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mardi, 27 octobre 2009

Eduardo Galeano: Basi militari dell'EE.UU in Colombia

eduardo-galeano.jpgIntervista al giornalista e scrittore uruguayano


EDUARDO GALEANO :

“LE BASI MILITARI DELL’EE.UU. IN COLOMBIA OFFENDONO LA DIGNITA’ COLLETTIVA DELL’AMERICA LATINA”.

Di Fernando Arellano Ortiz

 

Traduzione di Erika Steiner –italiasociale.org

Nell’Avenita Amazonas, a Quito, a pochi passi dall’hotel dove alloggiamo, incontriamo come una qualsiasi viandante nella notte del 9 agosto Eduardo Galeano, che è arrivato nella capitale ecuadoregna per assistere come invitato speciale all’insediamento del presidente Rafael Correa, cerimonia prevista per il 10 agosto.
Lo abbiamo fermato, ci siamo presentati e gli abbiamo chiesto di rilasciarci un’intervista, cosa che ha accettato con piacere.
“Adesso non si può fare, ma vediamoci domani dopo la cerimonia di insediamento di Correa” ci dice l’autore di “Las venas abiertas de América Latina” (Le vene aperte dell’America Latina) e di “Espejos” (Specchi).
Come sempre, Galeano risponde con ironia a con umorismo, per questo le sue osservazioni vanno oltre la banalità. Come esperto latino americanista lo scrittore uruguaiano intervistato da CRONICON.NET fa una particolare analisi della realtà sociopolitica del nostro emisfero.

PORTE APERTE ALLA SPERANZA


- Dopo 200 anni dall’emancipazione dell’America Latina, si può parlare di una riconfigurazione del soggetto politico di questa regione, tenendo conto dei cambiamenti politici che si traducono in governi progressisti e di sinistra nei vari paesi latinoamericani?

- Sì, lasciamo le porte aperte alla speranza; vediamo una forma di rinascimento che è degna di essere festeggiata in paesi che non hanno ancora raggiunto la piena indipendenza, ma che hanno appena cominciato il loro cammino. L’indipendenza è un compito che non è ancora completato per quasi tutta l’America Latina.

- Con tutto la rinascita del sociale che si sta sviluppando in tutto il mondo, si può dire che c’è un’accentuazione dell’identità culturale dell’America Latina?

- Sì, credo di sì. E questo passa senza dubbio dalle riforme costituzionali. Offese la mia intelligenza, a parte altre cose che sentii, l’orrore del colpo di stato in Honduras, che si disse causato dal peccato commesso dal Presidente che volle consultare il popolo sulla possibilità di riformare la Costituzione, perché quello che voleva in realtà Zelaya era consultare il popolo sul modo di essere consultato, per lo meno era una riforma diretta. Supponendo anche che fosse una riforma costituzionale, che fosse la benvenuta! Le Costituzioni non sono eterne e perché si possano realizzare pienamente gli Stati le devono riformare. Io mi domando: “Che ne sarebbe degli Stati Uniti se i suoi abitanti continuassero osservano la loro prima Costituzione? La prima Costituzione degli Stati Uniti stabiliva che un negro corrispondeva a 3/5 di una persona. Obama non potrebbe essere Presidente perché nessun paese può dare un mandato a tre quinti di una persona.

- Lei parla della condizione razziale del presidente Barack Obama, però il fatto di mantenere o di ampliare le basi militari in America Latina, come sta succedendo in Colombia con l’installazione di sette piattaforme di controllo e di spionaggio, non evidenzia le vere intenzioni di questo mandatario del partito democratico, che semplicemente segue alla lettera i piani di espansione e di minaccia di una potenza egemonica come gli Stati Uniti?

- Il fatto è che Obama finora non ha chiarito bene quello che intende fare né in rapporto all’America Latina, le relazioni con noi, tradizionalmente problematiche, e nemmeno in altri temi. In alcuni settori c’è una volontà di cambio espressamente dichiarata, ad esempio per quel che riguarda il sistema sanitario è scandaloso che se tu ti rompi una gamba devi pagare fino alla fine dei tuoi giorni i debiti contratti per curarti per questo incidente.
Però in altri settori no, Obama continua a parlare della nostra “leadership”, del nostro “stile di vita”, con un linguaggio che assomiglia troppo a quello dei suoi predecessori. A me sembra molto positivo che un paese così razzista come quello, e con episodi di razzismo colossali, scandalosi e fuori dal comune che capitano ogni quarto d’ora abbia un presidente semi-nero.
Nel 1942, cioè mezzo secolo fa, praticamente ieri, il Pentagono proibì le trasfusioni di sangue di cittadini neri e il direttore della Croce Rossa si dimise, o lo fecero dimettere, perché non accettò questo ordine dicendo che tutto il sangue era rosso, e che era una stupidaggine parlare di sangue nero, ed egli era nero, ed era un grande scienziato, fu colui che rese possibili le trasfusioni di plasma su scala universale, Charles Drew.
Quindi per un paese che fece la stupidaggine di proibire il sangue nero avere Obama per presidente è un gran miglioramento. Però, d’altra parte, finora io non vedo un cambiamento sostanziale, basta vedere come il governo ha affrontato la crisi finanziaria, ah, non vorrei essere nei loro panni, però la verità è che alla fine furono ricompensati gli speculatori, i pirati di Wall Street che sono molto più pericolosi di quelli della Somalia, perché questi assaltano solo delle barchette lungo la costa, al contrario quelli della Borsa di New York assaltano il mondo.
E alla fine furono ricompensati; io volevo dar vita ad una campagna in loro favore, inizialmente commosso dalla crisi dei banchieri, con lo slogan “adotta un banchiere”, però ho abbandonato il mio proposito perché ho visto che lo Stato si è fatto carico di questa incombenza. (Risate). E lo stesso avviene con l’America Latina, non hanno ben chiaro quello che vogliono fare. Gli Stati Uniti hanno passato più di un secolo confezionando dittature militari in America Latina, e nel momento di difendere una democrazia, come l’Honduras, di fronte ad un evidente colpo di Stato, vacillano, danno risposte ambigue, non sanno cosa fare, perché non hanno pratica, mancano di esperienza, da un secolo lavorano in modo opposto, quindi capisco che il loro compito non sia facile.
Il caso delle basi militari in Colombia non solo offende la dignità collettiva dell’America Latina, ma anche l’intelligenza di ognuno, perché si dice che la loro funzione è quella di combattere la droga, ma per favore..! Così tutta l’eroina che si consuma nel mondo viene dall’Afganistan, anzi, quasi tutta, dati ufficiali delle Nazioni Unite che si possono facilmente trovare su internet. E l’Afganistan è un paese occupato dagli Stati Uniti, e come si sa i paesi occupanti hanno la responsabilità di quello che succede nei paesi occupati, quindi gli Stati Uniti hanno qualcosa a che fare con questo narcotraffico su scala universale e sono degni eredi della regina Vittoria che era una narcotrafficante.


eduardo-galeano-las-venas-abiertas-de-latinoamerica-copia3.jpgNON SI PUO’ ESSERE COSI’ IPOCRITI

- La regina britannica che nel secolo XIX introdusse con tutti i mezzi l’oppio in Cina attraverso commercianti inglesi e americani….

- Sì, la celeberrima regina Vittoria di Inghilterra impose l’oppio in Cina durante la guerra dei trent’anni, uccidendo una quantità immensa di cinesi perché l’impero cinese non voleva accettare questa sostanza proibita all’interno delle sue frontiere. E l’oppio è il padre dell’eroina e della morfina, per l’appunto. E questo alla Cina costò caro, perché la Cina era una grande potenza che avrebbe potuto competere con l’Inghilterra sia nei commerci che nella rivoluzione industriale, era l’officina del mondo, e la guerra dell’oppio li rovinò, tolse loro il nerbo, e da lì entrarono i giapponesi, in casa loro, in quindici minuti. Vittoria era una regina narcotrafficante e gli Stati Uniti, che usano la droga come pretesto per giustificare le loro invasioni militari, perché di questo si tratta, sono degni eredi di questa brutta tradizione. A me sembra che sia ora che ci svegliamo un po’, non si può essere così ipocriti. Se devono essere ipocriti che almeno lo facciano con un po’ di attenzione.
In America Latina abbiamo buoni professori di ipocrisia, se vogliono possiamo organizzare un accordo di aiuto reciproco e scambiarci gli ipocriti.

- Esattamente nove anni fa, in un’intervista concessaci a Bogotà, lei disse la seguente frase: “Dio salvi la Colombia dal Plan Colombia”. Qual è oggi la sua riflessione rispetto a questo paese andino gestito da un governo autoritario, legato agli interessi degli Stati Uniti, con un’allarmante situazione di violazioni dei diritti umani e con un conflitto interno che si ingrandisce sempre più?

- Permangono problemi gravissimi che il tempo ha reso più acuti. Io non so, non sono qui per dare consigli alla Colombia o ai colombiani, sono sempre stato contrario a questo modo di chi si sente in condizione di decidere su cosa un paese debba fare.
Non ho mai commesso questo imperdonabile peccato e non voglio commetterlo adesso nei confronti della Colombia, voglio solo auspicare che i colombiani trovino il loro cammino, sì, che lo trovino, nessuno può imporlo loro da fuori, né a destra né a sinistra, né al centro, né da nessuna parte, saranno i colombiani che dovranno trovarlo. Quello che posso fare io è dare testimonianza. Se mai ci sarà un tribunale che giudicherà la Colombia per quello che della Colombia si dice: paese violento, narcotrafficante, condannato alla violenza perpetua, testimonierò che no, che non è così, è un paese amabile, allegro e che merita un destino migliore.

RIVENDICANDO LA MEMORIA DI RAUL SENDIC

- Molti anni fa, forse quaranta, c’era un personaggio in Montevideo che si incontrava con un giovane chiamato Eduardo Hughes Galeano, con il proposito di dargli delle idee per le sue caricature, questo personaggio era Raul Sendic, l’ispiratore del Frente Amplio dell’Uruguay…

- e capo guerriero dei Tupamaros, anche se a quel tempo non lo era ancora. E’ vero, quando ero un ragazzino di circa 14 anni e cominciavo a disegnare caricature, lui si sedeva vicino a me e mi dava delle idee...era un uomo più grande di me, con una certa esperienza, e non era ancora ciò che diventò dopo: il fondatore, l’organizzatore e il capo dei Tupamaros.
Ricordo che disse di me al sig. Emilio Frugoni, che era il capo del Partito Socialista e direttore del settimanale dove io pubblicavo qualche caricatura: “Questo diventerà o un presidente o un gran delinquente”. E’ stata una buona profezia e alla fine sono diventato un gran delinquente. (Risate).

- Il fatto che oggi il Frente Amplio stia governando l’Uruguay e che un guerrigliero come Pepe Mujica abbia la possibilità di vincere le elezioni presidenziali è un omaggio alla memoria di Sendic?

- Sì, e di tutti quelli che parteciparono alla grande lotta per rompere il monopolio a due, il bi-polio, esercitato dal Partido Colorado e dal Partido Nacional per quasi tutta la vita indipendente del paese. Il Frente Amplio è arrivato da poco nello scenario politico nazionale e mi sembra un successo che adesso stia governando, anche se non sono sempre d’accordo con quello che fa e credo anche che non faccia tutto quello che bisognerebbe fare.
Però questo non c’entra perché alla fine la vittoria del Frente Amplio è anche la vittoria della diversità politica e io credo che questo significhi democrazia. Nel Frente coesistono molti partiti e movimenti diversi, uniti per l’appunto in una causa comune ma con le loro diversità e differenze, che io rivendico, per me questo è fondamentale.

- Cosa significa per lei come uruguaiano il fatto che un dirigente emblematico della sinistra come Pepe Mujica, ex guerrigliero tupamaro, abbia forti possibilità di arrivare alla Presidenza delle Repubblica del suo paese?

- Non sarà semplice, vedremo cosa succederà, giustamente la gente si riconosce in Pepe Mujica perché è completamente diverso dai politici tradizionali, nel linguaggio, nell’aspetto e in generale in tutto, anche se cerca di vestirsi come un uomo elegante non gli riesce bene ed è l’espressione di una volontà popolare di cambiamento. Credo che sarebbe una buona cosa se arrivasse alla Presidenza, vediamo se succede o no, in ogni caso il dramma dell’Uruguay, come quello dell’Ecuador, sicuramente, paese dove stiamo conversando in questo momento, è l’emorragia della sua popolazione giovane.
Ossia, la nostra patria pellegrina; nel suo discorso di insediamento il presidente Rafael Correa parlò di esiliati della povertà e la verità è che c’è un’enorme quantità di uruguaiani emigrati, molti più di quello che si dice perché le cifre non sono ufficiali, almeno 700 mila, 800 mila, in una popolazione piccolissima perché noi nell’Uruguay siamo 3 milioni e mezzo, questa quantità di gente fuori, tutti o quasi giovani, che hanno lasciato qui i vecchi o le persone che ormai hanno concluso la tappa della vita nella quale uno vuole che tutto cambi per poi rassegnarsi che non cambia niente o molto poco.

TESSERE COLORATE PER COMPORRE MOSAICI

- Partendo dai suoi libri di successo, “Las venas abiertas de América Latina pubblicato nel 1970, y Espejos, nel 2008, che raccontano storie di infamia, il primo nel nostro continente, l’altro nel mondo, c’è ancora spazio per continuare a credere nell’utopia?

- Espejos recupera la storia universale in tutte le sue dimensioni, nei suoi orrori ma anche nelle sue feste, è molto diverso da “Las venas abiertas de América Latina” che fu l’inizio del cammino. Las venas abiertas è quasi un saggio di economia politica, scritto in un linguaggio non molto tradizionale, per questo non ha vinto il concorso Casa de las Americas, perché la giuria non l’ha considerato serio.
Era un’epoca nella quale la sinistra pensava che il serio era quello che era noioso, e siccome il mio libro non era noioso non era serio, però è un libro con un concentrato di storia di politica economica e dei danni che questa storia ci portò, di come ci deformò e strangolò.
Al contrario Espejos tenta di affacciarsi al mondo intero raccogliendo tutto, le notti e i giorni, le luci e le ombre, tutte storie piuttosto corte, e c’è anche una differenza di stile, Las venas abiertas ha una struttura tradizionale, e partendo da qui io vorrei trovare un mio linguaggio, che è quello del racconto corto, tessere colorate per comporre grandi mosaici, e ogni racconto è una tesserina piena di colore, e uno degli ultimi racconti di Espejos evoca un vero ricordo della mia infanzia, io, da piccolo, credevo che tutto quello che si perdeva sulla terra andasse a finire sulla luna, ero convinto di questo e rimasi sorpreso quando arrivarono gli astronauti sulla luna perché non trovarono né promesse tradite, né illusioni perdute, né speranze vane, e allora mi domandai: “se non sono sulla luna dove sono? Non sarà che sono qui sulla terra e ci stanno aspettando?”.

Di Eduardo Gaelano ricordiamo: “Le vene aperte dell’America Latina” Ed. Sperling e Kupfer-
 

02/10/2009

lundi, 26 octobre 2009

Tutelle américaine sur l'Europe: la Pologne prête à participer à la nouvelle version du bouclier anti-missiles

Tutelle américaine sur l’Europe : la Pologne prête à participer à la nouvelle version du bouclier anti-missile

Missiles

VARSOVIE(NOVOpress)L’indépendance de la défense européenne ne parait toujours pas à l’ordre du jour.

Ainsi, la Pologne, par la voix de son premier ministre, s’est déclarée prête à participer à la nouvelle version du bouclier anti-missile américain (ABM).

« Le projet SM-3, c’est-à-dire le projet de nouvelle configuration du bouclier anti-missile est très intéressant et nous voulons y participer. Nous sommes prêts à assumer une responsabilité commune» , a indiqué le premier ministre polonais avant de souligner que les peuples polonais et américain partageaient « les mêmes valeurs ».

Une prise de position qui fait déjà grincer des dents le voisin russe qui voit d’un très mauvais œil la stratégie américaine en Europe.

[cc [1]] Novopress.info, 2009, Article libre de copie et diffusion sous réserve de mention de la source d’origine
[
http://fr.novopress. info [2]]


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dimanche, 25 octobre 2009

Nouvelle alliance entre grandes puissances?

358x283.jpgPeter SCHOLL-LATOUR:

Nouvelle alliance entre grandes puissances?

 

Le Président Barack Obama a renoncé à installer un bouclier anti-missiles en Pologne et une gigantesque station radar en République Tchèque. On a interprété cet abandon un peu trop vite comme un signe de faiblesse. Pourtant le président américain a de bonnes raisons de rechercher  de meilleures relations avec la Russie.

 

Obama se rend compte qu’une confrontation avec la Russie irait à l’encontre des intérêts américains sur le long terme. Surtout en ce qui concerne l’Afghanistan car, là, un changement décisif est survenu. Jusqu’ici les forces armées américaines avaient pu compter sur un  approvisionnement logistique efficace et sans heurts à travers le Pakistan: ces voies d’accès au théâtre afghan sont désormais devenues extrêmement difficiles. Dans l’avenir, l’approvisionnement de l’armée américaine devra se faire principalement via les anciennes républiques soviétiques  d’Asie centrale mais aussi via le territoire russe lui-même: une disposition qui est depuis longtemps déjà une réalité pour les Allemands. Le contingent allemand de l’ISAF, en effet, se fait depuis des années par la base aérienne de Termes, située sur le frontière méridionale de l’Ouzbékistan. 

 

Compte tenu de cette nouvelle situation, il apparaît de plus en plus clairement que la Russie, elle aussi, serait menacée si des forces radicales islamistes prenaient le pouvoir à Kaboul. Moscou craint surtout une extension rapidement du mouvement des talibans au Tadjikistan, en Ouzbékistan et éventuellement au Kirghizistan, ce qui mettrait un terme au pouvoir des potentats locaux qui proviennent encore de l’ancien régime soviétique.

 

L’affirmation de l’ancien ministre allemand de la défense, Peter Struck (SPD), qui disait que “l’Allemagne se défendait sur l’Hindou Kouch”, mérite aujourd’hui d’être corrigée. En réalité, c’est la Russie que l’on défend dans l’Hindou Kouch. Car, au-delà des Etats de la CEI, c’est-à-dire dans le territoire de la Fédération de Russie elle-même, vivent 25 millions de musulmans qui pourraient devenir un sérieux foyer de troubles. Washington vient donc de reconnaître qu’il y a une convergence d’intérêts entre Russes et Américains en Asie centrale, alors que le Président George W. Bush l’avait nié, en se cramponnant sur de vieilles certitudes.

 

La Chine, elle aussi, a intérêt à combattre toute forme de radicalisme islamiste depuis que la minorité turcophone des Ouïghours se dresse contre Pékin au nom de l’islam. Voilà pourquoi le conseil de sécurité des Nations-Unies est inhabituellement unanime pour prolonger le mandat de l’ISAF en Afghanistan.Mais je doute qu’à Berlin on reconnaisse ce changement profond qui  anime les politiques des grandes puissances. Les Allemands refusent toujours de reconnaître que leur engagement en Afghanistan constitue un acte de guerre et feignent de croire benoîtement qu’ils doivent aller là-bas pour construire des écoles pour fillettes et mettre tout en oeuvre pour que les femmes ne doivent pas circuler voilées. Ce sont là, à coup sûr, des perspectives intéressantes mais qui ne légitiment pas en suffisance d’y envoyer des soldats  allemands, avec le risque éventuel qu’ils s’y fassent tuer.

 

Peter SCHOLL-LATOUR.

(article paru dans “Junge Freiheit”, Berlin, n°43/2009; trad. franç.: Robert Steuckers).

 

A PARAITRE:

Début novembre  paraîtra en Allemagne le nouvel ouvrage du très prolifique Peter Scholl-Latour: “Die Angst des weissen Mannes – Eine Welt im Umbruch”, Propyläen Verlag, Berlin 2009, 24,90 euro.

 

Nobel a Obama

obama-general-patton-warmonger-afghanistan-war-commander-chief.jpgNobel a Obama:

vale la pena di ricordare la storia di sfruttamento e di sangue operato dagli Usa in America Latina

Ex: http://www.italiasociale.org/

La notizia che il presidente degli Stati Uniti, notoriamente una “nazione pacifica” e tutta votata al “bene dell’umanità”, sarebbe il prossimo candidato a riceve il Nobel per la pace, ha dell’incredibile se non del ridicolo, mentre i media Occidentali tacciono in modo connivente, chi parla invece è il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Hugo Chavez Frias, che si dice indignato perché Obana non ha alcun requisito per meritarlo. Rispetto a Bush cambia il colore della pelle ,ma non la sostanza è la medesima.
Come al solito Chavez non usa mezze parole per definire l’ennesima messa in scena mediatica, che accompagna oramai da anni il carrozzone legato al Nobel per la pace, che se nelle intenzioni del suo fondatore doveva essere un riconoscimento importante, frutto di scelte imparziali, oramai ha ben poco dello spirito originario ed oggi rappresenta solo l’ennesima presa in giro finalizzata a dare credito a coloro che sono strettamente funzionali al potere atlantico e mondialista.
“Hugo Chavez si chiede” che cosa abbia fatto Obana per meritare il Nobel”: ha forse operato per il disarmo nucleare? Ha per caso chiesto l’immediato ritiro delle truppe Usa dai teatri operativi iracheno( 124.000 soldati) e afghano(65.000 di cui 13.000 inviati in queste ore senza alcun annuncio da parte della Casa Bianca) ,e riguardo alle nuove basi Usa in territorio colombiano, una diretta minaccia al Venezuela e a tutta l’America Latina non allineata ai diktat di Washington, forse il presidente Usa si è detto contrario?” Nulla di tutto questo possiamo starne certi è avvenuto,l’establishment che lo ha eletto e che lo dirige a distanza è quello di sempre e gli obiettivi non sono mai cambiati fin dalla nascita degli Stati Uniti: il controllo e lo sfruttamento degli altri popoli.
Che la protesta giunga proprio dall’America Latina e da quello che attualmente rappresenta il suo uomo più rivoluzionario, non ci deve sorprendere,perché è proprio questo continente ad aver pagato il maggior tributo di sangue, miseria e sfruttamento negli ultimi cinquant’anni causato dalla “ politica di rapina” nei confronti delle proprie risorse naturali ad opera delle multinazionali statunitensi, che si sono sostituite a quelle britanniche . Un’opera di destabilizzazione continua, operata di concerto con le “oligarchie” locali che mai hanno smesso di intrecciare i propri interessi con quelli delle potenze di turno dominanti nell’area.
La presenza degli Stati Uniti in America Latina è dettata dalla sete di materie ,che l’industria della potenza capitalista necessita per il suo sviluppo e senza le quali non avrebbe potuto svilupparsi in modo poderoso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma nel contempo queste ultime debbono essere a buon mercato, a prezzi quasi stracciati,perché solo così i profitti derivanti dalla trasformazione di esse in prodotti finiti possa essere massimizzato.
Seguendo l’esempio britannico ,l’altra potenza liberale, che considerava il Sud America solo un grande mercato dove esportare quello che la sua industria manifatturiera produceva dalla trasformazione delle ricchezze naturali sottratte a basso costo, gli Usa si diedero da fare per controllare con ogni mezzo il rame, l’oro, il ferro, il petrolio, il caffè ed il cacao, lo zucchero, il gas naturale ecc. di cui il terreno del continente posto a Sud del Rio Bravo abbonda con l’aggiunta di un clima favorevole che facilita ogni genere di coltivazione. Costrinsero così gli stati Sud Americani, retti da governi fantoccio e con l’onnipresente oligarchia parassitaria, alla “monocultura”, all’”abolizione di ogni forma di protezionismo economico”, alla “ totale liberalizzazione dell’economia”,così da essere più facilmente preda degli avvoltoi del cosiddetto libero mercato, alla “libera circolazione dei capitali a senso unico verso l’esterno”, a l’”imposizione di tasse sui prodotti locali”, che così gravati da imposte risultavano meno concorrenziali di quelli esteri. General Motors, Uniteted Fruit Company, Ford, Exxon, Morgan Stanley,Bank of America,US Stell Company,Anglo-American,AT&T ed altre grandi corporation si gettarono così a capofitto su quello che tranquillamente si può definire il continente più ricco della terra. La terra dell’America Latina può sfamare senza problemi le sue popolazioni, i minerali sono in tale abbondanza che possono fornire la base per qualsiasi industria,il petrolio ed il gas naturale sono presenti quasi ovunque in abbondanza, sia in terra che in mare, così come sono cospicue le riserve d’acqua dolce, legname, flora e fauna.
L’Amazzonia rappresenta una fonte quasi inesauribile di acqua dolce , assieme alla Patagonia , e le sue biodiversità non temono rivali a livello globale, e infatti sono già entrate nel mirino degli Stati Uniti ( le recenti basi installate in Colombia sono vicine proprio al bacino del Rio delle Amazzoni), mentre i capitali di Gran Bretagna e Israele puntano al Sud del continente, lasciato sguarnito dalle Forze Armate Argentine dopo la sconfitta delle Malvinas e che l’attuale governo non pare intenzionato ad arginare sufficientemente. Cedere territori ricchi in cambio di denaro oggi, vuol dire perderne il controllo e sottrarne le possibili risorse alla nazione un domani.
Ma tutto questo non potrebbe, come già accennato, accadere senza la connivenza delle oligarchie presenti nei vari stati latino americani,che non hanno mai smesso di avere rapporti diretti con quelle anglosassoni, un rapporto che ha reso vane le varie rivoluzioni nazionaliste e socialiste, attraverso cruenti colpi di stato militari, dure repressioni di ogni forma di dissidenza , svendendo così la sovranità nazionale in cambio di effimeri vantaggi economici personali. Il presidente della Colombia Uribe può benissimo capeggiare l’attuale classifica, uomo del Dipartimento di Stato Usa, della Cia , legato al narcotraffico,si è arricchito sulla pelle del popolo colombiano, che è tra i più poveri della regione.
Oggi la situazione sia pur lentamente,si presenta in via di evoluzione in senso favorevole ai popoli del continente Sud Americano, che vedono intravvedere un luce nuova da ciò che sta avvenendo in Venezuela, Bolivia ed Ecuador, che aderiscono al progetto politico ALBA, un ‘ alleanza politica di contrasto all’ingerenza Usa e di ogni altra forma d’intromissione negli affari interni dei singoli Stati.
Anche il Brasile si sta avvicinando, sia pur con un approccio da possibile potenza continentale( interessanti i progetti di cooperazione militare sviluppati con la Francia che prevedono la costruzione di un sottomarino nucleare a difesa dei giacimenti petroliferi off shore), mentre l’Argentina pare ancora per certi aspetti ibernata in una specie di limbo a cui l’ha confinata la sconfitta nella campagna per le isole Malvinas, i lunghi anni di feroce dittatura militare e le privatizzazioni volute dal governo Menem. Tutto questo cozza con le migliori aspirazioni socialiste e nazionaliste dell’ala più squisitamente peronista dell’attuale governo, quella che vorrebbe attuare a tutto campo quelle riforme sociali e di politica nazionale che già Peron introdusse nei dieci anni di governo, e che furono sotto ogni punto di vista quanto di meglio l’Argentina abbia avuto dal 1945 ad oggi.
IL RUOLO DELLE OLIGARCHIE SUD AMERICANE E DELLA CHIESA CATTOLICA
Per capire appieno come è stato possibile da parte prima della Gran Bretagna( in precedenza anche Spagna e Portogallo) e poi dagli Stati Uniti penetrare in profondità nel tessuto economico e politico degli Stati dell’America Latina, è necessario analizzare il ruolo avuto in tutto questo processo da parte delle onnipresenti oligarchie locali, la vera quinta colonna di chi ancor oggi ha mire di dominio e di sfruttamento sui popoli del continente.
Esse hanno da sempre cercato di massimizzare i profitti attraverso l’esportazione delle materie prime di cui abbonda il suolo latino americano, oro, argento, ferro , rame, a cui in varie epoche si aggiunsero il caffè, il cacao, lo zucchero, il salnitro, il guano e poi il petrolio. Tutto questo produceva immense fortune a chi ne possedeva il controllo, ma al tempo stesso non era controbilanciata dalla crescita di una adeguata industria manifatturiera che potesse utilizzare le ricchezze locali, . La ricchezza così prodotta veniva dilapidata rapidamente, creando nei secoli una totale dipendenza dall’estero, che ha letteralmente inondato con i propri prodotti finiti i mercati Sud Americani, mentre nel contempo la popolazione non riceveva che le briciole dagli enormi profitti ed era costretta a subire l’ingresso delle multinazionali, delle banche dei capitali stranieri e di forme di sfruttamento sul lavoro che perdurano tutt’ora in molte realtà. I grandi proprietari terrieri, l’alta borghesia non seppero e non vollero fare quello che invece altrove , come negli Stati Uniti era avvenuto: trasformarsi da colonie in Stati indipendenti con un ‘economia protetta, con industria e agricoltura capaci di competere con le ex potenze coloniali, reinvestendo al proprio interno i capitali guadagnati per accrescere il livello industriale ed agricolo. In questo modo mentre una ristretta cerchia di persone si arricchiva sempre più, e tesseva legami sempre più stretti con i ricchi delle potenze dominanti in cambio di un effimero potere sui propri Stati, si continuava a vivere come se nulla fosse cambiato in una sorta di rassegnazione che vedeva sempre i medesimi soggetti comandare, sperperare immense fortune ed impertare anche il superfluo; e gli altri, il popolo, subire, arrivando al paradosso che per sedare le rivolte che alla fine scoppiavano, erano chiamati gli stessi “compatrioti in divisa” da tempo sul libro paga degli sfruttatori anglosassoni. Come non ricordare la rivolta scoppiata in Cile contro gli inglesi ,rei di sfruttare a loro uso e consumo l’ingente disponibilità di salnitro, importante concime , ebbene la ribellione venne schiacciata nel sangue grazie proprio all’intervento dell’esercito cileno, la stessa cosa si ripeté nella Patagonia argentina, dove i generali repressero duramente la popolazione locale che si opponeva alla penetrazione economica britannica, e da questi ultimi ringraziati…fino ad arrivare a tempi più recenti con il golpe contro Peron e Allende , con quest’ultimo che aveva osato nazionalizzare le miniere di rame, vitali per l’economia Usa, questa volta il servo di turno si chiamava Pinochet, per finire poi con le varie varie giunte militari in Argentina,macchiatesi di crimini di massa, ma sempre funzionali al grande capitali straniero che controlla ancor oggi larghe fette di questa economia.
Non va dimenticata infine l’opera di appoggio e connivenza operato dalla chiesa cattolica, che nei suoi vertici ha da sempre appoggiato ogni forma di oppressione, stringendo uno stretto legame con il tiranno di turno. Il recente golpe in Honduras ne è la riprova, con l’immediato riconoscimento operato dalla locale chiesa al burattino di Washington Micheletti. In passato mai una volta il Vaticano è intervento per condannare gli omicidi compiuti in Argentina dai vari Lanusse e Videla, così come un ruolo di primo piano ricoprì la chiesa argentina nell’abbattimento di Peron.
Oggi assistiamo ad una nuova fase della storia di questo continente, in un mondo fino a ieri unipolare, con la potenza egemone Nord Americana costretta sulla difensiva in Medio Oriente nell’impasse afghana e irachena. Il cosiddetto “cortile di casa degli Usa” ,l’America Latina,si sta destando, anche grazie alle nuove alleanze con le potenze Euroasiatiche come la Russia di Putin e Medvedev , la Cina , l’India e l’Iran, che stanno stringendo accordi economici di importanza strategica, ed al tempo stesso disinteressate ad ogni possibile intromissione politica nel continente Sud Americano. Si sta probabilmente andando verso un mondo multipolare, strada facilitata anche dalla attuale crisi economica, che ha investito le economia liberiste. La strada non sarà facile né breve perché gli Usa non accetteranno facilmente un loro ridimensionamento globale,anche a costa di una guerra dalle conseguenze incalcolabili, ma la storia insegna che per ogni potenza c’è dopo il momento della crescita e della stabilità, quello del declino, così fu per le grandi civiltà del passato, così sarà anche per chi, come gli Stati Uniti, non lasceranno che un pessimo ricordo di se stessi.


Federico Dal Cortivo


Buenos Aires 16-10-09


16/10/2009

samedi, 24 octobre 2009

Pollution: les USA pires que la Chine

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Pollution : les USA pires que la Chine

Ex: http://unitepopulaire.org/

 

« A Bangkok, où s’achèvent les discussions préparatoires du sommet sur le climat de Copenhague qui commence dans deux mois, les Etats-Unis font figure de boulet mondial. "Ils sont de plus en plus perçus comme un obstacle sur la voie des négociations. A eux de dissiper ce sentiment" déclare le délégué mexicain Fernando Tudela à Reuters. Le délégué chinois Yu Qingtai dénonce un effort concerté des pays industriels pour "saboter le Protocole de Kyoto". Les Etats-Unis ne sont pas directement nommés, mais personne n’est dupe. Par ailleurs, des sources européennes confient au Guardian leur souci de voir les Américains miner le nouveau traité.

Etonnant changement de… climat. Il y a encore un mois, on s’acheminait vers un affrontement entre pays riches et émergents, les seconds refusant de s’engager sur des objectifs fermes en matière de réduction de leurs émissions de CO2, tandis que les premiers rechignaient à leur fournir les moyens financiers pour atteindre cet objectif. Or la Chine, le Brésil et l’Inde ont assoupli leur position de principe. Certes, aucun des trois n’a fixé une cible concrète, mais, en termes de relations publiques, leurs leaders ont magnifiquement su faire passer le message qu’ils n’étaient pas insensibles à l’enjeu climatique. Le président Hu Jintao en particulier s’est montré convaincant devant l’Assemblée générale des Nations unies le 22 septembre dernier. La Chine pourrait aussi surprendre le monde par la rapidité de son adaptation, prévient mardi le rapport de l’Agence internationale de l’énergie (AIE). Ce pays qui investit énormément dans les énergies nucléaire, éolienne et solaire limiterait ses émissions de carbone à 7,1 gigatonnes en 2030 – contre 11,6 anticipées précédemment par l’AIE et 6,1 en 2007. "Ces économies peuvent placer la Chine en tête des efforts mondiaux contre le réchauffement climatique" dit Faith Birol, chef économiste de l’AIE. La Chine est devenue le premier pollueur mondial, juste devant les Etats-Unis. A eux deux, ces pays représentent un peu plus de 40% des émissions globales de CO2.

Le président Barack Obama, qui succédait à Hu Jintao à la tribune de l’ONU, est apparu plus vague que son homologue chinois sur les engagements américains. Et pour cause. Le week-end dernier, sa conseillère sur le climat, Carol Browner, a avoué ce qui se chuchotait depuis des semaines : surchargé par des débats sur la réforme de la santé et la politique étrangère, le Sénat n’arrivera probablement pas à voter la législation sur le changement climatique avant le sommet de décembre. Ainsi, les Etats-Unis seraient le seul pays important à arriver à Copenhague les mains vides. Pourtant, le texte en discussion au Sénat est déjà faible par rapport aux objectifs fixés par l’ONU. Il vise une réduction des émissions de 7% en 2020 par rapport à leur niveau de 1990, alors que l’objectif onusien est de 25 à 40%. […] Last but not least, l’opinion a évolué. Trois Américains sur quatre interrogés par ABC News se disent dorénavant favorables à une réglementation des émissions polluantes. »

 

Le Temps, 9 octobre 2009

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vendredi, 23 octobre 2009

Polonia y Estados Unidos analizan nueva estrategia militar

Polonia y Estados Unidos analizan nueva estrategia militar

Expertos militares de Estados Unidos y Polonia se reúnen hoy en esta ciudad para discutir una nueva estrategia más económica y adecuada para las necesidades defensivas de Europa, según observadores.

El plan norteamericano pretende situar en el viejo continente sistemas de misiles móviles, en sustitución del proyecto inicial de escudo balístico propuesto por el ex presidente George Bush, y que el mes pasado la actual administración de Barack Obama desechó.

En declaraciones a la radio pública polaca, el viceministro de Defensa de ese país, Stanislaw Komorowski, dijo que hoy tendrán la oportunidad de solicitar toda la información necesaria sobre la nueva propuesta, pues todavía hay muchas preguntas.


La decisión de Obama de cancelar el polémico plan de Bush, no fue bien vista por las autoridades polacas y sí por las rusas, quienes en más de una ocasión denunciaron que este escudo balístico constituía una amenaza directa a su seguridad.

A cambio de aceptar ser la sede de las baterías de misiles, Bush prometió a Polonia la entrega de cohetes tipo Patriot, una demanda reiterada del ejército polaco por considerar necesario este tipo de armamento para repeler posibles ataques de países vecinos.

Pese a su decisión, Obama no descartó la posibilidad de buscar variantes que protegieran mejor al pueblo estadounidense, a sus tropas y a sus aliados en Europa por lo que anunció una “propuesta gradual y adaptable” a la defensa antimisiles en el continente.

Según declaraciones de funcionarios estadounidenses, la administración Obama optará mejor por misiles Patriot y SM-3 recién desarrollados y capaces de interceptar lanzamientos enemigos antes de que un misil ofensivo de largo alcance enfrente una supuesta amenaza iraní.

El sistema será desplegado inicialmente en embarcaciones estadounidenses en el Mediterráneo y no en la considerada área de influencia de Rusia en Europa Oriental.

A pesar del rechazo de la nueva administración norteamericana de seguir adelante con el escudo antimisiles, todo apunta a que el sistema Patriot se instalará finalmente en los próximos meses en Polonia, bajo el control inicial de una dotación de militares estadounidenses para asegurar su funcionamiento.

Extraído de Prensa Latina.

jeudi, 22 octobre 2009

"Ballade au Pays de Scarlett": le nouveau livre de Jean-Claude Rolinat

gettysburg.jpg“ Ballade au pays de Scarlett ”,

le nouveau livre de Jean-Caude Rolinat…

Cinq questions à Jean-Claude Rolinat :

Jean-Claude Rolinat vient de publier « Ballade au pays de Scarlett»  aux Editions Fol’fer, dans lequel il évoque ce Deep South conservateur qui refusa la normalisation voulue par Washington et s’engagea dans une guerre dite de sécession. Conçu comme un abécédaire tout à la fois historique et touristique, le pays de Scarlett a trouvé en Rolinat un de ses meilleurs portraitistes. L’auteur n’a pas seulement saisi le cliché de ce Sud profond, il en a capté l’âme.

Catherine Robinson

Quelle est l’ambition de cette “ Ballade au pays de Scarlett ” ?

Au risque de paraître prétentieux, j’écris les livres que j’aurais aimé lire… D’autre part, s’agissant de celui-ci, j’ai dû aller onze ou douze fois aux Etats-Unis, plus particulièrement dans le Sud, et, à chaque voyage, je sentais monter en moi l’irrésistible envie de “ témoigner ”, d’inciter les gens à venir admirer des paysages autres que les merveilleux mais classiques décors de l’Ouest, sentir la geste, l’épopée d’un peuple qui résista de 1861à 1865 à l’énorme machine de guerre nordiste… De plus, dans nos milieux, il est de bon ton de confondre l’Amérique avec son gouvernement, de faire de sa pseudo intelligentsia le reflet frelaté du pays réel. Si le monde devait juger la France à travers les chansonnettes de Carla Bruni… au secours ! Il ne faut donc pas confondre le gouvernement fédéral de cette puissante thalassocratie forcément impérialiste qui, au passage, ne se nourrit que de nos faiblesses, avec le peuple de l’Amérique profonde, rurale, conservatrice, où les gens sont attachés, tout comme nous, aux simples valeurs traditionnelles. Et puis, “ les forts en gueule ” de l’anti-américanisme primaire, sans discernement, sont souvent les mêmes qui, jadis, étaient pétrifiés de trouille face aux chars soviétiques, bien contents alors d’avoir les GI’s de l’Oncle Sam présents en Europe. Cela étant dit, les temps ont changé, j’en suis bien conscient.

J’espère que l’achat de ce livre poussera plus d’un lecteur à boucler sa valise et à atterrir à Atlanta, à la Nouvelle Orléans, à Memphis ou à Nashville car, tout en étant un petit ouvrage historico-politique, c’est aussi surtout, et avant tout, un guide touristique.

L’Amérique telle que vous nous la décrivez est loin de ressembler aux modèles des séries télé américaines et encore plus loin de ce prétendu vide culturel comme d’un certain mode de vie envahissant (Pop Art, fast food…). Qu’en est-il réellement ?

L’Amérique est à elle seule un condensé du monde entier : toutes les ethnies de la terre s’y côtoient. Toutefois, les Etats du Sud font entendre leur petite musique particulière. Sans doute parce que c’est là que la vieille Europe et sa civilisation survécurent le plus longtemps. Et puis la nature, je ne vous dis que ça ! Des chênes d’où pend  comme des guirlandes de Noël la mousse espagnole, la vigne vierge qui part à l’assaut des fils électriques, des torrents bondissants et des chutes d’eau spectaculaires (c’est là qu’ont été tournés par exemple des films tels que Le Dernier des Mohicans ou Délivrance), des magnolias fleuris, des marais aux eaux noires comme la stout irlandaise où les alligators ne dorment que d’un œil… Les paysages et l’histoire, ainsi que les peuples qui les habitent et qui la font, sont étroitement imbriqués, indissociables, mêlant à chaque instant, à chaque coin de rue passé et présent. Malgré la malédiction de l’esclavage ou à cause de lui, Noirs et Blancs qui, comme l’huile et l’eau, ne se mélangent guère, sont toutefois parties prenantes de ces Etats américains à part entière et entièrement à part, inséparables, comme les bandes zébrées du célèbre mammifère africain. Quant au “ vide culturel ”  que vous évoquez, il suffit de franchir les portes de n’importe quel musée des villes du Sud pour tordre le cou à cette rumeur…

Parmi les multiples sujets historiques, vous traitez de Napoléon III et des Sudistes. Pourriez-vous nous en dire quelques mots ?

L’empereur Napoléon III, qui vérifiait ce que Tocqueville avait pressenti une ou deux décennies avant lui, voulait contenir sinon contrecarrer cette puissance émergente. Ce qui explique qu’il souhaita jouer un rôle d’arbitre dans le conflit entre les Etats qui, quelque part, l’arrangeait bien dans sa tentative de mettre un prince européen sur le trône du Mexique. Il informa le représentant de la Confédération, Sidell, qu’il espérait obtenir une suspension des hostilités. Une façon pour lui d’afficher ses préférences sudistes. Mais l’Angleterre ne suivit pas la France, la Russie non plus. Alors, il abandonna. Le gouvernement de l’Union s’en souviendra, en soutenant ouvertement Juarez contre Maximilien que Napoléon III avait imposé comme Empereur aux Mexicains. On connaît la suite…

Question guide touristique, vous nous indiquez, parmi les perles du Sud, une petite ville du nom de Madison à voir impérativement. Quelle est sa particularité ?

À elle seule, la petite cité de Madison en Géorgie, située sur l’Interstate 20 à l’est d’Atlanta, même si elle n’a pas l’ampleur de la somptueuse Savannah ou de la nonchalante et élégante Charleston, est la quintessence des villes du Sud : maisons antebellum de style victorien, antiquaires et végétation rafraîchissante. Et puis, c’est une des rares agglomérations qui échappa à la fureur de ce pyromane de général Sherman dans sa marche vers la mer…

S’il n’y avait qu’un livre d’écrivain du Sud à citer – hormis Margaret Mitchell –, quel est celui que vous choisiriez ?

Disons deux ou trois… Puiser au hasard dans l’œuvre de Faulkner bien sûr, avec son récurrent et mythique comté de Yoknapatawpha qui pourrait bien être celui d’Oxford où il vivait dans le Mississippi, sans oublier non plus Vladimir Volkoff avec ses Nouvelles américaines ainsi que Dominique Venner avec Le Blanc Soleil des Vaincus car, après tout, the South gonna rise again !

Propos recueillis par Catherine Robinson

Publié dans le quotidien Présent

Jean-Claude Rolinat, Ballade au pays de Scarlett, Atelier Fol’Fer, BP 20047, 28260 Anet. Tél : 06 74 68 24 40. Fax : 09 58 28 28 66. Prix : 26 euros franco.

NDLR : Jean-Claude Rolinat participera à la 3ème journée nationale et identitaire organisée par Synthèse nationale, mercredi 11 novembre prochain au Forum de Grenelle (5, rue de la Croix Nivert 75015 Paris). Il dédicacera ses livres.

Source : Synthèse Nationale [1]


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[1] Synthèse Nationale: http://synthesenationale.hautetfort.com/archive/2009/10/15/ballade-au-pays-de-scarlett-le-nouveau-livre-de-jean-caude.html

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mardi, 20 octobre 2009

Newsweek: campagne contre Berlusconi

newsweek.jpg

 

Newsweek: campagne contre Berlusconi

 

On peut critiquer la politique de Berlusconi, qui n’est jamais qu’une variante de néo-libéralisme. Et dans la foulée de cette critique, on peut évidemment souhaiter à l’Italie un régime politique plus social et plus indépendant du “mainstream” néo-libéral qui afflige la planète. En revanche, quand “Il Cavaliere” annonce son intention de retirer les troupes italiennes d’Afghanistan et quand immédiatement après cette déclaration de bon sens, le magazine américain “Newsweek” appelle, tonitruant et sans aucune circonlocution, les Italiens “à laisser tomber Berlusconi”, le scepticisme doit être de mise. La litanie de griefs contre “Il cavaliere” qu’énonce “Newsweek” ressemble furieusement à celles qui, précédemment, annonçaient l’un ou l’autre lynchage médiatique au profit de figures, généralement falotes, qui conviennent à la politique internationale des Etats-Unis et font des marionnettes idéales.

 

Berlusconi serait impliqué dans trop de scandales et cela nuirait à la bonne réputation de l’Italie dans le monde, avance “Newsweek”, qui ajoute: “L’Italie ne peut plus se permettre les frasques de son playboy de leader”. Même si les sondages, à rebours de ces injonctions pressantes, créditent Il Cavaliere de 63% des intentions de vote dans la péninsule. Et “Newsweek” poursuit sa charge: “S’il reste au pouvoir en Italie, cela conduirait non seulement à un fiasco pour le pays mais cela pourrait aussi causer des dommages à l’Europe et à l’Alliance Atlantique”. Les menaces sont donc à peine voilées.  L’Italie doit revenir au bercail atlantiste. Sans tergiverser. Et le peuple italien doit cesser de se choisir un leader qui déplait à Washington. Messieurs les Italiens, vous êtes priés de changer d’avis, vos opinions démocratiques ne sont pas “politiquement correctes”, elles ne correspondent pas à la “bonne gouvernance” que nous entendons faire triompher d’Honolulu aux Açores et des Açores à Midway, car elle est le seul mode accepté de “démocratie”. Le reste, c’est du “populisme”, donc du “fascisme” ou du “communisme”.

 

Cette menace, ces petits prémisses d’une campagne de presse internationale à venir, n’est-elle pas due à la politique énergétique de Berlusconi, qualifiée de “russophile” parce qu’elle privilégie “South Stream” au détriment de “Nabucco”? Et n’est-elle pas renforcée par l’annonce du retrait probable des bersaglieri italiens du théâtre afghan, au moment même où un certain Général McChrystal réclame des renforts considérables pour tenter de maîtriser enfin l’imbroglio d’Afghanistan?

lundi, 19 octobre 2009

The Anglo-US Drive into Eurasia and the Demonization of Russia

264515072_small2.jpgThe Anglo-US Drive into Eurasia and the Demonization of Russia
Reframing the History of World War II


Global Research, October 2, 2009

As tensions mount between the U.S. and the North Atlantic Treaty Organization (NATO) on one side and Moscow and its allies on another, the history of the Second World War is being re-framed to demonize Russia, the legal successor state and largest former constituent republic (pars pro toto) of the Union of Soviet Socialist Republics (U.S.S.R.). In 2009, the U.S.S.R. and the Nazi government of Germany started being portrayed as the two forces that ignited the Second World War.

The historicity behind such a narrative is incorrect and nothing can be further from the truth in regards to Moscow. The security of the European core of the Soviet Union was the main objective of the Kremlin as well as the recovery of lost territory. The Soviet government was also aware of war plans against the Soviet Union. Adolph Hitler thought Britain would join Germany in war against the Soviets, even until the latter part of the Second World War.

This discourse in itself is part of a broader roadmap to control Eurasia through the encirclement of any rival powers, such as Russia and China. To understand the geo-politics and strategic nature of the encirclement of Russia and China by the U.S. and NATO, as well as the Eurasian alliance being formed by Moscow and Beijing as a counter-measure, one must look at the historic Anglo-American drive to cripple and contain any power in Eurasia.

Geography is the basis of the social evolution of traditional power, whether in feudal societies or in industrial societies. For example the property ownership of the landed class, which originally was the nobility, gave rise to the factory system. The rise of financial power is somewhat different, but yet it is also tied to geography.

The United States, India and Brazil are all “natural great powers” — a term coined herein. Natural great powers are states that are bound, with time, to develop or evolve into major hubs of human production because of their geographic configuration or nature’s blessings. In the Eurasian landmass, above all others, there are three states that we can call natural great powers; these states are Russia, China, and India. They have large territories and vast resources and, due to the two former factors, possess great human capacity that can lead to major productivity.

Without human capacity, however, geography and resources are meaningless, and therefore any impairment of population growth or social development through war, civil strife, famine, political instability and/or economic instability can obstruct the emergence of a natural great power. This is exactly what has been happening in the Russian Federation and its earlier predecessors, the U.S.S.R. and the Russian Empire, for the last two hundred years - from the numerous episodes of civil war, the First World War, and the Second World War, to the Yeltsin era and the problems in Caucasia. This is also why the declining population of Russia is a major worry for the Kremlin. If left undisturbed, such nation-states like China and Russia, would dominate the global economy and, by extension, international politics.

This is exactly what Anglo-American foreign policy has been trying to prevent for almost three centuries, first strictly under British clout and then later through combined British and American cooperation. In Europe, the containment policy was first applied to France for centuries and later, after German unification under Prince Otto von Bismarck, to Germany. Later the policy was expanded in scope to all Eurasia (the proper geographic extension of Europe or the “Continent”, as the British called it).

Part of this policy included the prevention of Russian access to the shores of the Mediterranean Sea or the Persian Gulf, which would threaten British trade and eventually maritime supremacy. This is one of the main reasons that the British and French played Czarist Russia and Ottoman Turkey against one another and militarily supported the Ottoman Empire in the Crimean War, when the possibility of Russia, under Catherine II, gaining Ottoman territory on the Mediterranean Sea seemed real.

Why did the Soviets and Chinese Bear the Brunt of the Burden in the Second World War?

The U.S.S.R. and China suffered the greatest material, demographic and overall losses in the Second World War. A quantitative comparative overview and cross-examination of the casualty figures of Britain, the United States, the Soviet Union and China will show the staggering differences between the so-called “Western Allies” and the so-called “Eastern Allies.”

Britain suffered 400,000 casualties and the U.S. suffered just over 260,000 casualties. U.S. civilian casualties were virtually non-existent and no U.S. factories were even touched. On the other hand, the U.S.S.R. had about 10 million military casualties and 12 to 14 million civilian casualties, while China had about 4 to 5 million military casualties and civilian casualties that have been estimated in the range of 8 to 20 million deaths.

Suffering can not be qualified or quantified, but much is overlooked in regards to the Soviet Union and China. Without question the Soviet Union and China lost the greatest ratio of their populations amongst the major Allies. In many cases the casualties of the series of civil wars in the Soviet Union (which saw foreign involvement and even intervention) and the casualties of the Japanese invasion of China (30 million people, starting before 1939) are not counted as Second World War casualties by many historians in Western Europe and the Anglosphere

Most the fighting in the Second World War also took place in the territories of China and Russia. Both Eurasian giants also faced the greatest destruction of infrastructure and material loss, which set their development back by decades. The agricultural and industrial capacity of China alone was cut in half. The Axis, specifically Germany and Japan (two economic rivals of the U.S. and Britain), also were crippled. In contrast, the U.S. was virtually untouched, while Britain as a state was totally depended on U.S. patronage. [1]

U.S. Economic Expansion: Global Wars and the Growth of U.S. Industrial and Economic Might

Both the First World War and the Second World War managed to eliminate any economic rivalry or challenge to U.S. corporations. While Europe and Asia were ravaged by war, the U.S. inversely grew economically. U.S. industrial might grew by leaps and bounds, while the industrial capacities of Europe and Asia were destroyed by both Allied and Axis sides in the Second World War and by the Allies and the Central Powers in the First World War.

By the end of the the Second World War, the U.S. literally owned half the global economy through loans, American foreign investment and war debts. U.S. economic expansion and the American export boom were unprecedented in the scale that took place during the period from 1910-1950, all of which was tied to the Eurasian warscape. Also, it was also only the U.S. that had the economic resources to rebuild the economies and industrial capacities of Europe and Asia, which it did with strings attached. These strings involved favourable treatment of U.S. corporations, preferential trade with the U.S., and the setting up of U.S. branch plants.

1945 was the beginning of Pax Americana. Even much of the foreign aid provided by the U.S. government (with the approval of Congress), to facilitate the reconstruction of European states, flowed back into the private bank accounts of the owners of U.S. corporations, because American firms were awarded many reconstruction-related contracts. War had directly fuelled the industrial might of the United States, while eliminating other rivals such as the Japanese who were a major economic threat to U.S. markets in Asia and the Pacific.

Just to show the extent of the American objectives to handicap their economic rivals one should look at the handling of Japan from 1945 till about October 1, 1949. After the surrender of Tokyo to the U.S. on the U.S.S. Missouri and the start of the American occupation and administration of Japan, the Japanese economy began to rapidly decline because of the calculated neglect of the U.S. through the office of the Supreme Commander of the Allied Powers (SCAP). In economic terms, the Japanese case was initially very similar to that of Anglo-American occupied Iraq.
 
In late-1949 all this began to change. Almost overnight, there was literally a complete change, or a flip-flop, in U.S. policy on Japan. It was only after October 1, 1949 when the People’s Republic of China was declared by Mao Zedong and the Communist Party of China that the U.S. began to allow Japan to recover economically, so as to use it as a counter-weight to China. As a side note, in a case of irony, the quick change in American policy regarding Japan allowed the U.S. to overlook the Japanese policy of not allowing foreign investment, which is one of the reasons for the economic success of Japan and one of the reasons why the financial elites of Japan form part of the trilateral pillar of the global economy along with the elites of the U.S. and Western Europe.

The “Open Doors” Policy of the Anglo-American Establishment

Anglo-American elites also made it clear that they wanted a global policy of “open doors” through the 1941 Atlantic Charter, which was a joint British and American declaration about what post-war international relations would be like. It is very important to note that the Atlantic Charter was made before the U.S. even entered the Second World War. The events and description above was the second clear phase behind the start of modern neo-liberal globalization; the first phase was the start of the First World War. In both wars the financial and corporate elite of the U.S., before the entry of the U.S. as a combatant, had funded both sides through loans and American investment, while they destroyed one another. This included the use of middlemen and companies in other countries, such as Canada.

The creation of the U.S. Federal Reserve in 1913, before the First World War and the U.S. domestic (not foreign, because of the regulations of other states) de-coupling of the gold standard from the U.S. dollar in 1933, before the Second World War, were required beforehand for the U.S. domination of other economies. Both were steps that removed the limits and restrains on the number of U.S. dollars being printed, which allowed the U.S. to invest and loan money to the warring states of Europe and Asia.

Norman Dodd, a former Wall Street banker and investigator for the U.S. Congress, who examined  U.S. tax-exempt foundations, revealed in a 1982 interview that the First World War was anticipated by U.S. elites in order to further manage the global economy. [2] War or any form of large-scale traumatic occurences are the perfect events to use for restructuring societies, all in the name of the war effort and the common good. Civil liberties and labour laws can be suspended, while the press is fully censored and opposition figures arrested or demonized, while corporations and governments merge in close coordination and under the justification of the war effort. This was true of virtually all sides in the First World War and the Second World War, from Canada to Germany under Adolph Hitler.
 
In contrast to the views of its own citizens, the American government was never really neutral during both the First World War and the Second World War. The U.S. was funding and arming the British at the start of the Second World War. Also before the American entry in the Second World War, the U.S., Canada, and Britain started the process of joint war planning and military integration. Before the Japanese attacked Pearl Harbour on December 7, 1941 the U.S. and Canada, which was fighting Germany, on  August 17, 1940 signed the Ogdensburg Agreement, which was an agreement that spelled out joint defence through the Permanent Joint Board of Defence and joint war planning against Germany and the Axis. In 1941, the Hyde Park Agreement formally united the Canadian and American war economies and informally united the U.S., Canadian, and British economies. The U.S. and British military command would also be integrated. In part, the monetary arrangement that was made through these war transactions between the U.S., Canada, and Britain would become the basis for the Bretton Woods formula.
 
Also, the empires of Britain, France, and other Western European states were not dismantled just due to the fact that they were all degraded because of the Second World War, but because of Anglo-American economic interests. The imperialist policies of these European states made it mandatory for their colonies to have preferential trade with them, which went against the “open doors” policy that would allow U.S. corporations to penetrate into other national economies, especially ones that were ravaged by war and thus perfect for U.S. corporate entrance.
 

The Reasons for the German-Soviet Non-Aggression Pact
 
Britain and the U.S. also deliberately delayed their invasion of Western Europe, calculating that it would weaken the Soviets who did most the fighting in Europe’s Eastern Front. This is why the U.S. and Britain originally invaded North Africa instead of Europe. They wanted the Third Reich and the Soviet Union to neutralize one another.

The German-Soviet Non-Aggression Pact or the Ribeentrop-Molotov Pact caused shock waves in Europe and North America when it was signed. The German and Soviet governments were at odds with one another. This was more than just because of ideology; Germany and the Soviet Union were being played against one another in the events leading up to the Second World War, just as how previously Germany, the Russian Empire, and the Ottoman Empire were played against one another in Eastern Europe [3]

This is why Britain and France only declared war on Berlin, in 1939, when both the U.S.S.R. and Germany had invaded Poland. If the intentions were to protect Poland, then why only declare war against Germany when in reality both the Germans and the Soviets had invaded? There is something much deeper to be said about all this.

If Moscow and Berlin had not signed a non-aggression agreement there would have been no declaration of war against Germany. In fact Appeasement was a deliberate policy crafted in the hope of allowing Germany to militarize and then allowing the Nazi government the means, through military might, to create a common German-Soviet border, which would be the prerequisite to an anticipated German-Soviet war that would neutralize the two strongest land powers in Europe and Eurasia. [4]

British policy and the rationale for the non-aggression pact between the Soviets and Germans is described best by Carroll Quigley. Quigley, a top ranking U.S. professor of history, on the basis of the diplomatic agreements in Europe and insider information as an professor of the elites explains the strategic aims of British policy from 1920 to 1938 as:

[T]o maintain the balance of power in Europe by building up Germany against France and [the Soviet Union]; to increase Britain’s weight in that balance by aligning with her the Dominions [e.g., Australia and Canada] and the United States; to refuse any commitments (especially any commitments through the League of Nations, and above all any commitments to aid France) beyond those existing in 1919; to keep British freedom of action; to drive Germany eastward against [the Soviet Union] if either or both of these two powers became a threat to the peace [probably meaning economic strength] of Western Europe [and most probably implying British interests]. [5]

In order to carry out this plan of allowing Germany to drive eastward against [the Soviet Union], it was necessary to do three things: (1) to liquidate all the countries standing between Germany and [the Soviet Union]; (2) to prevent France from [honouring] her alliances with these countries [i.e., Czechoslovakia and Poland]; and (3) to hoodwink the [British] people into accepting this as a necessary, indeed, the only solution to the international problem. The Chamberlain group were so successful in all three of these things that they came within an ace of succeeding, and failed only because of the obstinacy of the Poles, the unseemly haste of Hitler, and the fact that at the eleventh hour the Milner Group realized the [geo-strategic] implications of their policy [which to their fear united the Soviets and Germans] and tried to reverse it. [6]

It is because of this aim of nurturing Germany into a position of attacking the Soviets that British, Canadian, and American leaders had good rapports (which seem unexplained in standard history textbooks) with Adolph Hitler and the Nazis until the eve of the Second World War.

In regards to appeasement under Prime Minister Neville Chamberlain and its beginning under the re-militarization of the industrial lands of the Rhineland, Quigley explains:

This event of March 1936, by which Hitler remilitarized the Rhineland, was the most crucial event in the whole history of appeasement. So long as the territory west of the Rhine and a strip fifty kilometers wide on the east bank of the river were demilitarized, as provided in the Treaty of Versailles and the Locarno Pacts, Hitler would never have dared to move against Austria, Czechoslovakia, and Poland. He would not have dared because, with western Germany unfortified and denuded of German soldiers, France could have easily driven into the Ruhr industrial area and crippled Germany so that it would be impossible to go eastward. And by this date [1936], certain members of the Milner Group and of the British Conservative government had reached the fantastic idea that they could kill two birds with one stone by setting Germany and [the Soviet Union] against one another in Eastern Europe. In this way they felt that two enemies would stalemate one another, or that Germany would become satisfied with the oil of Rumania and the wheat of the Ukraine. It never occurred to anyone in a responsible position that Germany and [the Soviet Union] might make common cause, even temporarily, against the West. Even less did it occur to them that [the Soviet Union] might beat Germany and thus open all Central Europe to Bolshevism. [7]

The liquidation of the countries between Germany and [the Soviet Union] could proceed as soon as the Rhineland was fortified, without fear on Germany’s part that France would be able to attack her in the west while she was occupied in the east. [8]

In regards to eventually creating a common German-Soviet, the French-led military alliance had to first be neutralized. The Locarno Pacts were fashioned by British foreign policy mandarins to prevent France from being able to militarily support Czechoslovakia and Poland in Eastern Europe and thus to intimidate Germany from halting any attempts at annexing both Eastern European states. Quigley writes:

[T]he Locarno agreements guaranteed the frontier of Germany with France and Belgium with the powers of these three states plus Britain and Italy. In reality the agreements gave France nothing, while they gave Britain a veto over French fulfillment of her alliances with Poland and the Little Entente. The French accepted these deceptive documents for reason of internal politics (...) This trap [as Quigley calls the Locarno agreements] consisted of several interlocking factors. In the first place, the agreements did not guarantee the German frontier and the demilitarized condition of the Rhineland against German actions, but against the actions of either Germany or France. This, at one stroke, gave Britain the right to oppose any French action against Germany in support of her allies to the east of Germany. This meant that if Germany moved east against Czechoslovakia, Poland, and eventually [the Soviet Union], and if France attacked Germany’s western frontier in support of Czechoslovakia or Poland, as her alliances bound her to do, Great Britain, Belgium, and Italy might be bound by the Locarno Pacts to come to the aid of Germany. [9]

The Anglo-German Naval Agreement of 1935 was also deliberately signed by Britain to prevent the Soviets from joining the neutralized military alliance between France, Czechoslovakia, and Poland. Quigley writes:

Four days later, Hitler announced Germany’s rearmament, and ten days after that, Britain condoned the act by sending Sir John Simon on a state visit to Berlin. When France tried to counterbalance Germany’s rearmament by bringing the Soviet Union into her eastern alliance system in May 1935, the British counteracted this by making the Anglo-German Naval Agreement of 18 June 1935. This agreement, concluded by Simon, allowed Germany to build up to 35 percent of the size of the British Navy (and up to 100 percent in submarines). This was a deadly stab in the back of France, for it gave Germany a navy considerably larger than the French in the important categories of ships (capital ships and aircraft carriers), because France was bound by treaty to only 33 percent of Britain’s; and France in addition, had a worldwide empire to protect and the unfriendly Italian Navy off her Mediterranean coast. This agreement put the French Atlantic coast so completely at the mercy of the German Navy that France became completely dependent on the British fleet for protection in this area. [10]

The Hoare-Laval Plan was also used to stir Germany eastward instead of southward towards the Eastern Mediterranean, which the British saw as the critical linchpin holding their empire together and connecting them through the Egyptian Suez Canal to India. Quigley explains:

The countries marked for liquidation included Austria, Czechoslovakia, and Poland, but did not include Greece and Turkey, since the [Milner] Group had no intention of allowing Germany to get down onto the Mediterranean ‘lifeline.’ Indeed, the purpose of the Hoare-Laval Plan of 1935, which wrecked the collective-security system by seeking to give most Ethiopia to Italy, was intended to bring an appeased Italy in position alongside [Britain], in order to block any movement of Germany southward rather than eastward [towards the Soviet Union]. [11]

Both the Soviet Union, under Joseph Stalin, and Germany, under Adolph Hitler, ultimately became aware of the designs for the planning of a German-Soviet war and because of this both Moscow and Berlin signed a non-aggression pact prior to the Second World War. The German-Soviet arrangement was largely a response to the Anglo-American stance. In the end it was because of Soviet and German distrust for one another that the Soviet-German alliance collapsed and the anticipated German-Soviet war came to fruition as the largest and deadliest war theatre in the Second World War, the Eastern Front.

The Origins of the Russian Urge to Protect Eurasia

With this understanding of the Anglo-American strategic mentality of weakening Eurasia the ground can be paved for understanding the Russian mentality and mind frame for protecting themselves through protecting their European core and uniting  Eurasia through such organizations as the Warsaw Pact, the Collective Security Treaty Organization (CSTO), and the Shanghai Cooperation Organization (SCO), and such Russian policies as the Primakov Doctrine and allying Moscow with Iran and Syria.

As spheres of influence were carved in Europe, it was understood that Greece would fall into the Anglo-American orbit, while Poland, Bulgaria, Romania, Albania, Yugoslavia, and Czechoslovakia would fall within the Soviet orbit. Due to this understanding the Red Army of the Soviet Union watched as the Greek Communists were butchered and the British militarily intervened in the Greek Civil War. The reason for these agreements involving spheres of influence in Europe was that the Soviets wanted a buffer zone to protect themselves from any further invasions from Western Europe, which had been plaguing the U.S.S.R. and Czarist Russia.

In reality, the Cold War did not start because of Soviet aggression, but because of a long-standing historic impulse by Anglo-American elites to encircle and control Eurasia. The Soviet Union honoured its agreement with Britain and the U.S. not to intervene in Greece, which even came at the expense of Yugoslav-Soviet relations as Marshal Tito broke with Stalin over the issue. This, however, did not stop the U.S. and Britain from falsely accusing the Soviets of supporting the Greek Communists and declaring war on the Soviets through the Truman Doctrine. This move was a part of the Anglo-American  bid to encircle the Soviet Union and to control Eurasia. Today this policy, which existed before the First World War and helped spark the Second World War, has not changed and Anglo-American elites, such as Zbigniew Brzezinski, still talk about partitioning Russia, the successor state of the Soviet Union.

Mahdi Darius Nazemroaya is a Research Associate of the Centre for Research on Globalization (CRG) specializing in geopolitics and strategic issues.

NOTES

[1] British elites, however, had managed to incorporate themselves into the economic livelihood of the U.S., forming an Anglo-American elite and effectively separating themselves from the interests of the majority of British citizens.

[2] Mahdi Darius Nazemroaya, Plans for Redrawing the Middle East: The Project for a “New Middle East”, Centre for Research on Globalization (CRG),
November 18, 2006.

[3] Mahdi Darius Nazemroaya, The “Great Game”: Eurasia and the History of War, Centre for Research on Globalization (CRG),
December 3, 2007.


[4] China at this time was already being limited by Japan and before that by combined Japanese, Russian, and Western European policies. This would leave Germany and the U.S.S.R. as the two main threats to Anglo-American interests.

[5] Carroll Quigley, The Anglo-American Establishment: From Rhodes to Cliveden (San Pedro, California: GSG & Associates Publishers, 1981), p.240.

[6] Ibid., p.266.

[7] Ibid., p.265.

[8] Ibid., p.272.

[9] Ibid., p.264.

[10] Ibid., pp.269-270.

[11] Ibid., p.273.



dimanche, 18 octobre 2009

Cosmetic Conservatism

Cosmetic Conservative

Describing what he sees as the relative powerlessness of talk radio, New York Times columnist David Brooks wrote last week: “Let us take a trip back into history… It is the winter of 2007. The presidential primaries are approaching. The talk jocks like Rush Limbaugh, Glenn Beck, Sean Hannity and the rest are over the moon about Fred Thompson. They’re weak at the knees at the thought of Mitt Romney. Meanwhile, they are hurling torrents of abuse at the unreliable deviationists: John McCain and Mike Huckabee. Yet somehow, despite the fervor of the great microphone giants, the Thompson campaign flops like a fish. Despite the schoolgirl delight from the radio studios, the Romney campaign underperforms. Meanwhile, Huckabee surges. Limbaugh attacks him, but social conservatives flock. Along comes New Hampshire and McCain wins! McCain wins the South Carolina primary and goes on to win the nomination. The talk jocks can’t even deliver the conservative voters who show up at Republican primaries. They can’t even deliver South Carolina!”

David Brooks is a man who does not, and probably cannot, understand a state like South Carolina. Nor does he understand talk radio, the conservative movement, or even himself.

Talk radio hosts gravitated toward Fred Thompson and Mitt Romney because both candidates best fit their ideal: non-threatening, marquee value GOP establishment types who project a “conservative” image, despite not having much of a record to match. The reason Mike Huckabee “surged” is because “values voters” cared more about electing one of their own than his lack of limited government credentials. John McCain won in South Carolina because the most military-heavy state in the union wanted to support a soldier, and the senator’s military record was valued more than his politics. Indeed, virtually every Republican who ran for president in 2008 represented a different form of identity politics on the Right.

And so does Brooks. Brooks advocates the same neoconservative Republican politics that animated Thompson, Romney, Huckabee and McCain, and his differences with the current conservative movement are more style than substance. The New York Times columnist would like to see a conservatism that stays faithful to the policies of the Bush administration, yet with the temperament and air-of- respectability of a New York Times columnist. His criticism is almost entirely cosmetic.

Calling himself a “reformist” Brooks seeks a conservative movement less abrasive than talk radio, less Christian than Mike Huckabee and pretty much exactly like John McCain, sans Sarah Palin. This kindler, gentler, or dare I say “compassionate” conservatism, differs little from the Republican brand that got its butt kicked in 2008, or as The American Conservative’s Jim Antle writes: “Much of reformist conservatism is really an aesthetic judgment about the Republican Party and conservative movement… the reformists tended to support the very Bush-era policies that ushered in the Obama administration and Democratic congressional majorities. Virtually all of them favored invading Iraq. Although many of them now concede that the war did not go as well, pre-surge, as they had hoped, most of them continue to believe the decision to attack Iraq was justified. The Iraq War and the foreign-policy ideas that gave rise to it are conspicuous by their absence from reformists’ list of areas where Republicans or conservatives need to change.”

Indeed. And now Brooks and his ilk still argue over the righteousness of the war in Iraq, the need to stay in Afghanistan and are keeping a hawk’s eye on Iran. In the mind of Brooks, the Republicans didn’t lose the White House in 2008 because of George W. Bush, his policies or his wars - Americans were simply turned off by Sarah Palin. Brooks’ conservatism is anything but, and despite his rationalizations, the man is basically just a snob.

But if Brook’s snob conservatism, Thompson and Romney’s wannabe-Reagan-imitations, Huckabee’s holy-rolling and McCain’s mad-bomber mentality are all just stylistic variations of the same Republican policies, it is worth noting the one candidate in 2008 who attracted widespread, bipartisan support, based not only almost purely on his ideas - but ideas that stood in stark contrast to the rest of his party. Texas Congressman Ron Paul’s 2008 campaign reflected the antiwar sentiment that helped elect Obama and the anti-government outrage that now defines the grassroots Right. Paul, unlike his fellow 2008 presidential contenders, not only rejected the failed policies of the Bush administration, but despite his lack of charisma, possessed the only political platform that might have had a chance of winning - while remaining conservative to the core.

But strict, limited government conservatism is of little concern to establishment men like Brooks, which makes him completely useless. Writes Antle: “the reformists, whose new ideas are not conservative and whose old ideas are the ones that destroyed the Bush GOP, are the very last pundits Republicans should heed.”

Indeed. And if the American Right needs a new, better identity - as many rightly believe it does - a good start might be to move as far away as possible from the politics and person of David Brooks.

Article URL: http://www.takimag.com/site/article/cosmetic_conservative/

00:15 Publié dans Politique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique, etats-unis, conservatisme, philosophie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

samedi, 17 octobre 2009

Ben Laden a travaillé pour les Etats-Unis jusqu'au 11 septembre 2001

Bombe médiatique :

Ben Laden a travaillé pour les États-Unis jusqu’au 11 Septembre 2001

Ex: http://fr.altermedia.info

sibel-edmonds

Invitée par l’animateur de l’émission radio Mike Malloy radio show [1], l’ancienne traductrice pour le FBI, Sibel Edmonds, a lancé une véritable bombe médiatique (audio, transcription partielle).

Lors de son interview, Sibel raconte comment les États-Unis ont entretenu des « relations intimes » avec ben Laden et les talibans, « tout du long, jusqu’à ce jour du 11 septembre. » Dans « ces relations intimes », Ben Laden était utilisé pour des “opérations” en Asie Centrale, dont le Xinjiang en Chine. Ces “opérations” impliquaient l’utilisation d’al-Qaida et des talibans tout comme « on l’avait fait durant le conflit afghano-soviétique », c’est à dire combattre “les ennemis” par le biais d’intermédiaires.

Comme l’avait précédemment [2] décrit Sibel, et comme elle l’a confirmé dans son dernier interview, ce procédé impliquait l’utilisation de la Turquie (avec l’assistance d’acteurs provenant du Pakistan, de l’Afghanistan et de l’Arabie Saoudite) en tant qu’intermédiaire, qui à son tour utilisait ben Laden, les talibans et d’autres encore, comme armée terroriste par procuration.

Le contrôle de l’Asie Centrale

Parmi les objectifs des “hommes d’État” américains [3] qui dirigeaient ces activités, il y avait le contrôle des immenses fournitures d’énergie et de nouveaux marchés pour les produits militaires. Pourtant, les Américains avaient un problème. Ils ne devaient pas laisser leur empreinte afin d’éviter une révolte populaire en Asie centrale (Ouzbékistan, Azerbaïdjian, Kazakhstan et Turkménistan), et aussi de sérieuses répercussions du côté de la Chine et de la Russie. Ils trouvèrent une ingénieuse solution : utiliser leur État fantoche, la Turquie, comme mandataire et en appeler à la fois aux sensibilités panturques et panislamiques.

Dans la région, la Turquie, alliée de l’OTAN, a beaucoup plus de crédibilité que les États-Unis ; avec l’histoire de l’Empire ottoman, elle pourrait appeler au rêve d’une plus large sphère d’influence panturque. La majorité de la population d’Asie Centrale partage le même héritage, la même langue, la même religion que les Turcs.

À leur tour, les Turcs ont utilisé les talibans et al-Qaida, en appelant à leur rêve d’un califat panislamique (sans doute. Ou bien les Turcs/Américains ont très bien payé).

Selon Sibel : « Ceci a commencé il y a plus de dix ans, dans le cadre d’une longue opération illégale et à couvert, menée en Asie centrale par un petit groupe aux États-Unis. Ce groupe avait l’intention de promouvoir l’industrie pétrolière et le Complexe Militaro-Industriel en utilisant les employés turcs, les partenaires saoudiens et les alliés pakistanais, cet objectif étant poursuivi au nom de l’Islam. »

Les Ouïghours

On a récemment demandé à Sibel d’écrire sur la récente situation de Ouïghours au Xinjiang, mais elle a refusé, disant simplement : « Notre empreinte y est partout. »

Bien sûr, Sibel n’est pas la première ou la seule personne à reconnaitre tout cela.
Eric Margolis [4], l’un des meilleurs reporters occidentaux concernant l’Asie Centrale, a affirmé que les Ouïghours, dans les camps d’entrainement en Afghanistan depuis 2001, « ont été entrainés par ben Laden pour aller combattre les communistes chinois au Xinjiang. La CIA en avait non seulement connaissance, mais apportait son soutien, car elle pensait les utiliser si la guerre éclatait avec la Chine. »

Margolis a également ajouté que : « L’Afghanistan n’était pas un creuset du terrorisme, il y avait des groupes commando, des groupes de guérilla, entrainés à des buts spécifiques en Asie Centrale. »

Dans une autre interview, Margolis [5] dit: « Ceci illustre le bon mot (en français dans le texte, NDT) de Henry Kissinger affirmant qu’il est plus dangereux d’être un allié de l’Amérique, que son ennemi, car ces musulmans chinois du Xinjiang (la province la plus à l’ouest) étaient payés par la CIA et armée par les États-Unis. La CIA allait les utiliser en cas de guerre contre la Chine, ou pour provoquer le chaos là-bas ; ils étaient entrainés et soutenus hors d’Afghanistan, certains avec la collaboration d’Oussama ben Laden. Les Americains étaient très impliqués dans toutes ces opérations. »

La galerie de voyous

L’an dernier, Sibel a eu la brillante idée de révéler des activités criminelles dont elle n’a pas le droit de parler : elle a publié dix-huit photographies – intitulées la “Galerie ‘Privilège Secrets d’État’ de Sibel Edmonds” – de personnes impliquées dans les opérations qu’elle avait tenté de révéler. L’une de ces personnes est Anwar Yusuf Turani [6], le prétendu “Président en Exil” du Turkistan Est (Xinjiang). Ce prétendu gouvernement en exil a été établi à Capitol Hill (le siège du Congrès US, NdT) en septembre 2004, provoquant des reproches acerbes de la part de la Chine.

“L’ancienne” taupe, Graham Fuller, qui avait joué un rôle dans l’établissement du “gouvernement en exil” de Turani du Turkestan Est, figure également parmi la galerie de voyous de Sibel. Fuller a beaucoup écrit sur le Xinjiang et son “Projet pour le Xinjiang” remis à la Rand Corporation était apparemment le plan pour le “gouvernement en exil” de Turani. Sibel a ouvertement affiché son mépris à l’égard de M. Fuller.

Susurluk

La Turquie a une longue histoire d’affaires d’État mêlant terrorisme, au trafic de drogue et autres activités criminelles, dont la plus parlante est l’incident de Susurluk en 1996 [7] qui a exposé ce qu’on nommait le “Deep State” (l’État Profond : l’élite militarobureaucratique, NDT)

Sibel affirme que « quelques acteurs essentiels ont également fini à Chicago où ils ont centralisé “certains” aspects de leurs opérations (surtout les Ouighurs du Turkestan Est). »

L’un des principaux acteurs du “Deep State”, Mehmet Eymur, ancien chef du contre-terrorisme pour les services secrets de la Turquie, le MIT, figure dans la collection de photos de Sibel. Eymur fut exilé aux USA. Un autre membre de la galerie de Sibel, Marc Grossman [8] était l’ambassadeur de la Turquie au moment où l’incident de Susurluk révélait l’existence de “Deep State”. Il fut rappelé peu après, avant la fin de son affectation tout comme son subordonné, le commandant Douglas Dickerson qui tenta plus tard de recruter Sibel dans le monde de l’espionnage.

Le modus operandi du gang de Suruluk est identique à celui des activités décrites par Sibel en Asie Centrale, la seule différence étant que cette activité eut lieu en Turquie il y a dix ans. De leur côté, les organes d’État aux États-Unis, dont la corporation des médias, avaient dissimulé cette histoire avec brio.

La Tchétchénie, l’Albanie et le Kosovo

L’Asie centrale n’est pas le seul endroit où les acteurs de la politique étrangère américaine et ben Laden ont partagé des intérêts similaires. Prenons la guerre en Tchétchénie. Comme je l’ai écrit ici [9], Richard Perle et Stephan Solarz (tous deux dans la galerie de Sibel) ont rejoint d’autres néo-conservateurs phares tels que : Elliott Abrams, Kenneth Adelman, Frank Gaffney, Michael Ledeen, James Woolsey, et Morton Abramowitz dans un groupe nommé Le Comité Américain pour la Paix en Tchétchénie (ACPC) [10]. Pour sa part, ben Laden a donné 25 millions de dollars pour la cause, fourni des combattants en nombre, apporté des compétences techniques, et établi de camps d’entraînement.

Les intérêts des États-Unis convergeaient [9] aussi avec ceux d’al-Qaida au Kosovo et en Albanie. Bien sûr, il n’est pas rare que surviennent des circonstances où “l’ennemi de mon ennemi est mon ami.” D’un autre côté, dans une démocratie transparente, on attend un compte-rendu complet des circonstances menant à un événement aussi tragique que le 11/9. C’était exactement ce que la Commission du 11/9 était censée produire.

Secrets d’État

Sibel a été surnommée “la femme la plus bâillonnée d’Amérique”, s’étant vue imposer par deux fois l’obligation au secret d’État. Son témoignage de 3 heures et demie devant la Commission du 11/9 a été totalement supprimé, réduit à une simple note de bas de page qui renvoie les lecteurs à son témoignage classé. (donc non accessible, NdT)

Dans l’interview, elle révèle que l’information, classée top secret dans son cas, indique spécifiquement que les USA se sont servis de ben Laden et des taliban en Asie Centrale, dont le Xinjiang. Sibel confirme que lorsque le gouvernement US la contraint juridiquement au silence, c’est dans le but de « protéger “des relations diplomatiques sensibles”, en l’occurrence la Turquie, Israël, le Pakistan, l’Arabie saoudite… » C’est sans doute en partie vrai, mais il est vrai aussi qu’ils se protègent eux-mêmes : aux États-Unis, c’est un crime que d’utiliser la classification (confidentielle, NdT) et le secret pour couvrir des crimes.

Comme le dit Sibel dans l’interview : « Je dispose d’informations concernant des choses sur lesquelles le gouvernement nous a menti… on peut très facilement prouver que ces choses sont des mensonges, sur la base des informations qu’ils ont classées me concernant, car nous avons entretenu de très proches relations avec ces gens ; cela concerne l’Asie Centrale, tout du long, jusqu’au 11 Septembre. »

Résumé

L’information explosive ici est évidemment qu’aux États-Unis, certaines personnes se sont servies de ben Laden jusqu’au 11 septembre 2001.

Il est important de comprendre pourquoi : depuis de nombreuses années, les États-Unis ont sous-traité leurs opérations terroristes à al-Qaïda et aux talibans, encourageant l’islamisation de l’Asie centrale en vue de tirer profit des ventes d’armes tout comme des concessions pétrolières et gazières.

Le silence du gouvernement US sur ces affaires est aussi assourdissant que les conséquences (les attentats du 11/9, NDT) furent stupéfiantes.

Source: ReOpen911 [11]


Article printed from AMI France: http://fr.altermedia.info

URL to article: http://fr.altermedia.info/general/bombe-mediatique-ben-laden-a-travaille-pour-les-etats-unis-jusqu%e2%80%99au-11-septembre_25424.html

URLs in this post:

[1] Mike Malloy radio show: http://www.mikemalloy.com/

[2] précédemment: http://lukery.blogspot.com/2008/07/court-documents-shed-light-on-cia.html

[3] “hommes d’État” américains: http://letsibeledmondsspeak.blogspot.com/2008/01/sibel-names-names-in-pictures.html

[4] Eric Margolis: http://www.ericmargolis.com/biography.aspx

[5] Margolis: http://lukery.blogspot.com/2009/07/us-trained-uighur-terrorists.html

[6] Anwar Yusuf Turani: http://www.eastturkistangovernmentinexile.us/anwar_biography.html

[7] Susurluk en 1996: http://en.wikipedia.org/wiki/Susurluk_scandal

[8] Marc Grossman: http://en.wikipedia.org/wiki/Marc_Grossman

[9] ici: http://lukery.blogspot.com/2008/07/sibel-edmonds-case-central-asia.html

[10] Comité Américain pour la Paix en Tchétchénie (ACPC): http://www.rightweb.irc-online.org/profile/American_Committee_for_Peace_in_Chechnya

[11] ReOpen911: http://www.reopen911.info/News/2009/08/13/une-bombe-ben-laden-a-travaille-pour-les-etats-unis-jusquau-11-septembre/

Ben Laden a travaillé pour les Etats-Unis jusqu'au 11 septembre 2001

Bombe médiatique :

Ben Laden a travaillé pour les États-Unis jusqu’au 11 Septembre 2001

Ex: http://fr.altermedia.info

sibel-edmonds

Invitée par l’animateur de l’émission radio Mike Malloy radio show [1], l’ancienne traductrice pour le FBI, Sibel Edmonds, a lancé une véritable bombe médiatique (audio, transcription partielle).

Lors de son interview, Sibel raconte comment les États-Unis ont entretenu des « relations intimes » avec ben Laden et les talibans, « tout du long, jusqu’à ce jour du 11 septembre. » Dans « ces relations intimes », Ben Laden était utilisé pour des “opérations” en Asie Centrale, dont le Xinjiang en Chine. Ces “opérations” impliquaient l’utilisation d’al-Qaida et des talibans tout comme « on l’avait fait durant le conflit afghano-soviétique », c’est à dire combattre “les ennemis” par le biais d’intermédiaires.

Comme l’avait précédemment [2] décrit Sibel, et comme elle l’a confirmé dans son dernier interview, ce procédé impliquait l’utilisation de la Turquie (avec l’assistance d’acteurs provenant du Pakistan, de l’Afghanistan et de l’Arabie Saoudite) en tant qu’intermédiaire, qui à son tour utilisait ben Laden, les talibans et d’autres encore, comme armée terroriste par procuration.

Le contrôle de l’Asie Centrale

Parmi les objectifs des “hommes d’État” américains [3] qui dirigeaient ces activités, il y avait le contrôle des immenses fournitures d’énergie et de nouveaux marchés pour les produits militaires. Pourtant, les Américains avaient un problème. Ils ne devaient pas laisser leur empreinte afin d’éviter une révolte populaire en Asie centrale (Ouzbékistan, Azerbaïdjian, Kazakhstan et Turkménistan), et aussi de sérieuses répercussions du côté de la Chine et de la Russie. Ils trouvèrent une ingénieuse solution : utiliser leur État fantoche, la Turquie, comme mandataire et en appeler à la fois aux sensibilités panturques et panislamiques.

Dans la région, la Turquie, alliée de l’OTAN, a beaucoup plus de crédibilité que les États-Unis ; avec l’histoire de l’Empire ottoman, elle pourrait appeler au rêve d’une plus large sphère d’influence panturque. La majorité de la population d’Asie Centrale partage le même héritage, la même langue, la même religion que les Turcs.

À leur tour, les Turcs ont utilisé les talibans et al-Qaida, en appelant à leur rêve d’un califat panislamique (sans doute. Ou bien les Turcs/Américains ont très bien payé).

Selon Sibel : « Ceci a commencé il y a plus de dix ans, dans le cadre d’une longue opération illégale et à couvert, menée en Asie centrale par un petit groupe aux États-Unis. Ce groupe avait l’intention de promouvoir l’industrie pétrolière et le Complexe Militaro-Industriel en utilisant les employés turcs, les partenaires saoudiens et les alliés pakistanais, cet objectif étant poursuivi au nom de l’Islam. »

Les Ouïghours

On a récemment demandé à Sibel d’écrire sur la récente situation de Ouïghours au Xinjiang, mais elle a refusé, disant simplement : « Notre empreinte y est partout. »

Bien sûr, Sibel n’est pas la première ou la seule personne à reconnaitre tout cela.
Eric Margolis [4], l’un des meilleurs reporters occidentaux concernant l’Asie Centrale, a affirmé que les Ouïghours, dans les camps d’entrainement en Afghanistan depuis 2001, « ont été entrainés par ben Laden pour aller combattre les communistes chinois au Xinjiang. La CIA en avait non seulement connaissance, mais apportait son soutien, car elle pensait les utiliser si la guerre éclatait avec la Chine. »

Margolis a également ajouté que : « L’Afghanistan n’était pas un creuset du terrorisme, il y avait des groupes commando, des groupes de guérilla, entrainés à des buts spécifiques en Asie Centrale. »

Dans une autre interview, Margolis [5] dit: « Ceci illustre le bon mot (en français dans le texte, NDT) de Henry Kissinger affirmant qu’il est plus dangereux d’être un allié de l’Amérique, que son ennemi, car ces musulmans chinois du Xinjiang (la province la plus à l’ouest) étaient payés par la CIA et armée par les États-Unis. La CIA allait les utiliser en cas de guerre contre la Chine, ou pour provoquer le chaos là-bas ; ils étaient entrainés et soutenus hors d’Afghanistan, certains avec la collaboration d’Oussama ben Laden. Les Americains étaient très impliqués dans toutes ces opérations. »

La galerie de voyous

L’an dernier, Sibel a eu la brillante idée de révéler des activités criminelles dont elle n’a pas le droit de parler : elle a publié dix-huit photographies – intitulées la “Galerie ‘Privilège Secrets d’État’ de Sibel Edmonds” – de personnes impliquées dans les opérations qu’elle avait tenté de révéler. L’une de ces personnes est Anwar Yusuf Turani [6], le prétendu “Président en Exil” du Turkistan Est (Xinjiang). Ce prétendu gouvernement en exil a été établi à Capitol Hill (le siège du Congrès US, NdT) en septembre 2004, provoquant des reproches acerbes de la part de la Chine.

“L’ancienne” taupe, Graham Fuller, qui avait joué un rôle dans l’établissement du “gouvernement en exil” de Turani du Turkestan Est, figure également parmi la galerie de voyous de Sibel. Fuller a beaucoup écrit sur le Xinjiang et son “Projet pour le Xinjiang” remis à la Rand Corporation était apparemment le plan pour le “gouvernement en exil” de Turani. Sibel a ouvertement affiché son mépris à l’égard de M. Fuller.

Susurluk

La Turquie a une longue histoire d’affaires d’État mêlant terrorisme, au trafic de drogue et autres activités criminelles, dont la plus parlante est l’incident de Susurluk en 1996 [7] qui a exposé ce qu’on nommait le “Deep State” (l’État Profond : l’élite militarobureaucratique, NDT)

Sibel affirme que « quelques acteurs essentiels ont également fini à Chicago où ils ont centralisé “certains” aspects de leurs opérations (surtout les Ouighurs du Turkestan Est). »

L’un des principaux acteurs du “Deep State”, Mehmet Eymur, ancien chef du contre-terrorisme pour les services secrets de la Turquie, le MIT, figure dans la collection de photos de Sibel. Eymur fut exilé aux USA. Un autre membre de la galerie de Sibel, Marc Grossman [8] était l’ambassadeur de la Turquie au moment où l’incident de Susurluk révélait l’existence de “Deep State”. Il fut rappelé peu après, avant la fin de son affectation tout comme son subordonné, le commandant Douglas Dickerson qui tenta plus tard de recruter Sibel dans le monde de l’espionnage.

Le modus operandi du gang de Suruluk est identique à celui des activités décrites par Sibel en Asie Centrale, la seule différence étant que cette activité eut lieu en Turquie il y a dix ans. De leur côté, les organes d’État aux États-Unis, dont la corporation des médias, avaient dissimulé cette histoire avec brio.

La Tchétchénie, l’Albanie et le Kosovo

L’Asie centrale n’est pas le seul endroit où les acteurs de la politique étrangère américaine et ben Laden ont partagé des intérêts similaires. Prenons la guerre en Tchétchénie. Comme je l’ai écrit ici [9], Richard Perle et Stephan Solarz (tous deux dans la galerie de Sibel) ont rejoint d’autres néo-conservateurs phares tels que : Elliott Abrams, Kenneth Adelman, Frank Gaffney, Michael Ledeen, James Woolsey, et Morton Abramowitz dans un groupe nommé Le Comité Américain pour la Paix en Tchétchénie (ACPC) [10]. Pour sa part, ben Laden a donné 25 millions de dollars pour la cause, fourni des combattants en nombre, apporté des compétences techniques, et établi de camps d’entraînement.

Les intérêts des États-Unis convergeaient [9] aussi avec ceux d’al-Qaida au Kosovo et en Albanie. Bien sûr, il n’est pas rare que surviennent des circonstances où “l’ennemi de mon ennemi est mon ami.” D’un autre côté, dans une démocratie transparente, on attend un compte-rendu complet des circonstances menant à un événement aussi tragique que le 11/9. C’était exactement ce que la Commission du 11/9 était censée produire.

Secrets d’État

Sibel a été surnommée “la femme la plus bâillonnée d’Amérique”, s’étant vue imposer par deux fois l’obligation au secret d’État. Son témoignage de 3 heures et demie devant la Commission du 11/9 a été totalement supprimé, réduit à une simple note de bas de page qui renvoie les lecteurs à son témoignage classé. (donc non accessible, NdT)

Dans l’interview, elle révèle que l’information, classée top secret dans son cas, indique spécifiquement que les USA se sont servis de ben Laden et des taliban en Asie Centrale, dont le Xinjiang. Sibel confirme que lorsque le gouvernement US la contraint juridiquement au silence, c’est dans le but de « protéger “des relations diplomatiques sensibles”, en l’occurrence la Turquie, Israël, le Pakistan, l’Arabie saoudite… » C’est sans doute en partie vrai, mais il est vrai aussi qu’ils se protègent eux-mêmes : aux États-Unis, c’est un crime que d’utiliser la classification (confidentielle, NdT) et le secret pour couvrir des crimes.

Comme le dit Sibel dans l’interview : « Je dispose d’informations concernant des choses sur lesquelles le gouvernement nous a menti… on peut très facilement prouver que ces choses sont des mensonges, sur la base des informations qu’ils ont classées me concernant, car nous avons entretenu de très proches relations avec ces gens ; cela concerne l’Asie Centrale, tout du long, jusqu’au 11 Septembre. »

Résumé

L’information explosive ici est évidemment qu’aux États-Unis, certaines personnes se sont servies de ben Laden jusqu’au 11 septembre 2001.

Il est important de comprendre pourquoi : depuis de nombreuses années, les États-Unis ont sous-traité leurs opérations terroristes à al-Qaïda et aux talibans, encourageant l’islamisation de l’Asie centrale en vue de tirer profit des ventes d’armes tout comme des concessions pétrolières et gazières.

Le silence du gouvernement US sur ces affaires est aussi assourdissant que les conséquences (les attentats du 11/9, NDT) furent stupéfiantes.

Source: ReOpen911 [11]


Article printed from AMI France: http://fr.altermedia.info

URL to article: http://fr.altermedia.info/general/bombe-mediatique-ben-laden-a-travaille-pour-les-etats-unis-jusqu%e2%80%99au-11-septembre_25424.html

URLs in this post:

[1] Mike Malloy radio show: http://www.mikemalloy.com/

[2] précédemment: http://lukery.blogspot.com/2008/07/court-documents-shed-light-on-cia.html

[3] “hommes d’État” américains: http://letsibeledmondsspeak.blogspot.com/2008/01/sibel-names-names-in-pictures.html

[4] Eric Margolis: http://www.ericmargolis.com/biography.aspx

[5] Margolis: http://lukery.blogspot.com/2009/07/us-trained-uighur-terrorists.html

[6] Anwar Yusuf Turani: http://www.eastturkistangovernmentinexile.us/anwar_biography.html

[7] Susurluk en 1996: http://en.wikipedia.org/wiki/Susurluk_scandal

[8] Marc Grossman: http://en.wikipedia.org/wiki/Marc_Grossman

[9] ici: http://lukery.blogspot.com/2008/07/sibel-edmonds-case-central-asia.html

[10] Comité Américain pour la Paix en Tchétchénie (ACPC): http://www.rightweb.irc-online.org/profile/American_Committee_for_Peace_in_Chechnya

[11] ReOpen911: http://www.reopen911.info/News/2009/08/13/une-bombe-ben-laden-a-travaille-pour-les-etats-unis-jusquau-11-septembre/

vendredi, 16 octobre 2009

La base d'Incirlik, atoutstratégique pour les Etats-Unis

turkey_incirlik.jpgLa base d’Incirlik (Turquie), atout stratégique pour les Etats-Unis

Ex: http://qc.novopress.info/

Avec la réorientation de l’action militaire des Etats-Unis vers l’Afghanistan, la base turque d’Incirlik, dans le sud du pays, érigée en 1951 pour ses atouts en faveur des actions de bombardiers à long rayon d’action, devrait connaître une montée en puissance au profit des forces américaines. Il s’agit en effet d’une véritable plate-forme tout à fait opportune sur le plan stratégique en matière de projection de forces, mais aussi sur le plan logistique. Elle fut largement sollicitée lors des opérations en Irak au début des années 1990 et des bombardements réguliers tout au long de cette même décennie. En fait, cette base est utilisée depuis près d’un demi-siècle par les forces américaines qui sont liées à la Turquie en vertu d’un accord de coopération et de défense datant de 1969 ; accord doublé d’un volet économique à partir de 1980. Plus récemment, Incirlik  était un pilier stratégique des interventions massives en Irak, au point que la base en 2007, voyait transiter par ses pistes plus de 70% des avions gros-porteurs à destination du territoire irakien. Le site conserverait aussi, selon diverses ONG, des ogives nucléaires B-61.

Le retour au premier plan des opérations similaires américaines de la base coïnciderait avec les voyages officiels effectués tant par la secrétaire d’Etat Hillary Clinton, en mars 2009, que par le président Barack Obama lui-même, en avril 2009, qui, depuis, de cesse de réitérer son soutien à  l’idée que la Turquie puisse intégrer l’Union européenne.

La situation est en tout cas favorable à l’affirmation de la Turquie sur l’échiquier international, laquelle est un partenaire obligé pour la question du Kurdistan irakien, mais aussi un interlocuteur privilégié comme intermédiaires dans les relations syro-israéliennes et russo-géorgiennes, et même auprès des Etats afghan et pakistanais.

Actuellement, la base d’Incirlik compte quelque 4500 Américains. En cas de dégradation de la situation en Irak, après août 2010, elle sera un pôle stratégique particulièrement précieux pour intervenir.

Source : RAIDS magazine #280, p.14


Article printed from :: Novopress Québec: http://qc.novopress.info

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jeudi, 15 octobre 2009

Entretien avec Mary de Rachewiltz, fille d'Ezra Pound

ezra_pound.jpgARCHIVES DE SYNERGIES EUROPEENNES - 1997

Entretien avec Mary de Rachewiltz, fille d'Ezra Pound et gardienne d'un mythe

 

BRUNNENBURG (Bozen). Près du village de Tyrol (cette fois il s'agit du village et non de la région) se trouve le château de Brunnenburg, ensemble composé de deux constructions bizarres: d'un côté le Musée Agricole, qui abrite les reliques de la culture paysanne, et de l'autre, le corps de logis parsemé d'escaliers en colimaçon aussi raides que nombreux. Mary de Rachewiltz, la fille d'Ezra Pound, est une dame divinement courtoise qui aime étudier ses interlocuteurs de ses grands yeux un peu scrutateurs. Au deuxième étage, nous pénétrons dans un salon bien aéré, décoré de dizaines de masques africains, de papyrus patiemment collectionnés par le prince Boris, le fameux égyptologue, mari de notre hôtesse, et de précieux petits livres de poèmes alignés minutieusement dans des vitrines.

 

«Au printemps  —explique Mme de Rachewiltz—  l'étage inférieur est le siège de l'Association Temps Réel, qui organise des expositions d'art. Par contre, pour les expositions consacrées un peu partout à Pound, je mets toujours à disposition les documents, les livres et les portraits. Voulez-vous voir la tête de Pound sculptée par Henri Gaudier-Brzeska?». Nous revenons au rez-de-chaussée. Dans une vaste salle tapissée de livres et de photos, avec les escabeaux et les supports que le poète construisait lui-même à l'aide d'équerres et de colle, nous pouvons admirer la tête du poète. Gaudier est mort en l915, à 23 ans. Pound est mort à 87 ans en 1972.

 

Madame, dans votre très bel ouvrage intitulé Discrétions, publié il y a quelques années chez Rusconi, votre mémoire s'arrête subitement quand paraît à l'horizon le monsieur qui est devenu votre mari, et vous ne nous racontez plus rien de la période la plus terrible de la vie de Pound, quand il fut interné à l'asile criminel de Saint-Elisabeths pendant plus de douze ans, entre 1945 et 1957. Pourquoi?

 

Dans la version italienne, il manque ce que j'appelle la queue, le Happy End de l'odyssée de la famille. Je ne l'ai pas incluse simplement parce que j'en avais assez de m'auto-traduire et peut-être aussi parce que je n'avais pas compris le message de Pound jusqu'au bout.

 

C'est-à-dire?

 

Voyez-vous, quand mon mari et moi achetâmes cette maison nous étions deux jeunes gens de vingt ans, complètement sans le sou, riches seulement de rêves et de fantaisies, des espoirs et des mythes de notre génération. Combien de fois n'avais-je pas entendu mon père parler de la Tour de Yeats! Pendant combien de temps n'avais-je pas espéré, tout comme lui, reconstruire le monde, avec les bras et le cerveau en syntonie, pour venir à bout de ce mystère qu'est la vie? Mais Brunnenburg, à la fin de la guerre, n'était plus qu'un tas de ruines inhospitalières et il absorbait tout notre temps.

 

En d'autres mots, vous êtes en train de me dire que...

 

Je veux simplement dire que pendant plusieurs années nous ne pûmes pas nous offrir le luxe d'aller aux Etats-Unis pour rendre visite à mon père. Cela nous fut possible seulement en 1953.

 

Quel genre d'établissement était le Saint Elisabeths?

 

Ce n'était pas un asile. C'était plutôt un enfer qui suscitait l'angoisse à chaque pas. Mais cela n'était pas grave pour mon père.

 

Comment cela?

 

Il avait trouvé l'équilibre intérieur des sages, celui dont parle Confucius que, comme vous devez le savoir, mon père traduisait lors de son arrestation par les partisans, le 3 mai 1945. Dans sa cellule, en plus du lit, on lui avait concédé une table où il pouvait écrire; on lui donnait les livres qu'il demandait à lire, et il écrivait, il écrivait... Cela faisait huit ans que je ne l'avais pas vu, et j'étais extrêmement troublée. Mais lui, étrangement, par son comportement savait redonner l'espoir, il savait consoler. Il nous invita, assez péremptoirement, à lire l'“Epître au Grand Khan”, de Dante Alighieri, et, avant de le quitter, il m'admonesta en se servant des mots de Brancusi qui, dans ses moments de désespoir, rappelait à ses parents que, certains jours, il n'aurait pour rien au monde donné ne fût-ce que cinq minutes de son temps.

 

Que fîtes-vous dès votre retour en Italie?

 

A l'aide de mon mari et de ma mère, j'étudiai la possibilité de transformer Brunnenburg en un lieu extraterritorial, une espèce de petit Etat, pour garantir à mon père, une fois sorti de l'horreur, toute la tranquillité dont il avait tant besoin.

 

Craigniez-vous que les persécutions auraient continué même après la “Libération”?

 

Je ne vous dis que ceci: aujourd'hui la cellule d'Ezra Pound au Saint-Elisabeths a été complètement rénovée... depuis que l'intérêt pour ses études et pour son œuvre se sont multipliés, cette cellule est devenue un paradis! Peinte en azur, elle est devenue un but de pèlerinage dans un lieu voué à un culte.

 

Quelle aurait été la réaction de Pound?

 

Je pense que rien ne l'aurait moins intéressé: figurez-vous que dès son arrivée ici il ne fit qu'insister fermement pour transformer la maison en un espace assez vaste à la fois pour l'échange d'idées et pour l'Usine.

 

Pour l'Usine?

 

Le Musée Agricole devait devenir le creuset d'où surgiraient simultanément “un morceau de pain et un verre de vin”. Il était hanté par l'idée que tout pouvait lentement tomber en ruine et que les mots, comme les objets, pourraient être oubliés. Pour cette raison la maison prit soudain une grande importance. Elle était pour lui une petite forteresse obstinée et tenace, le témoignage de l'amour pour la terre qu'il partageait avec les Tyroliens et l'endroit idéal de toute expérience, depuis l'amalgame des sons jusqu'à la culture du maïs avec des graines importées des Etats-Unis.

 

Si Pound était un citoyen du monde, vous, qui avez passé toute votre enfance au milieu des pics et des prairies du Haut-Adige, qui avez appris le dialecte de la Val Pusterie avant l'Allemand, l'Anglais et l'Italien, ne vous êtes-vous jamais sentie en conflit avec des cultures si opposées?

 

Allons donc! Grâce à Dieu, j'ai vécu dans une époque pré-freudienne. Le passage d'une langue à l'autre, dans mon cas, a représenté une nécessité et certainement pas un problème de conscience.

 

Le mot “conscience” se rencontre souvent dans l'œuvre de Pound.

 

Il disait toujours qu'il fallait vivre en harmonie avec cet hôte qui ne nous abandonne jamais. Sa conscience l'empêcha toujours de divorcer de sa femme Dorothy qui, telle une bizarre Pénélope le seconda pendant les années où l'Amérique, le marquant du sceau de “traître”, l'enferma à l'asile. C'est dommage que les choses se soient passées ainsi. Je pense que si à la place de Dorothy qui était une créature douce, il y avait eu Olga Rudge, ma mère, avec sa dialectique inflexible, Pound aurait été libéré beaucoup plus tôt.

 

Quand Pound arriva ici, au début des années 60, dans une société complètement différente de celle qu'il avait connu, comment réagit-il?

 

Il se plaignait du manque de relation, de plus en plus évident, entre le langage et la réalité. L'Europe, pour qui il avait combattu en incitant, à travers les micros de la Radio italienne, l'Amérique à ne pas intervenir dans le conflit européen, n'existait plus, au contraire, elle se désagrégeait sous ses yeux. Mais il s'intéressa à la question tyrolienne et puis, sous l'influence de mon mari, il étudia profondément l'esthétique et la civilisation des Pharaons, tant et si bien que dans les Cantos  on retrouva une section égyptienne qui n'y était pas auparavant.

 

Qui, aujourd'hui, poursuit le chemin que Pound a tracé?

 

Parmi les artistes qui étaient ses contemporains, tous ont subi, d'une façon ou d'une autre, son influence: depuis un poète comme Montale jusqu'à un peintre comme Marco Rotelli qui, dans ses tableaux, déclare avoir pris l'inspiration de la lumière qui règne dans les Cantos.  Parmi les autres, je voudrais rappeler en particulier l'Américain Robinson Jeffers, tellement éloigné de Pound mais en même temps si proche. Ce fut le seul poète qui prit position contre l'intervention des Etats-Unis pendant la dernière Guerre Mondiale, et de ce fait il fut censuré et interdit.

 

En changeant de sujet, avez-vous un souhait particulier?

 

Oui. Je souhaite voir représentée Cavalcanti, l'opéra en musique que Pound écrivit en 1932. C'est un vrai chef-d'œuvre. Croyez-moi, les sons ne vous abandonnent jamais.

 

(Entretien paru dans le quotidien Il Giornale de Milan, 1997. Propos recueillis par Enrico GROPPALI).

mercredi, 14 octobre 2009

Obama's Nobel Peace Prize

Obama's Nobel Peace Prize

(updated below - Update II)

When I saw this morning's top New York Times headline -- "Barack Obama Wins Nobel Peace Prize" -- I had the same immediate reaction which I'm certain many others had:  this was some kind of bizarre Onion gag that got accidentally transposed onto the wrong website, that it was just some sort of strange joke someone was playing.  Upon further reflection, that isn't all that far from the reaction I still have.  And I say that despite my belief that -- as critical as I've been of the Obama presidency regarding civil liberties and Terrorism -- foreign affairs is actually one area where he's shown genuine potential for some constructive "change" and has, on occasion, merited real praise for taking steps in the general "peace" direction which this Prize is meant to honor. 

Obama has changed the tone America uses to speak to the world generally and the Muslim world specifically.  His speech in Cairo, his first-week interview on al-Arabiya, and the extraordinarily conciliatory holiday video he sent to Iran are all substantial illustrations of that.  His willingness to sit down and negotiate with Iran -- rather than threaten and berate them -- has already produced tangible results.  He has at least preliminarily broken from Bush's full-scale subservience to Israel and has applied steadfast pressure on the Israelis to cease settlement activities, even though it's subjected him to the sorts of domestic political risks and vicious smears that have made prior Presidents afraid to do so.  His decision to use his first full day in office to issue Executive Orders to close Guantanamo, ostensibly ban torture, and bar CIA black sites was an important symbol offered to the world (even though it's been followed by actions that make those commitments little more than empty symbols).  He refused to reflexively support the right-wing, civil-liberty-crushing coup leaders in Honduras merely because they were "pro-American" and "anti-Chavez," thus siding with the vast bulk of Latin America's governments -- a move George Bush, or John McCain, never would have made.  And as a result of all of that, the U.S. -- in a worldwide survey released just this week -- rose from seventh to first on the list of "most admired countries."

All that said, these changes are completely preliminary, which is to be expected given that he's only been in office nine months.  For that reason, while Obama's popularity has surged in Western Europe, the changes in the Muslim world in terms of how the U.S. is perceived have been small to nonexistent.  As Der Spiegel put it in the wake of a worldwide survey in July:  "while Europe's ardor for Obama appears fervent, he has actually made little progress in the regions where the US faces its biggest foreign policy problems."  People who live in regions that have long been devastated by American weaponry don't have the luxury of being dazzled by pretty words and speeches.  They apparently -- and rationally -- won't believe that America will actually change from a war-making nation into a peace-making one until there are tangible signs that this is happening.  It's because that has so plainly not yet occurred that the Nobel Committee has made a mockery out of their own award.

But far more important than the lack of actual accomplishments are some of the policies over which Obama has presided that are the very opposite of peace.  Already this year, he not only escalated the American war in Afghanistan, but has ordered air raids that have produced things like this:

That was from a May airstrike in which over 100 Afghan civilians were killed by American jets -- one of many similar incidents this year, including one only a week ago that killed 9 Afghan civilians.  How can someone responsible for that, and who has only escalated that war, possibly be awarded the Nobel Peace Prize in the very same year that he did that?  Does that picture above look like the work of a Nobel Peace laureate?  Does this, from the May airstrike?

Beyond Afghanistan, Obama continues to preside over another war -- in Iraq:  remember that? -- where no meaningful withdrawal has occurred.  He uttered not a peep of opposition to the Israeli massacre of Gazan civilians at the beginning of this year (using American weapons), one which a U.N. investigator just found constituted war crimes and possibly crimes against humanity.  The changed tone to Iran notwithstanding, his administration frequently emphasizes that it is preserving the option to bomb that country, too -- which could be a third war against a Muslim country fought simultaneously under his watch.  He's worked tirelessly to protect his country not only from accountability -- but also transparency -- for the last eight years of war crimes, almost certainly violating America's treaty obligations in the process.  And he is currently presiding over an expansion of the legal black hole at Bagram while aggressively demanding the right to abduct people from around the world, ship them there, and then imprison them indefinitely with no rights of any kind.

It's certainly true that Obama inherited, not started, these conflicts.  And it's possible that he could bring about their end, along with an overall change in how America interacts with the world in terms of actions, not just words.  If he does that, he would deserve immense credit -- perhaps even a Nobel Peace Prize.  But he hasn't done any of that.  And it's at least as possible that he'll do the opposite:  that he'll continue to escalate the 8-year occupation of Afghanistan, preside over more conflict in Iraq, end up in a dangerous confrontation with Iran, and continue to preserve many of the core Bush/Cheney Terrorism policies that created such a stain on America's image and character around the world.

Through no fault of his own, Obama presides over a massive war-making state that spends on its military close to what the rest of the world spends combined.  The U.S. accounts for almost 70% of worldwide arms sales.  We're currently occupying and waging wars in two separate Muslim countries and making clear we reserve the "right" to attack a third.  Someone who made meaningful changes to those realities would truly be a man of peace.  It's unreasonable to expect that Obama would magically transform all of this in nine months, and he certainly hasn't.  Instead, he presides over it and is continuing much of it.  One can reasonably debate how much blame he merits for all of that, but there are simply no meaningful "peace" accomplishment in his record -- at least not yet -- and there's plenty of the opposite.  That's what makes this Prize so painfully and self-evidently ludicrous.       

 

UPDATE:  Remember how, during the Bush years, the GOP would disgustingly try to equate liberals with Terrorists by pointing out that they happened to have the same view on a particular matter (The Left opposes the war in Iraq, just like Al Qaeda and Hezbollah do! or bin Laden's criticisms of Bush sound just like Michael Moore's! ).  It looks like the Democratic Party has learned and adopted that tactic perfectly ("'The Republican Party has thrown in its lot with the terrorists - the Taliban and Hamas this morning - in criticizing the President for receiving the Nobel Peace prize,' DNC communications director Brad Woodhouse told POLITICO"; Republicans are "put[ting] politics above patriotism," he added). 

Apparently, according to the DNC, if you criticize this Prize, then you're an unpatriotic America-hater -- just like the Terrorists, because they're also criticizing the award.  Karl Rove should be proud.  Maybe the DNC should also send out Joe Lieberman's 2005 warning that "in matters of war we undermine Presidential credibility at our nation’s peril."  Hamas also thinks that Israeli settlements should be frozen -- a position Obama shares.  So, by the DNC's Rovian reasoning, doesn't this mean that Obama "has thrown in his lot with the terrorists"?

 

UPDATE II:  On Democracy Now, Naomi Klein calls Obama's award "disappointing, cheapening of the Nobel Prize," and adds:  "I think it’s quite insulting. I don’t know what kind of political game they’re playing, but I don’t think that the committee has ever been as political as this or as delusional as this, frankly."  On Daily Kos, Michael Moore writes ironically:  "Congratulations President Obama on the Nobel Peace Prize -- Now Please Earn it!"  Mairead Maguire, the 1976 Nobel Peace Prize Winner, says she's "very disappointed" with this award, noting:  "President Obama has yet to prove that he will move seriously on the Middle East, that he will end the war in Afghanistan and many other issues."   And my Salon colleague, Alex Koppelman, adds several thoughts about the efforts by the DNC and some Democratic groups to explicitly equate opposition to the Prize with "casting one's lot with terrorists."

-- Glenn Greenwald

EE.UU. reactivarà radar y financiarà baseen Costa Rica

EE.UU. reactivará radar y financiará base en Costa Rica

Estados Unidos reactivará un radar y financiará la construcción de una base naval en Costa Rica, como parte de un plan rechazado hoy en la región por las amenazas a la soberanía y la seguridad.

El subcomandante del Comando Sur del ejército norteamericano, Paul Trivelli, anunció la decisión de poner nuevamente en operación un moderno radar en la provincia de Guanacaste, con el supuesto objetivo de combatir el narcotráfico.

Según Trivelli el aparato funcionará en el mismo lugar donde estuvo instalado hasta 1995, cuando fue cerrado tras varios años de operación.


El poderoso radar estará en Cerro Azul de Nandayure, un sitio de difícil acceso, protegido las 24 horas por la policía, precisó el subcomandante.

En una entrevista al diario La Nación, Trivelli informó también sobre la inversión de 15 millones de dólares en una base naval que ya se está construyendo en la localidad de Caldera, de la provincia de Puntarenas.

Allí funcionará, además, una escuela para el adiestramiento de oficiales de guardacostas.

Aunque según el responsable del Comando Sur estas acciones forman parte de la lucha contra el narcotráfico, el anuncio causó preocupación por el renovado interés de Washington de implantar más bases en la región.

En una reciente reunión celebrada en Argentina, varios presidentes de la Unión de Naciones Sudamericanas expresaron su rechazo al pacto militar que permitirá a Estados Unidos usar siete enclaves militares en Colombia.

El ministro de Gobierno y Justicia de Panamá, José Raúl Mulino, declaró recientemente que Washington planeaba también establecer bases en las provincias de Darién y Veraguas, pero la información fue negada por el gobierno istmeño poco después.

Extraído de Radio Mundial.

mardi, 13 octobre 2009

Warmonger Wins Peace Prize

OFRWR-NOBEL-PAIX-OBAMA-20091009_01-original.jpgWarmonger Wins Peace Prize

By Paul Craig Roberts / http://vdare.com/

It took 25 years longer than George Orwell thought for the slogans of 1984 to become reality.

"War is Peace," "Freedom is Slavery," "Ignorance is Strength."

I would add, "Lie is Truth."

The Nobel Committee has awarded the 2009 Peace Prize to President Obama, the person who started a new war in Pakistan, upped the war in Afghanistan, and continues to threaten Iran with attack unless Iran does what the US government demands and relinquishes its rights as a signatory to the non-proliferation treaty.

The Nobel committee chairman, Thorbjoern Jagland said, "Only very rarely has a person to the same extent as Obama captured the world’s attention and given its people hope for a better future."

Obama, the committee gushed, has created "a new climate in international politics."

Tell that to the 2 million displaced Pakistanis and the unknown numbers of dead ones that Obama has racked up in his few months in office.  Tell that to the Afghans where civilian deaths continue to mount as Obama’s "war of necessity" drones on indeterminably.

No Bush policy has changed. Iraq is still occupied. The Guantanamo torture prison is still functioning. Rendition and assassinations are still occurring. Spying on Americans without warrants is still the order of the day.  Civil liberties are continuing to be violated in the name of Oceania’s "war on terror."

Apparently, the Nobel committee is suffering from the delusion that, being a minority, Obama is going to put a stop to Western hegemony over darker-skinned peoples.

The non-cynical can say that the Nobel committee is seizing on Obama’s rhetoric to lock him into the pursuit of peace instead of war.  We can all hope that it works.  But the more likely result is that the award has made "War is Peace" the reality.

Obama has done nothing to hold the criminal Bush regime to account, and the Obama administration has bribed and threatened the Palestinian Authority to go along with the US/Israeli plan to deep-six the UN’s Goldstone Report on Israeli war crimes committed during Israel’s inhuman military attack on the defenseless civilian population in the Gaza Ghetto.

The US Ministry of Truth is delivering the Obama administration’s propaganda that Iran only notified the IAEA of its "secret" new nuclear facility because Iran discovered that US intelligence had discovered the "secret" facility.  This propaganda is designed to undercut the fact of Iran’s compliance with the Safeguards Agreement and to continue the momentum for a military attack on Iran.

The Nobel committee has placed all its hopes on a bit of skin color.

"War is Peace" is now the position of the formerly antiwar organization, Code Pink.

Code Pink has decided that women’s rights are worth a war in Afghanistan.

When justifications for war become almost endless—oil, hegemony, women’s rights, democracy, revenge for 9/11, denying bases to al Qaeda and protecting against terrorists—war becomes the path to peace.

The Nobel committee has bestowed the prestige of its Peace Prize on Newspeak and Doublethink.

Paul Craig Roberts [email him] was Assistant Secretary of the Treasury during President Reagan’s first term.  He was Associate Editor of the Wall Street Journal.  He has held numerous academic appointments, including the William E. Simon Chair, Center for Strategic and International Studies, Georgetown University, and Senior Research Fellow, Hoover Institution, Stanford University. He was awarded the Legion of Honor by French President Francois Mitterrand. He is the author of Supply-Side Revolution : An Insider's Account of Policymaking in Washington;  Alienation and the Soviet Economy and Meltdown: Inside the Soviet Economy, and is the co-author with Lawrence M. Stratton of The Tyranny of Good Intentions : How Prosecutors and Bureaucrats Are Trampling the Constitution in the Name of Justice. Click here for Peter Brimelow’s Forbes Magazine interview with Roberts about the recent epidemic of prosecutorial misconduct.

Rusia espera detalles del nuevo escudo antimisil de EEUU en Europa

Rusia espera detalles del nuevo escudo antimisil de EEUU en Europa

Rusia espera conocer los detalles del nuevo escudo antimisil de EEUU (DAM) en Europa en las consultas bilaterales previstas para el próximo 12 de octubre en Moscú, informó hoy el ministerio ruso de Asuntos Exteriores.

“Contamos con que la parte estadounidense nos suministrará información detallada y completa sobre las nuevas iniciativas de la administración sobre la creación del DAM”, dijo un funcionario del departamento de prensa de esa cartera a RIA Novosti.

En las consultas, la delegación rusa estará presidida por el viceministro Serguei Riabkov y la delegación estadounidense por la subsecretaria de Estado para el Control de Armamento Ellen Tauscher.


Recientemente, el presidente estadounidense, Barack Obama y el jefe del Pentágono Robert Gates anunciaron correcciones a los planes del DAM en Europa, que inicialmente tenía previsto la creación de una estación de radar en la República Checa y el emplazamiento de misiles interceptores en Polonia.

Los nuevos planes de EEUU no suponen una renuncia al emplazamiento de elementos del DAM en el territorio europeo sino que posterga ese proceso para el año 2015.

La nueva estructura del DAM incluidos los elementos terrestres se desarrollará en cuatro etapas y deberán estar operativas para el año 2020.

Moscú siempre se manifestó en contra de la configuración inicial del DAM estadounidense en Europa porque consideraba que la estación de radar en territorio checo, y los misiles en el polaco, amenazaban su seguridad nacional al alterar el equilibrio estratégico nuclear entre Rusia y EEUU.

Extraído de RIA Novosti.

La colonisation financière

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1997

LA COLONISATION FINANCIERE

 

Une nouvelle ère de colonisation a commencé avec l'éreintement de l'Europe. Aux colonies de peuplement s'ajoute la co­lonisation financière par le dollar, à nouveau sur le devant de la scène à l'approche de la décision européenne en faveur de l'Euro, et après les dernières fluctuations des monnaies asiatiques très liées à cette monnaie. Depuis 1945 la colonisation à la romaine avait repris une grande importance, avec des Américains installant des bases à statut spécial au sein des autres pays; mais avec la vassalité financière “la colonisation reprend des formes oubliées, celle des fiefs vénitiens ou des ma­hones génoises, celle peut-être des Phéniciens et des Carthaginois” (1).

 

Le fondement du pillage financier: créer la crédulité

 

De 1945 à l985 s'est déroulé une guerre de quarante ans, guerre froide, gagnée par ceux qui ont été capables d'en financer les coûts (2). Le système de Bretton-Woods jusqu'en 1971 en fut la première étape. La seconde, qui se termina en l980, fonctionna avec la planche à billet; la titrisation, l'emprunt, se développèrent à la troisième étape. La crise des paiements internationaux de 1973 à l990 se ramène donc à un processus respiratoire tout à fait spécifique aux financiers: le gonflement des croyances (des creances), suivi d'un dégonflement. De 1973 à 1982, les soviets de la finance ont fait naître de nouvelles créances: exporter vers les PVD (Pays en Voie de Développement) en leur accordant prêts et crédits. De 1980 à 1985, la politique monétaire américaine fit naître de nouvelles créances, le déficit budgétaire, dont la contrepartie était les exporta­tions vers les USA. Chaque fois, les stratégies gagnantes sont: détenir et faire naître de nouvelles créances puis racheter les occasions décotées lorsque la valeur de ces créances s effondre.

 

Depuis l990, la nouvelle stratégie des colonisateurs financiers est de transformer les opinions en réalité grâce aux nou­veaux instruments financiers créés sur les marchés à terme. Ces nouveaux instruments ont deux effets :

- Ils font advenir les phénomènes redoutés. Les ventes et achats pour se couvrir contre les fluctuations, les engendrent...

- Ils accroissent le rôle des spéculateurs. Ceux-ci se présentent comme crédibles, et trouvent en face d'eux des crédules.

 

La méthode n'est rien de plus qu'une extension des procédés de fabrication de l'histoire sainte au travers des miracles : le prédicateur se rend crédible pour faire des dupes. En affectant une valeur de vérité à ses inventions, il les transforme en réalités. A l'heure présente, le colonisateur financier observe que des regroupements régionaux sont à l'œuvre, qu'il lui faut empêcher ou “investir”. Les différentes variantes sont: délocalisation, fusion-acquisition, partenariats, transferts de technologie, cessions de brevets, licences. Dans le cas de l'Asie, le mécanisme de création de créances et la tentative de les racheter après dévaluation forcée est enclenché. Un exemple paradigmatique de la méthode du colonisateur est tiré d'un cas brésilien: une créance de 10 millions de $ est vendue 2,5 millions. Une entreprise l'achète et propose au Brésil de l'abandonner en échange de cruzeiros. L'entreprise peut ainsi acheter des entreprises brésiliennes...

 

Dans le cas de l'Europe, comment se présente la situation face au colonisateur?

 

L'Europe et les Etats-Unis, un conflit potentiel

 

Les faux-monnayeurs américains, en soumettant le monde au dollar, installent partout la dépendance matérielle et suppri­ment la liberté de penser. Et celui qui travaille simplement pour exécuter les ordres de maîtres étrangers ou de leurs sei­gneurs “raquedenare” locaux perd sa joie de travailler, ses forces créatrices, son élan, ses plus hautes aptitudes. Les dol­lars mis en circulation dans le monde ne deviendront de la fausse monnaie que lorsqu'un fournisseur soupçonneux la décla­rera fausse et ne reconnaitra pas qu'elle est un pouvoir d'achat. C'est en dénonçant la création ex nihilo  de dollars que cette devise deviendra de la fausse monnaie. Car c'est le degré d'acceptabilité ou de refus d'une monnaie qui permet de la quali­fier de vraie ou de fausse. Mais il existe une solidarité entre faux-monnayeurs et receleurs: on ne dénonce pas la monnaie que l'on détient soi-même sous peine de se ruiner. Que va-t-il se passer avec l'Euro?

 

Les USA, de fait, sont passés aux antipodes des intérêts de l'Europe et, sans le déclarer, sans fanfares, agissent pour em­pêcher son union. Les USA refusent l'équilibre des forces. Tous les équilibres ont été rompus à leur profit. Ils exercent une hégémonie sur l'économie (finance, commerce, services, ressources) et sur la stratégie mondiale. «La monnaie unique, loin d'être une innocente innovation, constituera, dès sa création, un casus belli  justifiant pour les USA, la plus grave des crises» (3). La quête de l'or et le pillage de la planète s'accompagnent d'un continuel besoin de justifier ces atrocités par des arguments tirés de la morale biblique. Pour les Al Capone américains, il est impératif d'associer le pillage du monde à une mission acceptable moralement. Déjà, en 1870, les USA avaient imposé aux Mexicains un régime de paiement financier qui réduisit l'économie de ce pays au statut de colonie... Par le biais de la seconde guerre mondiale, les soviets financiers américains ont conquis l'espace économique allemand et ont éliminé en prime la France et la Grande-Bretagne. Ils ont conquis le marché japonais et son espace économique. La fin de la guerre froide a cédé les zones d'influence soviétique. La guerre du Golfe, en 1990-91, leur a permis de prélever une dime supplémentaire sur l'Europe et, par l'usage infernal des superstitions de l'ancien testament, de faire financer à celle-ci leur mainmise sur le Moyen-Orient. En 1997, les USA sont les seuls maîtres de l'économie mondiale. Or le monde, vu de Washington, est un vaste marché où les frontières nationales sont considérées comme une “inconvenance”. Les congrégations de trafiquants pieux cherchent le monopole et la rente en liant le monde, pays par pays, aux USA, par un enchevêtrement d'accords et l'usage de leur mon­naie.

 

Les USA ne s'attaquent pas de front à l'Europe, mais cherchent à l'étouffer.

- Au plan militaire: l'OTAN vassalise l'Allemagne et la France. Récemment, l'Irak puis la Bosnie ont été deux occasions de mettre les Européens sous commandement US.

- Au plan commercial: les USA ne veulent pas céder l'accès à leur marché, alors que tous les pays doivent laisser ou­verts les leurs. Et la bataille est permanente sur les marchés internationaux. Une fois, les industries étrangères sont ex­clues du marché public US; une fois, il y a des sanctions fiscales sur les importations. Etc.

- Dans la technologie de pointe, le multimédiat, le monopole US a été acquis par une astucieuse utilisation des tech­niques d'inscription des brevets. Le brevet US est accepté partout dans le monde. Le brevet étranger doit être évalué aux USA.

 

Il est impossible de discuter avec les USA. Leurs exigences, leurs intérêts et leurs croyances deviennent des impératifs religieux, au nom de l'humanité et autres billevesées, qui doivent devenir la politique de tout un chacun. La monnaie unique est donc nécessaire et urgente car les mesures internes à l'Europe sont vaines: les eurosceptiques proposent de se rapprocher des USA et de dupliquer leur modèle. Ils sont tombés dans le piège du leadership US. Hier, certains politi­ciens prenaient leurs ordres à Moscou. Aujourd hui, ils obéissent à Washington... La monnaie unique ne sera pas seulement la monnaie de l'Union Européenne, mais aussi une deuxième monnaie internationale. Des producteurs de matières pre­mières pourront demander de signer des contrats en euros. Alors, l'investissement étranger aux USA en dollar, qui est de 500 à 800 milliards par an, cessera en grande partie. De plus, la vente internationale de dollars provoquera un excédent de liquidités.

 

La réaction des USA peut être de détruire l'Euro par une manœuvre politique interne à l'Europe; par exemple en déclen­chant une nouvelle guerre civile ou en faisant appel à la Russie dont la dette pourrait être épongée, si elle œuvrait contre l'Europe et en faveur des USA.

 

Le colonisateur financier brise les économies et détache l'homme de ses frères. Partout, désunion, solitude. Les soviets financiers américains sont des mangeurs d'âmes, froids comme la goule des cimetières. Longtemps en Europe, la plupart des banquiers se sont efforcés de maintenir la vie financière sur des voies conformes à l'esprit social et à l'honnêteté. Mais la guerre de 1914-1918, avec son lot de profiteurs, ses dettes, et les ententes entre soviets du prolétariat et soviets du capital a détruit cette civilisation sans la remplacer. Les Européens vont-ils continuer à se comporter comme une délégation d'Athènes vaincue face aux satrapes perses? Vont-ils se secouer au bord de l'abîme?

 

Frédéric VALENTIN.

 

Notes:

(1) René SEDILLOT, Histoire des colonisations, Fayard, 1958, p.638.

(2) Alain SIMON, Géopolitique et stratégies d'entreprise. Créances et Croyances, Interfaces, 1993.

(3) Emile COURY, L'Europe et les Etats-Unis, un conflit potentiel, Editions de l'aube, 1996, p.10. [115 pages, 95 FF].

 

lundi, 12 octobre 2009

Obama: ?Premio Nobel de la Paz o de la Guerra?

Obama: ¿Premio Nobel de la Paz o de la Guerra?

El presidente de Estados Unidos (EEUU) ha obtenido el premio Nobel de la Paz. Dicen los miembros del jurado que han valorado la apuesta del presidente de EEUU por un mundo sin armas nucleares, y por la paz mundial.

Poco hay que decir. Como mucho, reseñar que han premiado a quien aún no ha hecho nada en beneficio de la paz, y sólo “apuesta” por el desarme, algo que no resulta novedoso, pues sus antecesores en el cargo hicieron lo mismo y siempre se quedó todo en promesas vacías. Los cantos de sirena de Obama sobre el desarme, son tan falsos como él, pues no ignora que EEUU está en pleno declive y, en consecuencia, necesita potenciar, aún más, su poderío militar para generar nuevas guerras que prolonguen su agonía como potencia hegemónica.


Obama, hasta ahora, no ha tomado ninguna decisión determinante en aras de la paz o el desarme. El presidente del país que riega terrorismo y genocidios por todo el orbe, y primer exportador de armas, no tiene intenciones inmediatas de retirar las tropas de Iraq (más de un millón de muertos iraquíes, hasta ahora); no sabe qué hacer con la guerra de Afganistán, donde sus jefes militares provocan matanzas de civiles; concede patente de corso a Israel para que continúe masacrando al pueblo palestino; se niega a levantar el bloqueo criminal contra Cuba y amenaza a Irán por desarrollar un proyecto nuclear al que Teherán tiene pleno derecho. ¿A eso le llaman trabajar por la paz y el desarme?

Hace tiempo que el Nobel de la Paz cayó en barrena, incluso Menajem Beguin (un terrorista criminal) obtuvo ese galardón. Está tan envilecido que basta con fijarse en algunos candidatos (Bill Clinton, o el mafioso Berlusconi) para comprender que necesita regenerarse con urgencia, y retomar su concesión a personas honestas y sin doble moral. Adjudicárselo a Obama es un chiste malo, a no ser que estén pensando cambiar su denominación actual, por la de “Premio Nobel de la Guerra”.

J. M. Álvarez

Extraído de JMAlvarez.

~ por LaBanderaNegra en Octubre 10, 2009.

Le crépuscule du dollar

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Le crépuscule du dollar

Voilà maintenant plus de deux ans, bien avant que la crise économico-financière mondiale n’éclate, que Polémia s’est fait l’écho d’une rumeur qui circulait dans les milieux financiers internationaux, en livrant quelques articles prélevés dans la grande presse anglo-saxonne : certains pays du Moyen et de l’Extrème-Orient, grands producteurs de pétrole et de gaz ou grands consommateurs de matières énergétiques, envisageaient, devant la volonté hégémonique des Etats-Unis, d’abandonner le dollar comme monnaie de référence pour les facturations de pétrole et de se replier soit carrémént sur l’euro soit sur une nouvelle monnaie spécifique qu’il restait à définir.
Cette idée semble aujourd’hui prospérer.
Robert Fisk, correspondant de The Independent au Moyen-Orient, fait état de « réunions secrètes » réunissant les Pays du Golfe, les Bric, le Japon, la Chine et la France, pour mettre fin à l’usage du dollar pour les transactions énergétiques et le remplacer par un panier de monnaies dans lequel entreraient notamment le yen japonnais et le yuan chinois, l’euro, l’or et une nouvelle monnaie commune émise par le Gulf Co-operation Council, réunissant l’Arabie saoudite, Abu-Dhabi, le Kowëit et le Qatar. Des réunions secrètes auraient déjà été tenues entre les ministres des finances des pays concernés auxquels se seraient joints les gouverneurs des banques centrales de la Russie, de la Chine, du Japon et du Brésil.
L’article de The Independant, publié le 6 octobre, a inévitablement provoqué une certaine nervosité sur les marchés des changes et de l’or, bien que de nombreuses informations reprises ici soient déjà du domaine public.

Polemia ( http://polemia.com/ )


Les pays Arabes du Golfe Persique planifient - avec la Chine, la Russie, le Japon et la France - de mettre fin à la facturation du pétrole en dollars, et vont utiliser à la place un panier de monnaies, dont le yen japonais et le yuan chinois, l’euro, l’or et la nouvelle devise commune que doivent adopter les nations appartenant au Conseil de Coopération du Golfe, incluant l’Arabie Saoudite, Abu Dhabi, le Koweït et le Qatar. C’est là un tournant majeur sur le plan financier pour le Moyen- Orient.

Des réunions secrètes ont déjà eu lieu, auxquelles participaient les ministres des Finances et les gouverneurs des banques centrales de Russie, de Chine, du Japon et du Brésil, afin d’élaborer ce projet qui aura pour conséquence que le cours du pétrole ne sera plus exprimé en dollars.

Ces plans, confirmés à The Independent par des sources des milieux bancaires du Golfe et de Hong Kong, pourraient expliquer la hausse soudaine du cours de l’or, mais ils annoncent également une transformation en profondeur sur le marché du dollar dans les neuf ans à venir.

Les Américains, qui savent que des réunions ont eu lieu - bien qu’ils n’aient pas encore appris les détails - vont sûrement lutter contre ces manoeuvres internationales auxquelles participent des alliés jusque-là fidèles comme le Japon et les pays Arabes du Golfe. Parallèlement à ces rencontres, Sun Bigan, l’ancien envoyé spécial chinois au Moyen-Orient, a mis en garde contre le risque d’aggraver les différends entre la Chine et les Etats-Unis dans leur lutte d’influence pour le pétrole du Moyen-Orient. Les « querelles bilatérales et les affrontements sont inévitables », a-t-il déclaré à la Asia and Africa Review. «
Nous ne pouvons pas relâcher notre vigilance sur [l’apparition d’une] hostilité au Moyen-Orient au sujet des intérêts énergétiques et de la sécurité. »

Cela sonne comme une dangereuse prédiction d’une guerre économique à venir opposant les USA et la Chine pour le pétrole du Moyen-Orient - qui une fois encore transformerait les conflits régionaux en une bataille pour la suprématie entre grandes puissances. La Chine utilise progressivement plus de pétrole que les États-Unis parce que sa croissance est moins économe en énergie. La devise de transition pouvant être utilisée durant cet abandon du dollar, selon des sources bancaires chinoises, pourrait être l’or. Une indication des montants énormes impliqués est fournie par le total des réserves détenues par Abou Dhabi, l’Arabie saoudite, le Koweït et le Qatar, estimées à 2 100 milliards de dollars.

Le déclin de la puissance économique américaine résultant de la récession mondiale actuelle a été implicitement reconnu par le président de la Banque mondiale, Robert Zoellick. « L’un des héritages de cette crise pourrait être la prise de conscience que les relations de pouvoir économique ont changé », a-t-il déclaré à Istanbul, avant la tenue cette semaine des réunions du FMI et la Banque Mondiale. Mais c’est l’extraordinaire nouvelle puissance financière de la Chine - alliée au ressentiment des pays producteurs et consommateurs de pétrole contre la puissance d’intervention de l’Amérique dans le système financier international - qui a motivé ces dernières discussions impliquant les Etats du Golfe.

Le Brésil a manifesté son intérêt pour participer à ces règlements de pétrole hors dollar, ainsi que l’Inde. De fait, la Chine semble être la plus enthousiaste parmi toutes les puissances financières impliquées, notamment en raison de ses énormes échanges avec le Moyen-Orient.

La Chine importe 60 pour cent de son pétrole, dont une majeure partie en provenance du Moyen-Orient et de la Russie. Les Chinois ont des concessions de production pétrolière en Irak - qui sont bloquées par les États-Unis jusqu’à cette année - et depuis 2008 ont signé un accord de 8 milliards de dollars avec l’Iran pour développer les capacités de raffinage et les ressources gazières. La Chine a également conclu des accords pétroliers au Soudan (où elle s’est substituée à des intérêts américains) et a négocié des concessions pétrolières avec la Libye, où tous les contrats de ce type prennent la forme de coentreprises (joint-ventures).

En outre, les exportations chinoises vers la région représentent désormais pas moins de 10 pour cent du total des importations des pays du Moyen-Orient. Elles concernent un large éventail de produits, allant des voitures aux systèmes d’armes, l’alimentation, les vêtements, et même des poupées. Confirmant la puissance financière croissante de la Chine, le président de la Banque centrale européenne, Jean-Claude Trichet, a demandé hier à Pékin de laisser le yuan s’apprécier par rapport à un dollar dont le cours est à la baisse - ce qui par voie de conséquence desserrerait la dépendance de la Chine envers la politique monétaire américaine - afin d’aider à rééquilibrer l’économie mondiale et d’alléger la pression à la hausse sur l’euro.

Depuis les accords de Bretton Woods - qui furent signés après la Seconde Guerre mondiale et avaient défini l’architecture du système international financier moderne - les partenaires commerciaux de l’Amérique ont dû faire face aux conséquences de la prééminence de Washington et plus récemment à l’hégémonie acquise par le dollar, qui sert de principale monnaie de réserve mondiale.

Les Chinois pensent que les Américains ont persuadé la Grande-Bretagne de rester en dehors de l’euro afin d’éviter un mouvement plus précoce de désaffection par rapport au dollar. Des sources chinoises du secteur bancaire indiquent que les discussions sont allées trop loin pour être désormais bloquées. « Les russes finiront par introduire le rouble dans ce panier de devises », nous a déclaré un important courtier de Hong Kong. « Les Britanniques sont coincés entre les deux, et ils entreront dans la zone euro. Ils n’ont pas le choix car il ne leur sera pas possible d’utiliser le dollar américain. »

Nos sources chinoises dans la finance estiment que le président Barack Obama est trop mobilisé par le redressement de l’économie américaine pour pouvoir se préoccuper des conséquences considérables qu’aura l’abandon du dollar dans neuf ans. La date limite pour la transition entre les devises a été fixée à 2018.

Les États-Unis ont brièvement abordé cette question au sommet du G20 à Pittsburgh. Le gouverneur de la Banque Centrale de Chine et d’autres officiels ont manifesté à voix haute leurs inquiétudes sur le dollar depuis des années. Leur problème est qu’une grande partie de leur richesse nationale est conservée sous forme d’avoirs libellés en dollars.

« Ces plans vont changer la face des transactions financières internationales », déclare un banquier chinois. « L’Amérique et la Grande-Bretagne doivent être très inquiètes. Vous comprendrez à quel point ils sont préoccupés en entendant le tonnerre de dénégations que cette information va provoquer. »

L’Iran a annoncé le mois dernier que ses réserves de devises étrangères seraient désormais conservées en euros plutôt qu’en dollars. A coup sûr, les banquiers se souviennent de ce qui est arrivé au dernier pays producteur de pétrole du Moyen-Orient qui ait décidé de vendre son pétrole en euros plutôt qu’en dollars. Quelques mois après que Saddam Hussein eut claironné sa décision, les Américains et les Britanniques ont envahi l’Irak.

Robert Fisk
The Independent
06/10/2009


Publication originale The Independent, traduction Contre Info
http://www.independent.co.uk/news/business/news/the-demise-of-the-dollar-1798175.html


Correspondance Polémia

00:25 Publié dans Economie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : finances, dollar, etats-unis, globalisation | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

dimanche, 11 octobre 2009

Il bilancio occulto della "difesa" americana

pentagono

A fine giugno, Mother Jones ha pubblicato un’approfondita analisi sul bilancio militare degli Stati Uniti d’America, partendo dalla richiesta del presidente Barack Obama al Congresso di stanziare 534 miliardi di dollari per il Dipartimento della Difesa. Ma l’ammontare reale di ciò che gli USA spendono per la “difesa” è molto maggiore. Per rendere il tutto più facilmente digeribile, ve ne proponiamo una sintesi divisa in quattro parti.
L’Office of Management and Budget ha elaborato un calcolo totale che tiene in considerazione le diverse parti del governo, e comprende i soldi assegnati al Pentagono, le attività relative alle armi nucleari svolte presso il Dipartimento dell’Energia ed alcuni esborsi nel campo della sicurezza effettuati dal Dipartimento di Stato (il ministero degli esteri statunitense) e dall’FBI. Nel bilancio 2010 (che in realtà ha il suo momento iniziale nell’ottobre 2009) la cifra ammonta a 707 miliardi, più della metà della spesa governativa cosiddetta “discrezionale” per l’anno prossimo. La spesa discrezionale è quella per cui gli stanziamenti sono decisi annualmente dal Congresso, a differenza di programmi quali ad esempio quello sanitario denominato Medicare il cui finanziamento è obbligatorio e ricorrente.
Ma la cifra reale è ancora più alta perché, fra le varie cose, l’ufficio governativo del bilancio non tiene conto della spesa aggiuntiva per le guerre in Iraq ed Afghanistan. Riepilogando tutte le diverse fonti di spesa in campo militare per l’anno 2010 che emergono dai documenti contabili, si ha:

  • bilancio del Pentagono: 534 miliardi
  • stanziamenti extra per il personale militare: 4,1 miliardi
  • stanziamenti aggiuntivi Iraq-Afghanistan (anno fiscale 2010): 130 miliardi
  • stanziamenti aggiuntivi Iraq-Afghanistan (anno fiscale 2009, ancora da legiferare): 82,2 miliardi
  • armi nucleari ed altra spesa “atomica” (Dip. dell’Energia): 16,4 miliardi
  • sostegno militare ed economico ad Iraq, Afghanistan e Pakistan (Dip. di Stato): 4,9 miliardi
  • sicurezza, controterrorismo ed aiuto militare a Paesi stranieri, incluso il Medio Oriente ed Israele (Dipartimento di Stato): 8,4 miliardi
  • Guardia costiera (Dipartimento per la Sicurezza Interna): 583 milioni

Spesa totale: 780,4 miliardi di dollari

In questo calcolo sono incluse solo le risorse direttamente collegate ad attività militari, non viene quindi preso in considerazione il Dipartimento dei Veterani la cui spesa di 55,9 miliardi porterebbe il totale a 836,3; e la parte restante del Dipartimento per la Sicurezza Interna (altri 54,5 miliardi), arrivando così alla colossale cifra di 890,8 miliardi di dollari, rispetto ai 534 ufficialmente stanziati.
Si tenga poi presente che i bilanci degli apparati di intelligence (CIA, NSA…) sono segreti e che perciò non possono essere aggiunti a questa contabilità.

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Nel 2008, il Pentagono ha calcolato che gli impegni correnti per i programmi di armamento costeranno al governo, ad ultimazione avvenuta, 1.600 miliardi di dollari. Una parte consistente – 296 miliardi – è rappresentata da costi aggiuntivi. Questi 296 miliardi non sono il risultato di grandi programmi che, in via eccezionale, hanno sfondato il tetto di spesa e sbilanciato i conti, ma rappresentano la norma. Tali incrementi di costo sono spesso significativi: considerando tutti i programmi, la media dell’aumento rispetto alle stime iniziali è pari al 26%. Rappresentano la normalità anche i ritardi nel loro completamento, che riguardano ben il 72% dei programmi.
Incrementi di costo e ritardi hanno subito un peggioramento durante le due amministrazioni Bush terminate nel 2008, ma se si volge lo sguardo ancora più all’indietro si scopre che i costi aggiuntivi sono aumentati ad un ritmo serrato per tutti gli ultimi quindici anni, ad una media del 1,86% annuo per essere precisi. Se la spesa del Pentagono continuerà a crescere al tasso attuale, la media degli incrementi di costo raggiungerà il 46% in dieci anni.
Facendo qualche confronto, lo spreco militare USA è quattro volte tanto l’intera spesa per la difesa della Cina (che oggi rappresenta il secondo bilancio militare nazionale al mondo con 70 miliardi di dollari) ed è anche superiore al bilancio militare di tutti i Paesi dell’Unione Europea messi insieme (pari a 281 miliardi).

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Passiamo ora in rassegna i principali programmi militari statunitensi:

- cacciabombardiere F-22 Raptor: progettato per sfidare i velivoli di concezione sovietica, un F-22 costa 351 milioni di dollari, più del doppio delle stime originali.
Fu messo in produzione ancora prima di essere pienamente testato e – non sorprendentemente – è incorso in ogni genere di intoppi; non ha partecipato a nessuna azione di combattimento in Afghanistan né in Iraq. Il titolare del Pentagono Robert Gates ha deciso di acquistarne altri quattro, per un totale di 187 rispetto ai 243 che inizialmente l’USAF voleva.
Addirittura, all’inizio di quest’anno, 194 deputati e 44 senatori statunitensi hanno scritto ad Obama per sollecitarlo ad acquistare più F-22, ed a metà giugno i parlamentari del comitato militare della Camera hanno previsto uno stanziamento per altri 12 caccia. Sollecitazioni che però non sono servite a rianimare la morente linea di produzione del velivolo, almeno per l’uso domestico. Infatti
è notizia fresca il via libera da parte del comitato finanziario del Senato statunitense allo sviluppo di una versione del F-22 per l’esportazione, privato degli accorgimenti tecnologici “segreti” presenti nella versione originale. Probabilmente la decisione vuole far fronte alla perdita di migliaia di posti di lavoro causata dallo stop della produzione per l’aviazione USA; fra i probabili acquirenti figurano Giappone, Corea del Sud, Australia ed Israele;
- aereo da trasporto C-17 Globemaster III: l’aeronautica USA ne possiede 205 esemplari e non ne chiede di ulteriori,
ma il Senato intende introdurre nel bilancio per la difesa del 2010 l’importo di 2,5 miliardi per comprarne altri 10;
- Future Combat Systems: si tratta di apparati in cui armi, veicoli e robot coesistono, uniti da un comune sistema di comunicazione, ed è un altro caso in cui le intenzioni di spesa sono state messe in pista prima che la tecnologia in questione sia stata effettivamente testata. Dal 2003, il costo totale è aumentato del 73% fino ad arrivare a 159 miliardi, tanto che Gates nei mesi a venire vuole ripensare l’intero programma;
- elicottero presidenziale VH-71: Lockheed Martin ed Agusta Westland (del gruppo Finmeccanica) vinsero nel 2005 la commessa per il sostituto dell’attuale “Marine One”, un Sikorsky VH-60 entrato in servizio nel 1989. La flotta di 28 (!) esemplari doveva costare inizialmente 6 miliardi di dollari, ma poi i correttivi introdotti durante l’amministrazione Bush avevano portato il conto totale quasi a raddoppiare fino ad 11,2 miliardi (400 milioni ad esemplare). Il programma è stato cancellato a maggio, ed una conferma pubblica del suo annullamento è stata data dallo stesso presidente Obama ad agosto in un discorso ai veterani di guerra;
- DDG-1000 Destroyer: navi che dovrebbero costare 4 miliardi di dollari ma fonti alternative stimano un costo reale vicino ai 6 miliardi. Mentre la marina statunitense inizialmente desiderava acquistarne fra un minimo di 16 ed un massimo di 24, Gates tenterà di ridurre il programma a soli 3 Destroyers.

E’ comunque inquietante notare come Gates abbia dato il via libera ad un paio di palesi catorci. Del primo abbiamo già parlato su questo blog, si tratta del Littoral Combat Ship (LCS), un altro progetto Lockheed Martin sviluppato prima di completare i test. Nonostante i suoi costi siano quasi raddoppiati rispetto alle prime stime, Gates si è impegnato ad acquistare 55 di queste unità navali.
Ma
forse l’indizio più evidente della continuità del bilancio militare USA è la decisione di più che raddoppiare l’ordine di cacciabombardieri F-35 Lightning II Joint Strike Fighter (JSF), facendone il più grande programma di acquisizione del Dipartimento della Difesa (quasi a voler placare l’industria produttrice, l’onnipresente Lockheed Martin, per la cancellazione del F-22). Ciò nonostante l’F-35 sia ben lontano dall’essere pronto, visto che a novembre 2008 era stato implementato solo il 2% dei voli di prova previsti.
Secondo l’attuale calendario, gli Stati Uniti spenderebbero 57 miliardi di dollari per acquistarne 360 unità prima che i test siano completati. Per velocizzare i tempi, la Lockheed ha elaborato un piano per svolgere solo il 17% delle prove richieste mediante test di volo, il restante 83% affidandole ai simulatori. Sfortunatamente, secondo un rapporto della Corte dei Conti americana (GAO) “la capacità di sostituire i voli di prova con laboratori di simulazione non è stata ancora dimostrata”.
Ciò non fa che aumentare i dubbi sulla decisione del Dipartimento della Difesa di acquistarne 2.456 (sì, avete letto bene, duemilaquattrocentocinquantasei!).
Fonti ufficiali hanno stimato un costo per l’intero programma superiore al trilione di dollari (più di mille miliardi) – circa la stessa cifra del deficit nazionale -, sommando ai 300 miliardi per l’acquisizione dei velivoli i 760 miliardi per la loro operatività, manutenzione compresa. Ma poiché il Pentagono ha deciso di comprarne così tanti esemplari prima di verificare l’efficienza della tecnologia, ritardi ed incrementi di costo saranno inevitabili.

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Il Dipartimento della Difesa è presente dal 1995 nell’elenco di apparati governativi ad alto rischio stilato dalla Corte dei Conti statunitense. Per gestire gli acquisti, la contabilità e la logistica, le varie agenzie e servizi del Pentagono mantengono 2.480 diversi sistemi informatici, molti dei quali non sono interconnessi. Di conseguenza, nessuno conosce con sicurezza quanto il Pentagono abbia speso in passato, stia spendendo adesso e spenderà in futuro. Al contrario, esso fonda le sue decisioni di bilancio prevalentemente sulle informazioni delle aziende private vincitrici degli appalti.
Un rapporto del Defense Science Board Task Force on Developmental Test and Evaluation rileva che, fra il 1997 ed il 2006, benché il 67% dei sistemi d’arma non abbia superato i parametri di prova, molti di essi sono stati egualmente messi in produzione. Il concetto che il Pentagono dovrebbe “provare prima di comprare” risale almeno agli anni Settanta, ma i funzionari della difesa ed i parlamentari statunitensi non l’hanno mai veramente messo in pratica. Anzi, i funzionari sono fortemente incentivati a sottoscrivere contratti sottostimati perché se rendono noti i veri costi fin da subito, rischiano di non poter avere i loro “giocattoli”. Ogni tanto il Congresso o la Casa Bianca chiedono di insediare un’agenzia indipendente in grado di produrre stime attendibili dei costi, ma ciò è estremamente difficile a causa dello stretto rapporto tra i funzionari del Pentagono e l’industria bellica.
Nel 2006, 2.435 ex funzionari del Pentagono, generali ed ufficiali lavoravano per aziende private operanti nel settore della difesa, ed almeno 400 di questi erano impiegati nell’ambito di appalti direttamente collegati al loro precedente datore di lavoro governativo. Quando i calendari slittano di anni ed i bilanci sforano di miliardi, le aziende sono già state pagate; inoltre, è prassi fra i parlamentari dare il via libera al proseguimento dei programmi nonostante la legge preveda che essi devono essere informati su quei programmi che sforano il bilancio per più del 30% e che quelli con aumenti superiori al 50% devono essere ricertificati o cancellati.
Quest’anno, la Casa Bianca ha promesso di impiegare altri 20.000 funzionari nel prossimi quinquennio per tenere sotto controllo i contratti militari e la relativa spesa, ma bene che vada ci vorranno diversi anni prima che ciò porti frutti. La legge di riforma circa l’acquisto dei sistemi d’arma patrocinata dal candidato repubblicano alle ultime elezioni presidenziali, John McCain, prevede anche l’istituzione di un ufficio per l’accertamento imparziale dei costi che però non dovrebbe occuparsi di tutti i programmi. Ufficio il cui primo direttore, comunque, è William Lynn, lobbysta precedentemente al servizio proprio di un’azienda privata del complesso militare, la Raytheon.

L'Amiral Raphael Semmes, héros sudiste

semmeslast.jpgKlaus GRÖBIG:

L’Amiral Raphael Semmes, héros sudiste

 

Il y a 200 ans naissait celui qui devriendra le “Requin de la Confédération”

 

Raphael Semmes est né le 27 septembre 1809 à Charles County dans le Maryland, l’Etat de l’Union dont le Parlement, par l’intervention musclée et autoritaire de Lincoln, n’a pas pu décider seul s’il allait ou non rejoindre la Confédération. En 1826, Raphael Semmes s’engage comme matelot dans l’US Navy et, plus tard, lors de la guerre contre le Mexique, il commandera le brick “USS Somers”. En avril 1861, Semmes met un bâtiment en service, pour le compte de la Confédération, le “CSS Sumter”. Il fut l’un des rares officiers de marine expérimentés qui s’engagea pour la cause sudiste. Il devint donc d’abord le capitaine de ce vapeur de commerce, transformé en croiseur, et emporta, avec lui, ses premiers succès, en coulant de nombreux navires de commerce du camp yankee. Finalement, le “CSS Sumter” mobilisa contre lui de nombreux bâtiments de guerre de l’Union, chargés de le repérer; ainsi, Semmes contribua à alléger le blocus des ports de la Confédération. Dans les Caraïbes, devant les côtes du Brésil et à proximité des Açores, Semmes lançait ses opérations avec son croiseur. En avril 1862, il dut voguer vers Gibraltar pour y parfaire des réparations; pendant le trajet, il avait rencontré trois navires de guerre de l’Union, qui entendaient bien couler le “CSS Sumter”. Ils l’attendent devant Gibraltar. En un trourne-main, Semmes vend alors le “CSS Sumter”, fort abîmé, à un armateur anglais, quitte le port de Gibraltar avec tout son équipage et se rend en Angleterre.

 

Là-bas, le croiseur auxiliaire “CSS Alabama” venait d’être achevé dans un chantier naval: Semmes le met en service le 24 août 1862 à proximité des Açores. L’équipage du nouveau croiseur était constitué d’un mélange bigarré d’Américains et d’Européens. Parmi les vingt-huit officiers du croiseur, il y avait deux sujets prussiens, un Irlandais, trois Britanniques et trois ressortissants d’Etats de l’Union. Les autres officiers venaient tous d’Etats de la Confédération. Dans l’équipage, on comptait également un homme de couleur, ce qui est difficile à faire comprendre aujourd’hui, à tous ceux qui sont prisonniers des schémas inamovibles et intangibles du “politiquement correct”. Les qualités de chef de Semmes étaient hors du commun, de même son charisme personnel. Le 5 septembre 1862, le “CSS Alabama” emporte sa première victoire. Il en remportera au total quatre-vingt contre les bâtiments ennemis (certaines sources disent qu’il n’en a remporté “que” soixante). Le 10 janvier 1863, Semmes est devant la côte du Texas pour tenter d’entamer le blocus yankee: il y rencontre le croiseur “Hatteras” de l’Union et le coule à coups de canon, en tout six coups au-dessus de la ligne de flottaison. Il sauve 118 marins de l’Hatteras, les prend à son bord et met le cap sur la Jamaïque, pour y faire réparer les dégâts encaissés lors du combat. Ensuite, partout, Semmes a laissé sa “carte de visite”: dans l’Atlantique Nord comme dans l’Atlantique Sud, au cap de Bonne Espérance et dans l’Océan Indien. Au printemps 1863, dans l’Atlantique Sud, il forme équipe avec deux croiseurs auxiliaires, les “CSS Florida” et “CSS Georgia”.

 

Le 11 juin 1864, le “Requin de la Confédération” mouille dans le port normand de Cherbourg. A l’arsenal bien équipé de la marine de guerre française, Semmes espère pouvoir faire exécuter tous les travaux  de réparation nécessaires. Il estime que cela durera deux mois. Le sort de la guerre était à ce moment-là très défavorable pour les Sudistes. En Europe, tous escomptaient désormais la victoire de l’Union. Le Président Lincoln adressait des menaces aux Européens qui oseraient encore soutenir la Confédération. Les Français se révélèrent maîtres en matière de diplomatie. Le commandant du port de Cherbourg expliqua à Semmes que les installations du chantier naval étaient la propriété de la marine française et, de ce fait, réservées exclusivement aux navires de guerre français. Mais, ajouta-t-il, au Havre, il y avait un chantier naval privé, avec cale sèche, où il pouvait faire exécuter les travaux nécessaires. En attendant, le Capitaine John A. Winslows, du croiseur “USS Kearsarge”, venait d’arriver devant les côtes françaises. Le dimanche 19 juin 1864, très tôt le matin, le “CSS Alabama” quitte Cherbourg à toute vapeur. Le combat se termina  en faveur des Nordistes et le “CSS Alabama” fut coulé. Au grand dam des Yankees, un yacht privé britannique, le “Deerhound”, prit à son bord Semmes, blessé, et quelques-uns de ses officiers. Entre-temps, le blocus yankee se faisait de plus en plus hermétique; pour rentrer au pays, Semmes dut faire le détour par un port mexicain.

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Pour défendre Richmond, la capitale sudiste, on mit sur pied une flotille fluviale. Semmes fut promu amiral et obtint le commandement du “James River Squadron”. Après la chute de Richmond, Semmes fut contraint de couler ses bateaux. Ses matelots sont alors versés dans l’infanterie et Semmes, avec le grade de général de brigade, reçoit la mission de commander ses propres hommes devenus fantassins. Même après la capitulation de l’armée de Virginie du Nord, qui avait été commandée par le Général Lee, Semmes ne déposa pas les armes. Le 30 août 1865, l’armée du Général Joseph E. Johnston doit capituler à Raleigh.

 

Gideon Wells, le ministre de la marine de l’Union, qui ruminait vengeance, fit arrêter Semmes en décembre 1865. Quelques avocats marron, sous la houlette du Colonel US J. A. Bolles,  furent chargés de collationner des faits ou des ragots pour construire de toutes pièces une accusation de “crime de guerre”. Mais rien de ce genre ne pouvait être reproché à Semmes. La volonté de fabriquer de tels “procès” démontre que la guerre civile américaine était, sur ce chapitre, une guerre bien “moderne”, car les crimes flagrants des Yankees, comme par exemple la marche en avant de Sherman, qui ravagea tout en Géorgie, n’a jamais fait l’objet d’une “enquête” similaire. Semmes eut toutefois plus de chance que d’autres généraux de la Confédération. Il fut libéré assez rapidement, devint professeur et connut le succès économique comme éditeur de journaux.

 

Semmes meurt le 30 août 1877. Il venait de rendre visite à sa fille, chez qui il avait mangé des scampis gâtés. Les médecins sont arrivés trop tard pour enrayer l’intoxication alimentaire. Semmes fut enterré dans le cimetière catholique de Mobile en Alabama, situé dans la Government Street, à côté de son épouse. On peut encore se recueillir sur sa tombe aujourd’hui. 

 

Klaus GRÖBIG.

(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°40/2009; trad. franç. : Robert Steuckers).

 

Pour en savoir plus:

Lire le cahier n°146 de la série “Schiffe – Menschen – Schicksale” (= “Navire – Hommes – Destins”) qui paraît chez  l’éditeur Rudolf Stade, à Kiel.

(ndt) : Ajoutons aussi l’excellente notive biographique sur Raphael Semmes dans Helmut Pemsel, “Biographisches Lexikon zur Seekriegsgeschichte”, Bernard & Graefe Verlag, Koblenz, 1985.

 

En français:

Se référer à l’ouvrage d’Indro Montanelli et Mario Cervi, “Les guerres américaines – la Sécession”, Ed. Atlas, Paris, 1985 (traduction française: Philippe Conrad); cf. le chapitre intitulé “Corsaires et sous-marins”, pp. 123 et ss.; lire également, Dominique Venner, “Gettysburg”, Ed. du Rocher, Paris, 1995; plus  particulièrement: le chapitre intitulé “Une armée et une marine surgies de rien”, pp. 93 à 111.

 

samedi, 10 octobre 2009

Francia y Espana al rescate del imperialismo yanqui

soldados_espanoles_afganistan.jpgFrancia y España al rescate del imperialismo yanqui

Volverán a la base aérea en Kirguistán

Kirguistán dio pasos el lunes para permitir que soldados franceses y españoles vuelvan a su base área de Manas, un puesto de paso para las operaciones militares encabezadas por Estados Unidos en Afganistán.

Kirguistán canceló los acuerdos con Francia y España en marzo, cuando rechazó un pacto similar con Estados Unidos para el uso de la base. El personal de Francia y España tenía que salir del país para el 13 de octubre.

“Se ha decidido aprobar los acuerdos (con Francia y España) y enviarlos al Ministerio de Exteriores”, dijo Erik Arsaliyev, responsable del comité parlamentario para asuntos internacionales, a los periodistas.


La base, que sirve como punto de repostaje para aviones usados en Afganistán, es importante para Washington y sus aliados de la OTAN porque sustituye a rutas que atraviesan Pakistán y que han sido atacadas por los integristas.

El viceministro de Exteriores, Ruslan Kazakbayev, dijo que el Parlamento revisaría los acuerdos tras la aprobación gubernamental.

El Parlamento está dominado por los leales al presidente Kurmanbek Bakiyev, lo que deja poca duda de que los acuerdos se aprobarán.

Bakiyev anunció la cancelación del acuerdo con el Ejército de EEUU en una visita a Moscú, donde Rusia dijo que ofrecería 2.000 millones de dólares en ayuda para el empobrecido país, en lo que los analistas consideraron una batalla entre Moscú y Washington para ganar influencia en el Asia Central.

Washington renegoció después una renta mayor y continuará usando la base para sus operaciones en Afganistán.

Según los borradores a los que tuvo acceso Reuters, Francia podrá tener 40 efectivos y un avión de repostaje en Manas. El acuerdo no da detalles sobre el número de personas o equipamiento que se permitirán a España.

Extraído de SwissInfo.

"Le cauchemar américain" de Robert Dôle

dole.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1996

Le cauchemar américain

 

L'éditeur québecois VLB a publié Le cauchemar américain. Essai pamphlétaire sur les vestiges du puritanisme dans la mentalité américaine contemporaine de l'Américain Robert Dôle. D'origine puritaine, Robert Dôle a fait ses études à Harvard puis a vécu et enseigné en Europe aux universités de Metz, de Bonn et de Lodz. Il est actuellement professeur d'anglais dans une université du Québec. Nous lisons dans son introduction: «L'hypothèse fondamentale du présent essai veut que la mentalité américaine d'aujourd'hui soit le produit du puritanisme du XVIIième siècle. Cette idée parait banale à première vue, surtout si on pense à l'hypocrisie en matière sexuelle  —par exemple, les hommes politiques n'ont pas le droit de faire ce que font les citoyens—  ou au mouvement des born-again christians.  Ce qui m'intéresse pourtant, ce sont les vestiges de la mentalité puritaine précisément là où on ne les soupçonnerait pas de prime abord. Je pense, entre autres, à la politique extérieure des Etats-Unis, au mouvement de libération des homosexuels et au féminisme américain. Dans l'esprit des Américains, toute intervention militaire ou politique dans d'autres pays est justifiée par le fait que les Américains sont toujours le peuple élu de Dieu, ce dont les puritains du XVIIième siècle étaient entièrement convaincus. Le féminisme américain hérite aussi de cette tradition de pensée en donnant aux femmes le statut de peuple élu par rapport aux hommes déchus. Le mouvement homosexuel est une manifestation de la tradition de confession publique qui joue un rôle primordial dans le comportement puritain. Etablir des liens entre les sermons des pasteurs du XVIIième siècle et l'articulation des mouvements homosexuel ou féministe ne sera pas toujours tâche facile, mais le plaisir d'un raisonnement est aussi grand que le défi qu'il présente (...). Les vestiges du puritanisme dont il sera question ici ne sont pas limités aux Etats-Unis, bien qu'ils y trouvent leur origine. Le XXième siècle est le siècle américain par excellence. Les tendances sociales et culturelles qui y naissent se propagent dans tous les autres pays du monde, surtout dans les pays capitalistes avancés. Depuis la chute du socialisme en Europe et ailleurs, plus rien n'empêche l'américanisation de la planète. La critique de la situation actuelle de mon pays d'origine peut donc servir d'avertissement aux autres nations qui continuent à suivre, qui seraient tentées de le faire, l'exemple américain. Le malaise spirituel et social des Etats-Unis d'aujourd' hui risque fort bien de se reproduire dans les sociétés qui abandonnent leur mode de vie traditionnel pour adopter celui de la société de consommation».

 

Pierre MONTHÉLIE.

 

Robert DOLE, Le cauchemar américain, VLB éditeur (1010, rue de la Gauchetière Est, Montréal, Québec H2L 2N5), 1996. Distribué en France par Inter Forum.

00:05 Publié dans Livre | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : littérature, lettres, puritanisme, etats-unis, protestantisme | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook