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samedi, 16 mai 2020

“ORION”: NUOVE SINTESI O PROVOCATORI FILOCOMUNISTI?

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“ORION”: NUOVE SINTESI O PROVOCATORI FILOCOMUNISTI?

di Matteo Luca Andriola

Uno dei teorici italiani della “nuova sintesi” nazionalcomunista è Carlo Terracciano, già descritto come “padre” della geopolitica eurasiatista in Italia. Questi arriva a storicizzare fascismo e nazionalsocialismo – nonostante permangano certi legami visto il background della redazione storica –, consentendone una rilettura critica: in «Rote Fahne und Schwartze Front»: la lezione storica del nazionalbolscevismo, saggio introduttivo al volume di Erich Müller Nazionalbolscevismo (Barbarossa, 1988), Terracciano, analizzando l’esperienza della componente rivoluzionario-conservatrice nazionalbolscevica, le teorie di Pierre Drieu La Rochelle, Emmanuel Malynski, l’ala sociale del fascismo e del nazionalsocialismo (il cosiddetto “fascismo rivoluzionario”) ecc., traccia le linee dell’attualizzazione di tali esperienze, il “nazionalcomunismo”, oltre il nazionalismo e il comunismo otto-novecentesco: “Oggi il nazionalismo è inteso come radicamento etnico, storico, culturale della propria terra, modificata fino nel suo paesaggio da millenni di cultura, nella ‘piccola’ e nella ‘grande’ patria, fino a estendersi all’unità del continente eurasiatico. In quanto al ‘comunismo’ esso va ben oltre nei secoli al pensiero di Marx e di Lenin e dei suoi seguaci, lo precede di millenni nella sua teoria e nella prassi di comunità contadine,di ordini monastico-guerrieri, di popoli, di interi imperi”.[1]

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Per Terracciano esisteva un comunismo pre-marxista che andava riscoperto, un “nazional-comunitarismo” che, oltre la scientificità di Karl Marx e Friederich Engels dimostrava che l’uomo non è un monade individualista ma un’animale comunitario. Quella di “Orion” è una rilettura tönnesiana e comunitarista di esperienze comunistiche sia tradizionalmente legate al movimento operaio socialista e comunista sia eresie utopistiche e forme di ancestrali comunità del mondo antico e medievale, cosa che portò certuni a destra a definire “filocomunista” il sodalizio, facendo bandire letteralmente “Orion” dalle sezioni del Msi e del Fdg: su «Candido» n°12 del 15/30 luglio 1986, rivista di destra del senatore missino Giorgio Pisanò, compare l’articolo caustico Che cosa si aspetta a reagire?, con un sopratitolo che recita: Provocatori filocomunisti operano negli ambienti del MSI, dove il direttore, filoamericano, attaccherà il gruppo di “Orion” per l’influenza esercitata fra i giovani del FdG, egemonizzato sin dal decennio precedente dai rautiani (si pensi al peso determinante della Nuova Destra di Marco Tarchi, che verrà poi cacciato dal Msi nel 1981), scrivendo: «Con il bel risultato di influenzare e plagiare cervelli e coscienze di troppi giovani che, presentando culturalmente un encefalogramma piatto, diventano facile preda di provocatori filocomunisti come quelli sopra citati».


Il direttore, Maurizio Murelli risponderà non solo enumerando noti esempi di fascinazione filosovietica di esponenti di spicco del fascismo italiano come “Italo Balbo [che] nel suo libro (Ali d’Italia sul mondo ed. Mondadori, 1930) non lesina complimenti all’Urss, sostenendo che ogni popolo ha la sua via nazionale di realizzazione e costruzione”[2] ma, usando come fonte lo storico inglese Denis Mack Smith, citerà frasi “filocomuniste” del dittatore italiano («Mussolini tentò di convincersi che il comunismo russo stava dimostrandosi di gran lunga meno rivoluzionario del fascismo, e tra i suoi seguaci ci fu chi si domandò se i due movimenti non stessero a tal punto avvicinandosi da non esser più facilmente distinguibili. Il Duce stesso non escluse una tale eventualità»),[3] concludendo:

orion_1993_n9_br.jpg«Alcuni storici asseriscono […] che il Mussolini della RSI era influenzato da Bombacci, cioè uno dei fondatori del PCI che si arruolò volontario nella RSI per difendervi la propria idea e perdervi la propria vita. Può darsi […] che Mussolini fosse influenzato da Bombacci; ciò non toglie, egregio Senatore, che è in nome di quel Mussolini che Lei ha combattuto (se mai ha veramente combattuto) nella RSI. È inutile dire che di citazioni “filocomuniste” e “filorusse” di Mussolini-maestro-di-Pisanò ne potremmo produrre ancora ben più di una, inchiodando Pisanò al palo della sua ignoranza o a quello del suo tradimento (scelga lui, giacché il suo filoamericanismo “fascista” è sinonimo o di ignoranza sull’autentica essenza del fascismo, oppure è consapevole tradimento). Ma il punto è anche un altro, giacché essendo noi per l’Eurasia non siamo affatto per il “comunismo” e, in ogni caso, il regime al potere in Russia non ha niente a che vedere con il comunismo marxista, né con quello leninista né con quello stalinista. Anzi, l’attuale premier [Michail Sergeevič Gorbačëv, dal 1985 segretario generale del PCUS e presidente dell’Unione Sovietica, n.d.a.] si sta dimostrando un burattino del potere mondialista, potere del quale già abbiamo detto e molto ancora diremo.»[4]

Il nazionalcomunismo non si presenta come un confuso guazzabuglio come di primo acchito si potrebbe pensare, cioè la mera sommatoria fra comunismo e nazionalsocialismo o fascismo ma, in una fase storica come gli anni ‘80 dove, a seguito dei cambiamenti economici e strutturali concernenti il passaggio dall’accumulazione “fordista o, come viene detta, d[a]ll’accumulazione rigida [a] quella postfordista o dell’accumulazione flessibile, che ne hanno scandito la storia durante il secolo scorso per giungere fino ai nostri giorni”,[5] concretizzandosi in campo culturale nella messa in discussione delle ideologie otto-novecentesche, giudicate incapacitanti, con l’avvento della postmodernità e del “pensiero debole”. Il “nazionalcomunismo” – in quegli anni elaborato anche da altri sodalizi intellettuali, si pensi alle nuove sintesi elaborate in area franco-belga dalla Nouvelle Droite pescando anche dall’eredità di Jeune Europe di Jean Thiriart[6] – viene vista come la risposta, e si cavalca la crisi delle ideologie non archiviandole, ma elaborandone di nuove. Mentre il grosso della destra e della sinistra nei primi anni '90 sposerà il mercato, “Orion” arriva a proporre arditamente – non senza i condizionamenti della Nouvelle Droite – la sua ‘nuova sintesi’ nazionalcomunista: l’unione degli ideali del “fascismo-movimento” (secondo l’espressione coniata da Renzo De Felice) con quelli del bolscevismo pre-regime, accanto a un occhio di riguardo per il mondo islamico (soprattutto l’Iran di Khomeini) e la spiritualità russa, un progetto nazionalcomunista dove trovano spazio culturale «oltre alle SS, a Degrelle e al Rexismo, a Evola e Guénon, agli autori “proibiti” – da Brasillach a Drieu La Rochelle a Codreanu – e ai “fascisti eretici” alla Berto Ricci, ai teorici della Konservative Revolution tedesca, altre figure “irregolari” come Noam Chomsky piuttosto che il comunista-fondamentalista Zjuganov, e persino i miti della sinistra, da Mao Dzedong a Che Guevara»[7].

terracciano2.jpgNOTE

[1] C. Terracciano, «Rote Fahne und Schwartze Front»: la lezione storica del nazionalbolscevismo, in E. Müller, C. Terracciano, Nazionalbolscevismo, Edizioni Barbarossa, Saluzzo 1988, p. 47, ora in C. Terracciano, 'Alle radici del "rossobrunismo". Orion, gli scritti di Carlo Terracciano, vol. 1, AGA Editrice, Cusano Milanino 2020.
[2] M. Murelli, Per l’Europa agli Europei, in “Orion” n° 22, luglio 1986.
[3] D. Mack Smith, Mussolini, Rizzoli, Milano 1981, p. 220.
[4] R. Finelli, Globalizzazione, postmoderno e “marxismo dell’astratto”, in “Consecutio temporum. Rivista critica della postmodernità”, a. I, n° 1, giugno 2011. Cfr. inoltre R. Bellofiore, Dopo il fordismo, cosa? Il capitalismo di fine secolo oltre i miti, in R. Bellofiore (a cura di), Il lavoro di domani. Globalizzazione finanziaria, ristrutturazione del capitale e mutamenti della produzione, Biblioteca Franco Segantini, Pisa 1998, pp. 23-50 e D. Harvey, La crisi della modernità. Riflessioni sulle origini del presente, tr. it. di M. Viezzi, Net, Milano 2002, pp. 151, 152.
[5] Cfr. C. Terracciano, Jean Thiriart: profeta e militante, in “Orion” n° 252, settembre 2005.
[6] M. Fraquelli, A destra di Porto Alegre. Perché la Destra è più no-global della Sinistra, Rubbettino, 2005, p. 64.

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Un livre de Carlo Terracciano publié en Allemagne (il y en eut plusieurs éditions)

vendredi, 15 mai 2020

Guillaume Faye: The man who predicted 2020

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Guillaume Faye: The man who predicted 2020

Did anyone notice the Guillaume Faye book on Michael Gove's shelf?

BY

Ex: https://unherd.com

What does Michael Gove have in common with Ukraine’s Azov movement? Not much, one would think. There is surely very little commonality between the published work of the liberal Conservative statesman and the ideology of the armed group, far to the right of any Right-wing populist, which is currently insinuating itself into the institutions of the Ukrainian state, apart from one thing: a familiarity with the works of the obscure Right-wing thinker Guillaume Faye.

The recent bout of Twitter hysteria prompted by Gove’s wife, Sarah Vine, rashly sharing photographs of the family bookshelves, may just have been another pointless skirmish in the culture war, but it illustrated one thing very clearly: our self-appointed censors do not have even a passing familiarity with the political thought they seek to expurgate from the world.

By focussing their outrage on Gove’s ownership of a book by David Irving, Owen Jones and the other intellectual luminaries of Twitter progressivism skimmed over Gove’s far more interesting reading choices, namely works by Guillaume Faye and his partner in the French New Right, Alain de Benoist. One would think an engagement with the political thought of our nearest European neighbours would solicit, if not their approval, then at least their interest: but then there are few political movements as insular or intellectually incurious as late-stage British liberalism.

For their benefit, then, the French New Right, or Nouvelle Droite, began as a movement in the late 1960s to forge a new path for European conservatism, rejecting both the culturally dominant Marxism of the period, and the Atlanticism of the mainstream Right.

plpe3510.jpgInfluenced by the Konservative Revolution of pre-war Germany, particular the civilisational pessimism of Oswald Spengler, the merciless critique of liberal democracy assembled in the works of Carl Schmitt and the complex and hard to define body of work created by Ernst Junger, the Nouvelle Droite’s think tank GRECE (Groupement de Recherce et d’Études pour la Civilisation Européene, or Research and Study Group for European Civilisation) established itself, for a time, as an influential body on the French political scene.

In 1979, however, GRECE found itself cancelled by a campaign of demonstrative outrage in France’s liberal Le Monde newspaper, accusing the group of an entryist infiltratation of mainstream conservative institutions, particularly the Le Figaro newspaper. Marginal in electoral politics, GRECE nevertheless gained influence in the meta-political sphere, as part of what we could call the Gramscian Right; understanding that politics is downstream of culture, the Nouvelle Droite aimed to influence a new generation of Right-wing thinkers to reject the worldview of mainstream conservative and liberal thought in place of a standpoint quite outside standard Left-Right divisions.

The Nouvelle Droite rejected the domination of the European continent by what it characterised as an imperialist United States, which spreads capitalism and liberalism across the world through a vulgar and thuggish combination of hard and soft power, destroying individual societies and turning the world into an indistinguishable mush of rootless consumers.

Early enthusiasts of the work of Christopher Lasch, critiquing the emergent class of globalised elites, the Nouvelle Droite in some ways anticipated the current trend in both the United States and Europe towards post-liberal thought, though they followed this line of thought in another direction entirely.

Actively supporting Third World national liberation movements, decrying globalisation for its homogenising effects, and sounding urgent warnings of looming ecological collapse, de Benoist and Faye anticipated the anti-globalisation movement of the millennium, before it petered out into commodified pseudo-protest.

Equally, by warning that mass migration into Europe would lead inexorably to ethnic conflict and mass casualty terrorist attacks, and by railing against the moral and spiritual bankruptcy of globalisation and cosmopolitanism, the Nouvelle Droite anticipated much of the discourse of today’s populist Right, though they explicitly rejected what they saw as their petty nationalisms in favour of the unification of Europe and Russia into a single civilisational superpower.

 
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9781907166181.jpgAvowedly anti-capitalist, anti-American, anti-globalisation and pro-European unification, there is, unfortunately for the online censors, therefore very little evidence of Nouvelle Droite influences on Gove’s personal politics. Indeed, many of its lines of thought can be traced more clearly in European politicians as superficially distinct as Macron and Orban than in any British figure.

Its concerns over the prospect of Islamist terrorism resulting from migration into Europe can perhaps be discerned in Gove’s Celsius 7/7, though even here there is a major point of difference. Gove’s book contrasts global jihadism with a Western liberal tradition he urges us to defend; the thinkers of the Nouvelle Droite, by contrast, saw liberalism as the root problem and jihadism as a natural, if culturally alien response, parallel to their own rejection of liberal values.

Unlike Gove, whose book is situated firmly within the tradition of Western liberalism, Faye echoes Islamist ideologues by asserting that: “The rise of radical Islam is the backlash to the excesses of the cosmopolitanism of modernity that wanted to impose on the entire world the model of atheist individualism, the cult of material goods, the loss of spiritual values and the dictatorship of the spectacle.”

Of the two books by Faye on Gove’s bookshelf, both published by the London-based Arktos publishing house, Europe’s leading disseminator of radical right-wing political thought, the most interesting by far is Archaeofuturism, a collection of essays from the late 1990s republished in book format. Writing at the same time as liberal ideologues were declaring the End of History and politicians were assuring their voters that globalisation would bring with it an endless period of global harmony and prosperity, Faye posited a pessimistic worldview of what is now startling immediacy.

By the year 2020, he claimed, as a result of the inherent fragility created by a globalised financial and political system, civilisation would buckle under a cascading set of interlinked crises. Waves of pandemics, of political disorder and state collapse in the Middle East and Africa, of global financial crashes and ecological degradation would rebound off each other, escalating the pressures upon the international system to the point that the world of the late 20th century would become impossible to sustain.

In Faye’s words, “a series of ‘dramatic lines’ are drawing near: like the tributaries of a river, and will converge in perfect unision at the breaking point (between 2010 and 2020), plunging the world into chaos. From this chaos- which will be extremely painful on a global scale- a new order can emerge based on a worldview, Archaeofuturism, understood as the idea for the world of the post-catastrophic age.”

Writing before the 9/11 attacks, the last global financial crash, the bloody cycle of wars precipitated by the Arab Spring and the COVID pandemic, Faye’s concern over what he termed the “convergence of catastrophes,” seemed as outlandish and unfashionable then as it now does topical. Yet since the beginning of this century, a greater awareness of what is known as global catastrophic risk has begun to creep into mainstream strategic thought, mostly with climate change in the foreground and Faye’s other fears placed as second order consequences.

The 2007 Age of Consequences  paper, issued jointly by the Centre for International and Strategic Studies and American Centre for New American Security thinktanks, echoed Faye’s apocalyptic warnings in almost every respect, warning that severe climate change would lead to the forced movement of hundreds of millions, perhaps billions of people from the worst-affected areas, the collapse of liberal democracy in the rest of the world as a consequence, the unchecked spread of pandemics and jihadist terrorism, and the outbreak of wars within and between states as the global order collapses.

In this scenario, the report warns, “nations around the world will be overwhelmed by the scale of change and pernicious challenges, such as pandemic disease. The internal cohesion of nations will be under great stress, including in the United States, both as a result of a dramatic rise in migration and changes in agricultural patterns and water availability. The flooding of coastal communities around the world, especially in the Netherlands, the United States, South Asia, and China, has the potential to challenge regional and even national identities. Armed conflict between nations over resources, such as the Nile and its tributaries, is likely and nuclear war is possible. The social consequences range from increased religious fervor to outright chaos. In this scenario, climate change provokes a permanent shift in the relationship of humankind to nature.”

Furthermore, the report echoes Faye by warning of such “a dramatically new global paradigm that it is virtually impossible to contemplate all the aspects of national and international life that would be inevitably affected. As one participant noted, “unchecked climate change equals the world depicted by Mad Max, only hotter, with no beaches, and perhaps with even more chaos.”

While such a characterization may seem extreme, a careful and thorough examination of all the many potential consequences associated with global climate change is profoundly disquieting. The collapse and chaos associated with extreme climate change futures would destabilize virtually every aspect of modern life. The only comparable experience for many in the group was considering what the aftermath of a U.S.-Soviet nuclear exchange might have entailed during the height of the Cold War.”

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Only last year, a major Australian forecast warned that an apocalyptic near-future was at this point almost inevitable, describing its research as “a glimpse into a world of “outright chaos” on a path to the end of human civilisation and modern society as we have known it, in which the challenges to global security are simply overwhelming and political panic becomes the norm.”

Predictions equally dire as Faye’s have been made in less colourful language though with no less alarming conclusions by the medium-term strategic forecasts of the Ministry of Defence and by the Pentagon, all of which make for unsettling reading.

The-Colonisation-of-Europe.jpgThe European Union, similarly, links climate change to a cascading set of global security challenges , severely threatening both the global and European order. In its 2016 Global Strategy for the European Union’s Foreign And Security Policy, the overarching mission paper for the continental bloc’s approach to the near future, the EU’s strategists assert that:

“We live in times of existential crisis, within and beyond the European Union. Our Union is under threat. Our European project, which has brought unprecedented peace, prosperity and democracy, is being questioned. To the east, the European security order has been violated, while terrorism and violence plague North Africa and the Middle East, as well as Europe itself. Economic growth is yet to outpace demography in parts of Africa, security tensions in Asia are mounting, while climate change causes further disruption.”

Only last week, Poland’s Deputy Prime Minister, the Sociology professor Piotr Glinski, took to a two-page advertisement in the Wall Street Journal to warn that the COVID crisis was a glimpse into a future of civilisational collapse, explicitly likening the modern West to the late Roman Empire.

While the date Faye settled upon for the apocalypse is a decade or two in advance of these more sober warnings, his doomy vision of the medium-term future, is, unfortunately for us, worried over at the highest levels of British, American and European strategic thought.

But perhaps more interesting, not least for its presence on the bookshelf of such a senior British government minister, is Faye’s proposed solution, the Archaeofuturism of the book’s title. Likely influenced by the American political theorist Samuel P. Huntington, Faye unconvincingly suggests the current global system world will coalesce into distinct civilisational blocs: a Chinese-dominated one, a greater North America, a sub-Saharan African bloc, “a Euro-Siberian unit,” a greater Islamic world and a vaguely defined Pacific bloc for the rest.

Once this is achieved, the scene is set for the total reordering of global civilisation, according to “a revolutionary model based on a self-centred and inegalitarian world economy, which may be imposed upon us by historical events, but which it would be wise to foresee and plan for in advance”.

Noting, as is now a commonplace opinion, that “the utopia of ‘development’ open to ten billion people is environmentally unsustainable,” Faye proposes a system of jaw-dropping global re-ordering, worth quoting at length:

“First off, most of humanity would revert to a pre-technological subsistence economy based on agriculture and the crafts, with a neo-medieval demographic structure… Communitarian and tribal life would reassert its rights… Even in industrialised countries- India, Russia, Brazil, China, Indonesia, Argentina, etc- a significant portion of the population could return to live according to this archaic socio-economic model.”

Secondly, Faye asserts: A minority percentage of humanity would continue to live according to the techno-scientific economic model based on ongoing innovation by establishing a ‘global exchange network’ of about a billion people.”

“Finally”, he notes, “these vast neo-archaic economic blocs would be centred upon a continental or multi-continental plan, with basically no mutual exchange between them. Only the techno-scientific portion of humanity would have access to the global exchange. This two-tier world economy thus combines archaism and futurism. The techno-scientific portion of humanity would have no right to intervene in the affairs of the neo-medieval communities that form the majority of the population, nor — most importantly — would it in any way be obliged to ‘help’ them.”

In a short story at the end of the book, Faye paints a vivid if outlandish picture of this proposed future, where a small, global technocratic global elite pursues rapid technological and scientific advances, while the majority of the world’s population lives in subsistence farming communities at a level of technology broadly equivalent to that of the Dark Ages.

Developing his ideas further in the wildly imaginative series of short science fiction tales which make up his follow-up work Archaeofuturism 2.0, Faye’s vision darkens. Some societies can survive, for a time, by fending off the encroaching chaos and maintaining the rudimentary technology of the early 20th century. But, over time, the darkness settles and mankind is destroyed utterly.

The excellent academic introduction to Faye’s life and work by Stephane Francois in the recent Key Thinkers of the Radical Right notes that Archaeofuturism entails “the dismissal of modernity, born from the Enlightenment, and conservatism, since modernity shows signs of fracture and conservatism leads to nothing.” Summarizing Faye’s vision, Francois notes that:

“To avoid civilisational and ecological collapse, he proposes putting in place an authoritarian regime under the auspices of a “born chief,” a dictator defined as a providential man who knows how to set his peoples in motion, and protects his peoples’ identity and ancestry.”

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It is perhaps partly for this reason that Faye’s work has proved so popular with Ukraine’s extreme right-wing Azov Movement, an armed brigade fighting Russia in the contested regions of the country’s east as part of the Ukrainian Interior Ministry, which also provides policing functions — both officially, with the state’s blessing, and unofficially, as a competitor to the state — in the cities of Ukraine’s western heartlands.

Last year, shortly after Faye’s death, I interviewed Azov’s international secretary Olenya Somenyaka in the group’s headquarters just off Kyiv’s famous, central Maidan Square. Surrounded by bookcases filled with the works of the esoteric ultra-right writers currently undergoing a revival among disaffected Western conservatives, Semenyaka emphasised how central Faye’s work was in developing her worldview. In the world according to Somenyaka and Azov, Ukraine will play a starring role as a springboard for the reconquest of Europe from what she viewed as a collapsing liberal order, and lead the continent into a neo-pagan, Archaeofuturist dawn.

Presumably it is due to their unexpected popularity with a powerful armed force and challenge to liberal democracy in Ukraine that Faye’s works secured a place on Michael Gove’s bookshelf. Their placing next to an academic work on modern Ukraine would seem to indicate the politician’s interest in the country’s social and political development, laudable given the deployment of British soldiers there.

9200000071568458.jpgIndeed, Faye’s darkest warnings are echoed in British parliamentary politics only by the Green Party, one of whose most senior figures, the University of East Anglia’s professor of Philosophy and Extinction Rebellion spokesman Rupert Read, warns that: “We need to think about what comes after the likely collapse of this civilisation and plan accordingly. There are of course many sub-possibilities within this possible future, and some of them are very ugly. The successor civilisation could, for instance, be largely a reign of brutal warlordism. We have to try to do what we can to prepare our descendants for survival and for one of the better sub-possibilities.”

But even if we accept the proposition that Guardian columnists have the right to determine what books may and may not be read, it is unclear that Faye’s works deserve a place on their Index of forbidden knowledge. On the contrary, it is an encouraging sign that our senior politicians are reading obscure and outlandish works of political thought, given the times in which we live.

For good or ill, we are living in a springtime of ideologies, Gramsci’s “time of monsters”, where strange and unlikely political creeds proliferate on Twitter like sexual identities on Tumblr. Whatever the likelihood of our societies soon emulating Faye’s Archaeofuturistic vision — and it is presumably very unlikely — it is equally unlikely that we will return to the world of the near past.

The post-war global order enabled by American hegemony has gone, and will never return. The dominant category of books on Gove’s shelves, the autobiographies of American centrist politicians, represent a world as lost and irretrievable as the biographies of Europe’s absolute monarchs would have seemed exactly one century ago.

If we accept, as post-liberals as well as thinkers of far-left and far-right do, that the ideology of liberalism has exhausted itself, broken by its weak correspondence to reality, then we must accept that some successor ideology will eventually appear to replace it. Whatever that ideology will be, it most probably already exists, like Communism a century ago, as an obscure fringe belief waiting for a crisis in which to assert itself.

In the United States, discussions over the merits of Catholic Integralism are raging through mainstream conservatism, despite the minuscule likelihood of the American state reordering itself in such a direction. In Britain as well as continental Europe, citizens have been slaughtered by adherents of Salafi Jihadism, another radical challenge to liberal beliefs which posits itself as a successor ideology.

The merits and challenges posed by fringe ideologies such as these, rather than the petty concerns of party competition, are the grand matter of political thought, and it is reassuring rather than disturbing that our elected representatives are alert to them.

Some of the shrillest Twitter analysts of Gove’s bookshelves have spent years agitating for the political success of devotees of a murderous 20th century fringe ideology, itself now jettisoned on the wreckage of history. The radical left-wing publisher Verso — as far to the left of centrist thought as Faye is to the right, though more socially acceptable — has published all manner of strange and unlikely manifestos in recent years, from demanding the abolition of the family  to asserting that we can live in a world of endless growth and consumption derived from mining asteroids.

Both ideas are absurd, but while we can be grateful that the last election saw their advocates firmly shunted away from political power, neither book should be banned, only considered on its own merits and then ridiculed. The existence of eccentric works like these is, however, broadly positive, in that it shows people are giving serious consideration to what should replace the intellectual and political framework dying all around us.

GFethapo.jpgWe should be pleased that our political representatives are reading offbeat ideas, not necessarily because they believe them, but because they represent the strange intellectual and political ferment of the early 21st century. The idea that There Is No Alternative to the neoliberal consensus is long gone. There are, if anything, too many alternatives, and they represent a future as dangerous as it is exciting.

As well as reading Faye, Gove and other British politicians should be investigating a wide variety of radical thinkers of left and right, from the post-anarchist work of Murray Bookchin to the idiosyncratic Marxist cultural criticism of Mark Fisher, the Catholic critiques of liberal democracy of Patrick Deneen and Ryszard Legutko, the rejection of modernity wrought in fiction by Michel Houellebecq and Paul Kingsnorth, and whatever other responses to what we can call the crisis of the 21st century are now circulating in the marketplace of ideas. After all, as Faye himself archly notes in Archaeofuturism, “modernity already belongs to a past that is over.”

Pierre Le Vigan : Pas de Hold-Up sur nos libertés au nom de la santé !

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Pierre Le Vigan : Pas de Hold-Up sur nos libertés au nom de la santé !

 
 
Entretien de la Quarantaine
Episode 11 enregistré le 05 mai 2020 :
 
L'urbaniste et essayiste Pierre Le Vigan répond aux questions de Maxime Le Nagard.
 
Pour aller plus loin : ➡️ https://cerclearistote.com/2020/05/pi...
 

jeudi, 14 mai 2020

Nous vivons dans un monde de plus en plus étrange

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Nous vivons dans un monde de plus en plus étrange

Nous qui n'avons jamais possédé desclaves, devrions payer des réparations pour esclavage à des personnes qui n'ont jamais été esclaves.

Nous sommes tenus responsables d’événements qui se sont produits avant notre naissance, mais d’autres personnes ne sont pas tenues responsables de ce qu'elles font actuellement chez nous.

Nous avons fermé nos frontières, bien trop tard, aux vols venant de Chine et d’ailleurs par crainte d’être des victimes du Coronavirus SARS-2, ce pâle concurrent sans vaccin au virus de l’Influenza, mais nos élus rêvent de les ouvrir à nouveau et sans contrôle sanitaire ni de sécurité, alors qu’après la triste et perverse expérience de confinement de population en hiver-printemps 2020 et nos prisons 5 étoiles remplies à 70 % de malfrats étrangers, les pays européens devraient tous se déconfiner de l’UE et contrôler avec rigueur leurs frontières.

Les immigrants atteints de SIDA, de tuberculose toujours très contagieuse et de plus en plus souvent multi-résistante aux antibiotiques, de variole du singe ou orthopoxvirose simienne, de drépanocytose, de maladies parasitaires, gale, poux, lèpre et autres, de maladies sexuellement transmissibles comme la syphilis, d’hépatites A et B, de poliomyélite, de coronaviroses telle que le syndrome respiratoire du Moyen-Orient (MERS-CoV), de dentition négligée, d’affections psychiatriques en particulier la schizophrénie, etc, sont les bienvenus sans aucun contrôle sanitaire à nos frontières, mais vous devez prouver que votre chien est bien vacciné chaque année contre la rage, même payer pour doser ses anticorps contre la rage et avoir une assurance responsabilité pour couvrir ses éventuels méfaits.

Si un mec prétend être une femme, vous devriez désormais faire semblant avec lui qu’il est bien une femme.

La sexualisation des enfants est mauvaise, mais les drag queens de 10 ans comme le garçon de l’image ci-dessus seraient bonnes.

Les activistes qui affirment que le genre n'existe pas exigent des élues et une femme présidente.

Nous disons être préoccupés par l’éducation de nos enfants, mais le père et la mère deviennent des options interchangeables et cette perverse révolution anthropologique du mariage pour tous ne fait que commencer.

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D'une manière ou d'une autre, c’est devenu anti-Suisse de compter et de souligner le nombre de vrais Suisses en Suisse, le nombre de vrais Français en France, le nombre de vrais Américains aux USA, etc.

Les Russes qui auraient influencé les dernières élections aux USA et ne cèdent pas leurs entreprises aux Chinois communistes sont mauvais, mais les Mexicains illégaux qui votent aux élections aux USA sont bons.

C'était cool pour le candidat à la présidence Joe Biden de "faire chanter" le président de l'Ukraine, mais c'est une infraction intolérable que le Président Donald Trump s'enquiert à ce sujet.

Aux USA en particulier et dans quelques autres démocraties ceux qui ont 20 ans sont trop jeunes pour boire une bière, mais à dix-huit ils seraient assez âgés et matures pour voter, se marier et éduquer des enfants.

Les illégaux ne sont pas tenus de présenter une pièce d'identité, mais les citoyens ne peuvent pas acheter un vrai médicaments contre la toux sans montrer une pièce d’identité ou une ordonnance d’un médecin.

Les citoyens sont condamnés s’ils n’acquièrent pas leur propre assurance maladie-accident obligatoire, puis ils sont obligés de payer pour soigner les illégaux.

Personne et aucun parti ne gagnent le pouvoir à l'issue d'un référendum, seule l'idée l’emporte, mais des élus en place épris de pouvoir font tout pour ne pas appliquer le résultat de ce référendum.

Toute rhétorique inflammatoire, politiquement incorrecte ou islamiquement incorrecte est scandaleuse, mais harceler les gens dans les restaurants, dans la rue et à leur volant est vertueux.

Des personnes qui ne sont jamais allées à l'université devraient payer les dettes des étudiants qui ont contracté des prêts pour obtenir des diplômes inutiles puisqu’ils ne leur rapportent guère.

Les professionnels talentueux en STIM (Science, Technologie, Ingénierie et Mathématiques) de pays occidentaux démocratiques, qui souhaitent immigrer pour travailler chez nous, doivent passer par un rigoureux processus de vérification, mais tout gangster, tout faux adolescent, tout violeur, tout militant dont l’ersatz de religion se situe bien en dessous du niveau de la ceinture, tout analphabète, etc, de pays éloignés, qui franchissent les frontières de Schengen et les nôtres sont des bienvenus que nous devrions accueillir et entretenir avec l’argent de nos impôts, cela même beaucoup mieux que nos retraités et nos sans-abris.

Dépenser des millions pour contrôler la sécurité à nos frontières c’est trop cher, mais dépenser des milliards pour accueillir des faux réfugiés, des réfugiés économique et des illégaux et payer même leurs soins de santé, leurs avocats, leurs interprètes, leurs crimes et leur séjours en prisons, etc, ce n’est jamais trop cher.

