnen in nieuwe oplagen en in de rekken van de Sovjetbibliotheken.

Premier Poetin en Aleksandr Soljzenitsyn.

Van 1973 tot 1975 gaf Soljzenitsyn de verschillende delen van zijn roman De Goelagarchipel uit, hetgeen hem de ultieme straf opleverde: hij werd in 1974 verbannen uit de Sovjetunie. Soljzenitsyn trok in 1976 naar de VS, waar hij in 1978 de Westerse intelligentsia tegen zich in het harnas joeg door zich kritisch uit te laten over het kapitalisme en de consumptiemaatschappij van het Westen in een toespraak aan de universiteit van Harvard. Na de val van de USSR keerde hij terug naar Rusland, waar hij in 1994 een triomfantelijke zegetocht maakte doorheen het onmetelijke land. Soljzenitsyn bleef onafgebroken werken publiceren tot aan zijn dood op 3 augustus jl. In 2007 kreeg hij de Staatsprijs voor Humanitaire Verdiensten en tijdens de laatste fasen van zijn leven bouwde hij een vriendschapsband op met Vladimir Poetin, voormalig president en huidig premier van Rusland.

IDEOLOGIE EN ENKELE PARALLELLEN

Aleksandr Soljzenitsyn.

Soljzenitsyn kan gezien worden als de literair-culturele grondlegger van een nieuwe en toch traditionele koers die Rusland volgens hem zou moeten volgen om zich uit de naweeën van het Sovjettijdperk te ontworstelen en op te staan als de rechtmatige culturele en politieke grootmacht die Rusland altijd was in zijn eeuwenlange en rijke culturele en politieke geschiedenis. Deze ‘Russische Mythe’, die centraal staat in de gedachtegang van Soljzenitsyn en ook is neergeschreven in zijn literaire werken, berust op de idee dat een volk als gemeenschap fundamenteel verschillend van andere volkeren zijn goddelijke zending moet vervullen om zijn plaats in te nemen in het lappendeken van volkeren: ieder volk heeft deze plicht van hogerhand meegekregen, zodat de mens als soort kan uitblinken in de verschillende facetten waarin deze soort kan voorkomen. Deze ideologische visie stamt uit de vroegste fasen van het nationalistisch denken, het vredevol ‘Romantisch nationalisme’ uit het begin van de 19de eeuw.

Verder heeft Soljzenitsyn diepgaande kritieken geformuleerd op de latere vorm van nationalisme, die met het darwinisme de poort openzette naar de gruwelen van de Tweede Wereldoorlog en de creatie van de Sovjetunie. Tevens uitte hij in de jaren 1970 bijtende kritiek op de Amerikaanse consumptiemaatschappij als een gedegenereerde vorm van de Verlichtingsidealen die mede aan de wieg stonden van nationalisme en Romantiek in de vroege 19de eeuw. Essentieel in Soljzenitsyns visie is een aandeel van het transcendente – het godsdienstige – in het streven van de mens per volk. Dit aandeel verheft het streven van de mens immers tot een ethisch hoogstaand niveau, hetgeen een ethische buffer installeert tegen moreel laakbare uitspattingen als gevolg van misinterpretaties van menselijke ideologische systemen, zoals in de Westerse consumptiemaatschappij – waar van hun intrinsieke waardigheid ontdane mensen als vee op een veemarkt worden geschat op hun consumptie- en productiewaarde – en zoals in het Oosten het geval was met de gruwel van de USSR.

Soljzenitsyns visie op Rusland oefende een enorme invloed uit op de hedendaagse politieke en culturele elite, zowel binnen als buiten Rusland. Dit stelde hem in contact met enkele andere markante personages uit de laatste decennia van de 20ste eeuw, waarvan met sommigen de gelijkenissen en tegenstrijdigheden soms uit onverwachte hoek komen.

Zo had Soljzenitsyns denken veel parallellen met de politieke visie en actie van het vorige hoofd van de Rooms-Katholieke Kerk, paus Johannes-Paulus II. Ondanks de traditionele reserve van het orthodoxe christendom ten opzichte van het rooms-katholicisme vinden we treffende gelijkenissen in het denken van beide figuren. Beiden gingen uit van een innige verwevenheid van goddelijke zending en menselijk handelen in het geheel van het wereldgebeuren. Een mens als individu en als lid van een volksgemeenschap komen in de wereld met een goddelijk doel, waarbij het lijden als typisch christelijke trek een doel kan hebben in het leven van een mens. Let maar op het lijden van Soljzenitsyn als politiek dissident, hetgeen hij omsmeedde tot een wapen met als doel het vormen van een cultureel gefundeerd alternatief voor de USSR, wat uiteindelijk tot politieke verwezenlijking leidde in het kleine aandeel dat Soljzenitsyn had in de val van de USSR, zoals ook paus Johannes-Paulus II dat heeft gehad.

Een tweede duidelijke parallel is te trekken tussen Soljzenitsyn en premier Poetin. Met recht kan gezegd worden dat Poetin voor een deel op politiek vlak in praktijk bracht wat Soljzenitsyn op cultureel-literair vlak met Rusland voor ogen had. Tekenend voor deze parallel is de vriendschap die beiden opbouwden in de laatste jaren van Soljzenitsyns leven en de officiële erkenning die Poetin gaf aan het werk en de nalatenschap van zijn vriend door hem in 2007 de Staatsprijs voor Humanitaire Verdiensten te schenken.

ENKELE BEDENKINGEN

Sovjetleider Nikita Chroesjtsjov.

Door de aard van zijn literaire activiteit en doordat Soljzenitsyn vanaf zijn debuut onafgebroken schreef en publiceerde, is zijn werk een perfecte literaire barometer om af te leiden hoe het gebruik van censuur in de USSR evolueerde. Onder Stalin heerste er een streng repressief klimaat, wat we kunnen opmerken uit het meteen versoepelen van Solzjenitsyns straf van dienst in een werkkamp naar ballingschap bij Stalins dood in 1953. Deze versoepeling op gebied van repressie en censuur kenmerkt het bewind van Nikita Chroesjtsjov, die de censuur terugschroefde om zich – postuum – af te zetten tegen zijn voormalig politiek rivaal en voorganger Stalin. Merk op dat Soljzenitsyns straf, die hij had opgelopen vanwege zijn kritiek op Stalin, werd verminderd en dat zijn 1ste novelle, Een dag in het leven van Ivan Denisovitsj, eveneens een kritiek op Stalin, in 1962 mocht verschijnen. Net zoals de dood van Stalin een cesuur vormde in de evolutie van het Sovjet-Russische censuurbeleid, leidde ook het afzetten van Chroesjtsjov in de nasleep van de Cubacrisis en een hongersnood in de USSR tot verandering in het censuurbeleid. De censuur werd verscherpt, wat men kan merken in de steeds grotere tegenkanting culminerend in Soljzenitsyns moedige open brief in 1967 met vraag tot het afschaffen van de censuur.

Soljzenitsyn heeft een reputatie nagelaten van moedig politiek dissident, die in tegenstelling tot de normaal menselijke reactie op repressie – zich gedeisd te houden – tot de selecte groep bleek te behoren die zich niet alleen niets aantrok van deze repressie, maar zelfs aanstoot nam aan tegenwerking om de stok nog eens extra in het hoenderhok te gooien, getuige voornoemde open brief in 1967 en zijn aanstootgevende eisenpakket aan partij-ideoloog Soeslov in 1970. Daarmee is Soljzenitsyn tot op vandaag een spreekwoordelijk voorbeeld van politieke moed – en dit niet voor vijf minuten (!), maar gedurende zijn gehele leven – ondanks alle tegenslagen en ronduit vijandige omstandigheden.

Hoewel bij het beschouwen van zijn literaire carrière misschien de nuchtere nuancering zou kunnen gemaakt worden dat Soljzenitsyn na verloop van tijd zijn imago van dissident probeerde te cultiveren, als middel tot persoonlijke bekendheid en voordeel, valt deze overweging dadelijk in het niet bij het overdenken van de risico’s die gepaard gaan met het uiten van kritiek op een regime dat onmenselijke middelen niet schuwde om ‘incorrecte’ meningen de kop in te drukken. Een nuchtere kosten-baten-analyse door een charlatan zou de balans in het voordeel van het plat opportunisme doen overslaan, een weg die Soljzenitsyn zeker niet bewandeld heeft, zodat we met recht en rede kunnen besluiten dat Soljzenitsyn gerekend mag worden tot een van de dapperste idealisten van de laatste eeuw.

Tenslotte kan Soljzenitsyn behalve tot de selecte groep van politiek-culturele koppigaards ook nog gerekend worden tot de uiterst selecte en uitverkoren groep die niet alleen een politieke verschuiving mee heeft kunnen realiseren, maar echter de gevolgen van zijn politiek-literaire activiteiten tevens nog verwezenlijkt zag tijdens zijn eigen leven, of tenminste een schuchter begin daarvan. Soljzenitsyn kan aldus genoemd worden als het voorbeeld bij uitstek van hoe literatuur en een politiek geëngageerde levensloop hun stempel kunnen drukken op de bestaande politieke realiteit, getuige de wederopstanding van Rusland uit de as van de USSR en de persoonlijke band tussen Soljzenitsyn en een van de machtigste figuren van Rusland.

Vbr. stud. philol. Raf Praet

lundi, 23 mars 2009

Ucraina: chiave géopolitica tra la Russia e la NATO

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Ucraina: chiave geopolitica tra la Russia e la NATO

di Bernardo Quagliotti de Bellis

Il noto analista Peter Taylor, nella sua opera Geografia politica (1994), afferma che subito dopo la fine della “Guerra Fredda”, nel sistema internazionale delle nazioni cominciò a manifestarsi una nuova struttura sociale, in concreto: L’analisi dei sistemi mondiali solleva la questione su come concettualizziamo il mutamento sociale. I territori vivono in continua trasformazione, provocando crisi politiche ed economiche. Nei nostri giorni, esistono tensioni e opposizioni tra le più grandi potenze come, ad esempio, Russia, Cina e gli Stati Uniti, condizione che favorisce la formazione di una minaccia verso le piccole e medie nazioni dell’Asia, dell’Africa, e persino dell’America latina.

In un interessante dialogo nel quale ha preso parte lo storico Arnold J. Toynbee e il filosofo giapponese Daisaku Ikeda (1970), tra l’infinità di temi affrontati, parlavano sull’instabilità del Medio Oriente e la minaccia delle “guerre a distanza” come quella sofferta in Vietnam, la quale si estese a Laos e alla Cambogia (1958-1975), un conflitto generato dal funesto disegno della politica estera americana nel sudest asiatico quando stabilì che il Vietnam del Nord e il Vietnam del Sud non dovevano unirsi.

In questo momento, le vicende che avvengono tra Israele e Palestina, sommate a quelle che avvengono in altri scenari: Afganistan, Congo, Guinea Equatoriale, Haiti (per citare solo alcune), si potrebbe aggiungere il caso dell’Ucraina che, da un punto di vista internazionale e interno, attraversa una situazione di confusione con la Russia e la NATO, la quale sta deteriorando i rapporti con i governi di Mosca e di Washington.

L’Ucraina negozia la sua inclusione alla NATO

Una volta smembrata l’URSS, Mosca e Kiev entrarono in disputa, quando, nella riunione di Raykjavia (13 maggio 2002), l’Ucraina sollecitò la sua adesione alla NATO, desiderio al quale il presidente Putin si oppose immediatamente. Questo atteggiamento dava ragione a Brzezinski che nel suo saggio Il nuovo scacchiere mondiale scriveva: l’Ucraina può stare in Europa senza la Russia, ma la Russia non può stare in Europa senza l’Ucraina.

L’attuale presidente ucraino, Victor Yushenko, insistendo sulla forte tendenza manifestata nei confronti della politica occidentale – d’altronde, così intimamente intrecciata con gli interessi del Vicino Oriente – potrebbe alterare pericolosamente l’equilibrio geopolitico di tutta quell’estesa e complessa area terrestre e fluviale, giacchè si deve valutare l’importanza rappresentata dagli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, vasi comunicanti del Mar Nero e ricche aree d’influenza con il Mare Mediterraneo, zona scrupolosamente controllata dalla VI flotta degli Stati Uniti.

Siccome si prende in considerazione questo argomento, bisogna valutare che la base di Sebastopoli sita nella Crimea si trova sotto il controllo del governo di Mosca, il che fa pensare che la Russia continui a considerare la Crimea formante parte del suo territorio ma, vista l’irregolarità con la quale è stata consegnata, l’attuale Stato ucraino si oppone saldamente a questa rivendicazione, così come alla pretesa, sempre da parte di Mosca, di aver ereditato nella sua totalità la flotta sovietica del Mar Nero, da dove alcuni mesi fa è partita la flotta russa nel suo viaggio di “visita” verso il Venezuela.

Inoltre, l’argomento possiede una componente di destabilizzazione politica interna in Ucraina, giacché si confrontano due criteri per agire sulla scena politica internazionale. Benché il presidente Victor Yushenko insista nella sua visione di voler integrare il paese nell’orbita occidentale, con la proposta di aderire alla NATO – come la Turchia –, il primo ministro Yulia Timoshenko – insiste nel mantenere un atteggiamento neutro e improntato sull’amicizia verso la Russia, pur considerando che l’Ucraina stabilisca una politica di apertura verso l’Europa.

La tensione esistente tra i due dirigenti ucraini si è acuita dopo il conflitto armato russo-georgiano dell’agosto 2008. Mentre il presidente Yushenko appoggiava la Georgia, il primo ministro Timoshenko, rimaneva neutrale. Questa circostanza ha provocato in Ucraina una crisi politica interna, superata tramite la “coalizione arancione” .

Nel frattempo, l’Unione Europea ha offerto una “associazione” che potrebbe concretarsi in questo 2009, ma con la severa condizione che questa non significhi un appoggio politico-strategico, il cui obiettivo è di evitare possibili suscettibilità che potrebbero infastidire il governo di Mosca.

L’Alleanza atlantica (NATO) non scarta la possibilità di consentire l’incorporazione dell’Ucraina nella sua organizzazione di difesa, ma senza che ciò significhi interrompere la cooperazione con la Russia, un avvenimento che avrebbe potuto rendersi concreto nel summit di Bucarest svoltosi in aprile del 2008 e che, sfortunatamente, fallì di fronte alle reticenze manifestate da molti membri europei, i quali hanno rivelato un atteggiamento negativo con l’obiettivo di sminuire le tensioni di alcuni paesi europei nei confronti della Russia. Ma, come ha dichiarato l’ex segretario di Stato americana, Condoleeza Rice, prima della conclusione della sua missione politica: “La NATO ha sempre le porte aperte”.

Europa verso il 2025


Per alcuni osservatori di questioni internazionali (Martínez Laínez, la futura Europa del 2025 dipenderà in gran parte dalla scelta che farà l’Ucraina. A detta di questi esperti, la Russia non accetterà mai una Ucraina inserita nella NATO, poiché una scelta di tale natura potrebbe comportare a livello internazionale una nuova “Guerra Fredda” e internamente, nella “piccola Russia” (come si è solito chiamare tradizionalmente l’Ucraina), dove la maggioranza della popolazione che vi abita è di origine russa – potrebbe sorgere una grave instabilità a livello socio-politico.

Nel prossimo mese di aprile (2009) si porterà a termine un nuovo summit della NATO a Strasburgo, la cui presidenza sarà assunta dal rappresentante degli Stati Uniti. Intanto è stata anticipata una dichiarazione congiunta da parte dei ventisei paesi della NATO, secondo la quale, a dimostrazione della propria “buona volontà”,la NATO - una volta conclusosi il summit - studierà la compatibilità dei sistemi di difesa antimissilistici degli Stati Uniti, della stessa NATO e della Russia.

Jaap de Hoop Scheffer – segretario generale della NATO - ha dichiarato che è stata decisa la ripresa “condizionale e graduata del dialogo con la Russia”, il che implica la riattivazione degli incontri NATO-Russia, ormai bloccati da diversi mesi.

La guerra del gas


Un problema che ha anche aggravato la situazione geopolitica, sollevata tra Ucraina e Russia, concerne la provvista di gas proveniente dalla Russia e che l’Europa Orientale riceve tramite gli oleodotti che attraversano il territorio ucraino. Nei primi mesi del presente anno, la Russia ha tagliato l’erogazione di gas all’Ucraina, come conseguenza dell’elevato debito che quest’ultima intratteneva con la ditta russa fornitrice. Ala fine del 2008, il debito raggiungeva una cifra superiore ai 3.000 milioni di dollari.

In fondo, la “guerra del gas” la sostengono due compagnie: la russa Gazprom e l’ucraina Naftogaz. L’argomento non si riduce alla sola sfera commerciale, poiché, come nel caso del petrolio del Vicino Oriente, si tratta di una lotta di potere tra i due Stati, i quali coincidono – a modo loro - nel dimostrare all’Europa la sua dipendenza verso Mosca e Kiev.

Con l’intervento di Vladimir Putin e di Yulia Timoshenko il problema è stato risolto. Ma la cosa più importante – commenta Martínez Laínez – è la definitiva scomparsa dal processo di erogazione verso l’Europa di una “oscura” società intermediaria – la RusUkrEnergo, con sede in Svizzera – il cui capitale sociale è diviso in parti uguali tra Gazprom ed un gruppo di oligarchi ucraini. Sin da quest’inverno, in Europa la fornitura di gas è supervisionata dai rispettivi governi e dipenderà dalle due compagnie soprannominate.

(trad. dallo spagnolo di V. Paglione)


Questa pagina è stata stampata da: http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EkFZEAVFlEWwoCcNwy.shtml

samedi, 21 mars 2009

The Social Vision of Valentin Rasputin

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The Social Vision of Valentin Rasputin

by Matthew Raphael Johnson

The Social Vision of Valentin Rasputin

by Matthew Raphael Johnson

In his own mind Rasputin may well be answering some such summons to be his own people’s medicine man for the purposes of understanding and cleansing that part of the world he calls home. –Harry Walsh

Soviet Marxism and Western Capitalism are nearly identical systems of rule. Where they differ is in the means of policy implementation. The USSR based its existence, clumsily, on a state apparatus. The west is far more sophisticated. It rules by a complex Regime: a matrix of private, state and semi-private capital, meshing together in advocating specific policies, appearing to be separate sources of power, but, in reality, offering a closed oligarchy of power, wealth and arrogance.

Nowhere is this identity of policy more obvious than in the realm of agriculture. Both capitalism and Soviet Marxism claim to be the bearers of Enlightenment values to mankind: modern Promethiuses, bringing the “transvaluation of all values” to a benighted herd. Both ideologies believe in progress and technology, which provides both with a distorted view of country and agrarian life. Both ideologies demand absolute conformity to its ideological dictates, even to the point of building global empires to impose such ideas. But insofar as the agrarian life is concerned, these ideologies are identical, considering this life “backward” and “inferior” to the technological paradise of urban living. Both ideologies demand, in short, either the eradication of country life (as in Lenin’s case), or its radical transformation (as in Khrushchev’s case). In Soviet Russia, modernization meant the state’s invasion of the agricultural sphere, demanding strict oversight and control of all agricultural programs, and encouraging migration to the cities. Urbanites were told to “enlighten” their “backward brethren” in rural areas into the socialist idea and the technological paradise that awaited them. Entire regions of arable land were annihilated through dam projects which flooded them, or nuclear fallout from tests, or environmental disasters responsible for the deaths of thousands.

In the west, as always, the policy is identical, the means very different. In 1999, the U.S. Department of Agriculture met with the two oligolopolists of the agrarian life–Archer Daniels Midland of Kansas City, and ConAgra of Omaha. Their purpose was the final destruction of the family farm and the parceling out of the abandoned arable to their corporate interests. In the meantime, major media was spewing the typical stereotype of rustics as hicks and morons, with pickup trucks and southern accents, “spittin’ tobacca’” and killing non-whites. It was and is an acceptable stereotype, according to the apostles of diversity, and one encouraged by everything from sitcoms to stand up comics. If one wants to sound stupid, merely speak in a southern accent. Media and corporate finance worked hand and hand to destroy agrarianism, small towns and the family farm.

The reality, of course, is that, from a political and moral point of view, the agrarian life is a threat. It is a threat to the Regime and its obsession with social control and Pavlovian manipulation. In Russia, it was not the Soviets who depopulated the countryside, by rather the “democratic reformers,” so beloved of Beltway lawyers. And it is within this context that the prose of Valentin Rasputin (b. 1937) needs to be understood, and cannot be understood without it.

The defenders of agrarianism are few and far between: Jefferson, Emerson, de Bonald and Rasputin largely exhaust the names. The Green movement in America, though occasionally assisting this cause, is funded almost exclusively by the Rockefeller and Ford Foundations, and contain, equally exclusively, Volvo-driving urbanites and suburbanites who might want to defend the “family farm” in theory, but despise actual rural people in reality. What the SUV-environmentalist crowd is actually doing in the name of “saving the family farm” is attacking rural hunters and ranchers (occasionally with state-sanctioned violence). The environmentalists have made their central policy ideas the attacks on hunting, ranching and logging, three major occupations of rural America. Whether the soccer moms see the absurdity is a matter of speculation, but the board of the Rockefeller Brother’s Fund fully is aware of it. The attack on rural life is both an ideological, as well as a class, battle. In the early 1990s, a common sight was turtle-neck clad suburbanites attacking poor, rural hunters in the name of “animal rights.” While only a few specialized outlets would touch stories like that, the clear class lines of the confrontations were obvious.

In the prose of Valentin Rasputin, many of these struggles make their appearance. Rasputin is largely loathed and ignored by the denizens of American literary criticism, and the published literature in English on his work numbers a whopping four articles. These range from the simplistic but informative “Conflicts in the Soviet Countryside in the Novellas of Valentin Rasputin” (by Julian Laychuk, published in the Rocky Mountain Review), to the very well done “‘Live and Love’: The Spiritual Path of Valentin Rasputin” (by Margaret Winchell, published in Slavic and East European Journal). The nature of Rasputin’s social vision is at the root of this obvious hostility.

For Rasputin, the dividing line of the 20th century is clear: it is between civilization and country; urban and rural; artificial and natural. Such a dividing line is common enough. His major works proceed in a basic and predictable style, more aimed at approaching an audience than explicating a genre. But this dividing line is always present, and it is what provides this writer with his strength and consistency.

The artificial world is that of civilization: regimented and fake. It is the world of ideology and power. The world of civilization is that of geometry, it is the Tower of Babel, where the worship of dead matter is the official religion. It recognizes only materiality, for materiality can be easily manipulated and controlled. It is elite by definition, for only an elite can even begin to understand the feats of engineering and mathematics that must be understood before the “marvels” civilization are manifest to the world. Reason is reserved to the elites, while the herd is controlled through their passions. The herd is accepting of technology because their “needs” are easily met by it, but at the price of their freedom and independence. But even more significantly, at the price of their identity.

But as the urban/civilizational life is based upon matter, the rural/rustic life is based on spirit. This is a rather complex notion in Rasputin, but is a notion that has a rather long history behind it. Spirit is not the opposite of matter, but is something hidden behind it, in the literal meaning of “metaphysics,” as something “behind” appearance. What science/urbanism can understand is solely what is can quantify , whether it be heat or velocity; votes or roubles. Matter is by its constitution quantifiable, and therefore controllable. Spirit is another matter, and is that aspect of material life that is non-quantifiable. Orthodox Christians can in no manner posit a radical opposition between spirit and matter, for it is precisely this confrontation that made up the “practical” backbone of the Synod of Chalcedon in 431. It is this distinction, that, at least at the time, made up the confrontation between Christian and Monophysite heresy. Matter and Spirit are two very different sides of the same thing. As vulgar Orthodox scholars like to reduce Chalcedon to a “quibble over language,” the reality is rather different, and goes to the heart of a Christian metaphysics.

In 18th century Ukraine, a now largely unread philosopher and metaphysician was active, Gregory Skovoroda. His mind was set to develop a Christian metaphysics, one that would do justice to the powerful insights of Chalcedon. Skovoroda is significant in understanding the nature of Spirit as manifest in the writings of Rasputin, and is able to distinguish Christian spirit from both the vulgar spiritualism of western “religion” and the materialism of the western economic world. One sentence might make sense of this: “This one is the outer frame, that one the body, this–the shadow, that–the tree, this–matter and that–the essence; that is the foundation sustaining the material mud just as the picture sustains its paint.” Though Skovoroda is distinct from Aristotle as he writes: “The universe consists of two essences: one visible, the other invisible. The invisible is called God. This invisible nature or God penetrates and sustains all creation and is and will be present everywhere and at all times.” While far from “materializing God,” such ideas (and they are difficult to being out in English) speaks of God as the Law of Law, or the Essence of Essence. Regularity and Law exist in the universe, and the ground of this regularity is God. Regularity and Law cannot exist without a Lawgiver by definition. While the Essence exists, the appearance, or the “material” side of this, is regularly changing. However, God is not purely imminent, but is so insofar as human beings can approach him. Objects the way out fallen and vulgar understanding picture them, are merely “shadows” cast by the Primal essence, or the Law of Law.

Objects partake of Law and Regularity, and that is the “divine” in them, object sub specie aeternis. Only the advanced ascetic can see objects in this manner. An object as it is, rather than as it appears. In the fallen world, objects/material are things for manipulation. They become objects, as Locke will argue, only to the extent that they are expropriated from their natural state. Humans too, can exist in either a natural or “expropriated” state. Objects exist to the extent to which man has rejected his empirical state of fallenness, and though the Orthodox life, through fasting and silence, can the Reality of being make an appearance. Objects do not them excite lusts, bur rather joy and contemplation.

Natural objects are “paths” to God, here. For they hide the reality of the Creator under their “accidents,” qualities that primarily strike the observer for only the fallen mind can appropriate these things. From this falseness, objects appear in a distorted way, as mere means for the domination of the gnostic elite over all nature through geometry. Ultimately, this is the genesis of empiricism and later capitalist democracy. Objects appear thus through the jaundiced lens of sin and fear of death. While Hegel argued that objects appear differently to different historical epochs, conditioned by specific ideas relative to such ears, Orthodoxy views the material world as changing through the specific “rung on the ladder” the ascetic finds himself on.

Skovoroda does not really require a “space” that is “beyond” the appearance of objects. Vulgar western religion has posited God “up, above” our material existence, existing in “heaven” that is “out,” somewhere “in space.” God then is a purely transcendent being, someone radically separate from his creation, and thus needs to be petitioned like a feudal lord. Of course, the patristic reality is different. God’s person is found as the eternal “idea” in creation, a part of it but far from identical with it. He is imminent in this sense, and is manifest to only the Orthodox ascetic through a life of self-denial, the slow emergence of the sprit struggle through the prison of false images cast by sin and fear. After the various western schisms, these religious bodies quickly lose this specifically imminent aspect of God. The papacy, then, in Protestantism, the individual will, was to take its place, until God became a mere philosopher’s phantom, without real being, without presence.

Once men begin the Christian struggle and receive “adopted sonship” through baptism, they become a living, empirical aspect of the Spirit’s activity on earth. Men do not pray in the sense they renew their driver’s licence (the Protestant view), but the Spirit communicates with Christ through their/our material agency. In other words, this metaphysics posits man/creation not radically separated from God, but simply unable to see His presence under the layers of filth caused by sin, the world and the Regime’s science. The Regime posits a globe of dead matter (including the cowans, i.e. non-initiated people, the herd) ripe for manipulation. Orthodoxy posits a material world that is bi-composite: one, comprising the qualities that Locke is convinced exhaust the matter of matter, and, two, the spirit, the Law of Law, or that aspect that permits matter to partake of Law and Regularity (without which there could be no science, good or bad). The life of asceticism permits the ascetic to begin to see and focus on the Law, rather than its quality, though Law through quality, rather than opposed to it.

Whether or not Rasputin regularly reads this great Ukrainian writer is another story, but in reading these novels, one can easily see the influence of the Chalcedonian metaphysic. For Rasputin, the urbanite cannot see the spirit underlying matter (so to speak). Everything in urban life, as all is conditioned by will, appears artificial, to be merely a bundle of qualities (i.e. substance-less). Men are no different, for to reduce them to a bundle of qualities is the only means of controlling them. Freedom, properly understood, derives solely through Orthodox asceticism; urbanism, therefore, must be based on indulgence, for indulgence, by building up the passions and their demands for satisfaction, permits for those who control access to such fulfillment full control over “human” or semi-human faculties. Urbanism destroys humanity; it destroy’s freedom by its very constitution and organization.

For Rasputin, particularly in his more recent labors, the purpose of life is to struggle to see, at least in outline, the basic spirit structures of the world. This can only be done in nature, outside of the distorted elite lense of urbanism. His characters experience mystical visions when in the outlands of Siberia, suggesting a knowledge that is beyond logic; a strange form of communication between Law and the psyche, one completely bypassed by modern geometry/logic. Such experience radically change these characters, bringing them to a knowledge of their identity and therefore, purpose. Rasputin’s epistemology is mystical, in that the mind is illumined through participation, a participation in Law, or a Reality that is only in a small way explicable through logic. The argument looks like this:

  • P1: Modernity is based on quantification
  • P2: Quantification is a quality adhering to extended matter
  • P3: Extended matter, by definition, is not free, but is subject to manipulation
  • C1: Therefore, Modernity is based on the manipulation of extended matter
  • C2: Therefore, Modernity is based on unfreedom
  • P4: Logic exists to assist in the manipulation of extended matter
  • P5: Logic has no purpose other than being applied to matter and its behavior
  • C3: Spiritual experience is therefore non-logical (super-logical).
  • C4: Modern life can only see things that logic can manipulate

While this is incomplete, this argument makes a great deal of sense out of Rasputin’s writings, and the agrarian life specifically. Because of the nature of “participation,” (in the Platonic sense) Rasputin’s heroes/heroines, often are not specifically educated formally. They are people who have, so to speak, absorbed, through participation, the Reality of life. These are often older women, our babas or yayas, who, simply through experience outside of the logical/mathematical world of urban life, receive a great deal of wisdom, a wisdom outside of the experience of the urban life, a life that cannot absorb anything that is not based on the behavior of matter.

In modern life, the Slavic and Greek immigrant community that first built Orthodox life in North America is dying. Our babas/yayas are either dead or extremely elderly. In many parishes in America, the elderly are the only ones left, preserving some vague memory of the old country and a way of life radically alien to the American. They remain the last holdouts largely because of a specific form of cruelty and abuse, one specific to modernity, that is abandonment. But not a simple form of leaving home, but a sort of abandonment very different from that; it is a mental leaving of home.

My babas are still to be found among the Ukrainians of Lincoln, NE, holding down the parish of St. George with no more than 7 or 8 elderly members as of this writing (April 2007). These are the original Slavic immigrants to this part of the world. They came with nothing and built a small but extremely prosperous community. Needing no help from the Regime, the Ukrainian community in Lincoln and Omaha built a life based on the agrarian ideal of the small community, ethnic unity, religious devotion and limited wants. Media knew no role in their life. There were no TVs, and the music was either religious or folk. Coming to America not speaking English, being of an alien religion, and knowing nothing but persecution and suffering, these Ukrainins built prosperity and togetherness. In fact, to such an extent that they were able to finance several shipments of goods to Ukraine after the 1986 nuclear disaster, and were even involved with settling new immigrants and smuggling Christian literature into Ukraine. They burned their mortgage on that parish years early. They rarely contracted debts, and are now in retirement, enjoying a great deal of security.

Their children? A different story; a story of objective evil, failure and stupidity that can be summed up in two words: modernity and Americanization. These children have left the church and the community. They speak to their parents in the most smug of condescending tones, without a clue as to their virtues. The children have sought entry into corporate America, and, at best, have become groveling middle management bureaucrats, without identity, spirit or purpose. They watch the parish(es) that their parents built die of neglect, but have no difficulty in buying the SUV or spending $40 per tank of gas. They spout rehearsed slogans about democracy, as they vote for Clinton or McCain, while assisting in the destruction of real democracy, the autonomous ethnic community, financially and socially independent. They have abandoned the Ukrainian community and its church, while vegetating in front of the television, the chatroom or the ball game. These are survivors of both Soviet and Nazi Holocausts (some were married in the camps by secret clergy), but, oddly, no one cares; no one asks them how. No one asks about their experience, and they die in obscurity. Just down the street at my Alma Mater, the University of Nebraska, there are several scholars pretending to be Russia experts, and has one asked these survivors about their experience? Not one.

This is the vision of Rasputin. The elderly country woman as the ignored, spat upon bearer or wisdom. The spitter? The urbanite who abandoned the ancestral life for urbanism, the chance for power and money. The urbanite believes that formal education is the “magic elixir” that will transmogrify him or her from an ignorant bumpkin to a civilized member of the New Soviet Experiment, the 21st Century, or whatever. Returning to the village, smug and arrogant, the baba is simply considered an “old, pious fool,” but, as always, a fool who is far wiser than any urban bureaucrat, crammed into his minuscule apartment in the name of “success” and “progress.”

The baba is people centered; she is concerned with personality and simple yet profound moral lessons. The urbanite is institution centered. He is concerned with “progress” and “utility,” even “competitiveness.” Folklore is the center of the “people centered” baba, while ideology is the center of the “progress centered” urbanite. For the baba, decentralization is the key to freedom (though it is never articulated as such); while for the urbanite, it is centralization; oversight; control; coordination. These are the modern buzzwords. As always, the baba is the simple and unassuming (but strong) advocate of freedom and personality; the urbanite is the advocate of the machine and the institution; weak and dependent. Baba is strong and independent. Rasputin paints these colors in a strong but realistic contrast that is simply too much for the modern American literary critic to stomach. Many of us can see some of our own experience in Rasputin’s pages. My babas in Lincoln are powerhouses of knowledge, articulated in simple yet compelling forms. Their children have absorbed the latest fads from the major media, and thus appear as dependent, weak and childish (rather than child-like) shadows of their parents. For the babas, community and its values, codified in folklore, is the guide to life, for the urbanite, it is ultimately the ego, but an ego flattered by modern ideology and fashion.

Another writer has done an excellent job in getting to the heart of Rasputin’s work. In his article, “Shamanism and Animistic Personification in the Writings of Valentin Rasputin” (South Central Review, 1993), Harry Walsh brings out a few new insights into the agrarian vision through the prisim of ancient Shamanism. While Rasputin is Orthodox, his view of the ancient pagan “religion” of Russia is typical of my own: harmless customs that serve largely to humanize nature. These kinds of simple religion take natural reason and feeling as far as it can go in dealing with natural phenomenon without revelation. There are no “gods” in the Christian sense, but rather poetic fetishizations of either natural or social forces. It is precisely these customs and poetic “humanizations” that St. Innocent of Alaska strictly forbade his missionaries to interfere with as they were being evangelized into Orthodoxy. So long as these ideas did not interfere with the Christian faith, they were to be left alone.

Once of these sort of “personalizations” that comes out in Rasputin’s work is important to agrarianism and anti-modernism, and that is the “personification” of objects; that is, the personification of the land itself, and its common markers: rovers, mountains, leaves, colors and sounds. Here, as is commonly seen in Johann Herder, language is merged poetically with nature, with one’s surroundings. In herder’s case, thought is inconceivable without language (and thus historical experience), thought itself is merged within the natural world. The natural world is then a home. Contrary to the ravings of the gnostics and technophiles, nature is not an arbitrary creature, the creation of a semi-wicked demiurge that needs to be dethroned and “corrected,” but is a home, a life, it is not “other,” but an extension of one’s self. In Russian the noun “drug” means both “friend” and “other,” showing the slow merger of the two concepts. Of course, there is no “other” in friendship: the one is swallowed in the other. Friendship is precisely the swallowing of otherness, and a pleasant and voluntary absorption of otherness.

For the agrarian, the land is a person, in a sense. It is a loving mother that, all other things being equal, yield her bounty when she is treated with respect, no different than a loving wife. Is there a connection between modernity, abortion and the destruction of agrarian lifestyles? Of course. They are all really the same notion: the female, nature is desecrated and abused in the name of progress. As Francis Bacon wrote, “knowledge of nature” is “power.” Knowledge of nature is designed to keep her in submission, chained to the libidinous whims of the Lunar Society. Rape and industry have the same Baconian/Atlantean root. Therefore, agrarianism is seen as backward, as the male whoremonger is seen as macho and virile.

Nature in Rasputin is not merely to be preserved and loved as a mother/wife because she is pretty, or because she yields fruit. Both are important, but it goes deeper: nature is a mediator, of sorts, between man and God. The Orthodox vision of relics partakes in a limited way from this insight. Nature, to the sensitive, aesthetic and ascetic soul, contains the “fingerprints” of God in that it is regular, law governed, and sensitive to affection. It is not a difficult road from nature as law bearing, to nature as designed, to nature as the subject of a creator. The sensitive soul sees in nature tremendous beauty, order, proportion and the source of bodily life. How difficult is it to go from here to God as Beauty, Love and Provider? Even in the more disagreeable aspects of nature, such as snake’s venom, or cow dung, one can see the hand of the creator. Human beings, like it or not, eat that cow dong when we eat the products of the earth, that have been fertilized by it. Back in Nebraska, the farmers would tell the suburbanites holding their noses in the rural areas: “It smells like s**t to you; money and food to us.” They never quite had the heart to tell these benighted souls that they eat this fertilizer in every bite of a tomato or carrot.

For the agrarian, nature, the village, the trees and mountains are friends. They create a home. They are part of a larger community all bound together in love, a love at least partially manifested in the “law bearing” aspect of natural events. Science has never been able to understand that nature of regularity as such. Newton can understand it as a quality of matter, but as to its source, that’s another issue. Regularity is not something that adheres to objects, but itself must have a source. Regularity and law are the basis of science, and yet its source is purely in the realm of metaphysics and theology. Regularity and law are not the products of random events, but themselves are objects of scientific inquiry, and only a Law of Law, or the ground of law, can be responsible for order in a universe that tends to disorder and dissolution.

Yet, contrary to the myopia of modern positivism, poetry is the source of making a home out of natural objects. A home for the modern suburbanites is the McMansion thrown up in a few weeks by a builder making a quick buck, only soon itself to be sold in order to see a profit. Rasputin and the agrarian tradition see a home as a complex matrix, a matrix of sights and sounds, smells, people, colors and structures. Only a sensitive mind can “see” memories in an old barn, a careworn field, or an old tractor. The modern suburbanite cannot.

But taking this one step further, Dr. Walsh makes it clear that in Rasputin’s writings, these connections among objects, God, law, sense, memory (in the affective sense), loyalty, home, family, community, local institutions, etc., called by the ever misinterpreted Slavophiles “integral knowledge” automatically mean that man is a mediator, he is a mediator between the senses themselves (what philosophers sometimes call “intersubjectivity”); between logic and poetry; between sense and love; and most of all, between the living and the dead. Edmund Burke once famously called “tradition” the “democracy of the dead.” The traditions that hold rural communities together is not the creation of the present generation, but can only be the product of generations past, generations who suffered and struggled to make it possible for the present generation to be alive at all. The fact that the founders are now dead should have no bearing on their influence over the present. If one exists through the accident of birth, than why should the accident of death be a problem? Why should mere death be a barrier to influence? What is the moral ground for such an opinion? Should the dead vote? Yes, and it’s called tradition.

There are some modern philosophers who are slowly rejecting the concept of “I” in moral theory. Such a revolutionary opinion is almost inconceivable in modern post-revolutionary times. The “I” according to Oxford’s Derrick Parfit, should be reduced to “streams of experience” that do not admit of an ontological fundament. Such a notion is common enough for agrarianism and is found in Rasputin: the idea that the “I” is not a fundament, but is part of a larger reality. The ego is sunk into the integral basis of reality, but such a basis must be rather small (physically) and be based on a determinate community of people, region and language. The separation of the “I” from its surroundings is primarily an invention of the Roman empire and Stoicism, and is so well lampooned in Chekov’s Ward No. 6 The “I” is not a fundament, the community is, the integrity of one’s surroundings is. And it is on this basis that the personification of reality makes sense. Reality is absorbed by the community and transformed its social experience. And, further, it is this that makes capitalism and democracy so vile: for they see a forest as only so much wood, or as a potential field for development. The community, however, sees it as an ontological reservoir or feelings and memories; it is an aspect of personhood. The extreme emotions that sometimes are drawn out when old, rural settlements are bulldozed over for some trivial purpose is derived from precisely this ontological reality.

There is little doubt that Rasputin is a threat, and will remain so. As a fairly young man, he has several good years ahead of him. His work is accessible, and his message is clear. His characters are powerful and his personality uncompromising. Rasputin should have the role of the Solzhenitsyn of the 21st century, only it is not the Soviet GULAG that is the target, but the modern world and its sickness; the merger of corporate capital and Soviet repression.

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jeudi, 19 mars 2009

US uses Europe as a bridge-head to attack Eurasia

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'US uses Europe as a bridge-head to attack Eurasia'

16 March, 2009, http://russiatoday.ru/

The world financial crisis is not just about money though it started on Wall Street, says Tiberio Graziani, editor of Eurasia magazine on geopolitical studies and author of many books on geopolitics.

RT spoke to Graziani in Rome.

RT: Governments worldwide are adopting protectionist measures. It affects all levels of society. In Italy we are seeing more support towards right wing anti-immigration policies. How can Italy and how can we all outlive the world financial crisis?

Tiberio Graziani: First of all, we should reflect on the motives of this financial crunch, which also affected production at an industrial level, first, in the United States and then in the entire Western system, constituted by a famous triumvirate: the US, Western Europe and Japan. This crisis has affected the whole world market. As for Italy, the effects have begun to show slightly later and, in my view, will become more pronounced during 2009 and in 2010.

Because the Italian economy is mainly based on small and medium enterprises, there’s no high concentration of industry, and therefore Italy tends to have more flexibility necessary to face and contain the crisis. Anyway, the crisis will be very deep.

We’ll be able to overcome a financial crisis if we operate in a continental geo-economic context. It means that we should look for recipes in which the economies of the emergent countries such as Russia, China and India are going to have their part. The crisis cannot be resolved only through national recipes or recipes created in Brussels by the European Union only.

RT: Lets talk about the recent gas crisis, Italy has been affected perhaps not as much as the Balkans and Eastern Europe, but still, it was among those taken hostage by it. The truth has been concealed. What is the real origin of the dispute?

T.G.: The origin of the gas dispute between Kiev and Moscow is actually a reflection of NATO enlargement in Eastern Europe as well as EU expansion into Eastern European countries. These two coinciding enlargements were seen in Moscow as a kind of aggression in its close neighbourhood.

This kind of enlargement began in 1989 after the fall of the Berlin Wall. From that moment the United States had decided to manage the whole planet. They chose Western Europe as a starting point to move in the direction of Russia and Central Asia, as it’s known that Central Asia has huge resources of gas and oil.

The US started to influence Warsaw block countries and some former Soviet states, such as Ukraine.

From 1990 Ukraine began to separate its geopolitical future from its natural location, or from Moscow.

If we analyze the so-called ‘Orange Revolution’, we’ll realize that behind these achievements of the so-called civil society of Ukraine were interests coming from across the Atlantic, from Washington. We mustn’t also forget about the influence of so called philanthropists such as George Soros not just in the destabilization of Ukraine, but also in the former Yugoslavian republics.

When Ukraine abandoned or tried to abandon its natural geo-political context, that of a privileged partner of Moscow, it’s evident that when it came to gas, Moscow tried to set market prices for it as Ukraine was no longer a privileged client but a customer like any other. Obviously gas prices went up affecting Europe because Ukraine's leaders lack sovereignty and are driven by other Western interests. Instead of looking for an economic agreement, as is usually done between sovereign countries, Ukraine aggravated the situation by siphoning off gas designated for European nations.

This true reason was neglected by the Eastern European press, including the Italian press. In the gas dispute, the majority of Italian journalists focused their attention not on its real causes, but on the deionization of the Russian government, saying that it had used geo-policy as a weapon in the gas issue, but President Medvedev and Prime Minister Putin were only applying market prices to normal economic transactions concerning gas.

RT: Ukraine is on the verge of default. Russia cannot possibly count on Ukraine paying market prices next year.

T.G.: I believe it’s possible to find an economic agreement. Moscow and Kiev can also negotiate possible discounts. I’d like to stress again that it’s not only a problem of economic transaction, export and import. It’s a geopolitical issue. It’s evident, if Ukraine chooses to set up a Western camp with Washington’s leadership, that’ll affect not only gas, but also other economic issues as well. Hence, I believe, it’ll be possible to find an economic solution, but resistance comes from Kiev, because it depends on Washington’s interests.

RT: While we’re focusing on Washington let's talk about US military bases on Italian soil, what is public opinion here?

T.G.: Most people are aware of the presence of military bases but they aren’t politically conscious. Thus, in the case of the enlargement of a military base in Vicenza, in the north of the country, the main argument was environmental. And the main motive was hidden as, in reality; this enlargement serves the US armed forces, as they’d have the opportunity of contacting a nearby military base, located in Serbia, which also depends on Washington. In future it’ll be possible to operate in border countries and in the Middle East, such states as Syria and Iran and to some extent Russia. The Yugoslavian nation, Serbia in this case, wasn’t chosen by chance, but because it has some cultural and ethnic similarities to Moscow.

RT: The gas crisis has strained Russia-EU relations, many EU states are already looking for alternative suppliers. Does Russia need to worry?

T.G.: No, I don’t think Russia should worry about it. I think every country should look for the best opportunities in the market concerning energy supplies and be self-sufficient. In a wider geo-political context of Eurasia I believe relations between Russia and Europe, between Russia and Italy should be based also on economic interests: exchanging new high technology, military technology, energy resources and, obviously, cultural relations.

I believe cultural relations between the European Union and Italy and, naturally, the Russian Federation should be strengthened.

After WWII, more than sixty years ago, these relations declined because they were undermined by the intellectual class of Europe which supported the Westernization or Americanization of European culture. If we compare European and Italian literature of recent years with the 1930s we’ll notice that many Italian writers use more incorrect language with many borrowed English words. It is a result of cultural colonization which Washington has been carrying out since WWII until today. It’s interesting to note that this tendency is also present in the countries of the former Soviet block.

RT: What is the general line of Italy towards Russia? Can Russians count on Italy to play a part in improving Russia-EU relations?

T.G.: Sure, naturally Italy along with other countries of the European Union is a potential partner ofI’d like to reiterate that in Italy there are more than 100 military sites depending on the US, which are part of the project of American influence and occupation of the entire European peninsula. Under such conditions there are certain limits for Italy and other countries to express their own interests in their politics and their economy. But it should also be acknowledged that in recent years the economic policy of President Putin before President Medvedev today has laid the ground for Italy to become a true partner of Moscow not only economically but also in politics and, in my view, in a military field as well. Italy is located in the Mediterranean area, and occupies an important strategic position. Besides, Italy’s central position is also vital at a geopolitical level. And it would be correct if it uses it for Eurasian integration.

I believe relations between Italy and Russia are improving, as Italian entrepreneurs are moving in the right direction, because they overcome limitations established by a political power which comes directly from Washington and London.

RT: You’re very critical of Washington, you portray the US almost as an imperial nation almost, but we hardly live in a unilateral world anymore.

T.G.: I’m very critical of Washington because it has included Europe in its own geopolitical space and looks on Europe only as a bridge-head to attack the whole Eurasian ground. It makes me critical, but, of course, the significance of the US should always be taken into account. And the US should also realize that its era as a superpower is over. At present, in the 21st century, on a geo-political level we have a multipolar system with Russia, China, India, the United States and some states in South America, which are also creating their own geo-political entity, I refer to Brazil, Argentina, Chile and Venezuela, and, obviously, Bolivia too. In particular, major liberties which these South-American countries enjoy can allow the European Union to leave the Western camp ruled by the US and Great Britain.

RT: You travel all over Europe’s hotspots and breakaway regions. You were monitoring the election in Transdniester. There is an island off the coast of Sardinia in Italy that’s just declared independence, they say inspired by Abkhazia and South Ossetia. Is there one universal formula on how to deal with separatism?

T.G.: These issues are absolutely different. In Sardinia there is a political movement of separatism, but this is a movement which a few years ago to those people who are in the government of Italy now. As for Transdniester, it’s necessary to view its situation from the geo-strategic point of view. The countries of Moldavia and Romania feel the weight of the United States and NATO. Transdniester is one of the so called frozen conflicts. I think Transdniester’s independence would be interesting, because in this case it’ll become an area the United States won’t be able to enter. It’ll be a territory of liberty from the Eurasian point of view, because Transdniester will have its sovereignty. I don’t analyze this republic judging it by its actual government. I only analyze its geo-strategic and geo-political situation. Thus, Transdniester is a republic, and it means that on its small territory there are no NATO bases.

 

samedi, 07 mars 2009

F. M. Dostojevski: "Duivels"

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Fjodor Michailovitsj Dostojevski, ‘Duivels’ (2008)

European Friends of Russia

Cédric Raskin

Te traag, te weinig actie en te moeilijk: altijd een makkelijk excuus om in luie momenten een zware Dostojevski links te laten liggen. Niet zo met deze frisse nieuwe editie van ‘Boze geesten’. Met maar liefst dertien doden (als we goed hebben geteld) is dit verhaal zowat het bloederigste van alle Dostojevski’s. En door de universele tijdloze thematiek blijft deze roman, een van de literaire hoogtepunten van de wereldliteratuur, ook nu nog brandend actueel.

Een en ander is ook te danken aan de uitstekende vertaling van Hans Boland. Eindelijk eens een vertaler die doorheeft dat de Russen elkaar dan wel aanspreken met alle mogelijke vadersnamen en koosnaampjes, maar dat die patroniemen voor ons, Vlamingen en Nederlanders, alleen maar verwarrend overkomen. Dus heeft hij de vrijheid genomen om alle personages consequent bij dezelfde naam te noemen - met uitzondering van de pedante verfransingen om het taalgebruik van de aristocratische klasse te parodiëren -, en daar zijn wij allerminst rouwig om.

Een andere spectaculaire ingreep van Boland is dat hij ‘Boze geesten’ of ‘De demonen’ voor het eerst herdoopt tot ‘Duivels’. Helemaal geen slechte titelkeuze als je de psychologie van het hoofdpersonage Nikolai Stavrogin onder de loep houdt. Als een echte Mefistofeles is Stavrogin de duivel in eigen persoon die enkele andere anarchistische en nihilistische jongeren ophitst om de revolutie voor te bereiden en zo de rust te verstoren in een vredig doorsnee Russisch provinciestadje. Zo krijgt het kleinburgerlijke wereldje vol hypocrisie, schijn en praalzucht een flinke uppercut die op zich nog aardig uit de hand loopt…

Revolutie, daar draait het om. Als blijkt dat die enkel kan worden bereikt door terrorisme als conditio sine qua nonvan politiek extremisme, is het niet verwonderlijk dat de meest controversiële schrijver uit Rusland met ‘Duivels’ ook zijn meest controversiële roman aflevert. Dat de duivelse opstandelingen en onevenwichtige socialisten ook daadwerkelijk zijn opgestaan zo’n halve eeuw nadat Dostojevski dit in 1873 op papier zette, geeft het boek ook een opvallend hoog profetisch karakter mee en draagt dankbaar bij tot de mythe.

Maar hoewel ‘Duivels’ op het eerste gezicht vooral een politieke roman lijkt, is het religieuze en filosofische debat over het bestaan van God minstens even sterk uitgewerkt. Dostojevski’s werk wemelt van intellectuelen met psychische stoornissen en dat is ook hier weer geen uitzondering. Zo is naast Stavrogin de vurige ongelovige Kirilov ongetwijfeld een van de merkwaardigste figuren. Gekweld door de vraag of er al dan niet een God bestaat, of dat hij die God zélf is, neemt hij het zekere voor het onzekere en pleegt hij zelfmoord om volledig vrij te zijn. Ook de constante psychische tweestrijd van de crimineel Stavrogin, de chef-duivel Pjotr Verchovenski of de moordenaar Raskolnikov is ronduit geniaal. Je zou voor minder beginnen twijfelen aan de geestelijke gezondheid van Dostojevski zelf, die zo’n scherp vermogen heeft om zich in te leven in het brein van wrede moordenaars…

Wie Russische literatuur zegt, hoeft niet te rekenen op een snel tempo. De Russen hebben en nemen hun tijd. Begint het verhaal wat te vlotten, dan haalt Dostojevski het tempo al te graag onderuit door zijsprongen te maken en dieper te graven in de psyche van zijn personages. Is dat niet echt je ding, laat het boek dan nog even in de rekken rijpen. Genoot je wél van pakweg ‘De gebroeders Karamazov’, ‘Misdaad en straf’ of ‘Schuld en boete’, dan zal dit verduiveld sterke meesterwerk zeker niet misstaan in je bibliotheek.

 

jeudi, 05 mars 2009

NATO Defence College reviews Dmitry Rogozin's book "Enemy of the People"

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The NATO Defence College review of the book ‘Enemy of the People’ by Dmitry Rogozin

 

http://natomission.ru/en/society/article/society/artbews/...

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The curious reader might do well to start Ambassador Dmitri Olegovich Rogozin’s book by looking at the comments about him which the author has chosen to include as an annex - essentially abuse from prominent Russian political figures, including the leader of the LDPR, Vladimir Zhirinovsky (whose father Rogozin pointedly identifies as being named Edelshtein): “Rogozin is an agent three times over - of the Kremlin, the KGB and the Comintern. He is a villain three times over.” Anatoli Chubais, formerly head of electricity monopoly RAO UES, and whom Rogozin identifies as the “spiritual guru” of the liberal SPS party and author of the concept of “voucher privatization”, describes Rogozin as a National Socialist. The author records other attacks on him by some of his favourite targets of abuse.

It would be natural to suppose that these quotations were recorded by Rogozin in a spirit of irony. It would also be wrong. There is so far as I could teil no trace of irony or self doubt in what Rogozin writes in this account of his political development and ideas. He means every word. It is natural enough that an autobiography should centre on its subject’s actions. This one is deeply personal. The only people mentioned in it who come out consistently well are Rogozin himself, and why not, for it is his story; Rogozin’s distinguished military father (General-Lieutenant Oleg Konstantinovich Rogozin, Hero of Socialist Work, Doctor of Technical Sciences and professor); and Vladimir Putin - who has yet to earn Rogozin’s despair. The introduction to the fourth edition of the book, sent for publication as Rogozin was about to take up his appointment as Russian Ambassador to NATO in January 2008, records his view that Rodina “won” the 2003 Duma elections (Rogozin’s word, presumably implying a moral victory since the party did not come near to winning a majority of the recorded votes, even if its showing was better than the Kremlin had anticipated). Since then, he says, vital elements of Rodina’s programme have been adopted by the Russian government. Putin’s real convictions, (page 5) says Rogozin, are those of the patriotic opposition. His book is dedicated to President Putin, as he then was.

The first set of Rogozin’s ideas would not al! be easy to square with Putin’s actions as President or Prime Minister, though some arguably have elements in common with Putin’s sentiments. Rogozin complains at various points in his book of the way that the media are constrained, the legal system is manipulated and elections are fixed. In so doing, he draws on personal experience. “The ability to lie to your face is the visiting card of power (vlast) today.” (An apt quotation from page 14). His writing is even more impassioned in his attacks on the “thieves” who have stolen, and steal, from Russia, whether bureaucrats or ‘oligarchs’. But then, “Bonapartism is always and everywhere partnered by stealing from the treasury…the consolidation of the Vertical of power’ has led to a real epidemic of theft.” Much of the book is a cry of pain for what has happened to Russia since Stalin’s death in 1953, and particularly since 1991, with the failure of the August putsch that year. Rogozin’s admiration for Stalin is for what the author sees as his success as a national leader who instilled discipline, not as the builder of’socialism in one country’.
The remedy sketched by Rogozin for Russia’s present ills is not what might be expected from his attacks on the way the present state of affairs rests on arbitrary controls. It is for the power of the centre to be increased, under the condition that the exercise of absolute power be governed by absolute responsibility, borne personally by the leader himself. He does not explain exactly what this might mean. He would no doubt be enraged by the suggestion that it is a doctrine that notorious figures of the middle of the 20th Century would instantly accept.
Rogozin argues for increased national ownership of critical economic factors. He does not explain how such a system could work, or how it would prevent what he sees as the treachery and incompetence which brought the USSR to needless and tragic collapse being repeated under another centrally directed government of Russia. His domestic policy prescriptions are however often declarative rather than analytical, for instance in his lengthy and agonised account of Russia’s demographic problems. Russia should be, he writes at one point, aiming at a population of 500 million, without giving a clear idea of how this degree of reproductive fervour could be brought about
That should not be read as a sneer. Rogozin’s despair at what he sees as his country’s fall deserves better than that. He records his academic achievements, but his book is not that of an educated sceptic. In one striking passage, following on Rogozin’s account of the Chechen mentality, he tells of an interview with Putin in which he offered to go to Grozny as Presidential Representative. The President’s response, which Rogozin saw as “very significant” was that Putin wanted him to stay for the time being in the Duma. That, thought Rogozin, was a missed opportunity. Had he taken charge in Grozny the bloodshed would have been minimal. It does not seem to have occurred to him that the President may have been less confident than Rogozin of the latter’s ability to sort things out Putin’s ability to keep others under the impression that he sympathises with their aspirations even when he does not is again illustrated at other points in Rogozin’s account.

The heart of Rogozin’s book, whether he is recording his efforts as a dogged and immovable defender of his country’s true interests, or setting out his political creed, is the need to revive Russian national feeling, and thereby to restore Russia to her rightful status, as he would see it, as a Great Power. He makes it very clear, though not in a consistently specific manner, that this aim entails Russia’s borders enlarging to include all the territories that have been hers over the course of Russian history. He refers on page 145 to the national idea enshrining the right for Russians to be the formers of the state not just in the present territory of the Federation but also “inherently Russian lands beyond its borders. Crimea, Little Russia, Belorussia, the Cossack steppes of Kazakhstan, TransDniestra, the PriBaltic - these are the native lands of the Russian nation.” Russians brought civilisation to the peoples who fell under her control, and they now share her destiny as a beneficent result. “It is inadmissible to remain silent while the country that gave you life is robbed and humiliated. If even a drop of Russian blood runs in our veins we should be readying ourselves to fight….It is on our bones that Europe prospers today” (page 443). And so on throughout the book- often.
Rogozin’s political programme is mystical rather than practical, despite the fact that he recounts his involvement in many of the political dramas over the last couple of decades of his country’s history. He vents his frustration at being balked of the success he is sure was his in Duma and Moscow elections. The administrative barriers in the way of setting up independent parties are excoriated. He nonetheless sees the revival and channeling of Russian nationalism as essential to the nation’s survival, and achievable through disciplined action by a committed elite. He seems to take it for granted that the restoration of true patriotic feeling, and the direction of affairs by true patriots, would restore harmony as well as greatness to his country, and that it would be thoroughly democratic too.
This is all disputable, and the*fenguage in which it is conveyed is in places disreputable too. But Rogozin’s book is honest in its efforts to convey what he really thinks, and innocent of guile. There are many other Russians, and decent ones too, that share his prejudices to a greater or lesser degree, and who reach too readily for the language of abuse when others do not accept them: a Pravda inheritance, maybe. Many Russians for instance seem genuinely to believe that they have a better sense of what other formerly Soviet people - and particularly those of Slavonic origin - truly want and need than what these people choose for themselves through their elected leaders. When Rogozin says that Sevastopol is “ours”, and that that is a “fact” (page 129), he is only giving more emphatic expression to a view that others of greater authority than he have set out more cautiously. When he laments the treatment accorded to Russia by her enemies, internal or external, he is giving his own version of the sense of national(ist)
grievance that has developed so strongly in recent years. There was a contrast to be drawn in the 90s between Serbia’s haunted sense of wrong and Russia’s efforts to make a new and post imperial start. The parallels between Serbian nationalism then and Russian feelings now, as illustrated by Rogozin’s book, can be uncomfortably close.

The aim of restoring, as its advocates term it, Russia’s status as a Great Power runs beyond the “patriotic opposition” invoked by Rogozin. It is deeply felt to be legitimate, and necessary, by Russians who are far more liberal in their outlook than Rogozin, and has been articulated in various forms by the highest leadership, including by the former and current Presidents. But while there is no doubting its emotional appeal to many Russians, if to few of their neighbours, Rogozin in his book has been no more able than others to set out exactly what it means. If Russia is a Great Power, then presumably there are others, and presumably they have parallel rights. No one knows exactly who these other “Great Powers” might turn out to be. It would also seem to follow that “Great Powers” have greater rights than lesser ones, a proposition that is contrary to the Charter of the United Nations, and unacceptable to those relegated to the second or perhaps third division. The aspiration to be recognised as a Great Power, which runs so clearly throughout Rogozin’s book, in short, is a lament for past glory to return, not a practical guide to policy. It is not however the less compelling for those who would pursue it because it is incapable of definition, or perhaps even of cure.

ON THE NATO DEFENCE COLLEGE REVIEW OF THE BOOK 
‘ENEMY OF THE PEOPLE’ BY DMITRY ROGOZIN

The very fact that a major agency of NATO’s educational system got down to reading such an alien book dedicated to Russian domestic affairs means a lot. The author of the review has taken the reading seriously, and building upon his knowledge he made an attempt to analyze what was written by Dmitry Rogozin. There is no doubt that NATO is primarily interested in political views of the ambassador it is dealing with rather than Russian domestic policy as such.

It is quite another matter that it is a tough job for a Westerner to give a fair assessment of those views; the temptation to slide down to stereotypes (Putin as the sole ruler of the country, patriotic views as an extreme form of xenophobia, etc.) is too big. The author of the review attempts to disregard details about Russian domestic policy, however, he delightfully quotes Rogozin’s criticism of the Russian bureaucracy and in the end he reduces everything to the ‘favourite’ common denominator of Western analysts – that Russia is yet again aspiring to become an empire and a great power, while it lacks either rights or good reasons for that. In the author’s opinion, such an aspiration lacks “legitimacy”, and he notes that Rogozin is just one among many Russians who want to see their country regain its greatness. The author argues that allegedly there is no ‘cure’ for this concept that has basically become the ideology Russian policy is guided by. Apparently, neither is there a cure for the aspiration of the Westerners to not let Russia become a great country again, just as for any form of maniacal schizophrenia. He particularly bridles at Rogozin’s ideas of uniting inherently Russian lands, and the role of the Russian nation as a civilization factor triggers nothing more than an ironic smile.

Nevertheless, this review seems in general to be quite well balanced and serious. The author admires Rogozin’s sincerity and consistency, his concerns over the present situation in the country, even though the style he chooses does not always seem justified to the author.

Novembre 1941: la perestroïka de Staline

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - Octobre 1988

Novembre 1941: la "Perestroïka" de Staline

par Wolfgang STRAUSS

Rudolf Augstein va-t-il faire mentir l'histoire? "Stra-tège de bistrot", "handicapé de l'argumentaire", "im-bécile", "masochiste", "accoucheur de monstruo-sités": ce sont quelques-uns des traits hardiment dé-cochés par l'ex-artilleur Augstein contre le plus grand spécialiste allemand de l'histoire contem-porai-ne avec Helmut Diwald. La cible de cette philippique n'est autre qu'Ernst Nolte, à cause de son ouvrage Der europäischer Bürgerkrieg, 1917-1945 - Natio-nal-sozialismus und Bolschewismus  (= La guerre ci-vile européenne, 1917-1945 - National-socialisme et bolchévisme, Berlin, Propyläen, 1987). Augstein trai-te en outre le livre de Nolte de "subversion de la science" (Der Spiegel,  n°1/1988). Or, que nous pro--pose donc l'auteur de cette bordée d'insultes? Rien moins q'un viol de l'histoire. Surtout à propos de Staline. Augstein fait un contre-sens total sur la po-litique et sur les motivations du "petit père des peu-ples".

Certes, concède-t-il, Staline "a assassiné à tour de bras", il "a fait tuer à l'intérieur plus de monde qu'Hitler" (sic), "20 millions de personnes rien qu'entre 1934 et 1938". Mais il y a des réalisations gran-dioses au palmarès du Géorgien: l'industria-li-sa-tion, le maintien de la cohésion de l'empire, la mise en place d'une "dictature pédagogique", l'éradica-tion de l'analphabétisme…

Staline a vaincu les Allemands parce qu'il a fait vibrer in extremis la fibre patriotique des Russes

Il va falloir dorénavant se passer des lumières his-toriques d'Augstein, qui n'est qu'un amateur, même s'il est fort lu. Le voilà qui affirme tout de go que le Géorgien a vaincu Hitler et "ses généraux nazis" parce que le "système stalinien" disposait d'un im-mense potentiel de défense "révolutionnaire", en clair: communiste. Rien n'est plus faux. Staline n'a réussi -in extremis- à mobiliser les forces patrio-ti-ques, c'est-à-dire nationales-russes, qu'au prix d'un reniement complet de ses postulats idéologiques fon-damentaux. En peu de temps, le bolchévik Staline mit en scène une véritable perestroïka spirituelle et morale, un renversement total de son système de ré-férence: finie l'eschatologie communiste-marxiste, fi-ni l'internationalisme prolétarien. Retour au mes-sia-nisme russe, celui de la Grande Guerre Patrioti-que et Nationaliste. Staline, une fois encore, était tiré d'affaire. Pour entrer dans l'histoire comme le plus grand des rénégats.

Moscou, 7 novembre 1941: revue des troupes sur la Place Rouge. "Le monde regarde votre force", lance le Géorgien à ses soldats russes. "Vous avez une  gran-de mission libératrice à accomplir. Soyez-en di-gnes. La guerre que vous menez est une guerre de li-bération, et c'est une guerre juste". Pas un mot sur Marx et Engels. La Révolution mondiale? Passée aux oubliettes. Staline proclame le nationalisme rus-se comme la seule force légitime de survie. "Battez-vous comme se sont battus vos grands ancêtres: Nev-ski, Donskoi, Minine, Pojarski, Souvorov et Kou-touzov!". En 1812, le maréchal Koutouzov alla re-joindre ses troupes devant Smolensk dans un con-cert de cloches et de chorales. Et le 2 août 1914, le Tsar Nicolas II s'était agenouillé pour prier l'icône miraculeuse de la Vierge de Kazan dans son Palais d'Hiver de Saint-Pétersbourg. De même, l'athée Sta-line, en invoquant des ancêtres à la fois patriotes et chrétiens, relie un passé glorieux, pré-bolchévique, à un présent apocalyptique.

Le 7 novembre 1941, les Saints et les Martyrs de la Russie sont remis à l'honneur. En ce jour anniver-sai-re de la Révolution, l'histoire russe reprend ses droits. La conscience historique des sujets de Staline re-devient subitement patriotique. L'internationale s'est tue, le Manifeste communiste  de Marx se cou-vre de poussière. La religion d'Etat redevient le na-tionalisme russe, aux racines mythiques et religieu-ses. En comparaion, la perestroika  culturelle d'un Gorbatchev est une aimable plaisanterie, à la fois su-perficielle et terne.

Les Russes percevaient les Allemands comme des libérateurs

C'est la dictature stalinienne elle-même, ce qu'Aug-stein appelle la "révolution socialiste", qui, en s'ef-fondrant par sa propre faute, à l'été 1941, a contraint Staline à recourir au nationalisme russe. L'heure du communisme soviétique avait sonné. "Beaucoup, au-jourd'hui, oublient (ou feignent d'oublier car cela cadre mal avec l'"antifascisme" ambiant)", écrit Carl Gustav Ströhm, Allemand des Pays Baltes et com-patriote de l'auteur de ces lignes, "que de larges frac-tions de la population soviétique ont accueilli les Allemands en libérateurs, que des centaines de mil-liers de soldats de l'Armée Rouge ont changé de camp, à l'été et à l'automne 1941, et que des mil-lions se sont laissés capturer, bien souvent sans op-po-ser grande résistance. Ce n'étaient pas seule-ment des Ukrainiens ou des Baltes qui, eux, avaient quel-ques raiosns de saluer l'arrivée des Allemands; il y avait aussi d'innombrables Russes. La terreur stali-nien-ne avait laissé de telles cicatrices (c'était quel-ques années seulement après la collectivisation forcée et sanglante des terres) que de nombreux Russes étaient prêts à collaborer avec l'ennemi extérieur" (Die Welt,  26 septembre 1987).

Octobre 1941: les semaines les plus dures pour l'U-nion Soviétique. Au Kremlin, c'est une atmosphère de fin de règne. Staline, "l'homme d'acier", le "so-leil du prolétariat mondial", connait les affres du dé-clin. Le 3 octobre, il a dicté quelques lettres où il qué-mandait l'aide de Roosevelt et de Churchill. Puis il s'est tu jusqu'au début novembre. Le Premier Mi-nis-tre anglais et le Président américain lui écrivent, mais Staline ne répond plus. Smolensk est aux mains des Allemands. Kiev aussi, ainsi que l'Ukrai-ne centrale. Une douzaine d'armée, soit plus de six cent mille soldats de l'Armée Rouge, sont hors de combat. Le cœur industriel du Sud est perdu.

Staline demande aux Anglais de débarquer en Russie

Dans une lettre du 13 septembre, alors même que se re-ferme l'étau sur Kiev, Staline demande à Churchill de faire débarquer à Archangelsk, sans grand risque, 20 à 25 divisions britanniques, ou bien de les faire transiter par la Perse vers les territoires asiatiques de l'URSS "afin qu'elles combattent aux côtés des trou-pes soviétiques, sur le sol soviétique, comme el-les le firent au cours de l'autre guerre sur le sol fran-çais". Faut-il que le successeur de Lénine ait été aux abois pour mendier ainsi l'intervention de troupes que la jeune Armée Rouge de Lénine avait victorieu-se-ment affrontées lors des combats de 1918 à 1921! Mais l'Anglais refuse, faisant observer que les Etats-Unis d'Amérique vont entrer en guerre sous peu.

A Moscou, c'est la paralysie. Le moral n'y est plus. La confiance des sujets s'évanouit. Quand ils ne vont pas à la rencontre de l'envahisseur, bannières dé-ployées, ils lui offrent le pain et le sel. Par mil-lions! Et pas seulement les ethnies traditionnellement "peu sûres": Ukrainiens, Lithuaniens, Estoniens, Let-tons. On trouve parmi eux des Russes, des Bié-lo-russes des territoires occupés! Le 13 octobre, Ka-louga tombe, à 160 km au Sud-ouest de Moscou. C'était le pivot de la première ligne de défense avan-cée devant Moscou. Le 14, Borodino est dépassé. C'est à 100 km à peine de Moscou. L'endroit est his-torique, sacré: n'est-ce pas là qu'au siècle der-nier, la Grande Armée de Napoléon a frisé la dérou-te? C'est là que Staline voudrait stopper ce deuxième envahisseur venu de l'Ouest. En vain. La 32ème di-vi-sion sibérienne, division d'élite, meurt sur les hau-teurs de Borodino. C'était l'ultime espoir. Les Pan-zers de la 10ème division blindée allemande défilent devant le monument aux morts de Borodino et s'en-foncent dans les espaces enneigés jusqu'à la Mosco-va. Le verrou du dernier bunker saute. Le 19 octobre, Mojaïsk tombe. Or, la Chaussée de Mojaïsk con--duit tout droit dans la métropole de Staline. Plus que 100 km d'autoroute! "Mojaïsk est tombé, entend-on crier dans les rues de Moscou. Mojaïsk est perdu, les Allemands arrivent!".

Les Allemands n'atteignent pas Moscou, les Russes se sont ressaisis

Cinq jours auparavant, le 15 octobre, Molotov, Mi-nistre des Affaires Etrangères avait reçu Steinhardt, l'ambassadeur américain, pour lui annoncer que le Gou-vernement soviétique quitterait Moscou et que le corps diplomatique se replierait sur Kouibichev, à 850 km à l'Est. Lorsque la nouvelle fut connue, et lors-qu'on apprit que le tombeau de Lénine serait ex-trait de son Mausolée, ce fut la panique dans Mos-cou: "les Fritz arrivent".

Ce qui s'est passé alors, aucun livre d'histoire so-vié-tique ne l'a jamais raconté, alors même que des té-moins de cette époque sont encore en vie. Car à Mos-cou ce n'est pas seulement dans la crainte que l'on attend les "Fritz": certains Moscovites souhaitent leur venue.

"Les occupants des immeubles de la Chaussée de Mojaïsk tendent l'oreille au moindre bruit de che-nilles. Sont-ils déjà là? Pendant ces journées, tout reste possible à Moscou… Les nouvelles alarmistes se succèdent dans la ville… Le gouvernement a fui… Le pouvoir de Staline chancelle. Son portrait mê-me est décroché des murs; les premières cartes du Parti se consument. Des tracts simples, qu'on devi-ne confectionnées à la hâte, apparaissent soudain, au petit matin, dans les boîtes aux lettres: "Mort aux com-munistes!"… Le cœur de l'Union s'arrête. Tout le fanatisme du Parti, tous les tribunaux d'exception, toutes les exécutions ne peuvent, en cette fin d'oc-tobre, endiguer la décomposition de la ville. Les do-miciles des personnalités évacuées sont pillés. Des déserteurs s'y installent. Des blessés, des enfants, des jeunes gens échappés des équipes de travail, rô-dent çà et là. Moscou semble agoniser…".

Le témoignage de Mandel Mann

Ces lignes incroyables et pourtant si vraies, sont ex-traites des mémoires d'un instituteur de village, d'o-ri-gine juive polonaise, émigré en Russie en 1939. Le livre de Mandel Mann Aux portes de Moscou  parut d'abord en Israël avant d'être traduit dans presque tou-tes les langues et publié en Allemagne aux édi-tions Heinrich Scheffler de Francfort en 1961. Man-del Mann se souvient avoir assisté à certaines scènes:

"Une patrouille de six hommes en armes, trois de la Mi-lice et trois du NKWD, s'arrête devant une porte-cochère puis se replie lentement dans la rue Sadovaïa où elle disparaît dans l'entrée obscure d'une maison. Au bout d'un moment, les six hommes réapparais-sent, tête nue et sans armes. Sur leurs capotes mili-taires, les insignes de miliciens ont disparu"… "Les rats quittent le navire", leur lance une femme. "Ils peu-vent toujours courir, on les rattrapera! "…

Lentement, la foule forme un cortège; en tête, mar-chent les blessés, suivis des femmes et de tous les au-tres. Des rues adjacentes surgissent des gamins de quatorze ou quinze ans qui travaillaient jusqu'alors en usine. "Mort aux communistes!" hurle le porte-dra-peau. "La guerre est finie!", "Grâce te soit ren-due, Sainte Vierge, Mère de Dieu!".

Mais les "Fritz" ne vinrent pas. Où étaient-ils donc pas-sés? Ils avaient pourtant emprunté les autoroutes et les chaussées de la périphérie moscovite! A une heure de route à peine de la capitale!…

La victoire du général Hiver

Deux semaines plus tard, le 5 décembre. Un froid arc-tique a ralenti l'avance allemande. Des éléments de choc des 3ème et 4ème Armées blindées forment l'aile gauche du groupe d'armées Centre, décrivant un vaste arc de cercle au Nord et au Nord-Ouest de Moscou. Dans les faubourgs de Gorki, de Katiouch-ki, de Krassnaïa Poliana, les hommes de la 2ème Pan-zerdivision viennoise grelottent par 40° au-des-sous de zéro, à 16 km à peine des tours du Kremlin. A la lunette binoculaire, les chefs de régiments peu-vent observer la vie dans les rues de Moscou. Mais c'est un Moscou où, depuis le 7 novembre, le vent d'hi-ver a tourné, où souffle un nouvel esprit de ré-sis-tance qui puise sa force et son intransigeance dans le tréfonds immémorial du nationalisme russe. En un seul discours prononcé sur la Place Rouge enneigée, que les Allemands paraissent avoir oublié et que les historiens occidentaux ne commentent guère (car ils sont incapables de l'expliquer), Staline rendit à la na-tion russe son histoire, sa fierté et son identité à un moment historique où cette nation, ne pouvait plus croire qu'en des miracles. Des avions sovié-ti-ques largueront derrière les lignes allemandes des tracts reproduisant le texte du discours du 7 no-vem-bre, afin que les populations occupées sachent ce qui se passait à Moscou: une perestroika  de l'esprit et du cœur…

D'un point de vue "antifasciste", Staline fut un rénégat, un capitulard idéologique, un déviationniste. C'est vrai: Staline a heurté de front les vaches sa-crées de l'internationalisme marxiste-léniniste et trotz-kiste. Mais l'Histoire, elle, est du côté des vain-queurs, pas des gourous idéologiques. En réhabili-tant le nationalisme russe, en le sanctifiant et en l'é-levant au rang de religion d'Etat, Staline a sauvé l'em-pire. La Grande Guerre Patriotique —l'expres-sion évoque à dessein une autre "Guerre Patrio-ti-que", celle de 1812-1813— ne fut pas menée au nom de Karl Marx.

Augstein se trompe. Le potentiel révolutionnaire a sur-gi du nationalisme, pas du communisme. Du point de vue de la vulgate "antifasciste", Staline a réveillé et mobilisé précisément ces forces, valeurs, attitudes et idéaux "irrationnels" qu'un Jürgen Ha-ber-mas considère comme des "phénomènes préfascistes": conscience et fierté nationales, foi et fidélité, abnégation, esprit de sacrifice, amour du peuple et de la patrie, sentiment d'être prédestiné, et d'être uni-que au monde…

Wolfang STRAUSS.

(texte issu de Nation Europa, n°3/1988; traduction française: Jean-Louis Pesteil).

 

lundi, 02 mars 2009

Communiqué: Moscou, octobre 1993

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - octobre 1993

 

SYNERGIES EUROPÉENNES - VOULOIR - OCTOBRE 1993

Les événements tragiques de Moscou

Communiqué de presse du comité de rédaction de VOULOIR

Le comité de rédaction de la revue VOULOIR déplore les événements tragiques qui viennent de se dérouler à Moscou. Il estime:

- que, dans la querelle qui oppose le Parlement à la Présidence, il n'a pas été suffisamment tenu compte des conseils modérateurs du Dr. ZORKINE, Président du Tribunal Constitutionnel russe, qui prône un équilibre entre l'exécutif et le législatif.

- que les appels du Patriarche Alexis ll, qui s'était naguère insurgé contre l'américanisation des mœurs en Russie, sont dignes d'être écoutés et devraient davantage susciter l'intérêt de nos médias.

- que la position de Gorbatchev, peu suspect de soutenir les nationalistes ou les communistes du Parlement, est aux antipodes du manichéisme de nos médias; en effet, Gorbatchev déplore, comme nous, le recours à la force et la dissolution du Parlement proclamée récemment par l'exécutif. Cette position commune de Gorbatchev, de certains parlementaires russes et de notre groupe, montre qu'on ne peut construire une démocratie ex nihilo, et que toute démocratie russe doit reposer sur les structures déjà existantes, quitte à les réformer progressivement.

 - que les événements tragiques de ces deux derniers jours sont le résultat d'une déplorable précipitation et que la libéralisation de l'économie russe aurait dû s'effectuer sur le mode chinois, comme l'ont mentionné conjointement dans un débat à Moscou, le 1 er avril 1992, Alain de BENOIST (chef de file de la "Nouvelle Droite" française), Robert STEUCKERS (Directeur de Vouloir), Edouard VOLODINE (idéologue du FSN) et Guennadi ZOUGANOV (Président du nouveau "Parti Communiste Russe"). La Chine a procédé graduellement à une libéralisation de son économie, zone après zone. C'est ce modèle que préconise le FSN, à juste titre, nous semble-t-il.

- que les responsabilités de l'immense gâchis russe incombent principalement aux protagonistes de l'idéologie libérale pure, injectée dans la société russe lors de la libéralisation des prix de janvier 1992 par l'équipe de Mr. GAlDAR. Cette libéralisation a jeté de larges strates de la population moscovite dans la plus extrême précarité.

- que la position d'ELTSlNE a été fragilisée par les événements des 2 et 3 octobre 1993, du fait que sa police n'a pas pu tenir la rue, contrairement à ce qui avait été promis solennellement, et que sa démocratie s'impose en pilonnant le Parlement, alors que ce bâtiment aurait dû demeurer inviolable envers et contre tout, servir ultérieurement d'instrument à une démocratie réformée, partant de la base, des "Conseils" élargis à tous les éléments dynamiques de la population.

- Enfin, notre comité de rédaction déplore que le sang russe ait coulé, présente ses hommages et ses respects à toutes les victimes de cette tragédie, quel que soit leur camp. Par aileurs, nous signalons que Michel SCHNEIDER, qui avait accepté d'être l'un de nos correspondants à Moscou, a été blessé à l'épaule à proximité des bâtiments de la télévision dimanche soir. Et que Mme Larissa GOGOLEVA, qui était son interprète, a été très grièvement blessée par balle au même endroit. Notre comité rend hommage au courage de cette jeune femme, tombée dans l'exercice de sa profession et rappelle qu'elle avait traduit en russe plus d'un texte émanant de nos publications.

Infos complémentaires: Fax: 02/346.58.79 - Tél.: 02/344.08.21

 

 

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samedi, 28 février 2009

L'économie russe en 1994

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Archives de SYNEERGIES EUROPEENNES - 1994

 

SYNERGIES EUROPÉENNES - VOULOIR (Bruxelles) - Janvier 1994

Michel SCHNEIDER:

ECONOMIE RUSSE: LA LONGUE MARCHE VERS L'INCONNU

Le travail de démantèlement de l'ancien système, essentiellement mené par l'équipe d'Egor GAIDAR de fin 1991 à la fin 1992, et pour partie poursuivi depuis, a été payé par un affaiblissement extrême de l'Etat, par un grand désordre économique, par un accroissement de la corruption administrative et de la criminalité générale, par une stratification sociale séparant désormais une minorité de nouveaux riches et une majorité de nouveaux pauvres. Ce travail était généralement considéré comme indispensable au passage a l'économie de marché, à la multiplication des acteurs économiques privés (10 à 15 % de la population vivrait aujourd'hui dans le secteur privé) et à la prise du pouvoir économique par les chefs d'entreprises, les régions et les municipalités. Sur ces deux derniers points, les résultats sont tangibles.

Lors du conseil des ministres du 4 février 1993, le président YELTSIN déclarait cependant: "Le plan économique pour 1992 a pratiquement échoué... l'économie nationale s'est effondrée".

En cette fin d'année, la situation économique demeure en effet plus que jamais alarmante et les symptômes les plus visibles en sont: la poursuite de l'inflation, de la chute de la production, de la baisse du niveau de vie de la masse de la population (alors que les contraintes d'un déficit budgétaire considérable risquent d'obliger le gouvernement à libérer les quelques prix qui restent sous contrôle de l'Etat ou des municipalités: gaz, électricité, téléphone, loyers, eau, charges locatives... ), l'accroissement exponentiel de la dette interentreprises et de la dette extérieure -et de son service- qui font de la Russie, en réalité, un pays en faillite.

Début juin 1993, dans une déclaration commune, le gouvernement et la Banque Centrale fixait les objectifs de leur politique économique: abaisser le taux d'inflation à 10 °/0 par mois d'ici la fin 1993 et achever la stabilisation des prix en 1994 dans le cadre d'une accélération de l'intégration de l'économie russe au sein de l'économie mondiale. Renforcer le rôle de l'économie de marché. Au niveau des changements structurels (point 5 de la déclaration), le gouvernement entend poursuivre fermement le programme de privatisation, améliorer les bases légales des relations au sein du marché et contribuer au développement des marchés financiers. Le gouvernement soumettra par ailleurs au Soviet Suprême des projets de loi sur les sociétés, un nouveau Code Civil et un nouveau Code du commerce qui assurera la sécurité des contrats. Enfin, le gouvernement travaillera à la levée des restrictions sur la propriété de la terre et il garantira l'exécution de la loi sur les faillites.

Telles étaient donc les dernières résolutions du gouvernement...

Récemment, un institut gouvernemental a donné ses prévisions, qui donnent la mesure du chemin à parcourir. La production industrielle et la production agricole chuteront respectivement de 15 et 5% cette année. Le volume des investissements baissera de 55 à 60% sur les six derniers mois de 1993, contre 45% l'an dernier. Le niveau de vie baissera de 10% au moins et le "revenu de subsistance" devrait atteindre 70.000 roubles par mois en décembre. Début juillet était publié un sondage effectué auprès des "élites" (industriels, commerçants, experts économiques et scientifiques, députés et journalistes) qui reflétait bien le pessimisme de celles-ci: 70% d'entre eux s'attendaient a une détérioration croissante de la situation économique, financière, sociale et politique. Près de 50% se prononçait,aient pour une économie mixte (50% au privé 50% à l'Etat), 28% pour une économie strictement libérale et 19% pour un retour à l'étatisation.

Ce sondage est intéressant car il marque, comme les déclarations et articles de plus en plus nombreux de personnalités, une tendance assez nette à souhaiter des inflexions sensibles dans la politique actuellement poursuivie.

Serguëi GLAZIEV, ministre du Commerce extérieur, reconnait que si la Russie échoue a créer des structures financières et industrielles efficaces d'ici un an ou deux, elle se "désintégrera". Et il préconise des mesures urgentes:

suspendre le chapitre de la loi de privatisation qui permet aux grandes entreprises de privatiser elle-même les unités de production qui les composent, abolir les obstacles infondés à la création de holdings,

3. introduire un certificat de qualité pour les marchandises importées et moduler les tarifs douaniers en fonction des objectifs de la politique industrielle, n'accorder des subventions et la garantie du gouvernement qu'aux importations de marchandises et d'équipements qui ne peuvent être achetés sur le marché national, au lieu d'investir dans des projets locaux, il est nécessaire d'apporter le soutien de l'Etat à des programmes nationaux majeurs qui permettent des changements structurels.

Cette prise de position du ministre va dans le sens d'un certain protectionnisme et du retour à une certaine forme de planification, en tout cas d'un accroissement du rôle de l'Etat, tendances qui se confirment au fil des jours.

Beaucoup dénoncent désormais les effets pervers des instruments traditionnels de la politique de stabilisation (cf. en annexe le tableau dressé par Jacques SAPIR, maître de conférence à l'Ecole des hautes études en sciences sociales).

Oleg BOGOMOLOV, directeur de l'Institut d'économie internationale auprès de l'Académie des sciences estime ouvertement que c'est l'aventureuse "thérapie de choc" de M. GAIDAR qui est la principale responsable de la chute continue de la production et de l'inflation. La politique ruineuse du "grand saut" dans l'économie de marche a été inspirée par les économistes de "l'école monétariste de Chicago" et aussi par le FMI, déplore-t-il. Et si cette politique devait être poursuivie, elle conduirait à une situation encore plus grave. En toute hypothèse, il n'y a rien à attendre des deux années qui viennent sauf, prévoit-il, une plus grande détérioration. Pour lui, plutôt que de quémander des prêts, alors que la Russie est en cessation de paiements. le gouvernement devrait attirer les investisseurs étrangers sur des secteurs prioritaires, en créant les conditions légales et fiscales qui font aujourd'hui défaut.

Précisément, dans un rapport rendu public durant l'été 1993, un responsable du Fonds Monétaire International, M. de Groote, en vient à critiquer ses collègues américains et leur "approche fondamentaliste" des réformes fondées sur "un modèle importé qui n'existe nulle part, pas même aux Etats Unis, le seul pays pris comme référence par ces réformateurs de l'école reaganienne". Dans ce rapport, il déplore une libération des prix "prématurée et mal conduite" et préconise la restauration d'un certain contrôle des prix dans la grande industrie et l'agriculture, ainsi qu'un ralentissement des privatisations dans les industries d'Etat et le retour à un minimum de contrôle administratif des processus économiques.

Progressivement, se dessine ainsi les traits d'une politique économique alternative

Dans l'immédiat cependant, la situation est encore aggravée par "l'autonomisme économique", favorisée par les transferts de charges et de responsabilités, initiés par le gouvernement GAIDAR et poursuivis récemment par les concessions de M. ELTSINE aux "sujets" de la fédération. Les conséquences pourraient en être dramatiques pour le pays.

C'est ainsi que beaucoup de régions imposent désormais leurs propres règles de passage à l'économie de marché et tentent de constituer leur propre espace économique, instituant des règles fiscales spécifiques concernant en particulier l'exploitation de leurs ressources naturelles et l'accueil des investisseurs étrangers. Des économistes n'hésitent pas à parler de "désintégration préférentielle" estimant que celle-ci toucherait déjà l/3 du potentiel économique russe. Certaines régions ont cessé de transférer leur quote-part au budget fédéral. C'est ainsi que durant les cinq premiers mois de 1993, pas un rouble n'a été donné au budget de l'Etat par les républiques du Bachkortostan, du Tatarstan, cependant que la république du Sakka (ex-Yakoutie) payait 1% et celle de Carélie seulement 3% des impôts fédéraux, et les cas identiques se multiplient.... C'est tout le budget fédéral qui est menacé d'effondrement par "assèchement".

Le gouvernement, apparemment incapable de garder le contrôle de la situation, a néanmoins soumis au Soviet Suprême des projets de loi visant a alourdir la pression fiscale en créant de nouvelles taxes et en augmentant celles existantes, en particulier la TVA (+4%)

La fuite en avant se poursuit donc, comme les privatisations.

Mais les dernières prévisions gouvernementales n'incitent pas à l'optimisme.

A la fin de cette année, selon le Président de la Banque Centrale, le Produit National Brut sera comme en 1992, en baisse de 18 à 20% et le taux de l'inflation de 1000% ! Le ministre des Finances, M. Boris FIODOROV, prédit pour sa part que le déficit budgétaire atteindra 22 milliards de dollars soit 14% du P.N.B.

 

 

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samedi, 21 février 2009

Ossendowski, l'ultimo avventuriero

Ossendowski, l’ultimo avventuriero

Francesco Boco

Ferdynand Ossendowski (1876-1945)

L’avventura non è cosa da minimalismo postmodernista. Il fatto che la maggioranza della produzione letteraria e cinematografica contemporanea, nonché l’educazione scolastica, eviti di addentrarsi negli inquietanti reami dell’autentica avventura, ha un che di significativo. Il grande avventuriero dei fumetti, Mister No, non viene più pubblicato, se non raramente, e in libreria le cose non vanno meglio. Solo qua e là emerge qualche perla di vita vissuta, qualche libro in cui si respirano il profumo del muschio e del vino forte, del tabacco trinciato e dei fiori al mattino, ma per il resto tutto tace. Certo, c’è chi prova ad affrontare l’argomento, chi s’impegna, ma nei libri come nei film, la vera avventura viene dal profondo, perché è una questione di sapienti, e non di dotti. Di quei folli, per dirla con Kerouac, che preferiscono bruciarsi che spegnersi lentamente.

Il viaggio avventuroso rappresenta un mito per i giovani inquieti, per coloro i quali sentano il bisogno di una ricerca fuori dagli schemi. La cultura di un Pasolini, tanto per dire, non potrebbe mai concepire il viaggio in sé come un’esperienza di vita, un’occasione di crescita e riflessione, perché il viaggio, in questa mentalità, è semplice tragitto, una questione burocratica da espletare che deve condurre ad una meta precisa.

Ma i grandi viaggiatori non sono coloro che raggiungono molte mete, sono quelli che invece visitano molti luoghi, conoscono genti e storie, si perdono, volutamente, durante il percorso, come dei viandanti in cerca della saggezza. Nietzsche fu un grande viaggiatore e un avventuriero del pensiero, altri, specie dopo di lui, furono solo principianti della vita, impauriti dall’esistenza preferirono ritirarsi nel buio del loro studiolo. Per dirla con il provocatorio Deleuze, il pensiero nietzscheano, il vero pensiero non-conformista, è il riflesso della vita, è frutto dell’esperienza, cresce e si sviluppa nella terra e nel tempo. Perciò la biografia del filosofo tedesco è così importante.

«La terra e il cielo cessavano di respirare. Il vento non soffiava più, il sole si era fermato. In un momento come quello, il lupo che si avvicina furtivo alla pecora si arresta dove si trova; il branco di antilopi spaventate si ferma di botto [...]; al pastore che sgozza un montone cade il coltello di mano [...] Tutti gli esseri viventi impauriti sono tratti involontariamente alla preghiera e attendono il fato. Così è accaduto un momento fa. Così accade sempre quando il Re del Mondo nel suo palazzo sotterra prega e scruta i destini di tutti i popoli e di tutte le razze». Così, con la straordinaria capacità evocativa che gli è propria, narra della sua ricerca della mitica Agartha sotterranea, centro spirituale che alcuni sembrano collocare a Lhasa, il celebre avventuriero Ferdinand Ossendowski (1878-1945). Il racconto si svolge in Mongolia nel 1921; il palazzo dove prega il Re del Mondo si trova nel regno di sotterra, un territorio immenso nascosto alla vista degli uomini e popolato da esseri semidivini, vero e proprio centro spirituale del pianeta. Quel regno esiste fin dalla notte dei tempi: per tutto il remoto periodo denominato dai miti “Età dell’Oro” aveva prosperato alla luce del sole con il nome di “Paradesha” (in sanscrito Paese supremo, da cui Paradiso ); poi, nel 3102 a.C, all’inizio del Kali Yuga della tradizione indù (il termine significa Età Nera e designa il periodo in cui viviamo), i suoi abitanti si erano trasferiti nel sottosuolo per evitare di essere contaminati dal male, e il nome della loro terra era stato trasformato in Agharti, “l’inaccessibile”. La sua opera più conosciuta Bestie, uomini e dèi, tuttora ristampata, viene citata da Guénon nell’introduzione al libretto dedicato precisamente alla figura esoterica del Re del mondo.

Corto Maltese. Corte Sconta detta Arcana

Corto Maltese. Corte Sconta detta Arcana

In quelle stesse pagine, Ossendowki, descrive la figura leggendaria del barone Roman Fiodorovic von Ungern Sternberg, a cui negli anni diversi hanno rivolto il loro interesse, fino alla recente pubblicazione del testo La cosacca del barone von Ungern da parte de Le librette di controra. Terrore dei bolscevichi, questo condottiero dei “bianchi” controrivoluzionari, oppose una strenua resistenza ai sovietici, guadagnandosi sul campo la fama di “sanguinario”. Il suo mito si diffuse a tal punto, che in una delle sue storie più belle, Corte Sconta detta arcana, Hugo Pratt lo rappresenterà in modo assai evocativo, e alla sua figura, negli anni immediatamente successivi alla sua morte, si ispirò ad esempio il film russo Tempeste sull’Asia.

Naturalmente le avventure dello studioso Ossendowski non si limitarono a quanto narrato nel famoso libro edito dalle Mediterranee, ma già nel 1899 viaggiò nelle steppe siberiane, tra i monti Abakani e la città di Biisk, in un percorso che ebbe sempre come sfondo il Lago Nero e la selvaggia natura siberiana. Una recente pubblicazione per Le librette di controra, Il lupo del Lago Nero, raccoglie tre racconti avventurosi dell’autore polacco, che si collocano negli anni precedenti a quanto descritto in Bestie, uomini e dèi.

Immagini vivide di tradizioni primordiali, questo riesce a trasmettere con grande efficacia l’autore. Una steppa selvaggia e battuta dal vento, in cui si incrociano i destini di piccole comunità. Con il gusto del vero avventuriero Ossendowski ci prende per mano e ci conduce in mondo di misteri e di grandi profondità. In cui a usanze precristiane si uniscono talvolta le superstizioni di fanatici santoni e in cui l’amore e la passione sono vissuti come devozione nei confronti di un signore.

La scrittura è vigorosa e asciutta, elegante nella sua efficacia, capace di tenere desto l’interesse lungo tutta la lettura, che scorre rapida e piacevole. Non mancano i colpi di scena, a completare un quadro in cui a farla da padrone è la natura selvaggia della steppa siberiana, un paesaggio che sembra vivere con i suoi abitanti, come se l’ordine degli uomini e quello della natura, in condizioni particolari, possano entrare in contatto. Ecco allora il cielo turbinare e ribellarsi alla pazzia del santo apocalittico, o ancora fare da sfondo vivido alle discussioni erotiche tra l’autore e la sua devota prima moglie. Un contatto con la natura che d’altronde si respira anche nei romanzi avventurosi di un altro grande, Knut Hamsun, autore di Pan e Fame, che scrisse: «Era in uno strano stato d’animo, invaso dalla soddisfazione, con ogni nervo teso e una musica nel sangue. Si sentiva parte della natura, del sole, delle montagne e di tutto il resto; alberi, erba e paglia gli infondevano col loro fruscio il senso del proprio Essere. L’anima gli divenne grande e sonora come un organo, non dimenticò mai più come quella dolce musica gli si infondesse nel sangue».

Jon Krakauer, Nelle terre estreme

Jon Krakauer, Nelle terre estreme

Il sublime non ha bisogno di orpelli per manifestarsi, e l’Ossendowski riesce alla perfezione a raffigurare un mondo di tradizioni e riti perduti. Ma ciò che più colpisce, è che è tutto vero.

La fortuna, per chi non voglia accontentarsi della letteratura per animi tiepidi, è che periodicamente in libreria compaiono libri davvero capaci di emozionare e sollecitare la voglia di andare scoprire il mondo. È stato così con lo straordinario Nelle terre estreme di Krakauer, da cui è stato tratto anche un film. La storia di un giovane americano che decide di lasciarsi la vecchia vita di comodità alle spalle, per vivere una vita selvaggia e rischiosa nella natura del Nord America. Anche questa è una storia vera, che non ebbe un “lieto” fine. E ancora più recente è l’uscita del libro di Ernst Jünger Visita a Godenholm che, come altre dello stesso autore, è un’avventura in gran parte immaginaria, scritta da un grande avventuriero e viaggiatore del secolo scorso, all’inquieta ricerca della vera libertà..

In occasione di un’intervista televisiva il grande Andrea G. Pinketts ha detto di preferire agli scrittori come Leopardi, chiusi nella loro torre d’avorio, quelli che scendono nelle strade, che vivono la vita autentica e vivono pericolosamente, perché lì si trovano quelle emozioni genuine capaci di strapparci all’abitudine. La vita sottocasa ci sta aspettando.


Francesco Boco

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