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samedi, 06 octobre 2012

Salafismo e CIA: destabilizzare la Federazione Russa?

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Salafismo e CIA: destabilizzare la Federazione Russa?

Parte I: la Siria arriva nel Caucaso russo
Il 28 agosto Sheikh Said Afandi, noto leader spirituale della Repubblica autonoma russa del Daghestan, veniva assassinato. Un’attentatrice suicida jihadista era riuscita ad entrare in casa sua e a far esplodere un ordigno esplosivo. L’obiettivo dell’omicidio era stato accuratamente selezionato. Sheikh Afandi, 75enne leader musulmano Sufi, aveva svolto un ruolo critico nel tentativo di giungere ad una riconciliazione in Daghestan, tra i salafiti jihadisti sunniti ed altre fazioni, molti dei quali, in Daghestan, si considerano seguaci Sufi. Senza una sostituzione della sua statura morale e del suo ampio rispetto, le autorità temono un focolaio di guerra settaria nella piccola repubblica autonoma russa. [1]


La polizia ha riferito che l’assassino era una donna di etnia russa convertitasi all’Islam e legata alla rivolta fondamentalista islamica salafita contro la Russia ed i governi regionali fedeli a Mosca, nelle repubbliche autonome e in tutta l’instabile regione musulmana del Caucaso settentrionale. Le popolazioni musulmane in questa regione della Russia e nell’ex Unione Sovietica, tra cui Uzbekistan e Kirghizistan, e nella provincia cinese dello Xinjiang, sono oggetto di varie operazioni di intelligence degli Stati Uniti e della NATO dalla fine della Guerra Fredda nel 1990. Washington vede nella manipolazione dei gruppi musulmani il veicolo per indurre un caos incontrollabile nella Russia e nell’Asia centrale. Attuato dalle stesse organizzazioni impegnate nel creare caos e distruzione in Siria contro il governo di Bashar al-Assad. In un certo senso, come i servizi di sicurezza russi hanno capito chiaramente, se non riescono a fermare l’insurrezione jihadista in Siria, essa si rivolgerà in patria attraverso il Caucaso. I recenti omicidi dei leader moderati Sufi e di altri musulmani del Caucaso, fanno apparentemente parte di ciò che sta diventando sempre più chiaro come, forse, la più pericolosa operazione di intelligence degli Stati Uniti, che sempre opera a livello mondiale con il fondamentalismo islamico. In precedenza, i servizi segreti statunitensi e alleati avevano giocato a tira e molla con le organizzazioni religiose o settarie in tale o tal altro paese. Ciò che rende la situazione particolarmente pericolosa, in particolare dopo la decisione di Washington di scatenare gli sconvolgimenti della malnominata primavera araba, che hanno avuto inizio alla fine del 2010 in Tunisia, diffondendo come un incendio in tutto il mondo islamico, dall’Afghanistan in Asia centrale al Marocco, è l’ondata incalcolabile di uccisioni, odi, distruzione di intere culture che Washington ha scatenato in nome di quel sogno sfuggente chiamato “democrazia”. Utilizzando presunti gruppi salafiti di al-Qaida, sauditi o wahhabiti, o i discepoli del movimento turco di Fethullah Gülen, per incendiare l’odio religioso nell’Islam e contro le altre fedi, che potrebbe richiedere decenni per essere estinto. E che infine potrebbe facilmente sfociare in una nuova guerra mondiale.

La minaccia del fondamentalismo in Caucaso
Dopo lo scioglimento dell’URSS, i mujahidin radicali afghani, islamisti dall’Arabia Saudita, da Turchia, Pakistan e altri paesi islamici, dilagarono nelle regioni musulmane dell’ex Unione Sovietica. Uno dei meglio organizzati di questi gruppi era il movimento di Fethullah Gülen, leader di una rete globale di scuole islamiche e che risulta avere un’influenza importante sulla politica di Erdogan, del partito AKP della Turchia. Gülen si era affrettato a creare The International Daghestan-Turkey College nel Daghestan. Durante i giorni caotici del crollo sovietico, il Ministero della Giustizia della Federazione Russa aveva ufficialmente registrato e autorizzato la libera attività di una serie di fondazioni e organizzazioni islamiche. Tra queste, la Lega del Mondo Islamico, l’Assemblea Mondiale della Gioventù Musulmana, la sospetta fondazione saudita ‘Ibrahim ben Abd al-Aziz al-Ibrahim‘, vicina ad al-Qaida. La lista nera comprendeva anche la fondazione saudita al-Haramein, che sarebbe legata ad al-Qaida, e l’IHH [2], un’organizzazione turca vietata in Germania, che avrebbero raccolto fondi per i combattenti jihadisti in Bosnia, Cecenia e Afghanistan, e accusata dall’intelligence francese di avere legami con al-Qaida. [3]

Molti di questi enti di beneficenza erano coperture dei fondamentalisti salafiti e del loro ordine del giorno speciale. Molti islamisti stranieri in Cecenia e Daghestan erano coinvolti nei disordini regionali e nelle guerre civili, quindi le autorità russe revocarono il permesso per le attività alla maggior parte delle scuole e delle istituzioni islamiche. In tutto il Caucaso del Nord, al momento della guerra Cecena alla fine degli anni ’90, vi erano più di due dozzine di istituti islamici, circa 200 madrase e numerose maktabas (scuole di studio coraniche) presenti in quasi tutte le moschee. L’International Daghestan-Turkey College era stato costretto a chiudere i battenti in Daghestan. Il Collegio era gestito dall’organizzazione di Fethullah Gülen. [4] Al culmine della repressione della diffusione dell’insegnamento salafita in Russia, alla fine degli anni ’90, ci fu un esodo di centinaia di giovani del Daghestan e di studenti musulmani Ceceni in Turchia, Arabia Saudita, Pakistan e in altri luoghi del Medio Oriente, dove avrebbero ricevuto una formazione presso il movimento di Gülen e varie organizzazioni finanziate dai sauditi, tra cui quelle salafite. [5] Si ritiene che gli studenti formati in Russia dai sostenitori di Gülen o dai centri salafiti sauditi e di altri fondamentalisti, siano stati rimandati in Daghestan e nel Caucaso del Nord per diffondere il loro radicalismo islamico. Entro il 2005 la situazione nel Caucaso era così influenzata da questo intervento salafita, che il salafita ceceno Doku Umarov, citato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU per i collegamenti con al-Qaida [6], aveva dichiarato unilateralmente la creazione di ciò che chiamava ‘Emirato del Caucaso’, annunciando che aveva intenzione di creare uno stato islamico basato sulla sharia, comprendente l’intera regione del Caucaso del Nord, tra cui il Daghestan. Modestamente si proclamò emiro dell’Emirato del Caucaso. [7]

Parte II: il salafismo in guerra con la tradizione Sufi
Il salafismo, noto in Arabia Saudita come wahhabismo, è un ceppo fondamentalista dell’Islam che ha attirato l’attenzione del mondo e divenne famoso nel marzo 2001, poco prima degli attacchi dell’11 settembre. Fu allora che il governo salafita dei taliban in Afghanistan, distrusse volontariamente le storiche gigantesche statue del Buddha di Bamiyan, sulla Via della Seta, risalenti al 6° secolo. I leader salafiti taliban vietarono come “anti-islamico” anche tutte le forme di immagini, musica e sport, tra cui la televisione, in conformità con ciò che consideravano la stretta interpretazione della Sharia. Fonti afgane riferirono che l’ordine di distruggere i Buddha proveniva dal jihadista wahhabita saudita Usama bin Ladin, che alla fine convinse il Mullah Omar, leader supremo dei taliban all’epoca, ad attuarlo. [8] Mentre i Sufi incorporano il culto dei santi e le preghiere cerimoniali nella loro pratica, i salafiti condannano come idolatria qualsiasi forma di culto non tradizionale. Chiedono inoltre l’istituzione del governo politico islamico e una sharia rigorosa. Il Sufismo è la culla del grande patrimonio spirituale e musicale dell’Islam, secondo gli studiosi islamici, fornisce una dimensione interiore e mistica, o psico-spirituale, all’Islam, che risale a secoli indietro. Uno studioso Sufi ha descritto il nucleo del Sufismo: “Mentre tutti i musulmani credono di essere sul sentiero di Dio e di avvicinarsi a Dio, in Paradiso, dopo la morte e il ‘Giudizio Universale’; i Sufi credono anche che sia possibile avvicinarsi a Dio e vivere questa vicinanza, mentre si è vivi. Inoltre, il raggiungimento della conoscenza viene ottenuta con una tale intimità con Dio, affermano i Sufi, che è il vero scopo della creazione. Qui parlano del qudsi hadith, in cui Dio afferma, ‘Ero un tesoro nascosto e ho apprezzato il fatto che io sia conosciuto, così ho creato la creazione, al fine di essere conosciuto.’ Quindi, per i Sufi c’è già uno slancio, una continua attrazione esercitata nei loro cuori da Dio, trascinando, con l’amore, verso Dio“. [9]


La corrente mistica del sufismo islamico e la sua aspirazione ad avvicinarsi a Dio, è in netto contrasto con la corrente salafita jihadista o wahhabita, che è armata con armi mortali, predica la falsa dottrina della jihad, e un senso perverso del martirio, impegnandosi in innumerevoli atti di violenza. Non c’è da stupirsi che le vittime della jihad salafita siano per lo più le altre forme pacifiche dell’Islam, tra cui soprattutto i Sufi. L’autorevole 75enne Afandi aveva pubblicamente denunciato il fondamentalismo islamico salafita. Il suo omicidio fece seguito a un attacco coordinato del 19 luglio, contro due alti mufti nella Repubblica del Tatarstan russa, sul Volga. Entrambe le vittime erano capi religiosi riconosciuti dallo Stato che avevano attaccato l’Islam radicale. Quest’ultima serie di omicidi apre un nuovo fronte nella guerra salafita contro la Russia, attacca in particolare i leader sufi musulmani moderati. Se il Daghestan sprofondi o meno in una guerra civile religiosa, che poi si diffonda in tutto il Caucaso russo geopoliticamente sensibile, non è ancora certo. Ciò che è quasi certo è che gli stessi circoli che alimentano violenza e terrore in Siria contro il regime del presidente alawita Bashar al-Assad, sono dietro l’uccisione dello sceicco Afandi, così come degli atti di terrorismo o dei disordini nel Caucaso musulmano in Russia. In modo assai reale, rappresenta uno scenario da incubo per la Russia, una “Siria che arrivi in Russia.” Dimostrando drammaticamente perché Putin ha compiuto uno sforzo così determinato nel fermare la discesa nell’inferno omicida della Siria.

Salafismo e CIA
L’esistenza del cosiddetto marchio jihadista salafita dell’Islam in Daghestan è piuttosto recente. È stato anche deliberatamente importato. Il salafismo è a volte chiamato anche col vecchio nome saudita di wahhabismo. Il wahhabismo era originariamente una forma minoritaria beduina di fede originaria dell’Islam, dominante in Arabia Saudita dal 1700. Irfan al-Alawi e Stephen Schwartz del Centro per il pluralismo islamico danno la seguente descrizione delle condizioni saudite sotto il rigido marchio wahhabita dell’Islam: “Le donne che vivono sotto il governo saudita devono indossare l’abaya, il mantello totale del corpo, e il niqab, il velo sul viso, hanno scarse opportunità di istruzione e di carriera, gli è fatto divieto di guidare veicoli, di contatti sociali con uomini che non siano parenti, e tutte le attività personali devono essere sorvegliate, anche aprire i conti bancari, da un familiare di sesso maschile o da un “custode“. Queste regole wahhabite vengono applicate dal mutawiyin, o milizia morale, conosciuta anche come “polizia religiosa”, ufficialmente designata dalla Commissione per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio (CPVPV), che pattuglia le città saudite, armata di bastoni rivestiti in pelle, liberamente utilizzata contro presunti ribelli. Compiono raid nelle case alla ricerca di alcol e droghe, e molestano i musulmani non-wahhabiti e i credenti in altre fedi“. [10] E’ ampiamente noto che l’oscenamente opulenta e la non così tanto moralmente elevata famiglia reale saudita abbia stretto un accordo faustiano con i leader wahhabiti. L’accordo, presumibilmente, rende i wahhabiti liberi di esportare il propria fanatica forma d’Islam alle popolazioni islamiche del mondo, in cambio di lasciare la famiglia reale saudita al potere. [11] Vi sono, tuttavia, altri oscuri e sporchi cucchiai che agitano lo stufato wahabita-salafita saudita.


Poco conosciuto è il fatto che l’attuale forma aggressiva di wahhabismo saudita, sia in realtà una sorta di fusione tra salafiti jihadisti importati dalla Fratellanza musulmana, in Egitto, e i fondamentalisti wahhabiti sauditi. Importanti membri salafiti della Fratellanza musulmana egiziana furono introdotti dalla CIA nel regno saudita, negli anni ’50, con una complessa serie di eventi, quando Nasser usò la mano pesante contro i Fratelli musulmani, in seguito ad un tentativo di assassinio. Negli anni ’60, l’afflusso in Arabia Saudita di membri egiziani dei Fratelli musulmani in fuga dalla repressione nasseriana, aveva occupato molte importanti cattedre nelle scuole religiose saudite. Tra gli studenti vi era un facoltoso giovane saudita, Usama bin Ladin. [12] Durante il Terzo Reich, la Germania di Hitler aveva sostenuto i Fratelli musulmani come arma contro gli inglesi in Egitto e in altre parti del Medio Oriente. Marc Erikson descrive le radici naziste della Fratellanza musulmana egiziana così: “…Mentre il fascismo italiano e tedesco cercavano una maggiore presenza in Medio Oriente negli anni ’30 e ’40, per contrastare il controllo degli inglesi e dei francesi, una stretta collaborazione tra gli agenti fascisti e leader islamici ebbe inizio. Durante la Rivolta Araba del 1936-1939, l’ammiraglio Wilhelm Canaris, capo dell’intelligence militare tedesca, aveva inviato agenti e denaro per sostenere la rivolta palestinese contro gli inglesi, così come il fondatore dei Fratelli musulmani e “guida suprema”, Hassan al-Banna. Un individuo chiave nel legame fascista-islamista tra i nazisti e al-Banna fu il Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin el-Husseini.” [13] Dopo la sconfitta della Germania, l’intelligence inglese si mosse per assumere il controllo della Fratellanza musulmana. In ultima analisi, per ragioni finanziarie e di altro tipo, gli inglesi decisero di consegnare le loro attività con i Fratelli musulmani ai loro colleghi della CIA, negli anni ’50. [14]


Secondo l’ex cacciatore di nazisti del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, John Loftus, “nel corso degli anni ’50, la CIA evacuò i nazisti dei Fratelli musulmani in Arabia Saudita. Ora, quando arrivarono in Arabia Saudita, alcuni dei protagonisti dei Fratelli musulmani, come il dottor Abdullah Azzam, divennero insegnanti nelle madrasse, le scuole religiose. E unirono le dottrine del nazismo con questo strano culto islamico, il wahhabismo”. [15] “Tutti pensano che l’Islam sia una religione fanatica, ma non lo è“, continua Loftus. “Pensano che l’Islam, la versione saudita dell’Islam, sia tipica, ma non lo è. Il culto wahhabita è stato condannato come eresia più di 60 volte dalle nazioni musulmane. Ma quando i sauditi divennero ricchi, comprarono un grande silenzio. Si tratta di un culto molto duro. Il wahhabismo è praticato solo dai taliban e dall’Arabia Saudita, per quanto sia estremo. Non ha davvero nulla a che fare con l’Islam. L’Islam è una religione molto pacifica e tollerante. Ha sempre avuto buoni rapporti con gli ebrei, nei primi mille anni della sua esistenza“.[16] Loftus ha individuato il significato di quello che oggi sta emergendo dall’ombra, consegnando l’Egitto al Presidente Morsi dei Fratelli musulmani, e il cosiddetto Consiglio nazionale siriano, in realtà dominato dai Fratelli musulmani e pubblicamente guidato dal più “politicamente corretto” o presentabile degli artisti del calibro di Bassma Kodmani. Kodmani, portavoce per gli Affari esteri del CNS, è stata due volte ospite al raduno dell’élite del Bilderberg, più recentemente a Chantilly, in Virginia, all’inizio di quest’anno. [17]


La caratteristica più bizzarra e allarmante dei cambi di regime finanziati dagli USA, avviati nel 2010, e che hanno portato alla distruzione del regime arabo laico di Hosni Mubarak in Egitto, di Muhammar Gheddafi in Libia e del regime laico del presidente Ben Ali in Tunisia, e che hanno portato alla distruzione selvaggia in tutto il Medio Oriente, in particolare negli ultimi diciotto mesi in Siria, è l’emergente modalità di presa di potere dei rappresentanti salafiti della torbida Fratellanza musulmana. Secondo fonti informate, i Fratelli musulmani, islamici sunniti finanziati dai sauditi, domina i membri del Consiglio nazionale siriano in esilio, sostenuti dalla Segretaria del Dipartimento di Stato USA, Clinton e dalla Francia di Hollande. La Fratellanza musulmana siriana è legata, non a caso, alla Fratellanza musulmana egiziana del presidente Mohammed Morsi, che di recente, alla riunione dei Paesi Non Allineati in Iran, aveva chiesto apertamente la rimozione di Assad dalla Siria, un passo logico affinché i suoi Fratelli musulmani in Siria, presenti nel Consiglio Nazionale, prendano le redini del potere. I sauditi dicono anche di aver finanziato l’ascesa al potere in Tunisia del governo islamista del partito Ennahda, [18] e sono documentati i finanziamenti della Fratellanza musulmana, che domina il Consiglio nazionale siriano contrario al presidente Bashar al-Assad. [19]

Parte III: il regno del terrore salafita di Morsi
Indicativo del vero programma attuale della Fratellanza musulmana e dei jihadisti collegati, è il fatto che una volta che avranno il potere, faranno cadere il velo della moderazione e della riconciliazione, e riveleranno le loro radici violentemente intolleranti. Questo è visibile in Egitto oggi, con il  presidente dei Fratelli musulmani Mohammed Morsi. Non vengono trasmessi dai principali media occidentali, fino ad oggi, gli allarmanti rapporti diretti delle organizzazioni missionarie cristiane in Egitto, secondo cui i Fratelli musulmani di Morsi hanno già cominciato a far cadere il velo della “moderazione e conciliazione“, mostrando i loro colore da brutali salafiti totalitari, similmente a quanto fecero in Iran le forze radicali della Sharia di Khomeini, dopo aver preso il controllo nel 1979-81.

In una lettera diffusa dalla missione Christian Aid (CAM), un missionario cristiano egiziano ha scritto che la Fratellanza musulmana di Morsi “ha annunciato che avrebbe distrutto il paese, se Morsi non avesse vinto, ma hanno anche detto che si vendicheranno di tutti coloro che hanno votato per [il suo avversario Ahmed] Shafiq, soprattutto i cristiani, in quanto sono sicuri che abbiamo votato per Shafiq. Ieri hanno cominciato uccidendo due credenti ad al- Sharqiya, a causa di ciò“, ha aggiunto il missionario, parlando in condizione di anonimato. [20] La presente relazione è stata pubblicata poche settimane dopo che la TV di Stato egiziana (sotto il controllo di Morsi) ha mostrato le immagini del spaventoso video di un convertito dall’islam al cristianesimo ucciso da musulmani. Il filmato ha mostrato un giovane costretto da uomini mascherati con un coltello alla gola. Mentre si sente un uomo cantare preghiere musulmane in arabo, che per lo più condannavano il cristianesimo, un altro che teneva il coltello alla gola del convertito cristiano cominciava a decapitarlo, lentamente, tra grida di “Allahu Akbar” (“Allah è grande”), secondo le trascrizioni. Nella lettera, il missionario egiziano aggiungeva che, “subito dopo che Morsi ha vinto, ai cristiani in Egitto è stato impedito con la forza di andare in chiesa.” Molti musulmani, la lettera affermava, “hanno cominciato a dire alle donne, in strada, che dovevano indossare l’abbigliamento islamico compreso di copricapo. Si comportano come se avessero il controllo del paese, e lo hanno, ora“. [21]

Già nel 2011 i seguaci salafiti di Morsi hanno cominciato ad attaccare e a distruggere le moschee Sufi in tutto l’Egitto. Secondo l’autorevole quotidiano al-Masry al-Youm (l’Egiziano oggi), 16 moschee storiche di Alessandria appartenenti ad ordini Sufi, sono state contrassegnati per essere distrutte dai cosiddetti “salafiti”. Alessandria dispone di 40 moschee associate ai Sufi, ed è la sede di 36 gruppi Sufi. Mezzo milione di Sufi vive in città, su un totale di quattro milioni di persone. L’aggressione contro i Sufi in Egitto, include un raid contro la moschea più illustre di Alessandria, che prende il nome, e alloggia, la tomba del 13° secolo del Sufi Al-Mursi Abul Abbas. [22] In particolare, il cosiddetto regime “democraticamente eletto” in Libia, dopo il rovesciamento nel 2011 di Muammar Gheddafi, grazie alle bombe della NATO, è stato anch’esso zelante nel distruggere le moschee e i luoghi di culto Sufi. Ad agosto di quest’anno, la Direttrice Generale dell’UNESCO, Irina Bokova, ha espresso “grave preoccupazione” per la distruzione da parte dei jihadisti, dei siti islamici Sufi a Zliten, Misurata e Tripoli, e ha invitato gli autori a “cessare immediatamente le distruzioni“. [23] In fondo, dietro le quinte, il governo libico è dominato da jihadisti e dai seguaci dei Fratelli musulmani, come in Tunisia e in Egitto. [24]


Il cocktail esplosivo di violenze insito nel permettere l’ascesa al potere degli islamisti salafiti in tutto il Medio Oriente, è abbastanza chiaro; simbolicamente la notte dell’11 settembre scorso, una folla di sostenitori arrabbiati del gruppo salafita fanatico Ansar al-Sharia, assassinava l’ambasciatore degli Stati Uniti in Libia e tre diplomatici statunitensi, bruciando il consolato statunitense a Bengasi, in segno di protesta per la pubblicazione su YouTube di un film di un regista statunitense, che mostra il profeta Maometto indulgere in affari sessuali multipli e mettere in dubbio il suo ruolo di messaggero di Dio. Ironia della sorte, l’ambasciatore degli Stati Uniti aveva avuto un ruolo chiave nel rovesciare Gheddafi aprendo la porta alla conquista salafita della Libia. Allo stesso tempo, folle inferocite di migliaia di salafiti circondavano l’ambasciata statunitense a Cairo, in segno di protesta per il film degli Stati Uniti. [25] Ansar al-Sharia (Partigiani della “legge islamica” in arabo) sarebbe una derivazione di al-Qaida e reclama una presenza  in tutto il Medio Oriente, dallo Yemen alla Tunisia, Iraq, Egitto e Libia. Ansar al-Sharia afferma di voler riprodurre il modello ristretto di sharia o legge islamica abbracciato dai taliban in Afghanistan, e dallo Stato islamico dell’Iraq, un gruppo militante ombrello che comprende al-Qaida in Iraq. Il nucleo del gruppo sono dei jihadisti che provengono da uno “stato islamico”, sia  l’Afghanistan di metà degli anni ’90, o i jihadisti in Iraq, dopo l’invasione degli USA nel 2003. [26]

La detonazione deliberata, oggi, di un nuovo ciclo di terrore fondamentalista jihadista salafita nelle regioni musulmane del Caucaso russo, ha origini squisitamente politiche, in tempo per esercitare la massima pressione interna sul governo della Russia di Vladimir Putin. Putin e il governo russo sono i sostenitori più forti ed essenziali del governo siriano di Bashar al-Assad, e per la Russia il mantenimento della sola base navale del Mediterraneo della Russia, nel porto di Tartus in Siria, è di vitale importanza strategica. Allo stesso tempo, il messaggio subdolo di Obama a Medvedev di attendere la rielezione di Obama per valutare l’intenzione degli Stati Uniti nei confronti della Russia, e il recente commento criptico di Putin, secondo cui un compromesso con il ri-eletto presidente Obama potrebbe essere possibile, ma non con un Romney presidente, [27] indicano che la tattica di Washington con Mosca del “bastone e carota” o del poliziotto buono – poliziotto cattivo, potrebbe tentare la Russia a sacrificare le principali alleanze geopolitiche, forse anche la speciale e recente stretta alleanza geopolitica con la Cina. [28] Se ciò accadesse, il mondo potrebbe assistere al “reset” nelle relazioni USA-Russia, con conseguenze catastrofiche per la pace nel mondo.

*F. William Engdahl è l’autore di Full Spectrum Dominance: la democrazia totalitaria del Nuovo Ordine Mondiale

Note
[1] Dan Peleschuk, Sheikh Murdered Over Religious Split Say Analysts, RIA Novosti, 30 Agsto 2012.

[2] Mairbek  Vatchagaev, The Kremlin’s War on Islamic Education in the North Caucasus, North Caucasus Analysis Volume: 7 Issue: 34
[3] Iason Athanasiadis, Targeted by Israeli raid: Who is the IHH?, The Christian Science Monitor, 1 Giugno 2010.
[4] Ibid.
[5] Mairbek Vatchagaev, op. cit.
[6] UN Security Council, QI.U.290.11. DOKU KHAMATOVICH UMAROV, 10 Marzo 2011. La dichiarazione delle Nazioni Unite recita: “Doku Umarov Khamatovich è stato inserito il 10 marzo 2011 ai sensi del paragrafo 2 della risoluzione 1904 (2009) come associati ad al-Qaida, Usama bin Ladin o ai taliban per “aver partecipato al finanziamento, pianificazione, facilitazione, preparazione o esecuzione di atti o attività di, in collaborazione con, nel nome di, per conto di o a sostegno, reclutamento, rifornimento, vendita o trasferimento di armi e materiale bellico” e “altri atti o attività di sostegno” al Gruppo della Jihad islamica (QE.I.119.05), al Movimento islamico dell’Uzbekistan (QE.I.10.01), al Battaglione ricognizione e sabotaggio dei Martiri ceceni Riyadus-Salikhin (RSRSBCM) (QE.R.100.03) e all’Emarat Kavkaz (QE.E.131.11).”
[7] Tom Jones, Czech NGO rejects Russian reports of link to alleged Islamist terrorists al-Qaeda, 10 Maggio 2011.
[8] The Times of India, Laden ordered Bamyan Buddha destruction, The Times of India, 28 Marzo 2006.
[9] Dr. Alan Godlas, Sufism — Sufis — Sufi Orders
[10] Irfan Al-Alawi and Stephen Schwartz, Wahhabi Internal Contradictions as Saudi Arabia Seeks Wider Gulf Leadership, Center for Islamic Pluralism, 21 Maggio 2012.
[11] Irfan Al-Alawi and Stephen Schwartz, Wahhabi Internal Contradictions as Saudi Arabia Seeks Wider Gulf Leadership, 21 Maggio 2012.
[12] Robert Duncan, Islamic Terrorisms Links to Nazi Fascism, AINA, 5 Luglio 2007.
[13] Marc Erikson, Islamism, fascism and terrorism (Part 2), AsiaTimes.Online, 8 Novembre 2002.
[14] Ibid.
[15] John Loftus, The Muslim Brotherhood, Nazis and Al-Qaeda, Jewish Community News, 11 Ottobre 2006
[16] Ibid.
[17] Charlie Skelton, The Syrian opposition: who’s doing the talking?: The media have been too passive when it comes to Syrian opposition sources, without scrutinising their backgrounds and their political connections. Time for a closer look…, London Guardian, 12 Luglio 2012.
[18] Aidan Lewis, Profile: Tunisia’s Ennahda Party, BBC News, 25 Ottobre 2011.
[19] Hassan Hassan, Syrians are torn between a despotic regime and a stagnant opposition: The Muslim Brotherhood’s perceived monopoly over the Syrian National Council has created an opposition stalemate, The Guardian, UK, 23 Agosto 2012.
[20] Stefan J. Bos, Egypt Christians Killed After Election of Morsi, Bosnewslife, 30 Giugno 2012.
[21] Ibid.
[22] Irfan Al-Alawi, Egyptian Muslim Fundamentalists Attack Sufis, Guardian Online [London], 11 Aprile 2011
[23] Yafiah Katherine Randall, UNESCO urges Libya to stop destruction of Sufi sites, 31 Agosto 2012, Sufi News and Sufism World Report.
[24] Jamie Dettmer, Libya elections: Muslim Brotherhood set to lead government, 5 Luglio 2012, The Telegraph, London.
[25] Luke Harding, Chris Stephen, US ambassador to Libya, killed in Benghazi attack: Ambassador and three other American embassy staff killed after Islamist militants fired rockets at their car, say Libyan officials, London Guardian, 12 Settembre 2012.
[26] Murad Batal al-Shishani, Profile: Ansar al-Sharia in Yemen, 8 Marzo 2012 .
[27] David M. Herszenhorn, Putin Says Missile Deal Is More Likely With Obama, The New York Times, 6 Settembre 2012. Secondo un’intervista che Putin ha dato alla TV statale di Mosca RT, riferisce Herszenhorn, “Putin ha detto di ritenere che se Obama viene rieletto a novembre, un compromesso potrebbe essere raggiunto sulla questione controversa dei piani statunitensi sul  sistema di difesa antimissile in Europa, che la Russia fortemente contrasta. D’altra parte, Putin ha detto, se il signor Romney diventa presidente, Mosca dovrà temere che il sistema missilistico che è, nonostante le assicurazioni statunitensi, diretto in realtà contro la Russia, quasi certamente diventerà una realtà. “E’ possibile trovare una soluzione al problema, se l’attuale presidente Obama viene rieletto per un secondo mandato? In teoria, sì“, ha detto Putin, secondo la trascrizione ufficiale pubblicato sul sito Web del Cremlino. “Ma questo non è solo il presidente Obama. Per quanto ne so, il suo desiderio di trovare una soluzione è abbastanza sincero“, ha proseguito Putin. “L’ho incontrato di recente a margine del vertice del G-20 a Los Cabos, in Messico, dove abbiamo avuto la possibilità di parlare. E anche se abbiamo parlato per lo più della Siria, potevo ancora fare un bilancio della mia controparte. La mia sensazione è che è un uomo molto onesto, e che vuole sinceramente fare molti cambiamenti positivi. Ma può farlo? Saranno in grado di farglielo fare?”
[28] M.K. Bhadrakumar, Calling the China-Russia split isn’t heresy, Asia Times, 5 Settembre 2012.

Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora

vendredi, 05 octobre 2012

Verso una “relazione” Russia-Pakistan in sfida a Washington

Verso una “relazione” Russia-Pakistan in sfida a Washington

Si assiste ad un nuovo inizio dei legami Pakistan-Russia con la prevista visita del presidente russo Vladimir Putin, citata dei media del Pakistan per i primi di ottobre; la prima visita di un presidente russo in Pakistan. Una cosa considerata improbabile, in passato, potrebbe presto diventare una realtà con le due parti che si battono per un nuovo inizio nei rapporti bilaterali. Anche se i media statali russi hanno messo in dubbio la visita di Putin, è ovvio che anche se la visita venisse annullata, un altro funzionario di alto livello, come il ministro degli Esteri, si recherà in visita in Pakistan.


La visita, rivolta principalmente alla conferenza quadrilaterale sull’Afghanistan di Islamabad, porterebbe anche a un faccia a faccia con il presidente del Pakistan. È stato riferito dai funzionari del ministero degli Esteri russo, che i due stati firmeranno anche un MOU (Memorandum of Understanding) multiplo per lo sviluppo e gli investimenti nei settori dell’acciaio e dell’energia del Pakistan. Il presidente Asif Ali Zardari, che ha incontrato una delegazione di alto livello russa in Pakistan, all’inizio di settembre, guidata dal ministro dello sport russo, ha espresso il suo desiderio di cooperazione con Mosca nei settori succitati. [i]
Storicamente, la Russia e il Pakistan non hanno mai goduto di prolungati fruttuosi legami. Anche dopo la nascita del Pakistan, Liaqat Ali Khan, primo ministro del Pakistan, aveva preferito visitare gli Stati Uniti, anche se fu invitato per primo dal governo sovietico. Le relazioni videro il loro culmine solo durante il governo di Zulfiqar Ali Bhutto, quando durante la sua visita, nel 1974 [ii], il governo sovietico decise di costruire l’Acciaieria del Pakistan a proprie spese, aiutandolo anche nel settore dell’energia nucleare. Poi con  il regime di Zia-ul-Haq, l’amministrazione Carter degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e il generale Zia collaborarono, con l’aiuto dei partiti di destra, per formare i mujaheddin contro i sovietici in Afghanistan [iii].


Tenendo a mente il contesto attuale della situazione politica del Pakistan, gli ultimi sviluppi hanno  la massima importanza per il paese.


Attualmente, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno aumentato la pressione sul Pakistan per strapparne il supporto alla politica di Washington di rafforzamento della propria influenza nella regione, nonostante l’apparente contraddizione con gli interessi nazionali del Pakistan. Insieme a ciò, gli Stati Uniti stanno perdendo la loro influenza nella regione a causa del crescente sentimento anti-USA. È per questo che una maggiore cooperazione a livello bilaterale e nel quadro della Shanghai Cooperation Organization (SCO), aiuterà a affrontare le questioni politiche ed economiche del Pakistan. Questo, a sua volta, offrirà nuove opportunità a Islamabad per una politica estera più indipendente e una minore dipendenza economica dagli Stati Uniti e dalle istituzioni finanziarie internazionali, apparentemente controllate dagli Stati Uniti [iv]. L’attuale politica di Washington nella guerra in Afghanistan, sembra essere volta a diminuire l’impatto di Islamabad nel paese e sul processo di pace, e a rafforzare il ruolo dell’India nella soluzione della crisi [v]. Non sorprende che i funzionari di Kabul abbiano anche mostrato un atteggiamento ostile nei confronti del Pakistan, che si riflette in regolari accuse nei confronti della dirigenza pakistana di sostenere la rete haqqani e le organizzazioni estremiste che operano in Pakistan [vi] [vii] [viii].

Con l’attuale dipendenza finanziaria e strategica, il Pakistan può agire solo come semplice spettatore contro le politiche e le pretese degli Stati Uniti. Solo aumentando la cooperazione con la Cina e la Russia nell’approccio regionale che affronti la questione afgana e garantisca la stabilità del paese, aiuterà il Pakistan a tutelare i propri interessi nazionali. E’ ovvio che i legami positivi con la Russia non solo rafforzeranno strategicamente il Pakistan, ma saranno anche una buona occasione per superare i problemi energetici del paese, stimolando anche gli scambi e la cooperazione regionali. Nel quadro della cooperazione militare, il Maresciallo dell’Aria Tahir Rafiq Butt, ha visitato Mosca ad agosto, e ha definito la sua visita uno sviluppo significativo verso una maggiore cooperazione con la Russia nel settore della difesa, in particolare nella difesa aerea. Inoltre, è stato segnalato che all’inizio di settembre il capo dell’esercito del Pakistan, Generale Ashfaq Pervez Kiyani, è stato in visita a Mosca per un incontro ad alto livello con il suo omologo russo. Questa visita potrebbe essere di enorme importanza, in quanto punta verso una svolta politica importante. Un portavoce del ministero degli Esteri di Islamabad, in condizioni di anonimato, ha detto: “Abbiamo voltato una nuova pagina nelle nostre relazioni con la Russia. Si tratta di un grande cambiamento.” [ix]
Il Pakistan è un membro attivo della comunità internazionale nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera. Tenendo conto di questo significato speciale e la pubblicità negativa raccolta dai media mondiali, anche dopo aver fatto tutti gli sforzi e sacrifici possibili, sarebbe utile ampliare la cooperazione con i paesi della SCO, in particolare Russia e Cina. Tale cooperazione può esservi anche in settori quali la prevenzione e la mitigazione dei rischi naturali e tecnologici, la gestione delle emergenze, la formazione e lo sviluppo di esperti locali – dove la Russia ha una vasta esperienza – in materia di risorse scientifiche e tecniche assieme alle risorse umane e finanziarie. L’attuale ripresa nei rapporti può essere utilizzata per sviluppare una cooperazione economica a lungo termine con la Russia.

Mosca ha espresso interesse a partecipare alla costruzione del TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India, Trans-Afghanistan Pipeline), al programma energetico CASA-1000 (Commercio ed Energia per la Regione Asia Centrale – Asia Meridionale) e all’Acciaieria del Pakistan [x]. A questo proposito, Islamabad potrebbe elaborare proposte per la partecipazione di Mosca nella realizzazione di grandi progetti infrastrutturali del paese, portando a uno sviluppo positivo delle relazioni bilaterali. Il Pakistan gode di un grande vantaggio strategico, è un ponte e corridoio per diverse regioni. Questo lo rende, anche per la Russia, un luogo attraente per materializzare la sua profondità strategica. Pertanto, gli sviluppi in corso tra Mosca e Islamabad, le visite ad alto livello e il possibile ruolo del Pakistan nella SCO, le indicazioni per una grande alleanza Sud ed Est asiatica, nella forma dello SCO e di un asse del partenariato Cina-Russia-Pakistan-Iran, possono portare a presagi positivi non solo per la regione, ma anche per il continente asiatico nel suo complesso.

Note
[i] [ii] [iii] [iv] [v] [vi] [vii] [viii] [ix] [x]

Copyright © 2012 Global Research

Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora

Dossier "Pussy Riots"

Dossier "Pussy Riots" sur

http://www.egaliteetreconciliation.fr/+-Pussy-Riot-+.html

La bourse LennonOno pour la paix décernée aux Pussy Riot

La veuve de John Lennon, Yoko Ono, doit décerner vendredi à New York sa bourse pour la paix "LennonOno" aux Pussy Riot actuellement emprisonnées en Russie, a annoncé mercredi Amnesty international. Le prix sera remis à Pyotr Verzilov, le mari de Nadia Tolokonnikova, l’une des trois jeunes femmes du groupe punk condamnées en août par la justice russe pour "hooliganisme" et "incitation à la haine (...)

 
 
par Alexandre Latsa
L’affaire Pussy Riot continue de livrer ses secrets. On sait désormais que l’oligarque en exil Boris Berezovski aurait visiblement prémédité cette opération de communication en se servant des Pussy Riot pour porter un coup médiatique au Kremlin. L’ancien bras droit de ce dernier, Alex Goldfarb aurait selon ses propres dires collecté des fonds via la fondation internationale pour les droits civils, (...)
 
 
 
 
 
 
Le parlement européen pourrait décerner le Prix Sakharov aux militantes du groupe punk russe Pussy Riot, condamnées à deux ans de prison pour hooliganisme, a fait savoir un assistant du député allemand Werner Schulz qui a proposé leur candidature. "Oui, je le confirme", a indiqué vendredi l’assistant commentant les informations selon lesquelles M. Schulz, membre du Groupe des Verts/Alliance libre (...)
 
 
 
 
L’homme d’affaires Boris Berezovski (photo ci-contre), opposant au Kremlin et exilé à Londres, serait « derrière » la prière anti-Poutine chantée par les Pussy Riot dans une cathédrale de Moscou, selon une télévision d’état russe, des allégations démenties et dénoncées mercredi par tous les intéressés. Dans une émission diffusée par la chaîne Rossia 1, un certain Alexeï Vechniak, se présentant comme (...)
 
 
 
 
Bien sûr, elle ne le dit pas comme ça, elle ne dit pas "c’est de la merde". "Une église n’est pas un lieu pour pouvoir manifester, on peut manifester autrement. Une église est un lieu de recueillement, et c’est un sacrilège de manifester comme l’ont fait les Pussy Riot", a-t-elle déclaré à la chaîne de télévision moscovite TV tsentr lors d’une visite à Moscou. Trois femmes des Pussy Riot ont été (...)
 
 
 
 
Partie 1 : Partie 2 :
 
 
 
Deux femmes tuées à coups de couteau ont été découvertes dans un appartement au Tatarstan, avec "Free Pussy Riot" écrit apparemment avec du sang sur un mur, a indiqué jeudi la police, une affaire dénoncée comme "une provocation" par un avocat du groupe Pussy Riot. Les victimes, une mère de 76 ans et sa fille de 38 ans, retrouvées mortes dans leur appartement à Kazan, la capitale du Tatarstan (Volga), (...)
 
 
 
 
par Alexandre Latsa
L’affaire Pussy Riot n’en finit pas de faire des vagues. Jamais le Main Stream Médiatique ne se sera autant déchainé contre la Russie "de Vladimir Poutine". Les qualificatifs émotionnels n’ont pas manqué, la presse française n’a pas hésité à parler de Camp lorsqu’il n’était pas affirmé que la Russie réinventait le Goulag (au choix). L’objectif est clair, tenter d’accoler une rhétorique totalitaire pour faire (...)
 
 
 
 

jeudi, 04 octobre 2012

Les Pussy Riot contre Poutine

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Les Pussy Riot contre Poutine : une action concertée de Londres jusqu’à Moscou
 
par Israël Adam Shamir

La réaction d’un certain lobby au texte de Shamir "Les Pussy Riots, mégères non apprivoisées" (
http://www.israelshamir.net/French/...
, déjà traduit en 6 langues…) ne s’est pas fait attendre : le Morning Star www.morningstaronline.co.uk ayant voulu republier l’article de Shamir sur les Pussy Riots, "mégères non apprivoisées" s’est vu vivement sommé de retirer l’article, et s’est exécuté illico. Shamir ne voit là rien d’étonnant, et il explique ce qui s’est passé.
Voici le paragraphe qui n’a pas plu du tout à certains :

Pour des discours bien plus tièdes incitant à la haine des juifs, les pays européens condamnent habituellement les contrevenants à des peines de deux à cinq années de prison, pour les primo-délinquants. Les Russes ont appliqué les lois contre l’incitation à la haine à ceux qui attaquaient la foi chrétienne, et c’est probablement là l’élément nouveau apporté par la Russie. Les Russes ont prouvé qu’ils tiennent autant au Christ que les Français à Auschwitz, et c’est cela qui a choqué les Européens, apparemment persuadés que les "lois contre la haine" ne sauraient s’appliquer que pour la protection des juifs et des gays. Les gouvernements occidentaux réclament plus de liberté pour les Russes anti-chrétiens, et la refusent aux dissidents anti-juifs chez eux.

Mais le fait que Shamir comparait l’affaire des Pussy Riots à la répression de la recherche révisionniste autour de l’Holocauste n’explique pas tout ; voici les nouveaux éléments d’information et de réflexion qu’offre Shamir :

Il s’avère que les grands soutiens des Pussy Riots et qui sont également fort hostiles à l’Église en Russie sont Viktor Shenderovich, Igor Eidman, Marat Gelman, et sont d’origine juive. Ce ne sont pas des juifs pratiquants, mais ils ont apparemment hérité leur haine de l’Eglise de leurs aïeux. Et tous, d’ailleurs, soutiennent activement l’impérialisme occidental.

Certes, il y a beaucoup de non juifs qui détestent l’Église, autant que de descendants de juifs qui se rapprochent du Christ, mais la corrélation est bel et bien établie. En effet, les marxistes juifs anglais de la tendance tribale ou cachère réagissent parce que, comme l’écrit Gilad Atzmon, "le marxisme juif est très différent du marxisme ou du socialisme en général. Tandis que le marxisme est un paradigme universel, le marxisme juif est dans le fond une utilisation éhontée de la terminologie marxiste pour défendre la cause tribale juive". Atzmon pourrait aussi ajouter qu’ils soutiennent l’empire. Ils n’attendaient que l’occasion pour faire pression sur les communistes anglais du Morning Star, et ceux-ci ont immédiatement capitulé.

Le Morning Star n’a pas reculé en découvrant que les attaques provenaient du blog Harry’s Place, le blog de gauche sioniste le plus puant d’Angleterre, profondément pro-impérialiste, vicieusement anti musulman, positionné contre l’Iran et la Syrie, violemment anti-russe, et certes anti-Shamir. Ce site m’a estampillé comme "l’antisémite négationniste collaborateur de Julian Assange, soutien de Lukaschenko et omniprésent Israel Shamir". Je devrais mettre tout ça sur ma carte de visite…

Si le Morning Star a plié le genou devant une poignée de marxistes juifs, comment pourraient-ils tenir bon face à de veritables ennemis capitalistes ? Mais je ne voudrais pas finir sur une note déterministe, en condamnant les cocos et les juifs. Quelles que soient les corrélations, les gens sont libres de penser et d’agir. Nous sommes dotés du libre arbitre, et parmi les gens scandalisés par les Pussy Riot il y avait des juifs-et-communistes, ou plus exactement des Russes de gauche de la tendance www.left.ru, les uns d’origine juive et d’autres pas, tous fermement antisionistes (ils ont même traduit et publié Israël Shahak).

Voici des extraits de l’un de leurs porte parole, Valine Zorine. Il explique fort bien la position de la gauche russe anti-impérialiste, dont on souhaiterait qu’ils aient une influence sur les anti-impérialistes de gauche comme de droite en Occident : (Voir
http://left.ru/2012/4/zorin215.phtml
)

"…Non seulement leur nom (Pussy Riot) est en anglais, mais elles parlent comme si elles traduisaient de l’anglais. Elles utilisent la langue de l’autochtone complètement américanisé, qui parle la langue du colonisateur. Mais la Russie n’est pas une colonie de l’empire anglo-américain, pas encore, disons, mais certains sont sur la bonne voie, la colonisation est un processus sur le long terme…"

Les Pussy Riots appartiennent au paradigme bourgeois de la gauche radicale, adapté aux nations colonisées. Elles plongent leurs racines au début de la Guerre froide, lorsque les US ont décidé d’utiliser l’idéologie de gauche pour combattre le communisme : féminisme, beatniks, libération sexuelle, et même le mouvement pour les droits civiques étaient sponsorisés par les agences officielles et par des intérêts privés. Ce sont les mêmes qui ont développé les études "de genre", qui ont importé de France le post structuralisme de Foucault et de Derrida, et qui les ont à l’occasion exportées dans les cultures colonisées.

Pourquoi faire ? Devine ! Quel sera le meilleur soldat pour défendre la Russie, celui qui croit en "Dieu, mon roi et ma patrie", ou bien celui qui pense que toutes ces idées-là (mais non pas bien sûr le post-modernisme et du post structuralisme) ne sont que des fantasmagories créées expressément par les autorités ? Plus simplement : qu’est-ce qu’ils devraient porter sous leurs uniformes de combat de marines russes, dans un combat corps-à-corps : - une croix, ou des sous-vêtements fashion, politiquement corrects ?

Je sais, il suffit que je pose la question pour être définitivement banni du royaume de la gauche paradisiaque. Un maître français du post-quelque chose se gausserait, et les ultra-conservateurs sarcastiques applaudiraient, malheureusement. Mais c’est une question qui permet de recadrer l’affaire des Pussy Riots dans la logique divine, car elle n’est pas de notre ressort, ni de celui de Poutine, ni même de l’Église.

Mais les maîtres du Discours décident du sens de l’affaire, et nous pouvons tout juste essayer de comprendre ce que nous constatons. Tous les journaux occidentaux l’ont mis en lumière : c’était Poutine contre le Pussy Riots ; c’est Poutine qui persécute les Pussy Riots, les Pussy Riots sont contre Poutine. Cela a été repris par les media colonisés en Russie, par presque tout ce qui compte.

Poursuivons : Qui a rendu les Pussy Riots tellement célèbres et triomphales, qui a assuré leur place dans l’histoire ? C’est Poutine, Poutine c’est notre alpha et notre oméga. Ce n’est pas moi qui le dit, c’est elles ! Elles n’ont pas demandé à la Vierge d’en finir avec la propriété privée, les maffias de la banque, les trafiquants d’êtres humains, les oligarques, les banquiers, la police, la Sixième flotte, moi ou n’importe quoi d’autre. Elles lui ont juste demandé de jarter un petit bonhomme invraisemblable appelé Poutine. Et au cas où les Pussy Riots se seraient trompées, le Département d’Etat, Mme Clinton, Madonna et Mme Merkel, et le New York Times et le Guardian ne peuvent s’être tous trompés. Ils savent tous que derrière Poutine il y a une force qui pose des limites à l’omnipotence impériale et au monopole des Maîtres-du-sens-des choses.

Sans Poutine, c’est-à-dire sans une Russie indépendante qui barre la route à l’empire occidental, personne n’aurait fait attention aux Pussy Riots, nous non plus, ni nos plus gros oligarques.

C’est déplaisant à entendre, mais sans Poutine, nous deviendrions une simple province reculée et sans importance dans l’empire, bonne pour les affaires ou pour les vacances, mais sans aucune importance politique. Une petite garnison des troupes impériales suffirait à nous contrôler. Seulement voilà, malgré tous les efforts de l’Empire, Poutine est toujours là, bien campé au Kremlin.

Quel est le secret de sa longévité politique ? Une répression cruelle ? Mais si c’était le cas, où sont les martyrs ? Le seul qui pourrait être considéré comme un prisonnier politique est l’oligarque Khodorkovsky. Le second sur la liste, Udaltsov, n’a jamais passé plus de quinze jours en détention. Le secret ne résiderait-il pas dans le soutien des masses qui refusent de voir leur pays sombrer dans l’insignifiance ?

Il y a beaucoup de bonnes raisons pour critiquer l’Église, et elle consacre la violence capitaliste. Mais si les masses en ont besoin comme du "cœur d’un monde sans cœur" pour survivre, alors… soit. Et si les masses soutiennent silencieusement Poutine, parce qu’il n’y a aucune autre force capable de résister à l’assaut de l’empire et de la nullification, eh bien c’est un bon signe aussi.

vendredi, 28 septembre 2012

C’est toujours à l’Est que se lève le monde…

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C’est toujours à l’Est que se lève le monde…

Entretien avec Gilles Arnaud

L’agence russe Itar-Tass a organisé, du 4 au 7 juillet 2012, un forum mondial rassemblant 213 médias de plus de cent pays à Moscou. Parmi les participants se trouvait une délégation de l’Agence2Presse, comprenant les trois directeurs exécutifs de la branche vidéo des Éditions d’Héligoland. À son retour de Russie, nous avons rencontré Gilles Arnaud.

Le Magazine national des Seniors : Vous avez participé au deuxième Sommet mondial des médias (W.M.S. en anglais) organisée par l’agence Itar-Tass à Moscou les 5, 6 et 7 juillet dernier. Quel était le thème de ce colloque ?

 

Gilles Arnaud : Le thème général était les « Médias globaux : défis du XXIe siècle ». En clair, les enjeux d’Internet dans l’information et la désinformation des masses, le rôle des journalistes et de l’État dans l’équilibre des pouvoirs. Les nouveaux médias comme les télévisions connectées, les réseaux sociaux… Il est évident que le métier traditionnel du journaliste a considérablement évolué avec l’urgence de l’information.

La nécessaire vérification de sources multiples peut passer à la trappe devant l’obligation du scoop

 

L.M.N.S. : Mais pourquoi est-ce une agence russe qui organise ce forum ?

 

G.A. : Sans doute parce que la Russie a été confrontée à une virulente campagne de désinformation lors de ses élections présidentielles. On a vu les médias occidentaux ne relayer que les informations et les témoignages de l’opposition, sans trop d’ailleurs se soucier de leur crédibilité. Ou assimiler le peuple russe à quelques centaines de manifestants urbains, dans un pays qui compte 140 millions d’habitants et est le plus étendu du monde. Ou trafiquer des photos pour illustrer des manifestations anti-Poutine pas assez importantes. Ou faire croire que les opposants à Vladimir Poutine ne sont qu’un seul bloc, alors que c’est un agglomérat de groupes aussi différents que des néo-nazis en allant aux L.G.T.B. (lesbiennes, gays, trans- et bisexuels). Aucun média occidental n’a informé ses lecteurs du rôle des blogueurs et des associations financées par les États-Unis dans ces manifestations de rue fort peu spontanées. Ce manque total d’objectivité et d’honnêteté a beaucoup choqué les Russes, car, qu’on le croit ou non, il y a de très nombreux médias d’opposition en Russie, et le réseau Internet est très bien développé. L’information est plus libre qu’en France.

 

L.M.N.S. : Votre délégation était importante ?

 

G.A. : L’Agence2Presse a dépêché sur place ses trois directeurs opérationnels, et nous nous étions attachés les services de trois interprètes.

 

L.M.N.S. : Quels étaient les autres médias français présents à ce sommet ?

 

G.A. : (Rires !) En fait il y avait huit Français accrédités à ce sommet : les trois directeurs de l’Agence2Presse, leurs trois interprètes… et les deux dirigeants d’Havas dont Jacques Séguéla. C’est-à-dire qu’à part une agence de presse de réinformation et un publiciste manipulateur d’opinions ayant travaillé pour Mitterrand et Sarközy, il n’y avait aucun media français. Cela reflète l’état désastreux de la presse française. À n’en pas douter, les raisons de cette absence remarquée sont d’ordre idéologique. Elle reflète bien le profond mépris affiché par la caste médiatique occidentale. Seulement, ce que cette caste n’a pas encore compris, c’est que le monde continue de tourner sans elle, et que les « petits » d’autrefois ont remplacé l’admiration certaine qu’ils portaient aux grands médias occidentaux par une méfiance et un rejet qui scelle la fin d’une hégémonie aussi prétentieuse qu’obsolète. L’intervention du Ministre des médias du Congo-Kinshasa a été, sur cette question, d’une remarquable actualité et faite dans un français qui a depuis longtemps déserté les salles de rédaction françaises!

 

L.M.N.S. : Et vous pourquoi avez-vous répondu favorablement à l’invitation d’Itar-Tass ?

 

G.A. : L’Agence2Presse est très présente aux côtés de la représentation consulaire russe en France, puisqu’elle a notamment diffusé en direct et en français l’investiture du Président Poutine le 7 mai 2012. Nous apprécions la liberté d’esprit et de ton qui caractérise les diplomates et les media russes. Nous avions assisté à un autre colloque médiatique organisée par des journalistes russes en mars dernier à Strasbourg. Nous étions là encore les seuls Français présents, et les interventions nous avaient marqué par leur franchise. La richesse des contacts noués à cette occasion nous a fait entrevoir le IIe W.M.S. comme une opportunité unique de rencontrer des confrères du monde entier.

 

L.M.N.S. : Croyez-vous qu’un tel sommet aurait pu se tenir en France ?

 

G.A. : Sur un plan purement technique, sans doute. Il n’y a pas de raisons valables pour affirmer l’inverse. Néanmoins, il est fort probable que la présence de certaines délégations aurait été mal vue ou à tout le moins déconsidérée chez nous. Pour aller plus loin, disons que la plupart des interventions des participants n’auraient pu s’exprimer de la même manière en France où un seul avis aurait prédominé. La pensée unique a encore de beaux jours devant elle. Lors du Congrès de Strasbourg, par exemple, suite à une intervention musclée de Alexandre Sevastianov (un polémiste et écrivain russe renommé), un technocrate de Bruxelles présent sur la tribune a déclaré : « Vous n’avez pas le droit de dire ça! »… Stupeur dans la salle. Mêmes ceux qui n’étaient pas d’accord avec Sevastianov ont protesté contre les propos du technocrate, en lui disant que s’il avait le droit de ne pas être d’accord, il ne pouvait interdire à quiconque de s’exprimer… Moscou a permis de laisser entendre de nombreuses réclamations contre la presse occidentale, son monopole mondial et sa supériorité souvent déplacée. Cela aurait été difficilement envisageable à Paris ou à Londres. Il n’y a plus de liberté de pensée ou de parole en Occident, c’est un fait.

 

L.M.N.S. : Avez-vous pu participer aux débats ?

 

G.A. : Nous y avions été invités par Itar-Tass, notamment pour exposer nos réalisations en matière de T.V. connectées. Nous avons pu exposer comment nous organisions techniquement et financièrement nos télés sur Internet, en illustrant nos propos avec T.V.NormanChannel, qui est un peu notre vitrine technologique. Et en fait cela a intéressé des pays comme l’Ossétie, soucieuse de développer une télévision professionnelle à moindre coût.

 

L.M.N.S. : Ne pensez-vous pas que ce genre de rencontres internationales soient plus des opérations de relations publiques d’envergure que de véritables sources de résolutions des problèmes mondiaux ?

 

G.A. : Oui et non. Il est clair que ce ne sont pas les grandes déclarations de principes prises lors de la plénière finale qui vont modifier sensiblement l’état de la presse dans le monde. Mais ce grand rendez-vous est indispensable pour prendre le pouls du « pays réel » de la presse mondiale, et de mesurer la volonté de résistance aux manipulations de masse. Il est plus facile de résister dans son coin, si l’on se sait en harmonie de pensée avec des centaines de médias dans le monde. Et il n’y a que ces « grand-messes » pour permettre ces rencontres. Non, ce colloque d’Itar-Tass est réellement de salubrité publique !

 

L.M.N.S. : Comment percevez-vous l’horizon médiatique après ces trois jours de congrès ?

 

G.A. : Il est clair qu’il existe des volontés de par le monde pour renverser l’uniformisation médiatique que l’on connaît actuellement et que tous sont demandeurs d’échanges d’informations, de reportages, et de relais à l’étranger. Dans notre volonté de créer une télévision nationale, nous sommes bien conscients qu’il nous faudra des partenaires à l’étranger. Nous ne serons pas en mesure d’envoyer des journalistes aux quatre coins du monde. Dès lors, ou l’on se contente de resservir la soupe frelatée des agences occidentales, où nous allons directement chercher l’information sur place, auprès des journaux, des télés, des agences de presse locales. Je ne sais pas pourquoi, mais je pense que même si la vérité n’est jamais toute entière du même côté, elle sera beaucoup plus proche de ces sources locales que présente dans les dépêches de l’A.F.P., de la B.B.C. ou de Reuters !

 

L.M.N.S. : Quels sont les contacts que vous avez pu nouer sur place alors ?

 

G.A. : Il y en a beaucoup et il est difficile de dresser une liste exhaustive. Disons que nous retiendrons particulièrement les échanges fructueux avec nos collègues d’Ossétie, de Roumanie, d’Indonésie et du Congo. De la même manière, nous avons pu conclure des accords de collaboration avec l’agence iranienne Mehr, et bien entendu avec Itar-Tass et la radio La Voix de la Russie.

 

L.M.N.S. : Pour vous quel a été l’événement marquant de ce sommet ?

 

G.A. : La passe d’armes entre le directeur de la B.B.C. qui demandait fort hypocritement une totale liberté de la presse dans les pays de l’« Axe du Mal » (Russie, Iran, Syrie, Venezuela, etc.) et la délégation iranienne en session plénière. Le responsable de l’agence Mehr a rappelé à cette occasion que le seul pays qui avait qualifié ses propres ressortissants de pillards lors de manifestations sociales en août 2011 tout en interdisant l’accès des quartiers à la presse, en censurant les réseaux sociaux, en désactivant les téléphones portables, était justement… le Royaume-Uni.

 

L.M.N.S. : Était-ce votre premier voyage en Russie ?

 

G.A. : C’était le deuxième en réalité pour l’Agence2Presse. Nous nous étions déjà rendus à Moscou en octobre 2011. C’est donc une ville que nous connaissions un peu, puisque nous y séjournons à chaque fois plusieurs semaines, et que nous avons retrouvée avec plaisir. Nous allons d’ailleurs y retourner tous les mois, dans le cadre d’une coopération avec Voix de la Russie. Et nous allons probablement aider le plus grand groupe universitaire privée de Russie à se doter d’une télévision interne en connexion avec ses différentes facultés, réparties sur onze oblasts (régions). C’est un beau projet, qui nous demandera sans doute de rester sur place quelques mois.

 

L.M.N.S. : Est-ce que la Russie que vous avez pu voir correspond à l’image qui est véhiculée dans la plupart des médias ?

 

G.A. : Nous n’avons peut-être pas encore une connaissance suffisante de la Russie pour nous permettre de donner un avis définitif, mais il est certain que la plupart des clichés que nous connaissons tous, à savoir une corruption endémique, un autoritarisme contraire à la démocratie, une opposition muselée, et bien d’autres, sont en grande partie faux. Nous avons au contraire pu prendre acte du fait que la presse et la liberté des médias en général était extrêmement dynamique, et ne semblait pas souffrir d’une quelconque censure. Lors de notre séjour, il y a eu d’importantes inondations dans le sud du pays, et les débats sur les causes de la catastrophe ont été lancés immédiatement et sans volonté de nier les éventuelles responsabilités humaines et étatiques. De plus, on sait sur un tout autre aspect que d’importantes mesures ont été prises et appliquées pour lutter contre la corruption quotidienne de certains agents de l’État qui avaient acquis de mauvaises habitudes. Personnellement, nous n’avons pas eu à subir d’éventuelles tracasseries administratives que d’aucuns colportent en affirmant qu’il s’agit d’une constante pour tout étranger venant en Russie.

 

L.M.N.S. : Avez-vous un regret ?

 

G.A. : Sur le congrès en lui-même et son organisation, aucun. Il faut vraiment saluer la réussite d’Itar-Tass et des bénévoles de l’Université de journalisme de Moscou qui ont rempli leur mission avec brio et disponibilité. Après, on éprouve toujours une certaine tristesse lorsque que de tels événements prennent fin, et qu’il faut rentrer au pays.

 

L.M.N.S. : Vous ne voulez plus travailler en France ?

 

G.A. : Si, bien sûr ! Nous avons toujours la volonté de créer cette télé nationale, qui serait la source de réinformation permettant à toutes les structures de notre famille de pensées de s’exprimer et de donner à leur combat une audience jamais atteinte jusqu’à présent. Mais nous sommes sans cesse confronter à la division et aux manques de financement. Nous supportons seuls le développement de ce pôle multimédia depuis quatre ans, sans aucune aide financière. C’est très lourd. Nous utilisons de la haute technologie, et devons suivre une veille technologique permanente. Il est vrai que travailler en Russie est plus facile. Quand la décision est prise, une fois le projet étudié et les relations humaines nouées, les fonds sont mis à disposition. On peut se consacrer à la mission, sans perdre son temps en ronds de jambe ou en mendiant la tranche suivante du financement.

 

L.M.N.S. : Vous conseillerez à nos lecteurs d’aller en Russie ?

 

G.A. : Bien sûr ! Moscou est la plus grande ville d’Europe, c’est la destination idéale d’un week-end. Personne ne peut oublier ses premiers pas sur la Place rouge ! Même ses stations de métro sont des musées. Le renouveau spirituel qui a accompagné les présidences Poutine est palpable dans tous ses monuments. Et puis il y a Saint-Pétersbourg, et toutes ces petites villes qui sont des joyaux d’architecture et d’histoire, comme Novgorod ou Voronej. Pour les plus sportifs, il y a aussi toutes les étendues de la Sibérie, ou la Carélie. Quand on est à Moscou, il ne faut pas oublier que la Russie s’étend encore 7000 km plus loin, à l’Est, vers Vladivostok. Il n’y aucune doute sur le fait que notre soleil se lève à l’Est et que nous n’en sommes qu’au réveil de ce géant.

 

Propos recueillis par Franck Le Dun.

 

Entretien d’abord paru dans Le Magazine national des Seniors, n° 16, juillet 2012, et mis en ligne sur le site d’Agence2Presse, le 24 juillet 2012.


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jeudi, 27 septembre 2012

Het Russisch-Tsjetsjeens conflict en de internationale factoren

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Peter LOGGHE:
Het Russisch-Tsjetsjeens conflict en de internationale factoren
 
Ex: Nieuwsbrief Deltastichting nr 63 - September 2012
 
Waarom houdt Rusland zo hardnekkig vast aan het binnen de Russische grenzen houden van Tsjetsjenië?

Waarom, als men weet dat de bevolking van Tsjetsjenië met moeite die van het Brussels Hoofdstedelijk Gewest overtreft? En wat hebben de VS en islamisten aan gemeenschappelijke belangen in datzelfde Tsjetsjenië?

Even Tsjetsjenië situeren, want buiten het feit dat hier tussen 1994-1995 en 1999-2000 twee bloedige oorlogen tussen Rusland en Tsjetsjenië werden uitgevochten, is in Europa weinig over dit gebied gekend. Een blik op de geografische ligging en op de geschiedenis zal ons echter al een ruim inzicht in dit conflict verschaffen.

2002562315_1.jpgTsjetsjenië ligt in het noordelijke gedeelte van de Kaukasus, op de grens dus van de oude USSR en van het voormalige Russische rijk. Geprangd tussen Rusland en Turkije leven verschillende Kaukasische volkeren, waarvan sommigen een Indo-Europese taal spreken, en andere dan weer niet. Kalmoekië, Dagestan, Ossetië, Balkarië. En Tsjetsjenië. Aan de grens van Georgië, dat sinds de verkiezing van Saakashvili tot het westerse kamp behoort. In Tsjetsjenië vindt men belangrijke grond- en energiestoffen terug: petroleum, gas, enzovoort.
  
Er bestaat geen volk ter wereld dat zo aan de vrijheid vasthoudt als de Tsjetsjenen, zo blijkt uit de geschiedenis. Ze drinken vrijheid zoals ze moedermelk drinken, liet een Franse auteur zich ooit eens ontvallen.  Ook de Romein Pompeius moest dat (in 66 voor onze jaarrekening) tot zijn scha en schande ervaren. Keizer Justinianus probeerde – tevergeefs – het christendom in dit gebied in te voeren. Soefistische strekkingen binnen de soennitische islam – een eerder gematigde vorm dus – konden het gebied Tsjetsjenië wel islamiseren.

Vanaf de 16de eeuw begint de ‘Russische tijdperk’. Kleine groepen kozakken versmelten er met Kaukasische volkeren. In 1783 nemen de Russen het ganse Noord-Kaukasisch gebied onder controle en beginnen ze aan de bouw van vestingen onder andere in Tsjetsjenië (waarvan Grozny, in het Russisch “Verschrikkelijk”). De Tsjetsjenen laten dit niet zomaar gebeuren, en verschillende legendarische aanvoerders als sjeik Mansoer, Taimiev en vooral Sjamil trekken volksopstanden op gang.  Met de overgave van Sjamil in 1859 werd de russificatie pas echt een feit. Russische kolonisten bezetten voortaan de vruchtbare vlakten.

Net als zovele volkeren tijdens de Sovjettijd kregen ook de Tsjetsjenen een voorzichtig begin van autonomie in 1922, maar enkele jaren later was ook dat voorbij. Onder Stalin ging het helemaal fout en werden de landbouwgronden gedwongen gecollectiviseerd, wat tot de collaboratie met Duitsland leidde van een belangrijk deel van de bevolking. Begin 1944 werden ongeveer 500.000 Tsjetsjenen en andere Kaukasische volkeren gedeporteerd, en hieraan zou pas een einde komen in 1957. Tot in de jaren 90 van de vorige eeuw waren de Russen goed voor 30% van de bevolking in Tsjetsjenië.

Tsjetsjenië verklaarde zich op 2 november 1991, een maand voor de opheffing van de USSR, onafhankelijk en deze onafhankelijkheid werd in eerste instantie alleen erkend door de talibanstaat Afghanistan – niet toevallig zoals we zullen zien. Tsjetsjeense milities zouden zich in deze periode ernstig misdragen hebben en verschillende tienduizenden niet-Tsjetsjenen verlieten het land.  Islamitische bewegingen uit Jordanië, Saoedi-Arabië, Afghanistan en andere landen vonden de weg naar Grozny, de toon in Moskou werd ook harder. De sharia zou uiteindelijk in 1999 worden ingevoerd, maar dan in combinatie met het oud-Tsjetsjeens gewoonterecht.

De twee oorlogen tussen Rusland en Tsjetsjenië zorgden voor een verdieping van de kloof tussen de beide landen, met wreedheden langs beide kanten. Tot diep in Rusland werden Tsjetsjeense aanslagen gepleegd, en beelden van onthoofdingen door Tsjetsjeense strijders gingen de wereld rond.

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Nochtans zou het verkeerd zijn, aldus Maria Rechova in haar doctoraatsthesis, om de oorzaak van dit zéér gewelddadig conflict, de oorzaak van de niets ontziende wreedheden en het radicalisme waarmee de strijd wordt gevoerd, terug te brengen tot de invloed van het wahhabitische islamfundamentalisme. Er is meer aan de hand. Tsjetsjenen zijn nu eenmaal zeer radicaal in hun verwerping van alles wat Russisch is. Dit leidde tot een spiraal van geweld waarin ook criminele elementen hun rol speelden.  Het is met andere woorden niet te vergelijken met de Iraakse opstand of de Afghaanse oorlogen, het is een typisch Kaukasisch conflict. Reeds van in het begin van het gewapend conflict in 1994 bijvoorbeeld was duidelijk dat zich rond de onafhankelijkheidsstrijd een crimineel net aan het ontwikkelen was, dat miljarden zwarte dollars heeft witgewassen. Tsjetsjenië groeide uit tot een draaischijf van de internationale wapenhandel, en ook de heroïneproductie draaide er op volle toeren. Al gebiedt de waarheid wel te zeggen dat de radicaal-islamitische Al Qaida-inbreng niet heeft gezorgd voor het meer aanvaardbaar maken van een verregaande vorm van autonomie.

Rusland heeft dus gereageerd, op een zeer harde manier. Maar bleven haar veel andere opties over? Een van de redenen van het belangenconflict is natuurlijk van internationale aard. En dan heb ik het niet zozeer over de controle over de energiebronnen op het grondgebied – al speelt dat ook mee – maar vooral over de controle over de energieleidingen. De oliepijpleidingen met name die in het geopolitiek belangrijke gebied passeren (Georgië, Armenië en de Noord-Kaukasus), en de gaspijpleidingen. Rusland doet er dus alles aan om haar belangen in dit gebied te consolideren, te behouden en zo mogelijk uit te breiden. Voor de VS en haar bondgenoten biedt het Tsjetsjeens conflict de uitgelezen gelegenheid om Rusland te destabiliseren en latente oude conflicten in de Kaukasus aan te wakkeren.

Rusland werd door verschillende internationale instanties gepakt op haar zwakke kant: die van de mensenrechten met name en de vele inbreuken die op Tsjetjeens grondgebied werden gemeld.  Het Kremlin heeft daarom onlangs gekozen om het conflict met de separatisten te “tsjetsjeniseren”. De Tsjetsjeens regering (al dan niet een marionettenregering, dat laat ik even in het midden) kreeg de controle over het grondgebied terug, de controle over de strijdkrachten, en de controle over de economie. Al blijft er wel steeds een ‘oeil de Moscou’ in de buurt natuurlijk.

Zo is een conflict dat in eerste instantie een beperkte regionale impact had, uitgegroeid tot een internationaal geopolitiek conflict.


Peter Logghe

mardi, 25 septembre 2012

Global Blitzkrieg: West's Terror Battalions Eye Russia Next

Global Blitzkrieg: West's Terror Battalions Eye Russia Next

 
Reuters lays groundwork for Western support of Al Qaeda terrorists in Russia's Caucasus region.
by Tony Cartalucci 

August 31, 2012 - With the US openly supporting, arming, and literally "cheering" for Al Qaeda in Syria, it should be no surprise that their support for Al Qaeda's other operations is now slowly revealing itself. For decades, brutal terrorist campaigns have been carried out in Russia by Al Qaeda's Caucasus Mountains faction, constituting the backbone of the so-called "Chechen rebels."



Image: Must be seen to believe - screenshot of FP's article literally titled, "Two Cheers for Syrian Islamists." The writer, Gary Gambill, comes from the Middle East Forum which regular features the warmongering rants of Neo-Cons like Daniel Pipes and Islamophobia-propagandist Robert Spencer. With the West now embracing "Islamists" (Al Qaeda), it has now begun selling the terrorists' cause in Russia's Caucasus region.  

....

While there was a time the US feigned solidarity with the Russian government as it fought listed Al Qaeda affiliates carrying out attacks across the Caucasus Mountains in Russia's southern region, as well as attacks across the country including in Moscow itself, research reveals that the United States has been covertly backing these terrorists all along. Just as the US created, funded, armed, and directed Al Qaeda in the mountains of Afghanistan during the 1980's, they are to this day funding, arming, and directing Al Qaeda from Libya, to Syria, and in Russia.

US is Attempting to Undermine and Overrun the Russian Political Order

The US State Department has been recently exposed interfering heavily in Russian politics. From funding so-called "independent" election monitor GOLOS, who sought to write off recent elections as "stolen," to street protests led by US-funded opposition members who have been caught literally filing into the US embassy in Moscow, the US is clearly attempting to undermine and overrun the current political order in Russia. The recent "Pussy Riot" publicity stunt has also been arranged by US-funded opposition as well as fully leveraged by these organizations, their foreign sponsors, and the Western media.

While these so-called "soft-power" options are running their course, a more sinister plot is being prepared - one involving the resurgence of terrorism in Russia's Caucasus region, and sure to spill over into the rest of Russia. It is now revealed that many of the propaganda fronts acting as clearinghouses for the Chechen militants were in fact US subsidized.

Corporate Media Laying Groundwork for Renewed Terrorism

Just like in Syria, where foreign terrorists are fallaciously portrayed as indigenous, justified "pro-democracy" "freedom fighters," a similar narrative is being spun to whitewash terrorists operating in Russia's Caucasus Mountains. In Reuters' recent report, "Insight: Brutality, anger fuel jihad in Russia's Caucasus," readers are barraged by outright lies regarding the genesis and underlying cause of violence in the region.

Reading like a US State Department press release, we are told that Chechens are "sick of official corruption" and want change "like that seen in last year's Egyptian revolution." Reuters fails to acknowledge that "last year's revolution" has sprung this year's Muslim Brotherhood tyranny, already curbing civil liberties and muzzling criticism in the press at home, while supporting Wall Street and London adventures abroad

Like in Syria, where we are constantly reassured that the revolution "mostly" rejects the sectarian extremism that is demonstrably charging the violence, Reuters attempts to claim that while the violence in Russia seems "religious," most people reject the "Shairia law" that will inevitably be imposed by Al Qaeda. 

Likewise, we are introduced to Doku Umarov, who Reuters claims "leads an underground movement to create an Emirate across the Caucasus region." Reuters fails to mention that Umarov is listed by the United Nations as an associate of Al Qaeda. According to the UN:

Doku Umarov was directly involved in organizing a number of major terrorist acts: the capture of residential areas of the Vedenski and Urus-Martanovski districts of the Chechen Republic the Russian Federation (August 2002); the kidnapping of staff from the Office of the Public Prosecutor of the Chechen Republic (December 2002); and the bombings of the building housing the Department of the Russian Federal Security Service for the Republic of Ingushetia, in the city of Magas, and of two railway trains in Kislovodsk (September 2003). He was one of the main organizers of the raid on Ingushetia by militants on 22 June 2004, the sortie into Grozny on 21 August 2004, the hostage-taking in Beslan of 1-3 September 2004 and the terrorist attacks in Moscow metro stations on 29 March 2010.
Umarov, and the terrorists under his command, leading the so called "Jihad" Reuters is attempting to whitewash and spin, are unequivocally terrorists associated with Al Qaeda, and in no way "freedom fighters" - their cause and methods by no means justified in any manner.

Image: "Russia's Bin Laden," Doku Umarov led terrorist death squads in Chechnya during the 1990's up until 2011 when the UN finally listed him as an Al Qaeda-affiliated terrorists. At one point, Umarov even declared himself "Emir of the Russian North Caucasus." His propaganda clearinghouse, the Kavkaz Center, was funded by the US State Department, as well as several supporting fronts including the National Endowment for Democracy-funded Russian-Chechen Friendship Society. The former currently supports US efforts to overthrow the Syrian government. The latter organization is currently backing the US State Department's recent PR ploy, "Pussy Riot." 
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Reuters does concede that Chechnya's Muslim faith has been transformed from traditional practices to Saudi-perverted teaching spread from madrases both abroad and now springing up across the Caucasus Mountains over the last 20 years. Coincidentally, Saudi Arabia had created as a joint effort with the US, Al Qaeda over the past 30 years. It is young men passing through these madrases, teaching this perverted revision of Islam, that keep the ranks topped off of the West's foreign legion, Al Qaeda.  

Reuters claims efforts by former-Russian President Dmitry Medvedev to rebuild the region and relax measures put in place to rein in sectarian extremism were widely praised. The recent violence flaring up in the Caucasus region is explained by Reuters as the result of Vladimir Putin returning to the Russian presidency - and more specifically the result of Chechen President Ramzan Kadyrov "crushing all dissent." However, this sophomoric excuse ignores the fact that Kadyrov was actually president throughout Medvedev's "progressive" term in office, and assumes that readers are simplistic enough to believe President Putin's 4 months in office is long enough to so drastically upturn Chechnya's political landscape, that it would spur people to already take up arms and suicide-bombing belts.

Reuters attempts to sell the idea that armed militants are rising up against the government, and the idea it attempts to leave readers with is that people are turning to terrorism for a lack of a better alternative. Paradoxically, Reuters writes in the same report that these terrorists are also targeting indigenous Muslim sects, because, Reuters claims, they are "state-backed." In reality, this Al Qaeda led militancy is attempting to carve out the entire Caucasus region by either indoctrinating or killing off the local inhabitants - which is in essence a form of US-Saudi-backed imperialism on par with anything the rebels accuse Russia of.

The Joining US State Department-funded Opposition with US-Saudi-armed Terrorists

In reality, the West is opposed to President Putin's return to office. The West is also opposed to providing him with the stability to advance Russia socially, economically, and geopolitically outside the Wall Street-London consensus. Therefore, it has been determined that foreign-armed and directed mercenary militancy, a much more realistic explanation for the sudden surge in violence, will be used to ensure President Putin rules over a destabilized nation instead.

The tool of choice, as it has been since the 1980's in Afghanistan, are US-Saudi-funded terrorists indoctrinated with sectarian extremism, armed to the teeth, and unleashed to spread regression and destruction against all targets of Western foreign policy.

While US-backed opposition groups attempt to lay the groundwork for demonizing President Putin and the current Russian political order in Moscow, Washington is working diligently to raise a militant threat that can throw off balance Russia's superior security apparatus in a very similar fashion prescribed by US policy makers in Brookings Institution's "Which Path to Persia?" report in regards to Iran.

Providing Russia with a sizable militant threat inside its borders also blunts Russia's ability to thwart the West's hegemonic campaigns elsewhere - such as in Syria, against Iran, and throughout Central Asia. Ideally, linking the militancy to US-backed protesters in Moscow, and portraying it as a singular "political uprising" as it has done in Syria is the ultimate goal, opening the door for wider covert operations to be carried out across the entire country, as well as justification for sanctions and other punitive measures to be taken.

The trick left to professional propagandists like Reuters, CNN, BBC, and others, is to somehow mesh the US State Department's stable of proxies in Moscow with the militancy in Chechnya. By adopting the same language and alleged causes of  fighting "corruption" and  "oppression," already the media is attempting to entwine both movements, even though the two are in no way related aside from their foreign backing.

Clearing a Path for the Hordes: From Libya to the Caucasus Mountains.

The creation of a united front against Iran was the immediate goal of the Arab Spring. It has left the Arab World in disarray and has outright toppled nationalist governments, replacing them with pliable Western proxies. Tunisia, Libya, and Egypt are run by direct proxies of US foreign policy, while Syria, Lebanon, and Iran are left fighting foreign terrorists fueled by emerging sectarian extremist governments across the region.


Image: AQIM from northern Mali, LIFG from Libya, Muslim Brotherhood from Egypt, and with support from Saudi Arabia, Israel, Qatar, Turkey, and others - all are converging on Syria (in black), and then Iran. Should Syria or Iran, or both fall to Western-backed terrorist brigades, and if the West manages to use Kurds across Turkey and northern Iraq to create a conduit (in red), a path will be cleared into Russia's restive Caucasus Mountains and onto Moscow itself.  Nations standing in the way of this horde, including Turkey and Georgia, risk being carved up or drawn into protracted, costly conflict. Other nations at grave risk from Western-backed terrorism include Algeria, Pakistan, and China.
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Libya has become a safe-haven for Al Qaeda, a nation-sized terrorist encampment funneling NATO weapons, cash, and trained fighters to the borders of the West's enemies. Syria is facing what is essentially a military invasion led by Libyan terrorists, facilitated by NATO, specifically Turkey, and the Gulf Cooperation Council (GCC), specifically Saudi Arabia and Qatar.

Should Syria or Iran, or both collapse, and the West succeeds in carving out a Kurdish region controlled by militants armed and loyal to its cause, militants from across the Arab World can be trained from Mali and Libya, to Syria and Kurdistan, with weapons and supplies from everywhere in between being directed together, up through the Caucasus Mountains and into Russia.

Turkey of course would be the big loser, being carved up and added as part of Kurdistan to form part of the conduit - a gambit current Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdoğan is both aware of and maliciously indifferent to - to the perceived benefit of his own advancement within the Wall Street-London elite, and to the collective detriment of Turkey and its foreseeable future.  

While it seems unfathomable that such a gambit can be conceived let alone executed, it should be remembered that the Arab Spring and the subsequent violent subversion of Syria was planned as far back as 2007-2008, with the indirect consequence of undermining Iran as the ultimate objective. That this itself is part of a grander strategy originating from machinations hatched as far back as 1991, orchestrated by US policy makers who compare geopolitics and the world map to a "Grand Chessboard," is fairly easy to comprehend.

There is no better way to control the vast resources, geography, and populations of Eurasia and beyond than granting everything from North Africa, the Middle East, and Eurasia to ignorant, indoctrinated, medieval zealots led by duplicitous co-conspirators who will wheel-and-deal with the corporate-financiers of the West while keeping their own populations in fear and darkness - simultaneously, perpetuating Al Qaeda throughout the developing world allows the West to impose draconian repressive measures at home, stifling true political and economic independence and self-determination across their own populations.

The result is global hegemony uncontested both at home and abroad, with a world population subjected to the machinations and whims of a scientific dictatorship rooted in Hilterian eugenics and Malthusian ideology.
 

dimanche, 23 septembre 2012

Les Révolutions non-violentes: sont-elles instrumentalisées par les Etats-Unis?

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Les Révolutions non-violentes: sont-elles instrumentalisées par les Etats-Unis?

par Albert A. Stahel, Institut d’Etudes stratégiques, www.strategische-studien.com

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch/

Le 10 octobre 1998, l’organisation OTPOR (la résistance) a été crée dans l’ancienne République fédérale de Yougoslavie.1 Beaucoup de ses membres étaient des étudiants et membres de la nomenclature de la République fédérale de Yougoslavie. Les membres d’OTPOR ont analysé les points faibles du régime de Slobodan Milosevic et ont établi un plan stratégique à l’aide duquel ils voulaient renverser le régime. Au début, l’agitation d’OTPOR se limitait à l’Université de Belgrade. Pendant la guerre aérienne de l’OTAN «Allied Force», il n’y avait pas d’activités d’OTPOR. Début 2000, les activités contre le régime ont recommencé. Pendant les élections du mois de septembre 2000 en Yougoslavie, l’opinion contre Milosevic a été attisée par des slogans tels que «Gotov Je» (il est fini) ou «Vreme Je» (il est temps).2 Le 5 octobre 2000, Milosevic a été renversé. Pendant cette année, OPTOR a mis en action tous les moyens tactiques d’agitation politique. Milosevic a été ridiculisé, des barrages routiers ont été montés, des boycotts proclamés, l’adversaire a été dérouté par de fausses informations et des bâtiments publics ont été occupés. La communication entre les différents groupes s’effectuait à l’aide d’Internet.


Plus tard, il a été révélé que, pour définir leur stratégie, les membres d’OTPOR s’étaient appuyés sur un livre écrit par Gene Sharp,3 un pacifiste américain ayant fait des études en sciences politiques. Si l’on examine attentivement cet ouvrage, on s’attend d’abord à un manuel sur la pratique révolutionnaire, mais il s’agit plutôt d’un traité théorique de la pensée stratégique. Seule l’annexe, avec une liste des méthodes d’actions non-violentes, contient des instructions concrètes concernant les activités à entreprendre contre une dictature.4 Concernant ces méthodes, Sharp se réfère à son ouvrage de l’année 1973. Le glossaire est également très intéressant, particulièrement en ce qui concerne le jiu-jitsu politique.5 A l’aide de ce jiu-jitsu, il est possible de continuellement répondre à la répression violente de la dictature par une résistance non-violente au lieu de contre-violence. L’appareil répressif est discrédité à l’aide de médias internationaux.


A l’aide des notes bibliographiques de Gene Sharp, on découvre qui est le véritable pionnier de la stratégie moderne de la résistance non-violente, à savoir le Britannique Adam Roberts. Il a promu au cours des années soixante-dix du siècle dernier, en raison de la résistance non-violente des citoyens de la Tchécoslovaquie contre l’occupation de leur pays par les divisions du Pacte de Varsovie en 1968, la résistance non-violente comme la seule réponse efficace à l’occupation d’un pays par une puissance étrangère.6 Déjà à cette époque, Roberts a décrit dans ses opuscules la tactique de la résistance non-violente dont Sharp a parlé beaucoup plus tard. Il s’agit notamment des «Methods of Persuasion, of Non-Cooperation and of Intervention».7 Les premières directives concrètes pour l’agitation tactique contre une dictature ont cependant été décrites par l’ami et collaborateur de Karl Marx, Friedrich Engels dans son essai «L’insurrection»: «L’insurrection est un calcul avec des variables très incertaines dont l’importance peut changer de jour en jour …».8


Après la chute de Milosevic, la question s’est posée, de savoir qui avait financé OTPOR et l’agitation coûteuse. En novembre 2000, dans un article paru dans le New York Times Magazine, le journaliste Roger Cohen a donné des informations concernant les financiers d’OTPOR. Selon Cohen, OTPOR a apparemment obtenu de l’argent de la National Endowment for Democracy (NED), de l’International Republican Institute (IRI) et de l’US Agency for International Development (USAID). Alors que la NED et IRI étaient proches de l’administration Clinton de ce temps-là, USAID fait aujourd’hui encore partie de l’administration fédérale des Etats-Unis. Déjà en septembre/octobre 1989 (donc avant le lancement des attaques aériennes Allied Force), Paul B. McCarthy du NED aurait rencontré l’équipe dirigeante d’OTPOR dans la capitale de Monténégro, Podgorica et en Hongrie, à Szeged et Budapest.9


L’équipe dirigeante d’OTPOR (Srdja Popovic et Ivan Marovic entre autres) a tenté, après la chute de Milosevic, de transformer l’organisation en un parti politique. Suite au petit nombre de voix qu’OTPOR a obtenu lors des élections législatives de 2003, le coup n’a pas réussi.10 Mais les activistes d’OTPOR auraient aussi été financés de l’étranger par la suite. Ainsi, Popovic a obtenu un engagement comme Visiting Scholar au Harriman Institut de la Columbia University. Ces pensées idéologiques ont continué de gagner du terrain. Des écrits sur la mise en œuvre d’une révolution à la mode OTPOR ont été rédigés. En outre, on a publié le film «How to Start a Revolution» avec Popovic comme un des acteurs.11 On prétend que les manifestations et révolutions suivantes ont été organisées selon le modèle OTPOR:12
–    Kmara en Géorgie a été partiellement responsable de la chute du président Eduard Schewardnaze,
–    Pora (partie de la Révolution orange) avec des manifestations en Ukraine,
–    Zbur en Biélorussie, avec des manifestations contre le président Alexander Lukaschenko,
–    Oborona en Russie, avec des manifestations contre le président Vladimir Poutine,
–    KelKel au Kirghizistan, a participé au renversement du président Askar Akayev,
–    Bolga en Ouzbékistan, avec des manifestations contre le président Islam Karimov.
Il est tout à fait possible qu’un certain nombre de ces manifestations et insurrections ont également été financées par les organisations américaines susmentionnées.13
Dans la foulée de la répression d’une grève d’ouvriers du 6 avril 2008, un mouvement de jeunes, dénommé le 6 avril a été créé en 2008 en Egypte. Les partisans de ce groupe ont été conseillés par des militants d’OTPOR à Belgrade et ils ont repris le logo d’OTPOR.14 Conformément aux instructions et conseils reçus, on a organisé en 2011 la révolution égyptienne et occupé la place Tahrir. Il n’est pas impensable que la première phase des révoltes en Tunisie, en Libye et en Syrie aie aussi été planifiée selon la tactique d’OTPOR.
Jusqu’à présent, les révolutions réussies n’ont pas seulement abouti au renversement du pouvoir sur place. Suite aux putschs et aux révolutions tunisiennes et libyennes, les structures étatiques et les administrations se sont également effondrées. Ainsi, ces deux pays sont actuellement presque acéphales et désorientés et leur état correspond à celui des «Etats en déliquescence». Mais, de tels Etats ne sont plus en mesure de faire face aux influences de pays tiers. Compte tenu du financement ainsi que des références répétées concernant le «maître à penser» Gene Sharp, il est imaginable que les Etats-Unis ont instrumentalisé certaines manifestations et révoltes pour leurs objectifs.     •
(Traduction Horizons et débats)

1    OTPOR! (2012). Wikipedia. en.wikipedia.org/wiki/Otpor! p. 2, 15/8/12
2    OTPOR! (2012). Wikipedia; p. 5
3    Sharp, G. (1993). From Dictatorship to Democracy. En allemand: Von der Diktatur zur Demokratie. Ein Leitfaden für die Befreiung. Traduit de l’anglais par Andreas Wirthensohn. Editions C.H. Beck. «Tages-Anzeiger» (17/2/11). Wie man einen Diktator stürzt: Eine Anleitung auf 93 Seiten. www.tagesanzeiger.ch/21758820/print.html, 17/8/12
4    Sharp, G. (1993). pp. 101–108
5    Sharp, G. (1993). pp. 116/117
6    Roberts, A. (1972), Total Defence and Civil Resistance, Problems of Sweden’s Security Policy. The Research Institute of Swedish National Defence, FOA P Rapport C8335/M, Stockholm
7    Roberts, A. (1972). p. 132
8    Stahel, A.A. (1987). Terrorismus und Marxismus, Marxistisch-Leninistische Konzeptionen des Terrorismus und der Revolution. ASMZ, Allgemeine Schweizerische Militärzeitschrift, Huber & Co. AG, Frauenfeld, p. 29.
9    OTPOR! (2012). Wikipedia, p. 6
10    OTPOR! (2012). Wikipedia, p. 9
11    OTPOR! (2012). Wikipedia, p. 10
12    OTPOR! (2012). Wikipedia, p. 12
13    OTPOR! (2012). Geplante Revolutionen.
schnittpunkt2012.blogspot.ch/2011/05/otpor-geplante-revolutionen.html. p. 3, 15/8/12
14    Hermann, R. (2011), Revolution nach Plan, Protestbewegung in Ägypten. Frankfurter Allgemeine Zeitung du 15/2/11, pp.1–4. www.faz.net/aktuell/politik/arabische-welt/protestbewegung-in-aegypten-revolution-nach-plan-1589885.html, 17/8/12

Gewaltlose Revolutionen: Werden diese durch die USA instrumentalisiert?

Gewaltlose Revolutionen: Werden diese durch die USA instrumentalisiert?

von Prof. Dr. Albert Stahel, Institut für Strategische Studien, www.strategische-studien.com

Ex: http://www.zeit-fragen.ch/  

pussy-Riot3180812300.jpgAm 10. Oktober 1998 wurde in der damaligen Bundesrepublik Jugoslawien die Organisation OTPOR (der Widerstand) gegründet.1 Viele ihrer Mitglieder waren Studierende und Angehörige der Nomenklatur der Bundesrepublik Jugoslawien. Die Mitglieder von OTPOR analysierten die Schwachstellen des Regimes von Miloševic und erstellten einen Strategieplan, mit Hilfe dessen sie das Regime zu Fall bringen wollten. Zu Beginn beschränkten sich die Agitationen von OTPOR auf die Universität Belgrad. Während des Nato-Luftkrieges «Allied Force» gab es keine Aktionen von OTPOR. Ab 2000 setzten die Aktivitäten gegen das Regime wieder ein. Während der Wahlen vom September 2000 in Jugoslawien wurde die Stimmung gegen Miloševic mit Schlagwörtern wie «Gotov Je» (er ist erledigt) oder «Vreme Je» (es ist Zeit) angeheizt.2 Am 5. Oktober 2000 wurde Miloševic gestürzt. Während jenes Jahres setzte OTPOR die gesamte Bandbreite der taktischen Mittel der politischen Agitation ein. Miloševic wurde lächerlich gemacht, Strassensperren wurden errichtet, Boykotts wurden ausgerufen, der Gegner durch Falschmeldungen in die Irre geführt und öffentliche Gebäude wurden besetzt. Die Kommunikation zwischen den verschiedenen Gruppen erfolgte mit Hilfe des Internets.


Später wurde bekannt, dass sich die Mitglieder von OTPOR für die Formulierung ihrer Strategie auf ein Buch des amerikanischen Pazifisten und Politikwissenschafters Gene Sharp3 gestützt hatten. Studiert man dieses Werk, erwartet man zuerst ein Handbuch der Revolutionspraxis, aber es handelt sich dabei eher um eine theoretische Abhandlung des strategischen Denkens. Nur der Anhang mit der Auflistung von Methoden des gewaltlosen Vorgehens führt konkrete Anleitungen für das Vorgehen gegen eine Diktatur auf.4 Bezüglich dieser Methoden verweist Sharp auf sein früheres Werk aus dem Jahre 1973. Auch das Glossar ist besonders mit dem Hinweis auf das politische Jiu-Jitsu sehr interessant.5 Mit diesem Jiu-Jitsu soll die gewaltsame Unterdrückung durch die Diktatur fortlaufend mit gewaltlosem Widerstand und nicht mit Gegengewalt beantwortet werden. Der Unterdrückungsapparat wird mit Hilfe der internationalen Medien diskreditiert.


Anhand der Literaturhinweise von Gene Sharp wird aufgedeckt, wer der eigentliche Vordenker der modernen Strategie des gewaltlosen Widerstandes ist, der Brite Adam Roberts. Dieser propagierte in den siebziger Jahren des letzten Jahrhunderts auf Grund des gewaltlosen Widerstands der Bürgerinnen und Bürger der Tschechoslowakei gegen die Besetzung ihres Landes durch die Divisionen des Warschauer Paktes im Jahre 1968 den gewaltlosen Widerstand als die einzige wirksame Antwort auf die Besetzung eines Landes durch eine fremde Macht.6 Bereits zur damaligen Zeit führte Roberts in seinen Traktaten die von Sharp viel später erwähnte Taktik des gewaltlosen Widerstandes auf. Dazu gehörten «Methods of Persuasion, of Non-Cooperation and of Intervention»7. Die ersten konkreten Richtlinien für die taktische Agitation gegen eine Diktatur ist aber durch den Freund und Mitarbeiter von Karl Marx, Friedrich Engels, in seinem Aufsatz «Der Aufstand» beschrieben worden: «Der Aufstand ist eine Rechnung mit höchst unbestimmten Grössen, deren Wert sich jeden Tag ändern kann …»8

 


Nach dem Fall von Miloševic stellte sich die Frage, wer OTPOR und die kostspielige Agitation finanziert hatte. Im November 2000 berichtete der Journalist Roger Cohen in einem Artikel im New York Times Magazine über die Financiers von OTPOR. Gemäss Cohen hatte OTPOR offenbar Geld vom National Endowment for Democracy (NED), vom International Republican Institute (IRI) und von der US Agency for International Development (USAID) erhalten. Während NED und IRI der damaligen Clinton-Administration nahestanden, ist USAID heute noch ein Teil der Bundesverwaltung der USA. Bereits September/Oktober 1989 (also noch vor der Auslösung von Allied Force) soll Paul B. McCarthy vom NED die Führungsequipe von OTPOR in der Hauptstadt von Montenegro, Podgorica, und in Ungarn, Szeged und Budapest, getroffen haben.9

 


Die Führungscrew von OTPOR (Srdja Popovic und Ivan Marovic u.a.) versuchte nach dem Sturz von Miloševic aus der Organisation eine politische Partei zu bilden. Wegen der geringen Stimmenzahl, die OTPOR bei den Parlamentswahlen von 2003 erhielt, scheiterte dieser Versuch.10 Die Aktivisten von OTPOR sollen aber weiterhin vom Ausland gefördert worden sein. So erhielt Popovic später die Stellung eines Visiting Scholar am Harriman Institute der Columbia University. Das Gedankengut wurde weiter getragen. Schriften über die Durchführung einer Revolution à la OTPOR wurden verfasst. Des weiteren erschien der Film «How to Start a Revolution» mit Popovic in einer Rolle.11 Folgende Demonstrationen und Revolutionen sollen entsprechend dem OTPOR-Vorbild organisiert worden sein:12
–    Kmara in Georgien war zum Teil für den Sturz von Präsident Eduard Schewardnaze verantwortlich,
–    Pora (Teil der Orange-Revolution) mit Demonstrationen in der Ukraine,
–    Zbur in Weissrussland mit Demonstrationen gegen Präsident Alexander Lukaschenko,
–    Oborona in Russland mit Demonstrationen gegen Präsident Vladimir Putin,
–    KelKel in Kirgisien hat zum Sturz von Präsident Askar Akayev beigetragen,
–    Bolga in Usbekistan mit Demonstrationen gegen Präsident Islam Karimow.
Denkbar ist, dass einige dieser Demonstrationen und Aufstände auch von den bereits erwähnten amerikanischen Organisationen finanziert worden sind.13
Im Anschluss an die Niederschlagung eines Arbeiterstreiks am 6. April 2008 wurde in Ägypten 2008 die Jugendbewegung 6. April gegründet. Anhänger dieser Gruppe sollen in Belgrad von OTPOR-Aktivisten beraten worden sein und das Logo von OTPOR übernommen haben.14 Entsprechend deren Anweisungen und Ratschlägen soll 2011 die ägyptische Revolution organisiert und der Tahrir-Platz besetzt worden sein. Denkbar ist auch, dass die erste Phase der Aufstände in Tunesien, Libyen und Syrien entsprechend der OTPOR-Taktik geplant wurde.


Bis zum jetzigen Zeitpunkt haben nicht alle erfolgreich durchgeführten Revolutionen lediglich zum Sturz der jeweiligen Machthaber geführt. Durch die Umstürze und Revolutionen in Tunesien und Libyen sind auch die staatlichen Strukturen und Verwaltungen kollabiert. Damit sind diese beiden Staaten heute fast führungs- und orientierungslos, und ihr Zustand entspricht jenem von «failed states». Solche Staaten sind aber nicht mehr fähig, sich der Einwirkungen von Drittstaaten zu erwehren. In Anbetracht der Finanzierung und auch der wiederholten Hinweise auf den «Vordenker» Gene Sharp ist es denkbar, dass die USA gewisse Demonstrationen und Aufstände für ihre Ziele instrumentalisiert haben.    •

1    OTPOR! (2012). Wikipedia. en.wikipedia.org/wiki/Otpor! S. 2, 15.8.2012
2    OTPOR! (2012). Wikipedia. S. 5
3    Sharp, G. (1993). From Dictatorship to Democracy. Deutsch: Von der Diktatur zur Demokratie, Ein Leitfaden für die Befreiung. Aus dem Englischen von Andreas Wirthensohn. Verlag C.H. Beck. «Tages-Anzeiger» (17.2.2011). Wie man einen Diktator stürzt: Eine Anleitung auf 93 Seiten. www.tagesanzeiger.ch/21758820/print.html, 17.8.2012
4    Sharp, G. (1993), S. 101–108
5    Sharp, G. (1993), S. 116/117
6    Roberts, A. (1972), Total Defence and Civil Resistance, Problems of Sweden’s Security Policy. The Research Institute of Swedish National Defence, FOA P Rapport C8335/M, Stockholm
7    Roberts, A. (1972), S. 132
8    Stahel, A.A. (1987). Terrorismus und Marxismus, Marxistisch-Leninistische Konzeptionen des Terrorismus und der Revolution. ASMZ, Allgemeine Schweizerische Militärzeitschrift, Huber & Co. AG, Frauenfeld, S. 29.
9    OTPOR! (2012). Wikipedia, S. 6
10    OTPOR! (2012). Wikipedia, S. 9.
11    OTPOR! (2012). Wikipedia, S. 10
12    OTPOR! (2012). Wikipedia, S. 12
13    OTPOR! (2012). Geplante Revolutionen. schnittpunkt2012.blogspot.ch/2011/05/otpor-geplante- revolutionen.html. S. 3, 15.08.2012
14    Hermann, R. (2011), Revolution nach Plan, Protestbewegung in Ägypten. Frankfurter Allgemeine Zeitung 15.2.2011, S.1–4. www.faz.net/aktuell/politik/arabische-welt/protestbewegung-in-aegypten-revolution-nach-plan-1589885.html, 17.8.12

vendredi, 21 septembre 2012

Pussy Riot – Secret History

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Pussy Riot – Secret History

by Israel Shamir


Universally admired, Pussy Riot (or PR for short) have been promoted as superstars. But what are they? A rock or punk group they are not. A British journalist marvelled: they produce no music, no song, no painting, nada, rien, nothing. How can they be described as “artists”? This was a severe test for their supporters, but they passed it with flying honours: that famous lover-of-art, the US State Department, paid for their first ever single being produced by The Guardian out of some images and sounds.We are able to stomach obscenity and blasphemy; I am a great admirer of Notre Dame de Fleurs by Jean Genet, who combined both. However, the PR never wrote, composed or painted anything of value at all. Chris Randolph defended them in Counterpunch by comparing them with “the controversial Yegor Letov”. What a misleading comparison! Letov wrote poetry, full of obscenity but it still was poetry, while the PR have nothing but Public Relations.

Hell-bent on publicity, but artistically challenged, three young women from Russia decided – well, it sounds like a limerick. They stole a frozen chicken from a supermarket and used it as dildo; they filmed the act, called it “art” and placed it on the web. (It is still there) Their other artistic achievements were an orgy in a museum and a crude presentation of an erect prick.

Even in these dubious pieces of art their role was that of technical staff: the glory went to a Russian-Israeli artist Plucer-Sarno of Mevasseret Zion, who claimed the idea, design and copyright for himself and collected a major Russian prize. The future PR members got nothing and were described by Plucer as “ambitious provincials on the make”, or worse.

Lately they have tried to ride on a bandwagon of political struggle. That was another flop. They poured a flood of obscene words on Putin – in Red Square, in subway (underground) stations – with zero effect. They weren’t arrested, they weren’t fined, just chased away as a nuisance. And they did not attract the attention of people. It is important to remember that Putin is an avowed enemy of Russian oligarchs, owners of the major bulk of Russian media and providers of the Moscow literati, so they print on a daily basis so much anti-Putin invective, that it’s lost its shock value. You can’t invent a new diatribe against Putin – it has been already said and published. And Putin practically never interferes with the freedom of the press.

My foreign journalist friends are usually amazed by the unanimity and ferocity of the anti-Putin campaign in Russian media. It can be compared with the attacks on G W Bush in the liberal papers in the US, but in the US, there are many conservative papers that supported Bush. Putin has practically no support in the mainstream media, all of it owned by media barons. A valuable exception is TV, but it is expressly apolitical and provides mainly low-brow entertainment, also presented by anti-Putin activists like Mlle Xenia Sobtchak. So PR failed profoundly to wake up the beast.

Eventually the young viragos were mobilised for an attack on the Church. By that time they were willing to do anything for their bit of publicity. And the anti-Church campaign started a few months ago, quite suddenly as if by command. The Russian Church had 20 years of peace, recovering after the Communist period, and it was surprised by ferocity of the attack.

Though this subject calls for longer exposition, let us be brief. After the collapse of the USSR, the Church remained the only important spiritual pro-solidarity force in Russian life. The Yeltsin and Putin administrations were as materialist as the communists; they preached and practiced social Darwinism of neo-Liberal kind. The Church offered something beside the elusive riches on earth. Russians who lost the glue of solidarity previously provided by Communists eagerly flocked to the alternative provided by the Church.

The government and the oligarchs treated the Church well, as the Church had a strong anti-Communist tendency, and the haves were still afraid of the Reds leading the have-nots. The Church flourished, many beautiful cathedrals were rebuilt, many monasteries came back after decades of decay. The newly empowered church became a cohesive force in Russia.

As it became strong, the Church began to speak for the poor and dispossessed; the reformed Communists led by the Church-going Gennadi Zuganov, discovered a way to speak to the believers. A well-known economist and thinker, Michael Khazin, predicted that the future belongs to a new paradigm of Red Christianity, something along the lines of Roger Garaudy’s early thought. The Red Christian project is a threat to the elites and a hope for the world, he wrote. Besides, the Russian church took a very Russian and anti-globalist position.

This probably hastened the attack, but it was just a question of time when the global anti-Christian forces would step forward and attack the Russian Church like they attacked the Western Church. As Russia entered the WTO and adopted Western mores, it had to adopt secularization. And indeed the Russian Church was attacked by forces that do not want Russia to be cohesive: the oligarchs, big business, the media lords, the pro-Western intelligentsia of Moscow, and Western interests which naturally prefer Russia divided against itself.

This offensive against the Church began with some minor issues: the media was all agog about Patriarch’s expensive watch, a present from the then President Medvedev. Anti-religious fervour was high among liberal opposition that demonstrated against Putin before the elections and needed a new horse to flog. A leading anti-Putin activist Viktor Shenderovich said he would understand if the Russian Orthodox priests were slain like they were in 1920s. Yet another visible figure among the liberal protesters, Igor Eidman, exclaimed,“exterminate the vermin”- the Russian Church – in the rudest biological terms.

The alleged organiser of the PR, Marat Gelman, a Russian Jewish art collector, has been connected with previous anti-Christian art actions which involved icon-smashing, imitation churches of enemas. His – and PR’s problem was that it was difficult to provoke reaction of the Church. PR made two attempts to provoke public indignation in the second cathedral of Moscow, the older Elochovsky Cathedral; both times they were expelled but not arrested. The third time, they tried harder; they went to St Savior Cathedral that was demolished by Lazar Kaganovich in 1930s and rebuilt in 1990s; they added more blasphemy of the most obscene kind, and still they were allowed to leave in peace. Police tried their best to avoid arresting the viragos, but they had no choice after PR uploaded a video of their appearance in the cathedrals with an obscene soundtrack.

During the trial, the defence and the accused did their worst to antagonize the judge by threatening her with the wrath of the United States (sic!) and by defiantly voicing anti-Christian hate speeches. The judge had no choice but to find the accused guilty of hate crime (hooliganism with religious hate as the motive). The prosecution did not charge the accused with a more serious hate crime “with intent to cause religious strife”, though it could probably be made to stick. (It would call for a stiffer sentence; swastika-drawers charged with intent to cause strife receive five years of jail).

Two years’ sentence is quite in line with prevailing European practice. For much milder anti-Jewish hate talk, European countries customarily sentence offenders to two-to-five years of prison for the first offence. The Russians applied hate crime laws to offenders against Christian faith, and this is probably a Russian novelty. The Russians proved that they care for Christ as much as the French care for Auschwitz, and this shocked the Europeans who apparently thought ‘hate laws’ may be applied only to protect Jews and gays. The Western governments call for more freedom for the anti-Christian Russians, while denying it for holocaust revisionists in their midst.

The anti-Putin opposition flocked to support PR. A radical charismatic opposition leader,  poet  wrote that the opposition made a mistake supporting PR, as they antagonize the masses; the chasm between the masses and the opposition grows. But his voice was crying in the wilderness, and the rest of the opposition happily embraced the PR cause, trying to turn it into a weapon against Putin. The Western media and governments also used it to attack Putin. A Guardian editorial called on Putin to resign. Putin called for clemency for PR, and the government was embarrassed by the affair. But they were left with no choice: the invisible organizers behind PR wanted to have the viragos in jail, and so they did.

Commercially, they hit jackpot. With support of Madonna and the State Department, they are likely to leave jail ready for a world tour and photo ops at the White House. They registered their name as a trade mark and began to issue franchises. And their competitors, the Femen group (whose art is showing off their boobs in unusual places) tried to beat PR by chopping down a large wooden cross installed in memory of Stalin’s victims. Now the sky is the limit.

In August, vacation season, when there is not much hard news and newspaper readers are at the seashore or countryside, the PR trial provided much needed entertainment for man and beast. Hopefully it will drop from the agenda with the end of the silly season, but do not bet on it.

Israel Shamir reports from Moscow, his email is adam@israelshamir.net

Russia e Ucraina verso l’Unione doganale

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Russia e Ucraina verso l’Unione doganale

L’idea del capo del Cremlino di creare un’unione eurasiatica con gli ex Stati dell’Urss coinvolge anche Kiev. Gli eurocrati criticano Yanukovych

Andrea Perrone

Ex: http://rinascita.eu/


La Russia spera che la pressioni sull’Ucraina messe in atto dall’Unione europea spingano Kiev tra le sue braccia. Per questo il Cremlino sta facendo pressione sul governo di Kiev, affinché sottoscriva con la Russia un’Unione doganale, tale da rappresentare un’alternativa all’integrazione nell’Ue. I leader europei hanno avvertito l’Ucraina e in particolare il suo presidente, il filorusso Viktor Yanukovych (nella foto), proprio nel fine settimana, che Kiev rischia di non conseguire l’obiettivo di una maggiore partnership con l’Unione europea, fin quando l’ex primo ministro Yulia Tymoshenko resta in carcere. Per tutta risposta Yanukovych, parlando ad un forum a Yalta (Crimea), ha ribadito che l’Ucraina è determinata a proseguire in una maggiore integrazione con l’Europa, ma gli è stato risposto molto chiaramente e senza mezzi termini che la porta dell’Ue è chiusa fino a quando non saranno attuate le riforme nel Paese. Le causa principale di questa opposizione da parte dei leader europei è costituita dalla detenzione della Tymoshenko, che è stato condannata a sette anni per abuso di potere nei negoziati sul gas con la Russia. Tutto questo a causa di uno status giuridico che gli Stati europei affermano debba venire meno. Ma in molti sottolineano che Yanukovych ha preso la decisione di mettere in carcere la sua rivale politica per le numerose e gravi accuse che le vengono addebitate. In più, le autorità ucraine hanno affermato di essere pronte a muovere nuove accuse ai danni della Tymoshenko e per questo propongono un secondo processo contro la rappresentante dell’Occidente euro-atlantico ed ex “golpista arancione” per i suoi numerosi reati. La questione ha naturalmente allarmato i Soloni europei. “Non ha idea di quanto questo caso abbia danneggiato l’immagine dell’Ucraina in Europa”, ha sottolineato il deputato portoghese Mario David, ai ministri ucraini. “Se non avremo valori comuni, allora si può dimenticare l’Accordo di associazione”, ha proseguito il politico lusitano. È necessario ricordare che nei mesi scorsi l’Ucraina e l’Ue hanno sottoscritto un documento che apre la strada a Kiev a stringere una partnership via via sempre più stretta con l’Unione europea, ma l’Ue ha messo in chiaro che l’intesa non sarà ratificata fin quando rimarrà in vigore a Kiev il clima politico attuale. Nonostante le posizioni espresse dagli eurocrati, Yanukovych non si è fatto intimorire affatto e ha annunciato che il suo Paese è deciso a favorire una maggiore integrazione, ma ora che l’Unione europea sta facendo pressioni su Kiev affinché cambi la politica interna, espresse dai tecnocrati di Bruxelles e Strasburgo, stanno spingendo l’Ucraina tra le braccia della Russia, grazie alle proposte di quest’ultima per portare sempre più Kiev nella sua orbita. I funzionari russi, a Yalta nel fine settimana per partecipare al Forum, hanno sollecitato i leader di Kiev a prendere parte alla formazione dell’Unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan. Alexei Kostin, responsabile russo della VTB Bank e vicino al presidente Vladimir Putin, ha detto che la Russia non imporrebbe alcuna precondizione all’Ucraina. Per quanto riguarda l’Unione europea ciò che rovina le relazioni tra Kiev e Bruxelles è la detenzione della Tymoshenko, ma indubbiamente anche le posizioni filo-russe espresse da Yanukovych che certamente all’Occidente euro-atlantico non sono affatto gradite. Dal canto suo Carl Bildt, ministro degli Esteri svedese, ha dichiarato al quotidiano britannico The Independent che, nel corso di un incontro con Yanukovych, ha spiegato al presidente ucraino che l’Unione europea vuole vedere elezioni libere e corrette prima che l’accordo di adesione all’Ue venga ratificato. “La questione riguardante Yulia è in realtà soltanto la punta dell’iceberg e vi è grande preoccupazione riguardo allo Stato di diritto e alla politicizzazione dei tribunali”, ha commentato il capo della diplomazia di Stoccolma, sottolineando le critiche degli eurocrati all’indirizzo dell’Ucraina, che preferiscono sia sotto il controllo di Washington e Bruxelles, piuttosto che di Mosca. Adesso tutto è rimandato alle elezioni parlamentari previste per il mese prossimo, quando capo dello Stato e leader del Partito delle Regioni Yanukovych, si scontrerà con il partito BYuT della Tymoshenko e con diversi partiti di opposizione minori. Yanukovych dal canto suo ha ricordato che gli osservatori europei sono stati invitati a controllare lo svolgimento del voto, insistendo sul fatto che le elezioni saranno libere ed eque. Ma gli analisti, i media embedded e il mondo euro-atlantico hanno espresso il loro disaccordo, anche per la situazione che vive la fedelissima degli Stati Uniti e del mondo atlantico, Yulia Tymoshenko ancora in carcere per le accuse mosse contro di lei, tra cui un presunto omicidio di un avversario politico, che evidenziano i numerosi reati e il ruolo negativo da lei giocato nella politica ucraina dalla “rivoluzione arancione” (2004) in poi.


18 Settembre 2012 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=16779

jeudi, 20 septembre 2012

Allemagne/Russie: alliance eurasiatique!

 

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Giacomo GABELLINI:

Allemagne/Russie: alliance eurasiatique!

 

La rigidité, qui caractérise les rapports que Berlin vient d’instaurer avec l’Europe (suite à la crise grecque), ne correspond nullement au dynamisme dont l’Allemagne fait preuve en se rapprochant de la Chine, de la Russie et de l’Inde, trois Etats qui forment les principaux piliers de soutien de l’ensemble désormais dénommé BRICS. La visite d’Angela Merkel à la Nouvelle Delhi en mai 2011 est venue sceller la collaboration avec l’Inde, surtout dans le domaine de la haute technologie. Les échanges entre l’Allemagne et la Chine en 2011 s’élevaient, en chiffres, à 144 milliards de dollars et seront sans nul doute doublés d’ici 2015, année où on les estime d’ores et déjà à quelque 280 milliards. Ces chiffres permettront à l’Allemagne de se hisser sur le podium des principaux pays exportateurs de biens et de services vers la Chine et de dépasser les Etats-Unis. Berlin resserrera ispso facto ses rapports stratégiques avec la Chine. En avril 2012, le premier ministre chinois Wen Jibao s’est rendu à Wolfsburg, la ville-mère de l’entreprise automobile Volkswagen, dans le but de sceller un accord visant à installer une nouvelle usine Volkswagen dans la région du Xinjiang (le “Turkestan” chinois). Les autorités chinoises prévoient, par cet accord, de diminuer le taux élevé de chômage dans cette province, qui a contribué, dans un premier temps, à alimenter les sentiments centriguges de la population indigène.

 

Cette intensification des rapports avec la Chine constitue la part intégrante et principale d’un processus qui vise le repositionnement de l’économie allemande en direction des marchés émergeants. Selon un rapport établi par l’“European Council on Foreign Relations”, “l’Allemagne tend désormais à se considérer comme une force crédible dans un monde multipolaire, ce qui alimente son ambition de devenir ‘globale’ en tablant sur ses propres forces” (1).

 

Cet accroissement important des échanges germano-chinois est toutefois dû au rôle joué par la Russie, à laquelle l’Allemagne est liée par le biais d’une alliance stratégique et énergétique de tout premier ordre. Outre la mise en oeuvre du gazoduc “Nord Stream” —qui permet au méthane russe de s’acheminer vers le terminal allemand de Greifswald et d’alimenter ainsi la croissance économique allemande— et la présence de 6000 entreprises allemandes sur le territoire russe, il faut compter le projet d’aménager une ligne ferroviaire moderne capable de transporter 400.000 tonnes de marchandises de la Chine à l’Allemagne, grâce à un accord conclu entre les chemins de fer allemands (Deutsche Bundesbahn) et leurs homologues russes (Rossiyskie Zheleznye Dorogi). Il s’agit là d’une réalisation économique d’importance fondamentale qui garantira des perspectives stratégiques de premier plan. Le but ultime de cet accord se perçoit dans l’émergence d’une nouvelle société mixte, l’“Eurasia Rail Logistics”, par laquelle les chemins de fer allemands sont appelés à s’occuper de la modernisation des lignes russes en fournissant les services d’ingénierie technique —subsidiés par des entreprises comme “Simens”— afin de remplacer des milliers de kilomètres de vielles voies binaires par des parcours de haute vitesse. Cette modernisation concerne surtout le “Transsibérien” —le “pont eurasiatique” par antonomase— dont on doit la construction, commencée en 1890 et terminée en 1916, à la volonté de ce grand premier ministre russe que fut Sergueï Witte, qui voulait relier par fer tous les points de l’immense espace couvert par l’Empire russe. Le “Transsibérien”, dont le trajet dépasse les 9000 km, demeure la plus longue voie ferrée du monde. Il relie le port russe de Vladivostok à Moscou. Le tracé qui reliera Moscou au port hollandais de Rotterdam allongera le trajet Pacifique/Atlantique de quelque 3000 km. Il sera construit ultérieurement. Les problèmes de manutention et la vitesse maximale réduite constituent les deux facteurs qui avaient, jusqu’ici, limité considérablement les potentialités de ce formidable corridor eurasiatique. L’intervention de la Deutsche Bundesbahn renverse la situation. La modernisation des structures du Transsibérien par les chemins de fer allemands a permis, en janvier 2008, de transporter par voie ferrée des marchandises par le “Beijing-Hamburg Container Express”, connecté au Transsibérien au point de jonction russe d’Oulan Oudé. Ces marchandises sont arrivées à destination en l’espace de quinze jours alors que le transport par mer demande le double de temps au minimum. Cet “exprès” a parcouru plus de 10.000 km, en passant par la Mongolie, la Russie, la Biélorussie et la Pologne.

 

 

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De cette façon, la Russie aura la possibilité de moderniser ses propres voies de communication stratégiques, en apprenant des Allemands comment construire des chemins de fer à haute vitesse et à géer le trafic par ordinateurs. Ils revendront ensuite cette technologie allemande à des pays asiatiques comme l’Iran et l’Inde. L’Allemagne a ainsi obtenu l’accès direct à la Chine, à travers l’immense territoire russe. La Deutsche Bundesbahn, grâce à cette formidable projection vers l’Est, pourra diffuser dans toute l’Eurasie les critères stabilisés par l’UE et consignés dans le “Trans-European Transport Network” (TEN), un projet visant à favoriser les trafics en provenance d’Europe et en direction de l’Extrême-Orient et, à l’inverse, à transporter des matières premières vers les industries européennes. Le projet TEN, pour lequel on prévoit des crédits de 400 milliards d’euro, n’envisage pas seulement de construire des voies de chemin de fer mais aussi de faciliter la construction de routes et d’autres “corridors transcontinentaux”. L’Allemagne cherche donc à se redonner du “Lebensraum”, de l’“espace vital”, en reprenant sa politique traditionnelle de “Drang nach Osten” (de “poussée vers l’Est”) et, par la même occasion, en créant une série de corridors stratégiques qui partent de l’Ouest vers l’Est. Le concept d’“espace vital” avait été élaboré par le géopolitologue allemand Karl Ernst Haushofer, bien avant qu’il ne fut exploité et détourné de son sens par les Nazis). Il suffit de jeter un coup d’oeil sur une carte géographique pour constater que la “poussée vers l’Est” est la voie traditionnelle de l’expansion allemande. Seul l’Est est capable de rapporter des bénéfices énormes, que ce soit sur le plan politique ou sur le plan économique, non seulement à la métropole allemande mais aussi à tous les pays impliqués, tout simplement parce qu’elle permet d’accélérer l’inéluctable intégration économique de la Russie, riche en matières premières, et de l’Allemagne, qui dispose d’une industrie très importante et d’un savoir-faire technologique enviable. C’est justement pour empêcher l’émergence d’un aussi formidable bloc économique intégré, qui assurerait l’hégémonie germano-russe sur l’ensemble de l’Eurasie, que les Etats-Unis ont déclenché l’attaque contre la Serbie de Slobodan Milosevic. En 1999, les premières cibles détruites par les bombardiers de l’OTAN ont été les ponts sur le Danube et sur la Save parce que l’objectif principal était de barrer la route au trafic fluvial allemand (comme nous avons déjà eu l’occasion de le démontrer) en direction du Sud-Est de l’Europe (et donc de la Méditerranée orientale).

 

Les prémices de la formation d’un bloc hégémonique continental similaire se sont manifestés dès 1989, suite à l’écroulement du Mur de Berlin. L’Allemagne s’est alors réunifiée sous la houlette du Chancelier Helmut Kohl et, surtout, d’un homme très habile, le Président de la “Deutsche Bank”, Alfred Herrhausen. “D’ici dix ans, affirmait Herrhausen, l’Allemagne de l’Est deviendra le complexe technologiquement le plus avancé de l’Europe et, en même temps, le tremplin qui permettra de lancer notre économie vers l’Est, de manière telle que la Pologne, la Hongrie, la Tchécoslovaquie et aussi la Bulgarie joueront, à leur tour, un rôle essentiel dans le développement européen” (2). En conformité avec cet objectif, Herrhausen entendait supprimer la dette “inter-entreprises”, fait comptable qui pesait sur l’industrie ex-communiste (en 1994, cette dette s’élevait à 200 milliards de marks), en considérant que cette dette, précisément, était un atout entre les mains de la Banque Mondiale et du FMI qui, tous deux, s’opposaient, de manière irréductible, à tout assainissement du secteur industriel hérité par l’Allemagne suite à la réunification. Le Président de la Deutsche Bank soutenait, entre autres choses, le projet, jugé nécessaire, de construire des voies ferrées rapides menant à Moscou. C’est là exactement le type de projet que les puissances maritimes —l’Angleterre d’abord, les Etats-Unis ensuite— ont toujours rejeté. Herrhausen se distinguait en proposant une vision nouvelle et innovante des rapports internationaux et proposait de redimensionner le rôle de l’Allemagne qui, selon sa conception, devrait fonctionner comme un “pont” entre l’Est et l’Ouest et comme le moteur d’une reconversion industrielle et d’un développement nouveau dans une Europe soustraite au contrôle de la Banque Mondiale et du FMI.

 

 

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Tandis qu’il se décarcassait pour mettre ses plans en oeuvre, Herrhausen dénonçait ceux qui le critiquaient outrageusement (3), quand il exposait ses vues et demandait à la Banque Mondiale et au FMI d’épargner aux pays ex-communistes la “thérapie de choc” préconisée par un Jeffrey Sachs; il demandait, en insistant beaucoup, que soit accordé à ces pays un moratoire sur leurs dettes pendant quelques années, de manière à ce qu’ils puissent exploiter leurs propres ressources pour la reconstruction plutôt que payer immédiatement aux banquiers, dès l’exercice suivant, une part de leurs dettes, ou les intérêts dus. Malgré l’hostilité de la BM et du FMI, Herrhausen réussit à trouver bon accueil partout en Europe pour ses idées et projets; en l’espace de quelques petites années, la traduction de ses plans dans les réalités européennes et euro-russes aurait pu s’avérer suffisante pour faire décoller ses grands projets. Le plus important de ceux-ci fut la création, à Varsovie, d’une banque pour le développement, destinée à financer la reconstruction et l’intégration de l’Europe centrale et orientale à l’Europe occidentale. Le 1 décembre 1989, avec une ponctualité effrayante, un engin explosif —équipé d’un système d’amorçage sophistiqué fonctionnant au laser— fait sauter l’automobile blindée dans laquelle Herrhausen se déplaçait. La responsabilité de l’attentat a été attribuée au groupe terroriste communiste de la “Rote Armee Fraktion” (RAF), après une enquête des plus superficielles.

 

Immédiatement après la disparition tragique de Herrhausen, un économiste mieux noté, comme Detlev Karsten Rohwedder, a cherché à poursuivre le sillon ouvert par son malheureux prédécesseur. Rohwedder était le chef de la “Treuhandanstalt”, un holding public qui regroupe toutes les industries d’Etat de l’ex-République Démocratique Allemande (DDR/RDA), après une belle carrière déjà, où il avait préparé et géré en personne le plan d’assainissement et la réorganisation du colosse chimique et pharmaceutique Hoechst AG. Rohwedder affirmait: “A partir du moment où un libéralisme de marché de type doctrinaire ne fonctionne plus, il faut néanmoins privilégier une politique publique d’assainissement dans le cadre plus général des privatisations” (4). C’était là la politique contraire de celle réclamée par le FMI et la Banque Mondiale. Rohwedder avait l’intention de favoriser les investissements publics pour remettre en état de marche et pour moderniser le vieil appareil industriel hérité de la RDA, afin que “la population d’Allemagne de l’Est puisse dépasser au plus vite sa condition d’infériorité matérielle” (5). Cet économiste, relativement inconnu, projettait de transférer le contrôle de la “Treuhandanstalt” du ministère des finances à celui de l’économie, de façon à ce que le holding devienne l’organe central d’un dirigisme allemand rénové. Le 12 avril 1991, un ou plusieurs assassins stipendiés prennent Rohwedder pour cible, tirent trois coups de fusil à visée infra-rouge qui fracasent une fenêtre de sa maison à Düsseldorf, la fenêtre de la pièce où il se trouvait, et le tuent. La RAF revendique la responsabilité de l’attentat, ce qui démontre, une fois de plus, quelle est la véritable fonction de tout “terrorisme extrémiste”. La menace que représentait des personnalités comme Herrhausen et Rohwedder est dénoncée, de manière très précise, par un Henry Kissinger, d’après qui: “Si les deux puissances que sont l’Allemagne et la Russie s’intègrent économiquement, en tissant des liens plus étroits entre elles, alors surviendra le péril que peut représenter leur hégémonie” (6). Le rapprochement actuel entre l’Allemagne et la Russie est dû essentiellement, aujourd’hui, aux efforts de Vladimir Poutine: c’est lui qui met tout en oeuvre pour que les plans d’intégration, pensés par Herrhausen et Rohwedder, reçoivent une nouvelle chance. La situation actuelle montre que l’Allemagne a reconsidéré de manière radicale son positionnement stratégique, en se repprochant des nouveaux centres de gravité de la planète, soit les centres que représente le BRICS, qui sont en train de faire basculer l’axe de la croissance mondiale de l’Atlantique en direction des Océans Indien et Pacifique, tout en ouvrant des perspectives nouvelles et profondément révolutionnaires pour le continent européen tout entier.

 

Si l’Allemagne parvient à bétonner solidement sa tentative d’entraîner l’Europe dans le sillage de Berlin, le péril, que pointait Zbigniew Brzezinski dans ses admonestations aux Etats-Unis, risquerait bien de prendre forme. Brzezinski: “Pour tout dire en des termes qui rappellent l’ère la plus brutale des empires antiques, les trois grands impératifs de la géostratégie impériale des Etats-Unis sont d’empêcher la collusion entre les vassaux et de les maintenir dans la dépendance (en ce qui concerne leur défense), de garder des tributaires faibles qu’il faut protéger et d’empêcher les barbares de s’unir” (7). Une “union des barbares” est justement en train de se forger et elle pourrait apporter une certaine discontinuité dans les scénarios du futur...

 

Giacomo GABELLINI,

Article paru sur le site: http://www.eurasia-rivista.org/

URL: http://www.eurasia-rivista.org/germania-russia-l’alleanza-eurasiatica/16549/print/ - Mis en ligne le 26 juillet 2012.

 

Notes:

(1)   Corriere della Sera, 24 avril 2012.

(2)   Il Tempo, 30 novembre 2009.

(3)   Ibid.

(4)   Frankfurter Allgemeiner Zeitung, 30 mars 1991.

(5)   Ibid.

(6)   Welt am Sonntag, 1 mars 1992.

(7)   Zbigniew Brzezinski, Le grand échiquier.

Unthinking Liberalism: A. Dugin’s The Fourth Political Theory

Unthinking Liberalism:
Alexander Dugin’s The Fourth Political Theory

by Alex KURTAGIC

Ex: http://www.counter-currents.com/

Alexander Dugin
The Fourth Political Theory, London: Arktos, 2012

Arktos recently published what we can only hope will be the first of many more English translations of Alexander Dugin’s work. Head of the sociology department in Moscow State University, and a leading Eurasianist with ties to the Russian military, this man is, today, influencing official Kremlin policy.

The Fourth Political Theory is a thoroughly refreshing monograph, combining clarity of analysis, philosophical rigor, and intellectual creativity. It is Dugin’s attempt to sort through the confusion of modern political theory and establish the foundations for a political philosophy that will decisively challenge the dominant liberal paradigm. It is not, however, a new complete political theory, but rather the beginning of a project. The name is provisional, the theory under construction. Dugin sees this not as the work of one man, but, because difficult, a collective heroic effort.

The book first sets out the historical topology of modern political theories. In Dugin’s account, liberalism, the oldest and most stable ideology, was in modernity the first political theory. Marxism, a critique of liberalism via capitalism, was the second. Fascism/National Socialism, a critique of both liberalism and Marxism, was the third. Dugin says that Fascism/National Socialism was defeated by Marxism (1945), that Marxism was defeated by liberalism (1989), leaving liberalism triumphant and therefore free to expand around the globe.

According to Dugin, the triumph of liberalism has been so definitive, in fact, that in the West it has ceased to be political, or ideological, and become a taken-for-granted practice. Westerners think in liberal terms by default, assuming that no sane, rational, educated person could think differently, accusing dissenters of being ideological, without realizing that their own assumptions have ideological origins.

The definitive triumph of liberalism has also meant that it is now so fully identified with modernity that it is difficult to separate the two, whereas control of modernity was once contested by political theory number one against political theories two and three. The advent of postmodernity, however, has marked the complete exhaustion of liberalism. It has nothing new to say, so it is reduced endlessly to recycle and reiterate itself.

Looking to identify what may be useful to salvage, Dugin proceeds to break down each of the three ideologies into its component parts. In the process of doing so, he detoxifies the two discredited critiques of liberalism, which is necessary to be able to cannibalize them. His analysis of liberalism follows Alain de Benoist. Because it is crucial, I will avail myself of de Benoist’s insights and infuse some of my own in Dugin’s explication of liberalism.

Dugin says that liberalism’s historical subject is the individual. The idea behind liberalism was to “liberate” the individual from everything that was external to him (faith, tradition, authority). Out of this springs the rest: when you get rid of the transcendent, you end up with a world that is entirely rational and material. Happiness then becomes a question of material increase. This leads to productivism and economism, which, when the individual is paramount, demands capitalism. When you get rid of the transcendent, you also eliminate hierarchy: all men become equal. If all men are equal, then what applies to one must apply to all, which means universalism. Similarly, if all men are equal, then all deserve an equal slice of the pie, so full democracy, with universal suffrage, becomes the ideal form of government. Liberalism has since developed flavors, and the idea of liberation acquires two competing meanings: “freedom from,” which in America is embodied by libertarians and the Tea Party; and “freedom to,” embodied by Democrats.

Marxism’s historical subject is class. Marxism is concerned chiefly with critiquing the inequities arising from capitalism. Otherwise, it shares with liberalism an ethos of liberation, a materialist worldview, and an egalitarian morality.

Fascism’s historical subject is the state, and National Socialism’s race. Both critique Marxism’s and liberalism’s materialist worldview and egalitarian morality. Hence, the simultaneous application of hierarchy and socialism.

With all the parts laid out on the table, Dugin then selects what he finds useful and discards the rest. Unsurprisingly, Dugin finds nothing useful in liberalism. The idea is to unthink it, after all.

Spread out across several chapters, Dugin provides a typology of the different factions in the modern political landscape—e.g., fundamental conservatism (traditionalism), Left-wing conservatism (Strasserism, National Bolshevism, Niekisch), conservative revolution (Spengler, Jünger, Schmitt, Niekisch), New Left, National Communism, etc. It is essential that readers understand these so that they may easily recognize them, because doing so will clarify much and help them avoid the errors arising from opaque, confused, contradictory, or misleading labels.

Liberal conservatism is a key category in this typology. It may sound contradictory on the surface, because in colloquial discourse mainstream politics is about the opposition of liberals vs. conservatives. Yet, and as I have repeatedly stated, when one examines their fundamentals, so-called “conservatives” (a misleading label), even palaeoconservatives (another misleading label), are all ideologically liberals, only they wish to conserve liberalism, or go a little slower, or take a few steps back. Hence, the alternative designation for this type: “status-quo conservative.”

Another key category is National Communism. This is, according to Dugin, a unique phenomenon, and enjoys a healthy life in Latin America, suggesting it will be around for some time to come. Evo Morales and Hugo Chavez are contemporary practitioners of National Communism.

Setting out the suggested foundations of a fourth political ideology takes up the rest of Dugin’s book. Besides elements salvaged from earlier critiques of liberalism, Dugin also looks at the debris that in the philosophical contest for modernity was left in the periphery. These are the ideas for which none of the ideologies of modernity have had any use. For Dugin this is essential to an outsider, counter-propositional political theory. He does not state this in as many words, but it should be obvious that if we are to unthink liberalism, then liberalism should find its nemesis unthinkable.

But the process of construction begins, of course, with ontology. Dugin refers to Heidegger’s Dasein. Working from this concept he would like the fourth political theory to conceptualize the world as a pluriverse, with different peoples who have different moralities and even different conceptions of time. In other words, in the fourth political theory the idea of a universal history would be absurd, because time is conceived differently in different cultures—nothing is ahistorical or universal; everything is bound and specific. This would imply a morality of difference, something I have proposed as counter-propositional to the liberal morality of equality. In the last consequence, for Dugin there needs to be also a peculiar ontology of the future. The parts of The Fourth Political Theory dealing with these topics are the most challenging, requiring some grounding in philosophy, but, unsurprisingly, they are also where the pioneering work is being done.

Also pioneering, and presumably more difficult still, is Dugin’s call to “attack the individual.” By this he means, obviously, destabilizing the taken-for-granted construct that comprises the minimum social unit in liberalism—the discrete social atom that acts on the basis of rational self-interest, a construct that should be distinguished from “a man” or “a woman” or “a human.” Dugin makes some suggestions, but these seem nebulous and not very persuasive at this stage. Also, this seems quite a logical necessity within the framework of this project, but Dugin’s seeds will find barren soil in the West, where the individual is almost sacrosanct and where individualism results from what is possibly an evolved bias in Northern European societies, where this trait may have been more adaptive than elsewhere. A cataclysmic event may be required to open up the way for a redefinition of what it is to be a person. Evidently the idea is that the fourth political theory conceptualizes a man not as an “individual” but as something else, presumably as part of a collectivity. This is probably a very Russian way of looking at things.

The foregoing may all seem highly abstract, and I suspect practically minded readers will not take to it. It is hard to see how the abstract theorizing will satisfy the pragmatic Anglo-Saxon, who is suspicious of philosophy generally. (Jonathan Bowden was an oddity in this regard.) Yet there are real-world implications to the theory, and in Dugin’s work the geopolitical dimension must never be kept out of sight.

For Dugin, triumphant liberalism is embodied by Americanism; the United States, through its origins as an Enlightenment project, and through its superpower status in the twentieth and twenty-first century, is the global driver of liberal practice. As such, with the defeat of Marxism, it has created, and sought to perpetuate, a unipolar world defined by American, or Atlanticist, liberal hegemony. Russia has a long anti-Western, anti-liberal tradition, and for Dugin this planetary liberal hegemony is the enemy. Dugin would like the world to be multipolar, with Atlanticism counterbalanced by Eurasianism, and maybe other “isms.” In geopolitics, the need for a fourth political theory arises from a need to keep liberalism permanently challenged, confined to its native hemisphere, and, in a word, out of Russia.

While this dimension exists, and while there may be a certain anti-Americanism in Dugin’s work, Americans should not dismiss this book out of hand, because it is not anti-America. As Michael O’Meara has pointed out in relation to Yockey’s anti-Americanism, Americanism and America, or Americans, are different things and stand often in opposition. Engaging with this kind of oppositional thinking is, then, necessary for Americans. And the reason is this: liberalism served America well for two hundred years, but ideologies have a life-cycle like everything else, and liberalism has by now become hypertrophic and hypertelic; it is, in other words, killing America and, in particular, the European-descended presence in America.

If European-descended Americans are to save themselves, and to continue having a presence in the North American continent, rather than being subsumed by liberal egalitarianism and the consequent economic bankruptcy, Hispanization, and Africanization, the American identity, so tied up with liberalism because of the philosophical bases of its founding documents, would need to be re-imagined. Though admittedly difficult, the modern American identity must be understood as one that is possible out of many. Sources for a re-imagined identity may be found in the archaic substratum permeating the parts of American heritage that preceded systematic liberalism (the early colonial period) as well as in the parts that were, at least for a time, beyond it (the frontier and the Wild West). In other words, the most mystical and also the least “civilized” parts of American history. Yet even this may be problematic, since they were products of late “Faustian” civilization. A descent into barbarism may be in the cards. Only time will tell.

For Westerners in general, Dugin’s project may well prove too radical, even at this late stage in the game—contemplating it would seem first to necessitate a decisive rupture. Unless/until that happens, conservative prescriptions calling for a return to a previous state of affairs (in the West), or a closer reading of the founding documents (in America), will remain a feature of Western dissidence. In other words, even the dissidents will remain conservative restorationists of the classical ideas of the center, or the ideas that led to the center. Truly revolutionary thinking—the re-imagining and reinvention of ourselves—will, however, ultimately come from the periphery rather than the center.

 


Article printed from Counter-Currents Publishing: http://www.counter-currents.com

URL to article: http://www.counter-currents.com/2012/09/unthinking-liberalism/

mardi, 18 septembre 2012

Tiberio Graziani: 'US uses Europe as a bridge-head to attack Eurasia'

Tiberio Graziani:

'US uses Europe as a bridge-head

to attack Eurasia'

 

dimanche, 16 septembre 2012

Alexander Dugin on Obama's Visit to Russia

Alexander Dugin on Obama's Visit to Russia

(English subtitles)

samedi, 15 septembre 2012

Warum der Westen Russland braucht

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Warum der Westen Russland braucht

Die erstaunliche Wandlung des Zbigniew Brzezinski

Von Hauke Ritz

Der 1928 geborene Zbigniew Brzezinski ist eine der schillerndsten Figuren der außenpolitischen Elite der Vereinigten Staaten. Seine Schriften bestechen durch ihren Sinn für die machtpolitische Realität und irritieren zugleich durch die Konsequenz, mit der diese Machtpolitik entfaltet wird. Da Brzezinski an der Gestaltung des Kalten Krieges aktiv beteiligt war und bis heute eng mit den politischen Eliten Amerikas verbunden ist, sind seine Bücher nicht nur historische, sondern immer zugleich auch politische Dokumente, die einen tiefen Einblick in das Selbstverständnis amerikanischer Außenpolitik gewähren.

Nun ist Brzezinski mit einem neuen Buch an die Öffentlichkeit getreten. Dieses trägt den Titel „Strategic Vision“ und ist insofern höchst bemerkenswert, als Brzezinski darin eine weitreichende politische Wende vornimmt. Er fordert eine umfassende Revision der bisherigen Ausrichtung der amerikanischen Außenpolitik seit dem Ende des Kalten Krieges. Die zentrale These des Buches lautet, dass die USA sich heute in einer ähnlichen Situation befinden wie die Sowjetunion in den 80er Jahren.

Ging es in seinem letzten großen Buch „The Grand Chessboard“ noch darum, die politische Kontrolle über Zentralasien zu gewinnen und sprach er 2008 immerhin noch von einer „Second Chance“ zur Errichtung einer unipolaren Welt, so gesteht er jetzt ein, dass der Machtverlust der USA und die multipolare Welt Realität geworden sind. Damit kommt es zu einer ganzen Reihe von Neubewertungen. Am erstaunlichsten ist, dass er seine radikale Gegnerschaft gegenüber Russland, die in all seinen früheren Büchern direkt oder unterschwellig präsent ist, aufgegeben hat. Mehr noch: Für das Überleben des Westens sei es zentral, Russland zu integrieren.

Von Carter zu Reagan

Die ganze Bedeutung dieser Kehrtwende wird jedoch erst verständlich, wenn man sich den Verlauf von Brzezinskis Karriere vergegenwärtigt. Man könnte Brzezinski als eine moderne Erscheinung des königlichen Beraters bezeichnen. In ihm verbinden sich die Eigenschaften eines politischen Denkers und kühlen Praktikers fast bis zur Ununterscheidbarkeit. Schon in seinen frühen Büchern wird seine Faszination für Macht und ihre Analyse deutlich. Seinem vorrangigen Interesse, die bestehenden Machtstrukturen im Dienste und Sinne der Vereinigten Staaten zu stärken, folgte auch seine Arbeit als Sicherheitsberater unter Jimmy Carter. Damals, in den Jahren 1977 bis 1981, war er direkt an der Ausgestaltung des Kalten Krieges beteiligt.

Waren Nixon und Kissinger noch primär um eine Erhaltung des Status Quo bemüht gewesen, interessierte Brzezinski von Beginn an die Frage, wie man den Kalten Krieg erneut verschärfen und zu einer endgültigen Entscheidung bringen könnte. Sein Einfluss muss auch deshalb hoch veranschlagt werden, weil viele seiner Konzepte anschließend auch von der Reagan-Administration fortgeführt wurden. 1998 enthüllte er in einem Interview mit der französischen Zeitung „Le Nouvel Observateur“, dass die USA bereits vor dem Einmarsch der Sowjetunion in Afghanistan die Mudschaheddin finanziell unterstützt hätten. Ziel dieser Politik sei es gewesen, so Brzezinski, die Wahrscheinlichkeit eines Einmarsches der UdSSR in Afghanistan zu erhöhen. Gefragt, ob er die Unterstützung fundamentalistischer islamischer Gruppen inzwischen bereuen würde, antwortete er: „Was soll ich bereuen? Diese verdeckte Operation war eine hervorragende Idee. Sie bewirkte, dass die Russen in die afghanische Falle tappten und Sie erwarten ernsthaft, dass ich das bereue. Am Tag, da die Russen offiziell die Grenze überschritten, schrieb ich Präsident Carter: Jetzt haben wir die Möglichkeit, der UdSSR ihr Vietnam zu liefern.“ Als der Interviewpartner nachhakt und auf die Verknüpfung von islamischem Fundamentalismus und Terrorismus hinweist, antwortet Brzezinski: „Was ist wohl bedeutender für den Lauf der Weltgeschichte? […] Ein paar verwirrte Muslime oder die Befreiung Mitteleuropas und das Ende des Kalten Krieges?“[1]

>> weiter in den ‘Blättern für deutsche und internationale Politik

Aleksandr Dugin: Liberalism, Communism, Fascism, and the Fourth Political Theory

Aleksandr Dugin: Liberalism, Communism, Fascism, and the Fourth Political Theory

vendredi, 14 septembre 2012

Pussy Riot : pourquoi une telle médiatisation?

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Pussy Riot : pourquoi une telle médiatisation?

 

La presse étrangère s’est passionnée pour un fait divers pourtant relativement sans importance : le dit procès des Pussy Riot. Reprenons les faits. Le 21 février 2012, 3 jeunes femmes encagoulées et déguisées envahissent la cathédrale du Christ-Sauveur de Moscou avec guitares et matériel sonores, et y entament une sorte de prière sous forme de chanson, blasphématoire et grossière (Avec des paroles telles que "Sainte Marie mère de Dieu, deviens féministe" ou encore "merde, merde, merde du Seigneur"), politiquement dirigée contre le candidat à l’élection présidentielle Vladimir Poutine, mais également contre le patriarche orthodoxe accusé de "croire en Poutine plus qu’en dieu". Les jeunes femmes sont rapidement interpellées, arrêtées et déférées devant un tribunal qui ordonne leur mise en détention préventive en attendant leur procès, qui a lieu actuellement. L’église orthodoxe a de son côté  réagi en organisant une grande manifestation autour de cette même cathédrale en avril dernier, manifestation dédiée à "a correction de ceux qui souillent les lieux sacrés et la réputation de l’Eglise" et a laquelle ont pris part des dizaines de milliers de fideles pour afficher leur soutien à l’église et au patriarche.

Le main Stream médiatique a largement surmédiatisé cette affaire. Pour certains la Russie "retournerait au moyen âge", quand d’autres estiment que le pouvoir "durcit sa répression" qui serait dirigée contre la « société civile qui se mobilise». Enfin la majorité des commentateurs ont estimé que les 3 jeunes femmes seraient en prison à cause de leur "prière anti-Poutine". Le groupe Pussy Riot s’est créé en 2011 quand il a semblé clair à ces jeunes femmes que la Russie manquait cruellement d’émancipation politique et sexuelle. L’une des trois jeunes femmes arrêtée, Nadezhda Tolokonnikova, est par ailleurs une militante active LGBT (Lesbiennes, gays, bisexuels et transgenres). Les chansons du groupe traitent principalement des ravages de la routine dans la vie quotidienne, des conditions de travail difficiles pour les femmes et de la bonne façon de réprimer les hommes.

Si beaucoup de journalistes français présentent les jeunes filles comme les victimes d’une Russie quasi-totalitaire, il faut néanmoins rappeler que les Pussy Riot ont plusieurs fois durant les derniers mois organisé des actions "coup de poing" portant atteinte à l’ordre public (voir par exemple ici ou la). Pussy Riot n’est en outre pas seulement un groupe de rock, mais le volet musical d’un groupe anarchiste du nom de Voina (la guerre) et qui ces derniers mois a revendiqué de nombreuses actions que l’on peut ne pas trouver ni "drôles" ni "subversives". Parmi elles l’organisation d’une orgie sexuelle avec des femmes enceintes dans un musée (le nom de l’action étant une insulte violente adressée au président Medvedev), se montrer en public nul et couvert de cafards, se masturber avec une carcasse de poulet dans une épicerie et en sortir en marchant avec la carcasse enfoncée dans les parties génitales, l’attaque à l’urine sur des policiers ou encore de tenter d’embrasser sur la bouche des représentants de l’or
dre du même sexe. Ajoutez à cela de dessiner à la peinture des penis géants sur les routes ou encore la destruction de véhicules de police.

Bien sur donc, celles-ci ne sont pas en détention provisoire et jugée pour des délits d’opinion, contrairement ) ce que l’on peut être amené à croire en lisant la presse internationale, mais parce qu’elles font face à une accusation de hooliganisme, punie de jusqu’à 7 ans de prison en Russie. Les commentateurs français qui lèvent les yeux au ciel lorsqu’ils prononcent cette durée de peine feraient bien de relire le code pénal français, et surtout l’article 322-3-1 qui punit de sept ans de prison et 100.000 € d’amende la dégradation d’un bien culturel exposé dans un lieu de culte. A ce jour, si aucune dégradation n’a cependant été (à ce qu’il semble) constatée lors de leur intervention, il est plausible que les Pussy Riot soient condamnées pour dédommager "les profondes blessures morales infligées à des chrétiens orthodoxes" et ce malgré l’intervention en leur faveur de Vladimir Poutine. Mais surtout et probablement à titre d’exemple pour créer un précédent destine à ne pas déstabiliser la société russe. La Russie est un pays multiconfessionnel, pluriculturel, et qui sort de relatives tensions interreligieuses et intercommunautaires à la dislocation de l’Union-Soviétique. C’est un pays encore aujourd’hui victime du terrorisme fondamentaliste et qui maintient assez habilement et une cohabitation entre des groupes religieux et ethniques très variés, sur un territoire gigantesque. Plus que cela, au sortir de presqu’un siècle de dictature athéiste, le renouveau de la foi est quelque chose de particulièrement sensible.

Leur procès qui a débuté le 30 juillet 2012, passionne sans doute plus les commentateurs étrangers que russes. De nombreuses figures de la société civile et de l’intelligentsia libérale russe ont manifesté leur soutien aux Pussy Riot, tout comme l’internationale du Show-bizness, allant des stars de musique internationalement connues comme Madonna, Sting, Patty Smith ou encore des acteurs américains comme Danny de Vito. En face, l’église orthodoxe fait relativement front unique, le porte-parole du patriarcat (le très conservateur Vsevolod Tchapline) affirmant même que les jeunes femmes avaient commis un "crime pire qu’un meurtre" et devaient être "punies". Le département d’état américain, via le porte-parole de la diplomatie américaine Patrick Ventrell, a enfin lui déclaré que du point de vue des États-Unis, l'affaire Pussy Riot était politiquement motivée et que Washington la considérait comme un harcèlement de l'opposition. Récemment c’est donc le président russe Vladimir Poutine lui-même est lui-même interv
enu, appelant à la clémence et jugeant que les Pussy Riot avaient obtenu ce qu’elles souhaitaient, à savoir un battage médiatique fort. Ce faisant, il coupe l’herbe sous le pied à ceux qui ont affirmé que les Pussy Riot étaient enfermées pour des raisons politiques, car elles s’en seraient prises à lui via les paroles de leurs chansons. Mais malgré l’énorme battage médiatique qui est consacré à ce procès, seuls 15% des Russes sondés à ce sujet souhaitent que ces dernières soient amnistiées.

Je reste donc perplexe face a cette affaire et doute par ailleurs très sincèrement que nombre de commentateurs puissent trouver "drôle et subversive" une action similaire dans une mosquée, une synagogue ou un temple bouddhiste, notamment en France. On peut du reste se demander ce qui pousse des gens quels qu’ils soient à aller importuner des croyants quels qu’ils soient et porter atteinte à l’intégrité de lieux de cultes quels qu’ils soient.

Preuve de l’utilité certainement unique de leur action, un journaliste au pseudo de Dick Riot accompagne désormais chaque événement politique de l’opposition en tentant de discuter et de poser des questions, le visage vêtu d’une cagoule noire, tout comme les Pussy Riot. Visiblement, les leaders de l’opposition interrogés, qui soutiennent pourtant tous très activement les Pussy Riot, n’apprécient guère la plaisanterie (voir ici).

Deux poids deux mesures ?

L’opinion de l’auteur ne coïncide pas forcément avec la position de la rédaction.

* Alexandre Latsa est un journaliste français qui vit en Russie et anime le site DISSONANCE, destiné à donner un "autre regard sur la Russie". Il collabore également avec l'Institut de Relations Internationales et Stratégique (IRIS), l'institut Eurasia-Riviesta, et participe à diverses autres publications.

 

Le point démographique de juin 2012 en Russie

"Un autre regard sur la Russie": La démographie russe de 1991 à 2012

"Un autre regard sur la Russie": Et la démographie russe dans tout ca?

"Un autre regard sur la Russie": La démographie russe, objet de tous les fantasmes

"Un autre regard sur la Russie": Russie - éducation et modernisation

samedi, 14 juillet 2012

Warrior heritage of Ukrainian Cossacks

Warrior heritage of Ukrainian Cossacks

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jeudi, 12 juillet 2012

The Fourth Political Theory

 
Het boek wordt voorgesteld op 28 juli 2012 in Stockholm (voor Europa) en in Brazilië (voor het Amerikaanse continent).
 
 
Table of Contents:

A Note from the Editor
Foreword by Alain Soral
Introduction: To Be or Not to Be?

1. The Birth of the Concept
2. Dasein as an Actor
3. The Critique of Monotonic Processes
4. The Reversibility of Time
5. Global Transition and its Enemies
6. Conservatism and Postmodernity
7. ‘Civilisation’ as an Ideological Concept
8. The Transformation of the Left in the Twenty-first Century
9. Liberalism and Its Metamorphoses
10. The Ontology of the Future
11. The New Political Anthropology
12. Fourth Political Practice
13. Gender in the Fourth Political Theory
14. Against the Postmodern World
Appendix I: Political Post-Anthropology
Appendix II: The Metaphysics of Chaos

jeudi, 28 juin 2012

Renaissance de la Russie et éveil de la Chine conduisent à l’invention d’un Nouvel Ordre International, dans lequel l’ Empire US disparaîtra

Renaissance de la Russie et éveil de la Chine conduisent à l’invention d’un Nouvel Ordre International, dans lequel l’Empire US disparaîtra

 

A la fin du XXe siècle, la bonne nouvelle aura été la disparition de l’URSS en tant qu’empire imposant sa loi sur l’Europe centrale, et la mauvaise aura été la survie des USA en tant qu’empire imposant leur loi sur l’Europe occidentale, l’Amérique latine et d’autres parties du monde. La renaissance de la Russie et l’éveil de la Chine conduisent inexorablement à l’invention d’un Nouvel Ordre International, dans lequel l’anachronique Empire US aura disparu. Dès lors, les stratèges s’interrogent sur la manière de limiter les affrontements inhérents aux périodes charnières. Pour le docteur Imad Shuebi, les nouveaux leaders du monde, Beijing et Moscou, agissent avec précaution pour prévenir une guerre mondiale, mais s’attendent à de sanglants conflits régionaux.

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Parler d’ère post-étasunienne ne relève plus aujourd’hui du vœu pieux ou du simple point de vue politique. Quand j’ai écrit à ce propos, en 1991, dans mon ouvrage Le Nouvel Ordre Politique Mondial, il s’agissait d’une sorte d’analyse prospective, il était impossible d’y croire à cette époque. L’incrédulité résultait de phénomènes connus en épistémologie tels que l’obstacle de la connaissance commune ou la résistance au changement.

À l’époque, ma réflexion constituait une rupture épistémologique, ce que désignera plus tard Nassim Nicholas Taleb sous le vocable de « théorie du cygne noir », ou encore « pensée latérale » [1]. J’attirais l’attention sur le fait que —et c’est toujours le cas— les Grandes Puissances ne meurent pas dans leur lit. Le danger que représente la mort de tels États réside dans le fait qu’ils possèdent à la fois des armes nucléaires et un important passif historique et stratégique. De telles choses ne s’effacent pas. Elles subsistent au fond de leur conscience et dans leurs souvenirs.

Les officiels russes et chinois ne s’en sont jamais cachés et il ne s’agissait pas non plus d’un excès de candeur —contrairement à ce qu’a écrit Zbigniew Brzezinski— quand ils sont arrivés à la conclusion que l’émergence de la Russie et de la Chine et le déclin des États-Unis étaient inévitables, mais que ce dernier ne devait pas être trop brusque [2] . Pour les grandes puissances, la rupture n’est pas une option. Elles peuvent échouer, mais pas s’effondrer. En réalité de telles puissances ne peuvent être que dissoutes.

Zbigniew Brzezinski en convient, mais il estime peu probable que le monde soit dominé par un successeur unique —pas même la Chine— ce sur quoi nous sommes pour le moment d’accord, de la même manière que nous convenons que la phase de désordre global et d’incertitude internationale s’est aggravée à tel point en 2011 que désormais menace un chaos épouvantable. Les États-uniens, comme les Chinois et les Russes, redoutent une telle perspective ; mais pour certains États aventureux comme la France et quelques autres pays au Proche-Orient, la perspective de perdre leur statut de puissance régionale fait craindre un accroissement du risque de déstabilisation. Les Puissances fortes redoutent le chaos alors que les Puissances faibles misent parfois sur celui-ci pour perturber les Fortes, dans l’espoir de les faire reculer sur la scène internationale avec des pertes minimales.

De façon notable, l’évolution vers un nouvel ordre international s’est accélérée au cours des deux années 2011 et 2012 dans la mesure où il n’y a eu qu’un court intervalle séparant l’annonce par Poutine de la fin de l’unipolarité, précisant que les puissances émergentes n’étaient pas encore prêtes à prendre le relai, de sa déclaration lors du Sommet des BRICS à propos de la formation d’un Nouveau Système Économique et Bancaire (la Banque BRICS) [3]. Non seulement le haussement de ton de la Russie et de la Chine à conduit à deux double vétos, mais il leur a aussi donné le rôle moteur dans la dynamique actuelle en Méditerranée orientale, signifiant sans équivoque à la fois la fin de l’histoire états-unienne dans la région et l’impossibilité actuelle pour les différentes parties de prétendre à quelque nouvelle répartition que se soit.

La déclaration d’Obama, début 2012, sur la Nouvelle Stratégie Américaine annonçant « être en alerte et attentifs dans la Méditerranée orientale » ressemblait à une reconnaissance du nouveau rapport de force dans la région, parallèlement à l’armement du voisinage immédiat de la Chine. De plus, les déclarations d’Hillary Clinton depuis l’Australie sont apparues comme le prolongement de ces propos sur un affrontement avec la Chine, ce à quoi cette dernière s’est contentée de répondre : « Personne ne peut empêcher le soleil chinois de se lever ».

Du fait de ces différentes déclaration états-uniennes, la Chine n’a pas attendu 2016 pour faire une démonstration de sa nouvelle puissance. Au contraire, elle s’empressa de se prononcer en faveur d’un ordre multipolaire —reprenant les termes russes— vu comme un Ordre International basé sur deux axes autour de chacun desquels de multiples pôles seraient en orbite. Mais leur axe serait ascendant pendant que l’autre serait descendant.

Il est devenu clair que l’aggravation du conflit à profondément secoué la diplomatie états-unienne, à tel point qu’elle fut contrainte —en avril 2012— de sonner la retraite, même si ce ne fut que verbalement, et de préciser qu’elle n’était pas en Guerre froide avec la Chine. Ceci faisait suite à une rencontre entre le Premier ministre chinois et Kofi Annan. Il fut annoncé à l’émissaire de l’ONU et de la Ligue arabe que la Chine et la Russie étaient désormais les premières Puissances, respectivement à la première et à la deuxième place, et qu’il était dans l’obligation de se coordonner avec eux. Annan lui-même, en tant que témoin du monde unipolaire de 1991 jusqu’au début du 21e siècle, devait aussi être le témoin de la chute de ce monde et devait admettre que dorénavant la question de la Méditerranée orientale était du ressort de Moscou et de Beijing.

Washington vient de vivre une décennie entière de guerres —une période qui ressemble à la course aux armements avec l’URSS, dite de « guerre des étoiles »— qui, avec d’autres facteurs critiques, à épuisé les États-unis et les ont transformés en une nation au bord de la banqueroute. Ceci les a incités à annoncer un repositionnement en direction de la périphérie de la Chine dans une tentative de jouer un rôle dans la région Indo-Pacifique. Mais il sont revenus sur leurs déclarations d’une manière telle qu’elle laisse à penser aux observateurs que cet État à déjà perdu son aura de superpuissance. Il est un fait que lorsque une puissance menace de faire usage d’une force dont seules les superpuissances sont dotées, elle perd les deux tiers de sa force.

Le monde change. Nous sommes en train d’assister précisément à la cristallisation de ce Nouvel Ordre International dont la formation avait été reportée depuis l’effondrement de l’Union soviétique, mais dont l’arrivée à maturité s’accélère, bien que les nouvelles puissances ne soient pas encore tout à fait prêtes pour cela. L’accélération des événements au Proche-Orient à contraint ces nouveaux acteurs à rejoindre la partie à marche forcée. Cependant, les conséquences de l’émergence de nouvelles puissances et du déclin de celles, comme les États-Unis, qui étaient auparavant leaders mondiaux vont se manifester sous peu. Elles se matérialiseront dans des luttes sanglantes qui ne pourront être résolues qu’une fois le Nouvel Ordre International établi, et avec le consentement des différents acteurs, selon le nouveau statut de chacun.

 

[1] Selon l’épistémologue libano-US Nassim Nicholas Taleb, « Un cygne noir est un événement hautement improbable doté de 3 caractéristiques principales : Il est imprévisible, engendre des conséquences majeures et une explication a posteriori est toujours donnée afin de rendre celui-ci plus rationnel, lui conférant ainsi une apparente et sécurisante prévisibilité ». Cf. Le Cygne Noir, La puissance de l’imprévisible, Les Belles Lettres, 2008.

[2] « After America – How does the world look in an age of U.S. decline ? », par Zbigniew Brzezinsk, Foreign Policy, janvier/février 2012.

[3] Voir la “Delhi Declaration (Fourth BRICS Summit)”, Voltaire Network, 29 mars 2012.

Charte de l’ONU ou un monde à la Rambo …

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Charte de l’ONU ou un monde à la Rambo …

Lavrov: Le futur rapport de forces dépendra de l’issue de la crise syrienne

D’après le ministre russe des Affaires étrangères, Sergueï Lavrov, le futur rapport de forces dans le monde et l’ordre mondial dépendront de l’issue de la crise qui perdure en Syrie.

Le mode de solution de la crise syrienne serait décisif pour l’avenir du monde: ou l’on s’appuiera sur la Charte de l’ONU, ou ce sera le droit du plus fort qui régnera, c’est ce que Lavrov a dit samedi passé à Moscou. Il a souligné que le Conseil de sécurité de l’ONU ne permettra pas d’intervention militaire en Syrie. «Et cela non pas parce que nous défendons Assad ou son régime, mais parce que nous savons combien la composition interconfessionnelle de la société syrienne est compliquée. Quelques-uns de ceux qui exigent une intervention militaire veulent détruire cette composition interconfessionnelle et changer la Syrie en un champ de bataille pour la suprématie dans le monde islamique», a dit Lavrov. Ce serait une tendance très dangereuse. La Russie fera tout ce qui est en son pouvoir pour empêcher un tel développement. «Nous ne défendons pas le régime, mais les chances pour une stabilité dans cette région et dans le monde islamique. Nous défendons le droit international», a souligné Lavrov. En Syrie, il y a plus de 14 mois, des protestations violentes ont éclaté contre Bachar al-Assad. D’après les indications de l’ONU, environ 12 000 personnes ont été tuées dans des affrontements entre l’armée et l’opposition armée. L’opposition syrienne, mais aussi des Etats occidentaux, demandent la démission d’Assad. En 2011 et en 2012, au Conseil de sécurité de l’ONU, la Russie et la Chine ont bloqué par leur veto deux projets de résolutions présentés par des Etats occidentaux concernant la Syrie. Moscou a justifié le refus avec le souhait d’empêcher une intervention militaire en Syrie d’après le «scénario libyen», parce que les résolutions n’excluaient pas des interventions militaires internationales contre le régime d’Assad. L’ancien secrétaire général de l’ONU, Kofi Annan, a conçu, sur l’ordre des Nations Unies et de la Ligue arabe, un plan de paix pour la Syrie qui prévoit la fin des violences, le départ des villes des troupes du gouvernement, un dialogue entre le gouvernement et l’opposition ainsi que l’accès libre pour les biens de secours. Le 12 avril, les parties du conflit ont déclaré un armistice. Le Conseil de sécurité de l’ONU a donné le feu vert à une délégation de 300 observateurs en Syrie. Malgré cela, il y a toujours des combats et des violences sanglantes. D’après les indications des autorités syriennes, les rebelles ont enfreint l’armistice plus de 5000 fois. L’opposition quant à elle, rend l’armée du gouvernement responsable de la violence qui perdure.     •

Source: Ria Novosti du 9/6/12, http://de.rian.ru/politics/20120609/263761923.html 
(Traduction Horizons et débats)

mercredi, 13 juin 2012

Civilization as political concept

Civilization as political concept

Interview with the leader of the International “Eurasian Movement”, a philosopher, and a  professor at Moscow State University Alexander Dugin

Interviewed by the Global Revolutionary Alliance’s own Natella Speranskaja 

Ex: http://www.granews.info/

- The crisis of identity, with which we faced after the Cold War and the collapse of the communist world, is still relevant. What do you think is capable of lifting us out of this crisis  – a religious revival or creation of a new political ideology? Which of the options are you  inclined to yourself?

- After the collapse of communism came the phase of the “unipolar moment” (as Charles Krauthammer called it). In geopolitics, this meant the victory of unilateralism and Atlanticism, and because the pole was left alone, the West has become a global phenomenon. Accordingly,  the ideology of liberalism (or more accurately, neo-liberalism) is firmly in place crushing the two alternative political theories that existed in the twentieth century – communism and fascism . The Global liberal West has now defined culture, economics, information and technology, and politics. The West’s claims to the universalism of it’s values, the values of Western modernity and the Postmodern era, has reached its climax. 

Problems stemming from the West during the “unipolar moment” has led many to say that this “moment” is over, that he could not yet be a “destiny” of humanity.That is, a “unipolar moment” should be interpreted very broadly – not only geopolitical, but also ideologically, economically, axiologically, civilization wide. The crisis of identity, about which you ask, has scrapped all previous identities – civilizational, historical, national, political, ethnic, religious, cultural, in favor of a universal planetary Western-style identity  – with its concept of individualism, secularism, representative democracy, economic and political liberalism, cosmopolitanism and the ideology of human rights.Instead of a hierarchy of identities, which have traditionally played a large role in sets of collective identities, the “unipolar moment” affirmed a flat one-dimensional identity, with the absolutization of the individual singularity.  One individual = one identity, and any forms of the collective identity (for example, individual as the part of the religious community, nation, ethnic group, race, or even sex) underwent dismantling and overthrow. Hence the hatred of globalists for different kind of “majorities” and protection of minorities, up to the individual.

The Uni-polar Democracy of our moment - this is a democracy, which unambiguously protects the minority before the face of the majority and the individual before face of the group.  This is  the crisis of identity for those of non-Western or non-modern (or even not “postmodern”) societies,since this is where customary models are scrapped and liquidated. The postmodern West with  optimism, on the contrary, asserts individualism and hyper-liberalism in its space and zealously  exports it on the planetary scale.

However, it’s not painless, and has caused at all levels it’s own growing rejection.  The problems, which have  appeared in the West in the course of this “uni-polar moment”, forced many to speak, that this “moment’s” conclusion, has not succeeded in becoming “the fate” of humanity.  This, therefore,  was the cost of the  possibility of passage to some other paradigm…

So, we can think about an alternative  to the “unipolar moment” and, therefore, an alternative to liberalism, Americanism, Atlanticism, Western Postmodernism, globalization, individualism, etc. That is, we can, and I think should,  work out plans and strategies for a “post-uni polar world “, at all levels – the ideological and political, the economic, and religious, and the philosophical and geo-political, the cultural and civilizational, and technology, and value.

In fact, this is what I call multi-polarity. As in the case of uni-polarity it is not only about the political and strategic map of the world, but also the paradigmatic philosophical foundations of the future world order.  We can not exactly say that the “uni-polar moment” has finally been completed. No, it is still continuing, but it faces a growing number of problems. We must put an end to it – eradicate it. This is a global revolution, since the existing domination of the West, liberalism and globalism completely controls the  world oligarchy, financial and political elites.

So they just will not simply  give up their positions. We must prepare for a serious and intense battle.   Multi-polarity will be recaptured by the conquered peoples of the world in combat and it will be able to arise only on the smoking ruins of the global West.  While the West is still dictating his will to the rest, to talk about early multipolarity  – you must first destroy the Western domination on the ground.   Crisis – this is much, but far from all.

- If we accept the thesis of the paradigmatic transition from the current unipolar world order model to a new multi-polar model, where the actors are not nation-states, but  entire civilizations, can it be said that this move would entail a radical change in the very human identity?

- Yes, of course. With the end of the unipolar moment, we are entering a whole new world. And it is not simply a reverse or a step back, but it is a step forward to some unprecedented future, however, different from the digital project of “lonely crowds”, which is reserved for  humanity by globalism. Multi-polar identity will be the complex nonlinear collection of different identities – both individual and collective, that is varied for each civilization (or even inside each civilization).

This is something completely new that  will be created.

And the changes will be radical. We can not exclude that, along with known identities, civilizations, and offering of  new ways … It is possible that one of these new identities will become the identity of “Superman” – in the Nietzschean sense or otherwise (for example, traditionalist) …  In the “open society” of globalism the individual is, on the contrary, closedand strictly self-identical.

The multi-polar world’s anthropological map will be, however, extremely open, although the boundaries of civilizations  will be defined clearly. Man will again re-open the measurement of inner freedom – “freedom for”, in spite of the flat and purely external  liberal freedom – “freedom from” (as John Mill), Which is actually,  not freedom, but its simulacrum, imposed for a more efficient operation of the planetary masses by a small group of global oligarchs.

- Alexander Gelevich Dugin, you are the creator of the theory of a multi-polar world, which laid the foundation from which we can begin a new historical stage. Your book“The theory of a multi-polar world” has been and is being translated into other languages. The transition to a new model of world order means a radical change in the foreign policy of nation-states, and in today’s global economy, in fact, you have created all the prerequisites for the emergence of a new diplomatic language. Of course, this is a challenge of the global hegemony of the West. What do you think will be the reaction of your political opponents when they realize the seriousness of the threat posed?

- As always in the vanguard of  philosophical and ideological ideas, we first have the effect of bewilderment, the desire to silence or marginalize them. Then comes the phase of severe criticism and rejection. Then they begin to consider. Then they become commonplace and a truism. So it was with many of my ideas and concepts in the past 30 years. Traditionalism, geopolitics, Sociology of imagination , Ethnosociology, Conservative Revolution , National Bolshevism, Eurasianism, the Fourth Political Theory, National-structuralism, Russian Schmittianism, the concept of the three paradigms, the eschatological gnosis, New Metaphysics and Radical Theory of the Subject , Conspiracy theories, Russian haydeggerianstvo , a post-modern alternative , and so on – perceived first with hostility, then partially assimilated, and finally became part of mainstream discourse in academia and politics of Russia, and in part, and beyond.

Each of these directions has their fate, but the diagram of their mastering is approximately identical. So it will be also with the theory of a multipolar world   It will be hushed up, and then demonized and fiercely criticized, and then they will begin to look at it closely, and then accepted. But for all this it is necessary to pay for it and to defend it in the fight.  Arthur Rimbaud said that “the spiritual battle as fierce and hard, as the battle of armies.” For this we will have to struggle violently and desperately. As for everything else.

- In the “Theory of a multipolar world,” you write that in the dialogue between civilizations the responsibility is born by the elite of civilization. Do I understand correctly, it should be a “trained” elite, that is, the elite, which has a broad knowledge and capabilities, rather than the present “elite”? Tell me, what is the main difference between these elites?

- Civilizational elite – is a new concept. Thus far  it does not exist. It is a combination of two qualities – deep assimilation of the particular civilizational culture (in the philosophical, religious, value levels) and the presence of a high degree “of drive,” persistently pushing people to the heights of power, prestige and influence. Modern liberalism channels passion exclusively in the area of economics and business, creating a preference for a particular social elevator and it is a particular type of personality (which is an American sociologist Yuri Slezkine called “mercurial type”) .

The Mercurial elite of globalism, “aviakochevniki” mondialist nomadism, sung by Jacques Attali, should be overthrown in favor of radically different types of elites. Each civilization can dominate, and other “worlds”, not only thievish, mercurial shopkeepers and  cosmopolitans.  Islamic elite is clearly another – an example of this we see in today’s Iran, where the policy (Mars) and economics (Mercury) are subject to  spiritual authority, of the Ayatollah (Saturn).

But the “world” is only a metaphor. Different civilizations are based on different codes. The main thing is that the elite must be reflected in the codes themselves, whatever they may be. This is the most important condition. The will to power inherent in any elite, shall be interfaced with the will to knowledge, that is intellectualism and activism in such a multipolar elite should be wedded. Technological efficiency and value (often religious) content should be combined in such an elite. Only such an elite will be able to fully and responsibly participate in the dialogue of civilizations, embodying the principles of their traditions and engaging in interaction with other civilizations of the worlds.

- How can you comment on the hypothesis that the return to a bipolar model is still possible?

- I think not, practically or theoretically. In practice, because today there is no country that is comparable to the basic parameters of the U.S. and the West in general. The U.S. broke away from the rest of the world so that no one on its own can compete with them. Theoretically, only the West now has a claim to universality of its values, whereas previously Marxism was regarded as an alternative. After the collapse of the Soviet Union it became clear that universalism is only  liberal, capitalist. To resist Western imperialism there can only be a coalition of large spaces – not the second pole, but immediately multiple poles, each of them with its own strategic infrastructure and with a particular civilizational, cultural and ideological content.

- How real is the sudden transition to a non-polar model? What are the main disadvantages of this model?

- Passage to a non-polar model, about which leaders are increasingly talking of in the Council on Foreign Relations (Richard Haass, George Soros,etc.), means the replacement of the facade of a uni-polar hegemony, the transition from the domination based on military and strategic power of the United States and NATO (hardware ) to dispersed domination of the West as a whole (software). These are two versions – hard-hegemony and soft-hegemony. But in both cases the West, its civilization, its culture, its philosophy, its technologies, its political and economic institutes and procedures come out as the standard universal model.  Over the long term, this will indicate  the transfer of power to a “world government”, which will be dominated by all  the same Western elites, the global oligarchy. It will then  discard it’s  mask and will act directly on behalf of the transnational forces. In some sense non-polarity is worse than uni-polarity, though, it would seem hard to believe.

Non-polarity itself, and even more sharply and rapidly, will not yet begin. For this, the world must go through the turmoil and trials until a desperate humanity itself cried for the world elite with a prayer for salvation. Prior to that, to weaken the power of the United States, world disasters occur, and war. Non-polar world under the control of a world government, consisting of direct representatives of the global oligarchy,  is expected by many religious circles as the coming “of the kingdom of the Antichrist.”

As for the “shortcomings” of such a model, I believe that it is just  “a great parody of” the sacred world empire, which  Rene Guenon warned of in his work The Reign of Quantity and the Signs of the Times. This will be a global simulacrum.  To recognize these “deficiencies” will  not be so easy, otherwise opposition “to the antichrist” would be too simple a matter, and the depth of his temptation would be insignificant.

The true alternative is a multi-polar world, everything else – evil in the truest sense of the word.

- The “counter-hegemony” by Robert Cox, who you mention in your book aims to expose the existing order in international relations and raise the rebellion against it. To do this, Cox called for the creation of counter-hegemonic bloc, which will include political actors who reject the existing hegemony. Have you developed the Fourth Political Theory as a kind of counter-hegemonic doctrine that could unite the rebels against the hegemony of the West?

- I am convinced that the Fourth Political Theory fits into the logic of building counter-hegemony, which Cox spoke of. By the way, also inthe proximity of critical theory in the MO theory, and multi-polar world is a wonderful text by Alexandra Bovdunova ,voiced at the Conference on the Theory of a multipolar world in Moscow, Moscow State University on 25-26 April 2012 .

4PT is not a complete doctrine, this is still the first steps toward the exit from the conceptual impasse in which we find ourselves in the face of liberalism, today rejected by more and more people around the world, in the collapse of the old anti-liberal political theories – Communism and Fascism. In a sense, the need for 4PT – is a sign of the times, and really can not be disputed by anyone. Another matter, what will be 4PT in its final form. The temptation appears to build it as a syncretic combination of elements of previous anti-liberal doctrines and ideologies …

I am convinced that we should go another way. It is necessary to understand the root of the current hegemony. This coincides with the root of modernity as such, and it grows from the roots of modernity in all three pillars of political theories – liberalism, communism and fascism. To manipulate them to find an alternative to modernity and liberalism, respectively, and of the liberal hegemony of the West, is in my view, pointless. We must move beyond modernity in general, beyond the range of its political actors – individual, class, nation, state, etc.

Therefore 4PT as the basis of a counter-hegemonic planetary front should be constructed quite differently. Like the theory of a multipolar world 4PT operates with a new concept – “civilization”, but 4PT puts special emphasis on the existential aspect of it. Hence the most important, the central thesis of 4PT that its subject is the actor -  Dasein. Every civilization, its Dasein, which means that it describes a specific set of existentials. On their basis, should be raised a new political theory  generalized at the following level into a “multipolar federation Of Dasein” as the concrete structure of counter – hegemony. In other words, the very counter-hegemony must be conceived existentially, as a field of war between the inauthentic globalization (global alienation) and the horizon of authentic  peoples and societies in a multipolar world (the possibility of overcoming the alienation  of civilizations).

- When we talk about cognitive uprising, however first of all, our actions should be aimed at the overthrow of the dictatorship of the West?

- The most important step is the beginning of the systematic preparation of a global revolutionary elite-oriented to multi-polarity 4PT. This elite must perform a critical function – to be a link between the local and global. At the local level we are talking about the masses and the clearest exponents of their local culture (religious leaders, philosophers, etc.). Often, these communities do not have a planetary perspective and simply defend their conservative identity before the onset of toxic globalization and Western imperialism.

Raising the masses and the traditionalist-conservatives  to a realized uprising in the context of a complex union of a counter-hegemonistic block is  extremely difficult. Simple conservatives and their supportive mass, for example, of the Islamic or Orthodox persuasion are unlikely to realize the necessity of  alliances with the Hindus or the Chinese. This will be the play  (and they are already actively playing it) of the globalists and their principle of “divide and conquer!” But the revolutionary elite, which is the elite, even within a particular traditionalist elite of society, should take the , heartfelt deep and deliberate feelings of local identity and correlate it within a total horizon of multi-polarity, and  4PT.

Without the formation of such a elite the revolt against the  post-modern world and the overthrow of the dictatorship of the West will not take place. Every time and everywhere   the West has a problem, he will come to the aid of anti-Western forces, which, however, will be motivated by narrow bills to specific civilizational neighbors – most often, just as anti-Western as they are. So it will be and already is the instrumentalization of globalists of various conservative fundamentalist and nationalist movements. Islamic fundamentalists to help the West is one. European nationalists – is another. So a “unipolar moment” extends not only to exist in itself, but also playing the antagonistic forces against him. The overthrow of the dictatorship of the West will become possible only if this strategy  will be sufficient enough to create or make appear a new counter-hegemonic elite. A initiative like Global Revolutionary Alliance – the unique example of really revolutionary and effective opposition to hegemony.

- You have repeatedly said that Eurasianism is a strategic, philosophical, cultural and civilizational choice. Can we hope that the political course chosen by Vladimir Putin (establishment of a Eurasian Union ) Is the first step towards a multipolar model?

- This is a difficult question. By himself, Putin and, especially, his environment, they act  more out of inertia, without calling into question the legitimacy of the existing planetary status quo. Their goal – to win his and Russia’s  rather appropriate place within the existing world order. But that is the problem: a truly acceptable place for Russia is not and can not exist, because the “uni-polar moment”, as well as the globalists stand for the desovereignization of Russia, eliminating it as an independent civilization, and strategic pole.

This self-destruction seems to suit, Dmitry Medvedev and his entourage (INSOR) for he was ready to reboot and go for almost all of it. Putin clearly understands the situation somewhat differently, and his criteria of “acceptability” is also different. He would most of all psychologically  arrange  a priority partnership with the West while maintaining the sovereignty of Russia. But this is  something  unacceptable under any circumstances to the unipolar globalists -  practically or theoretically.

So Putin is torn between multipolarity, where he leads the orientation of  sovereignty and Atlanticism, where he leads the inertia and the tireless work of a huge network of influence that permeates all of the structure of Russian society. Here’s the dilemma. Putin makes moves in both directions – he proclaims multi-polarity, the Eurasian Union, to protect the sovereignty of Russia, even spoke of the peculiarities of Russian civilization, strengthening vertical power, shows respect (if not more) to Orthodoxy, but on the other hand, surrounds himself with pro-American experts (eg, “Valdai Club”), rebuilds, education and culture under the globalistic Western models, has a liberal economic policy and suffers comprador oligarchs, etc.

The field for maneuver Putin is constantly shrinking. The logic of the circumstances pushes him to a more unambiguous choice. Inside the country this uncertainty of course causes growing hostility, and his legitimacy falls.

Outside the country  the West only increases the pressure on Putin to persuade him towards globalism and the recognition of “unilateralism”, specifically – to cede his post to the Westerner Medvedev. So Putin, while continuing to fluctuate between multipolarity and Westernism, loses ground and support here and there.

The new period of his presidency will be very difficult. We will do everything we can to move it to a multipolar world, the Eurasian Union and 4PT. But we are not alone in Russian politics – against us for influence in Putin’s circles we have an army of liberals, agents of Western influence and the staff of the global oligarchy. For us, though, we have the People and the Truth. But behind them – a global oligarchy, money, lies, and, apparently, the father of lies. Nevertheless, vincit omnia veritas. That I have no doubt.

mardi, 12 juin 2012

Multipolarity as challenge

Multipolarity as challenge

Interview with political analyst Alexander Latsa by N.Speranskaya for GRAnews

Ex: http://www.granews.info/

The collapse of the Soviet Union meant the cancellation of the Yalta system of international relations and the triumph of the single hegemony - the United States, and as a consequence, transformations of the bipolar world order to a unipolar model. Nevertheless, some analysts are still talking about a possible return to a bipolar model. How do you feel about this hypothesis? Is there a likelihood of emergence of a power capable of challenging the global hegemony?

The collapse of the Soviet Union has indeed led directly to an American domination of the world affairs. When Bush father proclaimed the new world order in the sands of Iraq, many (in the Western world) even thought that it would be so forever, that the history of ideas had stopped and that the world would from now on forever be under American domination. 

We can see today that those who thought so were wrong, and it only took a decade for History to take back its rights, leading America into wars that will accelerate its decline, while paradoxically, they were supposed to establish its domination. 

During the same decade, Russia was reborn from its ashes and has once again become a strong regional power, a power that has visions of domination of Eurasia, as Vladimir Putin hammered during his first speech as the elected president on May 7, 2012. 

We hear a lot more about the Russia / America confrontation than at the beginning of this century but these countries will probably never be anymore the main key players in the world of tomorrow, unlike America and the USSR in the world of yesterday. 

Logically, China is today targeted by the American strategists as being a main adversary as it is most likely to become the leading world power during this century, on an economical, financial and demographic level - perhaps even a military one. China should therefore become the biggest competitor of an America in decline, and if nothing is done, the world of tomorrow will be punctuated by the China/America opposition.

Zbigniew Brzezinski openly admits that the U.S. is gradually losing its influence. Here it is possible to apply the concept of "imperial overstretch", introduced by renowned historian Paul Kennedy. Perhaps, America has faced that, what was previously experienced by the Soviet Union. How do you assess the current state of the U.S.?

Zbigniew Brzezinski is getting older and is probably aware of his mistakes, realizing that his outlook for the future world (under an American domination) have not fully come true. I say "not fully” because today the world is still dominated by the American hyper-power. The dollar is still the dominant currency in 2012 and America remains the world's largest economy, although the 2008 crisis seems to have been almost fatal to this financial domination. On the military level, its predominance is also over. Iraq and especially Afghanistan have shown the limits of the American military supremacy. Nobody longer sees America as an invulnerable power as it was the case a decade ago. Curiously though, America just like the USSR chose to die and go to prove their vulnerability to the world in the same location:Afghanistan. I would like to add that this “end of Empire” had already been planned by a French sociologist, Emmanuel Todd, in 2002.

The loss of global influence of the U.S. means no more, no less, as the end of the unipolar world. But here the question arises as - to which model will happen the transition in the nearest future? On the one hand, we have all the prerequisites for the emergence of the multipolar world, on the other – we face the risk of encountering non-polarity, which would mean a real chaos.

In fact, no one knows what direct and indirect consequences the collapse of this superpower may have. Neither do we know if the unilateral post-transition will not be chaotic, nor how this potential chaos will occur. One can really wonder who the future major players will be in a "world of post-American domination."
China and India are likely to become (in that order) the two dominant powers in the Southern Eurasia and in the South East Asia. Russia will likely become the dominant power in Northern and Western Eurasia but it will also probably be a new pole of attraction for the European nations, for cultural, political and religious reasons.

I would also add that if neither China nor Russia nor India have and probably should not have, global ambitions, those powers should have strong regional ambitions in their respective zones of influence, that is to say in Eurasia / Central Asia / South East Asia. And yet this area is obviously a key strategic geopolitical area. Russian, Indian, Chinese and American regional interests will therefore probably continue to cross, and accentuate the new great game between these great powers at the heart of Eurasia. Thus it is doubtful that the transition towards a multipolar world (or at least towards a world that will no longer be under American control) happens in a non-chaotic, at least initially.

The project of "counter-hegemony", developed by Cox, aims to expose the existing order in international relations and raise the rebellion against it. For this, Cox calls for the creation of counter-hegemonic bloc, which will include those political actors who reject the existing hegemony. The basis of the unipolar model imposed by the United States, is a liberal ideology. From this we can conclude that the basis of the multipolar model just the same has to be based on some ideology. Which ideology, in your opinion, can take replace the counter-hegemonic one, capable of uniting a number of political actors who do not agree with the hegemony of the West?

The opposition of the communist and liberal ideologies had the advantage of structuring the world. With the victory of the liberal ideology, through the military and political victory of the Western coalition, there was more or less  a sense of global unity  because "the world" thought that victory was final and that the ideology of the winner would be "functional". But three decades later (and this has accelerated since the crisis of 2008) the system now appears to be corrupt, probably unsustainable and not adapted to the world. 

The liberal ideology has accelerated the globalization process, but this globalization has probably contributed indirectly to the destruction of the Western domination and of the related liberal ideology, that had put the economy at the heart of human history, just as Marxism had somehow done it before.

To have a glance at the emerging powers undoubtedly gives clues about the near future. The  new emerging  players of the world (BRICS for example), are a group of emerging powers that despite their important cultural, civilizational, geopolitical and demographic differences, also appear to have a lot of similarities. Their emergence is characterized by a type of development that challenges the recommendations of economic liberalism. These powers are characterized by strong state intervention. The BRICs are also societies in transition from an authoritarian tendency (China, Russia) or conservative societies dominated by a cast system (India, Brazil). Consequently they do not accept Western standards i.e. the rule of law and democracy. Their foreign policies are converging to challenge the status quo of the post-Cold War and the Western domination as it is American-centered. BRICS share a core value: a national sovereignty as a basic structural element  of the international system. Last, the BRICS systems have focused on societal systems based on traditions, identity and religion. All these are probably indications on the possible BRICS ideologies in construction, that will replace the current reigning ideology.

If we project the multipolar model on the economic world map, then we’ll get the coexistence of multiple poles, and at the same time, will create a complete matrix for the emergence of a new economy - outside of Western capitalist discourse. In your opinion, is the concept of “autarky of big spaces”, suggested by List, applicable for this?

I think we should differentiate the end of the unipolar world, and its corollary - the end of the current Western-centered world - from the globalization process, as the latter will continue. The Western world collapses mainly for political, demographic and economic reasons but also for spiritual ones. Its "code" of operation is clearly not functional anymore, nor adapted to today's world. Globalization will be lethal to the system that helped to accentuate it. Besides, the dominant power since the end of World War II (America) does not have the means anymore to promote its system of values and of thoughts, nor to impose its military domination. Therefore, America cannot control the Western world any longer.

That said, even if the Western world disappeared and even if the weakening of America continued during the first half of this century, globalization will spread culturally and demographically. As an example, in 2030, the world will perhaps count 8.5 billion people, and all the younger generation of the entire planet will read and write, which never happened before. There are human upheavals to come that are probably unprecedented. I do not think the anti-Western ideology is a sufficient vector to build a new world. BRICS though probably give a “first and vague” idea of what tomorrow's world could be: a world of civilizational and identity consolidation. Actually, it will be world made of a self-centered and wide open spaces.

Globalization should therefore widen and force "the worlds of tomorrow" to get more in contact the ones with the others, but one can sincerely doubt that this will happen in a friendly way and without tension. All this will probably be happening in a very chaotic way at first, since there will not be one dominant power able to more or less control, structure or master these flows.

Do you agree that now the fate of the world order is solved in Russia, that is, in the Heartland, to contain and weaken of which aims the Planetary U.S. strategy?

I see several interrelated equations together, and they are all related to the Heartland. First the global takeover of America and its globalist device happened via a projection capacity, that is to say, by extension beyond its borders to its military, economic and political devices, through NGOs and the revolutions of colours for example. This extension occurred through a unique  military control of the oceans in History, but also by using the dominated Western Europe as a bridgehead to attack Eurasia. This battle against the USSR for the global control turned  (since the fall of the Soviet Union) in a battle against Russia for the control of Eurasia.

Today the U.S. project is weakened by the financial, social, moral and political situation of the country. The expansion of NATO is jammed: the U.S. strategists surely foresaw Russia as a compliant bridgehead to America and that could attack an awakening China. But the reconstruction of Russia since March 2000 and the development of China hamper those plans. This is the reason why Russia is again the main enemy, as it prevents the American’s interference in what is known as the Heartland. 

Russia is now the key equation to prevent the unilateral world under American domination, to turn into a bilateral America / China world. Paradoxically, Russia will now have to deal with China in a subtle balance of forces, both friendly but firm.

We are now on the verge of paradigmatic transition from the unipolar world order model to the multi-polar one, where the actors are no more nation-states, but entire civilizations. Recently in Russia was published a book "Theory of multipolar world," written by the Doctor of Political and Social Sciences, Professor Alexander Dugin. This book lays the theoretical foundation, basis, from which a new historical stage can start, and describes a number of changes both in the foreign policy of nation-states and in today's global economy, which involve a transition to the multipolar model. Of course, this also means the emergence of a new diplomatic language. Do you believe that multipolarity is the natural state of the world and that transition to the multipolar model is inevitable?

I do not believe in the unipolar world and it seems to me that a multipolar world is best able to preserve the overall balance. But this requires several consistent players, of equivalent size and weight and whose own interests do not intersect. We know very well that this is not the case. The grandees of today and of tomorrow have their own interests in mind. I do not believe in an eternal honeymoon between non-western victorious countries.

In that sense, Russia may be facing a very difficult equation to contain an explosion in Asia: first, China will probably naturally and very quickly have its own sphere of influence felt in the pre-squared Russian Central Asia, and second, a Western coalition is currently installing a military device on the Western Russian side. Therefore, the collapse of the U.S. in my opinion refers directly to the place of Europe and Russia in the world of tomorrow. I put these two blocks together for several reasons. Neither Russia nor Europe can afford to face each other, as they both have strategic and structural weaknesses. Europe is currently an economic giant but a political and spiritual dwarf. On the opposite, Russia is a political and spiritual giant but also relatively an economic dwarf, apart from its raw materials.

The Europe / Russia relationship is one of the key points of the future. The political, economic and military potential of a European-Russian block, from the Atlantic to the Pacific Ocean, could make it become one of the giants of tomorrow's world.Of course it also means that Europe must accept to become part of a Eurasian  block, allied with Russia and all the countries that would choose to ally themselves with Russia too, in the near future. 

I spoke of the need to have players of similar size; As a French of Eurasia - and in order for this Eurasian block to constitute itself, I believe in the creation of a Paris-Berlin-Moscow-Astana axis. This huge Euro-Eurasian pole would be a sovereign power and would be essential to contribute to peace on the continent, and why not, in the world.

 

 

vendredi, 01 juin 2012

Entretien avec Alexandre Douguine

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Entretien avec Alexandre Douguine

Propos  recueillis  par le magazine allemand “Zuerst”

( http://www.zuerst.de )

Q.: Monsieur Douguine, la Russie subit un feu roulant de critiques occidentales, surtout depuis  la  réélection de Vladimir Poutine à la présidence  de la fédération de Russie. Les politiciens etl es médias prétendent que les élections ont été truquées, que Poutine n’est pas un démocrate et qu’il bafoue les “droits de l’Homme”...

AD: Vladimir Poutine, qu’on le veuille ou non, apprtient aux vrais grands sur la scène politique internationale. Pourtant, il faut dire que la  politique qu’il préconise est très spéciale, ce que bon nombre de politiciens et de médiacrates occidentaux ne sont apparemment pas capables de comprendre. D’une part, Poutine est un libéral, un homme politique résolument tourné vers l’Occident; d’autre part, il est un défenseur acharné de laa  souveraineté et de l’indépendance russes. C’est pourquoi il s’oppose de front aux Etats-Unis et à  leurs intérêts géopolitiques. Poutine est donc simultanément libéral-démocrate et souverainiste. Il est ensuite un réaliste politique absolu, une personnalité politique non fantasque. Poutine serait par voie de  conséquence  le partenaire idéal de tout pays occidental qui accorderait à la  souveraineté une valeur identitque et aussi élevée. Mais les pays  d’Occident ont abandonné depuis longtemps les valeurs du réalisme politique...

Q.: Que voulez-vous dire par là?

AD: Voyez-vous, ce que croit l’Occident aujourd’hui, c’est qu’un jour toutes  les démocraties libérales abandonneront leur souveraineté et se fonderont dans une sorte de “super-nation” sous l’hégémonie américaine. Telle est bien l’idée  centrale de la globalisation à l’oeuvre aujourd’hui. Ce projet est irréalisable avec un Vladimir Poutine car il s’y oppose et défend la souveraineté russe. Ensuite, il ne reconnaît pas la  prétention américaine à exercer cette hégémonie en toute exclusivité. C’est là qu’il faut chercher la vraie raison des attaques acharnées que commet l’Occident contre lui et de sa diabolisation. C’est aussi la  raison pour laquelle l’Occident soutient de manière aussi spectaculaire l’opposition russe: il s’agit d’acquérir de l’influence et de consolider l’hégémonie occidentale.

Q.: D’après vous donc, Poutine fait tout ce qu’il faut faire...

AD: Bien sûr que non. Il a commis  des erreurs, notamment lors des dernières élections pour le Parlement. Elles n’ont pas été aussi transparentes qu’elles auraient dû l’être.

Q.: La critique occidentale s’adresse surtout aux élections présidentielles...

AD: Pourtant, lors de ces élections-là, c’était le contraire: elles ont été parfaitement transparentes. La  grande  majorité des électeurs  soutient Poutine, voilà tout, même si l’Occident ne peut ni ne veut le comprendre. L’étranger ne soutient qu’une minorité pro-américaine, ultra-libérale et hostile à toute souveraineté russe, pour qu’elle s’attaque à Poutine. Tel est l’enjeu. Voyez-vous, Poutine peut être bon ou mauvais en politique intérieure, cela n’a pas d’importance pour l’Occident. La mobilisation de ses efforts pour maintenir l’idée de souveraineté  —et pas seulement la souveraineté russe—  et l’existence d’un monde  multipolaire fait qu’il est la cible de toutes les attaques occidentales.

Q.: L’Ukraine aussi subit désormais de lourdes attaques médiatiques en provenance de l’Occident. C’est surtout la détention de Ioulia Timochenko  que critiquent les médias. Est-ce que l’enjeu en Ukraine est le même qu’en Russie?

AD: La situation en Ukraine est complètement différente, même si les critiques occidentales visent également la souveraineté du pays.

Q.: Le président ukrainien Viktor Ianoukovitch est considéré par les agences médiatiques occidentales comme “pro-russe”...

AD: C’est pourtant faux. Ianoukovitch tente de maintenir un équilibre politique entre la  Russie et l’Union Européenne. Bien sûr, il n’estp as aussi pro-occidental que ne l’était Mme Timochenko. Ce qui dérange l’Occident, c’est que Ianoukovitch s’est à nouveau rapproché de la Russie. C’est contraire aux intérêts atlantistes. Ioulia Timochenko est aujourd’hui le symbole de ce que l’on a appelé  la “révolution orange”  —que l’Occident a soutenu matériellement et idéologiquement en Ukraine. C’est pour cette raison  que les forces atlantistes la considèrent comme une héroïne.

Q.: Ce que l’on critique surtout, ce sont les conditions de  détention de Ioulia Timochenko. On dit que ces conditions bafouent lourdement les règles convenues quant aux droits de l’Homme...

AD: L’Occident utilise les droits de l’Homme à tour de bras pour pouvoir exercer influence et chantage sur les gouvernements qui lui déplaisent. Si l’on parle vrai et que l’on dévoile sans détours ses plans hégémoniques et ses véritables intérêts politiques, on obtient moins de succès que si l’on adopte un langage indirect et que l’on évoque sans cesse les droits de l’Homme. Voilà ce qu’il faut toujours avoir en tête.

Q.: Vous venez d’évoquer la “révolution orange” qui a secoué l’Ukraine en 2004. Les protestations et manifestations contre Poutine à Moscou, il y a quelques mois et quelques semaines, ont-elles, elles aussi, été une nouvelle tentative de “révolution colorée”?

AD: Absolument.

Q.: Pourquoi ces manifestations se déroulent-elles  maintnenant et pourquoi cela ne s’est-il pas passé auparavant?

AD: Il me paraît très intéressant d’observer le “timing”. Il y a une explication très simple. Le Président Dmitri Medvedev est considéré en Occident comme une sorte de nouveau Gorbatchev. L’Occident avait espéré que Medvedev aurait introduit des réformes de nature ultra-libérales lors de son éventuel second mandat présidentiel et se serait rapproché des Etats-Unis et de l’UE. Mais quand Medvedev a déclaré qu’il laisserait sa place de président à Poutine et qu’il redeviendrait chef du gouvernement, la “révolution” a aussitôt commencé en Russie.

Q.: Les protestations et manifestations visaient cependant les fraudes supposées dans le scrutin et le manque de transparence lors des présidentielles...

AD: Non, ça, c’est une “dérivation”. Il s’agissait uniquement d’empêcher tout retour de Poutine à la présidence. Une fois de plus, bon nombre d’ONG et de groupes influencés par l’Occident sont entrés  dans la danse. Cela a permis d’accroître l’ampleur des manifestations, d’autant plus que certains déboires el a politique de Poutine ont pu être exploités. La politique de Poutine n’a pas vraiment connu le succès sur le plan social et il restait encore quelques sérieux problèmes de corruption dans son système. C’était concrètement les points faibles de sa politique. Mais répétons-le: la révolte contre Poutine a été et demeure inspirée et soutenue par l’étranger et n’a finalement pas grand chose à voir avec ces faiblesses politique: il s’agissait uniquement de barrer la  route au souverainisme qu’incarne Poutine.

Q.: D’après vous, Medvedev serait pro-occidental...

AD: La politique russe est plus compliquée qu’on ne l’imagine en Occident. Laissez-moi vous donner une explication simple: d’une  part, nous avons le souverainiste et le Realpolitiker Poutine, d’autre part, nous avons les “révolutionnaires (colorés)” et les atlantistes ultra-libéraux soutenus par l’Occident. Medvedev se situe entre les deux. Ensuite, les oligarques comme, par exemple, Boris Abramovitch Beresovski qui vit à Londres, jouent un rôle important aux côtés des révolutionnaires ultra-libéraux.

Q.: A ce propos, on ne fait qu’évoquer la figure de Mikhail Khodorkovski, sans cesse arrêté et emprisonné. Dans les médias occidentaux, il passe pour un martyr du libéralisme et de la démocratie. Comment jugez-vous cela?

AD: Il représente surtout le crime organisé en Russie. Dans un pays occidental, on n’imagine pas qu’un individu comme Khodorkovski ne se retrouverait pas aussi en prison. Il est tout aussi criminel que les autres oligarques qui ont amassé beaucoup d’argent en très peu de temps.

Q.: Et pourquoi les autres ne sont-ils pas en prison?

AD: C’est là que je critiquerai Poutine: les oligarques qui se montrent loyaux à son égard sont en liberté.

Q.: Quelle a été la faute de Khodorkovski?

AD: Khodorkovski n’a fait que soutenir les positions pro-occidentales, notamment quand il a plaidé pour un désarmement de grande envergure de l’armée russe. Il a soutenu les forces libérales et pro-occidentales en Russie. Pour Khodorkovski, le “désarmement” de la  Russie constituait une étape importante dans l’ouverture du pays au libéralisme et à l’occidentalisation. Il fallait troquer l’indépendance et la souveraineté contre un alignement sur les positions atlantistes. Alors qu’il était l’homme le plus riche de Russie, Khodorkovski a annoncé qu’il était en mesure d’acheter non seulement les parlements mais aussi les électeurs. Il est même allé plus  loin: il a fait pression sur Poutine pour faire vendre aux Américains la plus grosse entreprise pétrolière russe, “Ioukos”.

Q.: Khodorkovski était donc opposé à Poutine en bien des domaines?

AD: Effectivement. Khodorkovski a ouvertement déclaré la guerre à Poutine. Et Poutine a réagi, fait traduire l’oligarque en justice, où il a été condamné, non pas pour ses vues politiques mais pour les délits qu’il a commis. Pour l’Occident, Khodorkovski est bien entendu un héros. Parce qu’il s’est opposé à Poutine et parce qu’il voulait faire de la Russie une part du “Gros Occident”. Voilà pourquoi de nombreux gouvernements occidentaux, les agences médiatiques et les ONG prétendent que Khodorkovski est un “prisonnier politique”. C’est absurde et ridicule. Ce qui mérite la critique, en revanche, c’est que dans notre pays un grand nombre d’oligarques sont en liberté alors qu’ils ont commis les mêmes délits que Khodorkovski. Ils sont libres parce qu’ils n’ont pas agi contre Poutine. Voilà la véritable injustice et non pas l’emprisonnement que subit Khodorkovski.

Q.: Peut-on dire que, dans le cas de Khodorkovski, Poutine a, en quelque sorte, usé du “frein de secours”?

AD: Oui, on peut le dire. Avant que Khodorkovski ait eu la possibilité de livrer à l’étranger le contrôle des principales ressources de la Russie, Poutine l’a arrêté.

Q.: Vous  parlez de groupes et d’ONG pro-occidentaux qui soutiennent en Russie les adversaires de Poutine et qui, en Ukraine et aussi en Géorgie, ont soutenu les “révolutions colorées”. Qui se profile derrière ces organisations?

AD: Celui qui joue un rôle fort important dans toute cette agitation est le milliardaire américain Georges Soros qui, par l’intermédiaire de ses fondations, soutient à grande échelle les groupements pro-occidentaux en Russie; A Soros s’ajoutent d’autres fondations américaines comme par exemple “Freedom House” dont les activités sont financées à concurrence de 80% par des fonds provenant du gouvernement américain. “Freedom House” finance par exemple la diffusion de l’ouvrage de Gene Sharp, politologue américain auteur de “The Politics of non violent Action”, auquel se réfèrent directement les “révolutionnaires colorés” d’Ukraine. Beaucoup d’autres groupements et organisations sont partiellement financés par le gouvernement américain ou par des gouvernements européens en Russie ou dans des pays qui firent jadis partie de l’Union Soviétique. Nous avons affaire à un véritable réseau. Toutes les composantes de ce réseau sont unies autour d’un seul objectif: déstabiliser la Russie pour qu’à terme le pays deviennent une composante de la sphère occidentale.

Q.: Est-ce là une nouvelle forme de guerre?

AD: On peut parfaitement le penser. Les révolutions colorées représentent en effet une nouvelle forme des guerre contre les Etats souverains. Les attaques produisent des effets à tous les niveaux de la société. Dans cette nouvelle forme de guerre, on ne se pas pas en alignant et avançant des chars ou de l’artillerie mais en utilisant toutes les ressources des agences de propagande, en actionnant la pompe à finances et en manipulant des réseaux avec lesquels on tente de paralyser les centres de  décision de l’adversaire. Et l’une des armes les plus importantes dans le nouvel arsenal de  cette nouvelle forme de guerre, c’est la notion des “droits de l’Homme”.

Q.: Monsieur Douguine, nous vous remercions de nous avoir accordé cet entretien.