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samedi, 20 mars 2010

J'aime pas le téléphone portable

le téléphone portable

 

Oui, le téléphone portable a bouleversé notre quotidien, mais surtout pour le pire ! Otages des opérateurs, esclaves de la technologie, nous en sommes tous désormais des usagers incurables et pathétiques. Est-il opportun de déclarer sa flamme en moins de 15 lettres : " Tu E L RYON 2 ma vi "? Ou indispensable de se photographier en descendant l'Alpe d'Huez? À verser aussi à la magie du mobile : la note salée qu'engendre son usage compulsif avec en prime la paranoïa qu'il induit et, bien entendu, la terreur des effets des ondes électromagnétiques sur le cerveau... Le constat des auteurs est sans appel : en moins de dix ans, le portable nous a métamorphosés en demeurés, accros à ce gadget comme les fumeurs à leur tabac, les bébés à leur tétine et les déprimés à leurs anxiolytiques.

Ex: http://zentropa.splinder.com/

La CIA mato y enveneno a franceses en los anos 50

La CIA mató y envenenó a franceses en los años 50

Un investigador implica a la CIA en el misterio del “pan maldito”

Un investigador estadounidense afirma que la CIA está detrás del misterioso caso del “pan maldito”, aparente intoxicación alimentaria con síntomas de desorientación mental que afectó en agosto de 1951 a los vecinos de la localidad francesa Pont-Saint-Esprit, con un balance de cinco muertos y 300 afectados, 30 de los cuales fueron recluidos por largos años en centros psiquiátricos.

El periodista estadounidense Hank Albarelli publicó en 2009 un libro que recoge los resultados de su investigación sobre experimentos secretos que la CIA llevó a cabo en el período de la Guerra Fría. Según el periodista, ampliamente citado por la prensa francesa, el “pan maldito” de Pont-Saint-Esprit contenía dietilamida de ácido lisérgico, o LSD, que la CIA pretendía examinar sus efectos.

Supuestamente, la CIA quiso primero esparcir el LSD sobre Pont-Saint-Esprit desde el aire, pero el método no funcionó, así que la sustancia fue agregada finalmente a la harina de pan. Ciertos colaboradores de la farmacéutica suiza Sandoz, que inventó el LSD en 1938, hacen referencia al “secreto de Pont-Saint-Esprit” y a “dietilamida” en una conversación con agentes de la CIA que Albarelli reproduce en su libro.


Los testigos describen como “apocalíptica” aquella noche de agosto de 1951. Además de náuseas, vómitos, diarreas y otros síntomas típicos de una intoxicación alimentaria, los afectados tenían comportamiento anormal, hasta violento.

Un niño de 11 años intentó estrangular a su abuela. Otro hombre gritaba: “Soy un avión”, poco antes de saltar por la ventana de un segundo piso, por lo que se rompió las piernas. Después, se levantó y continuó unos 50 metros. Otra persona vio a su corazón escapar por sus pies y le pidió a un médico que se lo colocara de nuevo. Muchos de los afectados fueron ingresados con camisas de fuerza.

Sin embargo, la versión de Albarelli no convence a todos. El historiador estadounidense Steven Kaplan la calificó de “clínicamente incoherente”. “El LSD empieza a surtir efecto en cuestión de horas contadas mientras que en Pont-Saint-Esprit los síntomas se manifestaron sólo 36 horas después o incluso más tarde”, declaró él en una entrevista con la cadena France 24.

Extraído de La Radio del Sur.

Le fragilità dell'impero americano

Le fragilità dell' impero americano

di Niall Ferguson

Fonte: Corriere della Sera [scheda fonte]


Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

niall.jpgPer secoli gli storici, i teorici della politica, gli antropologi - ma anche la gente comune - hanno perlopiù pensato ai processi politici in termini ciclici. Le grandi potenze, come i grandi uomini, nascono, crescono, dominano e poi lentamente scompaiono. Il declino delle civiltà di solito si protrae per un lungo periodo. Anche le sfide che gli Stati Uniti si trovano ad affrontare sono spesso viste come processi graduali. È la tendenza costante del fattore demografico - che fa salire la quota dei pensionati rispetto ai lavoratori attivi -, non una cattiva politica a condannare la finanza pubblica degli Stati Uniti a sprofondare nei debiti. È l' inesorabile crescita dell' economia cinese, non la stagnazione americana, a far sì che il Pil della Repubblica Popolare supererà quello degli Stati Uniti entro il 2027. Che cosa succederebbe, però, se la storia non fosse ciclica né si muovesse solo lentamente, ma avesse un andamento irregolare - a tratti quasi immobile, ma anche capace di improvvise accelerazioni? E se il crollo non si verificasse dopo secoli, ma arrivasse all' improvviso? Le grandi potenze sono sistemi complessi, fatti di un gran numero di componenti che interagiscono tra di loro. Il loro modo di funzionare si colloca tra l' ordine e il disordine. Per un certo periodo di tempo sembrano procedere in maniera stabile, sembrano aver trovato un equilibrio, ma in realtà continuano ad adattarsi. Poi arriva un momento in cui i sistemi complessi entrano in crisi. Una spinta anche modesta può innescare il passaggio da uno stato di proficuo equilibrio a uno di crisi. Poco dopo il verificarsi di una crisi del genere entrano in scena gli storici. Che però, nel decodificare questi eventi, spesso ne valutano male la complessità. Sono addestrati a spiegare le calamità ricercando cause di lungo periodo, magari lontane decenni. In realtà la maggior parte dei fenomeni anomali che gli storici studiano non sono il culmine di un processo lungo e deterministico, ma piuttosto sconvolgimenti, a volte il crollo completo, di sistemi complessi. Tutti i sistemi complessi hanno alcune caratteristiche in comune. In un sistema del genere, ad esempio, una minima variazione, uno shock relativamente piccolo, possono produrre cambiamenti enormi, spesso imprevisti. Perciò, quando in un sistema complesso le cose vanno male, l' entità dello sconvolgimento è quasi impossibile da prevedere. Tutte le grandi entità politiche sono sistemi complessi. La maggior parte degli imperi hanno un' autorità centrale nominale - un imperatore ereditario o un presidente eletto -, ma in realtà il potere di ogni singolo governante è funzione di una rete di relazioni economiche, sociali e politiche sulle quali lui o lei esercita il suo controllo. Sotto questo profilo gli imperi mostrano molte delle caratteristiche di altri sistemi complessi e adattabili, tra cui la tendenza a passare molto rapidamente dalla stabilità all' instabilità. L' esempio più recente e noto di rapido declino è il crollo dell' Unione Sovietica. Col senno del poi, gli storici hanno individuato ogni genere di marciume nel sistema sovietico, fino all' era Breznev e oltre. Allora però non sembrava fosse così. L' arsenale nucleare dei sovietici era più grande di quello degli Stati Uniti, e i governi di quello che allora era chiamato il Terzo Mondo in quasi tutti i 20 anni precedenti si erano schierati dalla parte dei sovietici. Eppure, meno di cinque anni dopo l' ascesa al potere di Gorbaciov, l' impero sovietico nell' Europa centro-orientale si sgretolò, e poco dopo, nel 1991, fu la volta della stessa Unione Sovietica. Se gli imperi sono sistemi complessi che prima o poi soccombono a crisi improvvise e catastrofiche, quali conseguenze dobbiamo trarne per gli Stati Uniti di oggi? Anzitutto che discutere degli stadi del declino è probabilmente una perdita di tempo. Uomini politici e cittadini dovrebbero preoccuparsi piuttosto di una caduta improvvisa e inaspettata. Inoltre, il crollo di un impero quasi sempre avviene in seguito a una crisi finanziaria. Quindi i campanelli d' allarme dovrebbero suonare molto forte visto che gli Stati Uniti prevedono di avere un deficit di più di 1.500 miliardi di dollari nel 2010, il più alto dopo la Seconda guerra mondiale. Questi numeri non sono buoni, ma nel campo della politica sono altrettanto importanti le percezioni. Nei periodi di crisi degli imperi non sono tanto le reali basi del potere a contare, quanto le attese sugli sviluppi futuri. Le cifre che abbiamo citato non possono da sole erodere la forza degli Stati Uniti, ma possono indebolire la fiducia che per tanto tempo gli americani hanno avuto nella capacità del loro Paese di superare qualsiasi crisi. Un giorno o l' altro una brutta notizia apparentemente casuale - magari un rapporto negativo di un' agenzia di rating - comparirà sulle prime pagine dei giornali in un periodo altrimenti abbastanza tranquillo, e all' improvviso non saranno più solo pochi addetti ai lavori a preoccuparsi della sostenibilità della politica fiscale degli Stati Uniti, ma chiunque, compresi gli investitori all' estero. È questo passaggio a essere fondamentale: un sistema complesso e adattabile è seriamente nei guai quando i suoi componenti perdono la fiducia nella sua capacità di rigenerarsi. La prossima fase della crisi attuale potrebbe incominciare quando la gente inizierà a mettere in discussione la credibilità delle radicali misure finanziarie e fiscali prese per risanare l' economia. Nessun tasso a interesse zero o stimolo finanziario potrà produrre un risanamento sostenibile se la gente, negli Stati Uniti e all' estero, deciderà collettivamente, da un giorno all' altro, che queste misure alla fine porteranno a tassi di inflazione molto più alti o a un vero e proprio crollo. Combattere una battaglia perdente sulle montagne dell' Hindu Kush è già stato il segno premonitore della caduta dell' impero sovietico. Quel che è avvenuto 20 anni fa dovrebbe ricordarci che gli imperi non nascono, si sviluppano, dominano, entrano in declino e cadono secondo un ciclo ricorrente e prevedibile. Gli imperi si comportano piuttosto come tutti i sistemi complessi adattabili. Restano per un certo periodo in apparente equilibrio e poi, improvvisamente, crollano. Washington, sei avvertita. (traduzione di Maria Sepa)

 

Geheimtreffen in New York: Attacke auf den Euro, um den Dollar zu stärken

Geheimtreffen in New York:

Attacke auf den Euro, um den Dollar zu stärken

F. William Engdahl / Ex: http://info.kopp-verlag.de/

euro_dollar_070920_ms.jpgDie Ursache für die dramatische Krise, die seit Anfang Januar den Euro auf Talfahrt geschickt und dem Dollar in gleichem Maße Aufwind verschafft hat, ist nicht einfach das Finanzproblem Griechenlands. Die Krise ist vielmehr das Resultat eines Komplotts und geheimer Absprachen zwischen einigen der mächtigsten Spekulanten an der Wall Street – zweifellos mit stillschweigender Rückendeckung durch das US-Finanzministerium. Das Ziel ist, den Dollar in dieser schwierigen Zeit dadurch zu retten, dass der Euro, die einzige Währung, die als alternative Reservewährung in Frage käme, geschwächt wird.

Die mächtigsten und einflussreichsten Hedge-Fonds- und Finanzplayer der Welt haben sich zu Beginn der gegenwärtigen »Griechenland-Krise« in New York hinter verschlossenen Türen versammelt, um über massive spekulative Angriffe auf den Euro zu beraten. Die mächtigsten Finanzfirmen haben sich offenbar darauf geeinigt, Finanzderivate wie die berüchtigten Credit Default Swaps (Kreditausfallversicherungen für Anleihen) einzusetzen, um den spekulativen Druck auf den Euro zu richten bzw. den Druck zu verstärken.

Im Dezember wurde der Euro noch mit 1,51 Dollar gehandelt, heute steht er bei ungefähr 1,35 Dollar. Mit einem täglichen Handelsvolumen von mindestens 1,2 Billionen Dollar stellt der Euro einen sehr großen Markt dar. Die New Yorker Hedge-Fonds haben in einem sehr verwundbaren Moment zugeschlagen, als die Nachrichten über das griechische Haushaltsdefizit die Finanzmärkte schockierten. Der Angriff auf den Euro ging mit einer Flut höchst willkommener Berichte in den amerikanischen und britischen Medien über das unmittelbar bevorstehende Auseinanderbrechen der EU und des Euro einher. Die Hedge-Fonds setzten Fremdkapital in enormer Höhe ein – oftmals das 20-Fache des eigenen Einsatzes gegen den Euro. Dabei haben sie auch ein Vielfaches verdient: manchmal Gewinne in Höhe von 100 Prozent innerhalb weniger Tage, mit geborgtem Geld.

 

Wall-Street-Insider George Soros begann seinen Propaganda-Angriff auf den Euro in Davos, nur Tage nach einem Geheimtreffen in New York.

 

An dem New Yorker Geheimtreffen, über das das Wall Street Journal in der Ausgabe vom 26. Februar berichtet, nahmen neben dem Milliardär und Hedge-Fonds-Spekulanten George Soros vom 27 Milliarden Dollar schweren Soros-Fund-Management auch Vertreter von SAC Capital Advisors LP, Greenlight Capital und andere nicht namentlich Genannte teil. Sie einigten sich auf ein konzertiertes Vorgehen gegen den Euro, wobei die griechische Finanzkrise als Hebel benutzt wurde, um dem Ganzen Glaubwürdigkeit zu verleihen.

Am 3. Februar habe ich meinem Artikel »Washingtons Währungskrieg gegen den Euro« (erschienen in KOPP Exklusiv, Ausgabe 06/2010) dargelegt, wie sich derselbe George Soros beim Weltwirtschaftsforum in Davos für die geplante Zusammenarbeit bei dem Angriff auf den Euro ausgesprochen hat. Gegenüber der Presse erklärte er damals, es gebe keine »attraktive Alternative« zum Dollar – de facto ein Signal für eine Attacke auf den Euro, den viele noch vor einem halben Jahr als Alternative zum Dollar als Weltwährung betrachtet hatten. Soros unterstrich, die »Probleme« des Euro machten ihn als Ersatz-Reservewährung untauglich.

Soros’ abfälligen Bemerkungen schloss sich der prominente New Yorker Wirtschaftswissenschaftler Nouriel Roubini an, der behauptete, die Haushaltsschwierigkeiten in Europa führten zu dem »wachsenden Risiko« der Aufspaltung der Einheitswährung: »Nicht in diesem oder in den nächsten zwei Jahren, aber irgendwann könnte die Währungsunion zerbrechen.« Bezeichnenderweise unterhalten sowohl Roubini als auch Soros enge Verbindungen zur Regierung Obama. Soros gehörte zu den ersten Spendern für Obamas Wahlkampf und Roubini ist mit Finanzminister Timothy Geithner gut befreundet.

 

Konzertierte Finanzattacken auf den Euro haben dem Dollar in einem kritischen Moment Aufwind verschafft.

 

Um den Druck auf den Euro aufrechtzuerhalten, schrieb Soros am 22. Februar einen Kommentar in der Londoner Financial Times, der bekanntesten Finanzzeitung der Welt. Dort erklärte er: »Auch wenn Griechenland überlebt, die Zukunft des Euro ist nach wie vor unsicher.«

Die nun enthüllten Einzelheiten über das New Yorker Geheimtreffen der Hedge-Fonds, bei dem die Attacke auf den Euro geplant wurde, bestätigen erneut, was ich bereits in meinem Buch Der Untergang des Dollar-Imperiums beschrieben habe: die Kräfte des Money Trust von der Wall Street greifen zu jedem nur erdenklichen Mittel, um ihre Macht zu verteidigen. Die Höhe der Verschuldung der USA und das Ausmaß der Krise sind so gewaltig, dass es für die Regierung Obama immer schwerer wird, den Mythos der »Green Shoots«, des Aufschwungs, aufrechtzuerhalten.

 

Auch Goldman Sachs maßgeblich beteiligt

Die politisch einflussreiche Wall-Street-Bank Goldman Sachs, die seit dem Beitritt Griechenlands zum Euro im Jahr 2001 an den dortigen Finanzmanipulationen beteiligt war, hat bei der jüngsten Krise ebenfalls die Hand im Spiel. Am 29. Januar trafen sich Vertreter von Goldman Sachs zusammen mit einigen anderen führenden Wall-Street-Firmen in Griechenland mit dem stellvertretenden Finanzminister und Vertretern der griechischen Nationalbank. Soros’ Hedge-Fonds-Attacke begann nur wenige Tage später.

Laut dem Bericht im Wall Street Journal haben Goldman Sachs, die Bank of America und die Londoner Barcley’s Bank gemeinsam mit Soros und den Hedge-Fonds Wetten gegen den Euro abgeschlossen, während Goldman Sachs gleichzeitig als Berater für die Regierung Papandreou tätig ist, ein offensichtlicher Interessenkonflikt.

 

Die Asien-Krise und die Krise um das britische Pfund und die EWU

Das Vorgehen der Hedge-Fonds beim Angriff auf den Euro folgt der Strategie finanzieller Kriegsführung, die Soros und andere Hedge-Fonds bereits in der Vergangenheit verfolgt haben. Soros hat 1992 mit Spekulationen gegen das britische Pfund Sterling nach eigenen Angaben eine Milliarde Dollar Gewinn gemacht – wobei Marktkenner überzeugt sind, dass damals Insider-Informationen eine Rolle gespielt haben – und die britische Regierung gezwungen, Pläne für einen Beitritt zum damals entstehenden Euro fallenzulassen. Wären Großbritannien und die mächtigen Finanzquellen der Londoner City der neuen Eurozone beigetreten, hätte das, wie viele an der Wall Street und in Washington insgeheim befürchteten, möglicherweise das Ende des Dollar als Weltreservewährung bedeutet. Die Tatsache, dass der Dollar als Weltreservewährung agiert, bildet neben dem Pentagon eine der beiden Säulen der amerikanischen Vormachtstellung in der Welt. Verlöre der Dollar diese Position, dann stünde die Zukunft des Amerikanischen Jahrhunderts, die Rolle als alleinige Supermacht, auf dem Spiel.

Ähnlich war die Lage 1997, als ein konzertierter Angriff von Hedge-Fonds, erneut unter Führung von George Soros, einen Angriff auf die Währungen und die Wirtschaft der asiatischen »Tigerstaaten« lancierte. Korea, Indonesien, die Philippinen und Malaysia, damals nachhaltige, von amerikanischer Einmischung unabhängige Volkswirtschaften, wurden durch die Attacke de facto zu Käufern amerikanischer Schulden, weil die Länder in Asien verzweifelt versuchten, sich gegen weitere Angriffe zu schützen. Wie die Sterling-Krise von 1992, so hat auch die Asienkrise von 1997–1998 den schwächelnden Dollar einige Jahre länger am Leben erhalten.

Angesichts der sich verschärfenden Depression in den USA und des Ausmaßes der Bankenprobleme, die von Tag zu Tag schwerer werden, ist die Zukunft des Dollars mehr bedroht denn je. Aus diesem Grund dramatisieren einflussreiche Kreise an der Wall Street, der Federal Reserve und im US-Finanzministerium die relativ überschaubare Krise in Griechenland zum übertriebenen Bild eines »Zusammenbruchs der EU«, weil sie hoffen, damit für ausländische Zentralbanken den Euro als Alternative zum Dollar unattraktiv zu machen. Damit soll nicht gesagt sein, der Euro und der Vertrag von Maastricht seien ein Modell einer gesunden Alternative zu den Problemen der Dollar-Zone. Sie sind alles andere als das. Es soll nur gezeigt werden, welcher geopolitische Machtkampf hinter den Kulissen tobt, um das Sinken der Dollar-Titanic zu verhindern.

 

Dienstag, 09.03.2010

Kategorie: Geostrategie, Enthüllungen, Wirtschaft & Finanzen, Politik

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L'ombre de la CIA sur Kiev

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2004

Siro ASINELLI:
L’ombre de la CIA sur Kiev

Les Fondations Soros et Ford, la Freedom House et la CIA financent les “révolutions démocratiques” dans le monde

or1.jpgLe sort de la “révolution orange” en Ukraine, Monsieur James Woolsey y tient. Il ne peut en être autrement, puisqu’il est le directeur de la “Freedom House”, une organisation non gouvernementale américaine qui possède des sièges à Washington, New York, Budapest, Bucarest, Belgrade, Kiev et Varsovie. Elle se définit comme “une voix claire et forte qui veut la démocratie et la liberté pour le monde” et qui s’active “pour promouvoir les valeurs démocratiques et pour s’opposer aux dictatures”. Ce Monsieur James Woolsey dirige une brochette de politiciens, d’universitaires, d’industriels et d’intellectuels “transversaux”. Ce Monsieur James Woolsey a été, il y a quelques années, en 1995, le directeur de la CIA avant de s’occuper à “exporter la démocratie et la liberté dans le monde”. Grâce aux efforts d’innombrables activistes, issus de la “Freedom House”, et grâce à l’assistance économique, si charitable, d’autres organismes, comme ceux, bien connus, que sont les Fondations Soros et Ford, ce Monsieur James Woolsey  —dont les “honnêtes activités” s’étendent maintenant sur plus de soixante années—  peut désormais concentrer ses efforts dans “la lutte pour la liberté”, dans des pays meurtris et abrutis par une quelconque mélasse dictatoriale. Le palmarès de Woolsey et de ses amis est impressionnant : ils ont soutenu le “Plan Marshall” en Europe, favorisé la création de l’OTAN dans les années 40 et 50, multiplié leurs activités au Vietnam  pendant et après la guerre menée par ce peuple contre les Américains; ils ont financé Solidarnosc en Pologne et l’opposition “démocratique” aux Philippines dans les années 80.

Ce sont là les activités les plus médiatisées de cette “bonne” ONG et c’est sans compter les actions de “vigoureuse opposition aux dictatures” en Amérique centrale, au Chili, en Afrique du Sud ou durant le “Printemps de Prague”. Elle a aussi favorisé l’opposition à la présence soviétique en Afghanistan. Elle a excité les conflits inter-ethniques en Bosnie et au Rwanda. Elle s’est opposée à la “violation des droits de l’homme” à Cuba, au Myanmar, en Chine et en Irak. Elle s’est ensuite montrée hyper-active dans l’exportation de la “démocratie et de la liberté” dans les républiques de l’ex-URSS et dans l’ex-Yougoslavie post-titiste. C’est précisément dans cette ex-Yougoslavie, où le “mal” était personnifié par le Président Slobodan Milosevic, que notre ONG a peaufiné ses stratégies d’intervention, afin de les exporter ensuite en d’autres contrées, où le contexte est plus ou moins analogue. Notre bon Monsieur Woolsey a donc accueilli au sein de son organisation Stanko Lazendic et Aleksandar Maric, deux activistes serbes, peu connus de nos médias, mais qui ont joué un rôle-clef dans la chute de Milosevic. Ces deux personnages figurent parmi les fondateurs du mouvement étudiant “Optor” (= “Résistance”), aujourd’hui dissous, mais absorbé par le “Centre pour la révolution non violente” de Belgrade. Peu de temps avant la chute de Milosevic, le 5 octobre 2000, les militants d’Optor ont été invités en Hongrie, dans les salons de l’Hôtel Hilton de Budapest, où un certain Monsieur Robert Helvy leur a prodigué des cours intensifs sur les méthodes du combat non violent. Ce Monsieur Robert Helvy est un colonel à la retraite de l’armée américaine, vétéran du Vietnam. Robert Helvy a admis, face à la presse étrangère, avoir été, en son temps, engagé par l’Institut International Républicain, l’IRI, basé à Washington, afin de former les jeunes cadres militants d’Optor. Stanko Lazendic a révélé que le colonel était présent lors des séminaires : “Mais quand nous sommes allés là-bas, jamais nous n’avions pensé qu’il pouvait travailler pour la CIA. Ce qu’il a enseigné, nous l’avons appris d’autres personnes”.

Aujourd’hui, les méthodes qui ont été enseignées au tandem “Lazendic & Maric” pour le compte de la “Freedom House” sont en train d’être appliquées en Ukraine. Elles consistent à “exporter le Verbe démocratique” de maison en maison, d’université en université, de place publique en place publique. Un travail analogue s’effectue en Biélorussie, mais, dans ce pays, la mayonnaise ne semble pas prendre. En Ukraine, en revanche, les deux Serbes sont particulièrement actifs dans la formation et l’encadrement des militants et des cadres du mouvement “Pora” (= “C’est l’heure”), qui est inféodé à Iouchtchenko et a reçu la bénédiction de Madeleine Albright et de Richard Holbrooke, les deux stratèges de l’exportation de la “démocratie atlantiste”. La CIA, entre-temps, aide la “révolution orange” en marche depuis 2002 déjà, dès qu’elle a libéré 50.000 dollars pour créer la plate-forme internet de l’ONG qui s’oppose au duumvirat Kouchma-Yanoukovitch. Ensuite, elle a libéré 150.000 dollars pour créer un groupe de pression à l’intérieur du Parlement. Et encore 400.000 autres dollars pour former des candidats aux élections locales et des cadres syndicaux. Cette stratégie ressemble très fort à celle qui vient d’être appliquée en Géorgie, lors de la “révolution des roses”, où Washington à soutenu Saakashvili. Maric est arrivé mardi 30 novembre à l’aéroport de Kiev, sans donner d’explication quant à sa présence dans la capitale ukrainienne. Lazendic vient de confirmer, dans un interview, “que son compagnon n’avait pas été autorisé à entrer sur le territoire ukrainien”, “tant que ses papiers ne seraient pas tous en ordre”. La carrière ukrainienne de ce Monsieur Maric a donc été interrompue, en dépit de sa grande expérience de commis voyageur à la solde de Washington en Géorgie et en Biélorussie. Lazendic, lui, se vante d’avoir “fait des séjours démocratiques” en Bosnie et en Ukraine. Le mouvement “Pora”, “actif dans la diffusion des valeurs démocratiques et dans l’opposition aux dictatures”, est désormais privé des lumières du sieur Maric. Mais que l’on soit sans crainte, les “démocrates” peuvent toujours envoyer leur contribution financière au “mouvement orange”, via un compte de la “JP Morgan Bank” de Brooklyn, New York.

Siro ASINELLI,
Article paru dans “Rinascita”, Rome, 2 décembre 2004.

vendredi, 19 mars 2010

L'Allemagne, Israël, l'Iran et la bombe: entretien avec M. van Creveld

L’Allemagne, Israël, l’Iran et la bombe

 

Entretien avec l’historien militaire israélien Martin van Creveld

 

creveldxxxxcccvvv.jpgNé en 1946 à Rotterdam, Martin van Creveld est un historien attaché à l’Université Hébraïque de Jérusalem. Cet expert israélien est considéré comme l’un des théoriciens les plus réputés au monde en histoire militaire. Il étonne ses lecteurs en énonçant des thèses non conventionnelles, notamment quand il écrivait récemment dans les colonnes de l’ « International Herald Tribune » : « Si les Iraniens ne tentaient pas de se doter d’armes nucléaires, c’est alors seulement qu’il faudrait les considérer comme fous ! ». Ses ouvrages principaux sont « The Transformation of War » (1991), où il avait prévu les formes de guerre nées après les événements du 11 septembre 2001. En 2009, il a publié en allemand « Gesichter des Krieges » (= « Visages de la guerre ») où il décrit les conflits armés de 1900 à aujourd’hui et émet des prospectives sur le 21 siècle.  

 

Q. : Professeur van Creveld, la Chancelière Angela Merkel menace l’Iran de sanctions. Les Iraniens sont-ils impressionnés par cette menace ?

 

MvC : Je me permets d’en douter. D’après mes estimations, les Iraniens considèrent que leur programme nucléaire est une question d’importance nationale. Les sanctions, par conséquent, ne les impressionnent pas ; au contraire, elles conduiront les Iraniens à se ranger tous derrière Ahmadinedjad.

 

Q. : Dans un essai pour l’hebdomadaire « Die Zeit », vous avez récemment posé un constat provocateur, en écrivant que l’Iran, s’il devenait puissance nucléaire, « ne serait pas plus dangereux qu’Israël ou les Etats-Unis »…

 

MvC : Oui, de fait, et pas plus dangereux que l’autre « Etat voyou », comme on le décrit, qu’est la Corée du Nord. Force est d’ailleurs de constater que cet Etat, depuis la fin de la Guerre de Corée, n’a plus fait la guerre à personne. C’est une prestation que les deux autres Etats, que vous mentionnez, ne peuvent pas se vanter d’avoir réalisé.

 

Q. : D’après vous, dans quelle mesure les Etats-Unis et Israël sont-ils des Etats dangereux ?

 

MvC : Oui, longue histoire. Pour faire simple, posez la question à Slobodan Milosevic ou à Saddam Hussein. Ces deux personnalités politiques ont directement expérimenté la dangerosité que déploient les Etats-Unis lorsqu’un pays exprime son désaccord avec la politique américaine. Et pour l’expérimenter, il faut ajouter deux conditions supplémentaires : le pays visé doit d’abord être inférieur aux Etats-Unis sur le plan conventionnel ; ensuite il ne doit pas posséder d’armes nucléaires. Quant à la dangerosité d’Israël, posez la question aux habitants du Liban ou de la Syrie…

 

Q. : Donc, pour vous, le danger que représenterait un Iran devenu puissance nucléaire est largement exagéré…

 

McV : C’est évident et le calcul qui se profile derrière cette stigmatisation de l’Iran saute aux yeux : les Etats-Unis ont toujours tout entrepris pour empêcher les autres puissances de posséder des armes dont ils disposaient eux-mêmes depuis longtemps. Dans le cas d’Israël, le motif est différent : officiellement, il s’agit d’obtenir de l’argent d’autres pays, comme l’Allemagne et les Etats-Unis. Les sionistes jouent ce petit jeu depuis cent ans, et avec grand succès, m’empresserai-je d’ajouter.

 

Q. : Et vous dites tout cela sans la moindre réticence…

 

McV : Je suis un historien et je peux me permettre de dire ouvertement la vérité, telle que je la vois. Bien sûr, vous n’entendrez jamais pareil aveu de la part d’un représentant gouvernemental. Israël a attaqué l’Irak en 1981 et la Syrie en 2007. Dans ces deux actes hostiles, la surprise a été décisive : c’est elle qui a fait le succès des opérations. Mais, alors, ne vous étonnez-vous pas que dans le cas de l’Iran nous parlons depuis des années de lancer des opérations similaires et que nous ne faisons rien ? Le fait qu’on en parle depuis tant de temps éveille le soupçon : l’enjeu doit donc être autre ; en l’occurrence, obtenir des armes et de l’argent.

 

Q. : La Chancelière Merkel est allée dans ce sens…

 

MvC : Non, les choses ne s’agencent pas tout à fait  ainsi. Le Président Bush était peut-être un idiot, mais ni Obama ni Merkel ne le sont. La possibilité d’une attaque israélienne n’est pas à exclure à 100%. C’est la raison pour laquelle on tente de donner à Israël suffisamment d’argent et d’armes pour que l’Etat hébreu s’abstienne de toute initiative malheureuse. Pour tous les intervenants, le jeu s’avère extrêmement délicat car il implique des éléments de Realpolitik, de tromperie et d’hypocrisie.

 

Q. : En 2008, Angela Merkel a prononcé des paroles historiques en déclarant que le droit d’Israël à l’existence relevait de la raison d’Etat allemande. Cette déclaration d’amour vous touche-t-elle ?

 

MvC : Des déclarations de ce genre me rendent certes très heureux mais en cas d’urgence les possibilités de Madame Merkel seraient très limitées.

 

Q. : Pensez-vous que l’Allemagne risquerait sa propre existence et enverrait la Bundeswehr pour intervenir dans une grande guerre en faveur d’Israël ?

 

MvC : Bien sûr que non. Mais à l’évidence, je dois vous révéler quel était l’objectif poursuivi au moment où l’on a fondé l’Etat d’Israël. Pendant 2000 ans, les Juifs n’ont pas pu dormir tranquilles parce qu’ils se faisaient du souci : devaient-ils se défendre eux-mêmes ou, si ce n’était possible, quelle puissance allait-elle prendre leur défense ? Israël a été créé pour que les Juifs puissent enfin dormir d’une traite pendant toute la nuit, parce qu’ils n’auraient plus à se casser la tête pour répondre à cette question. Donc, très logiquement, tout en respectant les propos de Mme Merkel, et en tenant compte de cette nécessité impérieuse de toujours dormir tranquille, je ne souhaite pas me poser la question de savoir si mon sommeil paisible doit dépendre ou non de l’armée allemande actuelle. Israël doit pouvoir se fier à lui seul. Et si l’improbable survenait et si Israël devait faire face à son propre anéantissement, je ne m’étonnerais pas d’apprendre que nous voudrions entrainer le plus de monde possible dans l’abîme avec nous.

 

Q. : Que voulez-vous dire par là ?

 

MvC : Songez à l’histoire du héros juif Samson.

 

Q. : « Qui en mourant tua plus de monde que pendant toute sa vie », comme le dit la Bible. Mais concrètement, qu’est-ce que cela signifie ?

 

TransformationGuerre.jpgMvC : Je laisse votre imagination répondre à cette question.

 

Q. : Pourquoi Angela Merkel se trompe-t-elle lorsqu’elle semble nous dire qu’un Iran devenu puissance nucléaire serait plus dangereux que les autres puissances atomiques ?

 

MvC : Que voulez-vous que je vous dise ? Je n’ai encore jamais rencontré d’expert iranologue qui croit vraiment que Khamenei (l’homme qui, en réalité, tire toutes les ficelles en Iran), Ahmadinedjad et le peuple perse en général sont tous fous et souhaitent voir leur magnifique pays réduit à un désert radioactif.

 

Q. : Vous voulez dire que le principe de la dissuasion fonctionne également chez les Iraniens ?

 

MvC : Sans aucun doute. Comme partout, il y a également en Iran des scientifiques qui savent très bien ce que signifierait une guerre nucléaire pour leur pays. Et si ce n’était pas le cas, je leur conseillerais de lire le travail réalisé par mon bon ami Anthony Cordesman, ancien membre du Conseil National de Sécurité des Etats-Unis, travail dans lequel il explique ce qu’Israël pourrait infliger à l’Iran avec les mégatonnes qu’il possède dans ses arsenaux.

 

Q. : Pourquoi l’Iran veut-il la bombe ?

 

MvC : Pour attaquer Israël ? Non, très vraisemblablement non. Ce serait trop dangereux car toute puissance qui utilise des armes nucléaires risque, tôt ou tard, de voir d’autres puissances en utiliser contre elle. L’Iran veut-il menacer ou faire chanter ses voisins ? Peut-être. Mais sans doute pas tout de suite, plus tard vraisemblablement.

 

Q. : Et cela ne vous inquiète pas ?

 

MvC : Non. Ceux qui devraient s’inquiéter, ce sont les Etats du Golfe. D’ailleurs ils le sont. Parce qu’ils sont très éloignés d’Israël et qu’Israël, pour sa part, n’a ni l’intérêt ni les moyens d’aider ces Etats sans la moindre réticence. Nous avons donc affaire à un problème qui ne concerne que les Etats-Unis : eux devront l’affronter.

 

Q. : Ahmadinedjad ne planifie-t-il pas un nouvel holocauste ?

 

MvC : Je suppose qu’il le ferait si seulement il en avait les moyens…

 

Q. : Et cela, non plus, ne vous inquiète pas ?

 

MvC : Israël dispose de ce qu’il faut pour l’en dissuader.

 

Q. : Dans l’essai que vous avez récemment publié dans « Die Zeit », vous dites qu’Ahmadinedjad ne veut pas construire la bombe par conviction antisémite ; vous dites qu’il veut la construire pour des motifs d’intérêt national.

 

MvC : Cela ne fait aucun doute qu’Ahmadinedjad hait Israël. Certes, il éradiquerait bien ce pays de la surface de la Terre, mais seulement s’il en avait les moyens. Mais ce n’est pas la raison pour laquelle il cherche à se doter d’armes nucléaires. Alors pourquoi ? Depuis 2002, la situation stratégique de l’Iran s’est considérablement détériorée. En effet, les mollahs peuvent tourner leurs regards vers n’importe quel point cardinal, le nord-est, le sud-est, le sud ou l’ouest, toujours ils verront des troupes américaines déployées. Autour de l’Iran stationne un quart de million de soldats américains, pour être précis. Le cas irakien a appris deux choses aux mollahs : d’abord, qu’avec leur armée, ils n’ont aucune chance contre les troupes américaines. Ensuite, ils ne peuvent pas exclure l’hypothèse qu’un jour un président américain voudra quand même les attaquer. C’est en y réfléchissant qu’ils ont eu l’idée de fabriquer une bombe car se doter d’armes nucléaires est le seul moyen auquel ils peuvent recourir pour échapper au déséquilibre des forces.

 

Q. : Pourquoi ces raisons-là ne sont-elles jamais évoquées dans les médias allemands ?

 

MvC : Pourquoi me posez-vous cette question ?

 

Q. : Pourquoi ne la poserais-je pas ? Vous êtes un expert : que supposez-vous en constatant ce silence ?

 

MvC : Non, je ne peux pas répondre à la place des médias allemands.

 

Q. : Peter Scholl-Latour aime vous citer, et surtout cette phrase-ci : « Si j’étais iranien, je voudrais aussi avoir la bombe ! »…

 

MvC : Oui, et alors ?

 

Q. : Pourquoi les Allemands aiment-ils citer des Juifs pour donner plus de poids à leurs arguments ?

 

MvC : D’accord, cette question s’explique quand on connaît la situation allemande, mais en soi que signifie-t-elle ? Toutefois, ce n’est pas mon problème, mais le vôtre, à vous Allemands, de trouver une voie pour vous réconcilier avec votre passé, en l’occurrence avec l’holocauste…

 

Q. : Le gouvernement allemand sait-il de quoi il parle quand il évoque la question iranienne ou bien tous les propos qu’il tient sont-ils oblitérés par le besoin de surmonter le passé récent de l’Allemagne aux dépens de toute politique étrangère rationnelle ?

 

MvC : Je n’ai pas à émettre de jugement à ce propos. Posez la question à Madame Merkel elle-même.

 

Q. : En tenant des propos qui minimisent le danger de la bombe iranienne, ne vous attirez-vous pas des inimitiés en Israël ?

 

MvC : Ces derniers mois, j’ai eu maintes fois l’occasion de m’exprimer publiquement sur ce thème et je puis vous dire que non, en fait ma position ne m’attire aucune antipathie particulière. Les gens réagissent surpris, c’est évident, mais ils ne se mettent pas en colère. Aussi peu en colère d’ailleurs qu’Ehud Olmert, lorsque j’ai discuté avec lui de ces choses-là, quand il était encore premier ministre.

 

Q. : Dans votre longue contribution à « Die Zeit », vous insistez sur le véritable danger qui guette la région et qui n’est pas la bombe iranienne…

 

MvC : … ce véritable danger qui serait une attaque contre l’Iran pour l’empêcher de construire sa bombe. Pour vous en rendre compte, il suffit de jeter un coup d’œil sur la carte du Golfe Persique, la région la plus riche en pétrole du monde ; vous comprendrez alors pourquoi. Une attaque de cette nature pourrait précipiter l’économie mondiale dans une crise qui serait pire que toutes les autres qui l’ont précédée. Or, c’est bien connu, les crises économiques peuvent avoir des conséquences politiques et militaires très lourdes.

 

Q. : Comment une attaque contre l’Iran pourrait-elle se dérouler et, dans le pire des cas, que se passerait-il ?

 

MvC : L’Iran est un pays trop grand pour être occupé ; donc on aurait recours plutôt à l’engagement d’unités de commandos ou l’on mènerait une guerre aérienne, celle du tapis de bombes. Plusieurs stratégies sont alors possibles mais aucune d’entre elles ne garantirait la destruction totale du programme nucléaire iranien. Ensuite, il serait bien possible qu’une attaque contre l’Iran déclencherait une guerre entre Israël et la Syrie ou le Liban. Une telle guerre aurait de terribles conséquences sur le prix du pétrole, donc sur l’économie européenne et sans doute aussi sur la structure qu’est l’Union Européenne. Vous pouvez aisément imaginer tout cela…

 

Q. : L’attaque contre l’Iran se déclenchera-t-elle tôt ou tard ? Et si oui, quand ?

 

MvC : Depuis des années, je défends l’opinion qu’une telle guerre n’aura jamais lieu. Mais pour être honnête, il m’est arrivé de me tromper dans le passé et certains de mes pronostics se sont avérés faux. Il est toujours possible qu’un fou arrive à  prendre le pouvoir…

 

(entretien paru dans l’hebdomadaire berlinois « Junge Freiheit », n°11/2010, mars 2010 ; propos recueillis par Moritz Schwarz ; trad..  franç. : Robert Steuckers).  

 

Na de Armeense genocide, nu een deportatie?

Na de Armeense genocide, nu een deportatie?

hamid-cari.jpgRecent keurden de Amerikaanse en Zweedse parlementen een motie goed waarin de Armeense genocide eindelijk de erkenning krijgt die ze “verdient”. Dit heeft uiteraard zijn gevolgen.

  • Voor het Armeense volk eindelijk een zeer kleine tegemoetkoming, het gedane leed kan men immers nooit terugbetalen.
  • Voor Turkije een kaakslag omdat zij blijven beweren dat er helemaal geen genocide. De heer Alfred Vierling vertelde mij tijdens de reis naar Bretagne trouwens dat de Turkse visie op de Armeense genocide samen te vatten valt als volgt: “Ze heeft nooit plaatsgevonden, maar was wel nodig.”
  • Voor de Amerikaanse president Obama is het dan weer een probleem omdat Turkije de belangrijkste moslimpartner is en in de NAVO zit. Waarschijnlijk zal men dit goedmaken door de Amerikaanse president nogmaals hard te laten pleiten voor de toetreding van Turkije in de EU, wat meerdere presidenten reeds gedaan hebben.

De reactie vanuit de Turkije is dan ook weer veelzeggend. Omdat de Armeense genocide eindelijk als genocide erkend wordt, denkt de Turkse premier Erdogan hardop aan een deportatie van alle Armeniërs in Turkije.

De Turkse premier Tayyip Erdogan heeft gedreigd 100.000 Armeniërs zijn land uit te zetten, nadat Zweedse en Amerikaanse resoluties de Turkse vervolging van Armeniërs in de Eerste Wereldoorlog hebben bestempeld als ‘genocide’. Dat zei Erdogan in een interview met BBC. ’Er zijn op dit moment 170.000 Armeniërs in ons land,’ aldus Erdogan. ‘Slechts 70.000 daarvan zijn Turkse staatsburgers. De overige 100.000 tolereren we.’

Bron: http://www.elsevier.nl/web/Nieuws/Buitenland/260796/Premier-Turkije-dreigt-met-deportatie-100.000-Armeniers.htm

En met dit land willen ze gaan onderhandelen om te laten toetreden tot de EU? Een land dat de Koerdische rechten dagelijks fysiek schendt, dat martelt in hun gevangenissen en dat nu besluit om een genocide weg te duwen aan een deportatie denkt. Nu ja, anderzijds is Spanje ook toegelaten tot de EU en daar worden de rechten van de Basken ook dagelijks geschaad. Men kan op zo’n momenten merken dat de EU gebouwd is met Amerikaans geld, bijeengebracht en doorgesluisd via de CIA;

Tussen eind 1949 en begin 1960 zou het ACUE ruim 4 miljoen dollar CIA-geld naar de Europese beweging sluizen – in hedendaagse euro’s nagenoeg 32 miljoen. Het eerste tastbare succes: Robert Schumans plan voor een Europese Gemeenschap voor Kolen en Staal. ”Wat wij in Europa hebben gedaan, was onmogelijk geweest zonder de hulp van het American Committtee on United Europe”, zo schrijft een dankbare Paul Henri-Spaak in 1960 aan de toenmalige ACUE-directeur.

Bron: http://knack.rnews.be/nieuws/wereld/-cia-financieerde-europese-eenmaking-/site72-section26-article48016.html

Amerika een bondgenoot van Europa? Turkije een land dat tot de EU moet toegelaten worden? Laat me niet lachen…

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Altbundeskanzler H. Schmidt vergleicht Obama mit Hitler

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Altbundeskanzler Helmut Schmidt vergleicht Obama mit Hitler

Gerhard Wisnewski / http://info.kopp-verlag.de/

»Beckmann« am 22. Februar 2010: War da was? Eigentlich nicht. Vielleicht bis auf die Kleinigkeit, dass Altbundeskanzler Helmut Schmidt den US-Präsidenten Barack Obama in eine Reihe mit Hitler und Stalin stellte. Skandal? Aufschrei? Nicht doch. Stattdessen eisernes Schweigen. Das Zentralorgan »Spiegel Online« erklärte auch warum: Der darf das!

Man schrieb den 22. Februar 2010. In der Talksendung Beckmann saßen dem Moderator zwei Talkgäste gegenüber. Ein weißhaariger, qualmender Helmut Schmidt im Rollstuhl und der jüdische Historiker Fritz Stern. Beide sollen an diesem Abend von Beckmann ordentlich Publicitiy für ihr politisch korrektes Gesprächsbuch Unser Jahrhundert bekommen. Doch dann wird es plötzlich alles andere als politisch korrekt.

»Es gibt eine Regel bei Diskussionen über aktuelle Themen: die sich jeder Teilnehmer merken sollte«, schrieb einmal der jüdische Journalist Henryk M. Broder: »Wer zuerst Hitler, Nazis, Drittes Reich sagt, hat die Arschkarte gezogen. So einer ist entweder NS-Sympathisant oder – noch schlimmer – er missachtet das 11. Gebot: Du sollst nicht vergleichen!«

Nur ganz besondere Persönlichkeiten können sich über dieses 11. Gebot hinwegsetzen, ja, eigentlich gibt es nur einen Deutschen, bei dem man sich das vorstellen kann. Und das ist der quasi unantastbare Altbundeskanzler Helmut Schmidt, der nun auch noch mit seinem jüdischen Freund im Studio saß.

Was Helmut Schmidt »an der Redeart von Barack Obama« nicht gefalle, wollte Gastgeber Reinhold Beckmann (ARD) wissen.

Darauf Schmidt: »Ich habe nichts gegen die Art der Rede. Aber ich habe erlebt, dass Charismatiker hinterher mehr Unheil gestiftet haben, als sie sich selber vorgestellt haben. Immerhin – Adolf Hitler war auch ein Charismatiker.«

Pause. Beckmann und Stern hat es die Sprache verschlagen. Im Studio und in Millionen von Wohnzimmern konnte man eine Stecknadel fallen hören. Stalin und Mao Tse-Tung seien auch Charismatiker gewesen, sagte Schmidt in die Stille hinein, was die Sache nicht besser, sondern nur noch »schlimmer« machte.

Nur, um das einmal festzuhalten: Der ehemalige und wahrscheinlich beste Bundeskanzler, den Deutschland je hatte (was eine relative Wertung ist, keine absolute), stellte den amerikanischen Präsidenten Obama in eine Reihe mit Massenmördern, die Abermillionen von Menschen auf dem Gewissen haben. Und das sollte man nie vergessen – denn eines ist sicher: unüberlegt oder zufällig hat Helmut Schmidt das bestimmt nicht getan.

Daher lautete die spannende Frage: Wie würden Politik und unsere »Qualitätsmedien« reagieren? Antwort: Man erlebte den Versuch, ein aufflackerndes Feuer durch Brennstoffmangel auszuhungern. Aber eine Sendung, die von Millionen Zuschauern gesehen wurde, kann man doch nicht totschweigen! Oh, doch. Man mag es nicht glauben, aber selbst vor einem Millionenpublikum ausgebreitete Skandale und Sensationen kann man ungeschehen machen, indem man sie einfach nicht wahrnimmt und nicht über sie berichtet.

Nehmen wir an, jemand würde einen riesigen Felsbrocken ins Wasser werfen, und auf dem Wasser würden sich nicht die kleinsten Wellen bilden – wäre das nicht der beste Beweis, dass mit diesem Wasser etwas nicht stimmen kann?

Erdogan cancella la sua visita in Svezia

erdoganetsafemme-5afb0.jpgErdogan cancella la sua visita in Svezia

Ankara richiama il suo ambasciatore nella capitale svedese dopo la mozione che riconosce il genocidio armeno

Andrea Perrone

L’ambasciatore di Svezia ad Ankara, Christer Asp, è stato convocato venerdì mattina dal ministero degli Esteri turco in seguito all’adozione, da parte del parlamento svedese, di una mozione che riconosce come genocidio i massacri di armeni avvenuti all’inizio del secolo scorso, ai tempi dell’Impero Ottomano.
La mossa segue di poche ore la decisione del premier turco Recep Tayyip Erdogan (nella foto) di cancellare la visita in Svezia prevista per la prossima settimana e di richiamare in patria a tempo indeterminato l’ambasciatore turco a Stoccolma, Zergun Koruturk. Dure le critiche di Erdogan che in una nota ha dichiarato: “Il nostro popolo e il nostro governo respingono tale decisione presa sulla base di gravi errori e senza fondamento”, precisando che il voto svedese è frutto di “calcoli di politica interna” alla luce delle elezioni previste a settembre di quest’anno.
“È naturale che si manifesti disappunto per questa decisione del Parlamento e che si esprima il proprio punto di vista sulla questione”, ha commentato l’ambasciatore Asp, affermando che il tema, uno dei più controversi per la Turchia moderna, avrà inevitabili ripercussioni sui rapporti diplomatici ed economici tra Turchia e Svezia. “Naturalmente sono a rischio anche le relazioni commerciali - ha aggiunto - lavoreremo per evitare che questo accada”.
La risoluzione ha ottenuto il voto favorevole di 131 deputati e quello contrario di 130 ed è stata fortemente contrastata dal governo svedese. Il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, ha definito “un errore” l’approvazione da parte del Parlamento - per un solo voto espresso da un deputato che non ha seguito le indicazioni  del partito - ma ha ribadito che questo non cambia la posizione del governo, che sostiene l’ingresso della Turchia nell’Unione europea.
Il voto del Parlamento svedese arriva a meno di una settimana da quello della commissione Esteri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti con cui, anche in quel caso solo per un voto, è stata approvata una risoluzione non vincolante in cui si chiede al presidente Barack Obama di usare la parola genocidio nel riferirsi al massacro degli armeni. Anche il quel caso il governo turco ha   protestato, richiamando il suo ambasciatore a Washington ed accusando il governo statunitense di non aver fatto abbastanza per impedire il passaggio della risoluzione.
“Sono contrariata e sorpresa, mi aspettavo che il parlamento svedese decidesse che non è lavoro da deputati ma da storici decidere se c’è stato o meno un genocidio”, ha dichiarato la Koruturk. 
L’ambasciatore turco in Svezia ha quindi precisato che gli ottimi rapporti tra Ankara e Stoccolma non possono che risentirne. “Tutto è destinato a fare un passo indietro - ha osservato - questa decisione avrà un impatto drastico sulle relazioni bilaterali”.


13 Marzo 2010 12:00:00 - http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=1043

Mikhalkov, la France et la Russie

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Mikhalkov, la France et la Russie

Nikita Mikhalkov a donné une ITV a Telerama que vous pouvez trouver ici

"Le monde ressemble de plus en plus à la boutade géniale de Woody Allen : « J'ai pris un cours de lecture rapide et j'ai pu lire Guerre et paix en vingt minutes : ça parle de la Russie. » C'est vrai que vous cliquez sur Internet et hop, vous avez Anna Karénine résumé en cinq lignes. Ça devient franchement débile".

"La Russie a connu une crise grave. Et elle commence à s'en relever. Ce pays, je l'ai parcouru de fond en comble – contrairement à certains dirigeants qui croient le connaître parce qu'ils vont de Moscou à Saint-Pétersbourg. Je ne peux plus supporter ces supposés intellos qui discutent entre eux de problèmes qui les concernent".

" Après la perestroïka, l'Europe s'est réjouie. Puis, elle a été saisie d'effroi : qu'est-ce que ces sauvages de Russes allaient bien pouvoir inventer, maintenant qu'ils étaient libres ?... La chère Europe panique vite. Et elle a tendance à s'illusionner sur elle-même : elle croit que vingt-sept vieillards pourront, par miracle, se métamorphoser en un seul adolescent sain et vigoureux. Elle commence juste à s'apercevoir que ça ne marche pas ainsi".

"L'Europe aurait dû accueillir cette Russie déboussolée, empêtrée dans les excès d'un capitalisme sauvage. Lui sourire, l'aider. Mais vous avez choisi de rester fidèles à d'autres amitiés. Pas sûr que vous ayez eu raison : vous allez voir comment Obama va traiter l'Europe, d'ici quelque temps".

"Qu'est-ce qu'il vous reste, en France ? Votre gastronomie, géniale. Votre culture, magnifique : Orsay, le Louvre... L'Europe est un musée. Qu'elle le reste. L'énergie, aujourd'hui, vient de l'Inde, de la Chine, demain de l'Afrique... C'est avec eux désormais que la Russie va traiter".

"Poutine un autocrate ? Mais c'est incroyable, cette certitude que vous avez de savoir, mieux que les autres, ce qui convient à tout le monde ! Poutine, que vous méprisez tant, a rendu aux Russes leur dignité perdue. Si vous ne comprenez pas ça, vous ne comprendrez rien à ce pays". 

"J'ai regardé la façon dont l'Europe se fichait de lui lorsqu'en 2007, à Munich, lors de la conférence sur la politique de sécurité, il mettait en garde les Américains contre leur politique dans les Balkans et en Albanie, qui pouvait selon lui provoquer une nouvelle guerre froide. Je regardais les participants et je voyais que, même s'ils étaient d'accord avec le discours de Poutine, ils le démoliraient pour ne pas déplaire aux Américains, qui, pour la plupart, ne connaissent rien aux Balkans et ne sauraient pas où situer l'Albanie. Mais voilà : tout était joué d'avance".

"Mais, encore une fois, qui vous dit que votre mode de vie est meilleur que celui... des Afghans ? Ou des Arabes" ?

" La démocratie est plus facile à appliquer quand on est calé sur le même fuseau horaire. En France, il est 13 heures à Paris, à Lyon et à Marseille. Chez nous, quand 21 heures sonnent à Moscou, il est midi au Kamtchatka ".

"La Russie c'est un continent à part, la Russie. C'est l'Eurasie."

" Je suis russe, orthodoxe. Je me sens russe et orthodoxe où que j'aille : voilà ma vérité. Je suis un patriote ... Je suis prêt à accepter n'importe quelle opinion et n'importe quelle culture, à condition qu'on ne me l'impose pas. Mais si quelqu'un m'oblige à suivre sa voie, je l'envoie se faire foutre".

"British" link to Beslan child massacre

 

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Archives: Oct./8/2004 http://ca.altermedia.info/

“British” link to Beslan child massacre

 



A terrorist amongst the group responsible for the Beslan school massacre last month, in which 300 people, half of them children, died turns out to be a British citizen who attended the infamous Finsbury Park mosque in north London where Abu Hamza used to preach.

 

Two other members of the group, loyal to Chechen warlord and terrorist Shamil Basayev, are also believed to have been active at the mosque until less than three years ago.

Algerians

Russian security sources described Kamel Rabat Bouralha, 46 years old, as an aide of Basayev. The three men, all Algerian-born immigrants given asylum in Britain, travelled to Chechnya from London to take part in fighting there in 2001.

Russian authorities have identified most of the 33 men who occupied the school in Beslan last month and they include two Algerians in their mid-30s called Osman Larussi and Yacine Benalia, both based in London until recently. Like Bouralha, they too attended Finsbury Park mosque and joined the network of groups loyal to Basayev on arrival in Chechnya.

Firing range uncovered

Former associates in London confirmed that Bouralha had been a frequent visitor at Finsbury Park mosque where Abu Hamza preached from around 2000. This is the same mosque where the Metropolitan Police discovered a firing range and ammunition beneath the floors in a cellar.

 

According to Russian security sources, there are up to 300 Arab mercenaries operating with rebel formations in Chechnya. This fact defeats the lie used by the ‘ apologists for terror ‘ like Vanessa Redgrave, a celebrity Marxist and leading light in the Islamo-Soviet front in Britain, who insists that the war in Chechnya is a “defensive” one by Chechens against Russia and not part of a global jihad (or holy war). Vanessa Redgrave in her role as an apologist for terror guaranteed the £50,000 bail of Akhmed Zakayev, an Chechen warlord wanted by Russia, until he was given asylum in Britain by Jack Straw even though he was implicated in scores of murders in Russia and Chechnya.

London’s role as centre of terror web

It is to Britain’s shame that thousands of Afghanistan trained ex-Taliban, Algerian terrorists, Chechen warlords and other various murderous bandits from around the world have turned London into “Londonistan"; the centre of terror-recruiting and now the terror-exporting capital of the world.

 

Under both Labour and Tory governments the open borders of Britain and the insane asylum system have been used to wage war against the innocent of the world. Britain’s MI5 and MI6 estimate that at least seven to ten thousand Afghanistan trained Islamic terrorists are resident in Britain. These are the many thousand “ticking bombs” in our towns and cities waiting for the right time to wage war upon us in our own homes and streets.

 

 

jeudi, 18 mars 2010

Une analyse dissonante de la décennie postsoviétique

Une analyse dissonante de la décennie postsoviétique


Je vous traduis ci-dessous un texte de Sublime Oblivion, l'étude est très intéressante et va bien à l'encontre des aprioris que nos médias nous donnent sur l'espace Eurasien.

*
Cela fait 20 ans que l'URSS a disparue et que les pays de l'ex bloc de l'est sont devenues des acteurs à part entière de l'économie de marché. Cela fait 20 ans que l'on nous présente ses pays divisés en 3 groupes principaux, ceux qui ont parfaitement réussis leur transition démocratique et libérale (les tigres Baltes), et les autres, soit des états qui seraient des états socialistes de marché (Biélorussie) et ceux qui seraient des économies fondées uniquement sur les matières premières (Russie).

Sublime Oblivion a utilisé de nombreuses sources (les statistiques de Angus Madison, les chiffres de la CIA et les projections du FMIpour 2010 afin de créer un nouvel indice : "Indice post soviétique de l'analyse de l'évolution du produit intérieur brut annuel par habitant, en parité de pouvoir d'achat (PPA)", cet indice est basé sur une référence départ de "100" pour l'année 1989 (chute du mur). 
De façon "surprenante", la Biélorussie, nation décriée et que l'on nous fait passer pour une économie 1/3 mondiste et une dictature politique, cette économie socialiste de marché est plus productive qu'elle ne l'était en 1989 et devance largement ses pairs de l'espace post soviétique. En outre, la Biélorussie reste un des états les plus "équilibrés socialement" du monde. Après le chaos des années 90 (suite à la chute du mur) l'économie Biélorusse s'est bien redressée (bénéficiant certes de ressources pétrolières à bas prix par le voisin et ami Russe) mais également sachant parfaitement développer une industrie assez efficace (tracteurs, frigidaires, camions, réfrigérateurs, produits électroniques ..) dont la production est écoulée dans tout l'espace Eurasiatique. Evidemment, l'évolution part d'assez bas, la Biélorussie était un des états les plus pauvres du monde industrialisé et si le pays est attractif pour les retraités et les pensionnaires (les pensions y sont par exemple plus élevées qu'en Russie) ce n'est pas (encore?) un état jugé attractif pour les jeunes européens.
Les tigres Baltes ont subi une très forte croissance dans les années 2000 et cela jusqu'en aout 2008. Ces états que l'on nous présentait comme des modèles de stabilité et de démocratie (sauf pour les 30% de citoyens Russophones) ont en effet attirés les investissements financiers étrangers et finalisés et réussis leur intégration dans l'UE. Et puis dès le début de la crise, les investisseurs ont pris peur et les crédits ont été retirés du pays. Dès lors le château de cartes d'est effondré. Les états Baltes ont été de loin les états les plus touchés en Europe par la crise économique. Leur totale fragilité et l'illusoire solidité économique est alors apparue au grand jour. Aujourd'hui les pronostics les plus optimistes envisagent un retour à la situation de 2007 au mieux 2014 (!). D'ici la il est plausible que les états subissent une grosse émigration de population, tout comme l'Ukraine, vers l'ouest mais aussi vers la Russie ce qui à terme renforcerait le poids politique / économique de la Russie dans ces différents pays.
La Russie justement, à de loin la plus importante économie de la région post soviétique.  Suite à cela, on peut différencier 2 périodes différentes :1989 - 1999 : un tzar faible (Eltsine) était soumis à de puissants Boyards (les Oligarques) qui défendaient chacun leurs intérêts (personnels) mais surtout une vision politique (en partie dictée de l'étranger) : ne pas permettre de retour à un pouvoir politique fort (qui les auraient empêcher de piller le pays) et surtout empêcher le retour des communistes au pouvoir (afin de pouvoir se présenter comme rempart contre ces derniers devant l'Occident et ainsi justifier leur existence).
2000 -..... : un tzar fort a repris le pouvoir et inversé les tendances. Grâce à un retour en force du politique et en bénéficiant du prix élevés des matières premières, ce tzar fort (poutine) a relancé la machine économique et transformé les boyards insoumis en servants dociles ou en les neutralisant complètement.
Bien sur la performance économique de la Russie est insuffisante encore aujourd'hui mais c'est le pays qui revient du plus loin et la décennie Poutine à sauvé le pays du néant et de la catastrophe, ce qui aurait déstabilisé tous les pays voisins. En outre la Russie, comme les pays Baltes était déjà relativement industrialisée et n'a donc pas pu bénéficier d'une croissance ultra forte comme les pays Baltes (investissements financiers bien plus faible) ou la Biélorussie (croissance par une industrialisation forte).  les lecteurs doivent bien comprendre que pendant la première partie de son règne, le pouvoir Russe n'a pas pu se focaliser sur le développement économique mais sur empêcher l'implosion du pays. Il est relativement accepté aujourd'hui que Poutine a empêché l'effondrement mais que c'est Medvedev qui va désormais guider la barque et se charger de la modernisation du pays.

Il a été dit partout que la Russie allait s'effondrer et que la crise allait la frapper de plein fouet. Pourtant j'ai répété ci et la que la crise a touché la Russie "avant" les pays Occidentaux, les sorties de capitaux (poussés par les Américains dès la crise en Georgie) et la baisse des matières premières, ainsi que l'effondrement boursier ayant commencé dès le mois d'aout 2008. Il n'est pas secret non plus que la très grande majorité des gros groupes Russes (d'état notamment) avaient concocté des crédits auprès de banques et d'organismes de crédits Occidentaux et Américains et que les marchés émergents ont été les premiers touchés par les "coupures" de crédits par ces mêmes organismes lorsque la crise a commencé a réellement se faire sentir. Dès lors les coup bas des spéculateurs ont contribué à affaiblir la Russie. Pourtant la Russie se trouve aujourd'hui dans une situation bien meilleure que ses voisins et tous les pronostics sérieux envisagent une sortie de crise pour ce premier trimestre, voir une croissance relativement fortepour l'année 2010 en Russie. Sa solidité politique et ses énormes réserves de change (les 3ièmes au monde) sont en effet deux atouts majeurs pour les années qui viennent (lire à ce sujet cette analyse sur la crise en Russie).
La pire performance de l'espace post soviétique vient de l'Ukraine que l'on nous montre depuis 2005 comme éventuel futur membre de l'UE (!). Pourtant, jusque dans les années 2004, 2005 ce pays était dans la situation de la Biélorussie et recevait autant de gaz à très bas prix que la Biélorussie. Sa position proche de l'UE (via la Pologne marché en plein développement) est également un "plus" non négligeable. En outre le pays à depuis 2005 les faveurs de l'UE et des Occidentaux (Américains en tête, surtout depuis la révolution Orange), alors comment se fait il que ce pays soit moins dynamique que ses voisins ?La raison essentielle est que l'Ukraine n'a jamais réellement décollé ni quitté ses réflexes désastreux des années 90. Cet problème grave d'identité qui frappe le peuple (tiraillé entre son est orthodoxe et son Ouest "uniate") à de graves conséquences. Tout d'abord il enlève toute légitimité (à hauteur de 50%) à tous les politiques (d'ou la faiblesse du Tzar Ukrainien de l'après chute du mur). Cette absence de stabilité politique empêche tout investissement étranger, notamment dans sa partie pauvre et Occidentale, pro Européenne, alors que son est riche et industriel bénéficie lui des crédits et des investissements Russes. C'est une des raisons de l'échec des Orangistes, qui en plus totalement fait cesser la croissance (jusque la pourtant à 2 chiffres), d'avoir ruiné l'état en tentant d'appliquer des réformes libérales sous forme d'un copié collé archaïque, ont laissé une corruption "bien plus" endémique qu'en Russie ou dans les autres états de l'espace post Soviétique, tout en coupant une partie de population de ses racines et de liens amicaux avec son créditeur le plus puissant et le mieux disposé : la Russie. Peut être que l'élection de Ianoukovitch est la meilleure chose qui puisse arriver à ce pays, a savoir un nouveau tzar (moins faible) car adoubé par et l'est et l'ouest et qui tente de replacer l'Ukraine la ou elle doit être, hors de l'OTAN, hors d'une UE ruinée et en décomposition, et dans le nouvel espace douanier Eurasiatique en construction.

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Ci dessous un schéma des autres principales économies (moins développées) d'ex URSS.
L'Azerbaijan est en tête de ces pays, principalement grâce au développement de sa production pétrolière, qui a été multipliée par cinq depuis le début des années 2000. L'utilisation des revenus de ces matières premières à largement contribué à la hausse des revenus / habitants. Une explication identique prévaut pour le Kazakhstan, dont l'évolution de 1991 à 2010 est une croissance supérieure à la Russie (la production de pétrole du Kazakhstan à été multipliée par 4 entre 1991 et 2008). 
En comparaison, la Russie ne produit que 22.6% d'énergie combustible de plus en 2008 que en 1992. La production de pétrole a atteint son apogée en 1998 (11,5 millions de barrels) et à baissé en 1992 (7,8 millions de barrels) pour remonter en 2008 (9,8 millions de barrels).  Des facteurs géologiques mais également politiques (affaire Youkos) ont contribué à ce fait. Depuis le milieu des années 2000, la croissance repose grandement sur une croissance intérieure stimulée par la grande distribution, les transports, la production et la finance ..).

L'Arménie a également connu une croissance relativement forte malgré l'absence de ressources naturelles et une situation géographique difficile notamment un voisinage Turque hostile, un conflit militaire avec un autre voisin hostile, l'Azerbaïdjan, une frontière avec une Georgie s'éloignant de la Russie et au sud l'Iran. (Il est facile d'imaginer que la très forte diaspora Arménienne à travers le monde a contribué à financer l'économie nationale et cela un peu sur le modèle Chypriote ou Libanais).
La Georgie n'a pas de résultats très probants. Le dynamisme de la révolution des roses a été un peu plus fort que après la révolution Orange en Ukraine mais le résultat est très faible pour une nation partant de très bas. Le comparatif avec l'Arménie est sans pitié, et la Georgie ne peut que se contenter d'un mieux que la Moldavie, qui n'est pas une référence en soi. Selon l'analyse de Irakli Rukhadze and Mark Hauf, la Georgie depuis 2003 a en effet été victime d'une émigration massive, d'une hausse de la pauvreté conséquente, accompagnée et poussée par une désindustrialisation violente. La corruption d'état y règne selon les auteurs, le gouvernement faisant payer les business indépendants (de l'état) pour leur éviter toutes poursuites. Cette pression politique n'est pas le fait de la Georgie, elle est relativement présente dans l'ex espace soviétique, néanmoins concernant la Georgie on peut se poser la question de l'image qu'on souhaite en donner dans les médias Occidentaux et la réalité du terrain.
Enfin l'Ouzbékistan a connu une croissance et une évolution bien meilleure que le Tajikistan. L'Ouzbékistan est pourtant une économie non réformée, autoritaire (bien plus que la Biélorussie) mais qui part vraiment de très bas. Le Tadjikistan a lui subi une terrible guerre civile dans les années 1990 (entre communistes et Islamistes) qui a tué près de 100.000 personnes et aujourd'hui c'est le pays le moins avancé de l'espace post soviétique en ce qui concerne la transition démographique (revenu utilisé / nouveau né). Le Kyzgyzstan se situe entre l'Ouzbékistan et le Tajikistan, les résultats du Turkménistan sont eux du niveau de l'Ouzbékistan, je rappelle à mes lecteurs que le Turkménistan est un régime politique très autoritaire et stable qui base ses revenus sur le pétrole et le gaz (5ème producteur au monde) mais également le coton.
L'avenir ?
La Russie a un plan de modernisation, et le ressources financières, administratives et humaines pour le mener à bien, ainsi que la volonté politique nécessaire. Il est plausible que si le pouvoir se maintient dans ces états, la Russie, la Biélorussie et le Kazakhstan continueront à connaître des taux de croissances élevés et un fort développement économique. Ces états ont un fort capital humain et semblent travailler en commun, comme le démontre la récente union douanière. Il est plausible et même certain que l'Ukraine rejoigne cet ensemble Eurasien dans les prochaines années.

EEUU y la OTAN libran una guerra no declarada contra Russia

EEUU y la OTAN libran una guerra no declarada contra Rusia

Para Moscú, la inacción de los Estados Unidos y la OTAN para combatir el tráfico de drogas en Afganistán, se traducen en una guerra no declarada contra Rusia.

El embajador ruso para la OTAN, Dmitry Rogozin, fustigó a la alianza por su falta de vigilancia sobre el tráfico de estupefacientes en el país asiático.

Afganistán produce alrededor del 90% del opio del mundo. Las drogas afganas entran en Rusia y Asia Central antes que en Europa Occidenta, y son responsables de la muerte de 30 mil rusos anualmente, dijo Rogozin.

Moscú sostuvo, también, que la producción de droga dentro de las fronteras afganas se ha incrementado 10 veces desde el 2001, año en que la OTAN liderada por los Estados Unidos invadieron ese país.


Hoy hay más de 100 mil tropas invasoras lideradas por los Estados Unidos en Afganistán; sin embargo, lejos están los invasores de lograr estabilizar el país. Desde el inicio del año 122 soldados de las fuerzas invasoras han muerto, producto de la resistencia afgana.

Extraído de La República.

Austerität à la IWF erreicht die Vereinigten Staaten von Amerika

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Austerität à la IWF erreicht die Vereinigten Staaten von Amerika

Ellen Brown / Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Die obligatorischen Prämien für eine private Krankenversicherung sind längst nicht alles: wenn sich die neue Arbeitsgruppe Haushalt des Präsidenten mit ihren Forderungen durchsetzt, stehen uns möglicherweise »obligatorische Sparbeiträge« und weitere, unseren Geldbeutel belastende Einsparungen bevor. Diese radikalen Austeritätsmaßnahmen sind nicht nur gar nicht nötig, die Lage wird dadurch im Gegenteil nur noch weiter verschlechtert. Die Offensive für »fiskalische Verantwortung« geht von falschen ökonomischen Voraussetzungen aus.

Wenn Milliardäre eine Milliarde Dollar versprechen, um die Öffentlichkeit über einen bestimmten Missstand aufzuklären, dann ist man immer gut beraten, ihre Pläne ganz genau zu prüfen. Der Hedge-Fonds-Magnat Peter G. Peterson war früher Vorsitzender des Council on Foreign Relations und Chef der New York Federal Reserve. Heute ist er Seniorchef der Blackstone Group, die mit der Verteilung der staatlichen Gelder bei dem umstrittenen Bailout des Versicherungskonzerns AIG, vielfach als Geschenk an die Banken kritisiert, betraut war. Peterson ist auch Gründer der Peter-Peterson-Stiftung, die es sich zur Aufgabe gemacht hat, den Kongress zu »fiskalischer Verantwortung« zu veranlassen. Dafür hat man David M. Walker angeheuert, den ehemaligen Chef des Government Accounting Office [eine dem deutschen Bundesrechnungshof vergleichbare US-Bundesbehörde], der einen Werbefeldzug für die Eindämmung des galoppierenden Haushaltsdefizits führen soll, das laut Peterson und Walker auf unverantwortliche Ausgaben durch Regierung und Verbraucher zurückzuführen ist. Die Stiftung hat den Dokumentarfilm I.O.U.S.A.* finanziert, mit dem sie die Öffentlichkeit für ihr Anliegen gewinnen möchte, nämlich verminderte Leistungen der Sozialversicherung und von Medicare (der Krankenversicherung für Bedürftige), um Kosten zu sparen und zu »fiskalischer Verantwortung zurückzukehren«.

Nachdrücklich fordert die Petersen-Pew Commission on Budget Reform Maßnahmen zur Begrenzung des US-Haltsdefizits. In beiden Häusern des Kongresses wurden Gesetzesvorschläge zur Bildung einer Arbeitsgruppe Haushalt eingebracht. Im Senat wurde der Vorschlag mit knapper Mehrheit abgelehnt, im Abgeordnetenhaus wurde er zurückgestellt, doch damit war er nicht erledigt. In seiner Rede zur Lage der Nation am 27. Januar kündigte Präsident Obama an, er werde per Exekutivorder eine Arbeitsgruppe des Präsidenten für den Haushalt einberufen, die sich dem Haushaltsdefizit und der Schuldenkrise widmen solle; die Arbeitsgruppe werde nach dem Modell der vom Kongress nicht verabschiedeten Gesetze arbeiten. Wenn der Kongress nicht für »fiskalische Verantwortung« sorgte, dann werde es eben der Präsident tun. »Mir raubt es nachts den Schlaf, wenn ich an all die roten Zahlen denke«, sagte er. Die Exekutivorder wurde am 17. Februar unterzeichnet.

Dem Präsidenten scheint entgangen zu sein, dass unser gesamtes Geld mit Ausnahme der Münzen heute in Form von »roten Zahlen« oder Schulden auf die Welt kommt. Es wird alles in den Büchern von Privatbanken erzeugt und fließt als Kredit in die Wirtschaft. Wenn es keine Schulden gibt, dann gibt es kein Geld, und genau diese privaten Schulden sind jetzt zusammengebrochen. Die Kreditvergabe in den USA ist in den ersten Monaten dieses Jahres stärker geschrumpft als je zuvor in der Geschichte des Landes. Weltweit herrscht eine Kreditklemme; wenn der Kredit schrumpft, dann schrumpft gleichzeitig auch die Geldmenge. Dann gibt es nicht genug Geld, um Waren zu kaufen, also werden Arbeiter entlassen und Fabriken geschlossen, ein ewiger Teufelskreis von Wirtschaftskollaps und Depression. Um diesen Zyklus zu durchbrechen, müssen wieder Kredite fließen, und wenn die Banken dies nicht bewerkstelligen können, dann muss die Regierung einschreiten und die Schulden selbst »monetisieren«, d.h. die Schulden in Dollars verwandeln.

Obwohl die Kreditvergabe noch immer weit unter dem früheren Niveau liegt, beteuern die Banken, sie vergäben so viele Kredite, wie ihnen nach den derzeit geltenden Bestimmungen erlaubt sei. Der eigentliche Engpass liegt bei den sogenannten »Schattengeldgebern« – jenen Investoren, die bis Ende 2007 in großem Stil zu »Wertpapieren« gebündelte Bankkredite aufgekauft und diese Kredite damit aus den Büchern der Banken genommen hatten, sodass die Banken auf der Grundlage ihres Eigenkapitals und der Einlagen wieder neue Kredite generieren konnten. Wegen der dramatisch steigenden Zahl von Ausfällen bei Subprime-Hypotheken sind die Investoren vorsichtiger geworden, solche Kredite zu kaufen, sodass die Banken und Finanzfirmen an der Wall Street sie in ihren Büchern halten und die Verluste einstecken müssen. In den Boomjahren wurde der Umfang des Marktes der Schattengeldgeber auf zehn Billionen Dollar geschätzt. Dieser Markt ist jetzt zusammengebrochen, bei der Geldmenge ist ein riesiges Loch entstanden. Dieses Loch zu stopfen, ist allein die Regierung in Washington in der Lage. Die Staatsschulden abzuzahlen, wenn das Geld bereits knapp ist, macht alles nur noch schlimmer. Wann immer in der Geschichte das Defizit verringert worden ist, ist auch die Geldmenge geschrumpft und die Wirtschaft in eine Rezession gestürzt.

 

Eine genaue Untersuchung der Pläne für eine Haushaltsreform

Das wirft die Frage auf: liegen die Verfechter der »fiskalischen Verantwortung« nur einfach falsch? Oder verfolgen sie womöglich ganz andere Absichten? Die in Erwägung gezogenen Haushaltsentscheidungen sind in der Exekutivorder vage formuliert, doch wer die früheren Pläne der Peterson Commission on Budget Reform genauer untersucht, erkennt, was gemeint ist. Laut Peterson und Walker sollten die Ansprüche aus der Sozialversicherung gesenkt werden, und das genau zu der Zeit, wo die Wall Street den Marktwert der Häuser und die privaten Rentenkonten der eigentlich Anspruchsberechtigten vernichtet hat. Es kommt noch ärger: gemäß dem Plan sollten unter dem Deckmantel »obligatorischer Sparbeiträge« die Beiträge zur Sozialversicherung erhöht werden. Diese zusätzlichen Beträge sollten automatisch vom Gehalt abgezogen werden und auf ein von der Sozialversicherungsbehörde verwaltetes Sonderkonto namens »Guaranteed Retirement Account« eingezahlt werden. Da diese Sparbeiträge »obligatorisch« waren, könnte man sein Geld nicht abheben, ohne eine saftige Strafe hinnehmen zu müssen, und statt eines willkommenen früheren Rentenbeginns aufgrund der zusätzlichen Einzahlung wurde sogar ein höheres Renteneintrittsalter gefordert. In der Zwischenzeit hätten die besagten »obligatorischen Sparbeträge« nur den Investment-Pool der Wall-Street-Banker, die die Gelder kontrollieren, vergrößert.

Genau das könnte mit der Großoffensive zur Aufklärung der Öffentlichkeit über die Gefahren der hohen Staatsverschuldung beabsichtigt sein. Der Politikanalyst Jim Capo beschreibt eine Diashow von David M. Walker nach der Premiere von I.O.U.S.A., bei der dieser einen obligatorischer Sparplan ins Spiel brachte, der sich an dem Modell des Federal Thrift Savings Plan (FSP, einem anderen staatlichen Rentenplan) orientiert. Capo kommentiert:

»Der FSP, der Angestellten von Bundesbehörden, wie beispielsweise den Mitarbeitern der Kongressabgeordneten, offensteht, hat (zumindest auf dem Papier) einen Umfang von über 200 Milliarden Dollar. Ungefähr die Hälfte dieser Vermögenswerte besteht in Form von besonderen nicht übertragbaren US-Schatzwechseln, die eigens für diesen FSP-Plan aufgelegt worden sind. Die andere Hälfte ist in Aktien, Anleihen und Wertpapieren angelegt. … Die fast 100 Milliarden Dollar in [dieser] Hälfte des Plans werden von Blackrock Financial verwaltet. Und Blackrock Financial ist – jetzt kommt’s – ein Ableger von Mr. Petersons Blackstone Group. Tatsächlich sind der FSP und Blackstone wie zwei sich ergänzende Komponenten entstanden. Man kann eigentlich gar nichts falsch machen, wenn man eine Investitionsmanagement-Firma gründet und sich gleichzeitig einen Vertrag sichern kann, der einem einen Anteil der Gehälter von staatlichen Angestellten in die Hand gibt.«

 

Was mit »fiskalischer Verantwortung« wirklich gemeint ist

Dadurch erscheint die »fiskalische Verantwortung« in einem völlig anderen Licht. Anstatt für die Zukunft unserer Enkelkinder zu sparen – wie der Präsident es zu verstehen scheint –, ist es wohl eher ein Codewort dafür, öffentliche Gelder in private Hand zu überführen und der heute bereits ausgequetschten Mittelschicht eine zusätzliche Abgabe aufzubürden. Im Jargon des Internationalen Währungsfonds (IWF) heißt so etwas »Austeritätsmaßnahme«, und dagegen gehen die Menschen in Griechenland, Island und Lettland auf die Straße. Die Amerikaner demonstrieren nur deshalb nicht, weil hier niemand sagt, was wirklich geplant ist.

Man will uns glauben machen, die »fiskalische Verantwortung« (sprich: »Austerität«) diene zu unserem Besten, sie sei tatsächlich nötig, um das Land vor dem Bankrott zu bewahren. Bei der massiven Kampagne, mit der wir über die Gefahren der Staatsverschuldung aufgeklärt werden sollen, warnt man uns immer wieder, die Verschuldung sei gefährlich hoch. Wenn ausländische Geldgeber den Hahn zudrehten, müssten die USA den Staatsbankrott erklären, und all das sei der Fehler der Bürger, die zu viele Kredite aufgenommen und zu viel Geld ausgegeben hätten. Man ermahnt uns, den Gürtel enger zu schnallen und mehr zu sparen. Da wir uns diese Disziplin anscheinend nicht selbst auferlegen könnten, müsse das die Regierung für uns tun in Form eines Plans für »obligatorische Spareinlagen«. Die Amerikaner, die schon jetzt unter hoher Arbeitslosigkeit und Kürzung der öffentlichen Ausgaben zu leiden haben, müssten noch mehr Opfer bringen und einen größeren Teil der Zeche zahlen, genauso wie in den anderen hochverschuldeten Ländern, denen der IWF Austeritätsmaßnahmen aufzwingt.

Zu unserem Glück besteht zwischen der Verschuldung bei uns und der in Griechenland, Island oder Lettland jedoch ein großer Unterschied: Wir schulden unsere Schulden in US-Dollars, unserer eigenen Währung. Unsere Regierung kann ihre Solvenzprobleme lösen, indem sie das zur Abzahlung oder zur Refinanzierung ihrer Schulden erforderliche Geld einfach selbst erzeugt. Diese bewährte Lösung geht zurück bis auf die alte Interimswährung der amerikanischen Siedler und auf die »Greenbacks«, die Abraham Lincoln in Umlauf brachte, um Zinszahlungen in Höhe von 24 bis 36 Prozent zu vermeiden.

 

 

Wirtschaftliche Angstmache

Jede Diskussion über diese vernünftige Lösung wird unweigerlich mit dem Hinweis auf einen weiteren Mythos abgewürgt, den die Finanzelite seit Langem aufrechterhält – nämlich den, es führe zur Hyperinflation, wenn die Regierung die Geldmenge erhöhen dürfe. Anstatt von ihrem souveränen Recht Gebrauch machen zu können, die erforderliche Liquidität zu erzeugen, wird der Regierung gesagt, sie müsse Kredite aufnehmen. Kredite von wem? Von den Bankern natürlich. Und woher bekommen die Banker das Geld, das sie verleihen? Sie erzeugen es in ihren Büchern, genauso wie es die Regierung sonst getan hätte. Der Unterschied ist der: Wenn es die Banker erzeugen, fallen dabei saftige Gebühren in Form von Zinsen an.

Inzwischen versucht die Federal Reserve, die Geldmenge zu erhöhen; und statt an einer Hyperinflation leiden wir weiterhin an den Folgen einer Deflation. Auch wenn bei den Banken wie wild Geld hin- und hergeschoben wird, fließt kein Geld in die Realwirtschaft. Anstatt es an Unternehmen und Privatleute zu verleihen, spekulieren die größeren Banken damit oder kaufen kleinere Banken, Grundstücke, Farmen und Produktionskapazitäten auf, während die Kreditklemme auf der Main Street unverändert weitergeht. Nur die Regierung kann diese Fehlentwicklung korrigieren, indem sie mehr Geld für Projekte bereitstellt, die Arbeitsplätze schaffen, Dienstleistungen verfügbar machen und die Produktivität fördern. Es wirkt nicht inflationär, die Geldmenge zu erhöhen, wenn das Geld für ein Mehr an Waren und Dienstleistungen verwendet wird. Zur Inflation kommt es, wenn die »Nachfrage« (Geld) das »Angebot« (Waren und Dienstleistungen) übersteigt. Wenn Angebot und Nachfrage gleichzeitig wachsen, bleiben die Preise stabil.

Die Vorstellung, die Staatsverschuldung sei zu hoch, um zurückgezahlt werden zu können, und wir überließen diese Monsterlast unseren Enkeln, ist genauso eine Falschbehauptung. Die amerikanische Staatsverschuldung ist seit den Tagen von Andrew Jackson nicht abbezahlt worden und sie braucht auch nicht abbezahlt zu werden. Sie wird einfach von Jahr zu Jahr verlängert, die Geldmenge des Landes stützt sich allein auf den »full faith and credit« [volle Würdigung und Anerkennung, ein Passus aus Artikel IV der amerikanischen Verfassung]. Die einzige Gefahr, die von einer wachsenden Staatsverschuldung ausgeht, ist eine exponenziell steigende Zinslast, aber auch diese Gefahr hat sich bislang nicht materialisiert. Die Zinsen für die Staatsverschuldung sind seit 2006 sogar gesunken – von 406 auf 383 Milliarden Dollar –, weil die Fed die Zinsen auf einen sehr niedrigen Satz festgelegt hat.

Viel weiter können sie allerdings nicht gesenkt werden, sodass die Zinslast bei weiterer Staatsverschuldung steigen wird. Doch auch für dieses Problem gibt es eine Lösung. Die Regierung kann die Federal Reserve einfach anweisen, die Schulden aufzukaufen und es ihr untersagen, die entsprechenden Schuldverschreibungen an private Kreditgeber weiterzuverkaufen. Auf ihrer Website erklärt die Federal Reserve, sie überweise ihre Gewinne nach Abzug der eigenen Kosten an die Regierung, sodass für das Geld kaum Zinsen anfallen.

All die Angstmache darüber, die Wirtschaft bräche zusammen, wenn die Chinesen und andere Investoren unsere Schulden nicht mehr kauften, ist eine weitere Irreführung. Die Fed kann die Schulden selbst aufkaufen – was sie stillschweigend bereits tut. Das ist tatsächlich eine weit bessere Alternative, als die Schulden an Ausländer zu verkaufen, denn damit schulden wir die Schulden nur uns selbst, wie Roosevelts Berater dem Präsidenten seinerzeit versichert haben, als er in den 1930er-Jahren der Defizitpolitik zustimmte, und diese in Dollars verwandelten Schulden kosteten so gut wie keine Zinsen.

Besser noch wäre es, die Fed zu verstaatlichen oder abzuschaffen und die Regierung direkt mit Greenbacks zu finanzieren, wie Lincoln es getan hat. Die heutigen Aufgaben der Fed kann das Finanzministerium ohne Weiteres übernehmen, es fielen nur Verwaltungskosten an. Es gäbe keine Aktionäre und Anteilseigner, die Gewinne abziehen. Die Gewinne könnten vielmehr auf staatliche Konten zur Finanzierung des Bundeshaushalts oder der Haushalte von Bundesstaaten und Kommunen zu null Prozent oder zumindest sehr geringen Zinsen verwendet werden. Würden die Zinszahlungen wegfallen, könnten auf nationaler oder bundesstaatlicher Ebene die Steuern deutlich gesenkt werden. Die staatlichen Geldmanager würden sich nicht hinter einem Schleier der Geheimhaltung verstecken, sondern die Bücher für die Allgemeinheit öffnen.

Eine letzte Falschbehauptung ist der angeblich drohende Konkurs der Sozialversicherung. Die Sozialversicherung kann eigentlich gar nicht bankrott gehen, weil es sich dabei um ein Umlagesystem handelt. Mit den heutigen Beiträgen zur Sozialversicherung werden die heutigen Bezieher bezahlt, falls erforderlich, kann der Beitrag erhöht werden. Als Präsident Bush 2005 seine Kampagne zur Privatisierung der Sozialversicherung startete, schrieb der Washingtoner Ökonom Dean Baker:

»Die wichtigsten Schätzungen zeigen, dass das Programm ohne jede Veränderung bis 2042 alle Leistungen gewährleisten kann. Selbst nach 2042 wird die Sozialversicherung in der Lage sein, (inflationsbereinigt) mehr zu zahlen, als die heutigen Rentner erhalten, obwohl die Einzahlungen nur ungefähr 73 Prozent der voraussichtlichen Zahlungen betragen würden.«

Heute brauchen für Einkommen über 97.000 Dollar keine Beiträge zur Sozialversicherung entrichtet zu werden, wodurch die unteren Einkommensgruppen überproportional belastet werden. Schätzungen über den Verlauf der nächsten 75 Jahre zeigen, dass das prognostizierte Defizit beim Wegfall dieser Obergrenze verschwände. Bei der Debatte der demokratischen Präsidentschaftskandidaten im Herbst 2007 waren nur Barack Obama und Joe Biden bereit, diese wichtige Alternative ernsthaft in Erwägung zu ziehen. Präsident Obama müsste nur die Lösungen in die Tat umsetzen, für die er sich im Wahlkampf eingesetzt hat.

 

Eine Aufklärungskampagne, die wir wirklich brauchen

Was wirklich hinter den Kulissen geschieht, hat wohl Prof. Carroll Quigley, Bill Clintons Mentor bei der Georgetown University, am deutlichsten enthüllt. Als von den internationalen Bankern aufgebauter Insider hat Dr. Quigley 1966 in Tragedy and Hope (Tragödie und Hoffnung) geschrieben:

»Die Mächte des Finanzkapitalismus verfolgten noch ein weitreichendes Ziel, nämlich nichts Geringeres, als ein Weltsystem finanzieller Herrschaft in privaten Händen zu errichten, mit dem sich das politische System jedes Landes und jeder Volkswirtschaft beherrschen lässt. Dieses System sollte in feudalistischer Manier durch die Zentralbanken kontrolliert werden, die gemeinsam agierten, und zwar mithilfe von Geheimabkommen, die bei häufigen privaten Treffen und Konferenzen geschlossen würden.«

Wenn das tatsächlich der Plan ist, dann ist er bereits mehr oder weniger Wirklichkeit geworden. Wenn wir nicht endlich aufwachen und begreifen, was vor sich geht und einschreiten, dann haben die »Mächte des Finanzkapitalismus« freie Bahn. Anstatt auf die Straße zu gehen, sollten wir vor Gericht ziehen, Wählerinitiativen starten und unseren Gesetzgebern zu verstehen geben, dass die Vollmacht zur Geldschöpfung, die die Elite der Privatbanker dem amerikanischen Volk entrissen hat, wieder zurückerobert werden muss. Und dazu muss auch der Präsident aufwachen, dem bisher falsche Vorstellungen über die Bedrohung den Schlaf rauben.


__________

*Eine Anspielung auf Schuldscheine, IOU, »I owe you« – »Ich schulde Dir« – und USA.

 

Donnerstag, 11.03.2010

Kategorie: Wirtschaft & Finanzen, Politik

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L'Egypte, nouvel allié d'Israël

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Matteo BARNABEI :

L’Egypte, nouvel allié d’Israël

 

Le Caire voudrait exclure le Hamas de la conférence de Tripoli – Le leader de la Ligue Arabe se tait

 

Sur l’échiquier du Proche Orient, l’Egypte pourrait bientôt assumer un rôle de plus en plus prépondérant dans un sens pro-américain et pro-israélien. L’Egypte, désormais proche des positions de Washington et de Tel Aviv, prendra-t-elle prochainement la place qu’occupait Ankara dans le dispositif américain, lorsque la Turquie était le principal allié d’Israël dans la région. La donne a changé depuis la nouvelle ligne politique adoptée par la Turquie à la suite de l’opération « Plomb fondu ». Durant l’offensive armée des forces israéliennes contre le Hamas dans la Bande de Gaza, le premier ministre turc Erdogan a exprimé clairement son désaccord face à cette initiative musclée, tandis que le président égyptien Hosni Mubarak donnait son appui inconditionnel à l’Etat hébreu. Cet appui allait jusqu’à tolérer le bombardement d’une petite portion du territoire national égyptien, proche de la Bande de Gaza pour permettre aux Israéliens de frapper et de détruire les tunnels qui reliaient l’enclave palestinienne au monde extérieur.

 

Depuis ce moment-là, les coopérations israélo-égyptiennes de cette nature se sont poursuivies. Il suffit de penser aux opérations conjointes de l’armée égyptienne, de Tsahal et des forces américaines et à la construction d’une barrière très contestée, dite « barrière d’acier », tout au long des limites de la Bande de Gaza. L’aide que fournit l’Egypte à Tel Aviv n’est pas seulement d’ordre logistique et militaire mais aussi d’ordre politique. C’est probablement ce facteur politique qui s’avèrera le plus déterminant, vu le rôle prépondérant que joue l’Egypte au sein de la Ligue Arabe, en tant que puissance fondatrice et grâce au soutien américain ; la Ligue Arabe, rappelons-le, a toujours été présidée par un Egyptien, mis à part de brèves parenthèses, l’une tunisienne, l’autre libanaise. Ces jours-ci, nous assistons à un exemple macroscopique de la bienveillance que Le Caire montre désormais à l’égard de Tel Aviv. L’Egypte, depuis quelque temps, critique sévèrement le rôle du Hamas dans le monde arabe et ne reconnaît pas la légitimité de son gouvernement. On s’en doute, mais sans plus, depuis que les Egyptiens dénoncent les tentatives de rapprochement entre le Hamas et ses rivaux du Fatah. Ainsi, par exemple, lorsqu’une délégation de la Ligue Arabe s’est récemment rendue à Gaza pour exprimer son soutien à la population palestinienne et à l’exécutif local face à la menace israélienne, on a dû constater l’absence du président de l’organisation, l’Egyptien Amr Mussa, alors que l’initiative était importante. Amr Mussa ne s’est pas exprimé sur la question et, malgré les invitations réitérées du Hamas, ne s’est jamais rendu dans la bande de Gaza. Vendredi 19 février, tous les doutes quant à la position réelle de l’Egypte se sont évanouis car les déclarations émises par les instances gouvernementales égyptiennes dans les colonnes du quotidien « Al Misriyoon » font clairement savoir que la présence du mouvement islamiste palestinien au pouvoir à Gaza lors du sommet arabe qui se tiendra le mois prochain à Tripoli n’était pas souhaitée, vu qu’elle « pourrait avoir un impact négatif sur les négociations inter-palestiniennes ».

 

Les dirigeants égyptiens contestent la présence des délégués du Hamas lors de cette rencontre dans la mesure où seuls des représentants gouvernementaux y ont théoriquement accès. Il nous paraît inutile de rappeler que c’est le Hamas qui a gagné les élections en 2006, élections qui se sont tenues sous le regard d’observateurs internationaux, et non pas le mouvement guidé par l’actuel président de l’ANP, Mahmud Abbas. L’Egypte tire quelques bénéfices de son attitude. Contrairement à ce qui se passe en Iran, où le président a été élu par le peuple lors d’élections régulières, et où chaque fois que la police disperse une manifestation non autorisée, on crie au scandale et à la violation des « droits de l’homme », en Egypte, le pouvoir peut garder sa forme purement dictatoriale, sous un masque à peine dissimulant de démocratie. Chaque fois qu’il y a une élection en Egypte, personne ne se présente contre Mubarak et si, par hasard, quelqu’un venait à protester, il serait aussitôt arrêté. Cette situation n’intéresse ni Tel Aviv ni Washington ni aucun de leurs très fidèles alliés. Le gouvernement égyptien interdit toute manifestation en faveur du retour au pays de Muhammad el Baradei qui souhaiterait défier le président égyptien actuel lors de prochaines élections ; c’est anti-démocratique mais personne n’évoque cet interdit dans les milieux politiques conformistes en Europe ou ailleurs. Personne non plus, ni chef de gouvernement ni parti politique ni association humanitaire, n’a protesté contre l’arrestation de trois jeunes femmes coupables d’avoir manifesté en brandissant un portrait de l’ancien président de l’AIEA. Evidemment, puisque l’Egypte rend désormais de bons services à Washington et à Tel Aviv.

 

Il est temps que tombe le masque d’hypocrisie qui recouvre les yeux de tant d’observateurs politiques officiels et que l’on se rende compte que, dans les crises politiques internationales, notamment dans l’actuelle crise iranienne, l’intérêt véritable n’est pas le contenu de la déclaration des droits de l’homme  ou les principes de la liberté civile mais uniquement l’argent. [On apprend par ailleurs qu’un accord  sera signé entre l’Egypte et la Jordanie, d’une part, et Israël, d’autre part, pour la construction de nouvelles centrales énergétiques. Le site de la principale centrale sera situé sur le territoire égyptien, produira de l’électricité pour l’Egypte et pour Israël et vendra le surplus aux pays voisins sauf à la Bande de Gaza, précipitant cette dernière dans une précarité de plus en plus problématique…].

 

Matteo BARNABEI.

(article paru dans le quotidien « Rinascita », Rome, 20/21 février 2010 ; http://www.rinascita.eu/ ).

Aussenpolitik

BELANGRIJK :
Beste vrienden, Hier een vormingspaper van de jeudgorganisatie van de Oostenrijkse FPÖ over buitenlandse politiek.  Benutten voor eigen vorming, ook om de Atlantisch-Trotskistische-Neokonservative subversie te bestrijden, die door sommige koddige figuren in eigen rangen wordt geörkestreerd ! Niet vergeten : zonder een enge samenwerking tussen Oostenrijkers en Vlamingen op het gebied van buitenlandse politiek, zullen wij op Europees niveau NIETS bereiken. De Atlantisten zijn dus degenen, die onze inspanningen kelderen ! Weg ermee ! Het model in buitenlandse politiek is ofwel Oostenrijks ofwel Padanisch.
 

RFJ-Grundsatzreihe - Band 6
Außenpolitik
Verfasser: Andreas Zacharasiewicz
Alle Rechte sind dem Verfasser vorbehalten
Kontakt für Fragen und Anregungen: E-Post: a.zacharasiewicz@gmx.at
<mailto:a9651269@unet.univie.ac.at>
www.rfj-wien.at

europavvvvvbbbbbnnnn.jpgZusammenfassung
In einer zunehmend globalisierten Welt stellen sich Fragen der internationalen Politik für einen Staat um so drängender. Sie machen es für jede politische Gruppierung erforderlich, über ein logisch zusammenhängendes außenpolitisches Konzept zu verfügen, das in diesem Beitrag skizziert wird.

Dazu werden in Kap. 2 die globale Lage analysiert und die wichtigsten weltweiten Entwicklungen beschrieben. Zu diesen gehören: Die Herrschaft durch die einzige Weltmacht USA, die Globalisierung in Verbindung mit Tendenzen der Regionalisierung, ein Zusammenprallen der Kulturkreise (S. Huntington) und ein sukzessiver Niedergang des Westens.

Ein Rückblick auf die Geschichte Europas bestätigt den Bedeutungsverlust unseres Kontinents im letzten Jahrhundert (Kap. 3).

In dieser Situation lassen sich fünf langfristige Ziele für eine österreichische Außenpolitik heraus arbeiten, die aufgrund der weltweiten (wirtschaftlichen, demografischen, historischen und machtpolitischen) Entwicklung nur mehr in einem europäischen Kontext gedacht werden kann (Kap. 4).

Dazu zählt an erster Stelle in Anbetracht von Masseneinwanderungen und Geburtenschwund die Erhaltung der ethnischen Identität Europas, um den sozialen Frieden, den staatlichen Zusammenhalt, aber auch den unverwechselbaren Charakter der europäischen Völker zu erhalten. Vor allem der Prozess der Globalisierung bedroht die globale kulturelle Vielfalt und führt zu Vereinheitlichungstendenzen.

Gleichzeitig geht es darum, dass die europäischen Staaten in einem wirtschaftlichen Standortwettbewerb mit anderen Weltregionen konkurrenzfähig bleiben. Dazu bedarf es Steuersenkungen, innerstaatlicher Reformen und Budgetkonsolidierungen.

In verteidigungspolitischer Hinsicht gilt es auf nationaler, aber auch auf europäischer Ebene mehr Finanzmittel zur Verfügung zu stellen, um die Sicherheit und Unabhängigkeit Europas bewahren zu können (Transportkapazitäten, Satelliten!).

Die zuletzt von den USA geführten Kriege sind ungerechtfertigt, völkerrechtswidrig, nicht im europäischen Interesse und gefährden den Weltfrieden. Sie belegen aber die Notwendigkeit einer europäischen Einigung. Eine engere Zusammenarbeit mit Russland könnte den politischen Handlungsspielraum Europas vergrößern.

1. Einleitung: Österreich und die Weltpolitik

Sich auch mit der Außenpolitik des eigenen Staates auseinander zu setzen hat aus mehreren Gründen einen Sinn: 1.) verlangen Ereignisse der internationalen Politik, wie z.B. Krisen, Kriege, multilaterale[1] <#_ftn1> Abkommen, Wirtschaftskonferenzen, ...etc. eine klare Positionierung der Regierung, aber auch jeder politischen Gruppierung.
2.) Muss jede politische Gruppierung für sich über eine kohärente[2] <#_ftn2> , logisch nachvollziehbare Konzeption einer Außenpolitik verfügen. Diese Politik soll nicht nur auf das Verhalten anderer internationaler Akteure passiv reagieren, sondern sich auch aktiv aus den Werten der politischen Gruppierung ableiten.
 
Gerade weil Österreich ein kleiner Staat ist, ist es um so wichtiger, sich die Faktoren und Entwicklungen der internationalen Politik vor Augen zu führen, da die Republik Österreich stärker als ein großer Staat von den weltweiten Entwicklungen betroffen ist. Daher wollen wir zuerst in Kap. 2 die globale Entwicklung der internationalen Beziehungen analysieren und in Kap. 3 uns dann auf den europäischen Kontinent konzentrieren und in Kap. 4 eine kohärente Politik für Österreich in Europa entwerfen.

2. Die globale Lage

Die Lage der Weltpolitik hat sich durch den Fall der Berliner Mauer im Jahr 1989, den Zerfall des Ostblocks und der Auflösung der Sowjetunion im Jahr 1991 grundlegend geändert.

Davor war die internationale Politik durch die ideologische Konfrontation der zwei Machtblöcke Sowjetunion plus Verbündete und USA plus Verbündete geprägt. Eine dieser Konfliktlinien verlief mitten durch Europa und mitten durch Deutschland und Berlin (Berliner Mauer).

Nach der Auflösung des Ostblocks ist die internationale Politik von neuen Entwicklungen und Trends geprägt:

1.)   Eine Weltmacht: Als Sieger aus der ideologischen Konfrontation beider Blöcke gingen die USA hervor, die heute die einzig verbliebene Weltmacht darstellen. In allen Bereichen, die für eine globale Vorherrschaft wichtig sind, das sind militärische, wirtschaftliche, technische und kulturelle Macht, stehen die Vereinigten Staaten an der Spitze. Vor allem im militärischen Bereich verfügen die USA bekanntlich über eine Militärmacht und einen technischen Vorsprung, der Europa weiter hinter sich lässt. Die USA haben auch den Willen diese Macht selektiv für ihre Interessen einzusetzen.

2.)   Kulturelle Differenz: Nach dem Zerfall des Ostblocks treten ideologische Differenzen in der internationalen Politik in den Hintergrund und kulturelle und ethnische Differenzen gewinnen an Bedeutung. Die Völker und Staaten orientieren sich in ihrer Außenpolitik verstärkt nach ihrer jeweiligen kulturellen Zugehörigkeit zu einem der ca. acht weltweit existierenden Kulturkreise. Der weltbekannte Politologe Prof. Samuel Huntington zählt zu diesen Kulturkreisen: den westlichen, den islamischen, den sinischen, den japanischen, den hinduistischen, den orthodoxen, den lateinamerikanischen und (mit Einschränkungen) den afrikanischen (für Details vgl. Huntington 1997, 57f.). Jeder dieser Kulturkreise verfügt über ein unterschiedliches Wertesystem, das mit dem „Westen“ zwar Gemeinsamkeiten hat, aber auch entscheidende Differenzen. Die Welt wird daher zunehmend zu einem „Pluriversum“, in dem sich kulturelle Blöcke gegenüber stehen, die sich nicht auf einen gemeinsamen Nenner bringen lassen.

3.)   Niedergang des Westens: Obwohl, wie unter Punkt 1 erläutert, die USA im Moment unangefochten die dominierende Weltmacht sind, werden sich in den nächsten Jahren und Jahrzehnten die weltweiten Kräfteverhältnisse massiv verschieben (vgl. auch hier im Detail die Analysen bei Huntington 1997). Der „Westen“, damit meint Samuel Huntington v.a. die USA und West- und Mitteleuropa zusammen, werden in den nächsten Jahrzehnten an Einfluss in der Welt verlieren und die Macht anderer Kulturkreise wird steigen. So wird der Anteil der westlichen Bevölkerung an der Weltbevölkerung stark abnehmen, ebenso wie der Anteil an der globalen Wirtschaftsleistung. Gleichzeitig werden andere Kulturkreise stärker. So sind etwa die Staaten Südostasiens im Bereich der Wirtschaftsleistung auf dem Weg zur Weltspitze. Die nicht-westlichen Völker werden zunehmend alphabetisierter, gesünder und sind jünger als die überalterten Bevölkerungen des Westens. Der „Westen“ wird sich daher mit einer Reduktion seines Einflusses in Zukunft abfinden müssen, wenn er nicht mit den Völkern anderer Kulturkreise unnötig auf Konfrontationskurs segeln will. Bezüglich Huntington ist darauf hinzuweisen, dass zwischen Europa und den USA nicht unbeträchtliche Unterschiede existieren, die die gemeinsame Zusammenlegung zum „Westen“ nicht immer sinnvoll erscheinen lassen.

4.)   Globalisierung und Regionalisierung: Durch den Wegfall des „Eisernen Vorhangs“ verstärkt, kam es in den 1990er Jahren zu einem Prozess, der als „Globalisierung“ bezeichnet wird. Mit „Globalisierung“ ist ein Vorgang gemeint, der darin besteht, dass sich Handels- Kommunikations- und Finanzströme zunehmend vernetzen und in ihrem Umfang steigen. Diese Globalisierung führt auch dazu, dass sich die Konsumgewohnheiten, Lebensweisen und Werthaltungen der US-amerikanischen Zivilisation weiter global ausbreiten, da die USA in gewisser Weise das Zentrum der Globalisierung sind. Die Globalisierung ist daher auch eine Amerikanisierung. Parallel dazu und zum Teil als Reaktion darauf, kommt es zu einem Prozess der Regionalisierung, der wiederum zwei Facetten hat. Einerseits bilden sich auf kontinentaler Ebene einzelne große Macht- und Wirtschaftsblöcke, die zunehmend integriert sind. Dazu zählen etwa in Nordamerika die NAFTA[3] <#_ftn3> , als Bündnis der USA, Kanadas und Mexikos, in Europa die EU und in Asien die ASEAN[4] <#_ftn4> . Andererseits gewinnen auch die Regionen im Kleinen an Bedeutung. Es bilden sich an der „Basis“ zum Teil Widerstände gegen eine globale kulturelle Vereinheitlichung. Diese können unterschiedliche Formen annehmen, vom Protest einzelner Indiostämme in Mexiko, über das Streben nach Autonomie in europäischen Regionen, wie in Flandern, Norditalien („Padanien“), im Baskenland oder in Tschetschenien bis zum Aufbrechen von künstlich gezogenen Staatsnationen in Afrika.

3. Die europäische Lage – Rückblick

Wie stellt sich nun im Zusammenhang mit den oben beschriebenen langfristigen Entwicklungen die Lage Europas dar?

Innerhalb Europas bildet sich mit der Europäischen Union der global am stärksten integrierte Block heraus, über den einmal zutreffend gesagt wurde, er sei „wirtschaftlich ein Riese, politisch ein Zwerg und militärisch ein Wurm“.

Das war nicht immer so. Ein Blick zurück an den Beginn des 20.Jhts, oder ins 19.Jht. oder noch länger, zeigt uns, dass Europa früher das Zentrum weltweiter Macht war. So haben etwa zahlreiche Hochkulturen ihre Wurzeln in Europa (antikes Griechenland, Rom, ...etc.).

Aber bereits davor gab es frühe Hochkulturen, die über einen bemerkenswerten Entwicklungsstand verfügten, von denen spätere Kulturen profitieren konnten. So gab es etwa in Westeuropa die „atlantische Westkultur“, deren Angehörige die Erfinder des Pyramidenbaus waren. Diese atlantische Westkultur, auch „Megalithtreich“ genannt (Megalith = „Riesenstein“) tauchte mindestens 5000 Jahre v.d.Ztw. in Westeuropa auf (Stichwörter: Stonehenge, „Atlantis“) und erfand den Pyramidenbau (etliche Pyramidengräber in z.B. Frankreich zeugen noch heute davon). Ein Pyramidenbau, der viele Jahrhunderte später in der ägytischen Hochkultur seine gewaltige Vollendung fand (z.B. Cheopspyramide).

Auch auf die spätere Entwicklung können wir Europäer mit Stolz blicken. So haben sich unsere Vorfahren oft gegen die widrigsten Umstände und in den größten Gefahren bewährt. Es gelang wiederholt außereuropäische Eroberer aus Europa fern zu halten. So konnten die Hunnen im 5.Jht. n.t.Ztw. siegreich geschlagen werden[5] <#_ftn5> , der Einfall der Mongolen im 13.Jht. konnte abgewehrt werden, die Mauren konnten aus Spanien vertrieben werden und den Türkenanstürmen konnte 1529 und 1683 vor Wien standgehalten werden. Über all die Jahrhunderte hat sich Europa als „Wiege der Weißen“ bewährt.

Bis vor 150 Jahren - um 1850 - wurde der Großteil der Welt von europäischen Mächten beherrscht und die heute tonangebenden Mächte gab es noch gar nicht. Die USA waren zum Gutteil noch gar nicht besiedelt, Russland war eine Macht wie jede andere, Japan ein mittelalterlicher Feudalstaat.

Im 1.Weltkrieg änderte sich das grundlegend: In einem sinnlosen, selbstmörderischen Bruderkrieg mit der Hereinnahme einer raumfremden Macht - der USA - verliert Europa seine bis dahin bestehende, absolute, weltweite Vorrangstellung. England tritt seinen ersten Platz in der Weltrangliste an die USA ab, Frankreich und Deutschland sind „ausgeblutet“ und auch Italien ist kein wirklicher Sieger. Also ein Krieg, der auf dem europäischen Kontinent nur Verlierer und viel Elend zurücklässt.

Der 2.Weltkrieg, der im Wesentlichen eine Wiederholung des 1.Weltkrieges darstellte, war in seinen Auswirkungen für Europa noch katastrophaler. Osteuropa wurde von der UdSSR militärisch und ideologisch besetzt, Deutschland, das geografische Zentrum Europas, wurde von den einzigen Siegermächten USA und UdSSR geteilt, Westeuropa kam unter amerikanischen Einfluss.

Mit der welthistorischen Wende von 1989 eröffneten sich für uns Europäer völlig neue Möglichkeiten.


4. Österreich, Europa und die Herausforderungen des 21.Jhts.

 

Im Zusammenhang mit den in Kap. 2 genannten langfristigen Trends muss die österreichische Außenpolitik im Zusammenhang mit einer europäischen Außenpolitik gedacht werden. Was sind nun die Ziele einer solchen Politik?

Wir leben – wie gesagt – in einer globalisierten, kulturell gespalten und differenzierten, von einer einzigen Supermacht dominierten Welt und gleichzeitig in einem Kulturkreis, dessen Macht sich laufend reduziert. In dieser Situation kann das vorrangige Ziel nur sein:

Die Identität Österreichs zu bewahren.

Dabei geht es natürlich auch darum, die Identität Europas zu bewahren, da Europa zunehmend eine Schicksalsgemeinschaft ist. Auf globaler Ebene sollte das Ziel sein, die Vielfalt der Völker und Kulturen zu erhalten, da in dieser Vielfalt der kulturelle Reichtum der Menschheit liegt. Dieser Reichtum wird gegenwärtig durch Tendenzen der Globalisierung und Uniformisierung der Lebensweisen massiv bedroht. Folgende Ziele und Probleme, die natürlich auch in die Innenpolitik hinein spielen, sind vor allem zu beachten:

1.)  Die ethnische Identität Europas bewahren: Während in den „Entwicklungsländern“ die Bevölkerungen nach wie vor stark wachsen, sinkt die einheimische Bevölkerung in Europa seit einigen Jahren/Jahrzehnten kontinuierlich ab (vgl. dazu im Detail die „Grundsatzschrift Band 2“). Hier entsteht ein starker Einwanderungsdruck auf die europäischen Staaten, die wiederum einen Sog bilden. Auch steigt das Durchschnittsalter der Europäer laufend - Europa veraltert daher. Es ist daher alleine schon aufgrund des staatlichen Zusammenhalts, der inneren Sicherheit und des sozialen Friedens nötig, in den europäischen Staaten ein gewisses Mindestmaß an ethnischer Homogenität zu bewahren. Dieses Ziel, nämlich Europa als Wiege der Weißen zu bewahren bzw. die ethnische Identität Europas zu erhalten, kann als das gemeinsame Grundziel für alle europäischen patriotischen Parteien dienen, quasi als „kleinster gemeinsamer Nenner“. Hier ist eine gemeinsam überwachte europäische Außengrenze genauso notwendig wie ein einheitliches Asylsystem und eine geburtenfördernde Politik in Hinblick auf die europäische Bevölkerung. Ähnliches fordert Samuel Huntington übrigens auch für die USA, wo er die staatliche Handlungsfähigkeit durch die Verkünder einer „multikulturellen Gesellschaft“ untergraben sieht. Der Begriff „Festung Europa“ wird gegenüber den stark anwachsenden, leider oftmals verarmten und im politischen Chaos lebenden Bevölkerungsmassen des Südens, ein positiv besetzter Begriff werden.  Er wird einen Kontinent bezeichnen, der sich demgegenüber Wohlstand und Sicherheit bewahren kann – vorausgesetzt natürlich er grenzt sich strikt ab!

2.)  Global konkurrenzfähig bleiben: Die wirtschaftliche Globalisierung und die Öffnung des Ostblocks und der Volkrepublik China für internationale Investoren führt dazu, dass mehr und mehr Staaten sich in einem ökonomischen Konkurrenzkampf befinden. In einem globalen „Standortwettbewerb“ geht es darum, Investoren im eigenen Land zu behalten, wozu niedrige Steuern, hohes Bildungsniveau, geringe Staatsverschuldung und eine klare Rechtslage für Investoren wichtig sind. Man kann diesen internationalen Konkurrenzkampf bedauern und Alternativen anstreben (vgl. Punkt 3), aber nicht daran vorbei regieren und so tun, als ob diese Dinge einen nicht betreffen. Dies erfordert eine Sanierung der europäischen Staatshaushalte, Reformen in den Pensionssystemen, eine Entbürokratisierung, eine Steuervereinfachung und Steuersenkung, ein leistungsfähiges Bildungssystem, verstärkte Investitionen in Forschung & Entwicklung und andere politisch unbequeme Reformen.

3.)  Die Globalisierung gestalten (Kultur, Steuern, Terrorbekämpfung, ...): Der Prozess der Globalisierung ist kein Naturereignis, sondern das Produkt von willentlich gesetzten Maßnahmen, wie etwa der Deregulierung des Kapitalverkehrs. Die Globalisierung hat Vor- und Nachteile. Ihre Vorteile zu nutzen und ihre Nachteile abzumildern wird eine zentrale Aufgabe sein. Zu den Nachteilen gehört etwa, dass die Superreichen laufend noch reicher werden, während das Einkommen von Kleinverdienern stagniert, oder sogar schrumpft. Hier ist es notwendig, dass Steuerschlupflöcher weltweit geschlossen werden und eine transparente Rechtslage herrscht, die von genügend Beamten kontrolliert wird. Dies gilt auch für multinationale Unternehmen, die ihre Gewinne in Steueroasen sehr gering versteuern lassen und damit dem Zugriff des eigenen Staates entziehen. Um einen „Wettlauf nach unten“ bezüglich Steuer- Sozial- und Umweltstandards zu vermeiden, ist es notwendig, für die wirtschaftliche Sphäre globale Mindeststandards zu definieren. Schließlich wollen wir ja nicht, dass unsere Arbeiter mit Kinderarbeit und fehlender Mindestversicherung in Afrika und Asien konkurrieren müssen. Des weiteren wird man der grenzüberschreitenden Kriminalität und dem internationalen Terrorismus nur dadurch die Basis entziehen können, indem man in Europa keine ausländischen oder islamischen Ghettos entstehen lässt, also keine Einwanderung aus kulturfernen Räumen zulässt. Wie schon erwähnt, führt die Globalisierung auch zu einer kulturellen Vereinheitlichung auf globaler Ebene. Um die eigene Kultur dabei zu bewahren ist es notwendig, diese aktiv zu pflegen (Schule!). Dabei muss auch die eigene Sprache gepflegt und vor einem Übermaß an Anglizismen geschützt werden. Auf internationaler Ebene ist es wichtig, der eigenen Sprache einen höheren Stellenwert einzuräumen, etwa in internationalen Organisationen.

4.)  Den Frieden erhalten: Die zurückgehenden Machtressourcen des Westens und die steigenden Ressourcen nicht-westlicher Kulturkreise (vgl. Kap. 1) bringen Samuel Huntington dazu, eine defensive Außenpolitik zu empfehlen. Ein globaler Wertpluralismus ist zu akzeptieren, ein „Menschenrechtsfundamentalismus“ zu vermeiden und der eigene Staat zu konsolidieren. Nichts gefährdet den Weltfrieden mehr, als die Überheblichkeit einer Supermacht, die ihre eigenen Werte für absolut hält. Es ist schlimm, wenn man einen Krieg führen muss, noch schlimmer aber ist es, wenn man glaubt, die Kriege anderer führen zu müssen. Wenn die USA der Meinung sind einen Krieg irgendwo auf der Welt anfangen zu müssen, dann können wir Europäer sie ohnehin nicht daran hindern, sind aber töricht, wenn wir uns an einem solchen Krieg beteiligen. Die europäische Sicherheit wird am Hindukusch genauso wenig verteidigt, wie seinerzeit in Stalingrad oder in Bagdad, sondern an der europäischen Außengrenze. Grundsätzlich gilt, dass der Frieden leichter gewahrt werden kann, wenn jedes Volk in seinem Land selbstbestimmt leben kann (vgl. „Grundsatzschrift 4“, „Ethnopluralismus“). Hingegen kommt es in Vielvölkerstaaten (z.B. Ex-Jugoslawien) und in Staaten mit (unterdrückten) Minderheiten (z.B. Indonesien, Sri Lanka, Ruanda,... etc.) regelmäßig zu bewaffneten Konflikten.

5.)  Außenpolitisch handlungsfähig werden: Unter den geschilderten Umständen außenpolitisch handlungsfähig zu bleiben/werden ist nicht leicht. Es erfordert zum Einen eine enge Abstimmung mit den anderen europäischen Staaten um mit einer Stimme sprechen zu können. Andererseits erfordert es natürlich, dass für die eigene Verteidigung und Sicherheit auch die notwendigen finanziellen Mittel zur Verfügung gestellt werden. Dies auch innerhalb einer europäischen Verteidigungsarchitektur. Hier muss jeder Staat seinen Beitrag leisten. Hauptprobleme für Europa sind gegenwärtig in dem Bereich: fehlende Transportmöglichkeiten für Truppen (da Großraumhubschrauber und –flugzeuge fehlen), ein noch zu wenig ausgebautes europäisches Satellitenprogramm, damit Europa unabhängig von den USA sich Informationen beschaffen kann und der Bereich der Präzisionswaffen.  Eine gemeinsame europäische Rüstungsindustrie ist für größere Projekte (wie den „Eurofighter“) unumgänglich. Wenn die europäischen Staaten aber weiterhin nicht gewillt sind, für ihre Sicherheit mehr Geld auszugeben, dürfen sie sich nicht darüber beklagen, wenn sie sich im Schlepptau der USA befinden und international (etwa im Nahostkonflikt von Israel) nicht ernst genommen werden. Um die militärische und politische Schwäche Europas ausgleichen zu können und mehr Handlungsspielraum zu gewinnen, bietet sich eine engere geopolitische Zusammenarbeit mit Russland an. Russland kann vom technischen know-how der Europäer und vom europ. Investitionskapital profitieren und Europa von den Energieressourcen und Rohstoffen Russlands. Für politische Parteien ist es darüber hinaus unbedingt notwendig, sich auf europäischer Ebene zu Fraktionen zusammenzuschließen, da mittlerweile in Brüssel der Großteil der politischen Entscheidungen getroffen werden. Dies gilt vor allem auch für die FPÖ. Neben dem nationalen Interesse, das primär für die Außenpolitik entscheidend ist und noch vor dem globalen Interesse der gesamten Menschheit (Erderwärmung, Regenwald, Artensterben, ...etc.) gibt es eine mittlere Ebene auf europäischem Niveau, wo ebenfalls Interessen wahrgenommen werden müssen, die ich hoffe, hier in aller Kürze näher gebracht zu haben.

5. Literatur

Brzezinski, Zbigniew 1999: Die einzige Weltmacht; Amerikas Strategie der Vorherrschaft, Fischer Taschenbuch Verlag, 2. Auflage

Huntington, Samuel P. 1997: Der Kampf der Kulturen; The Clash of Civilizations. Die Neugestaltung der Weltpolitik im 21. Jahrhundert, Europaverlag München – Wien, 5. Auflage

Verlag Ploetz 1991: Volks-Ploetz; Auszug aus der Geschichte; Schul- und Volksausgabe; 5. Aktualisierte Auflage, Verlag Ploetz, Freiburg - Würzburg

Fußnoten :

[1] <#_ftnref1>  „multilateral“ (= „mehrseitig“) heißt, dass sich an einem Abkommen mehr als zwei Staaten beteiligen, z.B. bei internationalen Abkommen zum Schutz der Umwelt; das Gegenteil ist „bilateral“, also ein Abkommen zwischen nur zwei Staaten.

[2] <#_ftnref2>  „kohärent“ heißt „zusammenhängend“.

[3] <#_ftnref3>  NAFTA steht für „North American FreeTrade Area“, dt.: Nordamerikanische Freihandelszone.

[4] <#_ftnref4>  ASEAN ist die Abkürzung für „Association of South East Asian Nations“, dt.: Verband Südostasiatischer Staaten.

[5] <#_ftnref5>  Im Jahre 451 besiegen der Römer Aetius und die Westgoten unter ihrem König Theoderich I. (gefallen) in einer gewaltigen Schlacht die Hunnen unter Attila (=Etzel) in der „Schlacht auf den Katalaunischen Feldern“ bei Troyes (vgl. Volk-Ploetz 1991, 167).

mercredi, 17 mars 2010

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Les articles de Laurent Schang

Joseph Kessel en Sibérie

Entretien avec Jean-Dominique Merchet: "Nous sortons de l'époque des guerres faciles"

 

 

Wall Street a aidé la Grèce à dissimuler ses dettes et a attisé la crise européenne

Wall Street a aidé la Grèce à dissimuler ses dettes et a attisé la crise européenne

Voilà la traduction du fameux article du New York Times, qui a lancé la polémique il y a un mois.

Par des tactiques analogues à celles qui ont favorisé les subprimes aux USA, Wall Street a aggravé la crise financière qui ébranle la Grèce et sapé la solidité de l’euro, en permettant aux gouvernements européens de dissimuler la croissance de leur endettement.

Tandis que les soucis causés par la Grèce ébranlaient les marchés financiers, des interviews et articles montraient que, durant une décennie, ce pays avait, avec l’aide de Wall Street, tenté de contourner l’endettement maximum imposé par l’UE (Critères de convergence européens relatifs à la dette publique). Un «deal» créé par Goldman Sachs a aidé à faire échapper des milliards de dettes à la surveillance du budget à Bruxelles.

Alors que la crise était prête à exploser, les banques cherchaient encore des moyens de soutenir les efforts de la Grèce pour ne pas rendre de comptes. Début novembre – trois mois avant qu’Athènes ne devienne l’épi­centre d’un ébranlement planétaire du monde de la finance – une équipe de Goldman Sachs s’est rendue dans la cité antique pour faire à un gouvernement qui se débattait pour payer ses dettes une proposition fort moderne ; c’est ce que racontent deux personnes qui ont été instruites lors de cette rencontre.

Les banquiers – emmenés par Gary D. Cohn, Président de Goldman Sachs – ont fait miroiter un instrument financier qui aurait repoussé dans un lointain avenir l’endettement du système de santé grec – un peu comme des propriétaires en faillite prendraient une seconde hypothèque sur leur maison, pour amortir le découvert de leurs cartes de crédit.

Autrefois, cela avait fonctionné. Des familiers de la transaction ont dit qu’en 2001, peu après l’entrée de la Grèce dans l’Union monétaire européenne, Goldman Sachs avait aidé le gouvernement grec à emprunter en secret plusieurs milliards. Ce deal, dissimulé à l’opinion publique, puisqu’il avait été présenté davantage comme une transaction moné­taire que comme un emprunt, avait aidé Athènes à remplir les critères de déficit européens tout en continuant à dépenser au-delà de ses moyens.

Athènes n’a pas donné suite à la nou­velle proposition de Goldman Sachs, mais face à une Grèce qui croule sous les dettes et aux assurances de lui venir en aide fournies par ses voisins plus riches, les deals pratiqués au cours de la dernière décennie ont amené à se poser des questions sur le rôle de Wall Street dans le dernier épisode mondial des drames de la finance.

Tout comme lors de la crise des subprimes et de l’effondrement de l’American International Group AIG, les produits financiers dérivés jouaient un rôle dans l’énorme endettement de la Grèce. Il s’agissait d’instruments financiers que Goldman Sachs, J.P. Morgan Chase et d’autres banques avaient mis au point et qui permettaient à des politiciens grecs, italiens et d’autres encore, sans doute, de dissimuler de nouveaux emprunts.

Dans des douzaines de transactions à travers tout le continent, les banques consentaient des avances – en échange de paiements ultérieurs par les gouvernements, ces engagements n’étant pas mentionnés dans les livres de comptes. La Grèce avait, par ex­emple, abandonné les taxes aéroportuaires et les profits de la loterie nationale pour les années à venir.

Des voix critiques estiment que ces engagements, n’étant pas considérés comme des crédits, trompaient les investisseurs et les in­stances de régulation, quant à l’endettement effectif d’un pays.

Quelques-unes des transactions grecques avaient reçu des noms tirés de la mythologie. L’une d’elles, par exemple, avait été baptisée Eole, nom du dieu des vents.

La crise grecque représente cependant un défi majeur pour la devise européenne, l’euro, et pour la réalisation de l’unité économique du continent. Ce pays est, pour utiliser le jargon bancaire «to big to fail» – trop grand pour qu’on le laisse s’effondrer. Car la Grèce doit au monde 300 milliards de dollars, et de grosses banques frétillent à l’hameçon dont l’appât est constitué par une bonne partie de ces dettes. Un refus de paiements aurait des conséquences dans le monde entier.

Une porte-parole du ministère grec des Finances a déclaré qu’au cours des derniers mois, le gouvernement a rencontré un grand nombre de banques et n’a pris d’engagements envers aucune. Selon elle, tous les financements de la dette «seront menés avec un grand souci de transparence». Goldman et J.P. Morgan n’ont pas souhaité s’exprimer.

Si les manipulations de Wall Street ont éveillé peu d’attention sur la côte ouest de l’Atlantique, elles ont été sévèrement critiquées en Grèce et en Allemagne par le Spiegel. «Les politiciens voudraient faire avancer les choses et dès qu’une banque leur donne les moyens de repousser un problème à plus tard, ils tombent dans le panneau», a déclaré Gikas A. Hardouvelis, économiste et ex-fonctionnaire du gouvernement, qui a contribué à la rédaction du dernier rapport sur les pratiques comptables grecques.

Wall Street n’a pas créé le problème de l’endettement européen. Mais ce sont des banquiers qui ont fourni à la Grèce et à d’autres pays la possibilité de s’endetter au-delà de leurs moyens, et par le biais de trans­actions parfaitement légales. Il existe peu de règles relatives à la manière dont un pays doit lever des fonds pour financer son armement ou son système de santé, par exemple. Le marché de la dette publique – c’est ce que Wall Street entend par «obligations d’Etat» est aussi extensible que gigantesque.

«Quand un gouvernement veut tricher, il peut le faire», dit Garry Schinasi, un vieux briscard du département de surveillance des marchés financiers du Fonds monétaire international, qui observe la fragilité du marché mondial des capitaux.

Les banques ont exploité à fond ce qui représente, pour elles, une symbiose extrêmement lucrative avec les gouvernements dépensiers. Alors que la Grèce n’a fait aucun usage de la proposition de Goldman Sachs de novembre 2009, elle a payé à cette banque plus de 300 millions de dollars au titre de la transaction de 2001, selon les affirmations de plusieurs banquiers bien au courant.

Ce genre de produits dérivés, qui ne sont ni documentés ni déclarés publiquement, contribuent à augmenter encore l’incertitude sur l’ampleur des problèmes grecs et sur l’identité d’autres gouvernements qui auraient pratiqué une comptabilité analogue, ne figurant dans aucun bilan.

L’onde de défiance inonde maintenant les autres pays situés en périphérie de l’­Europe et qui connaissent des difficultés écono­miques, tout en rendant difficile l’accès aux crédits pour certains pays, dont l’Italie, l’Espagne et le Portugal.

Pour unifier l’Europe sous la ban­nière d’une devise unique, on avait créé l’euro avec un péché originel : certains pays – notamment l’Italie et la Grèce – étaient entrés dans la zone euro avec des déficits supérieurs à ceux qu’autorise le traité qui avait créé la devise. Au lieu d’augmenter les impôts ou de réduire leurs dépenses, ces pays ont réduit artificiellement leurs déficits en recourant à des produits dérivés.

Les produits dérivés ne sont pas forcément une mauvaise chose. La transaction de 2001 incluait un produit dérivé connu sous le nom de «swap». Cet instrument, dit «échange de taux d’intérêts», peut aider des pays ou des entreprises à maîtriser les fluctuations du coût de leurs crédits, en échangeant un taux fixe contre un taux variable et inversement. Une autre forme, les swaps de devises, peut atténuer les effets de la volatilité des taux de change.

Mais, grâce à J.P. Morgan, l’Italie a fait mieux encore. En dépit de la persistance de déficits élevés, elle a réussi en 1996, grâce à un produit dérivé, à rendre son budget accep­table, au moyen d’un échange de devises avec J.P. Morgan, à un taux de change favo­rable à la Grèce, ce qui a permis au gouvernement de disposer [de] davantage d’argent. En contrepartie, l’Italie s’est engagée à effectuer des paiements ultérieurs, non enregistrés comme contraignants.

«Les produits dérivés sont un instrument très utile», selon Gustavo Piga, professeur d’économie, qui a rédigé sur la transaction italienne un rapport destiné au Council on Foreign Relations. «Ils ne deviennent dangereux que s’ils servent à enjoliver le bilan.»

En Grèce, on s’est livré à encore plus d’acrobaties financières. On en est arrivé à un marché aux puces à l’échelon national, quand les représentants des autorités ont mis en gage les autoroutes et aéroports, pour se procurer un argent dont on avait un besoin urgent.

Grâce à Eole, une écriture comptable légalement créée en 2001, la Grèce a pu, cette année-là, réduire les dettes qu’affichait son bilan. La transaction prévoyait, entre autres, une avance de liquidités à la Grèce, en ­échange de la cession de futures redevances aéroportuaires. Un deal analogue, Ariane, daté de 2000, a englouti les recettes que le gouvernement tire de la loterie nationale. En dépit des doutes exprimés par beaucoup, la Grèce a classé ces transactions comme ventes, et non comme emprunts.

Les transactions de cette sorte sont très contestées dans les milieux gouvernementaux. Dès 2000, les ministres européens des Finances ont débattu avec âpreté pour savoir s’il fallait, ou non, publier les recours aux produits dérivés utilisés de manière créative en comptabilité.

La réponse a été négative. Mais, en 2002, on a exigé la publication de la comptabilité concernant les Ariane et Eole, qui ne figuraient pas dans le bilan budgétaire des pays, et invité les gouvernements à faire une nouvelle déclaration où ils apparaissent non comme ventes, mais comme crédits.

Toutefois Eurostat, l’Office statistique des Communautés européennes, déclarait en­core en 2008 que «dans un grand nombre de cas, les opérations de titrisation des crédits sont agencées de manière à obtenir, prétendument, un résultat comptable donné, sans tenir compte de la valeur économique réelle de l’opération.» De tels artifices comptables peuvent être profitables à court terme, mais se révéler dévastateurs au fil du temps.

George Alogoskoufis – lors d’un remaniement politique, [il] a été ministre des Finances en Grèce, après le deal avec Goldman – a cri­tiqué, en 2005, cette transaction, devant le Parlement. Celle-ci obligerait le gouvernement, arguait-il, à effectuer de très lourds paiements à Goldman jusqu’en 2019.

Alogoskoufis, qui démissionna un an plus tard, a déclaré la semaine dernière par mail que Goldman avait accepté par la suite une refonte de la transaction «pour restaurer la bienveillance de la République hellène». Selon lui, le nouveau projet était meilleur pour la Grèce.

Selon deux personnes au courant de la transaction, Goldman Sachs a vendu en 2005 le swap de taux d’intérêt à la Banque nationale de Grèce, la principale banque du pays. En 2008, avec l’aide de Goldman Sachs, la banque a inclus le swap dans une écriture juridique baptisée Titlos. Selon Dealogic, un établissement de recherches sur la finance, la banque a conservé les reconnaissances de dettes de Titlos, pour les présenter comme des garanties permettant d’obtenir davantage de crédits de la BCE.

Edward Manchester, premier vice-président de l’agence de notation de solvabilité Moody’s, a déclaré que, vu les engagements à long terme, la Grèce serait en fin de compte la perdante. Selon lui, «le swap Titlos restera toujours non rentable pour le gouvernement grec.»

Source : New York Times – International Herald Tribune du 14 février 2010

L'OTAN: un pacte militaire en quête de sens

Bernhard TOMASCHITZ :

L’OTAN : un pacte militaire en quête de sens

 

Désormais, l’OTAN veut agir globalement pour asseoir l’hégémonie américaine

 

otan1.jpgDeux décennies après la fin de la Guerre Froide, l’OTAN est toujours à la recherche de nouveaux objectifs. On peut déjà deviner dans quelle direction portera la « nouvelle stratégie », décidée fin 2009 lors du Sommet de l’OTAN. L’Alliance atlantique cherche surtout à se donner une nouvelle justification en optant pour des missions en dehors de la zone où elle est sensée agir, des missions qualifiées en anglais de « out of area ». « A une époque d’insécurité globalisée, nous devons amorcer une défense au-delà de nos frontières », a déclaré le Secrétaire général de l’OTAN, Anders Fogh Rasmussen, lors d’une conférence sur la sécurité tenue à Munich.

 

Aujourd’hui déjà, le pacte militaire occidental et ses membres s’efforcent de se défendre « hors zone », notamment en Afghanistan. Dans le pays où se dresse la chaine montagneuse de l’Hindou Kouch, stationne une « armée de protection », l’ISAF, qui est placée sous le commandement de l’OTAN ; elle y agit toutefois sur base d’une résolution du Conseil de Sécurité de l’ONU. Dans l’avenir pourtant, on envisage de faire intervenir l’OTAN sans l’autorisation des Nations Unies, lorsque ses intérêts, ou mieux, les intérêts de Washington, sont en jeu. Car l’OTAN doit devenir, comme l’estime son Secrétaire général Rasmussen, un « forum consultatif pour les questions internationales de sécurité ».

 

Avec cette revendication globale d’hégémonie, on cherche bien évidemment à protéger, surtout contre la Chine, la position hégémonique des Etats-Unis dans le monde. Finalement, l’OTAN, comme le soulignait Rasmussen à Munich, « est surtout et avant tout une alliance transatlantique ; notre centre de gravité restera l’alliance entre l’Europe et l’Amérique du Nord ». Mais comme l’OTAN et les Etats-Unis ne pourront plus agir seuls désormais, il leur faut systématiquement mobiliser « d’autres acteurs importants » et on songe en premier lieu à la Russie. Dans ce contexte, c’est surtout le contrôle des immenses richesses du sol russe qui joue le rôle primordial, richesses que recèlent la Sibérie et l’Extrême Orient russes, peu peuplés.

 

Depuis longtemps dans le collimateur de Washington se trouvent également les incalculables réserves de matières premières des républiques centre-asiatiques, surtout celles de gaz et de pétrole. Dans le projet d’amener ces Etats dans la sphère d’influence américaine, la Turquie joue un rôle clef parce qu’elle possède d’étroites affinités linguistiques et culturelles avec les peuples turcophones d’Asie centrale. La Turquie, membre de l’OTAN, a des « intérêts spéciaux en Asie centrale », comme le dit avec insistance Zbigniew Brzezinski, conseiller toujours très influent pour la Sécurité nationale et cela, depuis le temps où il servait l’ancien président américain Jimmy Carter.

 

Pour ce qui concerne les manœuvres destinées à contrôler la Russie, les stratèges de Washington et du Quartier Général de l’OTAN à Mons en Belgique semblent suivre une double stratégie : d’une part, ils essaient de mettre la Russie devant le fait accompli en élargissant continuellement l’OTAN en direction des frontières russes ; d’autre part, ils misent sur le facteur temps. Zbigniew Brzezinski pense que les « ambitions impériales » de la Russie constituent actuellement un frein à l’inclusion de la Russie dans une « communauté euro-atlantique ». Mais il espère, en même temps, qu’une nouvelle génération de dirigeants russes reconnaîtra bientôt que renoncer aux « ambitions impériales » va dans le sens des « intérêts fondamentaux de la Russie ». Ensuite, Brzezinski espère que le terrible déclin démographique de la Russie poussera Moscou dans les bras de l’Occident. Encerclé par 500 millions d’Européens à l’Ouest et 1,5 milliard de Chinois à l’Est, le Kremlin, pour assurer un contrôle sur ses propres matières premières situées dans des régions peu peuplées, n’aurait, d’après les arguments avancés par Brzezinski, pas d’autre choix que de coopérer avec l’OTAN.

 

Mais la Russie, pour de bonnes raisons, ne perçoit pas l’OTAN comme un partenaire potentiel mais comme un adversaire. Le 5 février 2010, le jour même où l’on ouvrait la Conférence de Munich sur la sécurité, le Président Dimitri Medvedev donnait son blanc seing à la nouvelle doctrine militaire russe, destinée à demeurer en vigueur jusqu’en 2020. Dans le document qui établit cette doctrine, les militaires russes critiquent le fait que « les infrastructures militaires de l’OTAN » se rapprochent de plus en plus des frontières de la Russie ; ils estiment en outre que la mise en place d’un « système stratégique anti-missiles » constitue une menace pour la sécurité de la Russie et, qui plus est, une entorse à « l’équilibre global des forces ». Certes, on peut dire que le gouvernement d’Obama a renoncé à installer un système anti-missiles en Pologne et en Tchécoslovaquie mais, en lieu et place de cette installation préalablement prévue par les Américains, on apprend qu’un « traité bilatéral » vient d’être signé avec la Roumanie, prévoyant la mise en place d’un système de même type dans ce pays d’ici à l’année 2015, afin, prétend-on, de parer à la menace de missiles iraniens. Les militaires russes réservent toutefois leurs critiques les plus acerbes au plan américain de déployer des navires Aegis, disposant de missiles SM-3, dans les eaux de la Mer Noire. Car, selon les clauses du Traité de Montreux de 1936, auquel tant la Russie que la Roumanie ont adhéré, les navires de guerre de pays non riverains ne peuvent circuler plus de 21 jours consécutifs en Mer Noire.

 

Moscou observe aussi avec grande méfiance la constitution en août 2009 du « Conseil des Sages de l’OTAN » qui a pour tâche d’élaborer les nouvelles stratégies du pacte militaire. La présidente de ce caucus de douze personnalités n’est autre que l’ancienne ministre américaine des affaires étrangères, Madeleine Albright. Lors de son mandat, en 1999, l’OTAN avait attaqué la Serbie par la voie des airs. Parmi les autres membres de « Conseil des Sages », il faut compter Geoff Hoon. Ce Britannique était le ministre des affaires étrangères du gouvernement Blair, lorsqu’en mars 2003, la Grande-Bretagne avait fait entrer ses troupes en Irak, aux côtés de celles des Etats-Unis.

 

Bernhard TOMASCHITZ.

(article paru dans l’hebdomadaire viennois « zur Zeit », n°7/2010 ; trad.. franc. : Robert Steuckers).    

La dérive de la diplomatie turque utilise son négationnisme cynique et imperturbable

La dérive de la diplomatie turque
utilise son négationnisme cynique et imperturberdoganryad.jpgable

Jean-Gilles MALLIARAKIS /
http://www.insolent.fr/
Ce 8 mars, le Premier ministre turc Erdogan, se rendait à Riyad. Le roi d'Arabie Abdallah, allait lui décerner le prix international du Roi Fayçal pour "Services rendus à l'islam". Cette distinction, créée en 1979, est présentée pompeusement comme une sorte de prix Nobel du monde arabe. À ce titre, l'heureux lauréat recevait 200 grammes d'or et 200 000 dollars américains.

Dans mon petit livre d'initiation des Européens à la question turque (1) je livre un certain nombre de clefs explicatives de l'attitude et des actes d'Ankara.

Nous nous trouvons en présence de tendances longues. Certes, pour mes amis lecteurs, et [heureusement] pour quelques autres, celles-ci ne relèvent d'aucune sorte de mystère. Hélas, de manière étrange, nos dirigeants se plaisent à les ignorer.

La distinction reçue des mains du plus puissant représentant de la finance islamique le confirme (2). Les déclarations du roi et de son entourage mériteraient une plus large analyse. Il s'agit de donner une "approbation solennelle à ses efforts d'intermédiation au Proche et au Moyen-Orient". Et de citer son rôle actif "auprès de l'Iran, de la Syrie, du Yémen et du Hamas". Ceci le place désormais "à la tête du monde musulman" (3). Belle revanche posthume du califat ottoman.

Il demeure toutefois candidat à la qualité de membre à part entière au sein de l'Union européenne. Et un personnage comme Zapatero, au pouvoir à Madrid et occupant la "présidence tournante" de l'Union, l'y encourage.

Au-delà même du symbole, le récipiendaire profitait encore de la circonstance pour confirmer tout ce que l'on semble, de plus en plus, découvrir des nouvelles inclinations proches orientales de son gouvernement. Ne perdons jamais de vue, d'ailleurs, la part de faux-semblant, de communication et de mise en scène dans l'ensemble de cette subtile intrigue (4).

Or, en parallèle, les mêmes bureaux d'Ankara viennent d'administrer la preuve de leur incompréhension totale des références et des jugements de l'occident. Et cela se manifeste autour de la question historique du génocide arménien. Rappelons à cet égard que le fait même d'écrire ce mot, apparu en 1945, avec des guillemets pourrait tomber désormais en France sous le coup de la loi.

Au contraire, la position turque officielle persiste

1° à ergoter sur le nombre de victimes arméniennes qu'elle cherche à abaisser, du nombre habituellement admis, entre 1,5 et 2 millions de morts, à une fourchette de 300 000 à 500 000, sans se rendre compte que ce marchandage lui-même produit le plus déplorable effet.

2° à nier l'existence - d'une campagne d'extermination en dépit de la publication des télégrammes de Talaat pacha, et d'autres documents, écrits (5), témoignages habituellement considérés comme des preuves par les occidentaux.

3° à ne vouloir voir dans ces disparitions de populations entières que la conséquence du "chaos des dernières années de l'Empire ottoman".

Or très précisément cette vague évocation des événements aurait permis à n'importe quel régime démocratique européen de se défausser des fautes commises par ses prédécesseurs. Il les leur aurait imputés raisonnablement ; et il offrirait aux représentants des victimes des excuses, plus ou moins dignes, plus ou moins valables. (6)

La récente passe d'armes entre Américains et Turcs tend à démontrer l'incapacité des dirigeants de ce dernier pays à se comporter d'une telle manière. Repentance, connaît pas. Ils la jugent indigne de leur ombrageuse fierté nationale.

Une nouvelle expérience vient ainsi de se dérouler entre une commission du Congrès américain et le ministre des Affaires étrangères de l'AKP, M. Ahmet Davutoglou.

À Washington, le 5 mars, la commission des Affaires étrangères de la Chambre des représentants appelle le président des États-Unis à "qualifier de façon précise l'extermination systématique et délibérée de 1 500 000 Arméniens, de génocide". Président de cette commission, Howard Berman, a estimé que "rien ne justifie que la Turquie ignore la réalité du génocide arménien". Juste avant le vote le porte-parole du département d'État, M. Philip Crowley avait indiqué cependant que les Etats-Unis sont favorables à "une reconnaissance entière, franche et juste des faits liés aux événements historiques de 1915" en ajoutant toutefois que "Nous nous inquiétons de l'impact possible (de la résolution) sur les pays affectés".

On doit remarquer que ce vote, acquis par une courte majorité, 23 voix contre 22, est principalement dû au ralliement des élus démocrates. Les républicains se montrent en général assez hostiles à ce genre de considérations.

Sous la présidence précédente, une résolution analogue avait été censurée en 2007 par la Maison-Blanche, sous la pression. GW Bush était même intervenu personnellement, en téléphonant chez eux à divers élus (7) Et lors du dernier débat le porte parole de la droite avait considéré que, malgré sa sympathie pour les victimes, nous vivions au XXIe siècle.

La réaction de la Turquie officielle s'est donc d'autant moins fait attendre qu'elle mesure les points faibles de la démocratie américaine. Immédiatement est partie d'Ankara une protestation en forme d'avertissement : "Nous condamnons cette résolution qui accuse la nation turque d'un crime qu'elle n'a pas commis".

Lors de sa campagne présidentielle de 2008, M. Obama avait promis cette reconnaissance du génocide arménien. Peu après son élection, il a renoncé à employer ce terme alors que les États-Unis soutiennent les efforts de normalisation en cours entre la Turquie et l'Arménie pour l'ouverture de la frontière commune et l'établissement de relations diplomatiques. Idem de la part de Hillary Clinton, venue le 2 mars devant la commission pour exprimer ses réserves quant à l'opportunité de cette motion H252 dont elle approuvait le propos tant qu'elle n'occupait pas la fonction de secrétaire d'État.

Au lieu de se situer sur la défensive, de son côté, la diplomatie turque, pratique directement la menace. "À la suite de cet incident, notre ambassadeur à Washington, Namik Tan, a été rappelé à Ankara pour consultations". Le 10 mars le chef du gouvernement confirmait que jusqu'à nouvel ordre il ne reviendra pas.

Le chef de l'État Abdullah Gül a également condamné le texte voté : il n'a "aucune valeur aux yeux du peuple turc", a-t-il dit. Et il a ajouté : "La Turquie ne sera pas responsable des conséquences négatives que ce vote pourrait avoir dans tous les domaines".

Or l'objection de Mme Clinton, — "cela pourrait dresser, dit-elle, des obstacles devant la normalisation des relations" entre la Turquie et l'Arménie" – dissimule une difficulté beaucoup plus grave pour la diplomatie américaine. Le partenaire et allié de l'Otan, qui se dit offensé, joue un rôle essentiel dans les opérations militaires en Irak. Il fait valoir que, par la base d'Incirlik, en Anatolie, transite une part essentielle des aéronefs, des personnels et du ravitaillement nécessaires aux belligérants de la coalition (8). Il participe de façon considérable à la guerre d'Afghanistan. Et il menace de se solidariser avec l'Iran.

Accessoirement tout me donne à penser que sa politique dans l'ensemble du Proche-Orient joue un certain rôle… où l'Égypte a échoué… où le président actuel de tous les Français imaginait se substituer à celle-ci… et qui correspond aux desiderata profonds du gouvernement de Washington et de la finance pétrolière.

"L'intervention des politiques dans le domaine des historiens a toujours eu des effets négatifs" disent régulièrement au sujet des massacres de 1915 les communiqués officiels turcs.

J'aime cette réflexion, surtout lorsqu'elle vient de la part des politiques eux-mêmes.

Tout cela me semble confirmer le sentiment que j'exprime (9), celui de l'incongruité de prétendre intégrer ce beau et grand pays d'Asie mineure à l'Union européenne.
JG Malliarakis


Apostilles

  1. cf. "La Question turque et l'Europe" chapitre "La chauve-souris et sa diplomatie" pages 111 et suivantes.
  2. cf. "La Question turque et l'Europe" chapitre "Instrumentalisation de l'islam" pages 105 et suivantes.
  3. cf. Kathimerini le 11 mars 2010. Article " I saoudiki Aravia apéminé to vravio Vassilias Faïsal ston Erdoghan" [L'Arabie saoudite décerne le prix "roi Fayçal" à Erdogan.]
  4. À noter ainsi que l'annonce de cette attribution du prix a été faite en janvier. À la suite de quoi, M. Erdogan a annoncé qu'il ne se rendrait plus à Davos, haut lieu, un an plus tôt, de son esclandre anti-israélienne de janvier 2009, qui lui a valu tant de popularité dans Moyen Orient. Cf. http://www.mejliss.com/showthread.php?t=505791
  5. Dans "La Question turque et l'Europe" au chapitre "Faux dialogue avec un faux islam" aux pages 130 et suivantes, je donne ainsi quelques éclaircissements sur la fameuse citation "poétique" d'Erdogan qui lui valut ses ennuis judiciaires, aujourd'hui oubliés.
  6. cf. "La Question turque et l'Europe" chapitre "Racines jacobines des crimes turcs" pages 79 et suivantes.
  7. cf. Ovipot bulletin du 16 octobre 2007.
  8. Cet argument ne semble pas convaincre le site arménien très bien documenté du collectif Van. Cf article traduit ses soins publié par le Turkish Daily News le 23 février 2007. dans "La Question turque et l'Europe".

Obama: Yes, we can kill

Obama: Yes, we can kill

Gerhard Wisnewski / Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Tja, unser Barack Obama. Hat man doch gleich geahnt, dass »Yes, we can« irgendwie unvollständig ist. Der gute Barack wollte uns einfach nicht sagen, was wir nun eigentlich können. Nun wissen wir es: »Yes, we can kill« …

obama-chosen-one.jpgIrgendwie sind seine Fans ziemlich still geworden. Kein Wunder: Da killt er in Pakistan fröhlich vor sich hin und knipst »Terroristen«, aber auch Zivilisten von der Luft aus ab. Mit ferngelenkten Drohnen. Ist ungefähr so wie ein Videospiel. Jemand sitzt an einem Bildschirm und betätigt einen Stick – und »paff«: Weg ist der Terrorist. Oder wer auch immer. Denn natürlich kann man Terroristen von Zivilisten gar nicht unterscheiden. Es ist ja das Wesen des Terroristen, dass er in zivil unterwegs ist. Uniformiert ist nur eine reguläre Truppe. Befindet sich der Terrorist in Wirklichkeit also gar nicht am Boden, sondern quasi am anderen Ende des Sticks? Oder gar im Weißen Haus? Das zu beweisen, erfordert nur ein wenig simple Logik.

»Darf ein demokratischer Rechtsstaat per Mausklick töten?«, grämt sich das Zentralorgan »Spiegel Online« angesichts des US-Drohnenkrieges gegen »Al-Qaida« in Pakistan. Eine gute Frage, die aber zu kurz greift. Denn entscheidend ist ja nicht die bloße Technik, sondern die Frage, ob ein demokratischer Rechtsstaat überhaupt relativ wahllos Menschen massakrieren darf – ohne Gerichtsverfahren, ohne Urteil. Und selbstverständlich auch ohne Beweise. Denn wen die USA nun warum zum »Terroristen« ernennen – womöglich h.c. –, bleibt im Wesentlichen ihr Geheimnis. Die wirkliche Frage muss daher lauten: »Kann ein Staat, der relativ wahllos Menschen tötet, ein demokratischer Rechtsstaat sein?« Und die Antwort lautet natürlich nein. So etwas kann nur ein menschenverachtendes Regime tun.

Die Faustregel für uns heißt daher: Terrorist ist der, der von irgendeinem Terroristen in der CIA, im US-Militär oder in der US-Regierung dazu ernannt wird. »Terroristen« in der US-Regierung? Na klar: Denn während der erklärte Terrorist relativ irreal und unbestimmt bleibt, ist der unstreitig reale Terrorist der, der den Joystick betätigt – und natürlich der, der die Befehle dazu gibt. Denn dass er wirklich abknallt, wer ihm gerade vor die Drohne läuft, wird ja ganz offiziell eingeräumt. Ob dagegen das arme Schwein, das da unten am Boden von Raketen zerfetzt wird, wirklich ein Terrorist ist, ist durchaus unklar.

Klar dagegen ist, dass die Befehlshaber und -empfänger in den USA gegen jedes Menschenrecht andere Menschen töten. Und das ist ziemlich genau die Definition von »Terrorist«. Ja, es ist sogar der Wesenskern des Terrorismus (von lat. »terror« = Schrecken), dass er ebenso wahl-  wie scheinbar sinnlos zuschlägt. Dass also jeder ständig unter der Todesdrohung leben muss. Was man auch die »Strategie der Spannung« nennt. Denn klar ist ferner, dass zumindest die Dutzenden von Zivilisten um die »Zielperson« herum mit Terrorismus in der Regel überhaupt nichts zu tun haben, und dennoch liquidiert werden – einfach, weil sie in der Nähe waren.

Aber zum Glück haben wir ja noch die freie Presse, wie etwa Spiegel Online, die das alles aufdeckt. Allerdings bestimmt nicht, um einen Skandal zu entfachen oder Obama an den Pranger zu stellen. Sondern um die Massen an den Gedanken zu gewöhnen,  dass es gerechtfertigt sein kann, wahllos Zivilisten umzubringen.

Am 5. August 2009 zum Beispiel sei es gelungen, einen Baitullah Mehsud zu töten – im 16. Anlauf. »An jenem Tag schwebte eine Drohne vom Typ Predator gut drei Kilometer über dem Haus von Mehsuds Schwiegervater in der pakistanischen Provinz Südwaziristan. Ihre Infrarotkamera sandte in Echtzeit gestochen scharfe Bilder an die CIA-Zentrale in Langley im US-Bundesstaat Virginia. Der Top-Talib saß auf dem Dach des Hauses. Seine Ehefrau, sein Onkel und ein Arzt leisteten ihm Gesellschaft. In diesem Moment wurde Tausende Kilometer entfernt, in den USA, ein Auslöser betätigt. Zwei Hellfire-Raketen schossen aus der Drohne – und trafen ihr Ziel. Am Ende waren Baitullah Mehsud und elf weitere Menschen tot.«

Toll. »16. Anlauf« heißt: Man hat halt ein wenig herumprobiert: »Insgesamt, so die Schätzungen, starben bei den 16 Angriffsversuchen zwischen 207 und 321 Personen – und nicht alle waren Taliban, das ist gewiss.«

Was sich ganz so anhört, als veranstalteten die USA mit ihren Drohnen in Pakistan ein mehr oder weniger lustiges Tontaubenschießen, bei dem sie jeweils einige hundert Menschen abknallen, um dann hinterher zu behaupten: Der zweite Turbanträger von rechts, das war der bekannte Terrorist Mohammed al-Satan.

Na und – ist doch in Afghanistan! Oder in Pakistan! Ja, aber nicht mehr lange. Das ist nur ein Testgebiet mit billigen, recht- und namenlosen Versuchskarnickeln. Sobald das US-Imperium die ganze Welt beherrscht und die Serienproduktion angekurbelt hat, werden die Drohnen den ganzen Globus umschwirren wie Schmeißfliegen. Ortungen aus Handy- und GPS-Netzen werden mit  Identitäten verknüpft und an die Drohnen weitergeleitet. Im Prinzip braucht's dazu auch keine »Piloten« mehr. Sondern die Drohnen übernehmen die Pflege der Landschaft vollautomatisch.

Obama will Guantanamo schließen? Kein Wunder. Denn in Wirklichkeit will Obama überhaupt keine Gefangenen mehr machen. Und das wiederum hört sich so an, als wäre der große Friedensnobelpreisträger Obama in Wirklichkeit ein Kriegsverbrecher.

 

Mittwoch, 10.03.2010

Kategorie: Geostrategie, Politik, Terrorismus

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L'oeuvre géopolitique de Sir Halford John Mackinder (1861-1947)

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1986

L'oeuvre géopolitique de Sir Halford John Mackinder (1861-1947)

Mac.gifQui était le géopoliticien britannique Mackinder, génial concepteur de l'opposition entre thalassocraties et puissances océaniques? Un livre a tenté de répondre à cette question: Mackinder, Geography as an Aid to Statecraft, par W.H. Parker. Né dans le Lin-colnshire en 1861, Sir Halford John Mackinder s'est interessé aux voyages, à l'histoire et aux grands événements internationaux dès son enfance. Plus tard, à Oxford, il étu-diera l'histoire et la géologie. Ensuite, il entamera une brillante carrière universitaire au cours de laquelle il deviendra l'impulseur principal d'institutions d'enseignement de la géographie. De 1900 à 1947, il vivra à Londres, au coeur de l'Empire Britannique. Sa préoccupation essentielle était le salut et la préservation de cet Empire face à la montée de l'Allemagne, de la Russie et des Etats-Unis. Au cours de ces cinq décennies, Mackinder sera très proche du monde poli-tique britannique; il dispensera ses conseils d'abord aux "Libéraux-Impérialistes" (les "Limps") de Rosebery, Haldane, Grey et Asquith, ensuite aux Conservateurs regroupés derrière Chamberlain et décidés à aban-donner le principe du libre échange au profit des tarifs préférentiels au sein de l'Empire. La Grande-Bretagne choisissait une économie en circuit fermé, tentait de construire une économie autarcique à l'échelle de l'Empire. Dès 1903, Mackinder classe ses notes de cours, fait confectionner des cartes historiques et stratégiques sur verre destinées à être projetées sur écran. Une oeuvre magistrale naissait.

 

Une idée fondamentale traversera toute l'oeuvre de Mackinder: celle de la confrontation permanente entre la "Terre du Milieu" (Heartland) et l'"Ile du Monde" (World Island). Cette confrontation incessante est en fait la toile de fond de tous les événe-ments politiques, stratégiques, militaires et économiques majeurs de ce siècle. Pour son biographe Parker, Mackinder, souvent cité avec les autres géopoliticiens américains et européens tels Mahan, Kjellen, Ratzel, Spykman et de Seversky, a, comme eux, appliqué les théories darwiniennes à la géographie politique. Doit-on de ce fait rejetter les thèses géopolitiques parce que "fatalistes"? Pour Parker, elles ne sont nullement fatalistes car elles détiennent un aspect franchement subjectif: en effet, elles justifient des actions précises ou attaquent des prises de position adverses en proposant des alternatives. Elles appellent ainsi les vo-lontés à modifier les statu quo et à refuser les déterminismes.

 

L'intérêt qu'a porté Mackinder aux questions géopolitiques date de 1887, année où il pro-nonça une allocution devant un auditoire de la Royal Geographical Society qui contenait notamment la phrase prémonitoire suivante: "Il y a aujourd'hui deux types de conqué-rants: les loups de terre et les loups de mer". Cette allégorie avait pour arrière-plan historique concret la rivalité anglo-russe en Asie Centrale. Mais le théoricien de l'anta-gonisme Terre/Mer se révélera pleinement en 1904, lors de la parution d'un papier inti-tulé "The Geographical Pivot of History" (= le pivot géographique de l'histoire). Pour Mackinder, à cette époque, l'Europe vivait la fin de l'Age Colombien, qui avait vu l'ex-pansion européenne généralisée sans résistan-ce de la part des autres peuples. A cette ère d'expansion succédera l'Age Postcolom-bien, caractérisé par un monde fait d'un système politique fermé dans lequel "chaque explosion de forces sociales, au lieu d'être dissipée dans un circuit périphérique d'espa-ces inconnus, marqués du chaos du barba-risme, se répercutera avec violence depuis les coins les plus reculés du globe et les éléments les plus faibles au sein des orga-nismes politiques du monde seront ébranlés en conséquence". Ce jugement de Mackinder est proche finalement des prophéties énoncées par Toynbee dans sa monumentale "Stu-dy of History". Comme Toynbee et Spengler, Mackinder demandait à ses lecteurs de se débarrasser de leur européocentrisme et de considérer que toute l'histoire européenne dépendait de l'histoire des immensités conti-nentales asiatiques. La perspective historique de demain, écrivait-il, sera "eurasienne" et non plus confinée à la seule histoire des espaces carolingien et britannique.

 

Pour étayer son argumentation, Mackinder esquisse une géographie physique de la Rus-sie et raisonne une fois de plus comme Toynbee: l'histoire russe est déterminée, écrit-il, par deux types de végétations, la steppe et la forêt. Les Slaves ont élu domi-cile dans les forêts tandis que des peuples de cavaliers nomades règnaient sur les espa-ces déboisés des steppes centre-asiatiques. A cette mobilité des cavaliers, se déployant sur un axe est-ouest, s'ajoute une mobilité nord-sud, prenant pour pivots les fleuves de la Russie dite d'Europe. Ces fleuves seront empruntés par les guerriers et les marchands scandinaves qui créeront l'Empire russe et donneront leur nom au pays. La steppe cen-tre-asiatique, matrice des mouvements des peuples-cavaliers, est la "terre du milieu", entourée de deux zones en "croissant": le croissant intérieur qui la jouxte territo-rialement et le croissant extérieur, constitué d'îles de diverses grandeurs. Ces "croissants" sont caractérisés par une forte densité de population, au contraire de la Terre du Mi-lieu. L'Inde, la Chine, le Japon et l'Europe sont des parties du croissant intérieur qui, à certains moments de l'histoire, subissent la pression des nomades cavaliers venus des steppes de la Terre du Milieu. Telle a été la dynamique de l'histoire eurasienne à l'ère pré-colombienne et partiellement aussi à l'ère colombienne où les Russes ont pro-gressé en Asie Centrale.

 

Cette dynamique perd de sa vigueur au moment où les peuples européens se dotent d'une mobilité navale, inaugurant ainsi la période proprement "colombienne". Les ter-res des peuples insulaires comme les Anglais et les Japonais et celles des peuples des "nouvelles Europes" d'Amérique, d'Afrique Australe et d'Australie deviennent des bastions de la puissance navale inaccessibles aux coups des cavaliers de la steppe. Deux mobilités vont dès lors s'affronter, mais pas immédiatement: en effet, au moment où l'Angleterre, sous les Tudor, amorce la con-quête des océans, la Russie s'étend inexo-rablement en Sibérie. A cause des diffé-rences entre ces deux mouvements, un fossé idéologique et technologique va se creuser entre l'Est et l'Ouest, dit Mackinder. Son jugement rejoint sous bien des aspects celui de Dostoïevsky, de Niekisch et de Moeller van den Bruck. Il écrit: "C'est sans doute l'une des coïncidences les plus frappantes de l'histoire européenne, que la double expansion continentale et maritime de cette Europe recoupe, en un certain sens, l'antique opposition entre Rome et la Grèce... Le Germain a été civilisé et christianisé par le Romain; le Slave l'a été principalement par le Grec. Le Romano-Germain, plus tard, s'est embarqué sur l'océan; le Greco-Slave, lui, a parcouru les steppes à cheval et a conquis le pays touranien. En conséquence, la puissance continentale moderne diffère de la puissance maritime non seulement sur le plan de ses idéaux mais aussi sur le plan matériel, celui des moyens de mobilité".

 

Pour Mackinder, l'histoire européenne est bel et bien un avatar du schisme entre l'Empire d'Occident et l'Empire d'Orient (an 395), ré-pété en 1054 lors du Grand Schisme op-posant Rome et Byzance. La dernière croi-sade fut menée contre Constantinople et non contre le Turc. Quand celui-ci s'empare en 1453 de Constantinople, Moscou reprend le flambeau de la chrétienté orthodoxe. De là, l'anti-occidentalisme des Russes. Dès le XVIIème siècle, un certain Kridjanitch glo-rifie l'âme russe supérieure à l'âme cor-rompue des Occidentaux et rappelle avec beaucoup d'insistance que jamais la Russie n'a courbé le chef devant les aigles ro-maines. Cet antagonisme religieux fera pla-ce, au XXème siècle, à l'antagonisme entre capitalisme et communisme. La Russie opte-ra pour le communisme car cette doctrine correspond à la notion orthodoxe de fra-ternité qui s'est exprimée dans le "mir", la communauté villageoise du paysannat slave. L'Occident était prédestiné, ajoute Mac-kinder, à choisir le capitalisme car ses reli-gions évoquent sans cesse le salut individuel (un autre Britannique, Tawney, présentera également une typologie semblable).

 

Le chemin de fer accélerera le transport sur terre, écrit Mackinder, et permettra à la Russie, maîtresse de la Terre du Milieu si-bérienne, de développer un empire industriel entièrement autonome, fermé au commerce des nations thalassocratiques. L'antagonisme Terre/Mer, héritier de l'antagonisme reli-gieux et philosophique entre Rome et Byzan-ce, risque alors de basculer en faveur de la Terre, russe en l'occurence. Quand Staline annonce la mise en chantier de son plan quinquennal en 1928, Mackinder croit voir que sa prédiction se réalise. Depuis la Révo-lution d'Octobre, les Soviétiques ont en ef-fet construit plus de 70.000 km de voies ferrées et ont en projet la construction du BAM, train à voie large et à grande vitesse. Depuis 70 ans, la problématique reste identi-que. Les diplomaties occidentales (et surtout anglo-saxonnes) savent pertinemment bien que toute autonomisation économique de l'espace centre-asiatique impliquerait auto-matiquement une fermeture de cet espace au commerce américain et susciterait une réorganisation des flux d'échanges, le "crois-sant interne" ou "rimland" constitué de la Chine, de l'Inde et de l'Europe ayant intérêt alors à maximiser ses relations commerciales avec le centre (la "Terre du Milieu" proprement dite). Le monde assisterait à un quasi retour de la situation pré-colombienne, avec une mise entre parenthèses du Nouveau Monde.

 

Pour Mackinder, cette évolution historique était inéluctable. Si Russes et Allemands conjuguaient leurs efforts d'une part, Chinois et Japonais les leurs d'autre part, cela signifierait la fin de l'Empire Britannique et la marginalisation politique des Etats-Unis. Pourtant, Mackinder agira politiquement dans le sens contraire de ce qu'il croyait être la fatalité historique. Pendant la guerre civile russe et au moment de Rapallo (1922), il soutiendra Denikine et l'obligera à concéder l'indépendance aux marges occidentales de l'Empire des Tsars en pleine dissolution; puis, avec Lord Curzon, il tentera de construire un cordon sanitaire, regroupé au-tour de la Pologne qui, avec l'aide française (Weygand), venait de repousser les armées de Trotsky. Ce cordon sanitaire poursuivait deux objectifs: séparer au maximum les Allemands des Russes, de façon à ce qu'ils ne puissent unir leurs efforts et limiter la puissance de l'URSS, détentrice incontestée des masses continentales centre-asiatiques. Corollaire de ce second projet: affaiblir le potentiel russe de façon à ce qu'il ne puisse pas exercer une trop forte pression sur la Perse et sur les Indes, clef de voûte du système impérial britannique. Cette stratégie d'affaiblissement envisageait l'indépendance de l'Ukraine, de manière à soustraire les zones industrielles du Don et du Donetz et les greniers à blé au nouveau pouvoir bolchévique, résolument anti-occidental.

 

Plus tard, Mackinder se rendra compte que le cordon sanitaire ne constituait nullement un barrage contre l'URSS ou contre l'ex-pansion économique allemande et que son idée première, l'inéluctabilité de l'unité eurasienne (sous n'importe quel régime ou mode juridique, centralisé ou confédératif), était la bonne. Le cordon sanitaire polono-centré ne fut finalement qu'un vide, où Allemands et Russes se sont engouffrés en septembre 1939, avant de s'en disputer les reliefs. Les Russes ont eu le dessus et ont absorbé le cordon pour en faire un glacis protecteur. Mackinder est incontestablement l'artisan d'une diplomatie occidentale et conservatrice, mais il a toujours agi sans illusions. Ses successeurs reprendront ses ca-tégories pour élaborer la stratégie du "con-tainment", concrétisée par la constitution d'alliances sur les "rimlands" (OTAN, OTASE, CENTO, ANZUS).

Chessboard.jpg

 

En Allemagne, Haushofer, contre la volonté d'Hitler, avait suggéré inlassablement le rapprochement entre Japonais, Chinois, Rus-ses et Allemands, de façon à faire pièce aux thalassocraties anglo-saxonnes. Pour étayer son plaidoyer, Haushofer avait repris les arguments de Mackinder mais avait inversé sa praxis. La postérité intellectuelle de Mackinder, décédé en 1947, n'a guère été "médiatisée". Si la stratégie du "contain-ment", reprise depuis 1980 par Reagan avec davantage de publicité, est directement inspirée de ses écrits, de ceux de l'Amiral Mahan et de son disciple Spykman, les journaux, revues, radios et télévision n'ont guère honoré sa mémoire et le grand public cultivé ignore largement son nom... C'est là une situation orwellienne: on semble tenir les évidences sous le boisseau. La vérité serait-elle l'erreur?

 

Robert STEUCKERS.

 

W.H. PARKER, Mackinder. Geography as an Aid to Statecraft, Clarendon Press, Oxford, 1982, 295 p., £ 17.50.  

 

mardi, 16 mars 2010

Presseschau 03/März 2010

Presseschau

03/ März 2010

Einige Links. Bei Interesse anklicken...

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„Die iranische Atombombe ist keine Gefahr für Israel“
BERLIN. Die Gefahr, die von einem atomaren Iran ausgeht, wird übertrieben. Diese Ansicht vertritt der israelische Militärexperte Martin van Creveld im Interview mit der JUNGEN FREIHEIT.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M596d14f6b99.0.html

vendeur_20journaux.jpgArmenien-Resolution im US-Kongreß
Türkische Politiker drohen USA wegen Völkermord-Vorwurf
Der Ton zwischen Ankara und Washington verschärft sich drastisch: Türkische Spitzenpolitiker verlangen von der US-Regierung, die Armenien-Resolution des Kongresses zu blockieren. Andernfalls seien die bilateralen Beziehungen gefährdet.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,681900,00.html

Streit um Armenien-Resolution
Türkei ruft Botschafterin aus Schweden zurück
Schweden zieht den Zorn der türkischen Regierung auf sich: Das Parlament hat die Tötung Hunderttausender Armenier und Mitglieder anderer Volksgruppen zu Beginn des 20. Jahrhunderts als Völkermord eingestuft. Die Türkei rief sofort ihre Botschafterin zurück, Premier Erdogan sagte einen Besuch ab.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,683127,00.html

USA prangern Islam-Feindlichkeit in Europa an
Die US-Regierung sorgt sich um die Menschenrechte in Europa. Laut einem jetzt veröffentlichten Bericht ist sie unzufrieden mit der Situation der Muslime. Kritisiert werden das Minarettverbot in der Schweiz, das Kopftuchverbot an deutschen Schulen und gewalttätige Übergriffe in mehreren Staaten.
http://www.welt.de/politik/article6737100/USA-prangern-Islam-Feindlichkeit-in-Europa-an.html

Chopin und Chauvinismus
Von Christian Rudolf
Das geschichtsbewußte Polen feiert seine Jahrestage, und während in der vergangenen Woche im Erdgeschoß des eleganten „Hauses des Auslandspolentums“ in Warschau zu Ehren Fryderyk Chopins ein Konzert gegeben wurde, richtete im Spiegelsaal das Posener West-Institut eine Experten-Konferenz zu Geschichte und Gegenwart der „Polnischen nationalen Minderheit in Deutschland“ aus.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M516acd6160c.0.html

Belohnung im Kanzleramt
Merkel läßt engen Berater zum General befördern
Angela Merkel will ihren obersten Bundeswehrberater im Kanzleramt halten: Damit Oberst Erich Vad in Berlin bleibt, soll er nach Informationen des SPIEGEL zum General befördert werden. Die Kanzlerin belohnt damit offenbar auch seine Hilfe in der Kunduz-Affäre.
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,682123,00.html

Teures Militärflugzeug
Käufer bezahlen 3,5 Milliarden mehr für A400M
Sieben Staaten und der Flugzeugbauer Airbus einigen sich auf die Finanzierung des Militär-Transporters A400M. Das Flugzeug wird teurer als geplant. Die Käufer-Länder sind bereit, insgesamt 3,5 Milliarden Euro zu den Mehrkosten beizutragen. Ab Ende 2012 soll der erste A400M ausgeliefert werden.
http://www.welt.de/wirtschaft/article6659832/Kaeufer-bezahlen-3-5-Milliarden-mehr-fuer-A400M.html

Drohneneinsätze
„Sie nennen es Kriegsporno“
„Als wärst Du ein Feuerwehrmann, und es brennt jeden Tag.“ Drohnenflieger seien einem Streß ausgesetzt, der ganz anders als an der Front sei, erklärt der US-Politologe Singer im Interview mit SPIEGEL ONLINE. Die gesamte Erlebniswelt des Krieges werde durch die neuen todbringenden Waffen verändert.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,681007,00.html


Tolles „Zukunftsmodell“ ...
Koalitionen
Deutschland – heimliche schwarz-grüne Republik
Von Mariam Lau
Union und FDP haben bei den Wählern viel Kredit verspielt. Das zeigt auch die neueste Forsa-Umfrage. In Nordrhein-Westfalen ist deshalb immer wieder von Schwarz-Grün die Rede. Ein Zukunftsmodell, für das sich in ganz Deutschland interessante Beispiele finden lassen.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6690660/Deutschland-heimliche-schwarz-gruene-Republik.html

Politisch korrekt abgefertigt
Was man in Deutschland sagen darf
Von Katja Bigalke
Das Interview, das der ehemalige Berliner Finanzsenator Thilo Sarrazin im Herbst letzten Jahres der Zeitschrift „Lettre International“ gab, sorgte wochenlang für Aufregung. Da war unter anderem von Türken die Rede, die den Staat nicht anerkennen, aber von ihm leben und immer neue „Kopftuchmädchen“ produzieren. Die türkisch-arabische Bevölkerung Berlins stempelte Sarrazin unmißverständlich als zu einem großen Teil „unproduktiv“ ab.
http://www.dradio.de/dkultur/sendungen/zeitfragen/1131145/
http://www.sezession.de/13073/deutschlandradio-ueber-sarrazin.html

Podiumsdiskussion: Hahn hält an Sarrazin fest
Einladung verteidigt
http://www.morgenweb.de/nachrichten/politik/20100305_srv0000005510972.html

Winnenden-Gedenkfeier
Bundespräsident fordert schärferes Waffenrecht
Bei der Gedenkfeier zum Amoklauf von Winnenden hat Bundespräsident Köhler weitere Beschränkungen für den Zugang zu Waffen gefordert. Der Innenexperte der CDU, Wolfgang Bosbach, wies diese Forderungen strikt zurück.
http://www.spiegel.de/panorama/0,1518,682982,00.html

Währungen
Griechen-Hilfe ermöglicht deutschen Euro-Ausstieg
Von Daniel Eckert
Eine finanzielle Unterstützung der Griechen könnte Deutschland in eine Verfassungskrise stürzen: Sie verletzt die Vereinbarkeit von Grundgesetz und Maastricht-Vertrag. Die Folge: Das Verfassungsgericht könnte die Euro-Mitgliedschaft der Bundesrepublik beenden. Der Weg für eine Rückkehr der D-Mark wäre offen.
http://www.welt.de/finanzen/article6657646/Griechen-Hilfe-ermoeglicht-deutschen-Euro-Ausstieg.html

Spiegel-Titel:
„Der Euro ist unter Beschuß wie nie zuvor, er ist angreifbar geworden, weil sich die Versprechen, auf denen er gegründet wurde, als Lügen erwiesen.“
http://www.spiegel.de/spiegel/print/index-2010-10.html

Bundeshaushalt: Der Staat versinkt in Schulden
Noch vor wenigen Wochen konnte Finanzminister Steinbrück keine klare Auskunft über die Größe des Lochs im Bundeshaushalt geben. Jetzt kommt Licht ins Dunkel. Wie das Handelsblatt aus Regierungskreisen erfahren hat, steuert der Bund auf eine Mega-Neuverschuldung zu. Im kommenden Jahr wird demnach der Schuldenrekord von Theo Waigel von 1996 genackt.
http://www.handelsblatt.com/politik/deutschland/der-staat-versinkt-in-schulden%3B2364818
http://www.finanznachrichten.de/nachrichten-2009-06/14216147-steinbrueck-neuverschuldung-2010-fast-90-mrd-eur-015.htm
http://www.tagesschau.de/multimedia/sendung/ts18028.html
http://www.faz.net/s/Rub594835B672714A1DB1A121534F010EE1/Doc~E9A6CA630BCEF404B83813CDB79C49B8D~ATpl~Ecommon~Scontent.html

EU-Finanzministerium: Belgien will Entmachtung von Nationalstaaten
http://www.mmnews.de/index.php/201003055076/MM-News/EU-Finanzministerium-Entmachtung-von-Nationalstaaten.html

Äußerst sehenswert ...
Trigema-Chef Wolfgang Grupp bei Sandra Maischberger (2.3.2010)
http://www.youtube.com/watch?v=GC40VTCJWU0
http://www.trigema.de/shop/index.jsf?fromAdwords=Trigema_Allgemein&cm_mmc_o=TBBTkwCjCH0zLfCjCzpcByplCjCfybTwFz

O-Ton Deutschland
„Ich bekomme Hartz IV und putze ehrenamtlich“
Martina T. ist Hartz-IV-Empfängerin und säubert die Toilette einer Grundschule – ehrenamtlich. Den unbeliebten Job macht sie gern, auch ohne Geld. Er gibt ihr das Gefühl, daß sie den Steuerzahlern etwas zurückgeben kann und erspart ihr das tatenlose Herumsitzen zu Hause. Arbeiten ist für sie Lebensqualität.
http://www.welt.de/politik/article6719341/Ich-bekomme-Hartz-IV-und-putze-ehrenamtlich.html

Bei der Libertären Plattform ist am 5. März 2010 eine verblüffende Sendung eingetroffen. Der Briefumschlag mit dem Poststempel vom 3. Februar 2010(!), der an ein Mitglied der Libertären Plattform adressiert ist, enthielt eine CD mit der Aufschrift „Fin_Pol_Germany_2010“(!). Darauf enthalten sind Daten, die namentlich genannten deutschen Politikern und Behördenmitarbeitern in- und ausländische Konten und Finanzinformationen zuordnen.
Mehr unter:
http://libertaere-plattform.de/lp-erhaelt-finanzdaten-von-politikern/

FDP-Kreisvorsitzender spendete vor der Landtagswahl im Saarland 47.500 € an die Grünen:
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6685752/Gruene-nahmen-FDP-Spenden-vor-der-Wahl-an.html

Ralph Boes: 1000 Euro bedingungsloses Grundeinkommen
http://www.freiewelt.net/nachricht-3577/ralph-boes:-1000-euro-bedingungsloses-grundeinkommen.html

Dr. Kerstin Funk: Grundeinkommen zerstört Arbeitsmoral
http://www.freiewelt.net/nachricht-3576/dr.-kerstin-funk:--grundeinkommen-zerstört-arbeitsmoral.html

Aus den taz-Sonderseiten zum Frauentag
Die Männer-Rechte
Männer machen Front gegen den Feminismus. Jetzt müsse Schluß sein mit der „Besserstellung der Frau“. Antifeministische Aktivisten schrecken selbst vor Kooperationen mit Rechtsradikalen nicht zurück. VON THOMAS GESTERKAMP
http://www.taz.de/1/leben/alltag/artikel/1/die-maenner-rechte/

Abgeordnetenwatch und der Moderations-Codex
„Abgeordnetenwatch.de und Parlamentwatch e. V. sind überparteilich“, heißt es hochtrabend in den FAQs von abgeordnetenwatch.de. Daß dem nicht immer so ist, mußte jetzt User J.H. erfahren, der dem Chef der SED-Nachfolgepartei Gregor Gysi, eine unangenehme Frage zu den Opfern der SED-Herrschaft stellen wollte.
http://www.pi-news.net/2010/03/abgeordnetenwatch-und-der-moderations-codex/#more-123759

Vera Lengsfeld
Sie lügen wie gedruckt. Stasioffiziere stellen ihr Buch vor
http://www.freiewelt.net/blog-1579/sie-lügen-wie-gedruckt.-stasioffiziere-stellen-ihr-buch-vor.html

Hakenkreuzschmierereien: Gefahr für das Abendland. Milliardenschwere Investitionen gefordert.
http://www.tagesschau.de/multimedia/video/video666680_bcId-_ply-internal_res-flash256_vChoice-video666680.html
http://blog.zeit.de/stoerungsmelder/2010/03/08/10-jahre-kampf-gegen-rechtsextremismus-eine-bilanz_2871#more-2871

„Gesicht zeigen!“
Uwe-Karsten Heye: Milliardeninvestition in Bildung soll Kampf gegen Rechts forcieren
http://www.derwesten.de/nachrichten/Milliardeninvestition-in-Bildung-soll-Kampf-gegen-Rechts-forcieren-id2690701.html

George Grosz und der deutsche Michel
Von Thorsten Hinz
Am vergangenen Sonntag habe ich mir in der Berliner Akademie der Künste am Pariser Platz eine Ausstellung zu George Grosz (1893–1959) angesehen. Seine Collagen und Zeichnungen sind professionell, aber politisch eindimensional. Ab einem bestimmten Punkt hat man von den schweinsköpfigen und stiernackigen Militärs, die er bevorzugt malte, genug. Für ihre Rolle als doppelt Geschlagene – zuerst durch die militärische Übermacht, dann durch den Versailler Vertrag, in deren Gefolge sie demobilisiert und gesellschaftlich und sozial herabgesetzt wurden – hatte er kein Empfinden. Grosz gehört zu den linken Künstlern und Publizisten, die das Elend der Weimarer Republik nur verschlimmert haben.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5244ead32a5.0.html

Wolfskinder
„Ich dachte, Deutschland gibt’s nicht mehr“
Keine Eltern, kein Zuhause, keine Identität: Kurz nach Kriegsende wurde Marianne Beutler als Zehnjährige von ihrer Mutter getrennt und mußte alleine überleben – eines von bis zu 25.000 „Wolfskindern“, die durch das zerstörte Osteuropa irrten. Über ihr Schicksal sprechen können sie erst heute. Von Matthias Pankau
http://einestages.spiegel.de/static/topicalbumbackground/6202/_ich_dachte_deutschland_gibt_s_nicht_mehr.html

Eklat am Nockherberg
Fastenprediger Lerchenberg wirft hin
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,682033,00.html

Das Holocaust-Gedenken ist zu einer Art Religion geworden.
Pilgerfahrt nach Auschwitz
KOMMENTAR VON IRIS HEFETS
http://www.taz.de/1/debatte/kommentar/artikel/1/pilgerfahrt-nach-auschwitz

Dazu ein Video, das die zum Teil erschreckende Neurotisierung der deutschen Bevölkerung infolge der holocaustzentrierten Geschichtspolitik zeigt ...
„Der Holocaust“ – Das Trauma der Deutschen
http://www.youtube.com/watch?v=2JwPFW4123c

Artikel vom Januar, aber dennoch sehr interessant...
Holocaust-Gedenken
„Bist du Jude?“
Zwei Deutschtürken versuchen, die deutsche Geschichte zu erklären – und treffen auf hartnäckige Vorurteile
http://www.zeit.de/2010/04/Umfrage-Reportage?page=all

Forderung nach „Ausländer-Rückführung“ ist keine Volksverhetzung
KARLSRUHE. Die Forderung nach einer „Ausländer-Rückführung“ kann nicht ohne weiteres als Volksverhetzung gewertet werden. Das geht aus einer am Freitag veröffentlichten Entscheidung des Bundesverfassungsgerichtes hervor.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M537215b98be.0.html

Verfassungsrichter werten „Ausländer raus“ nicht als Volksverhetzung
http://blog.zeit.de/stoerungsmelder/2010/03/05/verfassungsrichter-werten-auslander-raus-nicht-als-volksverhetzung_2864
http://www.bundesverfassungsgericht.de/pressemitteilungen/bvg10-013.html

Islamisten sollen britische Parteien unterwandert haben
LONDON. Der zur Labour-Partei gehörende britische Umweltminister Jim Fitzpatrick hat mit der Behauptung Aufsehen erregt, radikale Moslems hätten seine und andere Parteien unterwandert.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5fb6511b1a6.0.html

Hans-Peter Uhl (CSU): „Eine Islamisierung gibt es nicht“
http://www.n-tv.de/politik/dossier/Eine-Islamisierung-gibt-es-nicht-article766325.html

Thilo Sarrazins These
Satellitenschüsseln verhindern Integration
Von Gisela Kirschstein
Thilo Sarrazin nimmt beim Disput mit Hessens Integrationsminister kein Wort seiner Kritik zurück, sondern legt nach: Er sieht Ausländer gefordert, sich selbst zu bilden – und meint vor allem die Türken. Sie sollten nicht nur türkische Zeitungen lesen und türkisches Fernsehen schauen. Russen würden sich mehr anstrengen.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6722174/Satellitenschuesseln-verhindern-Integration.html

Leverkusen: Anschlag auf Pro-Funktionär
Zwei Monate vor der Landtagswahl in Nordrhein-Westfallen spitzt sich die Situation für Funktionäre von pro-NRW zu: In der Nacht zum Montag wurde im multikulturellen Leverkusener Problemstadtteil Rheindorf-Nord die Garage des pro-NRW-Mitglieds Markus H. beschmiert und sein Wohnzimmerfenster eingeworfen. H. hatte im Juni des vergangenen Jahres eine Demonstration der Bürgerbewegung gegen den Bau einer marokkanischen Prunkmoschee in Rheindorf (PI berichtete) mit organisiert, auf der es zu massiven Protesten der marokkanischen Anwohner kam. Neu in Rheindorf ist, daß anders als in Köln nicht die deutsche Antifa, sondern mohammedanische Immigranten gewaltsam in den Wahlkampf eingreifen.
http://www.pi-news.net/2010/03/leverkusen-anschlag-auf-pro-funktionaer/

FAZ berichtet über die direkte Einwanderung in die Sozialsysteme ...
Von 1970 bis 2003 stieg die Zahl der Ausländer in Deutschland von drei auf 7,3 Millionen. Die Zahl der sozialversicherungspflichtigen Ausländer blieb dagegen mit 1,8 Millionen konstant. Ein Großteil der Einwanderung nach Deutschland ging also am Arbeitsmarkt vorbei in das Sozialsystem.
http://www.arminen.net/wp/wp-content/uploads/2010/02/faz_steltzner_sozialstaat-in-schieflage_s-1_260110.pdf

Das hat er ja früh gemerkt ...
Helmut Schmidt: Der deutsche Exkanzler glaubt nicht an ein Zusammenleben mit dem Islam
http://www.arminen.net/wp/wp-content/uploads/2010/03/kurier_brd_schmidt_auslander_integration_kriminalitat_islam_interview_s-4_010310.pdf

70 „unzufriedene Schweine“ gegen Quick-halal
70 Mitglieder der „Jungen Identitären“, einer Jugendbewegung zur „Rückeroberung“ Frankreichs, haben eine Quick-halal-Filiale besucht, in der es nachweislich kein Schweinefleisch mehr auf der Speisekarte gibt. Die „Identitären“ demonstrierten als „unzufriedene Schweine“ verkleidet, um damit gegen die Finanzierung der Islamisierung durch die Halal-Ketten, die Lebensmittelapartheid gegen Nicht-Muslime in Halal-Restaurants und die Tierquälerei durch die islamische Schlachtung zu protestieren.
Das Video der „unzufriedenen Schweine“ sehen Sie hier.
http://www.pi-news.net/2010/03/70-unzufriedene-schweine-gegen-quick-halal/#more-123218

Versuchter Raub in Neu Isenburg
Am Samstag, 06.03.10 um 16:16 Uhr, wurde die PSt. Neu- Isenburg telefonisch über einen vers. Raubüberfall unterrichtet. Ein unbekannter Täter hatte einen 75jährigen Rentner erst um eine Zigarette gebeten und dann, als der Nichtraucher dem vermeintlichen Wunsch nicht Folge leisten konnte, zugestochen. Ein Verwandter des Opfers meldete den Vorfall, als das Opfer zu Hause war und bereits durch einen Rettungswagen versorgt wurde. Der Vorfall hatte sich kurz zuvor an der Fußgängerbrücke der Friedhofsstrasse ereignet.
http://www.ad-hoc-news.de/pressemitteilung-polizeipraesidium-suedosthessen--/de/Polizeimeldungen/21108994

Gastkommentar: Wenn Pädagogen zu Verbrechern werden
Lehrer sind keine Väter
Von Birgitta vom Lehn
Der Mißbrauch von Schülern in Internaten ist jahrzehntelang vertuscht worden.Nicht nur renommierte katholische Einrichtungen sind betroffen.Auch eine Vorzeigeeinrichtung der Reformpädagogik – die hessische Odenwaldschule – gerät nun ins Visier der Öffentlichkeit. Besonders erschütternd ist dort, daß die Vorfälle offenbar seit langem bekannt waren, aber die Behörden nicht gehandelt hatten.Ein Schlag ins Gesicht muß das vor allem für die „Homeschooler“ sein, denen die Behörden regelmäßig streng zusetzen, weil sie ihre Kinder nicht zur Schule schicken, sondern daheim unterrichten wollen.
http://www.welt.de/die-welt/debatte/article6697974/Lehrer-sind-keine-Vaeter.html

Jugendkultur Emo
Entdeck das Mädchen in dir
Von Carola Padtberg
Sie tragen lange Haare, schminken sich, zeigen Gefühle. Die düster-kitschigen Emos sind die erste Jugendszene, in der sich Jungs an Mädchen anpassen. Sie stellen das Rollenmodell auf den Kopf, ernten dafür Spott und Unverständnis – und manchmal Schläge.
http://www.spiegel.de/schulspiegel/leben/0,1518,676835,00.html

Kontrastprogramm ...
Assauer über schwule Fußballer
Wer sich outet, wird plattgemacht
Rudi Assauer ist für seine markigen Machosprüche bekannt. Nun hat der frühere Schalke-Manager wieder losgeledert und sich über Homosexuelle im Profifußball ausgelassen. Seine tollen Tips dürften jedoch nicht gerade für Begeisterung sorgen.
http://www.spiegel.de/panorama/leute/0,1518,683002,00.html

Konservative sind doof!
So ungefähr betitelte Spiegel-Online vor einigen Tagen voller Freude einen Artikel über eine Studie des Psychologen Satoshi Kanazawa. Da der Autor des linksliberalen Qualitätsmediums sich selbstverständlich nicht zu den tumben Massenprodukten der Evolution zählt, kann er diese Weisheit sogar noch feiner formulieren – „Konservative haben geringeren IQ“ – und wählt zur Illustration ein Foto von Horst Seehofer mit Bierhumpen im Gesicht.
Da kann man ja eigentlich nur zustimmen und bräuchte diese Untersuchung gar nicht zur Kenntnis zu nehmen, hätten es nicht doch womöglich einige Konservative bis in die London School of Economics and Political Science und sogar in die Redaktionsstuben des Spiegel geschafft. Die dummen Konservativen sind eben überall und wissen beispielsweise mit Statistiken nicht recht umzugehen.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5db098cc941.0.html

Stuttgart 21. Der Superbahnhof von Stuttgart
http://www.zdf.de/ZDFmediathek/beitrag/video/986616/Der-Superbahnhof-von-Stuttgart#/beitrag/video/986616/Der-Superbahnhof-von-Stuttgart

Flasche leer, Mauer hoch
Sie sind in vielen Ländern ein Müllproblem – dabei sind Plastikflaschen ein hervorragendes Baumaterial. Für Haiti wäre es ideal geeignet.
http://www.zeit.de/2010/09/PET-Haus

Seuchen
Chronik einer Hysterie
Von Philip Bethge, Katrin Elger, Jens Glüsing, Markus Grill, Veronika Hackenbroch, Jan Puhl, Mathieu von Rohr und Gerald Traufetter
Fast ein Jahr lang hielt die Schweinegrippe die Welt in Atem. Eine gigantische Impfkampagne sollte ihr Einhalt gebieten. Dabei handelte es sich nur um einen eher harmlosen Virenstamm. Wie konnte es zu solch einer Überreaktion kommen? Eine Rekonstruktion.
http://www.spiegel.de/spiegel/0,1518,682149,00.html

Dazu auch:
„Bereits 2003 hat sie (die WHO) ihre Mitgliedstaaten aufgefordert, bei den Risikogruppen bis zum Jahr 2010 eine Impfrate von 75 Prozent zu erreichen. Daß Deutschland von diesem Ziel noch weit entfernt ist, verdeutlicht die Grippe-Durchimpfungsrate von nur 56 Prozent bei den über 60jährigen in der Saison 2007/08. Inakzeptabel, so Wutzler, ist die Impfrate von lediglich 28 Prozent bei chronisch Kranken. Als ‚Situation, die mit Ratio nicht nachzuvollziehen ist‘ kritisierte der Mediziner die extrem niedrige Impfbereitschaft des medizinischen Personals, von dem sich nicht mal jeder Vierte impfen ließ.“
http://www.pharmazeutische-zeitung.de/index.php?id=30886&type=0

Nicht zuletzt für Vegetarier interessant ...
Angriff der Killerpflanzen
Von Ulli Kulke
Forscher haben festgestellt, daß es weit mehr fleischfressende Gewächse gibt als bisher bekannt
http://www.welt.de/die-welt/vermischtes/article6663350/Angriff-der-Killerpflanzen.html

Heimataerde – Brueder
Für dieses Musikstück wurde eine Textpassage aus der Shakespeare-Verfilmung „Henry V.“ von und mit Kenneth Branagh verwendet. Die berühmte Rede Heinrichs vor der Schlacht bei Azincourt (St. Crispin’s Day Speech) ist immer wieder erhebend.
http://www.youtube.com/watch?v=yBAlcgfzxCo

Les Malouines ou la porte vers l'Antarctique

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Bernhard TOMASCHITZ:

 

Les Malouines ou la porte vers l’Antarctique

 

La réactivation du conflit anglo-argentin pour les Malouines: l’enjeu, c’est le contrôle des matières premières!

 

 

Les relations entre l’Argentine et le Royaume-Uni entrent à nouveau en zone de turbulences. Le motif? Une fois de plus, les Iles Malouines dans l’Atlantique Sud, dont les Argentins réclament la rétrocession. L’entreprise britannique « Desire Petroleum » a entamé, fin février, début mars, des prospections et commencé des forages à 500 km au nord des Iles et devant les côtes argentines, afin de trouver du pétrole. Les réserves pétrolières dans cette région inhospitalière sont estimées, par les spécialistes, à 60 milliards de barils (de 159 litres chacun). A titre de comparaison, citons quelques chiffres : l’Arabie saoudite dispose des plus grandes réserves de pétrole au monde, avec 260 milliards de barils.

 

falklands_6_yomp.jpgFace à ces prospections, l’Argentine cherche à marquer des points sur le front diplomatique. Jorge Taiana, ministre argentin des affaires étrangères, a demandé, lors d’un entretien avec le secrétaire général de l’ONU, Ban Ki-Moon, l’intervention des Nations Unies. Il avance pour argument que les forages britanniques à proximité des Iles sont « un acte illégal qui offense le droit des gens », alors que « des résolutions explicites des Nations Unies exigent qu’aucune des deux parties ne pose d’actes unilatéraux qui pourraient aggraver la situation ». En 1982, le Royaume-Uni et l’Argentine s’étaient affrontés lors d’une guerre de dix semaines pour la maîtrise de l’archipel malouin. Un millier de soldats avaient laissé leur vie dans ce conflit, tous camps confondus.

 

Aujourd’hui, l’Argentine reçoit le soutien des pays d’Amérique latine gouvernés à gauche. Le Président du Venezuela, Hugo Chavez,  a exigé, lors d’une rencontre à Mexico, rassemblant les responsables de 32 Etats d’Amérique centrale et d’Amérique du Sud, que la Reine d’Angleterre, Elizabeth II, retourne à l’Argentine les Iles occupées depuis 1833 par les Britanniques. Le président brésilien, Lula da Silva, quant à lui, a demandé pour quelle raison d’ordre géographique, politique ou économique l’Angleterre maintient-elle sa présence dans les Malouines ; aussitôt sa question posée, il a donné la réponse : « Il se pourrait bien que la raison en est que l’Angleterre est membre permanent du Conseil de Sécurité de l’ONU ». Le Président bolivien Evo Morales est pour sa part convaincu « que toute l’Amérique latine et tous les Etats des Caraïbes se rangeront derrière l’Argentine pour défendre les Iles Malouines ».

 

En constatant le soutien général dont bénéficie l’Argentine dans le Nouveau Monde, les Etats-Unis cherchent à éviter de perdre encore du crédit et de l’influence en Amérique latine, à cause d’un nouveau conflit pour les Malouines. Pour cette raison, le Président Obama a pris une position neutre, au grand dam de la Grande-Bretagne. « Les Etats-Unis reconnaissent de facto l’administration britannique des Iles Malouines mais ne prennent pas position face aux revendications de souveraineté des parties concernées », a fait savoir Obama. En Grande-Bretagne, où l’on aime se revendiquer des « special relationships » (des relations spéciales) entre Londres et Washington, cette posture de neutralité prise par les Etats-Unis a provoqué une tempête d’indignation. « L’Amérique trahit la Grande-Bretagne quand l’heure est grave » titrait le quotidien Daily Telegraph. Le Royaume-Uni se dit prêt à défendre les Malouines seul s’il le faut. « Nous avons pris toutes les mesures nécessaires pour nous assurer que les habitants des Iles soient correctement protégés », a déclaré Gordon Brown. Pour le premier ministre britannique, le conflit avec l’Argentine arrive au bon moment. Car en mai, il y aura en Grande-Bretagne des élections pour la Chambre des Communes : les sondages estiment à l’unanimité que les travaillistes de Brown doivent escompter une défaite. Or une attitude de fermeté dans la défense des intérêts britanniques offrirait une occasion magnifique de détourner l’attention des électeurs des problèmes de politique intérieure et du triste état de l’économie anglaise. Ce ne serait sans doute pas un hasard si les forages entrepris par les Britanniques à proximité des Malouines se soient déroulés quelques semaines avant les élections pour la Chambre des Communes, élections qui laissent entrevoir un changement de direction au profit des conservateurs.

 

A cela s’ajoute que les Britanniques ont considérablement renforcé leur présence militaire dans les Iles au cours de ces dernières années. Dans la base militaire de Mount Pleasant, à 35 miles de la capitale de l’archipel malouin, Stanley, quelque deux mille soldats britanniques sont stationnés. Ils sont équipés de missiles sol-air et appuyés par un destroyer et des avions de combat de type Eurofighter. Fin décembre 2009, les forces armées britanniques ont exécuté des manœuvres devant les Iles Malouines, « simulant l’invasion de l’archipel par l’ennemi ».

 

Les Iles Malouines n’ont pas seulement une importance économique pour Londres mais aussi une grande importance stratégique. A la fin janvier 2010, l’analyste militaire russe Ilya Kramnik a rédigé une longue contribution pour l’agence de presse RIA Novosti, où l’on peut lire « que les Iles Malouines et les autres îles de l’Atlantique Sud contrôlées par les Britanniques constituent de facto la porte d’entrée vers l’Antarctique ; c’est cela qui explique l’attitude résolue de Londres de vouloir garder à tout prix la souveraineté britannique non seulement sur les Malouines mais aussi sur la Géorgie du Sud et sur les Iles Sandwich du Sud ; les Britanniques veulent en outre maintenir leur volonté de souveraineté sur les Shetland et les Orcades du Sud, selon les dispositions du Traité de l’Antarctique ». Depuis de longues années, Londres s’efforce, devant la Commission de l’ONU responsable des plateaux continentaux, d’obtenir pour la Grande-Bretagne, dans cette région maritime, la souveraineté sur environ un million de km2.

 

Le Traité de l’Antarctique, en vigueur depuis 1961 et résultant d’une convention internationale, stipule que l’Antarctique, continent inhabité, doit être réservé exclusivement à des activités pacifiques, surtout scientifiques. Juste avant l’entrée en vigueur de ce traité, les revendications territoriales des uns et des autres, en l’occurrence celles du Royaume-Uni qui revendiquaient plus d’un million de km2, ont été « gelées ». Mais sous la carapace de glace de l’Antarctique se trouvent des réserves énormes de matières premières, dont l’exploitation pourrait s’avérer fort intéressante, et pas uniquement pour les Britanniques.

 

Bernhard TOMASCHITZ.

(article tiré de l’hebdomadaire viennois « zur Zeit », n°9/2010 ; trad.. franc. : Robert Steuckers).

 

Il Grande Gioco in Asia Centrale

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Il Grande Gioco in Asia centrale

di Marco Luigi Cimminella

Fonte: eurasia [scheda fonte] 

Con la vittoria del filo-russo Janukovič alle elezioni presidenziali ucraine, svoltesi lo scorso mese, Mosca ha ritrovato un probabile alleato nello scontro energetico ingaggiato dalle grandi potenze in Asia centrale e meridionale. Il petrolio vicino-orientale non basta a soddisfare il fabbisogno di idrocarburi di Europa e Stati Uniti, che spinti alla ricerca di nuovi canali di approvvigionamento, hanno finito per posare gli occhi sulle riserve caspiche e caucasiche. L’estrazione e l’esportazione di queste risorse sono da tempo sottoposte al rigido monopolio del colosso russo Gazprom che, con una serie di condutture che attraversano il territorio ucraino, rifornisce i mercati occidentali.


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Nel tentativo di contrastare questo chiaro “leverage” della politica estera russa, Washington, di concerto con alcuni paesi europei, ha approntato alcuni importanti progetti. Pensiamo al gasdotto Nabucco (il tragitto nella foto) o all’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che permettono agli idrocarburi asiatici di viaggiare in direzione ovest scavalcando la Russia a sud. Allo stesso modo deve essere analizzato il proposito di costruire delle condutture che, attraversando le acque del Mar Nero e collegando Supsa, in Georgia, con Odessa, in Ucraina, permetta agli idrocarburi azerbaigiani, turkmeni e kazaki di raggiungere l’Europa, senza passare per il territorio di Mosca. Inizialmente il Cremlino aveva potuto ostacolare questo progetto grazie alla collaborazione del governo ucraino, con a capo il filo-russo Kučma. In seguito alla rivoluzione arancione che si era ultimata, nel 2004, con la nomina a presidente del liberale Juščenko, l’Ucraina si era mostrata favorevole ad aderire al disegno occidentale, manifestando chiare intenzioni di entrare a far parte della Nato e attirandosi così le dure critiche della classe dirigente russa. Nel febbraio scorso, Janukovič ha riportato, in seguito ad elezioni contestate dalla rivale Timošenko, un’importante vittoria che potrebbe cambiare gli assetti degli schieramenti impegnati in quella frenetica competizione, tesa all’accaparramento delle risorse energetiche, conosciuta come il Grande Gioco del XXI secolo.


Contesto storico del Grande Gioco

L’Asia centrale e meridionale ha sempre rivestito un’importanza fondamentale nello scacchiere internazionale. Considerandola come il cuore della “World Island”, cioè della massa continentale che comprende Eurasia e Africa, H. Mackinder, padre della geopolitica moderna, aveva scritto: “Who rules East Europe commands the Heartland; who rules the Heartland commands the World-Island; who rules the World-Island controls the world”. In queste tre semplici frasi, il noto studioso raccoglieva il succo della sua teoria dell’Hertland, destinata ad avere grande successo nei secoli successivi e ad essere sottoposta anche a diverse rielaborazioni1. La teoria di Mackinder ha trovato riscontro pratico nel corso dell’Ottocento in relazione al cosiddetto “Grande Gioco”, il lungo ed estenuante conflitto che vide impegnati lo Zar e Sua Maestà nel tentativo continuo di imporre il proprio dominio in Asia centrale e meridionale.

La regione che Mackinder definisce “Terra cuore”, si identificava, nel corso della seconda metà dell’800, con il territorio sottoposto al controllo russo. Inaccessibile dal mare, ricca di petrolio e gas naturale, quest’area faceva dell’impero zarista lo stato perno dello scacchiere internazionale. Con una rottura dell’equilibrio di potenza, originatosi con il congresso di Vienna del 1814 in seguito alle sconfitte napoleoniche, lo Zar avrebbe potuto condurre l’esercito imperiale verso la conquista dei territori periferici dell’Eurasia. Successivamente, sfruttando le ingenti risorse energetiche della regione, San Pietroburgo avrebbe potuto dotarsi di una immensa flotta, capace di concorrere con quella britannica per il dominio dei mari. Proprio lo sbocco al mare ha costituito una delle priorità dell’agenda zarista nel corso dell’Ottocento. Due in particolare erano gli obbiettivi si San Pietroburgo: il Mediterraneo e l’Oceano Indiano. L’interesse per il primo fu parzialmente spento in seguito alla sconfitta nella Guerra di Crimea2 (1853-1856), che comportò un cambiamento di rotta nella politica estera zarista. La Russia puntava ora ad estendere la propria influenza nei khanati in Asia centrale, e da qui, procedendo verso sud, avrebbe potuto garantirsi uno sbocco sull’Oceano Indiano.

Naturalmente, le mire espansionistiche di San Pietroburgo andarono presto incontro alla dura opposizione britannica. Difatti, in Asia meridionale vi era l’India, considerata dalla regina Vittoria la gemma del suo impero coloniale. Il continuo avanzamento delle truppe zariste nei territori centro-asiatici costituiva una grande minaccia che bisognava debellare. In particolare, il Foreign Office aveva individuato nell’Afghanistan un’ottima base strategica che le truppe russe avrebbero potuto utilizzare per infliggere duri attacchi alla prediletta fra le colonie della regina. La necessità di contenere l’espansionismo zarista, facendo dell’Afghanistan uno stato cuscinetto contro le pretese egemoniche di San Pietroburgo, diede inizio ad un esasperante conflitto che si ripercuoterà nel corso dei secoli, giungendo prorompente sullo scenario internazionale attuale.


L’importanza strategica dell’Asia centrale oggi

Questa regione ha assunto un’importanza strategica considerevole nel contesto internazionale odierno. Le motivazioni sono evidenti. In primo luogo, significativa è la questione energetica. Secondo il parere di geologi ed esperti, l’intera area trabocca di idrocarburi. Vero è che tali riserve non sono quantitativamente comparabili a quelle del Golfo Persico. Ciononostante, sono in grado di saziare, almeno per il momento, gli ingordi appetiti energetici delle grandi potenze, comportandosi come un ottimo succedaneo agli idrocarburi vicino-orientali, la cui fruizione è sempre soggetta a continue oscillazioni dovute al fondamentalismo islamico e al terrorismo internazionale. I giacimenti più ricchi li rinveniamo nel bacino caspico, nonché in Azerbaijan, Turkmenistan, Kazakistan, Uzbekistan e Iran. In Azerbaijan, l’estrazione di petrolio è aumentata da 180.000 barili al giorno (barrels per day bbl/d) del 1997 a 875.000 bbl/d nel 2008. Apprezzabili anche le riserve di gas naturale, la cui produzione ha raggiunto, nel 2008 572 btc (billion cubic feet). Un altro importante produttore è il Turkmenistan, che nel 2008 ha raggiunto i 189.400 bbl/d di oro nero e 70.5 miliardi di metri cubi di oro blu. Considerevoli anche le riserve uzbeke, che nel 2008 ammontavano a 67.6 miliardi di metri cubi di gas e 83.820 bbl/d di petrolio. Le coste caspiche kazake garantiscono un ottimo approvvigionamento di petrolio, con una produzione di 1,45 milioni di barili al giorno nel 2007. Infine l’Iran, che solo nel 2008 ha esportato 2,4 milioni di barili al giorno, sia verso l’Asia che verso i paesi europei facenti parte dell’OECD (Organization for Economic Cooperation and Development)3.

In secondo luogo, vi sono anche consistenti motivazioni di carattere commerciale che non bisogna sottovalutare. Fin dai tempi antichi, infatti, questa regione aveva assunto il ruolo di crocevia di itinerari terrestri, marittimi, fluviali che, mettendo in comunicazione la Cina con il Mediterraneo, consentiva alle carovane di mercanti di vendere i pregiati ed esotici prodotti orientali sui mercati occidentali. Questo corridoio commerciale fu chiamato, dal geologo e geografo tedesco Ferdinand von Richthofen “Seidenstrabe” (via della seta). La classe dirigente zarista prima, poi quella sovietica e infine quella russa, ha sempre considerato l’Asia centrale come una regione strategica per Mosca. In particolare, nel corso del secondo conflitto mondiale e poi successivamente durante la guerra fredda, questo territorio fungeva da bacino energetico per la potente macchina bellica comunista. In seguito al collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, come scrive Zbigniew Brzezinski, si generò un buco nero, che successivamente finì per ridimensionare la presenza russa nel territorio. L’erosione del controllo moscovita fu accelerata dall’indipendenza politica dell’Ucraina nel 1991, dai continui tentativi della Turchia di accrescere il proprio peso in Georgia e Armenia, dalla rinascita del fervore nazionalista e musulmano nelle ex-repubbliche centro-asiatiche, continuamente impegnate nel porre fine ad una soffocante dipendenza economica, dal sapore marcatamente sovietico, nei confronti di Mosca.

Di conseguenza, fin dai primi anni novanta, l’esigenza di diversificare i propri partner politici ed economici ha assunto una significativa importanza per questi paesi, che, nel conseguimento di quest’obbiettivo, hanno incontrato non poche difficoltà. L’adozione di un approccio liberale classico, esplicatosi in questo caso in una maggiore collaborazione economica fra i paesi centro-asiatici, preludio ad un’integrazione di carattere politico, ha mostrato serie difficoltà nella sua applicazione pratica. In primo luogo, l’implementazione iniziale di politiche liberali da parte delle ex-repubbliche sovietiche ebbe dei seri risvolti negativi. Il Kirghizistan entrò a far parte, nel 1998, del WTO, mentre Uzbekistan, Tagikistan, Kazakistan, Afghanistan, Iran ne divennero osservatori. Ben presto questi paesi si accorsero che le loro deboli economie, scarsamente diversificate, non potevano reggere contro l’inondazione delle esportazioni straniere, in particolare quelle cinesi, più convenienti e vantaggiose. Per salvaguardare l’economia nazionale era quindi necessario adottare, almeno inizialmente, politiche protezioniste, e solo dopo aver sviluppato solide basi, concorrere con le altre potenze su un piano mondiale. In secondo luogo, allo scopo di incentivare una maggiore integrazione economica e finanziaria, i fragili paesi centro-asiatici avevano bisogno degli investimenti stranieri per promuovere la costruzione di infrastrutture funzionali alla realizzazione di profittevoli scambi commerciali in Eurasia. Da qui la frenetica competizione delle grandi potenze, in una lotta diplomatica senza esclusione di colpi, tesa ad una spartizione della torta asiatica che le favorisca.

Come scrive Joseph Nye4 siamo ormai catapultati in una realtà sempre più interdipendente, frutto di una globalizzazione a diversi livelli, economico, politico, socioculturale, religioso. Il ripristino di corridoi multimodali, funzionali al commercio e al trasporto di idrocarburi, si presenta inevitabile, garantendo la possibilità, agli stati della regione, di diversificare i propri partner energetici, finanziari, commerciali, politici, militari. Ed è così che la Cina, gli Stati Uniti, l’Unione Europea prendono parte ad un interessante affare che per più di cinquant’anni è stato dominio esclusivo di Mosca. Un nuovo “Grande Gioco” è scoppiato quindi in Asia centrale e meridionale. Nuovi paesi recitano, sul proscenio internazionale, uno scontro, di kiplingiana memoria, che deciderà i destini dell’equilibrio mondiale. Washington, Pechino, Mosca, Bruxelles, nel perseguire ciascuno i propri obiettivi nella regione, non potranno assolutamente sottovalutare le esigenze delle piccole e medie potenze dell’area che, lungi dall’essere semplici spettatori passivi, rivendicano un ruolo da protagoniste attive nel decidere le sorti del futuro assetto geopolitico internazionale.


* Marco Luigi Cimminella, dottore in Relazioni internazionali e diplomatiche (Università l’Orientale di Napoli), collabora con la redazione di “Eurasia”


Note

1 – Degno di nota fu la rivisitazione della teoria di Mackinder ad opera di Spykman, che attribuì maggiore importanza al concetto di Rimland, intesa come la fascia costiera euroasiatica dove si sarebbe inscenato lo scontro fra le potenze di terra e quelle di mare per il dominio del mondo.

2 – San Pietroburgo poteva infatti garantirsi uno sbocco nel Mediterraneo in due diversi modi. Il primo consisteva nel passare attraverso la regione dei Balcani, sottoposta al controllo turco. La seconda, controllare lo stretto dei Dardanelli e del Bosforo, entrambi sotto la reggenza ottomana. La strategia russa fu quella di attendere che l’esasperazione dei popoli salvi, insofferenti alla dominazione del sultano, prorompesse in una guerra contro la dominazione turca. Le forze militari russe avrebbero allora combattuto a fianco della popolazione locale, di cui lo zar si proclamava protettore, per stroncare le truppe ottomane e imporre il proprio controllo sulla regione. L’ostilità e l’opposizione turca nei confronti delle mire zariste fu rafforzata dall’impegno bellico di Regno Unito, Piemonte e Francia, che segnò, nella guerra di Crimea, la fine militare delle pretese pseudo religiose ed espansionistiche di Nicola I.

3 – Fonte dati: http://www.eia.doe.gov/

4 – http://www.theglobalist.com/StoryId.aspx?StoryId=2392