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Si vous trichez pour être admis au cycle d’orientation ou à l’université vous serez puni, mais si vous trichez pour entrer dans notre pays, vous pourrez aller au collège gratuitement.

Les mêmes élus qui exigent que la loi soit appliquée à tous les citoyens, mettent les immigrants illégaux et eux-mêmes au-dessus de la loi.

Nos élus et dirigeants de la gauche élargie affirment avoir une philosophie du progrès pour tous, mais ils bousculent les règles égoïstement, uniquement pour leurs propres intérêts et ceux de leurs copains, des lobbies et des oligarques mondialistes. En résumé ces élus et ces dirigeants nous racontent qu’ils détestent les inégalités, mais en réalité, ils adorent les privilèges.

Ces mêmes élus qui nous racontent préparer notre pays à la prochaine catastrophe sanitaire ou autre persistent à endetter notre Etat-nation pour qu’il ne soit pas prêt.

Les illégaux et les faux réfugiés ne paient pas d’impôts, mais ils sont subventionnés généreusement par nos impôts.

« Tintin au Congo » est devenu Le Congo chez Tintin alors que nos élus nous disent faire la guerre aux immigrants illégaux, aux faux réfugiés et aux réfugiés économiques; toutefois, en réalité, les angéliques mesures homéopathiques qu’ils prennent sont des rustines inefficaces et hypocrites contre ces envahisseurs militants et des fainéants à temps plein qui ne partagent pas du tout, mais alors pas du tout, les mêmes valeurs que nous et rendent notre société multiconflictuelle.

Nous voyons d'autres pays devenir socialistes puis s'effondrer, mais le socialisme et sont économie dirigée nous semblent être un excellent plan pour le futur de notre pays, de nos enfants et petits enfants.

La répression et la manipulation des électeurs est criminelle en démocratie (par exemple la pratique illégale du « voto di scambio » de la mafia, du « vote-buying », du « "vote for favours »), mais ne pas permettre au Président Donald Trump de participer au prochain scrutin serait une bonne chose.

Les manifestations et défilés patriotiques seraient mauvais, mais les défilés de femmes déguisées en vagin, de personnes de sexe indéterminé, etc, sont bons .

Des criminels sont arrêtés puis libérés pour voler, blesser, violer plus de gens, mais les arrêter ou les expulser est mauvais parce que ce serait une violation de leurs droits.

Toutes ces illogiques et honteuses hypocrisies rendent notre monde multi-conflictuel, nous appauvrissent et nous rendent en quelque sorte «racistes».

Dominique Schwander.

Pourquoi Xi ne répétera pas les erreurs de la Dynastie Ming

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Pourquoi Xi ne répétera pas les erreurs de la Dynastie Ming

par Pepe Escobar

Ex: https://reseauinternational.net

La Chine a tiré les leçons de sa riche histoire et les applique pour redevenir une grande puissance du 21ème siècle.

Alors que la guerre hybride 2.0 contre la Chine atteint des sommets, les Nouvelles Routes de la Soie, ou Initiative Ceinture et Route, continueront à être diabolisées 24/7, comme le légendaire complot communiste maléfique pour la domination économique et géopolitique du monde « libre », boostée par une sinistre campagne de désinformation.

Il est vain de discuter avec des simplets. Dans l’intérêt d’un débat éclairé, ce qui compte, c’est de trouver les racines profondes de la stratégie de Pékin – ce que les Chinois ont appris de leur propre histoire riche et comment ils appliquent ces leçons en tant que grande puissance réémergente au jeune 21ème siècle.

Commençons par la façon dont l’Orient et l’Occident s’étaient positionnés au centre du monde.

La première encyclopédie historico-géographique chinoise, le Classique des Montagnes et des Mers du IIe siècle avant J.-C., nous dit que le monde était ce qui était sous le soleil (tienhia). Composé de « montagnes et de mers » (shanhai), le monde était disposé entre « quatre mers » (shihai). Une seule chose ne change pas : le centre. Et son nom est « l’Empire du Milieu » (Zhongguo), c’est-à-dire la Chine.

Bien sûr, les Européens, au XVIe siècle, découvrant que la terre était ronde, ont mis la centralité chinoise sens dessus dessous. Mais en réalité, pas tant que ça (voir, par exemple, cette carte sinocentrique du 21ème siècle publiée en 2013).

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Le principe d’un immense continent entouré de mers, « l’océan extérieur », semble avoir été dérivé de la cosmologie bouddhiste, dans laquelle le monde est décrit comme un « lotus à quatre pétales ». Mais l’esprit sinocentrique était assez puissant pour écarter et prévaloir sur toute cosmogonie qui aurait pu le contredire, comme la bouddhiste, qui plaçait l’Inde au centre.

Comparons maintenant la Grèce antique. Son centre, basé sur les cartes reconstituées d’Hippocrate et d’Hérodote, est un composite de la Mer Égée, avec la triade Delphes-Delos-Ionie. La division majeure entre l’Est et l’Ouest remonte à l’Empire Romain au 3ème siècle. Et cela commence avec Dioclétien, qui a fait de la géopolitique son cheval de bataille.

Voici la séquence : En 293, il installe une tétrarchie, avec deux Augustes et deux Césars, et quatre préfectures. Maximien Auguste est chargé de défendre l’Occident (Occidens), la « préfecture d’Italie » ayant pour capitale Milan. Dioclétien est chargé de défendre l’Orient (Oriens), la « préfecture d’Orient » ayant pour capitale Nicomédie.

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La religion politique s’ajoute à ce nouveau complexe politico-militaire. Dioclétien crée les diocèses chrétiens (dioikesis, en grec, d’après son nom), douze au total. Il existe déjà un diocèse d’Orient – essentiellement le Levant et le nord de l’Égypte.

Il n’y a pas de diocèse d’Occident. Mais il y a un diocèse d’Asie : essentiellement la partie occidentale de la Turquie méditerranéenne actuelle, héritière des anciennes provinces romaines d’Asie. C’est assez intéressant : l’Orient est placé à l’est de l’Asie.

Le centre historique, Rome, n’est qu’un symbole. Il n’y a plus de centre ; en fait, le centre s’incline vers l’Orient. Nicomedia, la capitale de Dioclétien, est rapidement remplacée par sa voisine Byzance sous Constantin et rebaptisée Constantinople : il veut en faire « la nouvelle Rome ».

Lorsque l’Empire Romain d’Occident tombe en 476, l’Empire d’Orient demeure.

Officiellement, il ne deviendra l’Empire Byzantin qu’en 732, alors que le Saint Empire Romain – qui, comme on le sait, n’était ni saint, ni romain, ni un empire – renaîtra avec Charlemagne en 800. À partir de Charlemagne, l’Occident se considère comme « l’Europe », et vice-versa : le centre historique et le moteur de ce vaste espace géographique, qui finira par atteindre et intégrer les Amériques.

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Nous sommes toujours plongés dans un débat – littéralement – océanique entre historiens sur la myriade de raisons et le contexte qui a conduit chacun et son voisin à prendre frénétiquement la mer à partir de la fin du 15ème siècle – de Colomb et Vasco de Gama à Magellan.

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Mais l’Occident oublie généralement le véritable pionnier : l’emblématique amiral Zheng He, nom d’origine Ma He, un eunuque et musulman Hui de la province du Yunnan.

Son père et son grand-père avaient fait leur pèlerinage à la Mecque. Zheng He a grandi en parlant le mandarin et l’arabe et en apprenant beaucoup sur la géographie. À 13 ans, il est placé dans la maison d’un prince Ming, Zhu Di, membre de la nouvelle dynastie qui arrive au pouvoir en 1387.

Éduqué en tant que diplomate et guerrier, Zheng He se convertit au Bouddhisme sous son nouveau nom, bien qu’il soit toujours resté fidèle à l’Islam. Après tout, comme je l’ai constaté moi-même lorsque j’ai visité des communautés Hui en 1997, en quittant la Route de la Soie pour me rendre au monastère de Labrang à Xiahe, l’Islam Hui est un syncrétisme fascinant qui intègre le Bouddhisme, le Tao et le Confucianisme.

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Zhu Di a fait tomber l’empereur en 1402 et a pris le nom de Yong Le. Un an plus tard, il avait déjà commissionné Zheng He comme Amiral, et lui avait ordonné de superviser la construction d’une grande flotte pour explorer les mers autour de la Chine. Ou, pour être plus précis, « l’océan Occidental » (Xiyang) : c’est-à-dire l’océan Indien.

Ainsi, de 1405 à 1433, soit environ trois décennies, Zheng He a mené sept expéditions à travers les mers jusqu’en Arabie et en Afrique de l’Est, partant de Nanjing dans le Yangtsé et bénéficiant des vents de mousson. Elles ont atteint le Champa, Bornéo, Java, Malacca, Sumatra, Ceylan, Calicut, Ormuz, Aden, Djeddah/La Mecque, Mogadiscio et la côte d’Afrique de l’Est au sud de l’équateur.

Il s’agissait de véritables armadas, comptant parfois plus de 200 navires, dont les 72 plus importants, transportant jusqu’à 30 000 hommes et de vastes quantités de marchandises précieuses pour le commerce : soie, porcelaine, argent, coton, produits en cuir, ustensiles en fer. Le navire de tête de la première expédition, avec Zheng He comme capitaine, mesurait 140 mètres de long, 50 mètres de large et transportait plus de 500 hommes.

C’était la première Route Maritime de la Soie, aujourd’hui ressuscitée au 21ème siècle. Et elle a été couplée à une autre extension de la Route de la Soie terrestre : après que les redoutables Mongols se soient retirés et qu’il y ait eu de nouveaux alliés jusqu’en Transoxiane, les Chinois ont réussi à conclure un accord de paix avec le successeur de Tamerlane. Les Routes de la Soie étaient donc à nouveau en plein essor. La cour Ming envoya des diplomates dans toute l’Asie – au Tibet, au Népal, au Bengale et même au Japon.

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L’objectif principal des pionniers de la marine chinoise a toujours intrigué les historiens occidentaux. Il s’agissait essentiellement d’un mélange diplomatique, commercial et militaire. Il était important de faire reconnaître la suzeraineté chinoise – et de la matérialiser par le paiement d’un tribut. Mais il s’agissait surtout de commerce ; pas étonnant que les navires avaient des cabines spéciales pour les marchands.

L’armada était désignée sous le nom de Flotte du Trésor – mais dénotant plus une opération de prestige qu’un véhicule de capture de richesses. Yong Le était un adepte de la puissance douce et de l’économie – il a pris le contrôle du commerce extérieur en imposant un monopole impérial sur toutes les transactions. Il s’agissait donc, en fin de compte, d’une application intelligente et complète du système d’affluence chinois – dans les domaines commercial, diplomatique et culturel.

Yong Le suivait en fait les instructions de son prédécesseur Hongwu, le fondateur de la Dynastie Ming (« Lumières »). La légende veut que Hongwu ait ordonné qu’un milliard d’arbres soient plantés dans la région de Nanjing pour alimenter la construction d’une marine.

Puis il y a eu le transfert de la capitale de Nanjing à Pékin en 1421, et la construction de la Cité Interdite. Cela a coûté beaucoup d’argent. Même si les expéditions navales étaient coûteuses, leurs profits étaient bien sûr utiles.

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Yong Le

Yong Le voulait établir la stabilité chinoise – et panasiatique – par le biais d’une véritable Pax Sinica. Cela n’a pas été imposé par la force mais plutôt par la diplomatie, couplée à une subtile démonstration de puissance. L’Armada était le porte-avions de l’époque, avec des canons à vue – mais rarement utilisés – et pratiquant la « liberté de navigation ».

Ce que l’empereur voulait, c’était des dirigeants locaux alliés, et pour cela il utilisait l’intrigue et le commerce plutôt que le choc et l’effroi par le biais de batailles et de massacres. Par exemple, Zheng He a proclamé la suzeraineté chinoise sur Sumatra, la Cochinchine et Ceylan. Il a privilégié le commerce équitable. Cela n’a donc jamais été un processus de colonisation.

Au contraire : avant chaque expédition, au fur et à mesure de sa planification, les émissaires des pays à visiter étaient invités à la cour des Ming et traités, bien, royalement.

Européens pilleurs

Comparons cela à la colonisation européenne menée une décennie plus tard par les Portugais sur ces mêmes terres et ces mêmes mers. Entre (un peu) de carotte et (beaucoup) de bâton, les Européens ont fait du commerce principalement par le biais de massacres et de conversions forcées. Les comptoirs commerciaux ont rapidement été transformés en forts et en installations militaires, ce que les expéditions de Zheng He n’ont jamais entrepris.

En fait, Zheng He a laissé tellement de bons souvenirs qu’il a été divinisé sous son nom chinois, San Bao, qui signifie « Trois Trésors », dans des endroits d’Asie du Sud-Est tels que Malacca et Ayutthaya au Siam.

Ce qui ne peut être décrit que comme un sadomasochisme judéo-chrétien s’est concentré sur l’imposition de la souffrance comme vertu, seule voie pour atteindre le Paradis. Zheng He n’aurait jamais considéré que ses marins – et les populations avec lesquelles il a pris contact – devaient payer ce prix.

Alors pourquoi tout cela a-t-il pris fin, et si soudainement ? Essentiellement parce que Yong Le n’avait plus d’argent à cause de ses grandioses aventures impériales. Le Grand Canal – qui relie le fleuve Jaune et les bassins du Yangzi – a coûté une fortune. Même chose pour la construction de la Cité Interdite. Les revenus des expéditions n’ont pas suffi.

Et juste au moment où la Cité Interdite fut inaugurée, elle prit feu en mai 1421. Mauvais présage. Selon la tradition, cela signifie une dysharmonie entre le Ciel et le souverain, un développement en dehors de la norme astrale. Les Confucianistes l’utilisaient pour blâmer les conseillers eunuques, très proches des marchands et des élites cosmopolites autour de l’empereur. De plus, les frontières méridionales étaient agitées et la menace mongole n’a jamais vraiment disparu.

Le nouvel empereur Ming, Zhu Gaozhi, a fait la loi : « Le territoire de la Chine produit toutes les marchandises en abondance ; alors pourquoi devrions-nous acheter des bibelots à l’étranger sans aucun intérêt ? »

Son successeur, Zhu Zanji, était encore plus radical. Jusqu’en 1452, une série d’édits impériaux ont interdit le commerce extérieur et les voyages à l’étranger. Chaque infraction était considérée comme de la piraterie punie de mort. Pire encore, l’étude des langues étrangères était bannie, tout comme l’enseignement du chinois aux étrangers.

Zheng He est mort (au début de 1433 ? 1435 ?) en vrai personnage, au milieu de la mer, au nord de Java, alors qu’il revenait de la septième et dernière expédition. Les documents et les cartes utilisés pour les expéditions ont été détruits, ainsi que les navires.

Les Ming ont donc abandonné la puissance navale et sont revenus à l’ancien Confucianisme agraire, qui privilégie l’agriculture sur le commerce, la terre sur les mers, et le centre sur les terres étrangères.

Plus de retraite navale

Il faut dire que le formidable système d’affluence navale mis en place par Yong Le et Zheng He a été victime d’excès – trop de dépenses de l’État, turbulences paysannes – ainsi que de son propre succès.

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En moins d’un siècle, des expéditions de Zheng He à la retraite des Ming, cela s’est avéré être un changement de paradigme majeur dans l’histoire et la géopolitique, préfigurant ce qui allait se passer immédiatement après au cours du long 16ème siècle : l’ère où l’Europe a commencé et a finalement réussi à dominer le monde.

Une image est frappante. Alors que les lieutenants de Zheng He naviguaient sur la côte orientale de l’Afrique jusqu’au sud, en 1433, les expéditions portugaises commençaient tout juste leurs aventures dans l’Atlantique, naviguant également vers le sud, peu à peu, le long de la côte occidentale de l’Afrique. Le mythique Cap Bojador a été conquis en 1434.

Après que les sept expéditions Ming eurent sillonné l’Asie du Sud-Est et l’Océan Indien à partir de 1403 pendant près de trois décennies, ce n’est qu’un demi-siècle plus tard que Bartolomeu Dias allait conquérir le cap de Bonne-Espérance, en 1488, et que Vasco de Gama arriverait à Goa en 1498.

Imaginez un « et si » historique : les Chinois et les Portugais s’étaient croisés en terre swahilie. Après tout, en 1417, c’était le commandement de Hong Bao, l’eunuque musulman, un lieutenant de Zheng He ; et en 1498, c’était au tour de Vasco de Gama, guidé par le « Lion de la mer » Ibn Majid, son légendaire maître navigateur arabe.

Les Ming n’étaient pas obsédés par l’or et les épices. Pour eux, le commerce devait être basé sur un échange équitable, dans le cadre du tribut. Comme Joseph Needham l’a prouvé de façon concluante dans des ouvrages tels que « Science et Civilisation en Chine », les Européens voulaient des produits asiatiques bien plus que les Orientaux ne voulaient des produits européens, « et la seule façon de les payer était l’or ».

5cbec224a3104842e4aa1131.jpegPour les Portugais, les terres « découvertes » étaient toutes des territoires de colonisation potentiels. Et pour cela, les quelques colonisateurs avaient besoin d’esclaves. Pour les Chinois, l’esclavage équivalait au mieux à des tâches domestiques. Pour les Européens, il s’agissait de l’exploitation massive d’une main-d’œuvre dans les champs et dans les mines, notamment en ce qui concerne les populations noires d’Afrique.

En Asie, contrairement à la diplomatie chinoise, les Européens ont opté pour le massacre. Par la torture et les mutilations, Vasco de Gama et d’autres colonisateurs portugais ont déployé une véritable guerre de terreur contre les populations civiles.

Cette différence structurelle absolument majeure est à l’origine du système mondial et de l’organisation géo-historique de notre monde, comme l’ont analysé des géographes de premier plan tels que Christian Grataloup et Paul Pelletier. Les nations asiatiques n’ont pas eu à gérer – ou à subir – les douloureuses répercussions de l’esclavage.

Ainsi, en l’espace de quelques décennies seulement, les Chinois ont renoncé à des relations plus étroites avec l’Asie du Sud-Est, l’Inde et l’Afrique de l’Est. La flotte des Ming a été détruite. La Chine a abandonné le commerce extérieur et s’est repliée sur elle-même pour se concentrer sur l’agriculture.

Une fois de plus : le lien direct entre la retraite navale chinoise et l’expansion coloniale européenne est capable d’expliquer le processus de développement des deux « mondes » – l’Occident et le centre chinois – depuis le 15e siècle.

À la fin du XVe siècle, il ne restait plus d’architectes chinois capables de construire de grands navires. Le développement de l’armement avait également été abandonné. En quelques décennies seulement, le monde sinifié a perdu sa grande avance technologique sur l’Occident. Il s’est affaibli. Et plus tard, il allait payer un prix énorme, symbolisé dans l’inconscient des Chinois par le « siècle de l’humiliation ».

Tout ce qui précède explique pas mal de choses. Comment Xi Jinping et les dirigeants actuels ont fait leurs devoirs. Pourquoi la Chine ne veut pas faire un remix des Ming et battre en retraite à nouveau. Pourquoi et comment la Route de la Soie terrestre et la Route de la Soie Maritime sont rétablies. Comment il n’y aura plus d’humiliations. Et surtout, pourquoi l’Occident – en particulier l’empire américain – refuse absolument d’admettre le nouveau cours de l’histoire.

Pepe Escobar

source : https://asiatimes.com

traduit par Réseau International

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Michel Maffesoli: « La stratégie de la peur »

Par Michel Maffesoli

Ex: https://liguedumidi.com

Depuis des mois, nous vivons dans la peur. Mais la crise sanitaire justifiait-elle que les contacts sociaux soient à ce point étouffés entre les individus ? Et quel bilan pouvons-nous tirer de cette période de confinement, du point de vue des relations humaines ? Michel Maffesoli nous livre son verdict.

MAFFESOLI_LMSI-f499c.jpgIl n’est pas question de dire que la crise sanitaire n’existe pas, nous sommes nombreux à avoir des amis qui s’en sont en allés, ou des proches qui sont atteints ! Mais nos regrets et notre tristesse ne doivent pas nous faire oublier qu’il est une crise de plus grande ampleur : crise civilisationnelle s’il en est !

On ne le redira jamais assez : « tout est symbole ». Il faut avoir la lucidité et le courage de dire, pour employer un vieux mot français, ce que « monstre » ce symbole. Fût-ce dans ses aspects monstrueux. En la matière et en paraphrasant ce que disaient en leur temps nos amis situationnistes, il convient donc d’établir un « véridique rapport » sur le libéral mondialisme !

Pourquoi les milliardaires sont-ils philanthropes ?

Puis-je le faire, tout d’abord, d’une manière anecdotique. Mais en rappelant qu’en son sens étymologique : « an-ekdotos », c’est ce qui n’est pas publié, ou ce que l’on ne veut pas rendre public. Mais qui, pour des esprits aigus, n’est pas sans importance ! On peut donc se poser cette question : pourquoi des milliardaires font-ils de la philanthropie ? Car, on le sait, il existe chez eux une étroite liaison entre leur morale et leur compte en banque.

Bill Gates, préoccupé par le « coronavirus », finance largement l’OMS. Sans oublier ses largesses pour bien le faire savoir. Ainsi en France, ce journal « de référence » qu’est Le Monde qui, oubliant sa légendaire déontologie, accepte, contre espèces sonnantes et trébuchantes, que le magnat en question publie un article pour expliquer ses généreuses préoccupations concernant le Covid-19.

Un tel fait est loin d’être isolé. Ceux qui détiennent le pouvoir économique, politique, journalistique sentant, pour reprendre le titre de George Orwell, leur « 1984 » menacé, tentent dans leur novlangue habituelle, de faire oublier que leur préoccupation est, tout simplement, le maintien du nouvel ordre mondial dont ils sont les protagonistes essentiels. Et, pour ce faire, ils surjouent, jusqu’à plus soif, la « panique » d’une pandémie galopante. Pour reprendre un terme de Heidegger (« Machenschaft »), ils pratiquent la manigance, la manipulation de la peur.

L’impéritie du pouvoir technocratique.

Il y avait, en effet, deux stratégies possibles :

  • celle du confinement a pour objectif la protection de chacun, en évitant le trop plein de contaminations entraînant une surcharge des services de réanimation accueillant les cas graves. Protection organisée par un État autoritaire et à l’aide de sanctions, une sorte de sécurité sanitaire obligatoire. Stratégie fondée sur les calculs statistiques et probabilistes des épidémiologistes. Selon l’adage moderne, n’est scientifique que ce qui est mesurable.
  • Autre stratégie, médicale celle-ci (la médecine est un savoir empirique, un art, pas une Science, en tout cas est fondée sur la clinique [expérience] et pas uniquement sur la mesure) : dépister, traiter, mettre en quarantaine les personnes contaminantes pour protéger les autres. Stratégie altruiste.

Une telle stratégie traduit la défiance généralisée du pouvoir, politiques et hauts fonctionnaires, envers le « peuple ».

Certes, l’impéritie d’un pouvoir technocratique et économiciste a privé sans doute la France des instruments nécessaires à cette stratégie médicale (tests, masques), certes l’organisation centralisée et étatique ne permet pas de telles stratégies essentiellement locales et diversifiées. Mais une telle stratégie traduit aussi la défiance généralisée du pouvoir, politiques et hauts fonctionnaires, envers le « peuple ». Protéger les gens fût-ce contre leur gré, au mépris des grandes valeurs fondant la socialité : l’accompagnement des mourants ; l’hommage aux morts ; les rassemblements religieux de divers ordres ; l’expression quotidienne de l’amitié, de l’affection. Le confinement est fondé sur la peur de chacun par rapport à chacun et la sortie du confinement va être encadrée par des règles de « distanciation sociale » fondées sur le soupçon et la peur.

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La stratégie de la peur.

Faire peur pour sauver un monde en décadence ! Faire peur afin d’éviter les soulèvements, dont on peut dire, sans jouer au prophète, qu’ils ne manquent pas (et surtout ne manqueront pas) de se multiplier un peu partout de par le monde. N’oublions pas qu’en France, le confinement a succédé à deux ans de révolte des Gilets jaunes suivies par les manifestions contre la technocratique et libérale réforme des retraites. On imagine la haine du « populo » qui anime nos élites ! Mais l’esprit de révolte est dans l’air du temps. Ortega y Gasset, dans La Révolte des masses parlait à ce propos d’un « impératif atmosphérique ». Cet impératif, de nos jours, c’est celui de la révolution, si on la comprend en son sens premier : revolvere, faire revenir ce que l’idéologie progressiste s’était employée à dépasser. Revenir à un « être-ensemble » traditionnel et enraciné.

C’est contre un tel impératif : le retour à un ordre des choses bien plus naturel, que les diverses élites s’emploient à attiser la peur, et ce pour faire faire perdurer les valeurs sociales qui furent celles des « temps modernes ». Pour le dire succinctement, émergence d’un individualisme épistémologique et ce grâce à un rationalisme généralisé au motif d’un progressisme salvateur.

Ce sont, en effet, ces valeurs qui engendrèrent ce que mon regretté ami Jean Baudrillard a appelé la « société de consommation », cause et effet de l’universalisme propre à la philosophie des Lumières (XVIIIe siècle) dont la « mondialisation » est la résultante achevée. Le tout culminant dans une société parfaite, on pourrait dire « trans-humaniste », où le mal, la maladie, la mort et autres « dysfonctionnements » auraient été dépassés.

Le scientisme.

Voilà bien ce qu’une maladie saisonnière érigée en pandémie mondiale s’emploie à masquer. Mais il est certain que les hypothèses, analyses, pronostics, etc., sur le « monde d’après » signifient bien que ce qui est en cours est un véritable changement de paradigme que l’aveuglement des élites au pouvoir n’arrive pas à occulter. En effet, les mensonges, vains discours et sophismes ont de moins en moins de prise. « Le roi est nu », et cela commence de plus en plus à se dire. Devant ce qui est évident : la faillite d’un monde désuet, les évidences théoriques des élites ne font plus recette.

Devant cette méfiance grandissante, ce « on » indéfini caractérisant la Caste au pouvoir agite le paravent scientifique, peut-être vaudrait-il mieux dire, pour reprendre le terme d’Orwell, elle va utiliser la novlangue scientiste.

Revêtant l’habit de la science, et mimant les scientifiques, le « scientisme » est en fait la forme contemporaine de la croyance béate propre au dogmatisme religieux. Les esprits fumeux ayant le monopole du discours public sont, en effet, les croyants dogmatiques du mythe du Progrès, de la nécessité de la mondialisation, de la prévalence de l’économie et autres incantations de la même eau.

Devant cette méfiance grandissante, ce « on » indéfini caractérisant la Caste au pouvoir agite le paravent scientifique. Il s’agit là d’un positivisme étriqué qui, comme le rappelle Charles Péguy, n’est qu’une réduction médiocre du grand « positivisme mystique » d’Auguste Comte. La conséquence de ce positivisme étriqué est le matérialisme sans horizon qui fut la marque par excellence de la modernité. Matérialisme brutal que n’arrivent pas à masquer les discours grandiloquents, doucereux, empathiques ou tout simplement frivoles propres au pouvoir politique et aux « médias mainstream » (véritable Ministère de la Propagande) lui servant la soupe.

C’est parce qu’il n’est pas enraciné dans l’expérience collective que le « scientiste » se reconnaît à la succession de mensonges proférés à tout venant. L’exemple des sincérités successives à propos des masques ou des tests, est, à cet égard, exemplaire. Mais ces mensonges soi-disant scientifiques sont aux antipodes de ce qu’est une science authentique.

Souvenons-nous, ici, de la conception d’Aristote. Avoir la science d’une chose, c’est en avoir une connaissance assurée. C’est-à-dire qui consiste à montrer en quoi cette chose est ainsi et pas autrement. C’est bien ce qu’oublie le « scientisme » dont se parent les élites politiques et divers experts médiatiques qui transforment la crise sanitaire en véritable fantasme. Et ce afin de « tenir » le peuple et de conforter sa soumission.

Le peuple-enfant.

Ce faisant, ce « on » anonyme qu’est le Big Brother étatique ne sert pas la science. Il se sert de la science pour des objectifs politiques ou économiques : maintien du consumérisme, adoration du « veau d’or du matérialisme », perdurance de l’économicisme propre à la modernité. C’est cela que profèrent, ad nauseam, ceux que L. F. Céline nommait, bellement, les « rabâcheurs d’étronimes sottises » ; chargés de reformater n’importe quel « quidam » en lui servant, à tout propos, la soupe de la bien-pensance[1]. Et ce afin de le maintenir dans une « réification » objectale qui est l’enjeu de la crise sanitaire devenue un fantasme de plus en plus envahissant. Car pour reprendre l’image du Big Brother et du psittacisme dominant, il s’agit bien d’infantiliser le peuple. Répéter, mécaniquement, des mots vides de sens, que même ceux qui les emploient ne comprennent pas, ou de travers.

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Considérer le peuple comme un enfant incapable de prendre les bonnes décisions, incapable de juger ou de discerner ce qui est bon pour lui et pour la collectivité, voilà bien l’essence même de la « populophobie » caractérisant les élites en faillite.

En faillite, car une élite est légitime lorsqu’elle est greffée sur la sagesse populaire. C’est ce qu’exprime l’adage : « omnis auctoritas ad populo ». Et parler, à tire larigot, de « populisme » est le signe que la greffe n’a pas pris, ou n’existe plus. En oubliant ce que j’ai, en son temps, nommé la « centralité souterraine », propre à la puissance du peuple, on ne peut plus saisir la poussée intérieure de la sève vitale. Ce qui est l’authentique science : avoir une connaissance essentielle de la substantielle réalité, celle de la vie quotidienne.

Les technocrates.

Voilà ce que sont incapables de faire les faux savants et les vrais sophistes qui dénaturent la raison authentique, celle s’appuyant sur le sensible, c’est-à-dire sur ce qui est Réel. Parler de populisme, c’est ne rien saisir de la bonhomie du peuple, ne rien comprendre à sa « popularité ».

Le signe le plus évident de cette déconnexion, c’est lorsqu’on entend l’actuel locataire de l’Élysée parler avec condescendance des manifestations, par exemple celles du Premier Mai, comme étant le fait de « chamailleurs » qu’il faut bien tolérer. Étant entendu, sous-entendu, que ces chamailleries ne doivent en rien perturber le travail sérieux et rationnel de la technocratie au pouvoir. Voilà ce que sont incapables de faire les faux savants et les vrais sophistes qui dénaturent la raison authentique, celle s’appuyant sur le sensible.

Technocratie incapable d’être attentive à la voix de l’instinct. Voix de la mémoire collective, amoncelée depuis on ne sait plus quand, ni pourquoi. Mais mémoire immémoriale, celle de la société officieuse devant servir de fondement à l’éphémère société officielle, celle des pouvoirs.

Cette voix de l’instinct avait, de longue tradition, guidé la recherche de l’Absolu. Et ce de quelque nom que l’on pare celui-ci. L’incarnation de l’absolu étant ce que l’on peut appeler, après mon maître Gilbert Durand, une « structure anthropologique » essentielle. Et c’est cette recherche que la modernité s’est employée à dénier en la vulgarisant, la « profanisant » en un mythe du Progrès au rationalisme morbide et au matérialisme on ne peut plus étroit. D’où sont sortis le consumérisme et le mondialisme libéral.

La socialité ordinaire.

71iVgJ7Hy+L._AC_SX522_.jpgAuguste Comte, pour caractériser l’état de la société propre aux Temps modernes disait judicieusement reductio ad unum. L’un de l’Universalisme, l’un du Progressisme, l’un du Rationalisme, de l’Économicisme, du Consumérisme etc. C’est bien contre cette unité abstraite que la colère gronde, que la méfiance s’accroit. Et c’est bien parce qu’elle pressent que des soulèvements ne vont pas tarder à se manifester que la Caste au pouvoir, celle des politiques et de leurs perroquets médiatiques, s’emploie à susciter la peur, le refus du risque, la dénégation de la finitude humaine dont la mort est la forme achevée.

C’est pour essayer de freiner, voire de briser cette méfiance diffuse que l’élite en déshérence utilise jusqu’à la caricature les valeurs qui firent le succès de ce que j’appellerais le « bourgeoisisme moderne ». Autre manière de dire le libéral mondialisme.

Ce que le Big Brother nomme le « confinement » n’est rien d’autre que l’individualisme épistémologique qui, depuis la Réforme protestante fit le succès de l’« esprit du capitalisme » (Max Weber). « Gestes barrières », « distanciation sociale » et autres expressions de la même eau ne sont rien d’autre que ce que l’étroit moralisme du XIXe siècle nommait « le mur de la vie privée ». Ou encore chacun chez soi, chacun pour soi.

Pour le dire d’une manière plus soutenue, en empruntant ce terme à Stendhal, il s’agit là d’un pur « égotisme », forme exacerbée d’un égoïsme oubliant que ce qui fonde la vie sociale est un « être-ensemble » structurel. Socialité de base que la symbolique des balcons, en Italie, France ou Brésil, rappelle on ne peut mieux.

L’effervescence en gestation va rappeler, à bon escient, qu’un humanisme bien compris, c’est-à-dire un humanisme intégral, repose sur un lien fait de solidarité, de générosité et de partage. Voilà ce qui est l’incarnation de l’absolu dans la vie courante. On ne peut plus être, simplement, enfermé dans la forteresse de son « chez soi ». On n’existe qu’avec l’autre, que par l’autre. Altérité que l’injonction du confinement ne manque pas d’oublier.

La mascarade des masques.

Amusons-nous avec une autre caricature : la mascarade des masques. Souvenons-nous que tout comme la Réforme protestante fut un des fondements de la modernité sous l’aspect religieux, Descartes le fut sous la dimension philosophique. Qu’ils en soient ou non conscients, c’est bien sous son égide que les tenants du progressisme développent leurs théories de l’émancipation, leurs diverses transgressions des limites et autres thématiques de la libération.

Descartes donc, par prudence, annonçait qu’il avançait masqué (« larvato prodeo »). Mais ce qui n’était qu’une élégante boutade devient une impérative injonction grâce à laquelle l’élite pense conforter son pouvoir. Resucée de l’antique, et souvent délétère, theatrum mundi !

On ne dira jamais assez que la dégénérescence de la cité est corrélative de la « théâtrocratie ». Qui est le propre de ceux que Platon nomme dans le mythe de la Caverne, « les montreurs de marionnettes » (République, VII). Ce sont les maîtres de la parole, faisant voir des merveilles aux prisonniers enchaînés au fond d’une caverne. La merveille de nos jours ce sera la fin d’une épidémie si l’on sait respecter la pantomime généralisée : avancer masqué. Le spectaculaire généralisé.

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N’est-ce point cela que Guy Debord annonçait lorsqu’après la « Société du spectacle » (1967) dans un commentaire ultérieur, il parlait du « spectacle intégré ». Sa thèse, connue ? comprise ? c’est l’aliénation, c’est-à-dire devenir étranger à soi-même à partir du consumérisme et ce grâce au spectacle généralisé. Ce qui aboutit à la généralisation du mensonge : le vrai est un moment du faux.

Dans la théâtralité de la Caste politique, cela ne vous rappelle-t-il rien ? Le faux se présente masqué, comme étant un bien. Ce que Jean Baudrillard nommait le « simulacre » (1981) : masque du réel, ce qui masque la profonde réalité du Réel. Ce que Joseph de Maistre nommait la « réité » !

Comme ce que fut la série américaine « Holocauste », le masque consiste à susciter des frissons dissuasifs (de nos jours, la peur de l’épidémie, voire de la pandémie) comme « bonne conscience de la catastrophe ». En la matière, implosion de l’économicisme dominant où la valeur d’usage telle qu’Aristote l’analyse (Le Politique ch. III, par 11) est remplacée par la valeur d’échange.

C’est ce que les montreurs de marionnettes, inconsciemment (ils sont tellement incultes) promeuvent. Le masque, symbole d’une apparence, ici de la protection, ne renvoyant à aucune « réité », mais se présentant comme la réalité elle-même.

La finitude humaine.

Pour donner une référence entre Platon et Baudrillard, n’est-ce pas cela le « divertissement » de Pascal ? Cette recherche des biens matériels, l’appétence pour les activités futiles, le faire savoir plutôt qu’un savoir authentique, toutes choses qui, éléments de langage aidant, constituent l’essentiel du discours politique et des rabacheries médiatiques. Toutes choses puant le mensonge à plein nez, et essayant de masquer que ce qui fait la grandeur de l’espèce humaine, c’est la reconnaissance et l’acceptation de la mort.

Car pour le Big Brother le « crime-pensée » par excellence est bien la reconnaissance de la finitude humaine. De ce point de vue, le confinement et la mascarade généralisée sont, dans la droite ligne du véritable danger de toute société humaine : l’aseptie de la vie sociale. Protection généralisée, évacuation totale des maladies transmissibles, lutte constante contre les germes pathogènes.

Cette « pasteurisation » est, à bien des égards, tout à fait louable. C’est quand elle devient une idéologie technocratique qu’elle ne manque pas d’être elle-même pathogène. Très précisément en ce qu’elle nie ou dénie cette structure essentielle de l’existence humaine, la finitude. Ce que résume Heidegger en rappelant que « l’être est vers la mort » (Sein zum Tode). À l’opposé de la mort écartée, la mort doit être assumée, ritualisée, voire homéopathisée. Ce que dans sa sagesse la tradition catholique avait fort bien cristallisé en rendant un culte à « Notre Dame de la bonne Mort ».

Une communion nécessaire.

Si l’on comprend bien que, dans les cas de soins donnés à des personnes contagieuses, les soignants observent toutes les règles d’hygiène, masque, distanciation et protections diverses, ces mêmes règles appliquées urbi et orbi à des personnes soupçonnées a priori d’être contaminantes ne peuvent qu’être vécues comme un déni de l’animalité de l’espèce humaine. Réduire tous les contacts, tous les échanges aux seules paroles, voire aux paroles étouffées par un masque, c’est en quelque sorte renoncer à l’usage des sens, au partage des sens, à la socialité reposant sur le fait d’être en contact, de toucher l’autre : embrassades, câlins et autres formes de tactilité. Et refuser l’animalité expose au risque de bestialité : les diverses violences intra-familiales ponctuant le confinement comme les délations diverses en sont un témoignage probant.

Le confinement comme négation de l’être-ensemble, la mascarade comme forme paroxystique de la théâtralité, tout cela tente, pour assurer la perdurance du pouvoir économiciste et politique, de faire oublier le sens de la limite et de l’indépassable fragilité de l’humain. En bref l’acceptation de ce que Miguel de Unamuno nommait le « sentiment tragique de l’existence ».

C’est ce sentiment qui assure, sur la longue durée, la perdurance du lien social. C’est cela même qui est le fondement de la bonhomie populaire : solidarité, entraide, partage, que la suradministration propre à la technocratie est incapable de comprendre. C’est ce sentiment, également, qui au-delà de l’idéologie progressiste, dont l’aspect dévastateur est de plus en plus évident, tend à privilégier une démarche « progressive ». Celle de l’enracinement, du localisme, de l’espace que l’on partage avec d’autres. Sagesse écosophique. Sagesse attentive à l’importance des limites acceptées et sereinement vécues. C’est tout cela qui permet de comprendre la mystérieuse communion issue des épreuves non pas déniées, mais partagées. Elle traduit la fécondité spirituelle, l’exigence spirituelle propres aux jeunes générations. Ce qu’exprime cette image de Huysmans : « coalition de cervelles, d’une fonte d’âmes » !

C’est bien cette communion, qui, parfois s’exprime sous forme paroxystique. Les soulèvements passés ou à venir en sont l’expression achevée. À ces moments-là, le mensonge ne fait plus recette. Qui plus est, il se retourne contre ceux qui le profèrent. N’est-ce point cela que relève Boccace dans le Decameron : « Le trompeur est bien souvent à la merci de celui qu’il a trompé. » Acceptons-en l’augure.

A paraître le 20 mai :

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mercredi, 13 mai 2020

François-Bernard Huyghe : Crise sanitaire et guerre de l'information

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François-Bernard Huyghe :

Crise sanitaire et guerre de l'information

 
 
Entretien de la Quarantaine -
Episode 10 enregistré le 1er mai 2020 :
 
Le politologue François-Bernard Huyghe répond aux questions de Pierre-Yves Rougeyron sur la guerre de l'information durant la crise du coronavirus.
 
Pour aller plus loin :
➡️ La dernière conférence de F.B. Huyghe au Cercle Aristote : https://www.youtube.com/watch?v=lv8xG...
 

mardi, 12 mai 2020

GIEC : Les prédicateurs de la mondialisation

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GIEC : Les prédicateurs de la mondialisation

 
 
Auteur : CLOJAC
Ex: http://www.zejournal.mobi

On peut pardonner à sainte Greta la simplette son ignorance. Mais que dire de ces pseudo-savants qui soutiennent des énormités anti-scientifiques ? Auraient-ils trouvé leurs diplômes dans des pochettes-surprises ? Entre lyssenkisme et homme de Piltdown ? Ou sont-ils stipendiés pour colporter une grande peur irraisonnée sur laquelle s'engraissent toutes sortes de personnages troubles ? (Voir * Réchauffardsle casse du siècle *)

Le dioxyde carbone n'est pas un poison

Bien au contraire, il est indispensable à la vie ! C'est l'aliment de base des plantes. Avec l'eau et le rayonnement solaire. Sans CO2 il n'y aurait pas de plantes et une grande partie de l'atmosphère que nous respirons ne se renouvellerait plus. D'ailleurs, si la concentration de CO2 dans l'atmosphère a légèrement augmenté ces 30 dernières années, dans le même temps la surface couverte par la végétation sur la terre s'est accrue de 20%.

Au temps des dinosaures, le niveau de CO2 a atteint des valeurs proches de 10.000 ppm (partie par million ou 106 ) soit 25 fois la concentration actuelle. Ce fut pourtant l'époque d'une flore et d'une faune géantes d'une extraordinaire diversité.

D'ailleurs est-ce un hasard si les agriculteurs en serres y injectent trois fois plus de CO2 qu'il n'y en a dans l’atmosphère ? Résultat observable : Les plantes poussent plus vite, elles résistent mieux aux maladies et aux insectes,  leurs fruits sont plus gros,  et grâce à une photosynthèse plus efficace, elles consomment moins d’eau.

Perdre la moitié de la concentration actuelle, de l'ordre de 400 ppm, conduirait inexorablement à l’extinction d'une grande partie de la végétation et donc des animaux qui s'en nourrissent. Avec à l'horizon la famine pour la plupart des humains. Malgré le véganisme prôné par les réchauffards.

En outre, rappelons que près des trois quarts de l'oxygène que nous respirons provient du phytoplancton (et pas des forêts !) C'est le vrai poumon de la planète, lequel se nourrit de CO2. Réduire de façon drastique le CO2 mènerait à une catastrophe planétaire.

Oui, mais « Et  le réchauffement ? » piailleront les perroquets bien dressés !

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Quel réchauffement ?

Pour les pseudo-experts du GIEC constitués en 1990 en grands chamanes de la religion réchauffiste, universelle et obligatoire, vers 2040 la température moyenne de la terre dépasserait de 1,5 °C celle du début de l’ère industrielle, deux siècles plus tôt, si les émissions de gaz à effet de serre dont leur obsessionnel CO2 devaient se poursuivre au rythme actuel... Et ce serait alors la fin du monde !

La belle affaire quand on sait que lors de l'optimum médiéval, il faisait en moyenne 4°C de plus qu'aujourd'hui, en un temps où le Groenland était la terre verte de Vikings. Et si l'on remonte plus loin dans le temps, Hannibal a pu franchir les Alpes avec ses éléphants parce qu'il n'y avait pas de glaciers sur sa route il y a 22 siècles. La faute aux usines, aux automobiles et aux avions des Romains ?

La prédiction catastrophiste actuelle qui prétend sans complexe « guider les actions des gouvernements du monde entier » s'appuie sur l'ignorance des foules dans le domaine de l'histoire et la cécité de tous ces gens pour qui le JT tient lieu d'évangile. Elle a été rédigée par une centaine de chercheurs internationaux soigneusement cooptés, pillant sans vergogne les travaux de leurs collègues quand ils y trouvaient matière à étayer leurs démonstrations. Quitte à "ajuster"  un peu les données.

Leur travail s'est limité à compiler des conclusions hétéroclites en provenance d'un peu tous les continents. En oubliant l'optimum médiéval pour obtenir la fameuse courbe truquée en crosse de hockey de Mann (Cop 25 : La débâcle des imposteurs climatiques) Et au besoin en « arrangeant » les chiffres lorsqu'ils ne correspondaient pas aux prédictions (climate gates in Profession : Escrolo réchauffard )

Le texte final a été peaufiné avec le concours de représentants des gouvernements et de l’Union européenne, et plus on montait dans la hiérarchie des décideurs, moins on trouvait des scientifiques. Par contre, on ne manquait pas aux plus hauts postes de politiciens à la ramasse, d'administrateurs ambitieux, de banquiers cupides, de journalistes serviles et même d'avocats tortueux.

Pour ces experts autoproclamés, l'augmentation générale de 1,5 °C, provoquerait l'engloutissement des atolls, à commencer par ceux du Pacifique avant l'an 2020. Des millions de réfugiés climatiques erreraient comme dans Waterworld en quête de terres habitables... Fort heureusement, la réalité fut toute autre (Voir *  Atolls une gifle pour le GIEC *)

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L’effet de serre... Imposture ou canular ?

Au début, on pouvait se poser la question. Car il n'y a aucun lien démontré entre un léger réchauffement de la planète et les émissions de CO2. Ce gaz a un effet de serre négligeable. Le CO2 ne représente que 0,04% de la composition de l’air. Une légère variation de son ppm n'aurait aucune incidence sur les températures.

Le principal gaz à effet de serre est la vapeur d’eau aux effets 10 fois plus significatifs que le CO2. D'autant que la vapeur d’eau représente 2% de l’atmosphère soit 50 fois plus que le CO2.

Ainsi l'antienne « Sauvons la planète » © sans préciser en asservissant les hommes  est un mantra de propagande dépourvu de toute base scientifique.

Le problème à la base est que la population théoriquement éduquée dans les pays avancés (alors que dire des gens du tiers monde?) est de moins en moins instruite scientifiquement. Très peu de gens essaient d’obtenir des informations sur l’empreinte CO2 réelle. Et encore moins de personnes s’intéressent à la science expérimentale. Trop compliqué ou trop fatiguant pour elles. Les médias et les gouvernements en profitent pour propager leur idéologie fumeuse du réchauffement anthropique, et pour instaurer toutes sortes de mesures coercitives et punitives pour « sauver le monde » © et vider les porte-monnaie.

En outre, les Français ont une appétence perverse pour l’auto-flagellation. La fumisterie du réchauffement anthropique nourrit cette tendance. Ce pourrait être une compensation à l'érosion du sentiment religieux. Une forme de rédemption new age ?

Ainsi se nourrit la foi en une nouvelle religion, le réchauffisme dont les prophètes sont les imposteurs du GIEC, au service d'une divinité vénérée : la mère-nature fantasmée, paternaliste et fraternelle. Un retour aux plus anciens mythes de l'humanité. Derrière lesquels se cache le Lucifer de la Haute Finance.

Cela permet de susciter de façon irraisonnée le sentiment d'une faute à expier car si le climat se réchauffe nous en sommes tous responsables par notre quête hédoniste de confort et de progrès... Et si nous ne limitons pas immédiatement nos émissions de CO2, nous aurons irrémédiablement détruit notre planète. Mais on peut régler ce problème grâce un racket organisé au profit des prophètes et des intérêts qu'ils servent.

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La montée des océans et la fonte des calottes glaciaires

Au cours des 20.000 dernières années, un court instant à l'échelle géologique, la terre a connu des périodes chaudes et froides, avec des montées et des baisses du niveau des mers. Il y a 20.000 ans, nos lointains ancêtres accédaient à pied sec à la grotte Cosquer. Ensuite les niveau des mers et des océans a augmenté d'environ 100 mètres à la fin de la dernière glaciation du pléistocène, noyant la Manche et les Pays Bas (la transgression flandrienne) Un réchauffement sans doute provoqué par les camions, les trains et les avions des Cro Magnon.

Ce phénomène naturel de réchauffement-refroidissement est très bien expliqué par les *cycles de Milankovitch*. Les mouvements de la terre sur son axe, son inclinaison, les variations de son ellipse et les éruptions solaires en sont la cause. L'homme n'a rien à y voir. Chaque fois, quand la température augmente, l’eau des océans se dilate et certains glaciers fondent. Quand la température diminue, les glaciers se reforment, découvrant d'anciens rivages. C’est une constante astronomique et non une spécificité de notre temps, propre à terroriser les ignares.

Les alternances de chaud et froid se sont reproduites maintes fois, la dernière à la fin du petit âge glaciaire qui survînt du début du XIVème siècle à la fin du XIXème. À l'issue de cette période, les températures mondiales ont recommencé à augmenter. Très lentement. La révolution industrielle survenue au cours de cette phase n'a pu avoir qu'une incidence mineure. Mais elle a servi de point de départ à des climatologues en quête de notoriété, dont les chefs de file n'avaient qu'une expertise limitée dans ce domaine. La plupart des suiveurs ont pris ensuite le train en marche parce qu'ils ont pensé que cela pourrait favoriser leur carrière.

Si le niveau de la mer est actuellement à la hausse, de l'ordre de 1,5 millimètre par an, cela n'implique en aucune façon une inondation inexorable des îles basses et des rivages. Car les alluvions des deltas (Bengale, Mississippi) compensent les pertes tout en se déplaçant, créant de nouvelles terres là où il n'y avait rien.

De même observe-t-on un exhaussement de la plupart des atolls et une augmentation de leur surface, du fait de la sédimentation corallienne associée à des phénomènes locaux de volcanisme ou de mouvements de la lithosphère. A défaut, les motus restent stables.

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Quant à l'engloutissement de Venise, c'est une des plus belles escroqueries intellectuelles des réchauffards. La « Cité des Doges» s'enfonce lentement dans son substrat vaseux sous son propre poids, ce n'est pas son lagon en partie isolé de l'Adriatique, bras de mer isolé dans une mer fermée, qui déborde !

Si on évoque la fonte des calottes polaires, il faut étudier les observations faites depuis l'espace. Une partie de la glace fond. Mais les chutes de la neige qui se tasse forment de nouvelles couches de glace, compensant et même dépassant cette déperdition.
Dans l’Arctique le volume des glaces varie depuis plus de 10 ans. Et si l'on observe des retraits permettant d'espérer ouvrir le mythique passage du Nord-Ouest, ailleurs la densité et la surface de l’inlandsis augmentent. En partie sur terre au Groenland. Et en partie maritime dans des proportions similaires. Vers l'Est et le Sud !

Quant à l'Antarctique, les données des satellites de 30 dernières années sont formelles : Le « continent blanc » est recouvert de glaciers de plus en plus épais qui augmentent de volume et débordent loin dans l'océan, produisant une sensible baisse des températures dans l'hémisphère Sud. Ainsi en 2019 a-t-on relevé une températures inédite de 16°C à Tahiti !

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La supercherie des glaciers himalayens

À l’échelle mondiale, les glaciers de montagne n'exercent qu'une incidence marginale sur les climats. Pourtant en 2010, le GIEC a publié un rapport affirmant que tous les glaciers de l'Himalaya auraient fondu d'ici l'an 2035 avec des conséquences désastreuses sur le niveau des océans. Vérification faite, les astrologues du GIEC avaient interverti les chiffres d'une étude évoquant cette possibilité pour 2350.

Les prétendus « savants » avaient écrit dans leur rapport AR4 que « au rythme actuel, les glaciers de l’Himalaya auront reculé de 500 000 km2 et disparu d'ici l'année 2035 ». Alors que les glaciers de l'Himalaya occupent une surface totale de 35.000 km2. Cela figure dans n'importe quel manuel scolaire !

Après enquête, il est apparu que l'étude menée par des « experts éminents » avait été publiée par le WWF, le fonds pour la préservation de la faune sauvage, qui n'a aucune compétence en matière de glaciologie... Derrière ces incohérences, un nom apparaît de façon récurrente : celui de Rajendra Pachauri. L'homme est ingénieur ferroviaire ! Comme Jean Jouzel son homologue français est ingénieur atomiste... La climatologie doit être leur violon d'Ingres.

Pachauri patron du GIEC indien est aussi président du TERI (The Energy and Resources Institute) une entité liée au groupe industriel Tata : Aciéries, usines de fabrication de véhicules, centres de télécoms, commerce agroalimentaire, holdings financières... Pour un chiffre d'affaires de l'ordre de 110 milliards de dollars US. La préoccupation réchauffiste de ces capitaines d'industries relève d'une vocation vraiment tardive !

Pachauri aurait embauché comme « distinguished Fellow » le promoteur de l'étude catastrophiste menée par WWF, un certain Syed Hassain, qui a tout nié en 2017 quand une enquête préliminaire a été ouverte.

Là dessus, un troisième comparse Sri Murai Lal a affirmé dans une interview au "Daily Mail" que les rédacteurs du GIEC savaient parfaitement que les prévisions concernant les glaciers de l'Himalaya étaient infondées, mais considéraient que le discours sur la fonte des glaciers servait à encourager les décideurs politiques à passer à l'action. Et à la caisse.
En d'autres termes, Sri Rajendra Pachauri a délibérément publié un rapport qu'il savait erroné sinon falsifié. Puis il s'en est servi, avec le concours de Syed Hassain pour récolter l'équivalent de plusieurs millions d'euros au profit de l'institut qu'il dirigeait. Est-il besoin d'autres commentaires ?

Des « modèles de réchauffement» complètement farfelus

Les réchauffards ont annexé des phénomènes naturels connus depuis toujours, tels que les tempêtes, les tornades, les cyclones et les avalanches pour les intégrer dans leurs modèles. Or un réchauffement global significatif, s'il était avéré, aboutirait à une réduction de ces événements extrêmes ! L'inverse de leurs prédictions.

Selon Richard Lindzen, physicien au MIT, démissionnaire avec fracas du GIEC comme tant d'autres muselés par les médias, la réduction du différentiel de température entre l’hémisphère nord et la partie équatoriale de notre planète rendrait l’énergie cyclonique beaucoup moins dévastatrice. Et contrairement à ce qu'ânonnent les diffuseurs de prêt-à-penser, si l'on fait une statistique depuis le temps de la flibuste dans les Caraïbes (grâce aux ecclésiastiques qui notaient tout) l’importance et la fréquence des tempêtes tropicales et des cyclones tendent à diminuer sur une période longue. Un caillou de plus dans le marigot du GIEC.

Par ailleurs, les récents pics de température mesurés par les satellites et les ballons météo à l'Ouest de l'Amérique du Sud relèvent d'un phénomène naturel bien connu depuis le temps des conquistadors appelé * ElNiño.* Cette variation de pression atmosphérique résulte de brassages des eaux très chaudes à la surface de l’océan Pacifique. La chaleur ainsi libérée dans l’atmosphère fait augmenter la température locale, nourrissant des cumulonimbus par une évaporation trop rapide induisant des risques de cyclones, mais le CO2 ne joue aucun rôle dans ce processus.

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La planète sauvée par les éoliennes ?

Le milliardaire Warren Buffet qui exploite un immense parc d'éoliennes dans l’Iowa avoue sans complexes : « Nous bénéficions d'un crédit d’impôt proportionnel au nombre d'éoliennes qu'on met en service. C’est la seule raison d'en construire.»

En effet, ces moulinettes ont des rendements imprévisibles et même dans des conditions météo optimales, le vent ne produit pas assez d’électricité pour les rendre rentables... Sans parler d'une étonnante cécité des écolos : les éoliennes tuent des centaines de milliers d'oiseaux. Et celles en mer tuent de plus en plus de mammifères marins.

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Évidemment les baleines et les dauphins ne sautent pas assez haut pour se faire décapiter par les pales des éoliennes... Par contre, les vibrations de ces moulins à vent perturbent leur système d'écholocalisation ainsi que leurs moyens de communication, provoquant de dramatiques échouages.

On peut aussi noter un article révélateur du green business. Le « Telegraph » du 25 août 2012 révélait que le CCC (Committee for Climate Change), chargé de conseiller le gouvernement britannique sur les dangers des émissions de gaz à effet de serre, était présidé par un certain Lord Deben directeur d'un consortium de firmes largement subventionnées par l'Etat,  installant des parcs d'éoliennes.
D'après un autre article du « Daily Mail » la moitié des membres du CCC avaient encore en décembre 2013 des intérêts financiers dans des sociétés vendeuses d'énergie verte qui profitaient des mesures que le Comité faisait adopter.

Vers un gouvernement mondial écolo-tyrannique

Machiavel n'avait pas manqué d'observer qu'un prince avisé devrait obtenir de ses sujets qu'ils le servent avec ferveur en leur faisant croire qu'il les protégeait de périls imaginaires. Une guerre. La disette. Des bandits de grands chemins. Une nouvelle peste noire... Tiens, tiens...

Le Florentin avait compris, bien avant toutes les études de psychologie sociale qu'on obtient davantage de ses serviteurs par la persuasion que par la contrainte. Convaincus que leur intérêt est d'être des loufiats aussi loyaux que serviles, ils voueront une reconnaissance sans borne à leur maître. L’U.E par ses directives nous offre un échantillon d'une future gouvernance totalitaire « consentie » sous la tutelle sourcilleuse du GIEC. Pour nous sauver tous. En attendant l’ONU qui, pour le moment, essaie de canaliser les luttes d’influences entre rétivité et complaisance.

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Diverses personnes qui ont fait leurs premières armes au sein de mouvements « révolutionnaires » imbibés de marxisme, se sont laissées convaincre qu'après l'échec de la lutte des classes, la lutte des places (dans leur intérêt évidemment !) passerait par une gouvernance mondiale chargée de résoudre les problèmes planétaires par la matraque et le racket fiscal « librement consentis ». Les médias stipendiés sont là pour créer *l'illusion d'unanimisme.*

Le *decodex* et ses petites mains du soi-disant fact checking disent comment bien penser aux gens trop bêtes ou trop fatigués pour se forger une opinion par eux mêmes. Et comme deux précautions valent mieux qu'une, ces censeurs insidieux, particulièrement pugnaces contre les climato-sceptiques, ont instauré un clivage net et sans bavures : D’un côté en vert, donc fiables, tous les médias main stream et leurs satellites avec subventions d’État et journalistes encartés. Réchauffistes bien évidemment. Et de l’autre, en rouge, donc douteux, ceux qui s’autofinancent et n’ont pas la carte de presse.

Sans ce sésame, ils sont réputés écrire n’importe quoi, même lorsque leurs pigistes sont des pointures dans le domaine dont ils dissertent. Surtout quand ils osent douter de la doxa… Toutes les armes du terrorisme intellectuel sont réunies au service de l'idéologie mondialiste.

Sous divers aspects, le réchauffisme est une sorte de religion laïque comme était le communisme au siècle précédent. Avec ses rites, ses grand'messes, son haut et bas clergé, ses ouailles conniventes, sa bureaucratie lourde et gourde, sa propagande omniprésente, ses interdits alimentaires (« devenez végétariens pour sauver le monde ») et sa « bien-pensance » prégnante hors de laquelle on est condamné à la mort sociale. À tout prendre, c'est moins pire que les bûchers d'antan ou le goulag.

Enfin, ajoutant l'odieux de la culpabilisation aux mensonges de la propagande, les réchauffards tentent de manipuler les foules en leur martelant comme un leitmotiv : « vos enfants vous reprocheront le monde que vous allez leur laisser » La lutte des âges dans  les familles. Le summum de l'abjection quand on est à court d'arguments.

Les objectifs cachés du réchauffisme :

Les gens du GIEC, leurs émules et leurs thuriféraires ne compromettent pas leur réputation de scientifiques sérieux (et accessoirement intègres) en racontant n'importe quoi pour complaire à leurs maîtres. Ils en attendent des dividendes sous forme d'honneurs, de postes convoités, de crédits de recherche enviés, de publications favorisées et bien sûr de rémunérations confortables. À ce tarif là, ils justifieront par tous les moyens ces 3 objectifs principaux :

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D'abord l'assujettissement des États-nations à une plate forme de décision mondiale, en commençant par des traités contraignants d'abandons de souveraineté, anticipant un gouvernement global aux ordres des conglomérats industriels et financiers. Avec au moins au début, des simulacres d'élections, mais sans que des responsables devant le  peuple soient clairement désignés. Le tout enrobé de vérités irréfragables auxquelles chacun serait tenu de croire s'il tient à éviter l'exil intérieur.

Ensuite le détournement du regard des Occidentaux vers la menace fantôme du réchauffement cataclysmique, en occultant la menace réelle d'une déferlante migratoire susceptible de modifier définitivement leurs équilibres géopolitiques et sociétaux ainsi que leurs modes de vie... Tout en fournissant aux banksters et associés un volant de manœuvre riche en serviteurs sous-payés, hors syndicats et aisément remplaçables, pour peu qu'on satisfasse leurs *lubies religieuses.*

Enfin le parachèvement de ce qui est déjà bien entamé : une paupérisation généralisée compensée par un assistanat réduit au minimum vital destiné à enrayer toute velléité de contestation. Et la mise en œuvre de mesures de décroissance « provisoires » (pour « sauver la planète ! » © et combattre les virus maintenant ) avec à la clé une restructuration économique destinée à parachever la transition de l’économie réelle vers le monde de la finance pure.

Pour le plus grand bonheur de Macron le gardien des moutons.

LETTRE A MES AMIS(IES) PRO-CHINOIS…

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LETTRE A MES AMIS(IES) PRO-CHINOIS…

par Richard Labévière

Ex: http://prochetmoyen-orient.ch

Le terme de « pro-chinois » n’est pas forcément très adapté aux discussions récurrentes que nous avons depuis plusieurs mois – bien avant le déclenchement de la pandémie du Covid-19 – avec plusieurs de nos plus proches amis(ies), lecteurs et lectrices réguliers(ières) de votre hebdomadaire prochetmoyen-orient.ch.

Grosso modo, la moindre critique à l’encontre du modèle de développement économique de la Chine, de son système politique et de ses prétentions hégémoniques sur les plans militaire et culturel, serait infondée ou plutôt malvenue parce qu’elle pourrait être aussitôt interprétée comme un satisfecit au profit de l’hégémonie américaine. Et nos amicaux contradicteurs enfoncent le clou, invoquant un principe de nécessité absolue selon lequel, « il faut bien une alternative aux folies américaines », la Chine incarnant aujourd’hui, justement la seule alternative qui vaille…

Cette dualité a une couleur de déjà vu, nous ramenant aux plus beaux jours de la Guerre froide où il fallait absolument choisir son camp : celui du monde dit « libre » – le camp de l’Ouest tutellisé par les Etats-Unis d’Amérique ou celui du Bloc communiste sous la domination de l’URSS. De la fin de la Seconde guerre mondiale à la Chute du mur de Berlin, cette alternative a fait sens – légitimement sens – mais à d’importantes nuances près, notamment dans le contexte de la décolonisation et des soutiens nécessaires à apporter aux mouvements de libération en Asie, en Afrique, ainsi qu’aux Proche et Moyen-Orient.

Cela dit, et les compagnons de route des partis communistes s’en souviennent, la question, elle-aussi récurrente, se posait ainsi : jusqu’où pouvait-on aller trop loin « afin de ne pas désespérer Billancourt »… Prêtée à Jean-Paul Sartre, la formule sans doute apocryphe, traduit un certain état d’esprit. Tirée de Nekrassov – créée au Théâtre Antoine en 1955 -, la pièce provoque un réel malentendu : pièce à message, elle est jugée « communiste » par les anti-Communistes et « anti-communiste » par les Communistes… En fait, Jean-Paul Sartre a écrit deux répliques : « il ne faut pas désespérer les pauvres » et « désespérons Billancourt ». La contraction des deux donnera la fameuse formule qu’il n’aurait jamais dite, si elle ne lui avait pas été prêtée en mai 1968.

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Le 4 novembre 1956, 2 500 chars soviétiques interviennent en Hongrie. Le 9 novembre, dans un entretien à L’Express, Sartre dénonce « la faillite complète du socialisme en tant que marchandise importée d’URSS » et se tourne vers d’autres communismes, voulant préserver l’élan révolutionnaire de la classe ouvrière en France. Autrement dit : « Il ne faut pas désespérer Billancourt ». Il y aurait beaucoup à dire sur l’amateurisme révolutionnaire de Jean-Paul Sartre, mais ce n’est pas la question du jour. Toujours est-il qu’on connaît, au moins depuis René Descartes, les ravages des pensées dualistes qui dissocient strictement l’erreur de la vérité et inversement.

PILLAGES EN TOUS GENRES

Si, comme Spinoza, l’on cherche à remonter aux causes, il faut aller y voir… sur le terrain, ce que l’auteur de ces lignes a fait, dans la mesure de ses voyages. Et le moins que l’on puisse dire, c’est que le bilan pour la Chine est plutôt effarant : coupe de la plupart des forêts du Mozambique ; destruction des fonds marins du sud de Madagascar ; trafic du bois de rose et monopole sur les réserves de crevettes. Mêmes types de prédations en Ethiopie ainsi qu’ à Djibouti où une stratégie d’endettement systémique a permis de mettre sous tutelle la souveraineté du petit Etat-portuaire.

Question : pourquoi la Chine emploie-t-elle, à l’échelle planétaire, les mêmes techniques de pillage des ressources naturelles que celles pratiquées par les Etats-Unis, le Japon, les pays européens … ? Pourquoi la Chine d’aujourd’hui reste-t-elle incapable de nous proposer un système de développement économique alternatif plus respectueux de l’environnement et d’avancées sociales qu’on serait en droit d’attendre d’un régime qui se prétend « communiste » ?

Ne parlons pas du « Crédit social », ce permis civique à points qui permet de surveiller vos moindres faits et gestes, de la traçabilité téléphonique et de l’impossibilité d’effectuer le moindre paiement en liquide… tout ça pour « surveiller et punir », pour instaurer un « panopticon » généralisé1. Bentham, Aldous Huxley et Georges Orwell sont pulvérisés par cette obsession d’un transparence sociale totale, sinon totalitaire !

Quant à la philosophie politique générale que l’empire du milieu prétend nous vendre, c’est encore plus catastrophique. On peut en goûter un échantillon avec le best-seller d’un prétendu philosophe « non-officiel » – Zhao Tingyang2 qui nous sert une soupe néo-confucéenne du genre « travail, famille, patrie ». On connaît un peu la suite… Xi Jinping nous voilà ! Du reste, le président chinois ne cesse de le répéter : son pays sera l’hyper-puissance mondiale à l’horizon 2049, date du centième anniversaire de la création de la République populaire. Nous voilà prévenus. Faut-il pour autant s’en réjouir ? C’est une autre paire de manches…

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Le 13 avril 2018, le président Xi Jinping passe en revue la marine de l’APL (Armée populaire de libération) à Sanya, dans le sud de la province insulaire de Hainan, où est notamment hébergée une base « secrète » de sous-marins nucléaires. A cette occasion, il affirme que « la nécessité pour la Chine de construire une marine forte n’a jamais été aussi urgente qu’aujourd’hui ». Des dizaines de frégates progressent en formation autour du Liaoning, le premier porte-avions chinois remodelé à partir d’un bâtiment soviétique acheté à l’Ukraine. La parade navale géante est diffusée en direct sur la télévision nationale avec les commentaires du commandant en chef des forces chinoises qui affirme « qu’aujourd’hui, la marine chinoise s’est levée à l’Est avec une toute nouvelle image ».

LE NOUVEL EMPIRE NAVAL DU MILIEU

La moitié des 48 bâtiments qui défilent a été mis en service à partir de 2012, l’année où Xi Jinping a accédé au poste de chef suprême du Parti communiste chinois et de l’APL. Une dizaine de jours après cette démonstration de force navale, le 23 avril 2018, un deuxième porte-avions, entièrement fabriqué en Chine – mais toujours selon la conception soviétique avec une piste de décollage en forme de tremplin, effectue sa première sortie d’essai au large de Dalian, dans l’Est du pays avant d’engager une mission d’endurance de plusieurs mois. Le nombre de bâtiments de guerre est estimé à plus de trois cents, les chantiers navals chinois ayant produit en quatre ans l’équivalent du tonnage de la Marine nationale française.

En comparaison avec les Américains qui entretiennent des bases militaires sans cacher leur volonté hégémonique, les Chinois le font, disent-ils, pour sauvegarder leurs intérêts et leurs approvisionnements en matières premières mais en affirmant vouloir garantir la paix dans le monde. Si Pékin ne prétend pas remplacer Washington dans son rôle de gendarme du monde, il assume néanmoins désormais ouvertement sa quête d’une puissance globale. Et dans cette volonté proclamée, la Marine chinoise s’impose comme le fer de lance d’une stratégie de long terme.

Critiques (souvent à juste raison) envers le modèle de gouvernance occidentale, la démocratie et les droits de l’homme, les Chinois veulent promouvoir un système de développement économique et de gouvernance différent de celui promu jusqu’ici par les Etats-Unis, l’Union européenne et le Japon voisin. A terme, l’Empire du milieu espère piloter la gestion mondiale des flux de marchandises, de personnes et d’informations à travers les infrastructures nécessaires : ports, aéroports, lignes de chemin de fer, gazoducs, câbles sous-marins, tribunaux d’arbitrage, etc. Si elle évite de théoriser son « modèle », la Chine propose des « solutions » adaptées aux problèmes des pays en recherche de développement. Même si elle dispose désormais de porte-paroles officiels de sa philosophie néo-confucéenne, la Chine évite de trop communiquer sur une prétendue supériorité idéologique, préférant jouer la carte d’un pragmatisme partagé en cherchant à monnayer ses solutions.

C’est dans cette perspective que Pékin essaie de jouer une carte Sud-Sud, même si les BRICS3 ne constituent pas à ce jour une organisation susceptible de peser efficacement sur les relations internationales. Pékin préfère multiplier des relations bilatérales suivies et des formats régionaux ad hoc comme par exemple les sommets Chine-Afrique ou les « Rencontres 16 plus un » avec les pays d’Europe centrale et orientale. Cet activisme a contribué au doublement du budget du ministère chinois des Affaires étrangères : il est passé de 30 milliards de yuan pour 2011 à plus de 60 milliards de yuan (environ 7, 5 milliards d’euros, soit à peu près le double du budget du Quai d’Orsay) en moins de cinq ans.

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Dans ce contexte, Moscou reste un partenaire très courtisé. Depuis l’arrivée au pouvoir de Xi Jinping, les convergences sino-russes se sont consolidées dans le cadre du Groupe de Shanghai4 et sur des dossiers cogérés comme par exemple l’avenir économique et militaire du Grand Nord arctique. Sur la plupart des grands dossiers internationaux, Pékin et Moscou, fervents défenseurs de l’égalité souveraine des Etats, partagent les mêmes positions et font preuve de compréhension réciproque. Ainsi Pékin s’est-il abstenu de tout commentaire sur les dossiers de la Crimée et de l’Ukraine, tandis que Moscou n’a jamais condamné les violations chinoises du droit maritime international en mer de Chine méridionale, tout particulièrement dans les zones contestées des îles Spratley et Paracels.

La Chine a progressivement fait de la Russie son premier partenaire sécuritaire devant le Pakistan. « De 1992 à 2016, pas moins de 3 200 officiers chinois ont été formés à Moscou. Le régime communiste coopère depuis 2005 avec son voisin dans le cadre de l’organisation de Shanghai. Cette plateforme est particulièrement utile en Asie centrale, une région sous la menace islamiste. Des exercices maritimes conjoints sont également conduits chaque année depuis 2012, alternativement sur les côtes russes et chinoises »4.

Visiblement, Pékin cherche à restructurer la gouvernance mondiale dans une direction clairement anti-occidentale, en souhaitant associer Moscou pour y parvenir. De son point de vue, la Chine estime que la période lui est favorable et que le temps travaille pour sa prétention à devenir la première puissance mondiale à l’horizon 2049. Mais ce présage n’est pas aussi doux que les petits matins légers… Au contraire, elle génère des coûts politiques, sociaux et environnementaux très élevés, quand bien même cet envers du miracle chinois est rarement médiatisé – pour ne pas dire sévèrement censuré.

LA GUERRE HORS LIMITES

Le 8 mai 1999, l’ambassade de Chine à Belgrade est atteinte par plusieurs missiles américains. Qualifié « d’erreur » par Washington, l’événement est aussitôt ressenti comme une agression délibérée… à juste titre. Trois mois plus tôt paraissait à Pékin La Guerre hors limites5, rédigé par Qio Liang, colonel de l’Armée de l’air, directeur adjoint du Bureau de la création au Département politique de l’armée de l’Air et membre de l’Union des écrivains de Chine, et Wang Xiangsui, colonel de l’Armée de l’air et commissaire politique adjoint de division.

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La rédaction de cet ouvrage est à replacer dans le contexte national et international des années 1990, marquées par trois événements traumatiques : la répression des manifestations de la place Tian’anmen en juin 1989 ; la chute du Mur de Berlin et l’effondrement du bloc communiste quelques mois plus tard ; et enfin la deuxième guerre du Golfe menée l’année suivante en Irak pour « libérer » le Koweït. Les Etats-Unis s’imposaient alors comme la seule superpuissance, notamment dans le domaine militaire. Tirant les leçons des opérations de la coalition occidentale dirigée par les Etats-Unis en Irak, les analystes de l’armée chinoise, dont nos deux auteurs, considéraient alors la puissance américaine écrasante comme une menace. Ainsi, il devenait urgent de réduire d’une manière ou d’une autre le retard chinois afin de combler l’écart stratégique, non seulement avec les Etats-Unis, mais plus globalement avec l’Occident.

Entre fascination et rejet, la culture stratégique américaine constitue le repoussoir, sinon l’anti-modèle de nos deux auteurs. Celle-ci est comprise comme le cœur de la politique étrangère de Washington, qui s’appuie d’abord sur la supériorité technologique militaire. Ainsi les guerres américaines successives cherchent-elles l’anéantissement de l’adversaire pour atteindre une victoire politique sans partage : la supériorité matérielle est perçue comme la clef du succès, restant toutefois tributaire des contraintes budgétaires.

Aux antipodes de cette approche « mécaniste », la culture stratégique chinoise privilégie les chemins de la ‘guerre indirecte’ inspirée de Sun Tzu6, théoricien de la victoire sans combat. Traditionnellement, les stratèges chinois lient la suprématie à la pensée humaine, à la pratique de la dissimulation et de la ruse au point de mépriser la force et les machines. La puissance du raisonnement doit l’emporter sur toute autre considération et le concept basique des Routes de la soie et du Collier de perles – le civil d’abord, le militaire après – s’inscrit dans cette même filiation.

Nos auteurs théorisent et modernisent cet héritage qui en dernière instance, ne diffère pas fondamentalement de la doctrine des néo-conservateurs américains et des nouveaux principes issus de la Révolution dans les affaires militaires7, optimisant eux-aussi la ruse, la dissimulation et la sous-traitance à des opérateurs privés. Michel Jan8, qui a préfacé l’édition française de La Guerre hors limites, souligne que les auteurs « englobent aussi dans leur analyse, parfois prémonitoire, les actes hostiles menés depuis la fin de la Guerre froide sous toutes les formes, dans tous les domaines, économiques, financiers, religieux, écologiques, etc. Une telle combinaison de plus en plus complexe d’actes de guerre dépasse les limites habituelles des conflits menés jusqu’à une période récente uniquement par les militaires ».

En conclusion de leur manuel, les colonels Qio Liang et Wang Xiangsui ont l’avantage d’annoncer la couleur : « Pour la guerre hors limites, la distinction entre champ de bataille et non-champ de bataille n’existe pas. Les espaces naturels que sont la terre, la mer, l’air et l’espace sont des champs de bataille ; les espaces sociaux que sont les domaines militaire, politique, économique, culturel et psychologique sont des champs de bataille ; et l’espace technique qui relie ces deux grands espaces est plus encore le champ de bataille, où l’affrontement entre les forces antagoniques est le plus acharné. La guerre peut être militaire, paramilitaire ou non militaire ; elle peut recourir à la violence et peut être aussi non-violente ; elle peut être un affrontement entre militaires professionnels ainsi qu’un affrontement entre les forces émergentes principalement constituées de civils ou de spécialistes. Ces caractéristiques marquent la ligne de partage entre la guerre hors limites et la guerre traditionnelle, et elles tracent la ligne de départ des nouvelles formes de guerre ».

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Ils ajoutent : « En outre, il est urgent que nous élargissions notre champ de vision concernant les forces mobilisables, en particulier les forces non militaires. A part diriger l’attention comme par le passé sur les forces conventionnelles, nous devrions porter une attention spéciale à l’emploi des ‘ressources stratégiques’ intangibles comme les facteurs géographiques, le rôle historique, les traditions culturelles, le sentiment d’identité ethnique ainsi que le contrôle et l’utilisation de l’influence des organisations internationales ».

Aujourd’hui, Qiao Liang est un général de l’armée de l’air à la retraite. Professeur dans différentes universités, il est directeur du Conseil pour les Recherches sur la Sécurité Nationale et membre de l’Association des Écrivains Chinois. Sa dernière interview est parue dans une revue de Hong Kong9. Il nous livre son analyse sur le monde d’après, d’après l’actuelle pandémie :

« Je pense que l’Occident passera au moins une douzaine de mois à deux ans après l’épidémie pour réparer sa propre économie et réparer son propre traumatisme. Dans ce processus, les soi-disant responsabilités et revendications envers la Chine sont toutes fantaisistes, et finiront par disparaître face à une situation post-épidémique plus grave. La Chine devrait avoir suffisamment confiance en elle pour savoir que tant qu’elle pourra rester suffisamment forte et maintenir avec ténacité ses capacités de production, personne ne pourra lui porter atteinte.

Quand les États-Unis sont forts, qui peut les accuser de la propagation du sida ? Les gens n’ont pas accusé les États-Unis parce que les forces expéditionnaires américaines ont apporté en Europe la grippe qui a éclaté aux États-Unis à la fin de la Première Guerre mondiale et qui a finalement été appelée grippe espagnole. Pourquoi personne n’a mis en cause les États-Unis ? C’était à cause de la force des États-Unis à cette époque. Tant que la Chine restera forte et se renforcera, personne ne pourra la faire tomber avec des prétendues revendications de responsabilité. La Chine devrait avoir confiance en elle ». Sans commentaire…

LE DROIT A LA DIALECTIQUE

Si les pays de l’Union européenne (UE) – dont la France – n’étaient pas toujours aussi à plat ventre devant les Etats-Unis, s’ils étaient un tant soit peu capables d’œuvrer à l’émergence d’une Europe indépendante, sinon souveraine, ils feraient affaire avec la Russie – géographiquement et culturellement européenne. Héritage d’une quarantaine d’années de Guerre froide, Washington continue à pousser Moscou dans les bras de la Chine… Quelle erreur ! Le plus navrant, c’est que nos dirigeants actuels en rajoutent, sans parler de la patronne de l’UE – la pétulante Ursula von der Leyen – qui vient, en pleine crise du Covid-19, de signer un accord du monde d’avant, un accord de « libre-échange » avec le Mexique qui inquiète diablement nos agriculteurs ! Encore bravo ! Décidément, ces gens n’ont rien compris, ne comprennent rien et continuent à nous imposer leurs obsessions de course au pognon…

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Un dernier mot à propos du Covid-19 : prochetmoyen-orient.ch respecte trop ses lecteurs pour parler comme Donald Trump d’un « virus chinois »10. Cela dit, ce « truc » ne tombe pas du ciel par une corde à foin et il faudra bien reconstituer son histoire et sa filiation pour comprendre ce qui s’est passé, pour éviter de répéter les mêmes erreurs et pour mettre en place quelques outils multilatéraux susceptibles d’endiguer d’autres pandémies de ce genre, qui peuvent revenir…

Alors les amis, détendez-vous ! Ce n’est pas parce qu’on adresse questions et critiques à l’encontre de la Chine actuelle qu’on accepte fatalement de revenir se jeter dans les bras de l’impérialisme yankee. En tout cas, ce n’est certainement pas à nous qu’il faut adresser ce genre de reproche !

Dernièrement un ahuri nous a envoyé un message furax, annonçant son « désabonnement » de prochetmoyen-orient.ch, nous mettant en demeure de répondre à cette question (nous citons) : « pour qui roulez-vous, pour Mélenchon ou pour Marine Le Pen ? ». Nous avons répondu poliment que nous ne « roulions » pour personne (si, pour la France) et que prochetmoyen.orient.ch tenait, par-dessus tout, à sa ligne éditoriale « pluraliste », pour essayer – modestement – de comprendre certains problèmes de notre monde, de celui d’avant et de celui d’aujourd’hui, en ouvrant quelques perspectives pour la suite.

Evidemment, avant que ce genre d’ignorants comprennent que notre volonté de compréhension, forcément dialectique, ne peut se contenter d’un dogmatisme « dualiste », les poules auront des dents…

Malgré tout, bonne lecture et à la semaine prochaine. Continuez d’observer la devise de Spinoza – Caute -, prudence !

Richard Labévière
11 mai 2020

Notes:

1 Inventée à la fin du XVIIIe siècle par le philosophe anglais Jeremy Bentham (1748-1832), le « Panopticon », cette « maison d’inspection » – où l’on peut tout voir sans être vu – n’est pas exclusivement réservée aux détenus. Dans Panopticon, son livre paru en 1791, le penseur britannique estime que ce système peut également s’appliquer à d’autres lieux de « surveillance ». 
2 Zhao Tingyang : Tianxia, tout sous un même ciel. Editions du Cerf, mars 2018.
3 BRICS est un acronyme anglais pour désigner un groupe de cinq pays qui se réunissent depuis 2011 en sommets annuels : Brésil, Russie, Inde, Chine et Afrique du Sud.

4 L’Organisation de coopération de Shanghai est une structure intergouvernementale régionale asiatique qui regroupe la Russie, la Chine, le Kazakhstan, le Kirghizistan, le Tadjikistan et l’Ouzbékistan. Elle a été créée à Shanghai les 14 et 15 juin 2001 par les présidents de ces six pays.
4
5 Qio Liang et Wang Xiangsu : La Guerre hors limites. Editions Payot&Rivages, 2003.
6 Sun Tzu est un général chinois du VIᵉ siècle av. J.-C. Il est surtout célèbre en tant qu’auteur de l’ouvrage de stratégie militaire le plus ancien : L’Art de la guerre.
7 Le concept de Révolution dans les affaires militaires ( RAM ) est une doctrine sur l’avenir de la guerre qui privilégie les progrès technologiques et organisationnels. La RAM affirme que de nouvelles doctrines, stratégies, tactiques et technologies militaires ont conduit à un changement irrévocable dans la conduite de la guerre. Spécialement liée aux technologies modernes de l’ information, des télécommunications et de l’ espace, la RAM a guidé une profonde transformation et une intégration totale des systèmes opérationnels de l’armée américaine.
8 Michel Jan est un écrivain français, né le 30 juin 1938 à Brest. Militaire de carrière (Armée de l’Air) et sinisant, il s’est spécialisé dans les relations internationales et l’Extrême-Orient, avec un intérêt particulier pour les régions des marches de l’empire chinois.
9 Le Général Qiao Liang est interviewé par les reporters Wei Dongsheng et Zhuang Lei dans le numéro de mai 2020 du magazine Bauhinia (Zijing), revue chinoise (pro-gouvernementale) publiée à Hong Kong.
10 Voir l’article de Guillaume Berlat : « P4 » DE WUHAN : UN SCANDALE D’ÉTAT ? prochetmoyen-orient.ch du 4 mai 2020.

Google représente-t-il un risque pour notre liberté culturelle ?

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Google représente-t-il un risque pour notre liberté culturelle ?

par Rémi Heintz

Ex: https://infoguerre.fr

Les effets de la crise sanitaire, économique et sociale due à l’épidémie de COVID-19 n’épargneront pas la vie intellectuelle et artistique. En cette période de déconfinement, le principe de précaution prévaut : les grands rassemblements et événements culturels ne pourront pas avoir lieu cet été. Les grands musées resteront fermés les semaines à venir. Les retentissements économiques seront majeurs sur ce pan de notre économie lié au tourisme et à notre attractivité internationale. L’annulation des festivals estivaux est estimée entre 2,3 et 5,8 milliards d’euros de pertes. Les restrictions imposées au musée entraineront une diminution estimée à plus de 50 % de leur chiffre d’affaire sur l’année 2020. Les institutions artistiques d’envergure internationale font le bilan. Et les pertes se chiffrent en centaine de millions de dollars.

Un marché en mutation

Face aux restrictions, les institutions publiques et les acteurs du marché de l’art et de la culture tentent de s’adapter rapidement pour maintenir l’exposition des œuvres, mais aussi les transactions. Les galeries et foires ont développées, avec l’aide des nouvelles technologies, des solutions d’expositions numériques. La Frieze, foire d’art contemporaine londonienne, a créé pour son évènement annuel, en mai 2020, une viewing room. Cette migration numérique est une révolution dans ce milieu traditionnellement fermé, rétif aux solutions digitales, où les prix se chuchotent et restent confidentiels.

Par ailleurs, les plus petits acteurs ou les artistes eux-mêmes se sont mobilisés pour assurer le maintien des transactions et vendre leurs œuvres en direct ou pour des associations. Il s’agit par exemple de l’initiative d’Artist support pledge, qui a utilisé uniquement les réseaux sociaux pour faire son travail de communication et d’influence. La crise du COVID et le confinement mondial a été un catalyseur pour accélérer le passage du monde de l’art au numérique.

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La nouvelle offensive des GAFAM

Cette situation est également une aubaine pour les géants du web : les GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon et Microsoft). Le marché devenant numérique, une place pour les grands influenceurs de notre monde se créé. Google a activé une stratégie de communication massive. Récit d’une attaque du marché préparée et bien organisée. En 2011, Google a créé Google Art Project, un service dédié à l’art. Cette plateforme est restée confidentielle, principalement utilisée dans le cadre des recherches des étudiants en art, elle recensait 150 musées et 32 000 œuvres d’arts, pour environ 55 000 musées dans le monde. L’accumulation des œuvres démarrait, sans publicité.

L’offensive de Google a commencé en 2018 avec le changement de nom de sa plateforme culturelle : Google Art Project devenait Google Art & Culture ; et le lancement très médiatisé de la première exposition cent-pour-cent en ligne regroupant le plus grand nombre d’œuvres de Frida Kahlo, jamais réunies. Google Art & Culture a été identifié par Alphabet, Maison mère de Google, comme un relais de croissance. Les attentes sont importantes : les revenus générés doivent avoir des taux de croissance supérieurs à ceux de l’ensemble de l’entreprise américaine.

La France bien ciblée

En pleine période de confinement, l’offensive est poursuivie par une guerre informationnelle bien rodée. Les réseaux ont été minutieusement sélectionnés, et le message a été ciselé. Pour le marché français aucun moyen de communication n’est épargné : la presse généraliste et d’information est influencée par de nombreuses dépêches, favorables à Google Art & Culture. La cartographie des relations a été minutieusement préparée. La presse spécialisée dans l’art mais également dans les milieux annexes : Architecture, Design, et mode relaient un message portant des valeurs de générosité, accessibilité et qualité. Enfin, les réseaux sociaux ont été utilisés en communication directe avec le compte Twitter de Google Art & Culture, ou indirect avec des influenceurs (ici nous prenons l’exemple de MLB The Show, suivi par 230 k d’abonnés). Le cas de Google n’est pas isolé. L’ensemble des GAFAM sont mobilisés dans cette captation du marché.

La démarche de Google Art & Culture, en reproduisant les œuvres, n’est pas répréhensible. Les pièces représentées sont, pour la plupart, tombées dans le domaine public. De plus le travail de référencement est fait avec l’aval des institutions possédant les œuvres. En revanche, à travers les notions de liberté, d’accessibilité et de modernité mis en parallèle avec le monde confiné, Google souhaite donner à Google Art & Culture une place institutionnelle. Le choix de ce timing, pour une offensive massive, est une façon habile de masquer le but : la maîtrise de l’information et des données à des fins d’exploitation par la maison mère ou par un tiers. L’objectif des GAFAM, longuement analysé dans des contextes de guerre d’information, n’est plus un mystère. En collectant nos données Google peut suivre le raisonnement des individus, mais également influencer ces derniers en leurs envoyant des informations dans le but de faire évoluer leurs propres consommations. Le don a toujours une contrepartie. L’Art et la culture était un des derniers bastions libres.

L’importance  des programmes nationaux de numérisation culturelle

Sur le sujet de la captation des données, et de leurs potentiels manipulations, la contre-attaque informationnelle passe principalement à travers un certain nombre de lanceurs d’alertes se trouvant dans nos institutions publiques. Les premiers politiques Français à réagir se sont concentrés sur la notion de moyens, en déplorant le manque d’acteurs nationaux et la longueur d’avance de Google. C’est le cas de Bertrand Lavaud, adjoint au maire du XVIIe arrondissement et consultant en numérique, dans sa tribune dans Les Echos. La réponse du Ministère de la Culture a été de renforcer les programmes nationaux de numérisation des contenus culturels.

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Dans un second temps, la question des méthodes et du but de Google a été soulevée par des enquêteurs allant plus loin en décrivant précisément moyens et armes utilisées par Google face à nos institutions et directeurs de musée. Cette démarche défensive, d’apport de clefs de lectures par la presse aux dirigeants, est très intéressante.

Grace à ces alertes et décryptages, les conservateurs se mobilisent pour une nouvelle culture. La présidente du musée Guimet assume une politique de recentrage et relocalisation des expositions. En affirmant vouloir valoriser les fonds méconnus des musées et arrêter de déplacer les œuvres, Sophie Makariou contre-attaque le modèle d’hier, où les expositions étaient jugées au nombre de chef d’œuvres exposés et non à la médiation culturelle. Un article décryptant la dernière exposition du Louvre expose les rouages et  ce jeu. Google Art & Culture est ainsi relayé à un modèle passé, et la vision de demain semble sans GAFAM, mais avec un travail scientifique minutieux de commissariat et médiation. Cette vision a été fortement relayée par les influenceurs, conservateurs et acteurs de la culture sur les réseaux sociaux. Ce fut, par exemple, la story Instagram de Paul Perrin, conservateur au Musée d’Orsay.

Rémi Heintz.

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lundi, 11 mai 2020

Démocratie parlementaire contre gouvernement des juges : le problème ne se pose pas qu’en Pologne et en Hongrie !

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Démocratie parlementaire contre gouvernement des juges : le problème ne se pose pas qu’en Pologne et en Hongrie !

Ex: http://www.lesobservateurs.ch

 
Europe – La question de la démocratie parlementaire contre le gouvernement des juges ne concerne pas que la Pologne et de la Hongrie, même si la Commission européenne et la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) semblent concentrer leur attention principalement sur ces deux pays d’Europe centrale depuis maintenant 10 ans (depuis 2010 pour la Hongrie et depuis 2015 pour la Pologne). Et d’ailleurs, la limitation des pouvoirs des parlements démocratiquement élus au moyen d’un équilibre des pouvoirs entre l’exécutif, le législatif et le judiciaire n’est pas une condition indispensable à la démocratie, comme le montre la tradition de souveraineté illimitée du parlement au Royaume-Uni. À cet égard, n’oublions pas que l’un des principaux points mis en avant par les partisans du Brexit et autres eurosceptiques britanniques, c’était justement que soumettre leur pays aux décisions de tribunaux supranationaux ou internationaux comme la Cour de justice de l’UE et la Cour européenne des droits de l’homme (CEDH) empiète de plus en plus sur la souveraineté du Parlement de Westminster et est par nature antidémocratique. La Grande-Bretagne n’a certes pas pour le moment l’intention de se retirer de la Convention européenne des droits de l’homme et de rejeter la juridiction de la CEDH, mais la question peut à nouveau se poser à la suite du rapport publié en février par le Centre européen pour le droit et la justice (ECLJ), où il est fait état des liens étroits entre un nombre important de juges de la CEDH et l’Open Society Foundations de George Soros, ce qui soulève des questions sur l’impartialité des auteurs de nombreux jugements importants. En vertu du Traité de Lisbonne, les précédents établis par la CEDH affectent le droit de l’UE, et cela pose donc des limites claires à la souveraineté des États-nations, comme c’est aussi le cas avec la CJUE. Cette dernière est une institution de l’Union européenne et elle a, depuis longtemps déjà, pris l’habitude d’interpréter les traités européens de manière à favoriser l’évolution vers une Europe fédérale bien au-delà de ce qui est prévu par la lettre de ces traités. La question de l’actuelle réforme judiciaire polonaise, soumise à la CJUE par la Commission européenne, offre justement aux juges de Luxembourg une opportunité pour étendre les pouvoirs de Bruxelles comme jamais auparavant.

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L’UE prend parti pour les juges rebelles en Pologne au nom de l’État de droit et de la démocratie

En effet, le 8 avril dernier (soit un mois avant la date originellement prévue pour l’élection présidentielle polonaise), la CJUE répondait favorablement à une demande de la Commission européenne en délivrant une ordonnance provisoire censée « geler » la Chambre disciplinaire créée au sein de la Cour suprême polonaise (qui est une cour de cassation) dans le cadre de la réforme judiciaire adoptée en 2018 par le Parlement dominé par le parti Droit et Justice (PiS) de Jarosław Kaczyński et sa coalition Droite unie (une majorité absolue reconduite à la chambre basse du Parlement lors des élections législatives d’octobre 2019). La dispute autour de cette Chambre disciplinaire entre dans le cadre d’un conflit plus large concernant la façon dont sont nommés les quinze juges siégeant au Conseil national de la magistrature (KRS), car c’est le KRS qui présente au Président polonais un choix de candidats à la Chambre disciplinaire. Depuis la réforme du KRS adoptée en 2018, ces quinze juges (sur 25 membres du KRS au total) sont nommés non plus par d’autres juges mais par le Parlement, ce qui signifie que la majorité parlementaire PiS est désormais à l’origine de la majorité des nominations au KRS. Ces membres choisis par le PiS ont donc eu une voix décisive quant aux candidatures soumises au président Andrzej Duda (qui vient lui aussi du PiS) pour siéger à la Chambre disciplinaire. Il convient toutefois de préciser que, si elle stipule qu’il doit y avoir 15 juges parmi les 25 membres du Conseil national de la magistrature, la Constitution polonaise laisse au Parlement le soin de déterminer la façon dont ces juges doivent être nommés, et le Tribunal constitutionnel polonais a confirmé en mars 2019 que la procédure de nomination des membres actuels du KRS était conforme à la Constitution.

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Pourtant, certains juges polonais remettent en cause la légitimité de ce KRS réformé et de la Chambre disciplinaire nouvellement créée à la Cour suprême. La juge Małgorzata Gesdorf, première présidente de la Cour suprême qui s’est engagée activement depuis 2017 contre les réformes de la justice adoptées par le Parlement (y compris en prenant part à des manifestations organisées par l’opposition), a publiquement demandé aux juges de la Chambre disciplinaire de ne plus rendre de jugements plusieurs mois avant l’arrivée à terme de son propre mandat de première présidente le 30 avril dernier. Le président de l’association de juges Iustitia a annoncé pour sa part qu’il ne comparaîtrait pas devant la Chambre disciplinaire, alors qu’il avait été convoqué pour son militantisme politique (les juges en Pologne n’ont pas le droit de faire de la politique de manière publique). Pire encore, certains juges de rang inférieur siégeant dans les tribunaux locaux ont prétendu pouvoir contester les décisions rendues par d’autres juges dont la nomination avait été proposée au président de la Pologne par le KRS réformé, car ils considèrent que ces nominations n’avaient pas été faites de manière valide, le KRS réformé ne jouissant pas de la légitimité nécessaire à leurs yeux (en vertu de leur propre interprétation de la Constitution, chose pourtant normalement réservée au Tribunal constitutionnel). Même si en vertu des traités européens l’organisation du pouvoir judiciaire est normalement une compétence souveraine de chaque État membre, en août 2018 un groupe de juges polonais rebelles siégeant à la Chambre du travail et des assurances sociales de la Cour suprême a envoyé à la CJUE une série de questions préjudicielles portant sur les réformes du PiS dans une affaire sans lien direct avec ces questions, ce qui est une pratique interdite par le droit européen. Dans un jugement rendu en novembre 2019, la Cour de justice a déclaré que c’est à la juridiction de renvoi, en l’occurrence à la Chambre du travail et des assurances sociales près la Cour suprême polonaise, « de vérifier si la KRS offre ou non des garanties suffisantes d’indépendance à l’égard des pouvoirs législatif et exécutif ».

1551892270_026505_1551892328_noticia_normal.jpgCe jugement avait de quoi surprendre, car en droit polonais seul le Tribunal constitutionnel a cette compétence, et les traités européens n’autorisent pas la CJUE à attribuer une telle compétence à un autre organe judiciaire d’un État membre. Néanmoins, prétendant se fonder sur cette décision de novembre de la CJUE, la première présidente de la Cour suprême Małgorzata Gesdorf (dessin, ci-contre)a convoqué le 23 janvier une audience rassemblant trois des cinq chambres de la Cour suprême, soit environ la moitié de tous les juges de la Cour suprême, afin d’adopter une résolution par laquelle toutes les décisions prises par la Chambre disciplinaire étaient déclarées non valides et tous les juges nommés par le Président Duda sur la base des candidatures présentées par le KRS réformé devaient cesser de prononcer des jugements, cette résolution de la Cour suprême affirmant que les réformes votées par le Parlement en 2017-18 violaient le droit européen, à savoir le principe d’indépendance de la justice mentionné en termes généraux dans les traités européens. La présidente de la Diète (la chambre basse du parlement polonais) a donc saisi le Tribunal constitutionnel sur la question des compétences respectives du Parlement et de la Cour suprême. Les juges constitutionnels ont alors suspendu à titre provisoire la résolution de la Cour suprême avant de constater dans un arrêt définitif rendu le 20 avril que la résolution adoptée le 23 janvier à la Cour suprême violait à la fois la Constitution polonaise et le droit européen et n’avait donc aucun effet.

Pour ajouter à la confusion, le 20 avril, soit 10 jours avant la fin de son mandat de première présidente de la Cour suprême, la juge Małgorzata Gesdorf délivrait un arrêt en vertu duquel elle transférait toutes les affaires confiées à la Chambre disciplinaire aux autres chambres de la Cour suprême. Mme Gesdorf justifiait sa décision en brandissant l’ordonnance provisoire du 8 avril de la CJUE, alors que les décisions de la CJUE ne peuvent pas s’appliquer directement (il aurait fallu un vote du parlement polonais pour mettre en œuvre l’ordonnance provisoire de la CJUE, c’est-à-dire pour suspendre l’application de la loi ayant décidé de la création de ladite Chambre disciplinaire). Le 5 mai, cet arrêt était annulé par le premier président par interim de la Cour suprême polonaise, Kamil Zaradkiewicz. Conformément à la Constitution polonaise, le juge Zaradkiewicz a été nommé par le président Andrzej Duda pour conduire la procédure d’élection du prochain premier président de la Cour suprême, Małgorzata Gesdorf n’ayant pas conduit cette élection avant la fin de son mandat.

Toutefois, de même que la Commission Juncker auparavant, la Commission Von der Leyen prend ouvertement parti pour les juges polonais rebelles qui, comme mentionné plus haut, demandaient eux aussi à la Cour de justice de l’UE de se prononcer un jugement sur la validité du régime disciplinaire mis en place par le Parlement polonais. Ce jugement de la CJUE serait censé s’appuyer sur les principes généraux d’État de droit et d’indépendance des tribunaux mentionnés dans les Traités européens. Le 29 avril, la Commission européenne engageait d’ailleurs une nouvelle procédure contre la Pologne, cette fois à propos d’une réforme du régime disciplinaire des juges adoptée en janvier 2020. Cette réforme vise à pouvoir sanctionner efficacement ces juges qui, prétendant appliquer directement la décision de la CJUE de novembre 2019, remettent en cause la légitimité d’autres juges quand ceux-ci ont été nommés sur recommandation du Conseil national de la magistrature (KRS) après les réformes du PiS. Dans tout autre pays de l’UE, un juge ne peut pas invalider un jugement au prétexte que le juge à l’origine de la décision ne serait pas légitime à ses yeux. Mais pour la Commission européenne, que la Pologne sanctionne ce type de comportements rebelles de la part de juges militants serait une atteinte au principe d’indépendance de la justice !

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UE contre Hongrie

De manière assez similaire, lorsqu’en 2011 Viktor Orbán, fort d’une majorité constitutionnelle au parlement, a introduit une nouvelle constitution qui restreignait les compétences de la Cour constitutionnelle hongroise et abaissait l’âge de la retraite des juges à 62 ans, de manière à éliminer les juges qui avaient commencé leur carrière sous le régime communiste, la Commission européenne a pris le parti de ceux qui voyaient en ces réformes une menace pour l’État de droit et pour la démocratie. Elle a alors porté la question de l’âge de la retraite devant la CJUE qui a estimé en novembre 2012 que « l’abaissement radical de l’âge de la retraite des juges hongrois constitue une discrimination fondée sur l’âge non justifiée », et la Hongrie a dû porter l’âge de la retraite des juges à 65 ans, soit l’âge standard de la retraite dans ce pays. En juin 2011, le Parlement européen a de son côté adopté une résolution critiquant la nouvelle Loi Fondamentale hongroise parce qu’elle serait « susceptible de mettre en péril l’indépendance de la justice hongroise », notamment à cause des « dispositions portant sur la nouvelle Cour constitutionnelle hongroise ». Autre exemple : en juin 2019, la Commission européenne a adressé au Conseil une recommandation sur la Hongrie dans laquelle elle explique que « l’équilibre des pouvoirs, crucial pour assurer l’indépendance de la justice, a été encore affaibli dans le système des tribunaux ordinaires. Le Conseil national de la magistrature fait face à des difficultés croissantes pour exercer un contrepoids face aux pouvoirs du Président de l’Office national de la justice. Cela fait naître des inquiétudes concernant l’indépendance judiciaire. » Sans surprise, tandis que les membres du Conseil national de la magistrature sont des juges nommés par d’autres juges, le président de l’Office national de la justice est nommé par le Parlement. Ici encore, la Commission européenne, tout comme le Parlement européen, attaque la Hongrie pour avoir mis en place un contrôle parlementaire sur des juges nommés (et non élus), comme si l’État de droit et la démocratie ne pouvaient être garantis que par l’existence d’un pouvoir judiciaire totalement indépendant, et comme si un pouvoir judiciaire contrôlé uniquement par lui-même était en soi la meilleure garantie de démocratie.

Pourquoi l’UE n’a-t-elle jamais remis en cause le principe de la souveraineté illimitée du Parlement britannique ?

colloque-10.10.19.pngSi c’était le cas, les institutions de l’UE auraient dû mettre le Royaume-Uni sous le feu des projecteurs dès son adhésion au bloc européen en 1973, ou au minimum dès l’entrée en vigueur du traité de Lisbonne en 2009, puisque ce traité a incorporé dans le droit européen la Charte des droits fondamentaux et l’obligation de souscrire à la Convention européenne des droits de l’homme. Il est vrai que le protocole n° 30 de la Charte des droits fondamentaux stipule explicitement que « La Charte n’étend pas la faculté de la Cour de Justice de l’Union européenne, ou de toute juridiction de la Pologne ou du Royaume-Uni, d’estimer que les lois, règlements ou dispositions, pratiques ou action administratives de la Pologne ou du Royaume-Uni sont incompatibles avec les droits, les libertés et les principes fondamentaux qu’elle réaffirme. ». Mais alors, en vertu dudit Protocole, ce qui s’appliquait au Royaume-Uni jusqu’au Brexit devrait s’appliquer à la Pologne aussi, ce qui n’est manifestement pas le cas aux yeux de la Commission européenne et de la CJUE (voir le jugement du 19 novembre 2019 à propos du Protocole n° 30 et de l’application de la Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne à la République de Pologne et au Royaume-Uni : « il ne remet pas davantage en question l’applicabilité de la Charte en Pologne et n’a pas pour objet d’exonérer la République de Pologne de l’obligation de respecter les dispositions de la Charte »).

Tandis que l’on reproche à Varsovie et Budapest des réformes décrites comme constituant un abus de pouvoir par le parlement et comme remettant en cause le système d’équilibre et de séparation des pouvoirs et donc, paraît-il, l’État de droit et la démocratie, dans l’une des plus anciennes démocraties d’Europe la souveraineté du parlement est définie de la manière suivante : « La souveraineté parlementaire est un principe de la constitution britannique. En vertu de ce principe, le Parlement est l’autorité juridique suprême du Royaume-Uni qui peut adopter ou abroger toute loi. D’une manière générale, les tribunaux ne peuvent pas annuler ses lois et aucun Parlement ne peut adopter de lois que les futurs Parlements ne pourront pas modifier. La souveraineté parlementaire est l’élément le plus important de la constitution britannique. »

La moitié des juges de la Cour suprême polonaise et sa première présidente se sont arrogé en janvier le droit d’invalider une loi adoptée par le Parlement, en se fondant sur le jugement de la CJUE de novembre où il était dit que le droit européen est supérieur aux lois nationales, et en arguant du fait que le deuxième alinéa de l’article 19, par. 1, du traité sur l’Union européenne stipule que « Les États membres établissent les voies de recours nécessaires pour assurer une protection juridictionnelle effective dans les domaines couverts par le droit de l’Union ». Malheureusement, la Commission européenne soutient ouvertement cette attitude clairement inconstitutionnelle au nom du principe de l’application directe du droit européen. En Pologne, seul le Tribunal constitutionnel a la capacité d’invalider des lois approuvées par le Parlement, et c’est pourquoi les juges constitutionnels polonais ont invalidé le 20 avril 2020 cette résolution adoptée le 23 janvier à la Cour suprême, la considérant comme non conforme à la Constitution polonaise et au droit européen. En même temps, dans un autre pays ayant appartenu à l’Union européenne jusqu’en janvier 2020, le Parlement « peut adopter ou abroger toute loi » et « les tribunaux ne peuvent pas annuler ses lois », ce qui n’a jamais posé problème à la Commission européenne actuelle ni à aucune Commission antérieure.

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Par ailleurs, le Royaume-Uni n’a pas de cour constitutionnelle et sa Cour suprême, qui est considérée par de nombreux observateurs comme contraire à la tradition parlementaire britannique, n’a été créé qu’en 2009 par une loi promulguée par le Parlement sous le gouvernement travailliste de Tony Blair. Puisque d’après la constitution britannique « aucun Parlement ne peut adopter de lois que les futurs Parlements ne pourront pas modifier », la Cour suprême britannique pourrait facilement être abolie par la majorité parlementaire actuelle. Il se trouve que le nouveau Procureur général pour l’Angleterre et le pays de Galles nommé par le premier ministre Boris Johnson en février, Suella Braverman, est d’avis que, pour le bien de la démocratie, le Parlement doit récupérer la souveraineté qui lui a été confisquée non seulement par l’Union européenne mais aussi par les tribunaux. Mme Braverman a écrit en janvier que l’arrêt par lequel la Cour suprême avait décidé en septembre que la suspension du Parlement par Boris Johnson était illicite était un nouvel exemple de « l’intrusion continue et chronique des juges » sur le terrain de la politique. Elle a critiqué l’« activisme judiciaire » et déclaré : « Oui, les tribunaux doivent agir pour contenir les abus de pouvoir par le gouvernement, mais si un petit nombre de juges non élus et n’ayant de comptes à rendre à personne continuent de déterminer les grandes politiques publiques en s’opposant aux décideurs élus, notre démocratie ne peut pas être qualifiée de représentative. La légitimité du parlement est sans égale et c’est la raison pour laquelle nous devons reprendre les commandes, non seulement aux dépens de l’UE, mais aussi de l’appareil judiciaire ». En tant que procureur général, Braverman est maintenant procureur en chef pour l’Angleterre et le Pays de Galles et premier conseiller juridique du gouvernement.

Dans un article intitulé « Réparer la Cour suprême devrait être la priorité constitutionnelle de Boris Johnson », l’éditorialiste du Telegraph Charles Moore se moque de la vision d’un Brexit qui serait « une lutte entre les ‘populistes’ sans vergogne et les justes déterminés à résister à tout ce qui pourrait avoir ‘un effet extrême sur les fondements de notre démocratie’ », les derniers mots étant une citation de la décision de septembre de la Cour suprême qui avait invalidé la suspension du Parlement par Johnson quand l’opposition anti-Brexit, aidée par le Speaker John Bercow, avait pris le contrôle de l’ordre du jour de la Chambre des communes tout en refusant de nouvelles élections. Pour que cela ne se reproduise pas à l’avenir, Boris Johnson a promis d’abroger la loi de 2011 sur la durée fixe du Parlement afin de redonner au gouvernement la capacité de convoquer des élections législatives au moment où il le souhaite. Moore suggère aussi que le gouvernement et sa majorité au Parlement trouvent le moyen de restaurer une prérogative de la prorogation (suspension du Parlement pour une durée déterminée) qui ne doit pas être soumise au contrôle des juges. Il estime en outre qu’« il faut revoir le panel ‘indépendant’ chargé de nommer les juges, qui donne à l’establishment une capacité presque illimitée d’auto-réplication » En effet, écrit Moore, la « Déclaration des droits de 1689 […] protège la liberté politique en insistant pour qu’aucune ‘délibération du Parlement’ ne puisse être ‘annulée’ par un tribunal », et « il n’y avait jamais eu auparavant de séparation formelle des pouvoirs dans ce pays. C’était mieux ainsi », conclut l’éditorialiste.

Les gens comme Małgorzata Gesdorf – la première présidente de la Cour suprême polonaise jusqu’au 30 avril – ou Věra Jourová – la Vice-présidente de la Commission européenne pour les Valeurs et la Transparence qui remet aujourd’hui en cause le droit qu’a le Parlement polonais de nommer des membres de son Conseil national de la magistrature (KRS) – pensent-ils donc aussi que l’État de droit et la démocratie sont menacés en Grande-Bretagne à cause d’une séparation des pouvoirs insuffisante ?

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Les juges de Soros à la Cour européenne des droits de l’Homme

Une autre question est de savoir si les « juges non élus et n’ayant de comptes à rendre à personne » qui siègent à la CJUE et à la CEDH sont vraiment indépendants et impartiaux. La CEDH en particulier soulève de sérieux doutes. S’il ne s’agit pas d’une institution de l’Union européenne, c’est elle qui interprète la Convention européenne de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales. Or « les droits fondamentaux, tels qu’ils sont garantis par la Convention européenne de sauvegarde des droits de l’Homme et des libertés fondamentales et tels qu’ils résultent des traditions constitutionnelles communes aux États membres, font partie du droit de l’Union en tant que principes généraux. » (art. 6, par. 3, du Traité sur l’Union européenne). Au cours de la décennie écoulée, les jugements de la CEDH ont imposé à l’Italie la légalisation des unions homosexuelles et à l’Autriche l’adoption des enfants par le « deuxième parent » dans les couples homosexuel. La CEDH a aussi exercé des pressions sur la Pologne en faveur d’une libéralisation de l’avortement tandis que la Hongrie a été forcée d’abolir la perpétuité réelle (la prison à vie sans possibilité de libération conditionnelle). Non seulement la CEDH est-elle souvent accusée d’activisme judiciaire en raison de ses interprétations souvent très libres et militantes d’une Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales écrite en termes généraux, mais ce reproche est désormais conforté par un rapport récemment publié par le Centre européen pour le droit et la justice (ECLJ), une ONG internationale dédiée à la protection des droits de l’homme. On trouve en effet dans ce rapport une liste des juges de la CEDH ayant des liens étroits avec les ONG actives devant cette même CEDH. Comme on peut le lire dans l’introduction du rapport de l’ECLJ, « au moins 22 des 100 juges permanents ayant siégé à la Cour européenne des droits de l’homme (CEDH) entre 2009 et 2019 sont anciens responsables ou collaborateurs de sept ONG fortement actives auprès de cette Cour. Douze juges sont liés au réseau de l’Open Society Foundation (OSF), sept aux comités Helsinki, cinq à la Commission Internationale des Juristes, trois à Amnesty International, un à Human Rights Watch, un à Interights et un à l’A.I.R.E. Centre. L’Open Society se distingue par le nombre de juges qui lui sont liés et par le fait qu’elle finance les 6 autres organisations citées dans ce rapport. Depuis 2009, on recense au moins 185 affaires dans lesquelles l’une de ces sept ONG est officiellement impliquée dans la procédure. Parmi celles-ci, dans 88 cas, des juges ont siégé dans une affaire dans laquelle était impliquée l’ONG avec laquelle ils étaient liés. (…) Sur la même période, on observe seulement 12 cas de déports dans lesquels un juge s’est retiré d’une affaire en raison, semble-t-il, d’un lien avec une ONG impliquée dans l’affaire. Cette situation met en cause l’indépendance de la Cour et l’impartialité des juges ; elle est contraire aux règles que la CEDH impose elle-même aux États en la matière. C’est d’autant plus problématique que le pouvoir du tribunal est exceptionnel. »

La démocratie en Occident menacée par l’activisme judiciaire plutôt que par la souveraineté parlementaire

Et si donc la véritable menace pour la démocratie occidentale aujourd’hui ne venait pas de « populistes sans vergogne » rétablissant un certain contrôle parlementaire sur le pouvoir judiciaire, mais plutôt de l’attitude de ces « justes déterminés à résister à tout ce qui pourrait avoir ‘un effet extrême sur les fondements de notre démocratie’ », et de leur volonté de mettre à la merci d’un gouvernement de juges « éclairés » toutes les lois adoptées par les parlements élus ?

Antonin_Scalia_Official_SCOTUS_Portrait.jpgLe problème n’est pas uniquement européen. Quand la Cour suprême des États-Unis a imposé la légalisation du « mariage gay » dans les 50 États de l’Union en 2015, le juge dissident Antonin Scalia (photo) a qualifié cette décision d’insulte à la démocratie et il a accusé la Cour suprême dont il faisait partie de chercher de plus en plus souvent à créer les politiques de la nation plutôt qu’à se poser en arbitre. « La décision prise aujourd’hui veut dire que mon dirigeant et le dirigeant des 320 millions d’Américains vivant entre les deux côtes, c’est une majorité des neuf juristes siégeant à la Cour suprême », a alors écrit Scalia. « Cette pratique de la révision constitutionnelle par un comité non élu de neuf personnes, toujours accompagnée (comme c’est le cas aujourd’hui) d’éloges excessifs de la liberté, prive le peuple de la liberté la plus importante qu’il s’était affirmé dans la Déclaration d’Indépendance et qu’il avait obtenu par la révolution de 1776 : la liberté de se gouverner lui-même. »

Sans aller aussi loin, l’arrêt de juin 2018 de la Cour de justice de l’Union européenne qui a contraint les 28 États membres à reconnaître les effets juridiques des unions de même sexe porte lui aussi dans une certaine mesure atteinte à la liberté des peuples de l’Europe de se gouverner eux-mêmes. En effet, en vertu des traités européens qui ont été approuvés par leurs représentants élus, ces peuples n’avaient jamais sciemment renoncé à leur droit de décider souverainement de leurs transformations sociétales futures.

Et d’ailleurs, n’en déplaise à la Commission européenne et à la Cour de Justice de l’UE, les peuples de l’Union européenne n’ont jamais non plus formellement renoncé à leur droit de préserver ou rétablir une certaine forme de contrôle démocratique sur leur propre système judiciaire et de défendre la démocratie parlementaire contre l’activisme des juges militants.

Article publié originellement le 12 mars 2020 en anglais sur kurier.plus, le site de l’Institut de coopération polono-hongroise Wacław Felczak.

Traduit en français et mis à jour le 7 mai 2020 pour le Visegrád Post.

 

Extrait de: Source et auteur

Burn Baby BURN!

Burn Baby BURN!

via Facebook

Sans parler d’écroulement et en sachant pertinemment que le monde de demain sera sans doute le même en pire, certains faits méritent tout de même d’être remarqués dans la société actuelle. C’est la première fois qu’un chef d’État lâche à ce point le guidon pour se retrouver en roue libre proche de la falaise : le mec se pointe manifestement plein de chnouffe pour expliquer aux Français comment Robinson allait chercher du fromage et du jambon dans la cale, ou encore raconter que « la bête de l’événement arrive »… Y en a qui se poudrent le nez pour s’amuser, lui manifestement est en train de craquer et je me surprends à avoir de la compassion pour lui. Il aurait dû rester à la banque Rothschild là où il pouvait foutre la merde sans que ça se voit ; pour la présidence, il n’a manifestement pas les épaules.

Rappelez-vous des professionnels de la politique du genre Sarkozy : quand un type comme ça te met une quenelle du genre traité de Lisbonne, il le fait avec aisance et discrétion. Le type reste d’aplomb quoi qu’il arrive, fier de ses accomplissements quels qu'ils soient. Au moins ce gouvernement a-t-il une certaine honnêteté en admettant à demi-mot le futur effondrement économique et le fait que tout le monde doit s’appauvrir à l’exception de l’hyper classe. L’effondrement de l’économie réelle et les dettes liées au Corona devront forcément être remboursées et ce sera avec les impôts.

La vie va se durcir pour tout le monde, pour les pauvres comme pour les bourges. Si les naïfs et les gauchistes se réjouissent de l’éventuel revenu universel, c’est oublier que les prochaines miettes qui seront jetées aux plus démunis serviront simplement à s’assurer qu’ils consomment un minimum, et faire tourner la machine. Naturellement tout cela se fera sous condition, surveillance et contrôle des déplacements, puisque le coronavirus aura aussi servi à nous conditionner pour nous faire accepter le futur contrôle social. Un de mes amis me reprochait récemment de ne pas tenir compte des capacités de résistance et de réveil du peuple : connerie.

Ce peuple n’a aucune capacité de résistance, ni d’ailleurs de volonté. Le peuple chie dans son froc quand on lui bricole une pandémie et si ce n’est pas suffisant (parce que super-grippe en juin juillet ça peut lasser) on lui refoule du moustique tigre sur les berges du Rhône qui transmet la dingue, le chikungunya, la malaria etc. On lui parle des frelons asiatiques qui envahissent le pays (mais jamais de l’économie chinetoque qui fait la même chose) ou d’enfants qui claquent à tour de bras suite au Kawasaki. Bref le peuple chie dans son froc et applaudit aux fenêtres, porte des masques en voitures et respecte la distance sociale.

La jeunesse, il ne faudra pas trop compter dessus. D’abord, les générations futures il y en aura de moins en moins puisque les jeunes hommes n’osent plus aborder les filles, et que ces dernières préfèrent toujours ceux qui parlent le plus, rigolent fort exhibant fièrement leur Q.I/corps de sous hommes tout en fumant un pétard… ça n’aide pas à la reproduction… la jeunesse c’est celle de la crainte, de l’éternelle indécision, de l’incapacité à concevoir ce qui est bon ou mauvais pour son développement et son épanouissement. C’est la jeunesse émotive qui n’est pas capable de foncer quand il le faut, d’affirmer sa puissance et de jouir du monde comme il se doit.

C’est aussi une jeunesse qui se refuse à penser par elle-même préférant toujours s’en remettre en définitive à YouTube, à la télé ou au groupe de copains. Ceux qui réfléchissent par eux-mêmes le font uniquement pour affirmer leurs « particularités » et choix qui selon eux en font des êtres uniques mais qui en réalité les transforment juste en pleureuses fragiles, du pain béni pour les millions de migrants importés par les gouvernements occidentaux (sachant que le Soudanais lui n’en a rien à foutre des droits de l’homme)… bref le monde de demain ce sera la France d’Hanouna en bas, et des malades mentaux complètement névrosés en haut pour diriger le tout. Mais comme l’a si justement affirmé un de mes frères récemment, en mêlant stoïcisme et humour, « le monde brûle mais nous, nous dansons ».

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dimanche, 10 mai 2020

Michel Maffesoli: Le confinement est négation de l’être-ensemble

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Le confinement est négation de l’être-ensemble

par le Prof. Michel Maffesoli
Ex: https://www.bvoltaire.fr

AVT_Michel-Maffesoli_334.gifPour le Big Brother, le « crime-pensée » par excellence est bien la reconnaissance de la finitude humaine. De ce point de vue, le confinement et la mascarade généralisée sont dans la droite ligne du véritable danger de toute société humaine : l’asepsie de la vie sociale. Protection généralisée, évacuation totale des maladies transmissibles, lutte constante contre les germes pathogènes.

Cette « pasteurisation » est, à bien des égards, tout à fait louable. C’est quand elle devient une idéologie technocratique qu’elle ne manque pas d’être elle-même pathogène. Très précisément en ce qu’elle nie ou dénie cette structure essentielle de l’existence humaine, la finitude. Ce que résume Heidegger en rappelant que « l’être est vers la mort » (Sein zum Tode). À l’opposé de la mort écartée, la mort doit être assumée, ritualisée, voire homéopathisée. Ce que, dans sa sagesse, la tradition catholique avait fort bien cristallisé en rendant un culte à « Notre Dame de la bonne Mort ».

Si l’on comprend bien que dans les cas de soins donnés à des personnes contagieuses, les soignants observent toutes les règles d’hygiène, masque, distanciation et protections diverses, ces mêmes règles appliquées urbi et orbi, à des personnes soupçonnées a priori d’être contaminantes, ne peuvent qu’être vécues comme un déni de l’animalité de l’espèce humaine. Réduire tous les contacts, tous les échanges aux seules paroles, voire aux paroles étouffées par un masque, c’est en quelque sorte renoncer à l’usage des sens, au partage des sens, à la socialité reposant sur le fait d’être en contact, de toucher l’autre : embrassades, câlins et autres formes de tactilité. Et refuser l’animalité expose au risque de bestialité : les diverses violences intrafamiliales ponctuant le confinement comme les délations diverses en sont un témoignage probant.

md30514063162.jpgLe confinement comme négation de l’être-ensemble, la mascarade comme forme paroxystique de la théâtralité, tout cela tente, pour assurer la perdurance du pouvoir économiciste et politique, de faire oublier le sens de la limite et de l’indépassable fragilité de l’humain. En bref, l’acceptation de ce que Miguel de Unanumo nommait le « sentiment tragique de l’existence ».

C’est ce sentiment qui assure, sur la longue durée, la perdurance du lien social. C’est cela même qui est le fondement de la bonhomie populaire : solidarité, entraide, partage, que la suradministration propre à la technocratie est incapable de comprendre. C’est ce sentiment, également, qui au-delà de l’idéologie progressiste, dont l’aspect dévastateur est de plus en plus évident, tend à privilégier une démarche « progressive ». Celle de l’enracinement, du localisme, de l’espace que l’on partage avec d’autres. Sagesse écosophique. Sagesse attentive à l’importance des limites acceptées et sereinement vécues. C’est tout cela qui permet de comprendre la mystérieuse communion issue des épreuves non pas déniées mais partagées. Elle traduit la fécondité spirituelle, l’exigence spirituelle propres aux jeunes générations. Ce qu’exprime cette image de Huysmans : « coalition de cervelles, d’une fonte d’âmes » !

C’est bien cette communion qui, parfois, s’exprime sous forme paroxystique. Les soulèvements passés ou à venir en sont l’expression achevée. À ces moments-là, le mensonge ne fait plus recette. Qui plus est, il se retourne contre ceux qui le profèrent. N’est-ce point cela que relève Boccace dans le Décaméron : « Le trompeur est bien souvent à la merci de celui qu’il a trompé. » Acceptons-en l’augure.

samedi, 09 mai 2020

Quand le Covid-19 contamine le "Pacte du Quincy"...

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Quand le Covid-19 contamine le "Pacte du Quincy"...

par Richard Labévière

Ex: http://prochetmoyen-orient.ch

Le président des Etats-Unis ne conseille pas seulement aux victimes du Covid-19 de se désinfecter les poumons à l’eau de javel, il menace aussi ses grands amis saoudiens de retirer toutes ses troupes de la péninsule arabique, si Riyad ne cesse pas sa guerre des prix du pétrole, de connivence avec la Russie. Dans un appel téléphonique au prince héritier saoudien Mohammad ben Salmane (MBS) – début avril -, Donald Trump a expliqué, en substance, que les pays producteurs devaient réduire l’offre mondiale de pétrole en raison de l’effondrement de la demande consécutive à la pandémie du Covid-19.

Au cours de la conversation téléphonique, Donald Trump aurait à peu près tenu ce langage à MBS : à moins que les pays membres de l’Organisation des pays exportateurs de pétrole ne réduisent leurs productions, je ne pourrai empêcher la Chambre des Représentants et le Sénat d’adopter une loi décidant le retrait des soldats américains qui assurent la protection de la monarchie wahhabite.

Apparemment, le prince héritier n’en a pas cru ses oreilles, à tel point – selon Reuters – qu’il aurait demandé à ses collaborateurs de quitter la salle afin de poursuivre la conversion en privé… Le téléphone raccroché, le locataire de la Maison blanche a aussitôt « tweeté » qu’il espérait que le « chef de facto » du royaume réduise la production saoudienne de plusieurs millions de barils !

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Verbatim : « je viens de parler à mon ami MBS d’Arabie saoudite, qui a parlé avec le président Poutine et je m’attends à ce qu’il réduise d’environ 10 millions de barils/jour la production saoudienne et peut-être beaucoup plus. Si cela arrive, cela sera bénéfique pour l’industrie du pétrole et du gaz… ». Dans un « tweet » suivant, il a ajouté : « Si l’Arabie saoudite pouvait diminuer sa production de 15 millions de barils/jour, ce serait une grande et bonne nouvelle pour tout le monde ».

Après avoir déchiré l’accord de la COP-21 de Paris sur le réchauffement climatique, l’accord sur le nucléaire iranien ( signé en format 5 plus un :les membres permanents du Conseil de sécurité de l’ONU et l’Allemagne) du 15 juillet 2015 à Vienne obtenu après quinze ans d’âpres négociations, celui sur les missiles de portée intermédiaire, suspendu le financement de plusieurs agences de l’ONU dont l’OMS tout récemment, fragilisant ainsi toutes espèces d’approches et de négociations multilatérales, Donald Trump donne un sérieux coup de canif à l’un des principaux piliers de la diplomatie américaine en vigueur depuis la fin de la Seconde guerre mondiale : le Pacte du Quincy.

UN PACTE HISTORIQUE DE 75 ANS

Au retour de la conférence de Yalta (14 février 1945), le président des Etats-Unis Franklin Roosevelt convoque le roi Ibn Séoud – le fondateur du royaume d’Arabie saoudite – à bord du croiseur lourd USS-Quincy (CA-71) qui mouille dans le lac Amer, au beau milieu du canal de Suez.

Débattant d’abord de la colonisation juive en Palestine, Roosevelt cherche à obtenir l’appui du roi saoudien en faveur de l’établissement du « foyer national juif en Palestine » que le Royaume-Uni a promis au baron Rothschild par la Déclaration Balfour (2 novembre 1917). Face à un refus catégorique du monarque wahhabite, la discussion glisse ensuite sur la Syrie et le Liban afin d’écarter définitivement la France de ces deux pays.

Enfin, les deux chefs d’Etat abordent la question de l’avenir de la dynastie saoudienne et du pétrole arabe. Traumatisée par le blocus japonais de la Seconde guerre mondiale qui a coupé les Etats-Unis d’un accès aux matières premières – gaz, pétrole et caoutchouc -, la Maison blanche considère désormais que ce type d’approvisionnement relève de la sécurité nationale. Profitant des incertitudes qui pèsent sur l’avenir de la famille Saoud – qui n’a aucune légitimité à gérer les lieux saints de l’Islam (La Mecque et Médine) face à la dynastie historique des Hachémites – Roosevelt propose un premier marchandage « pétrole contre sécurité ». Autrement dit, laissez les compagnies pétrolières américaines exploiter les plus grandes réserves d’hydrocarbures du monde. En contrepartie, les Etats-Unis d’Amérique protégeront le maintien en place et la reproduction de votre dynastie ploutocrate…

ibn-seoud-635677-264-432.jpgL’historien français Jacques Benoist-Méchin (1901 – 1983) relate avec une grande précision comment les deux chefs d’Etat ont noué ce marchandage du siècle. Le résultat de cette discussion s’articule en quatre points : 1) la stabilité de l’Arabie saoudite fait partie des « intérêts vitaux » des États-Unis qui assurent, en contrepartie, la protection inconditionnelle de la famille Saoud et accessoirement celle du Royaume contre toute menace extérieure éventuelle ; 2) par extension, la stabilité de la péninsule arabique et le leadership régional de l’Arabie saoudite font aussi partie des « intérêts vitaux » des États-Unis ; 3) en contrepartie, le Royaume garantit l’essentiel de l’approvisionnement énergétique américain, la dynastie saoudienne n’aliénant aucune parcelle de son territoire. 

Aramco, à l’époque américaine, bénéficie d’un monopole d’exploitation de tous les gisements pétroliers du royaume pour une durée d’au moins soixante ans ; 4) les autres points portent sur le partenariat économique, commercial et financier saoudo-américain ainsi que sur la non-ingérence américaine dans les questions de politique intérieure saoudienne. La durée de cet accord est prévue pour une durée de 60 ans. Ce pacte a été renouvelé pour une nouvelle période de 60 ans, le 25 avril 2005 lors de la rencontre entre le président George W. Bush et le prince héritier Abdallah à Crawford (Texas).

Auparavant dès 1933, le roi wahhabite avait déjà concédé à la Standard Oil of California (SOCAL) une concession de 60 ans concernant l’est de l’Arabie saoudite, concession partagée avec la Texas Oil Company (Texaco) à partir de 1936. Le même accord est étendu en superficie en 1938, intégrant en 1948 la Standard Oil of New Jersey (Esso) et la Standard Oil of New York (Socony) au sein de l’Aramco. Les promesses verbales de Roosevelt concernant le « foyer national juif » – renouvelées par écrit dans une lettre datée du 5 avril 1945 – seront actées par le président Truman, qui va favoriser la fondation d’Israël en 1948.

Depuis la signature de ce pacte, le Pentagone dispose d’unités de ses services spéciaux déployées dans l’ensemble de la péninsule arabique, assurant aussi le fonctionnement d’un véritable « pipeline » pour transférer à prix d’or noir des cargaisons d’armements parmi les plus sophistiqués dont les Saoudiens ne savent pourtant pas se servir, nombre de cargaisons sous emballages plastiques restant dans des entrepôts sous haute surveillance…

Mais cet accord permet surtout aux troupes américaines d’occuper et de « protéger » la reproduction de la ploutocratie wahhabite, favorisant ses initiatives diplomatiques, religieuses et militaires visant l’Iran chi’ite et la prétention géopolitique d’une domination sans partage de l’ensemble des mondes musulmans. Comme l’ont souligné de nombreux chercheurs comme Faouzi Skali et Alain Chouet1, cette politique américaine a favorisé une « wahhabisation » des islams d’Asie et d’Afrique, favorisant aussi l’expansion de l’Islam radical et du terrorisme, également en Europe et en France.

LA FIN DU PETROLE DE SCHISTE AMERICAIN

Selon une note blanche d’un service européen de renseignement : « plusieurs entreprises avaient pris l’engagement d’acheter une grande quantité de pétrole brut West Texas Intermediate à un certain prix. Le prix proposé par les vendeurs semblait bon marché au moment de la signature des contrats. La date de règlement des contrats était le 21 avril 2020. Mais cette fois, les vendeurs ont insisté pour livrer physiquement le pétrole aux acheteurs avant le paiement. Cela a posé un problème. Les acheteurs n’avaient pas la capacité de stockage nécessaire pour accepter le pétrole qu’ils avaient acheté il y a plusieurs mois. Ils ne pouvaient le stocker nulle part. La seule solution était de vendre immédiatement à quelqu’un d’autre. Mais personne n’était intéressé. Tous avaient déjà rempli leurs capacités de stockage. Les sociétés qui avaient l’obligation d’accepter le pétrole des producteurs ont alors proposé de payer d’autres personnes pour prendre leur pétrole. Lorsque le prix a commencé à être négatif, la décision a été prise de proposer un stockage supplémentaire à moins 50 dollars. Finalement, le contrat d’option de Mai du West Texas Intermediate a été clôturé à moins 37 dollars ».

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Pour la première fois de leur histoire, les contrats à terme sur le pétrole West Texas Intermediate (WTI) se sont négociés en valeur négative sur le New York Mercantile Exchange (Nymex) et le brut américain prévu à la livraison en Mai a perdu 55,90 dollars en une journée pour clôturer à moins 37,63 dollars le baril ! Cette chute vertigineuse est en partie le résultat de la liquidation forcée sur le marché à terme « à tout prix ». En fait, l’effondrement des prix s’explique par l’accroissement des cargaisons bloquées par les raffineries qui réduisent leur production, puisqu’elles ne peuvent vendre leurs produits sur un marché où la demande s’est asséchée à cause de la propagation de la pandémie du Covid-19. Le prix négatif élevé « signifie que le stockage est au maximum de ses capacités », a déclaré Albert Helmig, PDG de la société de conseil Grey House et ancien vice-président du Nymex.

La plupart des grands pays consommateurs sont encore en situation de confinement. Le trafic aérien mondial a diminué de plus de 80 % et la demande d’essence et d’autres produits pétroliers raffinés est faible. Conséquence structurelle majeure pour l’économie américaine : les producteurs de pétrole de schiste ont déjà réduit une partie de leur production, mais ils devront la réduire encore beaucoup plus. Le nombre de plates-formes pétrolières et gazières américaines en activité est passé de plus de 1 000 l’année dernière à 529, la semaine dernière. Elle pourrait tomber en dessous d’une centaine durant les prochaines semaines.

La production de pétrole de schiste nécessite un prix du baril à environ 45 dollars. Actuellement, aucun producteur américain de pétrole de schiste ne peut atteindre ce prix plancher. Tous sont déjà très endettés et envisagent de fermer leurs puits. Une fois fermés, les puits ont tendance à se boucher et nécessiteront d’importants travaux coûteux pour être réouverts. Dans ces conditions, il est peu probable qu’ils soient de nouveau rentables au cours des deux à cinq prochaines années, voire jamais, puisqu’il n’y a aucune raison de s’attendre à ce que le pétrole brut atteigne à nouveau son précédent pic aux environs de 100 dollars le baril.

Aujourd’hui, la dette totale des producteurs américains de pétrole de schiste est estimée à plus de 200 milliards de dollars. Selon certains experts, cette situation pourrait même engendrer un effondrement du système bancaire américain et la situation de l’Arabie saoudite aggrave ces perspectives !

LA DICTATURE WAHHABITE FRAGILISEE

En effet avec le Covid-19, les mauvaises nouvelles s’accumulent pour la dictature wahhabite : exacerbation des tensions régionales, enlisement saoudien dans le conflit yéménite (depuis 2015) et guerre des prix du pétrole liée à la récession amorcée par la pandémie.

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Avec un prix du baril qui plafonne aux alentours de 20 dollars depuis Mars, Riyad devrait connaître un accroissement de son déficit budgétaire, déjà estimé à hauteur de 6,6 % de son PIB pour 2020. Début avril, la monarchie a demandé aux agences d’État d’amputer leur budget en cours d’au moins 20 % pour faire face à la baisse du prix du baril. Le budget 2020 avait déjà été revu à la baisse avec une réduction de 8 % des dépenses. En fait, l’Arabie saoudite a besoin d’un prix du pétrole d’au moins 85 dollars le baril pour équilibrer le déficit budgétaire de son gouvernement et d’au moins 50 dollars le baril pour équilibrer les comptes courants. Selon plusieurs prévisionnistes, ces deux déficits vont s’aggraver par rapport au prix actuel du pétrole et le déficit budgétaire notamment sera beaucoup plus important, au moins à hauteur de 15 % du PIB.

L’impact économique du Covid-19 remet en question certaines perspectives du plan « Vision-2030 », en particulier les plans pour NEOM – mégalopole du futur qui devait s’installer dans le Nord-Est saoudien. Les nouvelles politiques du « divertissement » et du « tourisme », pierres angulaires initiales du plan, seront fortement impactées, sinon abrogées.

La dictature wahhabite se trouve ainsi dans une situation très délicate qui n’est pas sans conséquences politiques et géopolitiques. Riyad se retrouve de plus en plus isolé, du moins avec des alliés sur lesquels elle ne peut plus systématiquement compter, dans un environnement toujours plus hostile. Cette évolution explique partiellement pourquoi depuis quelques mois la dictature wahhabite essaie de jouer l’apaisement avec Téhéran et cherche une porte de sortie à la guerre au Yémen.

MBS lui-même a dû revoir à la baisse ses ambitions de transformer la monarchie et de devenir le leader incontesté du monde sunnite. Dans cette conjoncture, il durcit le régime et réprime toute personne ou organisation susceptible de contester son pouvoir personnel. Accusés de trahison, quatre membres de la famille royale ont été arrêtés le mois dernier, dont le dernier frère vivant du roi Salmane – Ahmad ben Abdelaziz – et l’ancien prince héritier Mohammad ben Nayef.

Toujours à cause du Covid-19, la suspension « temporaire » de la omra (le petit pèlerinage) et la possible annulation du hajj (le grand pèlerinage annuel à La Mecque), sont d’autres défis. La défection des quelque deux millions de pèlerins qui étaient attendus en Juillet prochain risque d’affecter la légitimité des Saoud, censés être gardiens des lieux saints. On peut en tout cas s’attendre à une recrudescence d’attaques politiques ciblant personnellement MBS.

MBS avait aussi beaucoup misé sur le prochain G-20 qui devrait se dérouler à Riyad en Novembre prochain. Celui-ci risque d’être annulé ou de se tenir par visioconférence. Mais la dictature wahhabite devra affronter une échéance encore plus décisive avec l’élection présidentielle américaine. Alors que la monarchie pâtit d’une image de plus en plus négative aux Etats-Unis, particulièrement dans le camp démocrate, le prince-héritier devrait beaucoup prier pour une nouvelle victoire de Donald Trump. Dans le cas contraire, le cauchemar pourrait s’avérer de plus grande ampleur pour la dynastie des Saoud.

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LE RETOUR DE L’IRAN ?

La Maison Blanche a déchiré l’accord sur le nucléaire iranien le 8 mai 2018. La semaine dernière, Le New York Times indiquait que les États-Unis veulent maintenant y revenir : « Le secrétaire d’État Mike Pompeo prépare une singulière volte-face affirmant que les États-Unis sont toujours partie prenante à l’Accord nucléaire iranien auquel le président Trump a pourtant renoncé, dans le cadre d’une stratégie complexe visant à faire pression sur le Conseil de sécurité des Nations unies pour qu’il prolonge un embargo sur les armes à destination de Téhéran ou qu’il impose de nouvelles sanctions beaucoup plus sévères contre ce pays… ».

Dans cette perspective, Mike Pompeo est en train de bricoler un plan qui ne peut qu’inquiéter les pays européens : les États-Unis prétendent, en substance, qu’ils restent légalement « partie-prenante » de l’accord nucléaire – mais seulement pour invoquer un « retour à la case départ » qui permettrait de rétablir les sanctions de l’ONU contre l’Iran, les mêmes qui étaient en vigueur avant l’accord. Si l’embargo sur les armes n’est pas renouvelé, les États-Unis feraient valoir leur « droit » de pays membre originel de l’accord. Cette mesure obligerait à rétablir le large éventail de sanctions qui interdisaient les ventes de pétrole et les arrangements bancaires avant l’adoption de l’accord en 2015. L’application de ces anciennes sanctions serait, en théorie, contraignante pour tous les membres des Nations unies.

Désormais pris à son propre piège, l’administration américaine cherche non seulement à imposer de nouvelles sanctions à l’Iran, mais veut forcer Téhéran à renoncer à toute prétention de préserver l’accord de l’ère Obama. Ce n’est qu’en le brisant « de l’intérieur », disent plusieurs hauts fonctionnaires américains, que l’ayatollah Ali Khamenei et le président Hassan Rouhani seraient contraints de négocier un tout nouvel accord conforme aux intérêts de Donald Trump qui a fait de ce dossier l’un de ses principaux arguments électoraux pour l’élection présidentielle de novembre prochain.

Le plan Pompeo ne peut fonctionner. Il n’y aura pas de « retour à la case départ » pour les sanctions et l’Iran s’en tiendra à l’accord. L’option de retour à la case départ fait partie du mécanisme de règlement des différends prévu aux articles 36 et 37 de l’accord. Le site UN Dispatch en donne une brève description : « L’accord … crée un panel de huit membres, appelé « Commission conjointe », qui servira de mécanisme de résolution des litiges. Les membres de ce panel sont les cinq membres du Conseil de sécurité ayant le droit de veto, plus l’Allemagne, l’Iran et l’Union européenne. Il y a huit membres au total. Si une majorité estime que l’Iran a triché, la question est renvoyée au Conseil de sécurité. Aucun pays ne dispose d’un droit de veto ».

Selon l’accord nucléaire le Conseil de sécurité ne peut imposer de nouvelles sanctions. En fait, le Conseil de sécurité doit décider s’il continue ou non à lever les sanctions en vigueur. S’il ne le fait pas, les anciennes sanctions restent en vigueur. Ce cadre évite la perspective d’un veto russe et garantit que si les pays occidentaux pensent que l’Iran triche, les sanctions seront automatiquement réimposées.

Les États-Unis ne participent plus à la « commission conjointe » et ne peuvent donc pas déclencher le processus. Il n’y aura pas non plus de majorité pour soumettre le désaccord au Conseil de sécurité des Nations unies. Dans sa résolution 2231, le Conseil de sécurité des Nations unies a également établi que seuls les participants à l’accord peuvent déclencher un processus de retour en arrière. Le fait que les États-Unis déclarent aujourd’hui être toujours un « État participant » à l’accord sera considéré comme une véritable farce par tous ceux qui se souviennent des remarques de l’administration Trump concernant la décision d’en sortir ! Un diplomate européen de haut rang a déjà rejeté « le plan Pompeo », estimant que celui-ci « était parfaitement farfelu, irréaliste et indécent. On ne peut pas piétiner à longueur de journée le multilatéralisme et, en même temps, lui imposer des virages à 360 degrés ! ».

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L’article du New York Times conclut : « la stratégie de l’administration pourrait bien fonctionner, même si d’autres membres des Nations unies ignoraient cette initiative. A ce moment-là, sur le papier du moins, les Nations Unies retourneraient à toutes les sanctions contre l’Iran qui existaient avant que M. Obama ne signe l’accord avec Téhéran… Pourtant, seuls les participants à l’accord peuvent déclencher un tel processus de retour à la case départ. Or, les États-Unis ne sont plus reconnus en tant que participant effectif ».

Il est peu probable que les pays européens acceptent la dernière initiative de Washington. En janvier dernier, ils ont fait savoir qu’ils déclencheraient le mécanisme de règlement des différends qui prévoit une relance des sanctions, parce que l’Iran a dépassé certaines limites de l’enrichissement d’uranium. L’Iran a répliqué en faisant valoir qu’il était toujours dans les limites de l’accord et a ensuite menacé de quitter le traité de prolifération nucléaire si les Européens continuaient dans cette voie. Depuis, on observe le plus grand silence des Européens, dont plusieurs chancelleries admettent que le bras de fer déclenché par les Américains est en train de tourner à l’avantage de l’Iran.

En effet, à force de vouloir absolument faire rendre gorge à l’Iran – et ce par les moyens les plus tordus -, Washington pousse non seulement Pékin, Moscou et Ankara à soutenir davantage Téhéran, mais aussi les pays européens à se dissocier de cet objectif qui tourne à l’obsession. Plusieurs pays arabes – sunnites -, pas seulement le Qatar, et non des moindres, comme l’Egypte sont aussi en train de ce dissocier de cet « iran-bashing » en train de tourner à l’hystérie.

Un haut-diplomate européen qui a longtemps été en poste a Téhéran conclut : « Comment les Européens pourraient-ils accepter les dernières manipulations de Mike Pompeo alors que Washington leur crache dessus depuis plusieurs mois ! En définitive et malgré les difficultés économiques et politiques qui frappent l’Iran, il se pourrait bien que la pandémie du Covid-19 favorise, à terme, un singulier retour politique et géopolitique de Téhéran… ».

En attendant, bonne lecture. A la semaine et continuez à bien prendre soin de vous.

Richard Labévière
4 mai 2020

1 Alain Chouet : Au cœur des services spéciaux – La menace islamiste : fausses pistes et vrais dangers. Editions La Découverte, Paris, 2011.

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La crise des crises: du sanitaire au véritaire

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La crise des crises: du sanitaire au véritaire

par François-Bernard Huyghe

Ex: http://www.huyghe.fr

C’est la méga-crise. D'abord sanitaire, elle suscite en cascade une crise financière et économique (de l'offre et de la demande), sociale et politique, du travail et du loisir, technologique (rôle du numérique) et géopolitique, culturelle et idéologique, sans doute écologique et quasi anthropologique de notre rapport avec le danger et la mort. Et ne parlons pas de la crise de l’autorité scientifique et de la prévision ou de la vérité. Le virus est le déclencheur ou le révélateur de contradictions latentes et de conflits oubliés.

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Toutes ces crises induites ont pour caractéristiques d'avoir été suscitées par les premières réactions à la pandémie, comme de confiner la moitié de la population de la Terre, donc par la gestion de crise. Nul n'avait songé à le faire lors de la grippe de Hong Kong en 1968 qui tua un million de personnes, dont 17.000 en France. Entre accepter les coups du destin et vouloir sauver les vies "à tout prix", le choix est éthique (Agamben : « Peut-on suspendre la vie pour la protéger ? »). Mais la seconde option suppose l'autorité de l'État, la croyance des citoyens (qui détermine leur comportement vertueux) et la base de la Vérité scientifique.

Du coup, la méga-crise devient méta-crise - crise des conditions qui définissent la crise-. Elle remet en cause le cadre dans lequel elles étaient pensées jusqu’ici ; elles étaient récurrentes, admises, mais entraient dans les calculs politiques ou économiques : gestion, communication, cellule de crise, crise de réputation, crise sanitaire, industrielle, e-crise, cybercrise, etc. Toutes ces notions suggéraient que c’était un défi et une opportunité de se réformer et de se moderniser. Et une incitation innover, mais dans la même direction. Les premiers de cordée comme nos gouvernants ont certainement, à l‘ENA ou en entreprise, travaillé sur des scénarios de « com de crise ». Même l’auteur de ces lignes enseigné la matière.

Or les crises induites se chevauchent ou se contredisent : comment sortir de la crise sanitaire sans aggraver la crise économique ? Ou comment défendre nos intérêts géopolitiques demain face à de nouvelles hégémonies sans risques économiques ou sociaux nouveaux de déstabilisation ? Telles sont les équations à résoudre.

S'ajoute un singulier rapport avec la réalité : l'épidémie devient infodémie. La mésinformation concurrence l'information fiable ; le doute se répand, surtout dans le domaines scientifique - causes, modes de propagation, efficacité des mesures et des médicaments, anticipations et probabilités, thèses farfelues... - au moment, précisément, où le politique s'appuie sur la légitimité de la science et des experts pour justifier ses décisions. Les interprétations complotistes prolifèrent.

07dc5871f5a46f58375dd92e2728eb22.jpgToutes ne sont peut-être pas innocentes. Les USA (dans une moindre mesure l'UE) dénoncent la guerre de l'information menée par la Chine. En sens inverse, Pékin stigmatise l'infoguerre venue de l'Ouest. Les gouvernements sont tentés de combattre la mésinformation en ligne en certifiant certains contenus. Notre pays vient d’inventer une plateforme en ligne qui trie les articles sur la pandémie « sûrs et vérifiés ». Sous l’égide de Sibeth Ndaye. Fact-checking pour start-up nation.

Plus efficace que la censure (binaire : message autorisé / non autorisé), la chasse aux fakes et au complotisme agit sur le code (le critère du crédible). Cela incite le citoyen à un auto-contrôle (en lui disant "ne soyez pas dupes"). Cette information AGDG (Avec Garantie Du Gouvernement) évoque un peu Miniver d’Orwell ou le « bureau de l’esprit public » de 1792. Le spectre de la manipulation justifie une prise de contrôle.

Elle se heurte au constat non pas que ce gouvernement ait été plus menteur qu’un autre, mais que, sur le confinement, les masques, les tests, la peur "pire que le virus", les frontières et à peu près toutes les mesures qu'il a fini par prendre, il a professé deux vérités successives au moins. L’État séducteur se fait maintenant État vérificateur et État-média. État maternant aussi : son souci du care le pousse à nous préserver des fables nocives. Nounou, raconte moi une vérité.
Dernière minute: Mais il y a des résistances. Le 30 avril, le gouvernement lançait sa plateforme Désintoxcoronavirus destinée à indiquer les "bonnes" sources d'information et à dissiper les "infox" sanitaires. Et... la retirait cinq jours plus tard, face aux protestations des rédactions. Subissant un procès en incompétence et une crise de crédibilité sans précédents, le pouvoir ne veut pas se donner en plus l'image de la censure indirecte (sources fiables contre fakes). C'est un premier échec pour une stratégie de contrôle idéologique qui disqualifie l'adversaire comme propagateur de faux et de théories complotistes - donc exclu du domaine de l'opinion libre puisque sorti de celui de la réalité-.

vendredi, 08 mai 2020

Entretien avec Jean-Yves Le Gallou: fausses nouvelles et vrais bobards

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Entretien avec Jean-Yves Le Gallou: fausses nouvelles et vrais bobards

Jean-Yves Le Gallou, fondateur de Polemia et spécialiste des médias, analyse le traitement des informations durant le confinement.

  Durant cette période d’épidémie, la moisson n’a-t-elle pas été particulièrement fructueuse pour vous qui traquez les fausses nouvelles ?

— Si. Les fausses nouvelles ont été doublement systémiques : nous avons eu des fausses nouvelles gouvernementales, précieusement relayées par les médias. Ainsi quand l’ineffable Sibeth Ndiaye et le petit arrogant Véran ont affirmé que les masques étaient inutiles, Le Parisien a publié une infographie pour illustrer la « vérité » gouvernementale. Quand, un mois plus tard, le gouvernement a expliqué que les masques seraient obligatoires après le déconfinement, Le Parisien a repris son infographie pour se caler sur la nouvelle vérité officielle…

N’y a-t-il pas eu – encore plus nettement que d’habitude – la dénonciation par les médias de prétendues « fausses nouvelles » d’une part et, d’autre part, la diffusion de leurs propres bobards ?

— Oui. Sur l’origine du virus, on nous a obligés dans un premier temps à croire que le coupable c’était le pangolin : le pangolin, vous dis-je ! Evoquer l’hypothèse d’une sortie accidentelle du virus du laboratoire P4 de Wuhan, inauguré en 2017 par Cazeneuve, le Premier ministre de Hollande, et Yves Levy, le mari de Buzyn, c’était être « complotiste » ! Et les chasseurs de « fake news » vous dénonçaient. Aujourd’hui, c’est presque devenu une hypothèse mainstream relayée par les services spéciaux et les ministres des pays occidentaux. Macron lui même nous a dit « on nous a caché des choses ». Le découvreur du sida, le prix Nobel Montagnier, a même envisagé l’hypothèse d’une fabrication humaine. A son tour il a été accusé d’être « complotiste ».

Alors, accident de la nature ou accident scientifique ? Origine naturelle ou fabrication humaine ? Aujourd’hui nous ne connaissons pas l’origine du virus et il serait sage de le reconnaître.

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Qu’appelez-vous « l’Etat Big Mother » ?

41ER6ZP8YHL._SX284_BO1,204,203,200_.jpg— C’est à l’échelon de l’Etat la philosophie de la mère abusive qui s’impose : « Couvre-toi », « Mets ton sweat », « Ne sors pas, tu vas attraper froid ». Veran traite les Français comme des enfants. C’est très exactement ce que condamne Michel Schneider, l’auteur de Big Mother : « Ecoute, proximité, caresses, urgence, amour. Les hommes politiques jouent à la mère. Dirigeants n’osant plus diriger, citoyens infantilisés attendant tout de l’Etat : la France est malade de sa politique comme certains enfants le sont de leur mère » ! C’est le triptyque de la soumission : Big mother (infantilisation des Français), Big brother (surveillance générale), Big Other (priorité à l’immigré).

Vous n’hésitez pas à parler de « dictature Macron ». N’exagérez-vous pas?

— Hélas non, en novembre dernier nous avions consacré le Forum de la dissidence de Polémia à « La dictature Macron ». Pourquoi ? Parce que la logique du pouvoir est post-démocratique : imposer à l’opinion les dogmes du mondialisme, de l’immigrationnisme et la déconstruction de tous les héritages et traditions. La crise sanitaire – amplifiée par l’incurie gouvernementale – est une formidable occasion pour faire avancer les pions de l’idéologie dominante. La stratégie du choc est mise en oeuvre avec la dictature sanitaire : limitation de la liberté d’expression, sous couvert de lutter contre les « fake news » : dès mars, le préfet Solly, directeur de Facebook France, a annoncé le renforcement de la « régulation » – traduisez censure – sur les réseaux. Et labellisation de la parole officielle au nom de la lutte contre l’épidémie. Restriction de la liberté de circulation bien au-delà du strict nécessaire pour lutter contre l’épidémie (funérailles impossibles, fermeture des parcs, des forêts, des plages, etc.). Mise en cause de la liberté du culte catholique. Atteintes à la liberté de prescription médicale (chloroquine). Ce n’est peut-être pas encore le Goulag mais c’est un pas en avant dans le Moulag.

Pensez-vous qu’avec le déconfinement nous échapperons à cette « dictature sanitaire » ?

— Non, le déconfinement sera au contraire l’occasion d’inscrire dans le marbre de la loi certaines mesures prises lors de l’état d’urgence sanitaire. D’imposer dans la durée le principe de l’ausweisspour circuler. D’avancer dans le traçage électronique des citoyens. De remettre en cause le secret médical. En attendant le vaccin obligatoire avec puce électronique voulu par Bill Gates et l’OMS.

Certains rêvent d’un retour au moins partiel au souverainisme, leçon de cette épidémie. Y croyez-vous ?

— Dans cette affaire, certains ont fait un mauvais procès à l’Union européenne qui n’est en rien responsable des problèmes de santé qui restent du domaine des Etats, voire des Etats fédérés comme en Allemagne. C’est peut-être paradoxal, mais certains souverainistes sont les idiots du pouvoir qu’ils exonèrent de ses fautes en en rejetant la responsabilité sur Bruxelles. Le vrai combat à mener c’est celui contre l’idéologie dominante et les hommes qui la mettent en œuvre : que ceux-ci soient à Paris ou à Bruxelles ne change pas grand chose. Il ne faut pas se tromper de combat. L’épidémie de coronavirus a surtout montré la faillite de l’Etat francais emberlificoté dans des pratiques managériales (« qualité – contrôle – performance – pilotage ») aussi prétentieuses qu’inefficaces.

Quels effets cette épidémie semble-t-elle avoir sur l’immigration clandestine ? Va-t-on être plus regardant ?

D-Cohn-Bendit_7c5793ec5f1e8748077cd20662d9de9d.jpg— Je crains que non ! Le gouvernement Conte en Italie a annoncé qu’il allait régulariser 200 000 clandestins, soi-disant pour faire face aux besoins de l’économie. Et depuis l’Allemagne – où il échappe au confinement – Cohn Bendit nous explique que nous avons été sauvés par les livreurs dont beaucoup sont clandestins et qu’il faut les remercier en leur donnant des papiers. Quant au Conseil d’Etat, il a imposé la réouverture des guichets de demande d’asile.

Retiendrez-vous dans votre choix pour les prochains Bobards d’or la dénonciation d’une « messe clandestine » à Saint-Nicolas ou à Saint-André-de-l’Europe ?

— Le montage sur la « messe clandestine » à Saint-Nicolas-du-Chardonnet y trouvera sa place dans la catégorie Bobard coronavirus.

Une conclusion ?

— Dissidence ! Résistance ! •

Propos recueillis par Anne Le Pape

Photo :  Anne Le Pape

Cet article Entretien avec Jean-Yves Le Gallou : fausses nouvelles et vrais bobards est apparu en premier sur Présent.

Extrait de: Source et auteur

L’économie européenne devrait connaitre une récession de 7,5% en 2020… si tout se passe bien

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L’économie européenne devrait connaitre une récession de 7,5% en 2020… si tout se passe bien

par Ivan Lapchine

En communiquant ses nouvelles prévisions, le 6 mai, la Commission européenne a prévenu que «l'économie de l'UE connaîtra[it] une récession dans des proportions historiques cette année». Elle devrait être à peu près semblable pour la moyenne des 27 Etats membres et pour la seule zone euro, avec des contractions des produits intérieurs bruts (PIB) respectives de 7,5% et 7,75%. Une reprise est attendue en 2021 aux environs de 6% pour les deux ensembles.

L’ampleur du choc causé par le coronavirus se constate dans celle de la révision brutale des prévisions de la Commission :   elles ont été revues à la baisse d'environ neuf points de pourcentage par rapport à ce qui était envisagé à l’automne et de 6,5 points en seulement deux mois.

Tous les Etats membres ont été atteintes, mais pour l’année 2020, l’ampleur de la récession variera suivant les pays et la structure de leur économie. L’Espagne, la Grèce et le Portugal où le tourisme apporte habituellement une importante contribution économique seront les plus touchés avec près de 9% de contraction du PIB.

Le taux de chômage dans la zone euro devrait passer d’une moyenne de 7,5% en 2019 à 9,5% en 2020, avant de retomber à 8,5% en 2021. Dans l'UE, il devrait passer de 6,7% en 2019 à 9% en 2020, puis tomber à environ 8% en 2021. Certains Etats membres connaîtront une augmentation du chômage plus importante que d'autres. Ceux qui comptent une forte proportion de travailleurs sous contrat de courte durée et ceux dont une grande partie de la main-d'œuvre dépend du tourisme sont particulièrement vulnérables. Les jeunes qui entrent sur le marché du travail en ce moment auront également plus de mal à trouver leur premier emploi.

La zone euro proche de la déflation

Enfin, les prix à la consommation devraient chuter sensiblement cette année en raison de la baisse de la demande et de la forte baisse des prix du pétrole, qui, ensemble, devraient plus que compenser les hausses de prix isolées causées par les ruptures d'approvisionnement liées à la pandémie. La zone euro, se trouvera dangereusement proche de la déflation avec un indice de progression des prix de 0,2% en 2020, et à 1,1% en 2021. La situation ne sera guère meilleure pour la moyenne des 27 avec une inflation prévue à 0,6% en 2020 et 1,3% en 2021.

Après avoir baissé depuis 2014, le ratio dette publique/PIB devrait de nouveau augmenter en 2020. Dans la zone euro, il devrait passer de 86% à 102,75% et de 79,4% à 95% dans l’UE.

La Cour constitutionnelle allemande fixe un ultimatum à la #BCE et menace la zone #euro#Allemagne  #UE  #Economie

 https://t.co/huRi7VxTOEpic.twitter.com/OVSjb9cx65

— RT France (@RTenfrancais) May 6, 2020

Incertitude «exceptionnellement élevée» et risques «orientés à la baisse»

Dans son communiqué, la Commission européenne ajoute que ses prévisions «sont assombries par un degré d'incertitude plus élevé que d'habitude». En effet, elles se basent sur un scénario qui prévoit un déconfinement progressif de l’activité économique en Europe à partir de mai. Mais la commission prévient qu’«une pandémie plus grave et plus durable […] pourrait entraîner une baisse du PIB beaucoup plus importante».

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L’exécutif européen affirme avec insistance la nécessité d’un plan de relance coordonnée au niveau européen qu’elle prépare et espère faire accepter aux Etats membres malgré leurs divergences. Dans son communiqué la Commission européenne souligne qu’«étant donné l'interdépendance des économies de l'UE, la dynamique de la reprise dans chaque Etat membre affectera également la force de la reprise des autres Etats membres».

«Reprise collective» et «réponses coordonnées»

A ce sujet, Valdis Dombrovskis, vice-président de la commission a déclaré : «Notre reprise collective dépendra de la poursuite de réponses fortes et coordonnées aux niveaux européen et national. Nous sommes plus forts ensemble.»

Paolo Gentiloni, commissaire européen à l'économie, a pour sa part souligné que «tant la profondeur de la récession que la force de la reprise ser[aie]nt inégales, conditionnées par la vitesse à laquelle les fermetures peuvent être levées, l'importance des services comme le tourisme dans chaque économie et par les ressources financières de chaque pays». Et pour lui ces divergences entre les économies constituent «une menace pour le marché unique et la zone euro» qui peut toutefois être atténuée «par une action européenne commune et décisive».

Enfin, la Commission redoute un reflux de la mondialisation qu’elle caractérise par «des changements d'attitude plus radicaux et permanents à l'égard des chaînes de valeur mondiales et de la coopération internationale». Cette tendance, écrit-elle, «pèserait sur l'économie européenne très ouverte et interconnectée».

Ivan Lapchine

Extrait de: Source et auteur

L'Arabie saoudite au bord du désastre économique

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L'Arabie saoudite au bord du désastre économique

par Jean-Paul Baquiast
Ex: http://www.europesolidaire.eu
 
Comme on pouvait le pressentir, l'épidémie mondiale de coronavirus qui ralentit considérablement la demande de pétrole pose un véritable problème de survie économique au Royaume saoudien.

Celui-ci subsiste essentiellement sur une seule ressources, le pétrole et le gaz dont la nature (Allah ?) l'avait richement doté. Pour réduire cette dépendance, le prince héritier Mohammad bin Salman al Saoud (MBS) avait envisagé de diversifier l'économie. Pour cela, il avait tenté d'y appeler des investisseurs étrangers compétents notamment dans le domaines des nouvelles sciences et technologies. Il avait élaboré à cette fin un plan dit Vision 2030. Mais aujourd'hui il n'a plus les moyens de leur offrir des conditions d'accueil attrayantes.

Ceci d'autant plus que le pétrole saoudien est désormais en compétition avec le pétrole russe. Certes, la Russie souffre aussi de la baisse des cours pétroliers, mais elle dispose d'une économie suffisamment puissante pour ne pas en dépendre. Le roi Salman, père du prince, a prévenu le 19 mars que le Royaume devait se préparer à une bataille très difficile. C'était  peu avant le 26 mars, où il devait présider une réunion du G20, autrement dit des 20 puissances les plus riches du monde. Cette réunion était supposée proposer une politiques internationale permettant de lutter contre le virus. Comme l'on sait, rien de sérieux n'en est sorti.

MBS, sunnite, avait initialement accusé l'Iran chiite d'être à la source de l'épidémie, alors qu'elle en est elle-même durement frappée. Ses proches avaient porté la même accusation contre le Qatar, supposé s'opposer à la Vision 2030. Ce furent ensuite les travailleurs éthiopiens venus chercher de l'emploi à Riyad qui furent suspectés d'être des porteurs du virus. Des milliers d'entre eux furent expulsés, dans des conditions dites inhumaines par les associations.

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Il est vrai que l'Arabie Saoudite est particulièrement victime du coronavirus. Début avril, 200.000 cas ont été identifiés, dont 150 membres de la famille royale, famille il est vrai très nombreuse. Le 6 avril, un couvre-feu a été décrété dans les principales villes. De nombreux magasins alimentaires ont été fermés, provoquant l'inquiétude des milieux populaires. 

De plus le Hajj, pèlerinage annuel que font, au moins une fois dans leur vie, les musulmans aux lieux saints des villes de La Mecque et Médine, en Arabie saoudite, devant se tenir du 28 juillet au 3 août, ne pourra avoir lieu. Ce pèlerinage est traditionnellement une source de profits considérables pour le Royaume. Deux millions de pèlerins étaient attendus. On rappellera par ailleurs que MBS prévoyait la création d'une ville dite futuriste, nommée Neom, à laquelle il espérait pouvoir consacrer 600 milliards de dollar, lesquels rapporteraient des profits bien supérieurs. On devait y trouver, entre autres, des automobiles volantes et des serviteurs robotiques. .

Certes le Royaume dispose de réserves financières considérables, provenant de la vente du pétrole. Mais celles-ci s'épuiseront vite. Malheureusement, selon les observateurs, la crise actuelle aurait semé la panique dans l'esprit de MBS. Perdant son sang-froid, il envisagerait un retour à un nationalisme agressif et à d'autres décisions irrationnelles qui seraient la risée de toute la région, à commencer par l'Iran et la Russie. Il ne pourra espérer aucun appui de Washington, l'allié de toujours, qui affronte bien d'autres nécessités.

 

jeudi, 07 mai 2020

ROCK HAINE ROL !

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Christian Rol:

Réflexions en état de confinement

ROCK HAINE ROL !

via Facebook

Tous les connards qui ont voté Macron n’osent plus vraiment revendiquer leur forfait ; mais ils lui trouvent quand même des circonstances atténuantes et louent le « chef de guerre » en bras de chemise, agité comme un toxico en manque et coiffé comme un dessous de bras, qui aujourd’hui, en s’adressant aux cultureux subventionnés, a dit son vœu de voir un été « apprenant et culturel ». Rien que ce jargon mériterait la Haute Cour !

Aujourd’hui, avant mon échappée belle quotidienne sur les plages désertes, j’ai du subir la fréquentation de quelques uns de mes contemporains, dont un jardinier, un abruti de première bourre qui vient m’expliquer à moi que ce flicage est normal. Je lui raconte quand même qu’au marché de ce matin il y avait l’éternelle équipe de bourrins galonnés qui slalomait entre les croquants avec une mitraillette à la main ( !). Non, l’autre, il trouve ça normal. « Ben, c’est le plan Vigipirate qui s’applique… je vois pas le problème… »

Qu’est-ce qu’on peut espérer avec des enflures pareilles, des bons français disposés à tous les renoncements, toute les trahisons, toutes les privations de liberté ? Quelle malédiction me fit naître dans cette époque et dans ce pays ?

Les bricoleurs fébriles qui tiennent lieu de « pouvoir exécutif » se cassent le nez un jour sur deux sur une ordonnance absurde bientôt contredite par le ministère voisin ou tel mandarin plein de componction ; au point que même les journalistes serviles (pléonasme) ne savent plus sur quel pied danser et hésitent, désormais, à relayer l’information avec l’empressement de passeurs de plats.

Dans cette valse des décisions clownesques, la négresse burlesque déguisée en Casimir tient une place de choix que personne ne songera à lui envier. La Sénégalaise est la risée de la France entière mais c’est une partie du plan : faire avaler des couleuvres en rigolant, ça passe mieux…

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Depuis quelques jours, et à la veille de ce fameux déconfinement à plusieurs vitesses, les bras cassés s’emmêlent un peu plus encore les pinceaux avec le retour à l’école des gniards ingérables. Faut-il les renvoyer sur les bancs de leur classe ou les maintenir à la maison ? Choix cornélien. Surtout pour les parents à bout qui préfèrent désormais voir la marmaille dégager de la maison plutôt que d’avoir à subir un jour de plus leurs mioches encore plus caractériels qu’eux-mêmes.

Je fulmine en rond, plus encore qu’au début car, désormais, mon instinct se voit confirmé par les actes : les salopards distillent au compte-goutte le menu pour les années qui viennent. En entrée : Soupe à la grimace sur son lit de fumier. Attali en rêvait, l’Institut Montaigne en parle : plus de vacances ou presque, plus de ponts du mois de mai et des semaines au taf de 48 heures. Tout cela, évidemment, sans évoquer la moindre hausse de salaire, « effort de guerre » oblige ! Mais ce n’est là qu’une mise en bouche… La retraite à 70 ans, ça viendra plus tard. Comme les rançons prohibitives sur les droits de succession, les impôts et les taxes en tout genre…

Tout cela, bien sûr, ne me concerne pas, ou à peine. Ma marginalité m’aura finalement épargné bien des déceptions puisqu’un pessimiste ne saurait tomber de haut.

En attendant la mise en place de ce joli programme (sans parler des libertés sous cloche), souhaitons-nous une rentrée explosive qui débouche sur des « troubles » ingérables par le régime.

Je ne vois pas d’autre solution pour nous sortir de cette dictature capitaliste, le jour d'après, dont le covid 19 (1984, assurément) aura été un Cheval de Troie plutôt bien ficelé…

C. Rol

Deutschlands Automobilindustrie droht ein Desaster

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Torsten Groß:

Deutschlands Automobilindustrie droht ein Desaster

Ex: https://kopp-report.de

Der bekannte Wirtschaftswissenschaftler Ferdinand Dudenhöffer hat eine düstere Prognose für die Automobilindustrie abgegeben. Nach Einschätzung des deutschen Hochschulprofessors, der an der Universität St. Gallen lehrt, wird sich die Branche weltweit frühestens im Jahr 2025 von den Nachwirkungen der Corona-Krise erholt haben. Das ist vor allem für die deutsche Volkswirtschaft eine schlechte Nachricht. Denn der Wohlstand unseres Landes ist maßgeblich vom Kraftfahrzeugbau abhängig, der mit 436 Mrd. Euro mehr als ein Fünftel zum Gesamtumsatz des verarbeitenden Gewerbes beisteuert und 836.000 Menschen beschäftigt.

In keinem anderen Land der Welt hat die Autoindustrie einen so großen Anteil an der heimischen Wertschöpfung wie bei uns. Wichtig auch: Etwa zwei Drittel der Einnahmen aus dem Verkauf deutscher Fahrzeuge werden im Ausland generiert. Doch dort wird die Nachfrage infolge des weltweiten Konjunktureinbruchs 2020 deutlich zurückgehen.

Dudenhöffer geht davon aus, dass der Autoabsatz in Asien im Vergleich zum Vorjahr von 32 Millionen verkauften Einheiten auf heuer 25,9 Millionen sinkt, ein Minus von über 19 Prozent. Für Nordamerika rechnet Dudenhöffer mit einem Absatzverlust von 4 Millionen Einheiten oder 20 Prozent gemessen an der Stückzahl, die 2019 erreicht wurde.

Und in Europa dürften nach den Berechnungen des Experten 2,8 Millionen Autos weniger abgesetzt werden als noch in 2019 (minus 17,7 Prozent), wobei Westeuropa wegen der schon heute hohen Marktsättigung stärker betroffen sein wird als der Osten des Kontinents, wo es in puncto Mobilität noch Nachholbedarf gibt.

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Weltweit wird die Zahl der produzierten Autos im laufenden Jahr gegenüber 2019 um 14,4 Millionen Einheiten auf 65,2 Millionen einbrechen, was einem Rückgang von über 18 Prozent entspricht. Das wäre der niedrigste Stand seit 2011. Noch dramatischer sieht die Prognose für Deutschland aus. Bei uns soll der Ausstoß um 900.000 auf dann nur noch 3.800.000 Fahrzeuge sinken. 100.000 Arbeitsplätze stehen auf der Kippe. Bereits jetzt sind nach Angaben des Verbandes der Automobilindustrie (VDA) 400.000 Beschäftigte in der Branche von Kurzarbeit betroffen. Kein Wunder, dass die Hersteller auf eine möglichst schnelle Wiederaufnahme der Produktion drängen, die in einigen Werken bereits wieder anläuft, wenn auch nur eingeschränkt. Denn die Lieferketten aus dem Ausland sind fragil. Viele Fahrzeugkomponenten z.B. aus Norditalien stehen wegen des Shutdowns und der Ausfuhrbeschränkungen noch nicht wieder zur Verfügung.

Vor allem aber fehlt es an Nachfrage der Käufer. In Erwartung der von Wirtschaftsforschern vorhergesagten schweren Rezession und millionenfacher Arbeitslosigkeit halten sich die Verbraucher mit teuren Neuanschaffungen wie einem Auto verständlicherweise zurück. Im Vorfeld des am heutigen Dienstag stattfindenden Telefongipfels mit Bundeskanzlerin Merkel fordert der VDA deshalb eine vom Staat finanzierte, zeitlich befristete »Neustart-Prämie« als Anreiz, um Konsumenten zum Kauf eines Neuwagens zu motivieren. Insidern zufolge soll diese Prämie nach den Vorstellungen der Branche mindestens 2.500 Euro betragen. Dieser »Sockelbetrag« könne mit zusätzlichen Boni kombiniert werden, um den Absatz umweltfreundlicher Fahrzeuge im Sinne der Klimaschutzziele – zusätzlich zum bereits bestehenden Förderprogramm Elektromobilität (FEM) – zu unterstützen. Auch Jahreswagen sollen in das Prämienmodell einbezogen werden.

Ob sich die Branche mit diesen weitreichenden und für den Steuerzahler kostspieligen Forderungen wird durchsetzen können, bleibt abzuwarten. Eine politische Entscheidung soll heute noch nicht getroffen werden. Kritiker sehen in der Kaufprämie eine ungerechtfertigte Bevorzugung der Autoindustrie gegenüber anderen Branchen, die wirtschaftlich ebenfalls mit dem Rücken zur Wand stehen.

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Im Übrigen stellt sich die Frage, ob sich der gewünschte Effekt in der jetzigen Phase tatsächlich einstellen würde. Denn noch ist die Corona-Epidemie nicht ausgestanden, eine zweite oder gar dritte Infektionswelle, wie sie z.B. bei der Spanischen Grippe der Jahre 1918/1919 auftrat, könnte eine erneute Verschärfung des Lockdowns durch die Politik zur Folge haben – ein Szenario, das von den Mainstreammedien gestützt auf die Aussagen des Robert Koch Instituts (RKI) und anderer einschlägig bekannter Virologen jeden Tag aufs Neue an die Wand gemalt wird. So lange diese Unsicherheit besteht, werden auch großzügige Kaufprämien die Konsumenten nicht dazu verleiten, in Scharen in die Autohäuser zu strömen. Notwendig ist eine langfristige Perspektive im Umgang mit dem Virus und ein politisches Konzept, das ein höchstmögliches Maß an Gesundheitsschutz vor allem für die besonders gefährdeten Gruppen der Bevölkerung gewährleistet, ohne dabei die Wirtschaft zu ruinieren. Daran fehlt es in Deutschland auch Monate nach dem Ausbruch der Pandemie bis heute.

Experte Dudenhöffer prognostiziert, dass sich der weltweite Automarkt erst 2025 wieder erholt haben wird. Erst dann könnten die Absatzzahlen des Jahres 2019, dem letzten Jahr von Corona, wieder erreicht bzw. leicht übertroffen werden. Von dieser Entwicklung dürfte Asien überproportional profitieren, weil hier die Motorisierung der Bevölkerung in vielen Ländern deutlicher geringer ist als in den Industriestaaten Nordamerikas und Europas.

Bis diese lange Durststrecke überwunden ist, wird es zu einer Schrumpfung der Branche kommen, um die bestehenden Überkapazitäten abzubauen, die Dudenhöffer auf 25 Prozent beziffert. Unabhängig von der aktuellen Krise wird dieser Strukturwandel zahlreiche gut bezahlte Jobs in der Automobilindustrie kosten, auch bei uns.

Eine zusätzliche Belastung speziell für die deutschen Hersteller resultiert aus der politischen Verteufelung des Dieselmotors und dem aus Gründen des »Klimaschutzes« erzwungenen Umstieg auf elektrisch betriebene Fahrzeuge, deren Produktion deutlich weniger Teile und damit auch Arbeitskräfte insbesondere bei den Zulieferern erfordert.

Der Autobranche stehen also schwere Zeiten ins Haus. Die Maßnahmen zur Bekämpfung der Virus-Pandemie haben die Lage noch einmal deutlich verschärft. Darunter werden hierzulande vor allem solche Bundesländer zu leiden haben, die große Produktionsstandorte beherbergen, etwa Niedersachsen mit VW in Wolfsburg, Nordrhein-Westfalen (Ford), Baden-Württemberg (Daimler-Benz, Porsche) und Bayern (BMW, Audi).

Ganze Regionen, in denen der Automobilbau wirtschaftlicher Taktgeber ist, droht der Niedergang, wenn dort in größerem Maßstab Jobs und damit Kaufkraft verloren gehen. Dafür verantwortlich sind Fehlentscheidungen der Politik, die nicht nur in der Corona-Krise, sondern schon zuvor getroffen worden sind!

Le "monde d'après" le coronavirus : ce merveilleux espace carcéral global

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Le "monde d'après" le coronavirus : ce merveilleux espace carcéral global

par Karine Bechet-Golovko
Ex: https://russiepolitics.blogspot.com
 
Bracelet électronique, application de traçage, de géolocalisation, de distanciation, c'est le nouveau monde du coronavirus, ce fameux "monde d'après", qui après avoir assigné à domicile plus de 4 milliards d'êtres humains se prépare à les mettre sous surveillance, "pour leur bien", "par civisme", "sans les contraindre". Nous entrons avec joie et bonheur dans un univers carcéral quotidien. Tant que nous nous laissons faire, il n'y a plus aucune raison pour que ça s'arrête. En France, en Russie, en Italie, à Hong Kong, même dans le si petit Liechtenstein et ailleurs, un monde global s'installe. Inhumain, faute de ne pouvoir déjà être sans humains. La dernière liberté de l'homme, celle de renoncer à sa liberté.
 
Puisque l'on ne peut objectivement pas laisser indéfiniment les gens enfermés à domicile, surtout qu'ils ne sont alors plus suffisamment productifs (et donc finissent pas coûter chers), surtout que les virologues reconnaissent l'évidence - à savoir qu'il est tout à fait possible d'attraper le coronavirus en restant confiné à la maison, il faut bien organiser la sortie. Et passer à l'étape suivante.
 
Mais la sortie ne peut être brutale, sinon un sentiment de liberté trop fort emporterait tout le travail de conditionnement réalisé à ce jour. Autrement dit, il ne peut s'agir que d'une liberté surveillée, toujours conditionnée au chantage à la soumission - si vous ne respectez pas les mesures liberticides, les chiffres du Covid vont remonter (ce n'est pas compliquer à organiser) et retour à l'assignation à domicile. 
 
Comme avec les détenus : si tu ne respectes pas les règles de la libération conditionnelle, retour au mitard.
 
Alors différentes solutions de traçage sont prévues. L'application Covid de traçage électronique discutée en France passe mal chez les Français, qui n'ont pas envie de voir leur smartphone préféré définitivement transformé en outil de surveillance. A Singapour d'ailleurs, l'application mobile de surveillance des distances, qui fonctionnait sur la base du volontariat n'a pas fait fureur, les gens étaient peu enclin à la télécharger et lorsqu'ils le faisaient, ils ne l'activaient pas forcément. Et ces applications n'ont de sens que si elles sont utilisées de manière collective.
 
smartphonesurveillance.jpgC'est toute une structure qui se met en place, qui doit effectivement recréer une nouvelle réalité, directement sorties des films de science-fiction techno-totalitaires. Et les idées "novatrices" ne manquent pas. Mais le discours ne peut se permettre la coercition, l'illusion du volontariat et du civisme est mise en avant pour cacher une démarche banalement totalitaire.
 
Précision du cabinet du Secrétariat d'Etat au numérique :
"Nous avons pleinement conscience que tout le monde ne possède pas de smartphone, des solutions alternatives sont à l’étude pour que ceux qui n’ont pas cet équipement ou ceux qui ne savent pas bien s’en servir puissent avoir accès à cet outil s’il est déployé"
Bref, ce n'est pas que les gens ne veulent pas de traçage, c'est qu'ils n'ont pas de smarphone ou ne savent pas s'en servir. Car les gens sont conscients de leur "devoir civique" dans la lutte pour le Covid: 
"l’objectif du Gouvernement est que tout citoyen qui souhaite contribuer à casser les chaines de transmission et de propagation du virus puisse le faire, librement"
La dernière liberté de l'homme, celle de renoncer à sa liberté.

Et la dernière idée est celle du bracelet électronique. La technique existe, puisqu'elle est utilisée en pénale pour les personnes placées en résidence surveillée. En Russie, à Mourmansk, les malades du Covid "relâchés" y sont soumis, pour être tracés (ce qui a provoqué de fortes critiques de la part de députés fédéraux). En Italie, les personnes âgées pourraient en être garnies - elles présentent vraiment un danger public ... Hong Kong et la Corée du Sud l'utilisent déjà pour les voyageurs étrangers. Explication en France :
"L'idée est d'avoir un bracelet, ou un autre objet connecté, qui ne soit pas relié au smartphone et permettrait de connaître les personnes croisées par son porteur durant la journée et celles qui se sont rendues dans différents lieux"
Super, ce ne sera pas connecté à votre smartphone. Mais pour savoir qui tu croises, il faut 1) que tous portent ce bracelet électronique et 2) qu'il soit identifié, sinon ça ne peut pas marcher ... Donc tous tracés. Et d'ailleurs, c'est un geste civique, pas de quoi s'inquiéter : 
"Le but n'est pas de traquer une personne pour savoir si elle est allée à la Poste ou au supermarché mais d'aider les autorités à gérer la circulation du virus. C'est un acte de civisme, comme l'attestation de sortie."

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"Acte de civisme", non pas sanitaire, mais civisme, "comme l'attestation de sortie". Donc acte de soumission. Nous avons accepté de nous plier à l'attestation de sortie, maintenant la pression monte d'un cran. Si nous acceptons ceci, il y aura encore un cran supplémentaire. Comme l'histoire de la grenouille : si on la jette dans l'eau bouillante, elle saute et se sauve; si on la met dans l'eau tiède en augmentant progressivement le feu, elle se laisse cuire. La casserole est aujourd'hui sur le feu. 
 
Les virus existeront toujours et les mesures liberticides ne sont jamais temporaires, elles formatent une nouvelle réalité en étant régulièrement intégrées à la législation normale, comme ce fut déjà le cas avec la normalisation des mesures "exceptionnelles" liées à la lutte contre le terrorisme en France. La dernière liberté de l'homme est de renoncer à sa liberté. Voulez-vous renoncer ?
 

mercredi, 06 mai 2020

Quelles seront les conséquences de l’énorme escroquerie culturelle perpétrée par nos écoles et par les médias ?

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Quelles seront les conséquences de l’énorme escroquerie culturelle perpétrée par nos écoles et par les médias ?

par Kenneth Anderson

L’énorme escroquerie culturelle que constituent le « marxisme culturel », le féminisme radical, l’homosexualité militante, le relativisme postmoderne, etc., a été véhiculée dans tout l’Occident essentiellement par les écoles et les médias, même si, au cours de ces trente dernières années, la science évolutionnaire qu’est la sociobiologie, ainsi que le simple bon sens, ont parfaitement perçu que ces idées sur la nature humaine relevaient bel et bien de l’escroquerie pure et simple.

Lorsqu’Edward O. Wilson, professeur à Harvard, a dit : « Les gènes tiennent la culture en laisse. Cette laisse est très longue mais, inévitablement, les valeurs seront limitées dans les effets qu’elles produiront sur le pool génétique humain. Le cerveau est un produit de l’évolution. Le comportement humain est une technique fonctionnant en circuit et par laquelle le matériel génétique humain a été et sera maintenu intact ».

L’origine biologique du comportement social a fait évoluer une nature humaine qui s’est affirmée tout au long de l’histoire humaine jusqu’à nos jours ; elle implique une génétique centrée sur les spécificités raciales, définie par le genre, graduée selon les âges, hétérosexuelle sur le plan matrimonial, hiérarchique, ethnocentrique voire xénophobe, parmi tous autres réflexes d’ordre conservateur, induisant notamment la sélection groupale comme unité première d’un processus de sélection efficace, suivi d’un processus de sélection individuel.

L’escroquerie colossale perpétrée par nos écoles et par les médias fait que ces instances ignorent délibérément la science sociobiologique. Certains des exposants de cette escroquerie sont conscients de son inanité mais n’ont pas le courage de s’y opposer dans les cadres éducatifs et médiatiques. D’autres perçoivent leur seule ascension individuelle ou la seule ascension de leur groupe et tolèrent le développement permanent de l’escroquerie.

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Mais comme Wilson l’a dit, inévitablement, les valeurs (ou les contre-valeurs) trouveront leurs limites selon les effets que l’escroquerie aura sur le pool génétique humain. L’escroquerie culturelle sous le joug de laquelle nous vivons aujourd’hui sera immanquablement rejetée pour faire place aux valeurs promues par la véritable nature humaine. La question est la suivante : serons-nous erronément précipités vers ces valeurs positives par des fascistes de gauche ou de droite ou serons-nous ramenés, sur un mode tranquillement conservateur, vers la santé culturelle grâce à un processus d’adaptation de nos institutions, comme la séparation constitutionnelle des pouvoirs et grâce à des Etats de type assainis, des Etats ethniques, reposant sur des fondements ethnopluralistes, protégeant nos populations de tout impérialisme prédateur, de tous les suprématistes délirants, de tous les ploutocrates gloutons, grâce à l’adoption d’un fédéralisme défensif ?

Kenneth Anderson.

(ex : https://civilizingthebeast.blogspot.com ).

Les anglo-sionistes lancent une PSYOP stratégique contre la Chine

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Les anglo-sionistes

lancent une PSYOP stratégique

contre la Chine

Ex: https://echelledejacob.blogspot.com

 
Peut-être que la rengaine «C’est la faute des Russes» est devenue obsolète. Ou peut-être que les dirigeants de l’Empire ont finalement compris que la Chine était encore plus dangereuse que la Russie. Mais mon intuition personnelle est simplement que les anglo-sionistes paniquent d’avoir perdu la face « tous azimuts » avec leur gestion catastrophique – médicalement et, plus encore, politiquement – de cette crise socio-économique provoquée par la pandémie, et qu’ils pointent maintenant le doigt vers à peu près tout le monde – et même entre eux.

La Russie a joué un rôle crucial ici, car c’est dans leur guerre de communication contre elle que les dirigeants de l’Empire ont inventé ce que j’appelle maintenant les «normes de preuve Skripal», signifiant «très probable». Ce dernier principe étant subrepticement accepté par tous les Européens au nom de la «solidarité» – avec qui exactement est rarement spécifié, parfois « atlantique » – il était, dirons-nous, «naïvement raisonnable» de penser qu’il fonctionnerait à nouveau cette fois-ci. Encore une fois, personnellement, je n’en suis pas du tout sûr. Beaucoup de choses ont changé au cours des deux dernières années : non seulement les Européens ont finalement découvert à quel point le conte de fées de Skripal était complètement stupide et incroyable, mais le niveau de dégoût, et même de haine envers Trump et les États-Unis a fortement augmenté.

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De plus, la Chine a beaucoup plus à offrir à l’Europe que les États-désUnis en désintégration – alors pourquoi se ranger du côté des perdants ? Dernier point, mais certainement pas le moindre, les Européens découvriront – et certains l’ont déjà fait, que les États-Unis se soucient comme d’une guigne, non seulement des Européens ordinaires, mais même de leurs classes dirigeantes [cf le brigandage des masques contre le virus, NdT]. Aparté Une étude rapide de l'histoire montre que lorsque les élites exploiteuses se portent bien, elles se soutiennent toutes loyalement, mais lorsque les choses commencent à partir en vrille, elles se retournent immédiatement les unes contre les autres. Le meilleur exemple récent de ce phénomène est le schisme des élites dirigeantes américanistes qui, depuis l'élection de Trump, se sont immédiatement retournées les unes contre les autres et se battent désormais violemment comme des "araignées dans une boîte" (pour utiliser une expression russe).

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En fait, cette constatation est si vraie qu'elle peut même être utilisé comme outil de diagnostic très fiable : lorsque vos ennemis sont tous unis, c'est qu'ils sont probablement confiants dans leur victoire, mais dès qu'ils se retournent les uns contre les autres, vous comprenez que les choses sont très mauvaises pour eux [Théorie de la "Discorde chez l'ennemie", chère à De Gaulle, NdT]. De même, nous voyons maintenant comment les Européens du Sud se mettent vraiment en colère contre leurs «alliés de l'UE» au Nord - Macron semble s'aligner derrière Trump même s'il utilise un langage diplomatique plus prudent. Enfin, la façon dont la CIA a sa politique étrangère, le Pentagone une autre et Foggy Bottom [Affaires étrangères] la sienne - même si elle se limite aux sanctions et à la stigmatisation - vous dit à peu près tout ce que vous devez savoir pour voir à quel point en est arrivée la crise systémique de l'Empire.

Bien qu’il ne reste que très peu de gens vraiment intelligents au sein du gouvernement américain, il y en a encore beaucoup «dans les strates élevées» et il ne leur a pas fallu longtemps pour découvrir que cette pandémie était une occasion en or pour coller tous leurs propres échecs et erreurs sur le dos de la Chine. Les arguments ? Vraiment facile :
 

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LA TERREUR JAUNE DANS TOUTE SA GLOIRE

1 – La propagande anti-chinoise a une longue histoire aux États-Unis et il était vraiment facile de la rallumer.

2 – La plupart des Américains ont une réaction complètement irrationnelle au mot «communiste», il est donc très facile, pour tout organe de propagande américain de mentionner le PCC, de «mentir» dans la même phrase, et de paraître crédible, indépendamment de ce que dit la phrase – comme, par exemple, une preuve factuelle.

3 – La ploutocratie américaine est terrifiée par la puissance économique et industrielle chinoise, d’où la diffamation d’entreprises comme Huawei ou DJI qui sont déclarées menaçantes pour la sécurité nationale des États-Unis. Blâmez tout sur les Chinois et les oligarques américains vont adorer !

4 – La Chine et la Russie sont dans une relation plus profonde qu’une alliance. J’appelle cela une «symbiose» tandis que les Chinois parlent d’un «Partenariat stratégique global de coordination pour la nouvelle ère» et les Russes d’une «alliance cruciale». Les termes n’ont pas vraiment d’importance ici, ce qui compte, c’est que la Russie et la Chine sont au coude à coude contre l’Empire, c’est ce qu’ils veulent dire par «coordination», et que les tentatives américaines – certes peu nombreuses et maladroites – pour briser cette alliance ont totalement échoué.

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5 – Comme pour toute nouvelle pandémie, il a fallu du temps à la Chine pour comprendre la nature de ce qui se passait et il était extrêmement facile d’accuser celle-ci d’obscurcissement délibéré – tout en gardant à l’esprit le fait que la Chine a informé le monde dès le 31 décembre, ce qui est évidemment omis, tout comme la présence d’une délégation multinationale de l’OMS pour enquêter sur cette question. En réalité, on pourrait aussi bien accuser la Chine d’être trop ouverte en permettant à diverses estimations et hypothèses de circuler avant même que le gouvernement chinois n’ait établi tous les faits. C’est un cas parfaitement insoluble de double contrainte : condamné si vous le faites et condamné si vous ne le faites pas.

6 – La culture politique américaine est telle que 99,99% des Américains américains croiront littéralement tout mensonge, aussi stupide soit-il, concernant le reste du monde [comme ils disent si joliment !, NdT], que d’accepter toute vérité désagréable sur leur pays. Faire d’un autre pouvoir un bouc émissaire, en particulier un pouvoir communiste, provoque une réaction instinctive d’approbation de la part d’une grande majorité des Américains.

7 – Lorsque l’OMS n’a clairement pas marché dans la propagande américaine [contre la Chine], ce fut une bonne occasion pour Trump de supprimer son financement. Non seulement les États-Unis devaient déjà des millions de dollars à l’OMS, de $50 à $200 millions, selon la personne à qui vous le demandez, mais le prétexte facile pour ne pas payer était de l’accuser d’être pro-chinois. Il est évident que Trump ne voit aucune utilité à l’ONU, à part en tant que punching ball, et c’était une occasion parfaite pour s’entraîner une fois de plus.

8 – Comme pour tout événement effrayant, un véritable tsunami de rumeurs complètement non fondées, et carrément stupides, a commencé à se déverser dès qu’il a été clair qu’il s’agissait d’un événement majeur. Tout ce que la machine de propagande américaine avait à faire était de parler sérieusement de certaines de ces rumeurs, en faisant croire que les médias ne faisaient que «rapporter» plutôt qu’inventer des histoires.

9 – La Chine est également une menace majeure pour les intérêts américains en Asie, et cette pandémie a fourni à ces derniers une occasion parfaite pour présenter des rapports venant de Taïwan comme des rapports venant de Chine – c’est une vieille astuce. Quant au gouvernement taïwanais, il était plus qu’heureux de l’aubaine d’avoir un autre prétexte pour haïr la Chine, rien de nouveau ici non plus.

10 – Enfin, les économistes américains n’ont pas mis longtemps à comprendre que cette pandémie aurait un effet dévastateur sur la «meilleure économie de l’histoire de la galaxie», si bien que le fait de rejeter la faute sur la Chine est le moyen idéal pour Trump et ses maîtres néocons de dévier toute accusation lancée contre eux.

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Les récits qui ont ensuite été inventés sont vraiment magnifiques. Voici quelques-uns de mes favoris :
Le FBI dit que des États étrangers ont piraté des centres de recherche américains à la recherche de percées dans l’étude de la COVID-19. Bien que cet article pointe du doigt l’Iran, pas la Russie ou la Chine, il donne très bien le ton de «on nous attaque». Remarquez le pluriel dans «États étrangers».
Les États-Unis lancent une «enquête à grande échelle» sur le laboratoire de Wuhan.
Une étude a-t-elle prouvé que le coronavirus était une création humaine, comme le prétend un lauréat français du prix Nobel de médecine ? Excellent coup joué, il donne du pouvoir à l’argument en citant une célébrité, peu importe qu’il y ait beaucoup plus de voix crédibles disant que cette théorie est une baliverne. [Cf l’interview du Pr Montagnier sur Cnews encadré par la fine-fleur des « journalistes » atlantistes, NdSF]


Il y en a beaucoup plus, je suis sûr que vous les avez vus aussi.

Finalement, et inévitablement, cette PSYOP stratégique a fait monter les enchères et FOXnews – évidemment – a diffusé ce véritable chef-d’œuvre : «Sen. Hawley : Que les victimes du coronavirus poursuivent le Parti communiste chinois ». Vraiment, c’est génial. «J’ai perdu mon emploi, que les camarades chinois diaboliques me remboursent» est une mélodie agréable pour les oreilles de la majorité des Américains.

À l’heure actuelle, la plupart des déclarations américaines ne sont que de simples mensonges, mais comme la Chine, avec le temps, publiera finalement des données corrigées plus précises, ces statistiques mises à jour seront immédiatement interprétées comme la preuve qu’initialement les Chinois mentaient délibérément, et non pas comme le résultat des Chinois eux-mêmes obtenant progressivement une meilleure image de ce qui s’est réellement passé. Encore une fois, c’est le cas typique de double contrainte où vous êtes toujours coupable.

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Je dois mentionner qu’il y a une autre raison qui pourrait contribuer à la décision des États-Unis de rejeter la faute sur la Chine : on ne sait toujours pas d’où vient ce virus, mais une possibilité est qu’il soit originaire des États-Unis et a été amené en Chine par les Américains – que ce soit délibérément ou non n’est pas la question ici. Quant aux rapports qui prétendent que les États-Unis dissimulent délibérément l’ampleur réelle de la catastrophe aux États-Unis, ils sont ignorés.

En outre, il est maintenant douloureusement évident que les politiciens américains ont très mal apprécié la situation en commençant à dire que c’était un problème chinois ou que ce n’était « pas pire que la grippe saisonnière », ou les deux. Ce n’est que le dernier exemple de ce que j’appelle le «messianisme narcissique américain», conduisant les dirigeants à croire en leur propre propagande, pour finir par découvrir que la réalité existe toujours, et qu’elle est radicalement différente des illusions de la plupart des Américains.

Maintenant, tous ces politiciens américains – les Republicrates autant que les Démoblicains – doivent courir dans tous les sens en cherchant à planquer collectivement leurs culs. Quelle meilleure façon d’y parvenir que de rejeter la faute sur la Chine ?

Comme je l’ai dit plus haut, c’est intelligent, mais absolument pas très intelligent.


Les États-Unis sont déjà coincés dans une guerre impossible à gagner contre la Russie – comme je le rappelle toujours à tout le monde, cette guerre est à 80% communication, 15% économique et seulement 5% militaire. Ouvrir un «deuxième front» à grande échelle est logique en termes d’opportunité politique à court terme, en particulier pendant une année électorale, mais à long terme, il est voué à un désastreux échec. En fait, s’il y a quelque chose que l’histoire nous enseigne, c’est que l’ouverture d’un second front lorsque vous ne pouvez même pas gérer le premier est suicidaire. Mais qui se soucie de l’histoire, en particulier aux «États-Unis d’Amnésiques» ? Et puis, quand vous êtes en même temps exceptionnel et totalement supérieur, pourquoi voudriez-vous vous soucier de l’histoire des peuples et des nations «déplorables» ici où là ? Appelez-les simplement «fosses à purin» et agitez votre drapeau – de fabrication chinoise. C’est ce qui suffit pour «paraître présidentiel» de nos jours …

Indépendamment de tout ce qui a été dit ci-dessus, l’élan de cette campagne sinophobe est trop important pour être inversé ou arrêté. Et puisque la plupart de la classe politique américaine la soutient, cela continuera probablement même après l’élection présidentielle américaine, en supposant qu’elle ait lieu.

Pourtant, tout cela pose une question : que s’est-il vraiment passé ? Quelle est la vérité ?

La vérité est que personne ne sait vraiment. Il faudra probablement des années pour obtenir l’image complète et, plus encore, les bons chiffres. Quels chiffres corrects ? Eh bien, tous : porteurs, résistants, groupes d’âge, comorbidité, caractéristiques exactes du virus et de ses diverses mutations, efficacité des différents tests, quel médicament antiviral pourrait aider, ses effets secondaires, rôle du vaccin BCG pour aider le corps à combattre le virus, etc.

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Pour l’instant, je ne pense pas que quiconque le sache vraiment, même le pourcentage de porteurs asymptomatiques change d’ordre de grandeur en fonction de l’informateur. Bien sûr, certaines suppositions sont plus proches de la vérité que d’autres, par définition, mais il est encore très difficile de déterminer lesquelles.

Il est important de garder à l’esprit maintenant que la plupart de ce que nous voyons a très peu de rapports avec une enquête scientifique. Ce que nous voyons, c’est une tentative d’utiliser cette pandémie à des fins politiques, financières et géostratégiques.

Et s’il vous plaît, ne pensez pas que ce n’est que Trump ! N’oubliez pas ce que Nancy Pelosi, la présidente de la Chambre des représentants US, disait en février !

C’était près de deux mois après que la Chine avait averti l’OMS qu’une crise majeure se préparait !

Mais Pelosi, tout comme Trump, ne pense qu’au pouvoir, à l’argent et à l’influence, pas à la sécurité des «déplorables» que les Démocrates détestent tant, comme les Républicains aussi bien sûr, mais ils ne le disent tout simplement pas aussi ouvertement que Hillary.

Quant à mesurer le respect de Trump pour ses semblables, surtout les femmes, souvenez-vous simplement de son conseil : il suffit de «les attraper par la chatte».

Ensuite, il y a un autre risque très réel : alors que la situation empire de plus en plus aux États-Unis et, en particulier, pour la réélection de Trump, il pourrait bien décider de faire ce que beaucoup de politiciens font dans une telle situation : déclencher une grande guerre. Avant la pandémie, les États-Unis n’avaient clairement pas les cojones pour déclencher une guerre contre l’Iran, mais maintenant que la pandémie paralyse l’économie mondiale et que tous les côtés abjects du système capitaliste transnational deviennent évidents, je ne mettrais pas Trump à l’abri de l’idée de commencer une guerre contre l’Iran juste pour dévier les nombreuses accusations portées contre lui. L‘Idiot en chef a maintenant ordonné aux forces de l’US Navy, au large des côtes de l’Iran, de – sans blaguer – « abattre et détruire » toute vedette iranienne armée qui « harcèlerait » l’US Navy.

Apparemment, il ne comprend toujours pas que si un navire de l’US Navy exécutait un tel ordre, il se retrouverait immédiatement face à un essaim de missiles anti-navires iraniens. De toute évidence, son narcissisme messianique et sa mégalomanie enragée ne permettent tout simplement pas à Trump de comprendre que les Iraniens existent pour de vrai, qu’ils sont sérieux, et que, contrairement aux États-Unis, ils ont soigneusement étudié les conséquences de toute guerre contre les États-Unis et bien qu’ils ne provoqueront jamais délibérément une telle guerre, ils la combattront si nécessaire, avec une énergie infiniment plus forte que les États-Unis. Aparté Comme un politicien américain typique agitant le drapeau, Trump pense probablement que si tout va mal pour eux, les États-Unis pourront atomiser l'Iran et l'emporter. Il a raison sur le premier point, mais complètement tort sur le second. Si des armes nucléaires sont utilisées contre l'Iran, alors il y aura une guerre totale et longue pour expulser les États-Unis et l'entité sioniste du Moyen-Orient. Mais c'est un sujet pour un autre jour.

Les politiciens américains me rappellent une personne vivant dans une cabane dans l’Arctique qui décide de la brûler pour se chauffer : bien sûr, cette stratégie fonctionnera pendant un petit moment, mais seulement au prix d’une catastrophe beaucoup plus importante. C’est ce que presque tous les politiciens américains ont fait avec cette pandémie, et c’est pourquoi ils n’accepteront jamais aucune responsabilité pour quoi que ce soit.

Covered_ass.jpgDécouvrez ce petit âne mignon sur la droite.

Ne ferait-il pas une mascotte et un symbole parfait pour les deux partis politiques américains et pour les nombreux politiciens américains qui ne pensent qu’à se couvrir ?

Il y a encore une chose que je voudrais mentionner ici : il y a beaucoup de gens qui aiment bien noter toutes les fois où quelqu’un a prédit que cette pandémie se produirait. Ils prennent ces avertissements comme preuve d’un complot. La vérité est que la communauté scientifique et même le grand public, du moins ceux qui lisent encore des livres, savaient parfaitement que ce n’était qu’une question de temps avant qu’une telle pandémie ne se produise, car notre société rendait un tel événement inéluctable. Un seul exemple :
 
La prochaine épidémie : nouvelles maladies émergentes dans un monde déséquilibré

51W2kHMNNUL._SX331_BO1,204,203,200_.jpgEn 1995, la journaliste américaine Laurie Garrett a publié un excellent livre intitulé «The Coming Plague: Newly Emerging Diseases in a World Out of Balance» dans lequel elle a expliqué pourquoi et même comment une pandémie mondiale émergerait naturellement en raison de la nature même de notre société moderne. Je recommande fortement ce livre en dépit du fait qu’il a maintenant un quart de siècle : il est très bien écrit, facile à lire et il est très convaincant en disant que de telles pandémies étaient inévitables, et sans besoin de faire appel aux théories non confirmées de la guerre biologique.

L’histoire montrera que nous tous, notre planète entière, n’avons pas pris cela, et bien d’autres avertissements, au sérieux.

Demandez-vous ce qui est plus facile pour un politicien : accepter que tout notre ordre socio-politique est insoutenable et carrément dangereux – ou «déséquilibré» pour utiliser l’expression de Garrett, ou rejeter la faute sur les cocos chinois et leur programme «secret» de guerre biologique » ?

Je pense que la réponse va de soi.

The Saker

Traduit par jj, relu par Hervé pour le Saker Francophone

mardi, 05 mai 2020

Pierre Le Vigan: «La mobilité comme liberté de bouger ou l’autonomie comme vraie liberté»

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Pierre Le Vigan:

«La mobilité comme

liberté de bouger ou

l’autonomie comme

vraie liberté»

Nous sommes, en ce moment de confinement, privés de mobilité. Mais si la mobilité est une liberté, elle n’est pas toute la liberté. Il y a une liberté supérieure, qui implique de pouvoir être mobile, mais de pouvoir choisir aussi d’être immobile. Cette liberté supérieure, c’est l’autonomie. Et au-delà de la liberté de circuler, dont nous ne pouvons être durablement privés, la grande question qui se pose est celle de reconquérir une liberté comme autonomie, perdue depuis la révolution industrielle et les sociétés de masse.

Dès le XIXe siècle, les inconvénients des sociétés de masse avaient été relevés par Tocqueville, puis par Nietzsche : instinct grégaire, perte du sens de l’initiative et de la responsabilité, Le paradoxe de la situation actuelle est que le confinement de masse fait suite à la mobilisation de masse. Le contraste est fort entre l’incitation à la mobilité, il y a encore deux mois (« Bougez-vous »), et l’assignation à résidence, à 1 km maximum de son domicile (« Restez chez vous »). Et pourtant, une question se pose : et si la logique était la même ? Sachant que ce sont en tout cas les mêmes qui nous reprochaient « de ne pas traverser la rue pour trouver un travail » qui nous demandent maintenant de ne pas traverser la rue, sauf pour des courses de première nécessité. Jusqu’à la mi-mars, la mobilité était louée, elle était au service de la mobilisation de toutes les énergies au service de l’économie. Nous devons maintenant nous croiser le moins possible, ce qui, dans sa forme extrême, donne l’injonction « Restez chez vous », la distanciation sociale étant rabattue sur l’enfermement chez soi. Nous nous apercevons alors que presque rien n’est possible sans déplacement. Et nous prenons la mesure de notre vulnérabilité. Dans la France périphérique, celle des campagnes, mais aussi celles des grandes banlieues, où les petits commerces ont disparus, il faut faire des km pour rejoindre le supermarché. Un peu partout, pour voir ses amis, et sa famille, il faudrait faire un trajet excédant les limites autorisées. La mobilité perdue fait partie de nos libertés. Mais en a-t-il toujours été ainsi ?

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A partir du moment où les hommes se sont sédentarisés, ils n’ont pu échapper à l’impôt, ni aux pouvoirs, royaux et féodaux. Mais une société de sédentaires est une société d’inégaux. Cela limite le pouvoir du souverain, car le souverain veut l’homogène, plus facile à contrôler, et rencontre l’hétérogène, plus insaisissable. Quant à l’ancrage de chacun dans sa terre, propriétaire ou aspirant à le devenir, il freine les possibilités de mobilisation par le souverain. Allez mobiliser des paysans en période de moisson ! Même Napoléon n’a pas trouvé à cela des solutions satisfaisantes. Le paysan n’aime pas être longtemps loin de chez lui. La terre donne une inertie. Et l’inertie limite le pouvoir. A partir du moment où le monde immobile de la terre s’est mis en mouvement, sous les coups de butoirs de la révolution industrielle, les choses ont changées. Première mobilité, l’exode rural a commencé quand le paysan n’a plus pu vivre de sa terre. Et avec l’industrie arriva la démocratie. Du moins le principe premier de toute démocratie : l’idée d’égalité des hommes qui les fait, à part égale, des citoyens. Chacun est alors légitime à participer à la vie politique, quelle que soit sa situation et sa position sociale.

A partir de là, tout le monde peut désirer ce qu’a tout le monde. C’est même un moteur – la jalousie – dont le capitalisme a besoin. L’envie remplace le besoin (Franck Fischbach), l’envie étant plus flexible et plus souple que le besoin, et même que le simple désir, encore ancré dans le réel. Le besoin tend à se limiter désormais à un seul domaine, les rapports du capitalisme et de la terre, car le capitalisme a un besoin objectif d’un certain nombre de matières premières nécessaires à la production d’énergie, et se heurte à des limites objectives, la terre offrant des ressources non infiniment renouvelables.

Mais, entre le capitalisme et les hommes, ce qui prédomine, ce sont désormais les valeurs mobilières (capitaux, placements…). La société industrielle devient à la fois de plus en plus mobile et de plus en plus marchande. Mais cette mobilité n’est plus le nomadisme des sociétés sans Etats étudiées par Pierre Clastres. Ce nomadisme connaissait des souverainetés éphémères, militaires, fragiles. La mobilité moderne est une mobilité sous contrôle. Elle l’est avec les permis de voyager que devaient porter sur eux les ouvriers du XIXe siècle (le « livret ouvrier »). Chacun est sous tutelle, et dépendant du système de l’argent : banques, crédit, assurances, centrales d’achat pour grandes surfaces, …

Dans ce système où chacun dépend d’une grande machine étatique et marchande lointaine, la liberté de mobilité n’est en rien une liberté comme autonomie. Cette liberté comme autonomie, c’est celle dont disposait le paysan dans une économie localisée, peu monétarisée. La liberté comme mobilité est en fait la liberté de devoir être mobile, de devoir être flexible, de devoir être adaptable, et interchangeable. C’est Spinoza interprété au premier degré : « La liberté, c’est l’intellection de la nécessité ».

Confinés, nous voyons que l’on demande d’être encore plus flexible (le télétravail n’a plus d’heure et déborde sur toute la vie), de nous passer plus encore des services publics (réduits au minimum), de nous auto-contrôler plus encore (en nous délivrant à nous-mêmes des autorisations de sortie dérogatoire). La numérisation de tout le vivant et le traçage de tous à tout moment ont fait un grand pas, légitimés par la « santé », réduite au Covid-19, tandis que se multiplie les dégâts collatéraux (chômage, dépressions, violences, …) dus à la gestion de la crise sanitaire. A l’occasion du confinement, le gouvernement, faisant sortir notre pays de la démocratie parlementaire, multiplie les ordonnances, notamment sur le travail, et en profite pour affaiblir les protections sociales. Au même moment, les délais pour décider d’avorter sont encore allongés, après la suppression du délai de réflexion en 2015, et de la notification des droits de la femme enceinte, le ministre Olivier Véran s’étant inquiété, suite au confinement, de la baisse du nombre d’avortements : « Il y a une réduction inquiétante du recours à l’IVG », Public Sénat, 1er avril 2020, formulation pour le moins choquante, loin de l’esprit initial de la loi de Simone Veil. On voit par-là que le confinement n’empêche pas la marche du monde libéral de se poursuivre, et même de forcer l’allure. Toujours plus de mobilisation, toujours plus de « c’est mon choix », toujours plus d’individualisme.

Pas plus en confinement qu’auparavant, l’économie n’est mise au service du bien commun. Le pouvoir de l’argent, et la jouissance malsaine de la transparence, de vouloir tout savoir sur tous, et de vouloir tout contrôler se sont réunis. Ils ont étendu leur emprise de la sphère économique à l’ensemble de la vie. Biopouvoir : le voilà. Si le confinement permettait à chacun de comprendre qu’il va nous falloir, collectivement, reprendre le pouvoir sur nos vies, il n’aura pas été totalement inutile.

Pierre Le Vigan

15:56 Publié dans Actualité | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : actualité, mobilité, circulation, pierre le vigan | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

Les racines profondes de la diabolisation de la Chine

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Les racines profondes de la diabolisation de la Chine

 
 
Auteur : Pepe Escobar 
Ex: http://www.zejournal.mobi

Hegel a vu l’histoire se déplacer d’est en ouest : « L’Europe est ainsi fondamentalement la fin de l’histoire, l’Asie le début ».

Attachez vos ceintures : la Guerre Hybride américaine contre la Chine va forcément s’intensifier frénétiquement, car les rapports économiques identifient déjà le Covid-19 comme le point de basculement où le siècle asiatique – en fait eurasiatique – a véritablement commencé.

La stratégie américaine reste, pour l’essentiel, dominatrice sur tout le spectre, la stratégie de sécurité nationale étant obsédée par les trois principales « menaces » que sont la Chine, la Russie et l’Iran. La Chine, en revanche, propose une « communauté de destin partagée » pour l’humanité, s’adressant principalement au Sud Global.

Le récit prédominant des États-Unis dans la guerre de l’information en cours est désormais gravé dans le marbre : Le Covid-19 est le résultat d’une fuite d’un laboratoire de guerre biologique chinois. La Chine est responsable. La Chine a menti. Et la Chine doit payer.

9200000083225332.jpgLa nouvelle tactique normale de diabolisation continue de la Chine n’est pas seulement déployée par des fonctionnaires grossiers du complexe industrie-militaire-surveillance-médias. Nous devons creuser beaucoup plus profondément pour découvrir comment ces attitudes sont profondément ancrées dans la pensée occidentale – et ont ensuite migré vers la « fin de l’histoire » des États-Unis. (Voici des sections d’une excellente étude, « Unfabling the East : The Enlightenment’s Encounter with Asia », de Jurgen Osterhammel).

Seuls les Blancs sont civilisés

Bien au-delà de la Renaissance, aux XVIIe et XVIIIe siècles, chaque fois que l’Europe faisait référence à l’Asie, c’était essentiellement au sujet de la religion qui conditionnait le commerce. Le Christianisme régnait en maître, il était donc impossible de penser en excluant Dieu.

En même temps, les docteurs de l’Église étaient profondément troublés par le fait que dans le monde Signifié, une société très bien organisée pouvait fonctionner en l’absence d’une religion transcendante. Cela les dérangeait encore plus que ces « sauvages » découverts en Amérique.

Lorsqu’elle a commencé à explorer ce qui était considéré comme « l’Extrême-Orient », l’Europe était enlisée dans des guerres de religion. Mais en même temps, elle a dû faire face à une autre explication du monde, et cela a alimenté certaines tendances antireligieuses subversives dans la sphère des Lumières.

C’est à ce stade que les savants européens ont commencé à remettre en question la philosophie chinoise, qu’ils ont inévitablement dû dégrader au rang de simple « sagesse » du monde parce qu’elle échappait aux canons de la pensée grecque et augustinienne. Cette attitude, soit dit en passant, prévaut encore aujourd’hui.

Nous avons donc eu ce qu’on appelait en France les chinoiseries – une sorte d’admiration ambiguë, dans laquelle la Chine était considérée comme l’exemple suprême d’une société païenne.

Mais ensuite, l’Église a commencé à perdre patience face à la fascination des Jésuites pour la Chine. La Sorbonne a été punie. Une bulle pontificale, en 1725, a rendu hors la loi les chrétiens qui pratiquaient des rites chinois. Il est assez intéressant de noter que les philosophes sinophiles et les Jésuites condamnés par le Pape insistaient sur le fait que la « vraie foi » (le Christianisme) était « préfigurée » dans les textes chinois anciens, notamment confucianistes.

La vision européenne de l’Asie et de « l’Extrême-Orient » a été principalement conceptualisée par une puissante triade allemande : Kant, Herder et Schlegel. Kant, d’ailleurs, était également géographe, et Herder historien et géographe. On peut dire que la triade a été le précurseur de l’orientalisme occidental moderne. Il est facile d’imaginer une nouvelle de Borges mettant en scène ces trois-là.

Autant qu’ils aient pu connaître la Chine, l’Inde et le Japon, pour Kant et Herder, Dieu était au-dessus de tout. Il a planifié le développement du monde dans tous ses détails. Et cela nous amène à la question délicate de la race.

Rompant avec le monopole de la religion, les références à la race ont représenté un véritable tournant épistémologique par rapport aux penseurs précédents. Leibniz et Voltaire, par exemple, étaient sinophiles. Montesquieu et Diderot étaient sinophobes. Aucun n’expliquait les différences culturelles par la race. Montesquieu a développé une théorie basée sur le climat. Mais cela n’avait pas de connotation raciale – c’était plutôt une approche ethnique.

Voyages_de_François_Bernier_contenant_[...]Bernier_François_bpt6k15216009.JPEGLa grande rupture est venue du Philosophe et voyageur français François Bernier (1620-1688), qui a passé 13 ans à voyager en Asie et a publié en 1671 un livre intitulé « La Description des États du Grand Mogol, de l’Indoustan, du Royaume de Cachemire, etc ». Voltaire, de façon hilarante, l’appela Bernier-Mogol – car il devint une star en racontant ses histoires à la cour royale. Dans un livre ultérieur, « Nouvelle Division de la Terre par les Différentes Espèces ou Races d’Homme qui l’Habitent », publié en 1684, le « Mogol » distingue jusqu’à cinq races humaines.

Tout cela était basé sur la couleur de la peau, et non sur les familles ou le climat. Les Européens étaient automatiquement placés au sommet, tandis que les autres races étaient considérées comme « laides ». Par la suite, la division de l’humanité en jusqu’à cinq races a été reprise par David Hume – toujours sur la base de la couleur de la peau. Hume a proclamé au monde anglo-saxon que seuls les blancs étaient civilisés, les autres étaient inférieurs. Cette attitude est toujours aussi répandue. Voir, par exemple, cette diatribe pathétique récemment publiée en Grande-Bretagne.

Deux Asie

Le premier penseur à avoir réellement élaboré une théorie de la race jaune est Kant, dans ses écrits entre 1775 et 1785, soutient David Mungello dans « The Great Encounter of China and the West, 1500-1800 ».

Kant qualifie la « race blanche » de « supérieure », la « race noire » « d’inférieure » (d’ailleurs, Kant n’a pas condamné l’esclavage), la « race cuivrée » de « faible » et la « race jaune » d’intermédiaire. Les différences entre elles sont dues à un processus historique qui a commencé avec la « race blanche », considérée comme la plus pure et la plus originale, les autres n’étant que des bâtardes.

Kant a subdivisé l’Asie par pays. Pour lui, l’Asie de l’Est signifiait le Tibet, la Chine et le Japon. Il considérait la Chine en termes relativement positifs, comme un mélange de races blanche et jaune.

Il était définitivement plus tendre. Pour lui, la Mésopotamie était le berceau de la civilisation occidentale, et le jardin d’Eden se trouvait au Cachemire, « le paradis du monde ». Sa théorie de l’évolution historique a connu un grand succès en Occident : l’Orient était un bébé, l’Égypte un enfant, la Grèce un jeune. L’Asie de l’Est de Herder était composée du Tibet, de la Chine, de la Cochinchine, du Tonkin, du Laos, de la Corée, de la Tartarie orientale et du Japon – des pays et régions touchés par la civilisation chinoise.

260px-Franz_Gareis_Portrait_Friedrich_Schlegel.jpgSchlegel était comme le précurseur du hippie californien des années 60. C’était un passionné de sanskrit et un étudiant sérieux des cultures orientales. Il disait que « en Orient, nous devrions rechercher le romantisme le plus élevé ». L’Inde était la source de tout, « toute l’histoire de l’esprit humain ». Pas étonnant que cette idée soit devenue le mantra de toute une génération d’orientalistes. Ce fut également le début d’une vision dualiste de l’Asie à travers l’Occident qui est encore prédominante aujourd’hui.

Ainsi, au XVIIIe siècle, nous avions pleinement établi une vision de l’Asie comme une terre de servitude et le berceau du despotisme et du paternalisme, en contraste flagrant avec une vision de l’Asie comme le berceau des civilisations. L’ambiguïté est devenue la nouvelle norme. L’Asie était respectée en tant que mère des civilisations – systèmes de valeurs compris – et même mère de l’Occident. En parallèle, l’Asie était rabaissée, méprisée ou ignorée parce qu’elle n’avait jamais atteint le niveau élevé de l’Occident, malgré son avance.

Ces despotes orientaux

Et cela nous amène à Hegel. Hyper bien informé – il a lu des rapports d’ex-Jésuites envoyés de Pékin – Hegel n’écrit pas sur « l’Extrême-Orient » mais seulement sur l’Orient, qui comprend l’Asie de l’Est, essentiellement le monde chinois. Hegel ne se soucie pas beaucoup de la religion comme le faisaient ses prédécesseurs. Il parle de l’Orient du point de vue de l’État et de la politique. Contrairement à Schlegel, partisan des mythes, Hegel voit l’Orient comme un état de la nature en train de se rapprocher d’un début d’histoire – contrairement à l’Afrique noire, qu’il a vue se vautrer dans la fange d’un état bestial.

Pour expliquer la bifurcation historique entre un monde stagnant et un autre en mouvement, conduisant à l’idéal occidental, Hegel a divisé l’Asie en deux.

Une partie était composée par la Chine et la Mongolie : un monde puéril d’innocence patriarcale, où les contradictions ne se développent pas, où la survie de grands empires atteste du caractère « insubstantiel », immobile et anhistorique de ce monde.

L’autre partie était Vorderasien (« Asie Antérieure »), réunissant l’actuel Moyen-Orient et l’Asie Centrale, de l’Égypte à la Perse. C’est un monde déjà historique.

9200000022810499.jpgCes deux immenses régions sont également subdivisées. Ainsi, le « Asiatische Welt » (monde asiatique) de Hegel est finalement divisé en quatre : premièrement, les plaines des fleuves Jaune et Bleu, les hauts plateaux, la Chine et la Mongolie ; deuxièmement, les vallées du Gange et de l’Indus ; troisièmement, les plaines de l’Oxus (aujourd’hui l’Amour-Darya) et des Jaxartes (aujourd’hui le Syr-Darya), les plateaux de Perse, les vallées du Tigre et de l’Euphrate ; et quatrièmement, la vallée du Nil.

Il est fascinant de voir comment, dans la Philosophie de l’Histoire (1822-1830), Hegel finit par séparer l’Inde en tant que sorte d’intermédiaire dans l’évolution historique. Nous avons donc finalement, comme l’a montré Jean-Marc Moura dans « L’Extrême Orient selon G. W. F. Hegel, Philosophie de l’Histoire et Imaginaire Exotique », un « Orient fragmenté, dont l’Inde est l’exemple, et un Orient immobile, figé en chimère, dont l’Extrême Orient est l’illustration ».

Pour décrire la relation entre l’Est et l’Ouest, Hegel utilise quelques métaphores. L’une d’elles, assez célèbre, évoque le soleil : « L’histoire du monde voyage d’est en ouest, l’Europe étant ainsi fondamentalement la fin de l’histoire, et l’Asie le début ». Nous savons tous où nous ont menés les sordides histoires dérivées de la « fin de l’histoire ».

L’autre métaphore est celle de Herder : l’Orient est « la jeunesse de l’histoire » – mais avec la Chine qui occupe une place particulière en raison de l’importance des principes confucianistes qui privilégient systématiquement le rôle de la famille.

Rien de ce qui précède n’est bien sûr neutre en termes de compréhension de l’Asie. La double métaphore – utiliser le soleil et la maturité – ne pouvait que conforter l’Occident dans son narcissisme, hérité plus tard de l’Europe par les États-Unis « exceptionnels ». Cette vision implique l’inévitable complexe de supériorité, dans le cas des États-Unis encore plus aigu parce que légitimé par le cours de l’histoire.

Hegel pense que l’histoire doit être évaluée dans le cadre du développement de la liberté. Or, la Chine et l’Inde étant anhistoriques, la liberté n’existe pas, sauf si elle est apportée par une initiative venant de l’extérieur.

Et c’est ainsi que le fameux « despotisme oriental » évoqué par Montesquieu et l’intervention possible, parfois inévitable, et toujours précieuse de l’Occident sont, en tandem, totalement légitimés. Il ne faut pas s’attendre à ce que cet état d’esprit occidental change de sitôt, voire jamais. D’autant plus que la Chine est sur le point de revenir au premier rang.

Traduit par Réseau International

11:42 Publié dans Actualité, Histoire | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : actualité, histoire, chine, asie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook