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mardi, 18 mai 2010

Lo scontro delle civiltà in America

Lo scontro delle civiltà in America

di Carlos Pereyra Mele

Fonte: eurasia [scheda fonte]


 
Lo scontro delle civiltà in America

La crisi finanziaria ed economica scoppiata nel 2008 come conseguenza delle bolle finanziarie americane e che si è diffusa a livello planetario grazie alla propria dinamica globalizzatrice, ha contagiato e assestato un duro colpo alle economie degli affiliati storici della triade (USA, UE e Giappone), la sua ultima manifestazione è quella rappresentata dal quasi default della Grecia nella cosiddetta Eurozona. Inoltre, si può confermare, che le potenze emergenti del cosiddetto gruppo BRIC (Brasile, Russia, Cina e India) non solo hanno superato la crisi, ma detengono forti tassi di crescita se comparati con quelli della triade summenzionata.

Sebbene sia prematuro determinare se in un futuro ravvicinato il BRIC si consoliderà in un blocco contrapposto a quello della triade, la sola crescita della Cina ha già determinato nell’attuale politica internazionale un forte cambio nei rapporti di potere come si sono conosciuti fino ad ora. Il BRIC approfondisce i suoi rapporti e lentamente sta stabilendo un’agenda comune i cui esiti si sono visti nel recente summit svoltosi in Brasilia (1).

Questa nuova realtà si presenta in termini politici e strategici globali con un evidente declino di quella che fu la superpotenza assoluta, gli USA, che, con la scomparsa dell’ex URSS, cercò di instaurare un mondo unipolare con gli alleati minori della Triade in funzione di soci. La realtà dimostra che la sua strategia, fondata su un gigantesco apparato militare dalle proporzioni mai viste nella storia dell’umanità, e per il quale non ha lesinato risorse finanziarie, economiche e tecnologiche, non ha raggiunto gli obiettivi prospettati dai governi americani, da Reagan fino a oggi. Anzi, si ammette che questo sistema è in crisi dottrinale e che cerca di rinnovare le sue strategie di fronte al rinvigorimento delle potenze continentali emergenti con le quali si confronta.

Per ottenere appoggio ideologico e dottrinale, i gruppi di potere degli USA hanno fatto ricorso a diverse dottrine e una di queste è stata quella dello Scontro delle Civiltà, concepita dal professor Samuel P. Huntington dell’Università di Eaton e direttore del John M. Olin Institute for Strategic Studies dell’Università di Harvard. Per mezzo di questa teoria l’autore ha predetto che i principali attori politici del secolo XXI saranno le civiltà al posto degli stati-nazione. Questa teoria è servita per individuare un nuovo “nemico”, poiché quello della guerra fredda, ossia l’URSS, era scomparso negli ultimi anni, identificato su misura con quello del “fondamentalismo islamico”, il quale è passato a rimpiazzare il comunismo internazionale.

Ma questo cerchio pericoloso non si è chiuso così e il già scomparso Samuel P. Huntington riformulò la sua idea dello scontro delle civiltà in un altro libro: Chi siamo: le sfide all’identità nazionale americana, apparso nel 2004, nel quale s’individuava un nuovo “pericolo” per gli Stati Uniti, poiché, secondo lui, era in gioco: “L’identità nazionale americana e la possibile minaccia rappresentata dall’immigrazione latinoamericana su grande scala, la quale dividerà gli Stati Uniti in due popoli, due culture e due lingue”, giacché Huntington afferma che gli Stati Uniti storicamente sono stati un paese di cultura protestante anglosassone. E che l’arrivo in massa degli immigranti latini negli USA attentano contro il sogno americano, il quale, secondo le sue parole, è il “sogno creato da una società anglo-protestante”, e aggiunge che i messicani-americani possono “partecipare a questo sogno e a questa società solo se sognano in inglese”. Queste idee si sono intrise in profondità e in maniera molto notevole nei settori più reazionari della destra americana, soprattutto adesso quando gli ispano parlanti formano il segmento della popolazione che negli ultimi anni più si è sviluppato negli USA, secondo i dati resi noti dall’Ufficio del Censimento americano. E questo nuovo “pericolo” offre argomento, in epoche di crisi, allo spuntare negli USA di movimenti politici di estrema destra conservatrice come è il caso del cosiddetto Tea Party, “espressione ultraconservatrice che si è formata un anno fa in protesta al progetto di stimolo economico e che, in termini di visibilità, si è sviluppato nella campagna contro la riforma della salute voluta dal governo di Barack Obama. Questo movimento nella sua maggioranza è conformato da uomini bianchi repubblicani maggiori di 45 anni, i quali si considerano arrabbiati o furiosi nei confronti di Washington”. E sono anche causa: “Di manifestazioni d’ira popolare di destra che si registrano quando s’informa della presenza di maggiori crimini per odio razziale o per l’aumento dei gruppi xenofobi di estrema destra (2). I gruppi di civili armati sono cresciuti esponenzialmente (denominati milizie “patriottiche”, formate da uomini bianchi, anglosassoni e protestanti), secondo quanto comunicano all’opinione pubblica le agenzie federali sulla sicurezza negli USA. E che nella frontiera con il Messico si dedicano a “cacciare” immigranti privi di documenti, ad esempio, i fine settimana. È la rinascita del nazionalismo conflittuale.

Per questa ragione, con un altro giro di vite, e facendo riferimento a questa idea forza, lo stato dell’Arizona ha emanato la legge di Immigrazione, applicazione della legge e popolazione sicura, che costituisce un affronto alla dignità umana e che dimostra che non è per tutti “l’era della globalizzazione” e, in particolare, per gli immigranti latini che si trovano negli USA.

Evidentemente, le notizie quotidiane sul fenomeno del narcotraffico e la violenza in Messico sono alla base di questa legge, ma dobbiamo mettere in chiaro alcuni punti: Messico è socio degli USA, insieme a Canada, del NAFTA (stramba società questa, solo pensata in termini di affari, ma non per il libero movimento dei suoi cittadini all’interno del blocco), un altro aspetto è quello che il fenomeno del narcotraffico è una conseguenza del fatto che gli USA sono il principale mercato mondiale del consumo di droghe, il quale non è riuscito a combattere con efficacia le mafie operanti sul suo territorio, facendo ricadere al Messico la causa del problema ( così come anche alla Colombia, la Bolivia e il Perù ), attualmente il Messico si trova in una gravissima situazione di violenza senza precedenti e che nei circoli di potere americani ha sollevato il problema di intervenire sul suo territorio militarmente. L’ex presidente Clinton ha pubblicamente preso in considerazione che, per quanto concerne il Messico, si devono gettare le basi di un accordo simile a quello del “Plan Colombia” (il che trasformerà questo paese in uno stato fallito); e un dettaglio da non tralasciare è quello rappresentato dalle gravi conseguenze economiche e sociali cagionate dall’incorporazione di questo paese nell’accordo di libero commercio con gli USA (NAFTA). Per questa serie di ragioni, la teoria dello scontro delle civiltà rappresenta un argomento fallace e crudele nei confronti del popolo messicano.

Iberoamerica e, in particolare, l’America meridionale deve continuare con l’approfondimento di un proprio modello d’integrazione e di sviluppo, di fronte al nuovo ordine mondiale che si sta conformando, partendo da un processo strategico autonomo e diverso da quello che cerca d’imporre la superpotenza declinante e che, diciamocelo di una buona volta, nei nostri paesi conta ancora con l’appoggio di numerosi settori di potere vincolati a quel tipo di dipendenza, giacché se vediamo di là dei discorsi e delle buone intenzioni come quella di Obama nell’ultimo summit con i paesi del continente, la veduta e la strategia di Washington non si è modificata nei confronti del continente. Concretamente, si continua a scommettere sulla militarizzazione e la segregazione dei popoli latinoamericani, stabilendo una specie di diplomazia di “vicini lontani”, poiché ciò che solo interessa è preservare i propri privilegi conquistati durante la guerra fredda e impedire l’entrata di paesi extracontinentali concorrenti. Per questo motivo il fatto di irrobustire strutture come l’UNASUR o il MERCOSUR, la creazione di un organismo regionale che soppianti l’OEA e che escluda la partecipazione americana, rilanciare la Banca Sudamericana, un proprio sistema difensivo e avere come orizzonte la costruzione di uno stato continentale industrializzato, rappresentano i mezzi concreti e reali per consentirci di uscire dalla nuova dipendenza che si cerca di mettere in pratica nel secolo XXI e, in questo modo, consolidare i propri percorsi che sono diversi da quelli della potenza del Nord. Perché nella pratica concreta un rapporto asimmetrico e individuale nei confronti degli USA da parte di ogni singolo paese solo impedisce la nostra crescita e sviluppo e ci introduce in conflitti che questo ha generato, dei quali non abbiamo nulla da spartire, poiché sono diversi e distanti dai problemi reali che i latinoamericani dobbiamo affrontare in questo nuovo secolo. Così come anche il fatto di denunciare la xenofoba teoria dello scontro delle civiltà deve impedire che la stessa si applichi su scala globale.

* Carlos Pereyra Mele, politologo argentino e membro del Centro de Estudios Estratégicos Suramericanos, collabora con la rivista “Eurasia”.

Fonti:

  1. Hu Tsintao, El viaje al occidente de Washington hasta Brasilia por Roman Tomberg,

http://licpereyramele.blogspot.com/china-y-el-nuevo-orden-mundial.html

  1. Noam Chomsky, Alerta sobre el auge de la ultraderecha en EE.UU

http://licpereyramele.blogspot.com/2010/04/la-crisis-en-usa.html

Ultime notizie:

Los hispanos marchan contra la xenofobia

http://www.elpais.com/articulo/internacional/hispanos/marchan/xenofobia/elpepuint/20100501elpepuint_9/Tes

(trad. di V. Paglione)
Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

Entretien avec Maurizio Blondet (2004)

11s-22f14.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2004

Entretien avec Maurizio BLONDET


http://www.comedonchisciotte.luogocomune.net/

Le journaliste et écrivain Maurizio Blondet nous a accordé un entretien téléphonique pour qu’il passe en direct sur une radio libre de Vénétie, la Radio Gamma 5 (94,00 MHz). Nous publions ici les extraits les plus significatifs de cet entretien.

 

Propos recueillis par Marcello PAMIO
 
Q: On parle de plus en plus de technologies capables d’intercepter les télécopies, les conversations sur portable et les courriers électroniques. Il existe actuellement des satellites militaires qui sont à même de photographier tout et, devant cet extraordinaire déploiement de technologies, l’ennemi public numéro un dans le monde reste introuvable. Car où est Oussama Ben Laden, qu’a-t-il fait depuis le 11 septembre, comment mène-t-il son existence, ponctuée de proclamations sur vidéo?

 

MB: C’est plus qu’évidemment maintenant : Ben Laden a été un agent de la CIA, au moins jusqu’à la fin de l’année 1999. On le soupçonne d’avoir fait assassiner, sur ordre de la CIA, en août 2001, environ un mois avant le 11 septembre, le général afghan Massoud, un homme capable d’unifier l’Afghanistan. Il est probable que Ben Laden travaille toujours pour les services secrets américains aujourd’hui, en faisant semblant d’être un ennemi des Etats-Unis.

Aujourd’hui, Ben Laden n’envoie plus que des vidéocassettes et n’aurait plus donné un seul coup de téléphone cellulaire depuis deux ans, puisque toute conversation ou toute autre communication peut être contrôlée. De même que tout mouvement financier.  Les  Américains possèdent un logiciel, qui s’appelle Promis, servant à contrôler toutes les formes de mouvements financiers suspects et, a fortiori, aussi tous ceux qui ne sont pas suspects. Ils prétendent qu’ils ne l’utilisent pas, mais en réalité, puisqu’ils l’ont, je ne comprends pas très  bien pourquoi ils ne s’en serviraient pas.

Alors, me demanderez-vous, Ben Laden dirige al-Qaeda sans utiliser le moindre moyen de communication? Dans mon livre; intitulé “Oussama Ben Mossad”, j’ai formulé une hypothèse: à la fin, après une quinzaine  d’années de guerre, on verra réapparaître Ben Laden dans le rôle de Grand Calife de La Mecque, dans une Arabie Saoudite divisé en deux morceaux : la partie pétrolière et démocratique (comme l’Irak!) et l’autre partie, mecquoise, intouchable parce que lieu saint.

Aujourd’hui, ses proclamations vidéo ont pour but de maintenir vivante cette perception d’un terrorisme ubiquitaire. Il y a un livre qui explique tout cela, c’est le fameux “1984” de Georges Orwell, où l’on évoque une guerre qui n’existe pas et n’a jamais existé, mais qui maintient toute la population sous l’empire de la terreur et rend nécessaire un gouvernement autoritaire, une gestion secrète des affaires de l’Etat, etc. Il faudrait que nous le relisions tous attentivement car le monde de ce livre nous l’avions pris pour une métaphore de l’empire soviétique; aujourd’hui, à coup sûr, il est une métaphore de l’empire de Bush!

Q: Dans votre livre “11 settembre: colpo di stato in USA” [« 11  septembre : coup d’Etat aux Etats-Unis »], vous parlez d’un véritable coup d’Etat à l’intérieur même de l’appareil américain et vous apportez les preuves de ce que vous avancez. Depuis ce jour, les médias répètent à satiété que le « monde n’est plus comme avant ». Quel est donc ce « coup d’Etat » qui a tout changé ?

MB: Si quelqu’un vous avait dit en 1997 que les Etats-Unis dispooseraient de bases militaires permanentes en Afghanistan, en Azerbaïdjan, en Géorgie (dans le jardin en face de la “Maison Russie”), vous auriez traité cette personne de folle. Or, c’est en 1997 précisément que sort de presse le livre de Zbigniew Brzezinski (Conseil près la sécurité nationale, homme clef de la Commission Trilatérale et du CFR). Il avait pour titre : “Le grand échiquier”. Dans ce livre, il a dit exactement ce qui allait se passer. Par exemple, que les Américains devaient s’emparer de la zone centre-asiatique, sous influence russe, et je dis bien “russe” et non soviétique, car les Tsars l’avaient conquise et la possédaient. L’objectif de cette gigantesque manoeuvre était de soustraire cette zone-clef de la géopolitique à l’influence russe afin de réduire la Russie au statut de petite puissance asiatique.

L’Ukraine, elle, est le trait d’union entre l’Occident et l’Orient, le lieu de passage de tous les oléoducs venus d’Asie centrale. Pour cette raison, il fallait la soustraire à l’influence russe. Tout ce que Brzezinski a annoncé, c’est effectivement produit! Pour déclencher cette vaste opération de contrôle, l’Amérique avait besoin d’un prétexte, d’un événement–choc capable d’affoler et de mobiliser la population américaine. Ce prétexte, ce sera le 11 septembre 2001. Il était d’ailleurs prévu dans les documents émanant des néo-conservateurs, écrits au moins cinq années auparavant. Ces documents évoquaient la nécessité d’un nouveau Pearl Harbour... Et, effectivement, ce “Pearl Harbour” est arrivé, grâce au travail d’un agent de la CIA qui s’appelle Ben Laden !

Ce qui est incroyable, c’est que l’on vous traite de “conspirationniste”, de “complotiste”, quand vous démontrez cela. Dans mes livres, pourtant, je mentionne des faits et j’aimerais bien être contredit, si je me trompe...

Q: En novembre dernier, nous avons assisté à la victoire électorale de George Walker Bush contre son « frère-en-loge » John Kerry. On pourrait dire bien des choses sur le vote électronique en Ohio, mais je ne comprend pas pourquoi Kerry ne l’a pas emporté. Car lui aussi aurait fait le jeu des multinationales, des lobbies bellicistes et d’Israël. Quelles manigances se dissimulent-elles derrière cette présidentielle ?

MB: A mon avis, Kerry n’a même pas tenté de gagner les élections, dans la mesure où cette attitude lui a été ordonnée par la centrale qui orchestre les agissements des deux candidats-clowns (Kerry et Bush ne  sont que des figurants). Tout s’est passé comme si l’on cherchait encore à véhiculer l’idée que l’Amérique reste une démocratie. On a  demandé à Kerry de jouer le rôle du challengeur (démocratique). Mais on a vu qu’il a fait tant bien que mal une campagne électorale de trois semaines seulement, avec un message de  ce type : “Je ferai mieux les mêmes choses que Bush”. C’est-à-dire la guerre. Les Américains n’ont donc pas compris pourquoi il fallait voter pour lui!

A l’évidence, tout ce cirque électoral était télécommandé: les deux candidats font partie de la société secrète “Skull & Bones”, recrutant dans l’Université de Yale, d’où sont issus les fonctionnaires et les responsables du gouvernement secret des Etats-Unis. Tout est dès lors fiction; Poutine est lucide quand il dit qu’il préfère Bush à Kerry, parce que Bush fait les choses de manière si burtale qu’il s’aliène des sympathies partout dans le monde. Pour l’Europe, si Kerry l’avait emporté, il aurait été plus difficile de dire “non”; nous aurions dû envoyer plus de troupes en Irak et, plus tard, en Iran... Car il est clair que les ambitions américaines ne se limitent pas à l’Irak, mais s’étendent à l’Iran, à la Syrie et à l’Arabie Saoudite.

Q: Je vous ai posé cette question parce qu’à Stresa, sur les rives du Lac de Côme, en juin dernier, le « Groupe Bilderberg » s’est réuni et, me semble-t-il, il s’était prononcé en faveur de Kerry et du vice-président qu’il aurait nommé, Edwards…

MB: George Soros était en faveur de Kerry. Ce qu’il dit est parfaitement vrai. Le groupe Bilderberg est composé d’Américains et d’Européens: c’est une sorte de commission bilatérale pour formuler des politiques communes. Le Groupe Bilderberg s’inquiète dès lors des tiraillements qui existent aujourd’hui entre l’administration Bush et les Européens. Il voudrait faire ce que fait Bush, mais avec la participation de l’Europe. Celle-ci veut avoir une part du gâteau, car, en ultime instance, l’enjeu est la possession des sources de pétrole. Les Américains du Groupe Bilderberg ne veulent pas que l’Europe deviennent une sorte de satellite des Etats-Unis, car il n’est pas complètement inféodé aux néo-conservateurs, qui, eux, sont “messianiques” et ne voient pas l’utilité des alliances, estimant qu’ils bénéficient des “faveurs divines”.

Q: Il y a quelques jours, Colin Powell a dû céder la place à la « panthère noire », alias Condoleeza Rice. Je ne crois pas me tromper en disant que Powell, la « Colombe de Washington » avait l’intention de faire donner son crédit international pour mettre un petit peu la politique extrémiste de Sharon sur la  sellette. Est-ce la raison de son licenciement ? Ou bien y en a-t-il une autre ?

MB: En effet, il me semble que cela soit la raison de son limogeage. Colin Powell a accepté de jouer les figures humiliées en faisant son tour du monde, mais il aurait très bien pu devenir le héros d’une autre Amérique, qui se serait opposée à Bush; mais dans les fait, Powell a servi le régime. Certains l’appelaient l’ “Oncle Sam”. Mais maintenant l’équipe Bush, et ce qui se profile derrière elle, est sûre de gouverner encore pendant quatre ans, alors elle s’est débarrassé de Powell, parce qu’il ne servait plus à rien. C’est grave parce que ses attributions vont à Condoleeza Rice qui est la femme à tout faire de Bush. Il faut savoir que Bush est un homme qui souffre de graves problèmes psychiatriques: c’est un ancien alcoolique, un ancien cocaïnomane,  et qu’il est donc un homme que l’on peut aisément manipuler et manoeuvrer. Il n’est ni l’acteur ni le protagoniste de quoi que ce soit : il n’est qu’un figurant. Les vrais chefs de l’Amérique semblent être Dick Cheney (vice-président) et Donald Rumsfeld (chef du Pentagone). S’il y avait un homme qui aurait dû être licencié après les élections, ce devait être Rumsfeld, parce qu’il est responsable des désastres militaires en Irak... Cette situation indique un durcissement et nous verrons se dérouler des choses encore plus terribles dans les années à venir...

Q: Quel est le rôle du père George Herbert Walker Bush, maçon du 33ième degré du rite écossais ancien et accepté ?

MB: Bush-le-Père est probablement l’initiateur des événements; il n’est pas “messianiste” mais cynique. Il dirige un fond d’investissement très spécial, qui, avant le 11 septembre, achetait les actions des entreprises militaires, tant américaines qu’européennes. Ce sont ces entreprises qui gagnent le plus grâce aux guerres menées par Bush-le-Fils. C’est là un autre aspect du gigantesque conflit d’intérêts qui se déploie aujourd’hui: chaque fois que le fils fait la guerre, le père gagne de l’argent!

Q: L’Iran est aux premières loges dans la liste des « Etats-voyous ». Depuis l’an 2000, l’Iran stocke des euros plutôt que des dollars, ce qui a causé de nombreuses difficultés à l’économie américaine, pour ne pas parler de la fourniture de gaz naturel pour 100 milliards de dollars à la  Chine, en contravention avec les lois  sur l’embargo. Quelle politique l’administration américaine mettre-t-elle en œuvre contre l’Iran ?

MB: C’est Sharon qui veut que les Etats-Unis attaquent l’Iran. Mais la raison n’en est pas simple parce que les Américains s’essoufflent en occupant l’Irak. Nous verrons  quelles mesures ils prendront : vont-ils réintroduire la conscription? Pourront-ils faire la guerre dans ces conditions sans provoquer une révolte des citoyens américains? Pour convaincre le peuple, devront-ils mettre en scène un nouvel attentat d’Al-Qaeda, encore plus sanguinaire, comme on peut le craindre, afin d’entraîner l’ensemble du pays dans une guerre contre l’Iran?

Or, l’Iran est un pays difficile à envahir : il a 70 millions d’habitants; il est beaucoup plus vaste que l’Irak et peut compter sur une certaine couverture militaire, certainement russe mais aussi chinoise, vus les rapports économiques très étroits qui se sont noués entre la Chine et l’Iran. Par le biais d’un méga-contrat de 100 milliards de dollars, portant sur la fourniture de gaz pendant 25 ans, la Chine s’est ainsi dotée d’une sécurité énergétique. Donc, si une puissance agresse l’Iran, elle agresse automatiquement les intérêts de la Chine. Il ne faut pas oublier que toute l’opération en cours en Ukraine est une opération téléguidée par Washington, exactement comme l’était l’opération de Soros en Géorgie. Si, en pratique, cette opération vise à priver Poutine de toute espèce d’hégémonie dans la région, car tant la Russie que l’Ukraine sont dotées d’armes nucléaires. Les armes atomiques ukrainiennes sont aujourd’hui sous le contrôle des Etats-Unis. Mais que se passera-t-il si le pays est secoué par une guerre civile?

Q: Je voulais vous le demander : que se passe-t-il exactement en Ukraine aujourd’hui ?

MB: En pratique, il s’agit d’inclure l’Ukraine dans la sphère d’influence américaine. Je dis bien “américaine” et non “européenne” ou “occidentale”! Cela pose de très graves problèmes à Poutine. Un exemple: Poutine dispose d’une flotte en Mer Noire; si l’Ukraine lui devient hostile, il n’a plus de liens territoriaux directs avec cette flotte. Ne parlons même pas des nombreux oléoducs russes, qui fournissent aujourd’hui du pétrole à l’Europe et qui passent justement par le territoire ukrainien! L’intérêt des Américains est de contrôler ces oléoducs, parce que, dans cette zone, le pétrole n’a pas d’accès direct à la mer. L’opération vise proprement à exproprier Poutine. Dans cette conjoncture, il est l’agressé et non pas l’agresseur.

De même, l’attentat si sanguinaire de Beslan contre les enfants d’une école a été évalué correctement par Poutine (qui fut un agent du KGB et qui sait pertinement bien comment ce genre de choses se déroulent...): les terroristes sont les instruments de la “Rome” qui a ses bases sur la Tamise et sur le Potomac et qui veut diviser pour régner, exactement comme le voulait la Rome antique. Ce sont les pouvoirs pétroliers de Londres et de Washington qui manipulent et déploient les terroristes “islamistes”. Il suffit de suivre la trajectoire du chef de ces terroristes tchétchènes, Bassaïev. Il a été auparavant le chef des gardes du corps du plus importants et du plus riches des oligarques russes, Boris Berezovsky, celui qui s’était emparé de toutes les richesses minières de la Russie. Poutine les lui a reprises tout simplement parce qu’il ne les lui avait pas payées. Songeons aussi à la Ioukos, qui est la propriété de l’oligarque Komarovsky et qu’il a achetée pour 200 millions de dollars au temps des privatisations, avec des fonds prêtés par la famille Rothschild. Aujourd’hui, la Ioukos vaut 17 milliards de dollars en bourse!

Q: Changeons de discours : je suis curieux de savoir pourquoi vous avez écrit l’un de vos derniers livres, dont le titre est : “La strage dei genetisti” (« Le massacre des généticiens ») Qu’entendez-vous par « massacre des généticiens » ?

MB: Depuis le 11 septembre, plusieurs généticiens sont morts mystérieusement, dans des “accidents” variés, souvent des homicides; en tout 25, peut-être 26. Tous s’occupaient d’armes “génétiques”, bactériologiques et se penchaient sur la façon de manipuler l’ADN pour des raisons militaires. Personne ne comprend vraiment ce qui s’est passé, mais, très probablement, une guerre secrète a lieu, sur ces types d’armement; les recherches ne sont pas suffisamment avancées, si bien qu’il suffit de tuer quelques hommes compétents pour freiner le développement des armes chez l’ennemi. Si, par exemple, les Chinois éliminent cinq généticiens américains qui s’occupent d’un tel programme, il est peu probable que les Américains trouvent immédiatement cinq autres généticiens de même niveau pour reprendre les recherches. C’est une guerre secrète de ce type qui est en cours entre Etats qui tentent de mettre au point des armes dites génétiques. L’arme en question serait un microbe, une bactérie, un virus capable de frapper seulement un type spécifique de génotype! L’existence probable de cette arme génétique a été révélée par un membre du Parlement israélien. Ce parlementaire a fait une déclaration mystérieuse puis ne l’a plus  jamais répétée... C’est une  information très alarmante parce que les effets de cette arme ressemblenet à des maladies naturelles. Comme celle qui a frappé Arafat, par exemple. Le Président de l’OLP est mort à la suite de symptômes très étranges: des milliers de micro-hémorragies dans les vaisseaux de petites dimensions, ce qui ne correspond à aucune symptomatologie de maladies connues! D’où la suspicion d’un empoisonnement, mais d’un empoisonnement perpétré à l’aide d’une arme très sophistiquée et braquée spécifiquement sur un type de cible...

Propos recueillis par Marcello Pamio; Source: www.disinformazione.it , 05 décembre 2004.

samedi, 15 mai 2010

Hollywood, le Pentagone et le monde

Hollywood, le Pentagone et le monde

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com/

Les éditions Autrement sortent une nouvelle édition, mise à jour, de l'excellent ouvrage de Jean-Michel Valantin, Hollywood, le Pentagone et le monde, initialement publié en 2003. Les productions d'Hollywood sont un des instruments essentiels du soft power américain, mais aussi un outil bien pratique pour légitimer, si besoin, le hard power... A lire pour ne plus regarder du même oeil les productions américaines qui innondent nos écrans !

Hollywood, le Pentagone et le monde.jpg
"L’industrie cinématographique est un acteur essentiel du débat stratégique américain par la production des films de « sécurité nationale ». Le cinéma met en scène les idées dominantes sur la menace proposées par l’appareil de sécurité nationale et légitime ses opérations militaires. Cette production particulière dépend des relations étroites nouées entre l’industrie du cinéma, le Pentagone, les agences de renseignement et la Maison-Blanche. Depuis plus de vingt ans, elles prennent un caractère de synergie, l’armée et les studios échangeant d’énormes contrats, et Hollywood étant pénétré par les évolutions politiques et idéologiques de Washington. Quatre grandes parties rythment l’ouvrage : *la première expose les rapports entre le cinéma, la culture, l’armée et le politique ; *la deuxième est centrée sur la période 1992-2000, avec la montée en puissance de la représentation de l’idée d’une menace mondiale ; *la troisième (actualisée pour cette édition) concerne la période contemporaine - 11 septembre 2001, Irak et Afghanistan ; * la dernière (spécialement écrite pour cette édition) porte sur l’émergence aussi forte que rapide de la question environnementale dans le cinéma de sécurité nationale."

jeudi, 13 mai 2010

Toespraak v. E. Langerock, Praeses Kasper

Diner-debat – No to war, stop USA-imperialism: onze toespraak

Op 24 april woonde KASPER het diner-debat “No to war, stop USA-imperialism” bij.

Toespraak van Erik Langerock, Praeses KASPER-Gent 2009-2011, op 24 april 2010 te Antwerpen.

Dames en heren,

We hebben het nu gehad over het kapitalistische wangedrocht de Verenigde Staten, hun imperialisme en alle zionistische kwalen die hieruit voortvloeien. De tijd is nu gekomen om te spreken over oplossingen, om maatregelen te vinden die ervoor kunnen zorgen dat dit imperialisme kan ophouden. Uiteraard zal het aan ons zijn om ons te weren, ons te verzetten tegen deze anti-Europese dominantie, maar dit is echter niet voldoende. Het zal ook aan de Amerikanen zijn om deze praktijken een halt toe te roepen.

 

Want, dames en heren, het Amerikaanse volk, in zoverre wij dit een volk mogen noemen – het stamt namelijk af van mensen die zich niet konden aarden in een traditioneel Europa – heeft ook te lijden. Ik heb het dan niet over die klasse die het zich kan veroorloven om buitenverblijven in Dubai te kopen, maar wel over die mensen die moeten werken opdat die klasse kan genieten van haar weelde. De mensen die moeten werken voor hun brood en in de vergetelheid raken wanneer ze dat niet kunnen. De mensen die als eerste worden bestraft wanneer enkele rijken monsterwinsten maken door het gehele economische systeem te ontregelen. De mensen die zomaar uit hun huizen worden gezet omdat de Amerikaanse banklobby en de Amerikaanse regering overdaad en overconsumptie aanmoedigen. De mensen die als eerste worden uitgestuurd naar het oorlogsgebied waar ze moeten vechten voor diezelfde rijken. Dit, ironisch genoeg, ten koste van de plaatselijke bevolking die in dezelfde situatie zit als zij.

 

Vandaag de dag lijdt de Amerikaanse bevolking dan ook aan 3 kwalen: het is getraumatiseerd, gedrogeerd en gedegouteerd. Getraumatiseerd door de politiek van angst die het ondergaat en de oorlogen die het als dienstplichtige soldaat moet meemaken. Gedrogeerd dankzij de farmaceutische industrie die de pas gestemde verplichte gezondheidszorg alleen maar kan toejuichen en dankzij de voedselindustrie die de Amerikanen volpropt met het meest ongezonde voedsel. Gedegouteerd omdat de Amerikanen beseffen dat hun inspraak, hun stem, hun geloof in verandering elke keer weer wordt gefnuikt.

 

Want welke president het roer ook overneemt, hetzelfde beleid zal worden gevoerd. Een zoveelste bewijs daarvoor is president Obama, die erin slaagde om Guantanamo open te blijven houden en als teken van ‘goodwill’ Europa het vuile werk laat opknappen door moeilijke gevangenen in onze gevangenissen te plaatsen, oorlogen blijft voeren en zelfs intensifieerde en tot slot de farmaceutische industrie een groot plezier deed door 18 miljoen gezonde en welgestelde Amerikanen, die ervoor kozen geen ziekteverzekering af te sluiten, voor de leeuwen te gooien.

 

Over dat laatste punt, de ziekteverzekeringen in de VS, is trouwens nog niet alles gezegd. Want wij dienen goed te beseffen, beste kameraden, dat een verplichte ziekteverzekering in de VS niet ten goede komt van de burger, zoals dit in Europa doorgaans het geval is, maar enkel ten goede komt van de verzekeringsindustrie in Amerika. Deze immorele en onethische industrie kondigde nu reeds aan dat de prijs van hun premies de hoogte in zal gaan omwille van de massa’s nieuwe schadeclaims die ze nu gaan binnenkrijgen. Een verplicht verzekeringssysteem dat de private en kapitalistische lobby’s in de VS ten goede komt, dit kunnen wij niet anders dan afwijzen. Wij zijn wel te vinden voor een ziekteverzekeringssysteem georganiseerd door de nationale en soevereine staat, een ijdele hoop in de Verenigde Staten.

 

Het Amerikaanse volk is zelfs zo gedegouteerd dat het zijn eigen bewegingen probeert op te richten. Het fenomeen van de Tea Parties is dan ook uitgegroeid tot een geduchte concurrent van zowel Republikeinen als Democraten en falende politici zoals Sarah Palin zien hierin een tweede kans om het volk zand in de ogen te doen strooien. Maar wat houdt de Tea Party samen? Een uitgewerkt politiek programma en gemeenschappelijke standpunten zijn moeilijk te vinden. Ze willen slechts verandering van het bestaande politiek systeem, door het systeem te infiltreren  om het zo van binnenuit te veranderen.

 

Dames en heren, we hebben dit al vaker meegemaakt, ook in België. Was het niet de Volksunie die in het begin vooral als een zweeppartij de vroegere CVP wilde bewerken? Die daarna zo is gegroeid dat ze besliste om haar ware standpunten op te offeren voor de macht en dan uiteindelijk een stille dood is gestorven? Was het niet het Vlaams Blok, dat als zweeppartij op zijn beurt de Volksunie wilde bewerken, nu al zijn vroegere standpunten heeft opgegeven om een beleidspartij te kunnen worden, met als gevolg dat het nu uit elkaar valt omdat niet iedereen meer een postje kan krijgen? Dit enkel nog maar in Zuid-Nederlandse context. Daar waar er demo-liberale chaos heerst, ziet men deze wanorde. Het partijpolitieke systeem staat symbool voor deze wanorde en met dit systeem dient dus ook op alle mogelijke wijzen gebroken te worden!

 

Wij moeten dan ook niet geloven dat de Tea Party Amerika zal veranderen. We moeten evenmin geloven dat een nieuwe en andere president het tij zal doen keren. Men zal ofwel zich overgeven aan het partijpolitieke systeem en zichzelf ideologisch uithollen ofwel een zoveelste marionet zijn voor de ware machthebbers in de Verenigde Staten, de industriële lobbyisten, zionisten en de daarmee verwante banken.

 

En wil het Amerikaanse volk vermijden om in zijn neerwaartse spiraal te blijven, dan zal het deze volksvreemde machthebbers moeten bekampen. Maar om dat te doen moeten we eerst het volk mee krijgen, het uit de illusie helpen dat een nieuwe president of zelfs een nieuwe politieke partij niets zal veranderen aan hun problemen. Het systeem moet niet veranderd, maar gebroken worden. Eens men daarin slaagt, kan het Amerikaanse volk waarlijk vrij zijn.

 

Wij moeten daarom het ware Amerikaanse volk niet laten vallen. Wij moeten de resterende nationale en waarachtig sociale krachten in de VS steunen. Als zij er niet meer zijn, dan moeten wij ze gaan inplanten. Eens wij de Amerikaanse bezetter uit ons Europees Avondland weggejaagd hebben, eens wij de morele en intellectuele superioriteit hebben bereikt en het kapitalisme en zionisme voorgoed wegbranden uit de Europese geest, eens wij Europa zijn traditioneel katholieke geest opnieuw laten vinden en de Europese Orde hersteld hebben op nationaal-solidaristische basis, dán zal het aan de nationale en sociale krachten binnen het Amerikaanse volk zijn om de volksvreemde bestuurlijke klasse in de VS de laatste interne genadeslag toe te dienen en zijn definitieve vernietiging in te luiden.

 

Vanuit KASPER besluiten wij dan ook met de woorden: CHRISTUS REX en EUROPA VRIJ!

mardi, 11 mai 2010

Il bombarolo di Times Square legato a terroristi controllati dalla CIA

Il bombarolo di Times Square legato a terroristi controllati dalla CIA

di Paul Joseph Watson - 09/05/2010

Fonte: megachip [scheda fonte]


Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

Time%20Square.jpgUn uomo arrestato in Pakistan in relazione al fallito attentato dell'autobomba di Times Square (che aveva viaggiato con l'accusato dell'attentato, Faisal Shahzad), è membro di un'organizzazione terroristica controllata dall'Agenzia di intelligence britannica MI6 e dalla CIA.  Lo riferisce il «Los Angeles Times»:

 Sheik Mohammed Rehan, che è stato arrestato martedì a Karachi, «presumibilmente viaggiava con Shahzad da Karachi a Peshawar il 7 luglio 2009, su un pickup, hanno detto le autorità. I due rientrarono a Karachi il 22 luglio. Non si sa perché sono andati a Peshawar né se lì abbiano incontrato qualcuno».

Rehan è un membro del gruppo militante Jaish-e-Muhammad, un'organizzazione terroristica venuta alla ribalta a metà degli anni Novanta, ed è stato coinvolto in attacchi nella regione di confine del Kashmir contesa tra India e Pakistan. Il gruppo ha inoltre contribuito a realizzare, a dicembre del 2001, l'attacco contro il Parlamento indiano che ha portato l'India e il Pakistan sull'orlo della guerra nucleare, tensione che si è rivelata molto redditizia per i produttori di armi inglesi e americani che hanno venduto armi a entrambe le parti.

«Gli attacchi terroristici del dicembre 2001 al parlamento indiano - che hanno contribuito a spingere l'India e il Pakistan sull'orlo della guerra - sono stati condotti da due gruppi di ribelli con sede in Pakistan: Lashkar-e-Taiba e Jaish-e-Muhammad, entrambi segretamente sostenuti dall'ISI (Inter-Services Intelligence) pakistano» scrive Michel Chossudovsky. «Inutile dire che questi attacchi terroristici supportati dall'ISI servono agli interessi geopolitici degli Stati Uniti. Non solo contribuiscono a indebolire e a spaccare l'Unione Indiana, ma anche a creare le condizioni che favoriscono lo scoppio di una guerra regionale tra Pakistan e India».

Jaish-e-Muhammad, il gruppo emerso ora in merito alla vicenda di Times Square, è stato fondato da Ahmed Omar Saeed Sheikh, “l'uomo con la valigetta dell'11/9” che consegnò 100mila dollari dagli Emirati Arabi Uniti a Mohammed Atta per volere del generale Mahmud Ahmed, allora capo dell'ISI. Mahmud Ahmed, l'uomo che ordinò ad Ahmed Omar Saeed Sheikh di finanziare gli attacchi al Pentagono e al World Trade Center, incontrò il parlamentare repubblicano Porter Goss e il senatore democratico Bob Graham a Washington DC la mattina del'11/9. Nei giorni prima e dopo l'attacco, Ahmed incontrò anche il capo della Cia George Tenet, nonché l'attuale vice-presidente Joe Biden, allora presidente della Commissione Esteri del Senato.

In un rapporto sul coinvolgimentodel gruppo Jaish-e-Muhammad nell'omicidio di Daniel Pearl, che stava indagando sull'ISI, il «Pittsburgh Tribune-Review» ha riferito che il governo pakistano, «ritiene che il potere di Saeed Sheikh provenga non dall'ISI, bensì dai suoi legami con la CIA».

L'ex Presidente del Pakistan Pervez Musharraf ha inoltre dichiarato che Sheikh fu assoldato dal MI6 mentre studiava a Londra per il tentativo di destabilizzare la Bosnia. Durante il conflitto in Bosnia del 1992-1995, la CIA ha aiutato Osama Bin Laden e Al-Qa‛ida ad addestrare e armare i musulmani bosniaci

Nel 2002, il «Times» di Londra ha riferito che Sheikh «non è un terrorista comune, ma un uomo che ha connessioni che arrivano in alto nelle élites militari e dell'intelligence del Pakistan e negli ambienti più vicini a Osama Bin Laden e all'organizzazione di al-Qaeda».

Nonostante il coinvolgimento intimo di Sheikh in numerosi atti di terrorismo e in sequestri politici, compreso il massacro di Mumbai del 2008, è stato sempre protetto sia dalla CIA sia dall’intelligence britannica.

Insomma, questo è l'uomo che ha fondato il gruppo che ora emerge in relazione con il pasticciato attentato di Times Square: una risorsa della CIA e del MI6.

«Gli esperti ritengono che il gruppo Jaish-e-Muhammad benefici tuttora dei legami con la potente cerchia dell'intelligence del governo del Pakistan. Alcuni esperti reputano che l'Inter-Services Intelligence (ISI) del Pakistan abbia facilitato la formazione del gruppo» afferma l’articolo del «Los Angeles Times» del 5 maggio 2010.

La maggior parte degli analisti geopolitici concorda sul fatto che l'ISI pakistano non è in realtà nient'altro che un avamposto della CIA. L'ISI non fa nulla che la CIA non abbia approvato. Sin dall'11/9 la CIA ha versato milioni di dollari all'ISI, pari a non meno di un terzo dell'intero bilancio dell'ISI, a dispetto della nota storia dell'agenzia di spionaggio straniera che finanzia e arma gruppi terroristici come Jaish-e-Muhammad e a dispetto del fatto che finanziò i dirottatori dell'11/9.

Dal momento che le impronte digitali della CIA si trovano ovunque in quasi tutti i gruppi terroristici mediorientali, non sorprende che ora venga a galla un legame fra la CIA e l'attentatore di Times Square. Non ci siamo ancora imbattuti in un terrorista che non sia stato addestrato, equipaggiato, radicalizzato, incastrato o provocato da una agenzia di intelligence occidentale o di un gruppo terroristico controllato da un agenzia di intelligence occidentale.

 

Traduzione per Megachip a cura di Manlio Caciopo.

 

lundi, 10 mai 2010

L'hégémonie de l'OTAN: l'UE doit se soumettre!

Bernhard TOMASCHITZ:

L’hégémonie de l’OTAN: l’UE doit se soumettre!

 

ue_otan_2003-e1d8b.jpgDébut avril 2010: on vient de former une brigade franco-italienne de chasseurs alpins. Le ministre italien des affaires étrangères, Franco Frattini considère que l’événement est un “premier pas” vers la constitution d’une éventuelle armée européenne et invite d’autres Etats  de l’UE à participer à cette brigade. Car, ajoute-t-il, pour être “crédible” dans la lutte contre le terrorisme et pour pouvor restabiliser des régions en crise, l’UE aurait besoin d’un moyen approprié car elle ne devrait pas toujours se fier aux Etats-Unis.

 

Les plans pour forger une armée européenne ne datent pas d’hier: déjà en octobre 1950, le premier ministre français René Pleven avait proposé de créer une armée européenne sous  la houlette d’un ministre européen de la défense. Les négociations qui s’ensuivirent et qui avaient pour but de mettre sur pied une CED (“Communauté Européenne de Défense”) ont échoué parce que l’Assemblée nationale française avait retiré de l’ordre du jour le Traité instituant cette CED. Les Français craignaient trop, à l’époque, le réarmement allemand. Il a fallu attendre les années 80 pour que l’on recommence à réfléchir et à agir pour reconstituer une armée européenne: c’est alors que l’Allemagne et la France se sont mises à développer une politique de défense commune; ensuite, en 1997, avec le traité d’Amsterdam, on a commencé à travailler sur le projet d’une “politique de sécurité et de défense européenne” (PSDE). L’Eurocorps procède, lui aussi, d’une initiative commune à la République fédérale d’Allemagne et à la France: il est devenu, pour l’essentiel, une “troupe d’intervention rapide” multinationale relevant de l’UE.

 

Mais jusqu’ici aucune clarté n’a pu être dégagée pour définir avec suffisamment de précision les rapports entre l’UE  et le projet PSDE, d’une part, et entre l’UE et l’OTAN, d’autre part. Toutefois, on peut repérer une série d’indices qui nous amènent à penser que les capacités de défense européennes devront touters être mises au service de l’OTAN et donc des Etats-Unis. Dans un rapport rédigé en janvier 2009 pour le compte de la Commission “affaires étrangères” du Parlement Européen par le député français Ari Vatanen (de nationalité finlandaise), et consacré au “rôle de l’OTAN dans  le cadre de l’architecture de la sécurité européenne”, on peut lire que “l’OTAN forme le noyau de la sécurité européenne et que l’UE dispose d’un potentiel suffisant pour soutenir ses activités, si bien qu’un renforcement des  capacités de défense européennes et qu’un approfondissement de la coopération entre les deux organisations s’avèreraient fructueuses”. Dans cette optique, la Turquie continue à être perçue comme “un allié de longue date de l’OTAN” et un pays “candidat à l’adhésion à l’UE”. Par conséquent, toute fusion de l’OTAN et de l’UE accélèrerait l’adhésion définitive d’Ankara à l’Europe.

 

Sur le plan concret, on prévoit que l’UE interviendra de plus en plus souvent, dans l’avenir, “out of area”, en dehors de la zone prévue initialement par l’OTAN, c’est-à-dire l’Europe. Dans l’article 43 du Traité de Lisbonne, on évoque notamment d’éventuelles missions “pour lutter contre le terrorisme”, missions qui se dérouleraient dans des pays tiers, donc sur le territoire où s’exerce la souveraineté de ceux-ci. Le blanc seing accordé à d’éventuelles interventions hors zone se justifie à l’aide d’arguments “humanitaires”: finalement, il s’agit “d’empêcher de manière active des actes de cruauté commis à grande échelle et des conflits régionaux dans lesquels les populations souffrent terriblement comme auparavant, ou de prendre toutes mesures équivalentes”. Or les conflits régionaux et les actes de cruauté qui les accompagnent généralement sont particulièrement nombreux dans les pays évoqués, où l’on trouve des matières premières ou des minerais importants qui attirent les convoitises, comme au Soudan ou au Congo, ou dans des régions importantes pour assurer le transport de matières premières comme le Caucase.

 

En prévoyant ainsi d’organiser les armées européennes pour jouer le rôle de policier mondial, l’eurocratie bruxelloise va à l’encontre des exigences de Washington qui souhaite que l’UE s’engage davantage sur le plan militaire; ensuite, ces projets correspondent aux plans américains qui veulent faire de l’OTAN une alliance active dans le monde entier et non plus seulement dans l’espace de l’Atlantique Nord. L’engagement en Afghanistan, auquel participent bon nombre de pays membres de l’UE, nous donne un avant-goût de ce qui nous attend. En fin de compte, rien ne nous permet d’imaginer que le Proche et le Moyen Orient trouveront la paix dans un délai prévisible. En Afrique et en Asie centrale, nous trouvons toute une série de pays politiquement instables, qui, du jour au lendemain, pourront rendre “impérative” une “intervention humanitaire”.

 

La militarisation prévue coûtera fort cher au contribuable. Enfin, le Traité de Lisbonne oblige les Etats membres de l’UE “d’améliorer progressivement leurs capacités militaires”, donc de réarmer. C’est grosso modo la même chose que prévoit le rapport Vatanen du Parlement européen, dans lequel on évoque “les investissements plus élevés à consentir pour la défense au niveau de chaque Etat membre de l’UE” et on réclame la création “d’un quartier général opératoire de l’UE”.

 

Le projet, qui équivaut à une soumission pure et simple aux intérêts géopolitiques américains, est accueilli avec bienveillance à Washington. Pourtant, les projets de défense européens n’avaient pas toujours reçu un tel accueil. Petit rappel: lorsque l’Europe se sentait démunie et désemparée dans les années 90 du 20ème siècle, au moment où les conflits inter-yougoslaves faisaient rage dans la péninsule balkanique, elle avait évoqué la possibilité d’améliorer ses capacités militaires et de renforcer les assises de sa propre sécurité. A Washington, à l’époque, on avait tiré la sonnette d’alarme! Strobe Talbott, qui était alors vice-ministre des affaires étrangères aux Etats-Unis, avait exprimé ses craintes: une armée de l’UE “pourrait commencer à exister au sein de l’OTAN puis devenir une concurrente de celle-ci”.

 

Quoi qu’il en soit, si l’Europe venait un jour à s’émanciper des Etats-Unis sur les plans de la défense et de la sécurité, Washington aurait beaucoup à perdre. Car, comme l’a avoué Zbigniew Brzezinski, conseiller national en matières de sécurité auprès de l’ex-Président américain Jimmy Carter, “l’OTAN lie les Etats les plus productifs et les plus influents à l’Amérique et procure aux Etats-Unis une voix de poids dans les affaires intérieures de l’Europe”.

 

Bernhard TOMASCHITZ.

(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°17/2010; trad. franç.: Robert Steuckers). 

 

Prof. Dachitchev: Réponse à la "Lettre ouverte" des intellectuels occidentaux contre Poutine

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2004

Prof. Dr. Viatcheslav DACHITCHEV:

Réponse à la “Lettre ouverte” des intellectuels occidentaux contre Poutine

 

Daschitschew.jpgLe Professeur Viatcheslav Dachitchev, historien et expert ès questions allemandes, a été l’un des principaux conseillers de Gorbatchev et l’avocat au Kremlin de la réunification allemande. Nous avons déjà eu l’occasion de publier des entretiens avec lui ou des extraits de ces meilleurs essais [ http://www.harrymagazine.com/200407/turquia.htm ; http://ch.altermedia.info/index.php?p=641#more-641 ; tous deux sur la question de l’adhésion turque à l’UE; “Gorbatchev et la réunification allemande” & “Le combat de Poutine contre les oligarques”, in “Au fil de l’épée”, recueil n°48, août 2003].

 

Aujourd’hui, le Prof. Dachitchev réagit à la “Lettre ouverte” des intellectuels occidentaux, dirigée contre le Président Vladimir Poutine, accusé de détruire la démocratie en Russie. Sans hésiter, le Prof. Dachitchev a pris la plume pour présenter des contre-arguments dans les colonnes de l’hebdomadaire nationaliste allemand, la “National-Zeitung”, qui paraît à Munich. L’objectif du professeur : réfuter les arguments fallacieux avancés par les politiciens américains et les intellectuels qui leur sont inféodés, dans cette “Lettre ouverte”, dont l’objectif est de déstabiliser Poutine et la Russie. Dachitchev part du principe que “déclencher une guerre terroriste en bonne et due forme contre la Russie” coïncide avec les élections américaines. La guerre de Tchétchénie, en effet, apporte à Washington plusieurs avantages stratégiques importants. La  machine propagandiste US peut ainsi détourner l’attention de l’opinion publique internationale de l’expansionnisme américain en acte et accuser les seuls dirigeants russes d’enfreindre les droits de l’homme. La situation actuelle de la Russie est peu enviable, parce qu’elle sort à grand peine du marasme dans lequel la politique américaine l’a plongée, en pariant systématiquement sur le clan d’Eltsine. Voici la première partie de la réfutation rédigée par le Prof. Dachitchev :

 

Prélude à une nouvelle “Guerre Froide”?

 

L’élite dirigeante aux Etats-Unis a besoin d’une Russie faible, qui, comme beaucoup d’autres pays européens, puisse être maintenue à la remorque de Washington. Elle craint aussi de perdre sa “cinquième colonne” en Russie. Le 29 septembre dernier, 115 “intellectuels” et politiciens américains et européens ont publié une “Lettre ouverte” aux chefs d’Etat et de gouvernement de l’UE  et de l’OTAN (pourquoi pas aux Nations Unies?) qui constitue de facto une attaque agressive contre le gouvernement du Président Poutine. Comment faut-il interpréter cette lettre? Quels sont les objectifs poursuivis par sa diffusion?

 

Avant toute chose, cette lettre témoigne que la politique américaine vise encore et toujours à affaiblir la Russie. La façon dont la “Lettre” décrit la politique du Président Poutine, surtout après les événements de Beslan en Ossétie, n’est rien d’autre qu’une démolition en règle. Pour washington, ce qui importe, c’est d’organiser une campagne propagandiste visant à refaire de la Russie un ennemi pour l’opinion publique américaine et européenne, afin de pouvoir exercer une pression constante sur les plans politique, économique et militaire et de pouvoir la justifier.  Ou bien est-ce carrément le début d’une nouvelle “Guerre Froide” contre le “Super-Etat voyou”?

 

Les néo-conservateurs tirent les ficelles

 

Personne, et encore moins Poutine, ne conteste le fait qu’une véritable démocratie serait un bien pour la Russie. Cependant, les signataires de cette “Lettre ouverte” devraient surtout penser à l’essentiel; et cet essentiel n’est-il  pas, aujourd’hui, pour la communauté internationale, d’éviter une nouvelle guerre mondiale, qui pourrait se déclencher à la suite de la politique américaine qui vise à établir une hégémonie globale? Mais il serait naïf de croire que les signataires veulent vraiment éviter cette conflagration universelle. Car, parmi ceux qui ont initié et signé cette “Lettre”, on trouve les tireurs de ficelles néo-conservateurs  comme William Kristol et Robert Kagan, tous deux fondateurs du “Projet pour un nouveau siècle américain”, expression de leur lobby idéologique.

 

En Russie aussi, une campagne  hystérique contre Poutine est menée tambour battant, justement par les mêmes cercles et cénacles qui, sous Eltsine, avaient ruiné et pillé le pays et le peuple. Ils craignent aujourd’hui de perdre tout pouvoir et toute influence. Ils se sont rassemblés au sein de  “Comité 2008” et d’une “Fédération des forces justes”. Leur objectif consiste à renverser Poutine. Ils font dans la pure démagogie et rendent le Président responsable indirectement du massacre effroyable de Beslan. Ils posent ses réformes du système politique russe comme une volonté de réduire les droits de l’homme à rien. Pourtant, malgré leurs cris, ils oublient de se soucier du problème majeur de la Russie d’aujourd’hui : 41% de la population russe végètent sous le seuil de la pauvreté ou l’avoisinnent dangereusement. Pour Alexandre Lifschitz  —l’ancien ministre des finances d’Elstsine—  ces millions de pauvres gens sont des “alluvions sociaux”. Pour Andreï Piontkovski  —un russophobe bien connu—  le Président Poutine est le “problème majeur” de la Russie. Le politologue Satarov, qui appartient lui aussi à l’entourage d’Eltsine et dont le nom sert à désigner le péché actuel de l’intelligentsia russe (on parle de “saratovisme”), prétend avoir trouvé les moyens de “freiner Poutine”. Ainsi, la tragédie de Beslan a contribué à faire reconnaître ceux qui sont en faveur et ceux qui sont en défaveur des intérêts nationaux de la Russie.

 

Les dangers pour la Russie

 

C’est quelque part exact : l’action terroriste abominable qui a été perpétrée à Beslan en Ossétie a épouvanté le monde entier et a permis à la caste dirigeante russe, rassemblée autour de Poutine, de procéder à une appréciation nouvelle des dangers et des défis qui menacent la Russie. Il est exact de dire aussi que l’affaire de Beslan provoquera une transformation essentielle dans la politique russe, sur les plans de la politique intérieure, de la politique extérieure et de la politique militaire.

 

Après la fin officielle et formelle de la “Guerre Froide”, la Russie avait réduit ses budgets militaires de manière spectaculaire : le chiffre était passé de 200 milliards à 12 milliards de dollars. Les budgets américains, en revanche, avaient gonflé pour atteindre  des dimensions gigantesques et dépasser les chiffres du temps de la “Guerre Froide”. Vu la pression américaine, la Russie a dû tripler son budget militaire au cours de ces cinq dernières années. Les plans soumis en août dernier pour les dépenses militaires de 2005 prévoient une augmentation de 28% pour atteindre le chiffre de 573 milliards de roubles. Après l’action terroriste tchétchène de Beslan, ces budgets seront encore augmentés. Selon des déclarations officielles, une bonne part de ce budget devra assurer la parité avec les Etats-Unis en matière de fusées nucléaires.

 

Pourquoi ? Parce que le facteur qui pèse le plus sur la Russie depuis la fin de la Guerre Froide, sur les plans géopolitique, géostratégique et géo-économique est indubitablement la politique américaine. Après le démontage du système totalitaire soviétique, après que Gorbatchev ait renoncé définitivement au messianisme communiste et à sa politique hégémoniste, après l’effondrement de l’Union Soviétique, on a pu croire que les tensions entre les Etats-Unis et la Russie disparaîtraient et qu’une situation nouvelle naîtrait, apportant dans son sillage les conditions d’une paix durable et d’une vision constructive de la politique internationale. En réalité, rien de tout cela n’est advenu, bien au contraire !

 

Le programme : bétonner l’hégémonie définitive des Etats-Unis  sur le globe

 

La Doctrine Bush a pour assises les programmes géopolitiques visant à bétonner l’hégémonie définitive des Etats-Unis sur le globe. Ces programmes dérivent du “Project for a New American Century” (PNAC), élaboré au printemps de l’année 1997, et d’autres projets émanant des centres de réflexion néo-conservateurs.

 

Quelques mois après l’élaboration de ce PNAC, est paru un article dans la revue “Foreign Affairs”, qui s’intitulait : “Pour une géostratégie eurasiatique”. Il était dû à la plume de Zbigniew Brzezinski et révélait ouvertement et sans vergogne les  plans américains. C’est-à-dire les suivants:

è    Les Etats-Unis doivent devenir la seule et unique puissance dirigeante en Eurasie. Car qui possède l’Eurasie possède aussi l’Afrique.

è    La tâche principale de cette politique globale des Etats-Unis consiste à élargir leur principale “tremplin” géostratégique en Europe, en poussant les pions, que sont l’OTAN et l’UE, aussi loin que possible vers l’Est, y compris aux Pays baltes et à l’Ukraine.

è    Il faut empêcher toute bonne intégration au sein même de l’UE, de manière à ce que celle-ci ne  puisse pas devenir une puissance mondiale à part entière.

è    L’Allemagne  —qui sert de base à l’hégémonie américaine en Europe—  ne pourra jamais devenir une puissance mondiale; son rôle doit être limité à des dimensions strictement régionales.

è    La Chine  —soit l’”ancrage asiatique” de la stratégie euro-asiatique des Etats-Unis, doit, elle aussi, demeurer une simple puissance régionale.

è    La Russie doit être éliminée en tant que grande puissance eurasienne; à sa place, il faut créer une confédération d’Etats mineurs, qui seront la république de Russie d’Europe, la république sibérienne et la république d’Extrême Orient.

 

On le constate : les objectifs géopolitiques des Etats-Unis mènent tout droit à un télescopage pur et simple entre les intérêts russe et ceux de Washington.

 

Viatcheslav DACHITCHEV,

Moscou.

[article paru dans la “National-Zeitung”, n°42, 8 octobre 2004].

dimanche, 09 mai 2010

Propaganda y construccion del consenso: Walt Disney y la Segunda Guerra

Propaganda y construcción del consenso: Walt Disney y la Segunda Guerra

Por Giovanni B. Krähe

Ex: http://geviert.wordpress.com/

Entre los clásicos de la propaganda americana para el público infantil durante la Segunda Guerra Mundial tenemos las producciones de Walt Disney Der Fürher´s Faces (1943, premiada con un Oscar), la disdascálica Education for Death (1943) o la ilustrativa On the Front Lines-Victory through Air Power (1943). Todo este interesante material, histórico ahora (disponible online, ver links), tenía entonces precisos objetivos políticos-militares de mantenimiento del consenso en el frente civil interno durante la Segunda Guerra Mundial (salvo los SNAFU, ver más adelante). Es necesario considerar también los programas de apoyo fiscal al ejercito, los denominados Income Tax Propaganda. Luego de la Guerra, todo este material fue mantenido archivado y censurado por un considerable periodo, hasta su difusión relativamente reciente como material documental, de “historia” de la misma Disney. Publicamos algunos apuntes sueltos sobre el primer material, Der Führer’s Faces.

Der Führer´s Faces: Estrategia y lenguaje icónico

La estrategia principal de la propaganda americana en esta interesante producción es neutralizar y despolitizar, a través de la descontextualización por asociación, símbolos y contenidos mitopoiéticos utilizados hábilmente por la propaganda alemana para sus propios objetivos de consenso. El lenguaje de descontextualización es la ironía, a la cual se añade una representación icónica simple y una narración-guía en off de fácil interpretación para su rápida decodificación por el espectador. Entre cada momento de descontextualización (cada situación que el personaje Donald tiene que soportar) es posible notar una musicalización, un jingle digamos, que prepara el inicio y el final de cada breve situación. La música tiene la función de crear una “pausa mental”, para que el espectador pueda distinguir cada segmento del mensaje sin arrastrar las emociones de un segmento al otro.

Dado que el mensaje del grupo Disney se dirige al espectador americano medio (infantil y adulto) con finalidades de consenso, la representación icónica de la ironía es asociada en el mensaje de forma simple, breve y eficaz. La técnica es la asociación por diferencia-distinción entre un contenido americano y uno alemán, codificado a través de estereotipos, representaciones, bias, prejuicios, lugares comunes de fácil y rápido reconocimiento para el espectador.  Tenemos, por ejemplo, por un lado, contenidos pertenecientes a la cotidianidad, al espacio privado (ver imagen abajo), a la persona (dimensión psicológica) o individual (dimensión social). A esto se añaden símbolos colectivos o contenidos semánticos reconocidos como típicos por el espectador americano (“la estatua de la libertad”, ver al final del video). Por el otro lado tenemos los contenidos alemanes, objetivo de la neutralización. Estos contenidos alemanes deben ser también reconocibles y distinguibles por el espectador  americano medio para que el mensaje sea icónicamente eficaz. Observemos por ejemplo que el material inicia con una sobretematización (primer plano) del preußischer Paradeschrittel, el paso marcial prusiano (ver imagen arriba y abajo). Todos los contenidos alemanes van asociados, como ya mencionado, a estereotipos, prejuicios o lugares comunes del mismo espectador americano, para facilitar su decodificación y comprensión inmediata.

El público o target de los contenidos de Walt Disney durante la Guerra fueron siempre niños y adultos, hubieron, sin embargo, producciones especiales para uso interno, es decir, sólo para los soldados en el frente (cfr. los SNAFU). En términos de análisis mediológico (aislando el medium icónico por un lado y los símbolos por el otro) es posible, entonces, reconstruir tanto el contenido propagandístico (el objeto del mensaje) como el perfil de su espectador (el receptor del mensaje). En este sentido, la propaganda de Disney es muy interesante porque nos permite comprender también el perfil psicológico del público americano que se expone a estos contenidos con finalidades de consenso.

Ejercicio de análisis

Las situaciones-eje del plano narrativo en The Führer´s Faces son:

(jingle, preparación del interés)

1) inicio: contraposición entre espacio público/espacio privado. Donald duerme, la banda de música nazi irrumpe.

(jingle, pausa mental)

2) vida cotidiana: desayuno, etc.

(música)

3) mundo del trabajo (producción)

(música)

4) conciencia individual, identidad

(música)

6) identidad colectiva (nacional).

Algunas rápidas reflexiones y notas sueltas de un borrador sobre este material. Es interesante notar,  por ejemplo,  que la  estrategia de Walt Disney es asociar principalmente el código del mensaje a dos contenidos mediáticos del Nacionalsocialismo (NS) reconocibles rápidamente por el espectador americano de la época: el saludo NS y la Hakenkreuz, la esvástica. Para el periodo que estamos tratando, la esvástica, a la par de los demás símbolos nacionales, tenía una difusión mediática en América como reconocimiento del país, objeto de la propaganda. Esta estrategia de asociación se realiza icónicamente a través de la máxima generalización de la esvástica en la dimensión social y privada de Donald, sin distinciones, para representar el anulamiento violento de ambas dimensiones: la historia inicia  con el progresivo  anulamiento de la dimensión privada, cuotidiana (dimensión individual, psicológica) y  luego pública (espacio público, político) representado por los exteriores del dormitorio de Donald. El espacio público (la banda de música al inicio) irrumpe arbitrariamente en el espacio privado-individual (Donald duerme y es molestado). Se observe al inicio el fondo del paisaje, detrás de la banda de música, las nubes y los árboles. Esta “totalidad” del símbolo NS  anulará luego la distinción entre público y privado de Donald (ver imagen arriba) a través de la irrupción de la banda de música. Otro detalle interesante se da durante el desayuno de Donald: este debe ocultar su desayuno (dimensión privada) y modificar su conducta, puesto que no es le es permitido por el imperativo político: el café con un aroma artificial, el pan duro, son el resultado como efectos negativos. Es interesante notar cómo el director de Disney escoge la contextualización de momentos típicamente cotidianos para  hacer converger el lenguaje icónico, cromático y sonoro.  En efecto, se puede notar que el desayuno “normal” del personaje Donald  (café, periódico, tranquilidad) se debe esconder detrás de un retrato de Hitler (dimesión política, pública). Finalmente el periódico matutino es remplazado arbitrariamente por el “Mein Kampf”. (continuará).


jeudi, 06 mai 2010

A. Dugin: "Russia strongly rejects any presence of US Navy in the Black Sea

Aleksandr Dugin – „Russia strongly rejects any presence of US Navy in the Black Sea”

CP: – Mr. Dugin, we daily see demonstrations of the people in all major parts of the world. It’s a democratic way to express their disagreement. In Russia, the radical measures of the authorities but also the inability of the opposition led the right to protest in ridiculous. Population doesn’t believe in this „institution” of citizen. Maybe that’s why Kaliningrad episode was so much fuss. How see you this episode ?

AD: – There are some problemes with the functioning of democracy in Russia, I agree. But I think that there is the very big problem with the democracy as such in the West and in the other part of the world. The mass protest actions couldn’t reach the only real goal – to overthrow the capitalist system based on the expropriation of  the real value of human work. The democracy on the global scale is bogus. It is completeness faked. What we call «democracy» is an Spectacle, with or without special glasses. Namely: in the advanced societies the Spectacle is very impressive as the 3D technology as in Avatar movie. In the more tradition societies, like Russia, with less davanced technologies, the illusions of Spectacle are much poorer. We, Russsians, are living in the first stage of capitalist lie. So our Spectacle of democracy is bad and the cruelty of capitalist exploitation is not masked properly.

The capitalism is something that is not compatible with the real democracy, human right and freedom and social justice. The only difference that I see consists in the fact that modern Russian capitalism is much cruder.

CP: – Remaining at the public perception. In Kaliningrad, the population turned out to be enthusiastic at speech of opposition leaders who rushed to claim disapproval of Putin’s regime (I say Putin and stop because nobody  protests against Medvedev !). What errors underlying opposition to failure as a legitimate political force that must be taken into account ? What should be done to change the things ?

AD: – The problem is that now we haven’t real opposition in Russia. The majority is disinterested in politics and aproves in general features the course and discourse of Putin. Medvedev proves to be nothing at all, so he is not mentioned. The only group that is moving still are the marginals, paid by USA and other NATO countries, without political programm and having the only goal – distabilize the situation and to cause the problems to Putin’s souvereign rule. Sometime they manage get mass support – as in Kaliningrad case – but it is casual and without any effect on the national scale. In the distant zones of Russia the social problems are really very serious and that is the reason of some action of protest. Not associated with opposition politics. But in the USA, we are witness at much more animated mass action that usally lead nowhere. In my view, the Kaliningrad case is overestimated in the West. In Russia nobody knows and doesn’t wants to know either.

CP: Media spoke of a future presidential party. What would be the logic and purpose of setting up a party of President Medvedev ? It spoke at a time of possible fractionation United Russia party. We’ll witness at a migration to a presidential party ?

AD: – There has been some speculation on this subject. But nobody speaks clear of such possibility yet. I doubt that it would be possible. Medvedev is completely zero as the man. Political man, I mean. United Russia is not the real political party either, but it is fully under Putin control. So for create „presidential party”, we need a real President. But that is exactly what we lack.

CP: – What means exactly in your view that “United Russia is not the real political party” ?

AD: I mean the United Russia is an organisation without a clear ideology, without any political ideas, programms or common goals, existing only on the basis of Putin’s personal popularity and the political technology of the power in Kremlin, with zero grade of the autonomy. That is not good nor bad, just the state of affairs corresponding to the concrete historic situation. On that note as such.

CP: – Recently, Russia has changed protective speech on Iran issue. Then returned at more good feelings. And after has tightened speech… What is the real vision ? or Russian criticism just was a momentary attitude in the context of recently ended negotiations on START 2 ? We are talking about a very important treaty with global implications, so it is important each argument.

AD: – Iranian nuclear issue is likely to worry many leaders. But I think that the Russia has no reason at all to support West in its anti-Iranian position and considers Iran to be rather geopolitical ally of Russia. The NATO contrarily is regarded as possible enemi. That explains the ambivalent attitude of Russia in time. Russia had itself arguments that were useful in negotiations on START 2. We look carefully developments in the Iranian problem. But a decision to sign to sanction Iran would be only if there are conclusive evidences. Iran is our friend. It could turn once to becom nuclear friend. So is Israel. Israel is friend of USA and possesses the nuclear weapon. So is Pakistan also. Geopolitical speaking, there should be the symmetry.

CP: – For that spoke about START 2, it said that Russia’s anger (about the location of the missile shield elements in Eastern Europe) was still clamp for use in negotiations. U.S. officials said that last year ago Russia knew where will be new locations shield. And recently, Secretary of State Hillary Clinton said that these two are very different and not conditional on one another. So, Russia feels really threatened or just claim an reason to negotiate ?

AD: – Yes, Russia feels threatened because NATO keeps moving Eastward from the end of 80-s. Any step of NATO in the Eastern direction is a confirmation of the reasonability of our concerns. No one can persuade us that all this are friendly. The real frindly step was made by Gorbachov dissolving the Warsaw Pact. What followed ? The move on NATO to the East. It is unfriendly step and correctly perceived as an agression. All the other similar initiatives should be regarded and analized in this light.

CP: – Analysts argue that non-involvement of Western in elections in Ukraine were a fair trade with Russia on the location of the shield elements in the Black Sea. What do you think about ? Moreover, these two aspects – Ukraine as a buffer and new location of shield elements – something radically change on geopolitical building in this area ?

AD: – The Ukraine is the part of Russian influence. So the West has nothing to do with this. And the Orange Revolution is over. Russia strongly reject any presence of USA NAVI in the Blacksea. We will not tolerate the american vision of Caucases. Or the plan of the Greater Middle East project. I think that the Ukraine will be part of Russian-Eurasian defense system. Or this defensive system not included shield of U.S. I don’t see such cooperation possible. At least, not in this context.

Gabriela Ionita

Mark Twain, critique de l'impérialisme américain

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Anton SCHMITT:

Mark Twain, critique de l’impérialisme américain

 

Beaucoup d’écrivains ont écrit plusieurs livres mais ne sont véritablement devenus célèbres que grâce à un seul de leurs ouvrages. Mark Twain est né sous le nom de Samuel Langhorne Clemens le 30 novembre 1835 dans le Missouri et est mort, il y a tout juste cent ans, le 21 avril 1910 dans le Connecticut. Il a acquis la célébrité sous son pseudonyme de Mark Twain. Il avait quatre ans lorsque sa famille emménagea dans la petite ville d’Hannibal sur les rives du Mississippi, lieu qui devint plus tard le théâtre des aventures de Huckleberry Finn. En 1847, le père de Mark Twain meurt; celui-ci commence alors à apprendre le métier de typographe. Son frère achète ensuite la feuille locale et c’est dans ce support-là que notre auteur écrira ses premiers et brefs articles. Après avoir atteint l’âge de dix-huit ans, il quitte Hannibal et devient timonier sur l’un de ces grands bateaux fluviaux qui assurent la navigation sur le Mississippi et sur le Missouri. Quand éclate la guerre civile américaine, cette navigation est interrompue sur les deux grands fleuves. Mark Twain devient soldat dans les armées confédérées mais abandonne son service dans la cavalerie au bout de deux semaines et décide de partir vers l’Ouest. Après un examen de conscience, il finit par adhérer intellectuellement au camp “yankee”. En 1862, il se trouve à Virginia City dans le Nevada où il exerce le métier de journaliste. En 1863, il se manifeste pour la première fois sous le pseudonyme de Mark Twain. Son itinéraire le mène toujours plus à l’Ouest, toujours plus loin de la guerre. En 1864, il s’intalle à San Francisco. Dans les années 70 du 19ème siècle, il se rend pour la première fois en Europe et au Proche Orient et séjourne longtemps en Allemagne, pays qu’il adorait. En 1891, lors de sa seconde tournée en Europe, le dernier empereur d’Allemagne, Guillaume II, l’invite à déjeuner avec lui. En 1870, il avait épousé Olivia Langdon et s’était installé, dans le Nord, dans le Connecticut. Sa voisine était Harriet Beecher-Stowe qui le conforta dans son attitude hostile à l’esclavage. 

 

Une étude comparative de ces deux auteurs et de leurs principaux ouvrages mérite d’être faite. En 1876, Mark Twain écrit Tom Sawyer et en 1883, Les aventures de Huckleberry Finn. Ces deux ouvrages sont devenus des classiques de la littérature pour la jeunesse, tout en contestant, à l’époque, la teneur de la littérature conventionnelle pour les jeunes qui ne présentait que des gamins modèles ou des petites filles sages. A l’époque, Twain avait fait scandale en campant un héros, Tom Sawyer, qui fait l’école buissonnière et qui, au lieu de mobiliser ses efforts pour atteindre l’idéal du bien-être matériel, s’acoquine avec un paria de village sans le sou, qu’il admire de surcroît, mais finit quand même par devenir riche.

 

Les bonnes consciences politiquement correctes estiment aujourd’hui que Les aventures de Huckleberry Finn méritent de sévères critiques car l’esclave de la Veuve Douglas, est appelé “Nigger Jim” dans le livre. Le terme “nègre”, au départ utilisé sans le moindre jugement de valeur, et a fortiori sans intention insultante, pour désigner les personnes de race à pigmentation foncée, est aujourd’hui considéré comme un vocable à connotation “raciste”, alors que le terme “nigger”, devenu, lui, une injure classique dans le vocabulaire dénigrant du racisme, demeure assez peu connu comme tel chez les non anglophones. Les bonnes consciences s’en offusquent, incapables qu’elles sont de resituer correctement une oeuvre littéraire dans le contexte de son époque. Les deux romans destinés à la jeunesse sont effectivement le reflet de la société américaine à l’époque de Mark Twain qui ne s’empêchait nullement d’en faire la critique. L’hypocrisie religieuse, le monde des pauvres, des strates sociales déshéritées, le désir pathologique d’atteindre la puissance pour la  puissance et l’âpreté au lucre  —la maladie  emblématique de l’Amérique pour Twain—  et l’esclavage dans les Etats du Sud ont tous fait l’objet de critiques sévères dans l’oeuvre de notre auteur. Ses flèches les plus acérées, il tentait toujours de les décocher en s’aidant de l’humour et de la satire. Le temps qu’il avait passé sur les rives du Mississippi et ses expériences personnelles, qu’il a manifestement travaillées pour en faire la matière première de son oeuvre littéraire, ont fait de lui un chroniqueur crédible. Le destin de “Nigger Jim”, pour pitoyable qu’il ait été, est décrit tout en laissant transparaître malgré tout une certaine joie de vivre.

 

L’ouvrage principal de sa voisine Harriet Beecher-Stowe est tout différent. Elle a tenté, avec succès, dans La case de l’Oncle Tom, d’inciter les masses de l’Union à haïr les Confédérés et à les pousser à la guerre alors qu’elle ne s’était jamais rendue dans le Sud, comme on s’en est aperçu ultérieurement. La description du planteur avare, esclavagiste, vicieux et maniant le fouet, une caricature de la réalité, avait pour but de dépeindre une figure inhumaine qui méritait bien d’être exterminée. Des jeunes gens, après avoir lu ce livre, se sont joyeusement engagés dans les troupes nordistes pour partir dans une guerre atroce et aller mourir dans les espaces en friche de la Virginie ou à Cold Harbour, tout en croyant combattre pour une cause juste et bonne. Contrairement au scénario mis en place par Harriet Beecher-Stowe, qui justifie à l’avance le meurtre et le lynchage, et même la guerre, comme seuls moyens de prêcher la libération, Mark Twain, lui, met en scène la libération de son “Nigger Jim” de manière pacifique. La propagande de guerre, toute ruisselante de haine, n’était nullement la tasse de thé de Mark Twain.

 

Dans les années 90 du 19ème siècle, il fut l’une des figures du mouvement anti-impérialiste aux Etats-Unis et fustigea à coups de commentaires caustiques les guerres que menait son pays contre l’Espagne, les Philippines, contre l’annexion de Puerto Rico et des Iles Mariannes. En 1891, comme nous venons de le dire, il entama sa seconde tournée en Europe et se choisit Berlin comme ville de résidence. C’est à partir de la capitale du nouveau Reich bismarckien qu’il  commençait ses tournées de conférences, afin de payer ses dettes. Il resta neuf ans dans le “Vieux Monde”. La langue allemande, qui, comme à bien d’autres, lui paraissait compliquée, fut souvent la cible de son humour et donna lieu à beaucoup de jeu de mots (comme la confusion entre: “Festgäste” – Commensaux- et “fresst feste” – “bouffez fêtes”).

 

Plus tard, il envoya ses filles étudier en Allemagne. Twain rédigea enfin un biographie du Général le plus célèbre de l’armée “yankee”, plus tard élu Président des Etats-Unis, Ulysses S. Grant. Il appartenait à une loge maçonnique. En 1901, l’Université de Yale lui octroya un diplôme de docteur honoris causa.

 

Anton SCHMITT.

(Article paru dans “zur Zeit”, Vienne; n°16/2010; trad. franç.: Robert Steuckers). 

mercredi, 05 mai 2010

Mark Twain: ironia e libertà

Mark Twain: ironia e libertà

di Marco Iacona

Fonte: secolo d'italia

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Della compagnia del grande scrittore Mark Twain, morto cento anni fa (il 21 aprile del 1910) a Redding nel Connecticut, avremmo bisogno tutt’oggi. Ed è per questo che ne parliamo ancora. Del suo senso dell’humor in primo luogo, della sua critica al conformismo, delle prese in giro, delle denunzie dei falsi miti e di tutte le glorie (che così ovviamente non furono), dei più classici “tempi che furono”. La sua vita fu insieme uno sberleffo e una ribellione contro quel qualcosa di difficilmente classificabile, a metà fra storia e sentimento, che non faceva parte dello spirito americano o meglio del suo di spirito, fatto di avventura e di semplice ricerca della verità. Twain fu scrittore anche molto scomodo, così in anticipo sui tempi da essere volontariamente ignorato per quello che scriveva (soprattutto nel campo del giornalismo); i parenti furono costretti a bruciare molti dei suoi manoscritti perché pericolosi per le comunità dei religiosi. Twain rispose alla “censura” in modo bonario, con uno dei tanti aforismi per i quali sarà universalmente noto: «solo ai morti è permesso di dire la verità». Oltretutto aveva con la professione di giornalista uno strano rapporto di amore (senz’altro) e di generosa avversione grazie a una filosofia del buon gusto e del saper vivere insieme: «Per prima cosa dovete avere ben chiari i fatti; così potete distorcerli come vi pare», diceva.  
Per questo strano feeling con la “verità” (perfino nelle comuni espressioni) e per essersi trovato ben più in là da certo anonimo quotidiano, Mark Twain venne classificato come il più americano fra gli scrittori d’America e per questo qualcuno affermò anche che «tutta la letteratura moderna statunitense viene da un libro di Mark Twain Huckleberry Finn. Tutti gli scritti americani derivano da quello. Non c’era niente prima. Non c’era stato niente di così buono in precedenza». A pensarla così nientemeno che Ernest Hemingway in compagnia di William Faulkner.
Si potrebbe cominciare dal suo nome allora che non era come forse alcuni sapranno Mark Twain, ma Samuel Langhorne Clemens; lo pseudonimo che lo ha reso famoso in tutto il mondo ha origini marinare come ricordano gli esperti di narrativa fantastica Gianni Pilo e Sebastiano Fusco: «“Mark Twain! Segna due braccia!”, gridavano, nel dialetto del Sud, gli scandagliatori sui battelli che percorrevano il Mississippi, segnalando al timoniere la profondità del fondale, ad evitare il rischio di incagliarsi sulle secche. Il giovane Samuel Longhorne Clemens, che su quei battelli aveva trascorso infanzia e giovinezza, quando cominciò a scrivere e pubblicare, volle scegliersi proprio quel grido come pseudonimo». Si potrebbe cominciare così, per comprendere la sua personalità di uomo libero, concreto quanto basta, innamorato delle scienze fisiche, libertario per sé e soprattutto per gli altri (fece parte della “American anti imperialism league”, lega  contraria all’annessione delle filippine da parte statunitense). Twain era aperto al mondo come ci si sarebbe atteso solo da un grande americano della sua generazione (era nato nel 1835), abbandonò presto gli studi a causa della morte del padre e fece mille mestieri, fu tipografo (apprendista), mercante, scrittore umorista, marinaio sui battelli, soldato nella Guerra Civile dalla parte dei Confederati, poi cercatore d’oro, reporter, viaggiatore instancabile e conferenziere nelle università. Conobbe e visitò non solo l’America ma il mondo intero in lungo e in largo e si fece conoscere a trent’anni grazie al racconto “ Il Ranocchio saltatore”; aveva “solo” quarant’anni invece quando divenne uno degli uomini più famosi d’America. Per comprendere la sua modernità – che avrebbe riversato negli scritti – si deve pensare a Mark Twain come un uomo che sarebbe arrivato primo degli altri in tanti piccoli-grandi gesti del quotidiano e della vita professionale. Lasciamo la parola a Pilo e Fusco allora: «Diceva di essere legato allo spirito paesano del “Profondo Sud”, ma in realtà era il più moderno degli scrittori. Fu il primo ad usare la macchina da scrivere e la stilografica, e a dettare un libro al grammofono. Scrisse i testi di alcune canzonette che divennero enormemente popolari. Fece dell’editoria un’industria da grandi cifre: rimase celebre l’anticipo di duecentomila dollari (di allora) da lui pagato per assicurarsi in esclusiva le memorie del generale Grant». Fu dunque un uomo molto ricco e famoso ma non sempre fortunato negli affari e nel privato. Passò la vecchiaia fra crisi e lutti familiari.
Gli studiosi raccontano quanto la vita di Mark Twain sia stata complicata (quasi fossero esistite più persone in una), sfaccettata, colma di lezioni e di contraddizioni riversate anch’esse nelle opere. E naturalmente hanno ragione. Due in particolare le più note e lette da generazioni di giovani (anche se, soprattutto la seconda delle due è tutt’altro che un libro per ragazzi perché venne perfino radiato dalle biblioteche): Le avventure di Tom Sawyer (1876) e Le avventure di Huckleberry Finn (1884). Detti libri altro non sarebbero (nell’immaginazione dei teorici) se non le diverse parti – almeno tre – della stessa vita dello scrittore. «Se alla fine di quella che abbiamo definito la prima fase della sua vita Clemens assomiglia in un certo senso a Tom Sawyer», scrive Guido Carboni autore per Mursia di un invito “alla lettura” dello scrittore americano, «è cioè una sorta di adolescente in fondo romantico e soprattutto desideroso di attrarre l’attenzione del mondo raccontando storie, più o meno abbellite nel ricordo e nella elaborazione narrativa delle proprie avventure, alla fine della seconda fase potremmo dire che assomiglia di più ad Huck, nonostante i suoi 50 anni. Come Huck ha accumulato molta esperienza della vita e degli uomini, anche se sembra molto meno disposto di Huck a perdonare i loro difetti, e una discreta ricchezza. Come Huck continua a dire di volersi distaccare al mondo di cui è entrato a far parte, di voler “scappare di casa” verso più liberi territori, ma resta a casa cercando un equilibrio nella doppia identità di rispettabile cittadino convinto del proprio ruolo di Pierino ribelle, fustigatore della stupidità del mondo che lo circonda. Solo che in Clemens queste tensioni non sembrano veramente trovare un accettabile equilibrio».
The Adventures of Huckleberry Finn è probabilmente il capolavoro di Twain ed è il seguito di “Tom Sawyer” (dove il personaggio di Huck che vive in un barile era già apparso). È il romanzo di un giovane figlio di un ubriacone «senza casa, senza famiglia, senza educazione, ozioso, sfrenato, malvagio». Malgrado tutto - o forse proprio per la sua personalità ribelle – divenuto «beniamino» dei giovanissimi del villaggio. La storia è quella di un ragazzo che non vuol cedere alla mancanza di libertà; la fama del romanzo è dovuta in primo luogo allo “scontro interno” fra civiltà e natura selvaggia; corruttrice la prima roussoianamente buona la seconda. Il punto di vista dal quale Twain racconta la storia (come per esempio il successivo nostro “Giornalino di Gian Burrasca” di Vamba o “Il Barone rampante” di Italo Calvino), è però quello del protagonista ribelle, nel libro manca infatti una morale perbenista - e vittoriana - in grado di far pendere la storia dal lato della cosiddetta civiltà e della ragione degli educatori.
Nel libro è assente la «”correzione” di una morale finale che dimostri come la disobbedienza, i “vizi”, la mancanza di decoro siano negativi e portino chi li pratica ad una brutta fine», probabilmente perché Twain da grande narratore autobiografico aveva presente la differenza fra un’esistenza vissuta nel rischio e il suo esatto contrario. Non sempre poi, per lui, quel mondo reale messo su nel tempo, mattone su mattone, rispondeva a un armonico disegno di libertà e verità. Per questo, per l’autore dell’ironico Un americano alla corte di re Artù occorreva una gran dose d’avventura per battere i “tiranni” del tempo, e con essa naturalmente alcuni preziosissimi aforismi: «Non abbandonare le tue illusioni. Se le lascerai, continuerai ad esistere, ma cesserai di vivere». Ecco: tanto basta per ricordarci di lui.                        
          


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mardi, 04 mai 2010

Une leçon d'histoire pour les donneurs de leçons de morale

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1999

Une leçon d’histoire pour les donneurs de leçons de morale

 

uncle-samxxxx.jpgDepuis plus d’un siècle les Etats-Unis se sont arrogé le monopole de la vertu politique internationale, s’octroyant ainsi le privilège de mener leurs guerres impériales sous le couvert de la morale. Un dossier paru, ce mois de novembre 99, dans la revue Historia (n° 635 bis) consacré aux grandes manipulations de l’histoire, vient à propos rappeler que les Etats-Unis n’ont jamais cessé d’agir avec le plus parfait cynisme et la plus constante brutalité pour asseoir leur hégémonie mondiale. Leur domination est le fruit d’une technique éprouvée. Cette technique, assez grossière, n’en est pas moins d’une redoutable efficacité. Elle se décline en quatre temps :

 

Le premier temps est celui où l’ennemi à abattre est choisi en fonction des priorités d’expansion économique du moment.

Le second temps est celui où l’ennemi est diabolisé aux yeux de l’opinion publique.

Le troisième temps vise à créer les conditions qui acculeront l’ennemi à la faute, si possible à l’agression directe contre les Etats-Unis ou l’un de ses alliés. Dans l’hypothèse où cette agression ne se produirait pas, une opération de désinformation est systématiquement organisée pour faire croire à cette agression.

Le quatrième temps est celui de la guerre totale. L’ennemi doit non seulement être détruit mais ses dirigeants remplacés par des hommes de paille.

 

Le scénario est exposé. Il convient, maintenant, de le vérifier à l’aune de la politique de conquête poursuivie par les Etats-Unis depuis la guerre de Sécession. On peut, en effet, affirmer que c’est à partir de l’expérience acquise lors de ce conflit que (1861-1865) l’élite du Nord des Etats-Unis a mis en place la machinerie idéologique et militaire qui allait lui assurer l’accès à la suprématie planétaire.

 

En 1861, l’Union américaine était divisée en deux zones – pour schématiser le Nord et le Sud – aux intérêts antagonistes. Le Nord était industriel et le Sud agricole. Dans les Etats du Nord, l’esclavage (*) avait été aboli, non par générosité d’âme, mais pour créer une main d’œuvre mobile, disponible, servile, et à bon marché. Le Nord était protectionniste, tourné vers son marché intérieur et animé par l’égalitarisme distillé par les loges maçonniques. Le Sud était quant à lui libre-échangiste, orienté vers l’Europe – c’était là sans doute sa plus grave faute – mû par un esprit de tradition. La confrontation était inévitable. Les élites du Nord étaient toutefois bridées dans leur volonté de domination du Sud, par le droit de sécession que prévoyait la constitution fédérale. La guerre ne pouvant se faire au nom du droit se ferait donc au nom de la morale. Les manœuvres contre le Sud commencèrent dès 1832. Cette année là, le Congrès fédéral (dominé par le Nord) imposa unilatéralement à la Caroline du Sud un nouveau tarif douanier, qui menaçait tous les équilibres fondamentaux de son économie.

 

(*) L’auteur tient à signaler que ce développement a pour seul but d’éclairer le lecteur sur la politique impériale américaine. Il n’est ni d’une manière directe, indirecte, inconsciente ou subluminale, une apologie de l’esclavage, ce qui est cohérent avec sa position de refus de l’asservissement des peuples, européens en particulier, aux idées reçues et son refus de toute forme d’avilissement.

 

La Case de l’Oncle Tom : instrument de propagande

 

Cet Etat tenta de s’opposer au tarif douanier en question, mais dut finalement se soumettre devant la menace d’une intervention armée des troupes fédérales, brandie par le président Jackson. Le galop d’essai était un succès. Le scénario de la provocation/répression/soumission était rodé. Mais il fallait encore préparer les consciences à la guerre civile. Tel fut le rôle « confié » à certains intellectuels, dont Harriet Beetcher-Stowe faisait partie. Son ouvrage La case de l’oncle Tom (1852), fut l’un des premiers ouvrages de propagande de l’ère moderne et produisit l’émotion voulue. Dans les années suivantes, le parti Républicain (créé en 1854) sous l’influence du lobby industriel, fit du thème de l’abolition de l’esclavage son unique discours politique. Celui-ci était ostensiblement orienté contre les Etats du Sud. En novembre 1860, l’élection du candidat républicain Abraham Lincoln fut donc vécue par les Etats du Sud comme une véritable déclaration de guerre. En effet, ce président très minoritaire, élu avec seulement avec 39,8% des voix, n’avait pas l’intention d’abandonner son programme qui condamnait dans la pratique toute la structure politique, économique, culturelle et sociale des Etats du Sud. Face à ce péril, la Caroline du Sud, le Mississippi, la Floride, le Texas, La Géorgie, le Texas, la Louisiane, se retirèrent – conformément à leur droit – de l’Union et formèrent le 8 février 1861 un nouvel Etat baptisé « Les Etats confédérés d’Amérique ». Cet Etat voulut naturellement exercer sa sou­veraineté sur un certain nombre de places fortes fédérales situées sur son territoire : Sumter à Charleston (Ca­roline du Sud) et Pickens  à Pensacola (Floride), ce à quoi leurs commandants fédéraux s’opposèrent. De­vant ce refus, les troupes confédérales organisèrent leur siège. C’est alors que Lincoln saisit l’opportunité po­li­tique et stratégique que son parti avait réussi à créer et se décida à engager la guerre civile, fort de sa posture d’agressé. La suite est connue. La leçon tirée du conflit par les dirigeants du Nord fut inestimable : les foules ai­maient être ébahies par la propagande humanitaire et le sentiment du bon droit (*). Elles allaient être servies.

 

1898 : Ecraser l’Espagne !

 

A la fin du siècle dernier, les Etats-Unis se donnèrent de nouveaux objectifs impériaux : le contrôle exclusif de l’accès à l’Amérique du Sud, et la percée dans le Pacifique. Une puissance s’opposait à ce dessein : l’Espagne. Cependant, l’éloignement et l’expérience diplomatique du nouvel ennemi rendaient les tentatives de manipulation difficiles. Pour pallier l’absence d’agression espagnole, les Etats-Unis allaient exploiter l’ex­plo­sion accidentelle du cuirassier Maine (1898) au large de Cuba, et faire croire, à leur opinion publique, qu’il s’agissait d’une attaque surprise de l’Armada espagnole. Sur la base de ce motif, inventé de toutes pièces, les hostilités furent ouvertes. Après de courtes batailles navales, les Etats-Unis remportèrent une victoire totale et acquirent, en retour, la mainmise sur Porto Rico, Cuba, les Philippines et l’île de Guam. Tout cela n’était pas très moral, mais les formes (mensongères) y étaient.

 

(*) A ceux qui douteraient que la propagande abolitionniste du Nord n’était que poudre aux yeux,  il est rappelé les faits suivants : presque tous les noirs libérés de l’esclavage se retrouvèrent aux lendemains  de la guerre dans une situation de misère insoutenable. L’économie ruinée du Sud ne pouvant plus leur fournir d’emplois, ils émigrèrent vers le nord où ils furent employés à vil prix et dans des conditions souvent plus déplorables que leur ancien esclavage. Bien que libérés, ils durent attendre un siècle pour obtenir leurs droits politiques. Quant aux Indiens, les seuls véritables américains, ils durent attendre 1918 pour recevoir... la nationalité américaine.

 

La seconde guerre mondiale allait donner l’occasion aux Etats-Unis de décliner le scénario décrit plus haut sur une  grande échelle. L’ennemi cette fois était le Japon qui menaçait les fruits de la victoire sur l’Espagne (Philippines et Guam) et qui était en passe de devenir une superpuissance mondiale par son industrie et ses conquêtes asiatiques. A partir de ce moment, le conflit était inéluctable. Il débute le 28 juillet 1941, par la décision de Roosevelt de geler les avoirs du Japon aux Etats-Unis et d’étendre l’embargo aux livraisons du pétrole à destination du Japon. Cette décision accule les Japonais à l’intervention militaire. Mais cette intervention militaire est diligentée par les services secrets américains, dont on a aujourd’hui (cf. dossier du magazine Historia) la certitude qu’ils en suivaient pas à pas les préparatifs. Ainsi, l’intervention japonaise sur Pearl Harbor était non seulement connue dans ses détails mais désirée pour créer l’électrochoc qui permettrait de mobiliser tout un peuple dans une guerre totale contre un autre, déclaré perfide et immoral, bon à réduire en poussières atomisées.

 

La seconde guerre mondiale à peine achevée les Etats-Unis se donnent un nouvel objectif stratégique : évincer les Européens de l’Ouest – ceux de l’Est ont été donnés par Roosevelt en pâture à Staline - de leurs colonies pour s’emparer de leurs ressources. Dans cette logique, les Etats-Unis arment le Viêt-cong et le F.L.N. en Algérie contre les Français Au Viêt-nam, leur objectif est atteint, mais le résultat de leur action est mitigé par l’existence d’un Etat communiste hostile au nord. L’opinion publique américaine est selon sa tradition hostile à une intervention sans motif. Qu’à cela ne tienne l’administration de Lyndon Johnson va, en 1963, lui en tailler un sur mesure en accusant la marine Nord Vietnamienne d’avoir attaqué leur destroyer l’USS Maddox dans le golfe du Tonkin. Ce qui était là aussi un pur mensonge, mais un mensonge suffisant pour justifier une intervention directe.

 

La démonisation de Noriega 

 

La défaite contre les Vietnamiens allait refroidir quelque temps l’expansionnisme américain. Il n’allait, toutefois, pas tarder à se réchauffer et à employer les bonnes vieilles recettes du succès. D’abord contre le Panama, où la venue au pouvoir d’un certain Général Noriega (face d’Ananas selon l’expression américaine) avait tout pour déplaire à Washington. L’homme s’opposait à la fois au FMI, critiquait l’action de la CIA aux côtés des Contras au Nicaragua, et menaçait de réviser les clauses du traité régissant les droits octroyés aux Etats-Unis sur le Canal de Panama. La réaction américaine fut foudroyante. Une campagne de presse fut savamment organisée dans laquelle Noriega était présenté à la fois comme le grand organisateur du trafic mondial de la drogue, un être satanique, et l’adorateur d’Adolf Hitler. L’opinion publique américaine soigneusement mijotée, Georges Bush put sans résistance interne lancer, le 20 décembre 1989, son opération militaire contre Panama, dénommée « Juste cause » - tout un programme. Cette intervention effectuée en violation totale du droit international, ne suscita que quelques rodomontades diplomatiques sans conséquence sur l’influence américaine dans la zone. En 1991, l’ennemi suivant était l’Irak, une proie pétrolifère de choix. Cette fois la recette fut cuisinée avec un degré de raffinement jamais atteint. D’un côté les autorités américaines pressaient les Koweïtiens de mettre le couteau sur la gorge des Irakiens en les incitant à leur refuser l’aménagement de la dette contractée à leur égard, de l’autre ils faisaient savoir à Saddam Hussein, par la voix de leur ambassadrice à Bagdad, que dans l’éventualité où l’Irak attaquerait le Koweït ils observeraient une bienveillante neutralité.

 

L’Europe, rivale éternelle…

 

Le piège était tendu il allait fonctionner à merveille. La préparation concoctée par les services secrets était si subtile que pour la première fois la potion morale américaine allait se marier au droit international Les dupes européennes qui suivirent l’empire sans barguigner en furent pour leurs frais. La potion était plus amère que le fumet de pétrole qui s’en échappait. Malgré leur aide inconditionnelle et benoîte, les puissances européennes perdaient pied dans la région et dans le même temps la sécurité de leurs approvisionnements en hydrocarbures. On aurait pu penser que la tempête du désert une fois passée, les élites qui nous gouvernent auraient recouvré un peu d’esprit critique. Que nenni ! Inlassablement elles demandent à être resservie du même brouet infâme, aussi furent-elles comblées avec le Kosovo, où la CIA grande manipulatrice de l’UCK parvint à pousser Milosevic à la faute qui justifierait sa nouvelle campagne morale contre le droit. Quel était l’objectif stratégique de cette guerre ? Mais voyons toujours le même : l’Europe, le rival éternel, la civilisation à abattre.

 

J’allais oublier un détail : la recette impériale américaine ne produit tous ses effets qu’avec le bombardement des populations civiles : celles de Tokyo, de Hiroshima, de Nagasaki, de Dresde, de Hanoi, de Hué, de Phnom Penh, Panama, de Bagdad et de Belgrade. Juste quelques petits millions de morts et de carbonisés. Pas de quoi émouvoir, une conscience humanitaire bien trempée.

(© Charles Magne – Novembre 99).

dimanche, 02 mai 2010

Occupation: les Japonais n'en peuvent plus des soldats américains!

Occupation : les Japonais n’en peuvent plus des soldats américains !

TOKYO (NOVOpress) – 65 ans après la fin de la Deuxième Guerre mondiale, des dizaines de milliers d’habitants de l’archipel japonais d’Okinawa ont manifesté dimanche contre la présence de la base militaire américaine aux cris de « US go home ! » Depuis plusieurs mois, la population locale se mobilise pour tenter de bouter les GI hors de leurs terres trop longtemps occupées. L’armée américaine utilise encore aujourd’hui 10 % du territoire d’Okinawa.

Outre le sentiment patriotique bafoué par cette présence étrangère, la population est excédée par les nombreuses nuisances suscitées par la base américaine. Bruit, pollution et surtout comportement brutal et souvent criminel de la soldatesque américaine nourrissent la colère des Japonais. Les agressions, notamment sexuelles, commises par des GI sont en effet tristement nombreuses.

A chaque élection locale, les partisans du départ des troupes américaines progressent dans les urnes. Cette question interfère même désormais dans les relations diplomatiques entre Tokyo et Washington où le président Barack Obama ne semble pas prêt à faire de concessions. Interpellé sur cette question, le président américain aurait en effet lancé au premier ministre japonais un méprisant : « Mais peut-on vous faire confiance ? »

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samedi, 01 mai 2010

19ème siècle: les guerres américaines contre le Mexique et contre l'Espagne

Mansur KHAN :

19ème siècle : les guerres américaines contre le Mexique et contre l’Espagne

 

Mapa_Mexico_1845.pngLorsque le Texas s’est séparé du Mexique en 1819, les Etats-Unis ont immédiatement revendiqué ce territoire immense. Dans le cas précis du Texas, Washington eut recours à la tactique de l’infiltration. En fin de compte, le Mexique interdit en 1830 l’installation de colons américains au Texas, qui n’avait jamais cessé de se développer (1). En 1835, les colons américains du Texas se rebellent contre l’autorité mexicaine (2) et des unités de milice américaines s’emparent des bâtiments de la garnison mexicaine près d’Anahuac et provoquent d’autres conflits. « Pendant l’été 1836, des troupes américaines occupent Nacogdoches au Texas » (3). Le Mexique proteste et menace de faire la guerre au cas où les Etats-Unis annexeraient la région (4). Pendant de longues années, une suite ininterrompue de provocations de la part des Etats-Unis conduisirent à la fameuse bataille de Fort Alamo. Quand, en 1845, l’annexion du Texas à l’Union paraissait imminente, le Mexique s’est déclaré prêt à reconnaître l’existence de la République du Texas, à condition que les Etats-Unis ne l’annexent pas (5). La colonisation du pays par des immigrants américains s’est toutefois poursuivie.

 

La guerre contre le Mexique (1846-1848)

 

Pour provoquer la guerre, « les Texans ont réclamé, pour leur nouvel Etat, des frontières qui, au regard de l’histoire, étaient totalement injustifiables » (6). Le nouveau tracé des frontières, qu’ils envisageaient, incluait des territoires fertiles et riche en minerais d’or et d’argent (7). Pour provoquer le déclenchement des hostilités, le Président américain Polk donna l’ordre au Général Zachary Taylor d’avancer plus loin vers le Sud. En mars 1846, il se trouvait à proximité de Corpus Christi sur le sol texan, c’est-à-dire sur le territoire mexicain. Polk réclamait expressément, lors de sa campagne électorale, l’annexion du Texas et l’occupation de toute la région de l’Oregon. L’idée de mener une telle guerre n’était guère populaire dans les Etats de l’Union : ce fut la raison qui poussa Polk à mener une campagne de diffamation contre le Mexique (8).

 

Le 25 avril, les premières escarmouches ont lieu, lorsque les soldats de Taylor essuient le feu de militaires mexicains (9). Enfin, Washington pouvait affirmer que les Mexicains avaient tiré les premiers coupes de fusil, alors qu’en réalité, ils n’avaient fait que se défendre, puisque les soldats américains se trouvaient sur le territoire du Mexique. Polk déclare la guerre au Mexique en 1846, en sachant très bien quelle allait en être l’issue (10). Le Général américain Ulysses Grant écrivit plus tard ces quelques lignes sur la provocation américaine : « La présence de troupes américaines aux confins du territoire contesté, loin de toute région peuplée de Mexicains, ne suffisait pas à déclencher des hostilités. Nous fûmes envoyés en avant, afin de provoquer un combat, mais il était important que les Mexicains tirassent les premiers. On peut douter du fait que le Congrès aurait déclaré la guerre. Mais si le Mexique attaquait nos troupes, l’Exécutif seul pouvait déclarer la guerre » (11).

 

Polk justifia l’envoi de troupes américaines comme une mesure défensive nécessaire. L’auteur américain John Schroeder défend un point de vue tout à fait différent dans son livre Mr. Polk’s War. Schroeder écrit : « En réalité ce fut le contraire : le Président Polk avait tout fait pour provoquer la guerre, en envoyant des soldats américains dans une région contestée qui, historiquement parlant, avait toujours été peuplée et administrée par des Mexicains » (12). A la suite de la guerre contre le Mexique, les Etats-Unis annexèrent d’un coup un territoire aux dimensions énormes, correspondant aux Etats actuels de l’Union que sont le Texas, l’Arizona, la Californie, le Nevada, l’Utah et de vastes portions du Nouveau Mexique, du Kansas, du Colorado et du Wyoming, soit un territoire cinq fois aussi grand que l’actuelle République Fédérale d’Allemagne. Par cette conquête injustifiable, les Etats-Unis ont augmenté leur territoire de 40%, tandis que le Mexique perdait la moitié de son territoire national (13).

 

Mais les Etats-Unis ne se sont pas contentés de ce gigantesque accroissement territorial. Entre 1861 et 1865, la guerre civile fit rage aux Etats-Unis ; elle exigea un lourd tribut de 600.000 vies humaines et provoqua d’effroyables destructions, surtout dans les Etats du Sud. Cependant, l’industrie de l’armement profita considérablement de ces quatre années d’effusion de sang.

 

La guerre hispano-américaine de 1898

 

Cuba était au 19ème siècle la principale colonie de plantations de l’Espagne. Le commerce américain avec Cuba générait 50 millions de dollars et l’élite au pouvoir à Washington s’était depuis un certain temps déjà intéressée à ce marché. Pour pouvoir prendre Cuba, le gouvernement américain commença par déclencher une guerre commerciale. De 1893 à 1898, les Etats-Unis ont connu une récession. Il fallait absolument trouver des débouchés nouveaux pour le surplus de produits américains. La guerre contre Cuba, dont le dessein était de s’emparer de l’île, avait été concoctée depuis longtemps mais la colonie espagnole ne céda à aucune provocation. Lorsque les propriétaires de journaux Pulitzer et Hearst apprirent de leur correspondant en place à Cuba que tout y était calme, Pulitzer voulut immédiatement rappeler son homme. Hearst lui envoya tout de suite un télégramme en guise de réponse, qui en dit long : « Restez, je vous prie. Livrez matériel imagé. Je fournirai la guerre » (14).

 

Cuba1898.jpgHearst concrétisa rapidement sa promesse et le gouvernement de Washington put se réjouir d’un événement « formidable » : le 15 février 1898, le navire de guerre américain « Maine » explose dans le port de La Havane. Immédiatement, le gouvernement américain affirme que les Espagnols sont responsables de cette explosion. L’auteur américain Eustace Mullins a affirmé ultérieurement que ce sont au contraire les Américains qui ont provoqué l’explosion et a avancé des preuves tangibles pour étayer le soupçon ; ce serait la « National City Bank » de New York qui aurait fait sauter le navire pour s’emparer de l’industrie cubaine du sucre, ce qui fut effectivement acquis après la guerre. Lorsque les Espagnols ont réclamé la constitution d’une commission d’expertise indépendante pour enquêter sur l’explosion, Washington eut un comportement étrange : le « Maine » et tout ce qu’il contenait et pouvait apporter des preuves fut coulé en un tournemain.

 

L’Espagne fit tout pour éviter une guerre avec les Etats-Unis. Ceux-ci ont joué alors sur deux tableaux : d’une part, le gouvernement américain annonça sa volonté de faire la paix. Le Général Woodford câbla depuis Madrid qu’il pourrait encore, avant le 1 août 1898, « obtenir de l’Espagne l’indépendance de Cuba voire son annexion aux Etats-Unis ». Mais le Président McKinley craignait par dessus tout de prendre Cuba sans guerre et déclara la guerre, un jour après avoir reçu le télégramme de Woodford. Ce fut « une formidable petite guerre », selon le ministre américain des affaires étrangères Hays. Les troupes américaines ne se bornèrent pas à occuper Cuba mais débarquèrent également aux Philippines, occupèrent Puerto Rico et Manille. La guerre des Philippines fut menée avec une brutalité inouïe. Mais sur ce théâtre-là aussi les motifs d’ordre économique ont donné le ton. En une nuit, les Etats-Unis étaient devenus une puissance coloniale (15).

 

Mansur KHAN.

 

Notes :

(1) Carl N. DEGLER, Out of Our Past – The Forces that shaped Modern America, New York, 1984, pp. 6 et ss.

(2) Richard Bruce WINDERS, Mr. Polk’s Army – The American Military Experience in the Mexican War, Texas A & M University Press, Texas, 1997, p. 6 ; Carl N. DEGLER, op. cit., p. 117.

(3) Jerald A. COMBS, The History of American Foreign Policy, New York, 1986, p. 78 ; Richard Bruce WINDERS, op. cit., pp. 6 et ss., cité d’après Mansur KHAN, Die geheime Geschichte der amerikanischen Kriege. Verschwörung und Krieg in der US-Aussenpolitik, Grabert, Tübingen, 2003 (3ième éd.), pp. 40 et ss.

(4) Friedrich HERTNECK, Kampf um Texas, Goldmann, Leipzig, 1941, p. 237.

(5) Carl N. DEGLER, Out of Our Past, op. cit., pp. 117 et ss.

(6) Friedrich HERTNECK, Kampf um Texas, op. cit., pp. 233 et ss.

(7) Helmut GORDON, Zions Griff zur Weltherrschaft – Amerikas unbekannte Aussenpolitik 1789-1975, Druffel, Leoni am Starnberger See, 1985, pp. 55 et 68.

(8) Karlheinz DESCHNER, Der Moloch – Eine kritische Geschichte der USA, Heyne, München, 1994, p. 243.

(9) Howard ZINN, A People’s History of the United States, 1492-Present, Harper Perennial, New York, 1995, pp. 147 et ss.

(10)                    Karlheinz DESCHNER, Der Moloch…, op. cit., pp. 100 et 102.

(11)                     Jack ANDERSON / George CLIFFORD, The Anderson Papers, Ballantine Books, New York, 1974, p. 256.

(12)                    Howard ZINN, A People’s History…., op. cit., pp. 149 et ss.

(13)                    Noam CHOMSKY / Joel BEININ, Die Neue Weltordnung und der Golfkrieg, Trotzdem, Grafenau, 1992, pp. 46 et ss.

(14)                    Mansur KHAN, Die geheime Geschichte…, op. cit., pp. 90-93.

(15)                    Mansur KHAN, Ibid., pp. 94-105.

vendredi, 30 avril 2010

Toespraak v. P. Verheyen - Anti-oorlogsmeeting/Antwerpen

Toespraak van Peter Verheyen

Antwerpen, 24 april 2010, Anti-oorlogsmeeting NS-A/Eurorus

Kameraden,

 

uncle-sam-says-you-are-next_325x502.jpgRené Guénon merkte terecht op dat de meest recente beschavingsvormen niet noodzakelijk superieur zijn. Ze kunnen in feite seniel en decadent zijn. Kijk naar de American Dream, waar de ‘selfmade man’ op eigen kracht kan bereiken wat hij wil. Dit idee vertrekt vanuit het egalitaire karakter van de Amerikaanse democratie. Amerikanen kennen volgens Julius Evola daarom een innerlijke vormeloosheid, omdat zij vijandig staan tegenover persoonlijkheid. Omdat de Amerikaan van nature uit een meedoener en conformist is, staat hij open voor elke soort standaardisatie. Laat ik hiervan een voorbeeld geven. De meesten onder ons hebben wel eens gehoord van ‘The Pursuit of Happiness’ met Will Smith. Hij speelt een arme man die de kans krijgt om bij een beursmakelaarbureau aan de slag te kunnen geraken. Volgens de Hollywoodlogica volbrengt hij dit huzarenstukje en wordt hij uiteindelijk deel van het systeem dat het voor hem en miljoenen anderen zo moeilijk maakt de sociale ladder op te kunnen klimmen. Zijn er duidelijkere voorbeelden van het naïeve gehalte van de American Dream? Helaas is dit ook hardnekkig aanwezig in Europa.

 

Het Amerikaanse imperialisme beperkt zich natuurlijk niet tot het Midden-Oosten of Europa. De VS heeft immers ook belangen in haar eigen ‘achtertuin’: Midden- en Zuid-Amerika. Amerikaanse multinationals zijn daar altijd al aanwezig geweest. Ik geef even een klassiek voorbeeld. In de jaren ’70 verwoestte een orkaan 60% van de landbouwproductie in Honduras, waardoor Standard Fruit, een belangrijke multinational, zijn plantages tijdelijk opgaf. De werkloze plantagearbeiders richtten een eigen bedrijf op waarbij ze de winsten gezamenlijk verdeelden onder elkaar. Ze verkochten hun producten ook aan Standard Fruit, maar toen het Hondureese bedrijf via een concurrent zijn fruit wilde verdelen heeft Standard Fruit de overheid van Honduras onder druk gezet. Het hoofdkwartier van het bedrijf werd geplunderd en opstandige arbeiders werden gearresteerd. Dit is een ander gezicht van het Amerikaanse imperialisme: het zijn immers niet alleen de zichtbare troepen in Irak of de kernwapens op Europese grond waar we onze pijlen op moeten richten, maar ook op de maatpakimperialisten die de Amerikaanse belangen door dik en dun steunen via multinationals.

 

Natuurlijk is ook de Tweede Wereldoorlog belangrijk geweest voor de Amerikaanse belangen. Tijdens de akkoorden van Yalta verdeelden de toekomstige overwinnaars reeds de invloedssferen. De grote verliezer was natuurlijk Europa, opgedeeld in een communistisch blok en een blok onder de vleugels van de VS als de wereldleider van het zogenaamde ‘vrije westen’. Dit kan niet los gezien worden van het financiële kapitalisme, nota bene het enige werkelijke geslaagde internationalisme. Het socialistische internationalisme beet haar tanden stuk op de Eerste Wereldoorlog, toen arbeiders dolenthousiast de wapens tegen elkaar opnamen maar later verbitterd door de Kriegserlebnis net een zeer fel nationalisme ontwikkelden. De Internationale is niet die hersenschim die nog bestaat in klein-linkse milieus, maar de kapitalistische demon die stelselmatig roofbouw pleegt op onze planeet en haar volkeren.

 

Een goede kameraad van me heeft eens in een artikel gezegd dat buitenlandse interventies in de Amerikaanse geschiedenis bijna altijd uitgevoerd zijn geweest vanwege economische belangen. Natuurlijk geeft de Amerikaanse overheid daar veel liever een andere naam aan. Irak was bijvoorbeeld in de handen van een gek die volgens een rapport massavernietigingswapens in bezit zou hebben. Men zou daar eens democratie gaan brengen in naam van de mensenrechten. Achteraf gebleken was dit allemaal een leugen en ging het in werkelijkheid om oliebelangen. Nu er een olieschaarste dreigt te komen wil de VS zoveel mogelijk controle over de resterende oliebronnen. De NAVO wordt echter niet alleen gebruikt om zulke militaire expedities te ondersteunen. Het is ook een instrument om de Europese politiek bij te sturen. Kijk bijvoorbeeld naar het pleidooi van George Bush om Turkije bij de EU te krijgen of het bombardement op Servië in 1999. De VS wil via de NAVO een onderdanige Europese vazalstaat creëren. Het is voor ons dan ook noodzakelijk te blijven pleiten voor een collectieve Europese uitstap uit de NAVO.

 

Een aantal illustrerende voorbeelden kunnen verhelderend zijn. Laten we eens beginnen in Iran. In 1953 trachtte de Iraanse premier Mohammed Mossadeq de Iraanse oliesector te nationaliseren. De Britten verdienden al decennialang het leeuwendeel van de winsten. De Anglo-Iranian Company lichtte de Iraanse overheid systematisch voor miljarden op. Stafleden en technici vermaakten zich in privéclubs en zwembaden terwijl de Iraanse arbeiders in krottenwijken leefden. Na een reeks in scène gezette rellen, Operatie Ajax, werd Mossadeq afgezet, waardoor Iran onder de Sjah een Westersgezind marionettenregime werd en Amerikaanse burgers meer vrijheden kregen dan de onderdrukte Iraanse bevolking. Latijns-Amerikaanse landen die hetzelfde probeerden kregen een revolutie en een militaire junta op hun dak.  Opvallend is de recente toename van de zogenaamde PMC’s, Private Military Companies. De illegale oorlog in Irak, waar bijvoorbeeld Blackwater tot voor enkele jaren een miljardencontract heeft lopen, wordt daardoor voor een aanzienlijk deel geprivatiseerd. Door ook private bedrijven in Irak te laten opereren kunnen er meer troepen ingezet worden zonder dat daarvoor meer mensen in dienst moeten gaan. Dit toont aan dat de huidige wereldorde onder de pax americana een symbiose kent tussen de staat en het kapitaal. Naast de PMC’s zijn er talloze bedrijven die op een andere manier bijdragen aan het Amerikaanse imperialisme. De voorzitter van Starbucks, Howard Schulz, is bijvoorbeeld een actieve Zionist die jaarlijks miljoenen dollars doneert aan Israël.

 

De VS heeft dit jarenlang kunnen volhouden door mythische vijandsbeelden op te hangen. Het omhoog houden van een vijandsbeeld is in de Koude Oorlog zeer belangrijk gebleken. De schrik zat er goed in. Het grote communistische gevaar stond voor de deur. Zeker in het begin van de Koude Oorlog heeft de CIA, toen overigens vrij klungelachtig, de Russische macht zwaar gedramatiseerd en vaak zelfs geheel verzonnen. De VS ontpopte zich dan ook tot dé grote verdediger van de Westerse vrijheid. Ook al betekende dit het ondersteunen van regimes in Zuid-Amerika die ronduit misdadig en mensonterend waren: zolang Amerikaanse belangen werden verdedigd was er geen vuiltje aan de lucht. Als er iemand opstond in die bepaalde landen en een oproep deed om de lokale grondstoffen te nationaliseren, werd hij meteen gebrandmerkt als een knecht van Moskou. Het is schrijnend te zien hoe dit vijandsbeeld hardnekkig werd geloofd door vele Europeanen. Vandaag de dag zien we hetzelfde. De neoconservatieve agenda met hun zogenaamde ‘As van het Kwaad’ is daar een zeer duidelijk voorbeeld van.

 

Wat moeten wij doen? Het is duidelijk dat het Europa waar wij allen voor staan geen nood heeft aan steun aan Amerikaanse belangen. We zijn tegen het Amerikaanse imperialisme en willen geen oorlog voeren voor vreemde belangen. We moeten verzet blijven aantekenen tegen de krachten van het verval, of dat nu de bandieten zijn in het IMF of hun argeloze nuttige idioten aan de linkerzijde. ‘Ons alternatief’, tussen haakjes, is echter altijd vaag geweest. ‘Een Europa der Volkeren’ is mooi, maar wat is het? Wat willen we dan concreet in de plaats? Dat is de vraag die wij ons eigenlijk moeten stellen. En daarover moeten wij ons beraden.

 

Ik dank u.

 

Peter Verheyen v/o Pjotr

Scriptor NSV!

Stud. rer. hist.

1812: les Etats-Unis face à l'Angleterre

Mansur KHAN:

1812: les Etats-Unis face à l’Angleterre

 

War%201812.jpgLa guerre anglo-américaine de 1812 a eu notamment pour cause l’avancée continue de nouveaux colons américains dans la région située entre l’Ohio et le Mississippi. Ce territoire était contesté entre les deux puissances : Britanniques et Américains le convoitaient. Le Président Jefferson avait déjà formulé des menaces en 1807 : « Si l’Angleterre ne nous donne pas satisfaction, comme nous le souhaitons, nous prendrons le Canada qui pourra alors entrer dans l’Union » (1). La clique gouvernementale au pouvoir à Washington à l’époque prévoyait déjà, en cas de guerre avec l’Angleterre, de prendre possession de la Floride orientale et occidentale qui appartenaient encore à l’Espagne (2).

 

Lorsque la guerre de 1812 fut ultérieurement soumise à une analyse objective, Henry Adams découvrit « … que Timothy Pickering et que les éléments les plus radicaux du parti fédéraliste hostile à la guerre jouèrent un rôle clef dans le scénario, en encourageant les Anglais à poursuivre leur politique commerciale agressive, laquelle, par ricochet, permit aux fauteurs de guerre américains, les « warhawks », les faucons, de mener le pays au conflit ouvert : ils ont manipulé et interprété la politique commerciale et maritime de Jefferson d’une manière perverse et traîtresse … Irving Brant a montré dans sa remarquable biographie de Madison que celui-ci n’avait pas été poussé à la guerre contre ses vues personnelles par Clay, Calhoun et les « warhawks » mais qu’il en avait pris la décision sur base de ses convictions propres » (3).

 

Les bellicistes ont justifié leur engagement à l’époque par l’argument suivant : il fallait favoriser les exportations de tabac, de coton et d’autres surplus de la production. Mais Washington ne s’est pas contenté dans l’histoire d’écouler ses seuls surplus…

 

Mansur KHAN.

 

NOTES :

(1) Gert RAITHEL, Geschichte der Nordamerikanischen Kultur – Vom Puritanismus bis zum Bürgerkrieg 1600-1870, Bd. 1, Zweitausendeins, Frankfurt/M., 1997, p. 264.

(2) Mansur KHAN, Die Geheime Geschichte der amerikanischen Kriege. Verschwörung und Krieg in der US-Aussenpolitik, Grabert, Tübingen, 2003 (3ième éd.), pp. 1994-223.

(3) Harry Elmer BARNES (éd.), Entlarvte Heuchelei (Ewig Krieg für Ewigen Frieden) – Revision der amerikanischen Geschichtsschreibung, Karl Priester, Wiesbaden, 1961, p. 2 ss.

mercredi, 28 avril 2010

D. Rogozine: Non au NATO-centrisme!

Dimitri Rogozine : « Non au NATO-centrisme et à l’encerclement de la Russie »

 

 

rogozin.jpgPour le numéro consacré à La Russie et le système multipolaire de la revue italienne Eurasia (Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici – http://www.eurasia-rivista.org/ ) une interview exclusive de Dimitri Rogozine, ambassadeur de la Fédération Russe à l’OTAN, par Tiberio Graziani et Daniele Scalea sur l’avenir de l’OTAN (« déchirée par des problèmes nationaux, financiers et idéologiques ») et de la coopération avec la Russie.

 

L’ambassadeur a critiqué la « Nato-centrisme » et relancé la proposition du  président russe Medvedev pour un accord sur la sécurité européenne qui « tourne vers l’extérieur tous les canons du continent », en empêchant l’irruption d’un nouveau conflit en Europe.

 

On y a évidemment abordé le thème de l’Afghanistan, aire dans laquelle la convergence d’intérêts entre Moscou et l’Alliance Atlantique est plus forte, bien que Rogozine n’ait pas épargné quelques traits contre l’OTAN. L’ambassadeur a de fait affirmé qu’on ne peut pas « évaluer positivement le bilan des activités de l’ISAF », et que si aujourd’hui les troupes atlantistes quittaient le pays, le régime de Karzaï  durerait moins que celui du communiste Najibullah après le retrait des soldats soviétiques. Une sortie hâtive de l’OTAN hors d’Afghanistan déstabiliserait l’Asie Centrale et poserait de « nouveaux défis » à la Russie, mais Rogozine a voulu préciser que l’appui de Moscou à l’Alliance atlantique n’est pas inconditionnel : l’ambassadeur s’est déclaré « extrêmement indigné » par la réticence de l’OTAN à détruire les cultures de pavot d’opium, dont dérive l’héroïne qui envahit la Russie ; réticence qui contraste avec les bombardements réguliers des bases de narcotrafiquants en Colombie. « N’est-ce pas parce que la cocaïne est dirigée vers les Etats-Unis et l’héroïne, par contre, vers la Russie ? »  se demande de façon rhétorique Rogozine, en précisant que la patience des Russes « a atteint ses limites ».

 

Enfin Rogozine a montré de l’inquiétude pour « la politique d’encerclement de la Russie avec des bases militaires au sud et à l’ouest » par les Usa, souhaité le renforcement du Traité de Sécurité collective qui lie la Russie à de nombreux autres pays ex-soviétiques, et critiqué l’ingérence de l’OTAN dans les questions concernant l’Arctique.

 

L’interview de 4 pages à l’ambassadeur Rogozine, qui a abordé bien d’autres thèmes encore, peut être lue en version intégrale sur le numéro 1/2010 de la revue de géopolitique Eurasia, consacré à La Russie et le monde multipolaire

 

Publié sur le site Eurasia, rivista di studi geopolitici

http://www.eurasia-rivista.org/3896/d-rogozin-no-al-nato-centrismo-ed-allaccerchiamento-della-russia

Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio

 

 

Gli altri segreti di ECHELON e i misteri del Patto UK/USA

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2003

GLI ALTRI SEGRETI DI ECHELON E I MISTERI DEL PATTO UK/USA

 

Del dossier "Echelon" se ne è parlato diffusamente, anche se spesso confusamente, da quando il Mondo del 20 e 27/3/98 pubblicò stralci del rapporto dello Scientific and Technological Options Assessment (STOA), Direzione generale ricerca del Parlamento Europeo. Lo STOA fa capo al Direttorato Generale della Ricerca che risiede a Strasburgo. Nel documento in questione venivano affermate cose molto gravi e cioè che tutti i fax, i messaggi di posta elettronica, anche quelli criptati, le nostre azioni quotidiane più banali come l’uso del telefono, di internet, il passaggio ai caselli autostradali, la spesa, ecc., sono, in buona parte, intercettati e inseriti in una sofisticatissima e potente banca dati computerizzata. Il tutto sarebbe possibile grazie ad una speciale capillare rete di satelliti spia e a delle basi a terra di intercettazione.

 

Le comunicazioni intercettate indiscriminatamente, qualsiasi mezzo o linea di trasmissione utilizzino, sono quantitativamente non immaginabili. Il tutto è aggravato dal fatto che, diversamente da quanto avviene con altri sistemi sofisticati di spionaggio elettronico, il sistema "Echelon" è operativo, quasi esclusivamente, nei confronti di obiettivi non militari. Tutto quanto viene intercettato è dirottato al centro strategico di Menwith Hill, nel North York Moors, Regno Unito che, in un secondo tempo, invia tutto ciò che reputa di interesse a Fort Meade nel Maryland, al National Security Agency (NSA), il servizio segreto USA di spionaggio elettronico.

 

Dal documento "Una valutazione delle tecnologie di controllo politico", tradotto da T.H.E. Walrus e consultabile al sito web http://www.tmcrew.org/privacy/STOA.htm, apprendiamo che "Il sistema fu scoperto la prima volta alla fine degli anni ’70 da un gruppo di ricercatori in UK (Campbell, 1981). Un recente lavoro di Nicky Hager, ("Decret Power", Hager, 1996) fornisce i dettagli attualmente più comprensivi su un progetto conosciuto come ECHELON. Hager ha intervistato più di 50 persone coinvolte nei servizi segreti, mettendo alla luce l’esistenza di apparecchiature di ascolto e sorveglianza diffuse attraverso tutto il globo per formare un sistema puntato su tutti i satelliti chiave Intelsat utilizzati come infrastruttura di trasmissione satellitare per comunicazioni telefoniche, Internet, posta elettronica, fax e telex. I siti di questo sistema sono di stanza a Sugar Grove e Yakima negli USA, a Waihopai in Nuova Zelanda, a Geraldton in Australia, a Hong Kong e a Morwenstow UK". Per altri interessanti ragguagli consiglio di vistare il sito web http://www.wif.net, dove vi sono, tra l’altro, ampi ed interessanti approfondimenti forniti dal super esperto di Signal e Business Intelligence ing. Giuseppe Muratori, Intelligence Head Master del W.I.F. (World Intelligence Foundation).

 

Il documento "Una valutazione delle tecnologie di controllo politico" continua spiegando che sono due i sistemi di sorveglianza: "Il Sistema UK/USA che comprende le attività di agenzie di intelligence militare come la NSA-CIA negli USA che incorpora GCHQ e M16 in UK, che operano congiuntamente un sistema conosciuto come ECHELON" l'altro è "il Sistema EU-FBI che concatena assieme varie agenzie di ordine pubblico come FBI, polizie di stato, dogane, immigrazione e sicurezza interna". Echelon opera sotto la giurisdizione del patto UK/USA, che ha una data di nascita, il 1947. UK/USA riunì Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda e più recentemente Giappone, Corea e paesi NATO. Il progetto conosciuto come ECHELON si origina da questo patto segreto che all’inizio costituiva solo un formale accordo tra agenzie inglesi e americane COMINT (Communications Intelligence). Questo concordato era denominato BR/USA.

La ricercatrice freelance e giornalista investigativa Susan Bryce, ha scritto anche che: " UK/USA è un accordo ‘a gradini’, la NSA (National Security Agency) è chiamata ‘Primo Partito’… rispetto all’accordo UK/USA… si assume l’impegno di numerose operazioni clandestine. …fu allestita senza alcuna legislazione ufficiale, non c’è nulla, legalmente, che non possa fare. …la National Security Agency può essere descritta solo come il più grande di tutti i fratelli. Lanciata segretamente dall’Amministrazione Truman il 4 Novembre 1954, oggi la NSA controlla oltre 2.000 stazioni di intercettazione elettronica, dispone di un budget di oltre 10 miliardi di dollari l’anno ed impiega più di 130.000 persone in tutto il mondo, il che la rende anche più grande della CIA (Ball, 1980, p. 33)" (Nexus. New Times Magazine, Ottobre-Novembre 1995).

Il patto UK/USA nasconde altri segreti incredibili e decisamente inaccessibili. Il progetto ECHELON, in fondo, per quanto grave possa essere, è solo una delle emanazioni di UK/USA. Basti pensare che importantissime e strategiche basi Top Secret come Nurrungar, Menwith Hill, Pine Gap, ecc. e la stessa agenzia NSA sono coordinate direttamente secondo direttive UK/USA. C’è anche da dire che lo stesso segretissimo progetto di "Guerre Stellari" fu sotto la giurisdizione dell’accordo UK/USA. La General Electric e la Marconi, veri e propri leader nel settore, sono stati fornitori di alta e vitale tecnologia a diverse iniziative targate UK/USA. Attorno al progetto "Guerre Stellari", noto anche come Strategic Defense Initiative (SDI), si verificarono strane morti di scienziati. Incredibili suicidi iniziati nel 1982 e continuati sino al 1990. Gli scienziati coinvolti lavoravano per la General Electric Company di Londra ed erano insediati in due grandi ditte: la Plessey e la Marconi. Venticinque di questi sono deceduti in circostanze alquanto misteriose, molti di loro "suicidi" nel modo più strano e grottesco.

Un oceano di misteri, insomma, che si infittiscono sempre di più. Stranissime morti, sistemi di spionaggio satellitare e armi segrete e spaventose, congiure del silenzio e molto altro ancora sono la parte profonda dell’iceberg che affiora, solo impercettibilmente, da un mare di segreti. Invenzioni da apprendisti stregoni ci vengono tenute nascoste assieme ad altre micidiali scoperte. La ricercatrice Susan Bryce scrive, al riguardo, cose sconvolgenti. Ci informa di una riunione particolare e molto importante dove, tra l’altro, si discusse: "l’uso di infrasuoni per distruggere navi, tramite la creazione di campi acustici sul mare, e lo scagliare nel mare un grosso pezzo di roccia usando un economico dispositivo nucleare (il maremoto che ne risulterebbe potrebbe demolire la linea costiera di un paese). Altri maremoti potrebbero ottenersi detonando armi nucleari ai poli ghiacciati. Alluvioni controllate, uragani, terremoti e siccità indirizzate verso bersagli specifici e città, sono pure stati argomento di discussione. Ci sono speculazioni sul fatto che le basi statunitensi siano pesantemente implicate in ricerche concernenti molte di queste ‘nuove idee per la guerra’, come pure esperimenti con la griglia mondiale" (Nexus. New Times Magazine, cit.). Uno scenario da brivido insomma. Quali terribili e inconfessabili segreti cela il patto UK/USA?

 

Giuseppe Cosco

linus.tre@iol.it

vendredi, 23 avril 2010

LEAP: les finances des USA et du Royaume-Uni en grand danger dès 2010

LEAP : les finances des USA et du Royaume-Uni en grand danger dès 2010

Communiqué public du Laboratoire Européen d’Anticipation Politique (LEAP), 15 avril 2010

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Comme l’avait anticipé le LEAP – Europe 2020, il y a déjà plusieurs mois, et contrairement à ce qu’ont raconté la plupart des médias et des « experts » au cours des dernières semaines, la Grèce a bien l’Eurozone pour lui apporter soutien et crédibilité (notamment en matière de future bonne gestion, seule garante d’une sortie du cycle infernal des déficits publics croissants) (1). Il n’y aura donc pas de cessation de paiement grecque, même si l’agitation autour de la situation grecque est bien l’indicateur d’une prise de conscience croissante que l’argent est de plus en plus difficile à trouver pour financer l’immense endettement public occidental : un processus désormais « insoutenable », comme le souligne un récent rapport de la Banque des Règlements Internationaux.

Le bruit fait autour de la Grèce par les médias, anglais et américains en particulier, aura tenté de cacher à la plupart des acteurs économiques, financiers et politiques, le fait que le problème grec n’était pas le signe d’une prochaine crise de la zone Euro (2) mais, en fait, un indice avancé du prochain grand choc de la crise systémique globale, à savoir la collision entre, d’une part, la virtualité des économies britannique et américaine fondées sur un endettement public et privé insoutenable et, d’autre part, le double mur de la maturité des emprunts venant à échéance à partir de 2011, cumulée à la pénurie globale de fonds disponibles pour se refinancer à bon marché.

Comme nous l’avons expliqué dès Février 2006, lors de notre anticipation sur son imminence, il ne faut pas oublier que la crise actuelle trouve son origine dans l’effondrement de l’ordre mondial créé après 1945, dont les Etats-Unis ont été le pilier, secondé par le Royaume-Uni.

Aussi, pour comprendre la portée réelle des évènements générés par la crise (comme le cas grec par exemple), il convient de rapporter leur signification aux faiblesses structurelles qui caractérisent le cœur du système mondial en pleine déliquescence : ainsi, pour notre équipe, le « doigt grec » ne montre pas tant l’Eurozone que les dangers explosifs des besoins exponentiels de financement du Royaume-Uni et des Etats-Unis (3).

Prévision des émissions de dette souveraine en 2010 (Total : 4.500 milliards de dollars) - Sources : FMI / Hayman Advisors / Comcast, mars 2010

Rappelons-nous qu’au cours d’une période où la demande de financements dépasse l’offre disponible, comme c’est le cas aujourd’hui, les montants d’émission de dettes souveraines en valeur absolue jouent un rôle plus important que les ratios (montants en valeur relative).

Un exemple très simple peut le démontrer : si vous disposez de 100 euros et que vous avez deux amis, l’un « pauvre », A, qui a besoin de 30 Euros et l’autre « riche », B, de 200 Euros ; même si B peut vous donner en gage sa montre de luxe qui vaut 1.000 Euros alors que A n’a qu’une montre à 20 euros, vous ne pourrez pas aider B car vous ne disposez pas des moyens suffisants pour satisfaire son besoin de financement ; alors qu’en discutant gage et intérêt, vous pouvez décider de le faire pour A.

Cette mise en perspective invalide ainsi tout les raisonnements qui fleurissent dans la plupart des médias spécialisés et qui se fondent sur le ratio d’endettement : en fait, selon leur raisonnement, il est évident que vous allez aider B, puisque son taux d’endettement est nettement plus favorable (20%) que celui de A (150%) ; mais, dans le monde de la crise, où l’argent n’est pas disponible en quantités illimitées (4), la théorie se heurte au mur de réalité : vouloir est une chose, pouvoir en est une autre.

Ainsi, le LEAP – Europe 2020 pose deux questions très simples :

. Qui pourra/voudra soutenir le Royaume-Uni après le 6 mai prochain, quand son désordre politique exposera inéluctablement la déliquescence avancée de tous ses paramètres budgétaires, économiques et financiers ?

La situation financière du pays est tellement dangereuse que les technocrates en charge de l’Etat ont élaboré un plan, soumis aux partis en lice pour les prochaines élections législatives, afin d’éviter tout risque de vacance du pouvoir qui pourrait entraîner un effondrement de la Livre sterling (déjà très affaiblie) et des bons du Trésor (Gilts) britanniques (dont la Banque d’Angleterre a racheté 70% des émissions de ces derniers mois) : Gordon Brown resterait Premier Ministre, même s’il perd les élections (sauf si les Conservateurs peuvent se targuer d’une majorité suffisante pour gouverner seuls) (5).

En effet, sur fond de crise économique et politique, les sondages laissent penser que le pays s’oriente vers un « Hung Parliament », sans majorité claire. La dernière fois où cela est arrivé, c’était en 1974, sorte de préalable politique à l’intervention du FMI dix-huit mois plus tard (6).

Pour le reste, le gouvernement manipule les indicateurs dans un sens positif, afin de créer les conditions d’une victoire (ou d’une défaite maîtrisée).

Pourtant, la réalité reste déprimante. Ainsi, l’immobilier britannique est piégé dans une dépression qui empêchera les prix de retrouver leurs niveaux de 2007 avant plusieurs générations (autant dire jamais) selon Lombard Street Research (7). Et les trois partis se préparent à affronter une situation post-électorale catastrophique (8).

Selon le LEAP – Europe 2020, le Royaume-Uni pourrait connaître une situation « à la grecque » (9), avec la déclaration par les dirigeants britanniques qu’en fait, la situation du pays est infiniment pire qu’annoncée avant les élections.

Les rencontres multiples, fin 2009, du ministre britannique des finances, Alistair Darling, avec Goldman Sachs, constituent un indice très fiable de manipulation, en matière de dette souveraine. En effet, comme nous l’écrivions dans [notre] dernier [numéro], il suffit de suivre Goldman Sachs pour connaître le prochain risque de cessation de paiement d’un Etat.

Besoins de financement du gouvernement fédéral US, 2010-2014 (en milliers de milliards de dollars) – En foncé : le déficit fédéral. En clair : la dette arrivant à maturité (les futurs emprunts à court terme ne sont pas comptabilisés) (10)

. Qui pourra/voudra soutenir les Etats-Unis une fois que le détonateur britannique (11) aura été mis à feu, déclenchant la panique sur le marché des dettes souveraines dont les Etats-Unis sont de très loin le premier émetteur ? D’autant plus que l’ampleur des besoins en matière de dette souveraine se conjugue à l’arrivée à échéance, à partir de cette année, d’une montagne de dettes privées américaines (immobilier commercial et LBO à refinancer, pour un total de 4.200 milliards de dollars de dettes privées arrivant à échéance aux Etats-Unis d’ici 2014, avec une moyenne d’environ 1.000 milliards USD/an) (12).

 

Par hasard, c’est le même montant que l’émission globale de nouvelles dettes souveraines pour la seule année 2010, dont près de la moitié par le gouvernement fédéral américain. En y ajoutant les besoins de financement des autres acteurs économiques (ménages, entreprises, collectivités locales), c’est donc près de 5.000 milliards de dollars que les Etats-Unis vont devoir trouver en 2010 pour éviter la « panne sèche ».

Et notre équipe anticipe deux réponses tout aussi simples :

. Pour le Royaume-Uni, le FMI et l’UE peut-être (13) ; et nous allons assister à partir de l’été 2010 à la « bataille de la Banque d’Angleterre » (14) pour tenter d’éviter un effondrement simultané de la Livre sterling et des finances publiques britanniques.

Dans tous les cas, la Livre n’en sortira pas indemne et la crise des finances publiques va générer un plan d’austérité d’une ampleur sans précédent.

. Pour les Etats-Unis, personne ; car l’ampleur des besoins de financement dépassera les capacités des autres opérateurs (FMI compris) (15), et cet épisode entraînera directement, à l’hiver 2010/2011, l’explosion de la bulle des bons du Trésor US, sur fond de remontée massive des taux d’intérêts pour financer les dettes souveraines et les besoins de refinancement des dettes privées, entraînant une nouvelle vague de faillites d’établissements financiers.

Mais il n’y a pas que les Etats qui peuvent entrer en cessation de paiement. Une Banque centrale peut aussi faire faillite quand son bilan est composé d’ « actifs-fantômes » (16) et la Fed va devoir faire face à un risque réel de faillite, comme nous l’analysons dans ce numéro.

L’hiver 2010 va également être le théâtre d’un autre phénomène déstabilisateur aux Etats-Unis : le premier grand test électoral depuis le début de la crise (17), où des millions d’Américains vont probablement exprimer leur « ras-le-bol » d’une crise qui dure (18), qui n’affecte pas Washington et Wall Street (19) et qui génère un endettement public américain désormais contre-productif : un Dollar emprunté génère désormais une moins-value de 40 cents (voir graphique ci-dessous).

Evolution de la productivité marginale de la dette au sein de l'économie américaine, en dollars (ratio PIB/Dette 1966-2010) - Source : EconomicEdge, mars 2010 (cliquez sur le graphique pour l'agrandir)

On peut ne pas être d’accord avec les réponses que fournit notre équipe aux deux questions posées ci-dessus.

Cependant, nous sommes convaincus que ces questions sont incontournables : aucune analyse, aucune théorie sur l’évolution mondiale des prochains trimestres n’est crédible, si elle n’apporte pas de réponses claires à ces deux interrogations : « qui pourra/voudra ? ».

De notre côté, nous pensons comme Zhu Min, le gouverneur adjoint de la banque centrale chinoise, que « le monde n’a pas assez d’argent pour acheter encore plus de bons du Trésor américains » (20).

Dans ce [numéro], notre équipe a donc décidé de faire le point sur ces risques majeurs pesant sur le Royaume-Uni et les Etats-Unis et d’anticiper les évolutions des prochains mois, dans le contexte croissant d’une « guerre de velours » entre puissances occidentales (guerre financière, monétaire, commerciale). Et nous dévoilons une série de recommandations pour faire face au double choc des besoins de financement britanniques et américains.

———-
Notes :
(1) C’est le type de contrainte que le Royaume-Uni va devoir s’imposer tout seul après les prochaines élections, ou bien via une intervention directe du FMI ; et que les Etats-Unis sont incapables de s’imposer, sans qu’une crise majeure affecte leur dette publique.

(2) Non seulement la peur diffusée à longueur d’interviews d’experts était sans fondement, mais en plus le cas grec a bien servi à pousser la zone Euro à se doter des instruments et procédures qui lui manquaient en matière de gouvernance. Et nous ne mentionnons même pas l’évidente frustration de nombreux commentateurs et experts qui auraient rêvé de voir l’Allemagne refuser sa solidarité et/ou qui faisaient du cas grec la preuve de leurs théories économiques sur les zones monétaires. A ce sujet, l’équipe du LEAP – Europe 2020 souhaite rappeler son opinion : les théories économiques, que ce soit sur les zones monétaires ou sur d’autres sujets, ont autant de valeur que les horoscopes. Elles ne disent rien sur la réalité, mais tout sur l’esprit de leurs auteurs et de ceux qu’ils « ciblent » avec leurs analyses. Une zone monétaire n’existe et ne dure que s’il y a une volonté politique forte et pérenne de partager un destin commun : ce qui est le cas de l’Eurozone. Pour le comprendre, il faut s’intéresser à l’Histoire et non pas à l’économie. Ainsi, pour éviter de répéter à longueur d’articles ses préjugés de baby-boomer et ses dogmes théoriques, un prix Nobel d’économie comme Paul Krugman ferait mieux d’étudier l’Histoire. Cela permettrait aux lecteurs du New York Times et des nombreuses autres publications qui le reprennent dans le monde entier, de cesser de se focaliser à tort sur les quelques arbres qui cachent la forêt.

(3) Comme nous l’avons souvent rappelé depuis plus d’un an, il est bien évident que la zone Euro possède aussi des pays qui font face à des besoins de financement très importants et cela contribue justement à créer un environnement difficile pour le refinancement de toute dette publique importante. Or, les deux « champions » toutes catégories, en matière de besoins de financement/refinancement, sont les Etats-Unis et le Royaume-Uni.

(4) Nous insistons sur ce fait essentiel : les sauvetages de banques par les Etats, puis désormais les risques de faillite de ces mêmes Etats, illustrent le fait que, contrairement au discours lénifiant qui peuple les médias, l’argent n’est pas disponible en quantités illimitées. Quand tout le monde en a besoin, c’est à ce moment là qu’on s’en rend compte.

(5) Source : Guardian, 30 mars 2010

(6) Source : BBC / National Archives, 29 décembre 2005

(7) Source : Telegraph, 06 avril 2010

(8) Source : The Independent, 06 avril 2010

(9) C’est après leur victoire électorale que les nouveaux dirigeants grecs ont déclaré que la situation budgétaire du pays était beaucoup plus mauvaise qu’annoncée.

(10) Ces estimations sont fondées sur les anticipations officielles du gouvernement fédéral qui, selon le LEAP – Europe 2020, sont beaucoup trop optimistes, tant en matière de rentrées fiscales (les rentrées seront plus faibles) qu’en ce qui concerne les dépenses de stimulation de l’économie US (les dépenses seront plus élevées).

(11) Depuis 2006, à travers de nombreux [numéros], nous avons largement explicité les liens structurels entre la City et Wall Street et le rôle de « flotteur » que joue le Royaume-Uni par rapport au vaisseau américain. En l’occurrence, la défiance vis-à-vis de la dette de Londres déclenchera de manière irréversible une défiance vis-à-vis de Washington.

(12) Source : Brisbane Times, 15 décembre 2009

(13) Peut-être, car il n’y a aucun mécanisme de solidarité financière qui s’impose dans l’UE, surtout pour un pays qui refuse depuis des décennies tout engagement contraignant avec ses partenaires européens. Le « splendide isolement » peut devenir un terrible piège, quand le vent tourne. Reste donc le FMI … dont Gordon Brown était étrangement si préoccupé de remplir à nouveau les caisses l’année dernière !

(14) Et à la différence de la bataille d’Angleterre (juin 1940 – octobre 1940), qui vit les pilotes de la RAF, assistés du radar, empêcher l’invasion nazie des îles britanniques, les « pilotes » des établissements financiers de la City, assistés de l’Internet, contribueront à aggraver le problème en fuyant vers l’Asie et l’Eurozone.

(15) Le LEAP – Europe 2020 avait indiqué début 2009 qu’une fois passé l’été 2009, il serait impossible de canaliser la crise. L’année dernière, les besoins de financement US étaient encore dans la gamme des interventions possibles d’un FMI recapitalisé à hauteur de 500 milliards de dollars (suite au G-20 de Londres). Outre le fait que cette somme n’est plus disponible dans son intégralité, puisque le FMI a dû déjà débourser plus de 100 milliards de dollars d’aide aux pays les plus gravement touchés par la crise, cette année, la mobilisation de ce montant ne représenterait que 10% des besoins de court terme des Etats-Unis ; autant dire, une goutte d’eau.

(16) Comme l’ont démontré les informations enfin communiquées par la Fed sur l’état de son bilan. Sources : Huffington Post, 22 mars 2010 ; Le Monde, 06 avril 2010

(17) L’élection présidentielle de 2008 a été concomitante avec la perception qu’une crise commençait. En novembre 2010, les électeurs exprimeront leurs opinions après deux pleines années de crise. C’est une grande différence.

(18) A la différence de ce que proclament Wall Street et Washington, la crise est toujours là et les PME américaines sont de plus en plus pessimistes. Un détail très utile pour comprendre les statistiques US : elles ignorent généralement les PME dans l’établissement de leurs différents indicateurs. Quand on sait qu’aux Etats-Unis aussi, les PME constituent le socle de l’économie, cela relativise fortement la valeur de ces statistiques (même non manipulées). Source : MarketWatch, 13 avril 2010

(19) Pour évaluer l’ampleur du problème socio-politique américain, ce n’est pas tant le rapport de force Démocrates/Républicains qui va être intéressant à suivre, mais l’évolution des extrêmes au sein de ces deux partis et le développement de tout ce qui se situe hors des deux partis.

(20) Source : Shanghai Daily, 18 décembre 2009

LEAP – Europe 2020

(Merci à SPOILER)

mercredi, 21 avril 2010

Dîner-Débat: Geen oorlog! Stop USA-Imperialisme!

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Diner-debat : Geen oorlog! Stop USA-imperialisme!

[ENGLISH UNDERNEATH]

We stellen vast dat de VS de laatste jaren meer en meer interventies plegen : gemiddeld om de 16 maanden. Het Amerikaans militair-industrieel complex, de Angel-Saksische economie en de internationale bankiers willen wereldwijd zoveel mogelijk grondstoffen in hun handen krijgen. Daarom overwegen ze als volgend land Iran aan te pakken. Bush vertelde ooit openlijk dat indien er oorlog met Iran komt, deze wel een nucleair zou kunnen zijn. Gezien de militaire en maatschappelijke moeilijkheden de VS-troepen vandaag ondervinden in Irak en Afghanistan is het niet moeilijk te voorspellen dat de VS-troepen wel eens heel veel lijkzakken naar het Iraanse front zouden moeten meenemen. De nucleaire optie is voor de VS de zo goed als enige om een vlotte overwinning te behalen. Daarom zijn de VS en Israël zo furieus dat Iran met zijn kernenergie – ooit geleverd door hetzelfde Westen ! – wel eens iets anders zou kunnen doen dan 220 volt opwekken. Israël wil namelijk de enige nucleaire mogendheid in het Midden-Oosten zijn.

Het N-SA stelt duidelijk dat wij Vlamingen recht hebben op een vreedzaam en gelukkig leven in eigen land met behoud van onze waarden en tradities. Het N-SA stelt duidelijk dat alle volkeren ter wereld ditzelfde recht  hebbben. Ook het Iraanse volk heeft recht op een vredig bestaan. Het Palestijnse volk toont ons dagelijks wat het is om onder een dictatoriale bezetter te leven. Het Amerikaanse en het Israëische leger mogen ongehinderd door enig verbod of resolutie vrij mensen vermoorden. Dat zich tussen de slachtoffers ook vrouwen en kinderen bevinden, deert hun niet.

Het N-SA stelt dat onze troepen niet mogen meedoen aan het vermoorden van mensen die in wezen vreedzaam in eigen land willen leven. Wij dulden niet dat iemand zich met onze cultuur en andere binnenlandse aangelegenheden bemoeit en vinden het aldus logisch dat het internationale grootkapitaal zich niet hoeft te bemoeien met de binnenlandse aangelegenheden van andere volkeren waar ter wereld. Onze troepen zouden in principe werk genoeg hebben met het bewaren van de orde in onze Vlaamse steden. Onze troepen moeten niet in Afghanistan of (in geval van oorlog) in Iran ingezet worden, maar in eigen land.

Weg met de NAVO, weg met de EU, weg met het VS-imperialisme, weg met het zionisme !

Geen oorlog ! Vrede nu !

Kris Roman

N-SA coördinator Buitenlandse Contacten

N-SA coördinator geopolitieke denktank "Euro-Rus"

 

Sprekers : 

Dr. Tomislav Sunic (Voormalig Diplomaat Kroatië)

Eddy Hermy (N-SA)

Kris Roman (N-SA)

Rien Vandenberghe (KVHV)

Peter Verheyen (NSV)

Erik Langerock (Kasper)

Datum : 24 april 2010

Deuren : open om 19u00

Prijs : 20€

Maaltijd : soep - warm en koud Breughelbuffet  naar believen - koffie/thee

Nette kledij vereist.

Op voorhand inschrijven door 20€ te storten op rekeningnummer 738-0146444-93 van het N-SA met vermelding "diner-debat" en aantal personen.

Gelieve om organisatorische redenen bij betaling een mailtje te sturen naar : dinerdebat@n-sa.be Dit emailadres is beveiligd tegen spambots, u heeft javascript nodig om het te kunnen bekijken

Inschrijvingen aanvaard tot een kleine week voor aanvang. Plaatsen zeer beperkt!

Wie vegetarisch wenst te eten : gelieve op voorhand te melden: dinerdebat@n-sa.be Dit emailadres is beveiligd tegen spambots, u heeft javascript nodig om het te kunnen bekijken

Info : 

0032 (0) 479/585781




dinerdebaten.jpg[ENGLISH]

The United States have been a warring nation since its modern founding. It is a known given, the US-economy can't survive without perpetual war. It is a known fact, foreign support troops are frequently pulled along. This isn't new. At one time, Romans and Huns set the example.

We observe an increasing amount of US-interventions over the past years: 16 months on average. The American military-industrial complex, the Anglo-Saxon economy and international finance are out to acquire a maximum amount of resources. Iran, you're next on the list. Bush once openly declared, if a war with Iran would ever take place, it would be a nuclear war. Considering the military and societal difficulties the US-troops experience today in Afghanistan and Iraq, it doesn't take much thinking what amount of body bags would be necessary for an Iranian front. The nuclear option is the only way the USA can attain a smooth victory in such a conflict. No wonder the USA and Israel are furious about the possibility Iran would do something else with its nuclear power than produce 220 volts AC. Nuclear power once given to them by the West, by the way. Israel is hell bound to staying the only nuclear force in the Middle East.

The N-SA is clear about the right for the Flemish to lead peaceful and happy lives in their own region, safeguarding their values and traditions. The N-SA is also clear this right is not an  exclusive, but applicable to all people of the world. The Iranians too have the right to a peaceful existence. The Palestinians are living proof of how it can be like to live under dictatorial occupation. The American and Israeli army have a license to kill, unrestricted by any sort of international treaty. Whether women and children fall victim to collateral damage is of no importance.

The N-SA states our troops should not engage in the killing of people who seek to live peaceful lives in their own region. We do not tolerate interference in our cultural and other domestic affairs and we find it goes without saying domestic affairs of any nation should not be hindered by the interests of international finance. There is enough we can put our troops to use for in our own nation. There is no reason to deploy our troops in Afghanistan or (should the day ever come) Iran. It is time to end the dictate.

No more NATO, no more EU, no more US-imperialism, no more Zionism.

No to war! Peace now!


Kris Roman
Coordinator N-SA Foreign Relations
Coordinator N-SA Geopolitical Thinktank "Euro-Rus"
 

Guest orators:

Dr. Tomislav Sunic (Former Croatian Diplomat)

Eddy Hermy (N-SA)

Kris Roman (N-SA)

Rien Vandenberghe (KVHV)

Peter Verheyen (NSV)

Erik Langerock (Kasper)

 

Date: April 24th 2010

Doors: open at 19h00

Price: € 20

Dinner: soup (entrance) - Brueghelesque buffet of traditional warm and cold dishes - coffee/tea

Casual dress code

Register in advance by deposit of € 20 on the following account:

IBAN: BE98 7380 1464 4493

BIC: KREDBEBB

Please send a registration confirmation to
dinerdebate@n-sa.be Dit emailadres is beveiligd tegen spambots, u heeft javascript nodig om het te kunnen bekijken

Registrations accepted until a small week in advance. Places very limited!

Vegetarians and people with specific allergies, please state so in advance at:
dinerdebat@n-sa.be Dit emailadres is beveiligd tegen spambots, u heeft javascript nodig om het te kunnen bekijken

Info :

0032 (0) 479/585781


 

mardi, 20 avril 2010

Stati Uniti d'America - Dittatura imperfetta

Stati Uniti d’America. Dittatura imperfetta

di Fabrizio Fiorini


Fonte: mirorenzaglia [scheda fonte]


Avvicinarsi alla critica radicale al modello americano e al nefasto ordinamento politico, economico e culturale di cui gli Stati Uniti d’America si fanno portatori, implica il confronto con la natura stessa e con le peculiarità antropologiche dell’uomo americano.

Quindi con la sua (non)storia e col suo carattere, indissolubilmente legati alle vicende che hanno portato alla nascita e al rafforzamento degli Stati Uniti, alla loro affermazione come modello (putativamente) unico di riferimento su scala planetaria fondato sul paradosso storico secondo cui diviene eterno e immutabile uno schema politico e istituzionale nato solo con la modernità e con le sue ricadute violente e implicanti la cancellazione di millenni di storia della civiltà umana.

Che tale critica provenga da limitanti e castranti modelli pacifisti, pittoreschi nella loro policromia e miopi nelle loro velleità “riformiste” secondo cui la mera e semplicistica affermazione della pace universale tra i popoli possa ergersi a bastione dell’antiamericanismo, oppure sia inserita nei maturi schemi politici della dottrina socialista, identitaria e di rinascita della sovranità delle nazioni della Terra oppresse dalla violenta azione politica degli stessi Stati Uniti, tale critica, dicevamo, deve necessariamente fare i conti con il chiarimento di tre equivoci in cui il pensiero (forte o debole che sia) antiamericano tende a perdersi e a perdere quindi di spinta propulsiva.

Primo equivoco, o “equivoco di Obama e le begonie”. Le strutture di informazione e di propaganda di tutti gli Stati tirannici della storia mondiale si sono sempre prodigate nel tentativo di plasmare un’immagine “umana” delle oligarchie che questi Stati hanno retto o reggono. I satrapi d’ogni sorta hanno amato farsi ritrarre tra folle di bambini, o mentre fanno l’elemosina a un povero, o mentre scherzano affettuosamente col personale alle proprie dipendenze. Gli Stati Uniti d’America hanno esasperato questa tendenza fino al parossismo, vuoi per l’incomparabile potenza e pervasività degli organi informativo-propagandistici su cui possono fare affidamento, vuoi per la necessità di tutelare l’altrimenti improbabile immagine di “più grande democrazia della Terra” che con rivoltante sfrontatezza perseverano a voler proporre di essi stessi. Per chi sa ben vedere, però, sono vecchi e collaudati trucchi, anzi: precise direttive impartite alla cinematografia, alla produzione culturale, alla stampa e all’informazione in genere; l’immagine che deve passare è semplice e terrificante: come può un presidente che al mattino accudisce affettuosamente il suo cane, al pomeriggio ordinare un bombardamento col napalm? Come può un presidente – mulatto, nobel e veltroniano, per giunta – ordinare un offensiva campale a sessantamila soldati nel cuore dell’Asia, quando poco prima era nel suo giardino ad annaffiare le begonie? Può sembrare assurdo, ma questi trucchetti da imbonitore da tre soldi funzionano; milioni di persone in tutto il mondo ci credono e il messaggio passa, passa la menzogna secondo cui gli Stati Uniti non siano una dittatura[1], vivano felici e liberi, siano governati da signori della porta accanto. Agli Stati Uniti, quindi, il subcosciente dell’uomo occidentale tutto concede, perché – in fondo in fondo – sono buoni uomini; noi europei invece no, e abbiamo bisogno della loro tutela: non siamo mica gli americani, diceva il poeta.

Secondo equivoco, o “equivoco delle mele marce”. A ulteriore tutela della sua immagine buona che la potenza nordamericana vuole consolidare, vengono talvolta inscenate delle farse, il cui copione vuole dimostrare che anche loro, come tutti gli uomini possono sbagliare. Ma gli errori vengono immediatamente individuati, circoscritti e corretti. Il presidente “giovane e dinamico” di cui viene scoperta una relazione boccaccesca con la sua segretaria, che chiede responsabilmente scusa e si addossa le conseguenze delle proprie azioni ne è un esempio. Oppure i processi intentati ai militari che si macchiano di condotta scorretta o immorale. Esempio ben più drammatico quello relativo ai casi di tortura emersi nel corso delle indagini sui campi di sterminio (questi sì…)  di Guantanamo e di Abu Ghraib. Il governo degli Stati Uniti e il suo apparato militare si rendono responsabili quotidianamente e in misura massiccia dell’uccisione e della tortura di migliaia di prigionieri in tutto il mondo, e i luoghi segreti in cui esercitare questa vergognosa arte non gli difettano. Mentre leggete questo articolo, centinaia di uomini sono nelle mani dei loro carnefici. Né mancano loro i metodi per far passare tutto sotto silenzio. Eppure questi casi sono venuti alla luce. Ciò ha avuto una doppia funzione: dare la colpa alle solite “mele marce”, celando il fatto che marcio è tutto l’albero della loro stirpe e avvalorando la teoria per cui gli Stati Uniti non avallano tali sistemi, sanzionandoli qualora avessero a verificarsi. Inoltre, con questa fuga controllata di notizie, hanno terrorizzato a morte i loro oppositori in tutto il mondo, facendo velatamente intendere di cosa possono essere capaci.

Terzo equivoco, o “equivoco dell’oligarchia autoreferenziale”. Anche i più duri critici del sistema americano, talvolta, sono convinti che le guerre, le predazioni e la violenza scatenata dagli Usa sia funzionale al mantenimento di un adeguato standard di benessere per il popolo americano. Niente di più sbagliato. L’oligarchia militare e finanziaria al potere a Washington non si cura affatto del suo popolino, non si cura più neanche di conferire loro qualche contentino: il loro unico pensiero è quello della propria autoconservazione, al di sopra delle reali condizioni della popolazione statunitense il cui benessere non è più funzionale – essendosi affinati i mezzi di propaganda – alla divulgazione nel mondo della visione posticcia della nazione libera e felice. La povertà e la criminalità raggiungono livelli devastanti; intere aree del Paese sono state relegate a ghetti in cui ci si uccide per la sopravvivenza; l’analfabetismo sta superando il già elevatissimo tasso registrato durante la guerra fredda; la disoccupazione si attesta su livelli che comportano vere proprie mutazioni sociali (è notizia di questi giorni che un terzo della città di Detroit verrà demolita a causa dello spopolamento conseguente la crisi dell’industria dell’auto); le forze armate versano nella crisi più profonda, e la demoralizzazione delle truppe è tale da dover fare sempre più affidamento su rincalzi mercenari; le malattie della psiche e la depressione si configurano come vere pandemie, cui si fa maldestramente fronte con una massiccia diffusione di psicofarmaci. I lavoratori, anche quelli inseriti negli organici delle strutture di potere, non godono di alcun diritto, vivono nell’ansia del loro futuro e subiscono quotidiane vessazioni.

E’ notizia recente che il generale David Barno, comandante delle truppe americane in Afghanistan tra il 2003 e il 2005 e direttore del Nesa (Near east south Asia center for strategic studies), importante diramazione del ministero della difesa che – dietro la missione di copertura di “favorire il dialogo e lo scambio tra culture” – funge da centro decisionale di guerra psicologica, oltre ad essersi fraudolentemente impossessato di cospicui fondi pubblici aveva allestito una vera e propria struttura di sfruttamento dei dipendenti a lui sottoposti, ricattandoli sotto minaccia di licenziamento, minacciandoli in vario modo e scoraggiando ogni sorta di loro tentativo di reale avvicinamento al ruolo ufficiale e “pacifico” che tale struttura rivestiva. Il potere americano applica quindi, a casa propria, né più né meno che lo stesso sistema di sfruttamento che esporta in giro per il mondo. Perché è questa la sua natura, è questo il fondamento da cui trae potere e grazie al quale si conserva.

Una dittatura imperfetta, gli Stati Uniti d’America. Che dalle dittature del passato non hanno neanche saputo apprendere la scaltrezza del garantire alla propria nomenklatura un “rientro” in termini di vantaggi. Che non ha neanche il pudore del silenzio sulle sue malefatte. Che adotta la mistificazione e la violenza non solo come mezzi di sottomissione degli altri popoli, ma come pietre angolari della sua stessa struttura di potere. La cui oligarchia, nascosta dietro i volti sorridenti dei politicanti, è pronta anche a manovre suicide pur di tutelare il potere del suo modello fissato negli inferi: il denaro.

Avevano quindi ragione gli iraniani che – non difettando loro il pregio della chiarezza e della sintesi – li hanno definiti infantili. Ma neanche questo è sufficiente: agli infanti il genere umano si sforza di garantire un avvenire. Agli Stati Uniti d’America garantirà solo disprezzo, resistenza, oblio.


 


Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it



[1] E’ illuminante il fatto che la vera natura degli Usa assomigli spaventosamente all’immagine che la loro propaganda dava dell’Unione Sovietica: informazione controllata, mancanza di libertà individuali, classe politica cinica che tuttavia si ammanta di umanitarismo.

lundi, 19 avril 2010

De la société secrète "Skull & Bones" au nouvel ordre mondial

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2003

De la Société secrète “Skull and Bones” au nouvel ordre mondial

Entretien avec Maurizio BLONDET

Propos recueillis par Giuseppe COSCO

 

illconfsnb322.jpgCOSCO: Docteur Blondet, vous vous êtes penché sur l’histoire de la “Société Skull and Bones”. Que pouvez-vous nous en dire, outre qu’elle est une société secrète mystérieuse, mais à nulle autre pareille?

 

BLONDET: C’est une société secrète, au départ réservée aux étudiants.Elle a  été fondée en 1832, quand quelques étudiants de l’Université de Yale, l’une des principales universités américaines, ont été choisis par, disons, le patriciat américain. Ils  étaient au nombre de douze par an. Il est notoire que Georges Bush Senior, l’ancien président des Etats-Unis, en a fait partie, et, avant lui, son père, et, après lui, tout naturellement, son fils, pour autant que l’on puisse admettre que ce fiston soit capable de suivre des cours à Yale, ce que l’on peut mettre en doute. Le candidat républicain à la présidence n’en a pas la capacité, à mon sens [l’interview date d’avant l’élection  de Bush Junior, ndlr]. Mais on peut affirmer avec quelque certitude qu’il fait partie de cette secte, non au sens strict; indubitablement , il est issu de ce milieu. La famille Bush est ensuite très proche des banquiers Harriman, qui constituent l’un des groupes les plus puissants de l’établissement américain.

 

COSCO: Peut-on dire que la Skull and Bones a investi aussi la CIA, car Bush-le-Père, c’est bien connu, a été le directeur de cette institution?

 

BLONDET: Il n’y a évidemment pas d’identité entre la Skull and Bones et la CIA. Les choses ne sont pas aussi simples. Mais il est vrai que plusieurs directeurs de  la CIA ont été membres de la Skull and Bones. En général, l’objectif d’une société de ce type est de constituer des groupes d’hommes du même âge, mais aussi des groupes intergénérationnels qui s’aident selon les circonstances. C’est l’évidence! Il faut aussi savoir que l’idéologie de la confraternité se place au-delà de la gauche et de la droite. La “droite” et la “gauche” sont, pour eux, des éléments d’une dialectique, qu’ils entendent surplombercar ils s’estiment supérieurs. La Skull and Bones représente un groupe de gnostiques qui veulent, très spécifiquement, s’adonner à toutes les manœuvres politiques, tant et si bien qu’ils utilisent tantôt l’idéologie attribuée à la “droite”, tantôt celle attribuée à la “gauche” comme  de simples étiquettes. Ces personnes se placent de toute façon au-dessus de ces distinctions. Ce n’est pas un hasard, par exemple, que Harriman fut le banquier que l’on nomma ambassadeur des Etats-Unis en Union Soviétique, afin qu’il puisse offrir une aide très importante à Staline et à son régime, alors qu’ils s’est toujours proclamé anti-communiste. Il faisait partie de cette brochette de banquiers, dont on ne se souvient plus aujourd’hui, qui ont toujours soutenu le système soviétique, jusque et y compris sous Gorbatchev.

 

COSCO: Pour être admis dans la Société Skull and Bones, faut-il être citoyen américain ou bien des personnalités issues d’autres nations y sont-elles admises aussi?

 

BLONDET: Je ne sais pas. L’unique source sûre sur cette société secrète est un livre paru il y a quelques années. Je n’ai pas connaissance d’autres travaux ou ouvrages. C’est l’historien Anthony C. Sutton qui a abordé l’histoire de cette fraternité si puissante : cf. Anthony C. Sutton, America’s Secret Establishment – An Introduction to The Order of Skull & Bones, by Anthony Sutton" (Liberty House Press, Billings, Montana - 1986). Il me paraît toutefois improbable que des non Américains en fassent partie. Peut-être que quelques Britanniques en sont membres,  mais certainement pas des Mexicains ou des Italiens, par exemple.

 

COSCO: L’histoire de la secte des “British Israelites” a-t-elle quelque chose à voir avec la Société Skull and Bones?

 

BLONDET: Pour autant que je le sache, les British Israelites ne sont pas directement liés à la Skull and Bones.

 

COSCO: La Skull and Bones est suspectée, depuis la  fin du 19ième siècle, de pratiquer le satanisme. Est-ce vraisemblable selon vous?

 

BLONDET: On peut, sans plus, le  suspecter. On sait simplement qu’il existe un rituel utilisant des ossements, ceux, dit-on, du chef amérindien Geronimo, que possèderait le groupe. Ces ossements serait conservés dans une salle à Yale, inaccessible au commun des mortels, où se déroule chaque année le rituel de l’initiation. Le rite est incontestablement d’origine maçonnique, comme l’atteste son style, où le postulant se retrouve dans un cercueil, afin de perpétrer un rituel de mort et de renaissance symboliques. Ensuite, le postulant doit révéler des choses dont il a honte et en parler normalement; il s’agit pour l’essentiel de choses concernant son mode de vivre sa sexualité. Le rituel doit le conduire à une sorte de purification, ce qui fait aussi de ce rituel une parodie de la confession catholique.

 

COSCO: Ils célèbrent donc un rite ésotérique?

 

BLONDET: Indubitablement. Il est cependant difficile d’affirmer qu’il soit satanique au sens strict du terme. On se doute également qu’à un certain moment du rituel, intervient une prêtresse, alors que le groupe est composé exclusivement d’hommes. Cette femme a donc un rôle dans cette liturgie, mais on ne peut pas le définir avec certitude.

 

COSCO: Peut-on dire que l’ex-Président Clinton  en a fait ou en fait partie?

 

BLONDET: Non, certainement pas Clinton. L’histoire de Clinton est différente. Il a reçu une formation typiquement anglo-saxonne. Il est parti étudié en Angleterre et y a acquis, semble-t-il, une répugnance profonde pour l’univers britannique.Al Gore, en revanche, est un homme d’un tout autre type. La famille d’Al Gore est puissante depuis toujours dans l’établissement américain, exactement comme celle de Bush, mais elle fait plutôt partie de l’établissement considéré comme “rouge”. Le père d’Al Gore a toujours été très proche, sur le plan des affaires, de ce fameux Hammer, de confession israélite, qui fut le premier à aider Lénine. Il est mort à plus de 90 ans, il y a quelques années, laissant une fortune colossale. Pendant toute sa vie, comme il s’en vantait lui-même, il a été un agent soviétique. Hammer était très célèbre : c’était lui qui faisait les “affaires sales” avec l’Union Soviétique et entendait soutenir cette monstruosité politique, même si, sans aide occidentale, elle se serait écroulée rapidement. Ce n’est donc pas un hasard si Al Gore a commis récemment une “erreur”. Il y a quelques petites années, le FMI a prêté à fonds perdus et à des conditions extrêmement favorables 7 milliards de dollars à la  Russie d’Eltsine à la demande et sous la caution d’Al Gore. Ces 7 milliards de dollars ont immédiatement été investis à l’étranger, pas  un centime n’est entré en Russie ou n’y a été investi. Cet argent a abouti sur le compte des “oligarques”, ou sur ceux d’anciens agents du KGB ou d’autres personnalités, devenues “entrepreneurs” dans la nouvelle Russie.

 

COSCO : La société “Skull and Bones” a été un jour définie comme une résurgence américaine des “Illuminés de Bavière” de Weisshaupt. Qu’ne pensez-vous?  

 

BLONDET: C’est possible, mais  je ne crois pas que l’on puisse avancer des preuves irréfutables en la matière. Nous nous  trouvons plus probablement face à quelque chose de plus général et de plus vaste, parce que le profil de la “Skull and Bones” n’est pas à proprement parler “révolutionnaires”.  Certes, elle est internationaliste, globaliste à la manière de Bush, mais nullement révolutionnaire.

 

COSCO: Peut-on dire que cette secte tend à réaliser le “nouvel ordre mondial”?

 

BLONDET: C’est le sens que lui a donné Bush. Le Président Bush (père), au temps de la guerre contre l’Irak, fut le premier à parler ouvertement de “nouvel ordre mondial”, lequel devait émerger à la suite de cette guerre. Mais, par la suite, les vicissitudes qui ont animé l’échiquier planétaire ne se sont pas exactement déroulées comme il l’avait pensé. Nous  avons en effet affaire à un “nouvel ordre mondial” en acte, mais on ne peut pas dire, avec exactitude quelles en seront les conséquences à long terme. Le pouvoir mondial ne se dissimule plus derrière le masque de l’ONU, mais avance directement sous la bannière étoilée. L’Amérique demeure l’unique superpuissance; elle n’a plus besoin de se caché derrière l’artifice de l’ONU.

 

COSCO: Quel est le véritable visage du “nouvel ordre mondial”, que beaucoup de gens considèrent comme le “bien suprême”?

 

BLONDET: Essentiellement, le “nouvel ordre mondial”, c’est la libre circulation des capitaux, avant même d’être la libre circulation des marchés, car ceux-ci ne se situent qu’à la deuxième place; vient ensuite la libre circulation des hommes, qui se placent en troisième position.La libre circulation des hommes est limitée au territoire américain. En effet, à la frontière mexicaine, les capitaux sont bien acceptés, mais non les hommes. Dans ce “nouvel ordre mondial”, divers phénomènes actuels s’expliquent; tous ne doivent pas être condamnés a priori. Nous devons révisés quelques-unes de nos positions idéologiques habituelles, surtout quand elles sont négatives. Le capitalisme, même globalisé, fonctionne, et pas toujours mal. Les pays qui en tirent avantage ne sont pas toujours des pays du “premier monde”, celui qui “compte”, mais aussi des pays qui connaissent un regain de vitalité et qui réaniment leurs particularités culturelles profondes. Ce regain culturel n’était sans doute pas prévu. Exemple : l’Inde est devenue un exportateur majeur de logiciels, parce que tous les géants du logiciel indiens appartiennent à la caste brahmanique, compsée de familles où l’on connaît le sanscrit, c’est-à-dire une langue classique, de même où l’on connaît encore une mathématique traditionnelle abstraite.  Les représentants de cette caste parlent anglais, produisent des logiciel en anglais, qui coûtent moins cher sur le marché mondial. Autre pays avantagé par la globalisation   —et plus qu’on ne l’imagine: l’Espagne.  Cet avantage est dû à un fait culturel précis. L’Espagne a possédé un empire pendant cinq cents ans. Aujourd’hui, 400 millions de personnes parlent espagnol dans le monde. L’Espagne est en train de devenir la puissance économique dominante sur les marchés sud-américains. Les banques espagnoles sont en train d’acquérir les banques d’Argentine, du Venezuela, etc. L’Espagne acquiert de plus en plus le visage d’une mère patrie impériale. Je me suis rendu en Espagne récemment et j’ai constaté, fait singulier, qu’il n’y avait pas, là-bas, un affect culturel anti-globaliste, comme il en existe un en France, en Italie et également en Allemagne. Ce n’est pas un hasard car l’anti-globnalisme prend le visage de la gauche, celle qui a généré des gouvernements inefficaces. Nous sommes contre la globalisation parce que nous sommes en faveur de la tradition et, pendant ce temps-là, la gauche improvise et redécouvre les traditions nationales, pour ne pas continuer à perdre du terrain.

 

COSCO: Et quels sont les aspects négatifs du “nouvel ordre mondial”?

 

BLONDET: Les aspects négatifs, à l’évidence, se concentrent dans l’excès de libre circulation de capitaux purement spéculatifs. Au moindre mouvement de panique, ces capitaux s’en vont, en quelques minutes, parce que, désormais, la monnaie électronique se meut à la vitesse des télécommunications, laissant brusquement des pays entiers  à sec, plongés dans de graves crises économiques, parce qu’ils s’étaient endettés, non  pas par pauvreté intrinsèque, mais parce qu’ils venaient de vivre un moment de croissance. Tout d’un coup, ils se rtrouvaient privés de liquidités. Les éléments négatifs du “nouvel ordre mondial” relèvent donc de phénomènes liés à la finance spéculative et révèlent d’énormes bulles de dettes impayables, comptabilisées par personne. Certains pays d’Amérique latine subissent de tels effets de manière particulièrement dramatique.  Je pense à la Colombie. Ces pays devraient se spécialiser dans les domaines où ils sont compétitifs. Ceux qui savent bien faire des cravattes, comme les italiens, et bien qu’ils produisent et vendent des cravattes et non pas des avions ou d’autres appareils dont ils ne pourront de toutes façons pas développer le secteur industriel. La Colombie produit la coca. Un tiers de  son territoire est d’ores et déjà contrôlé par des bandes guerrières, qui ont existé, là-bas, de tous temps. Elles se donnent bien entendu une étiquette de “gauche”. Elles sont en réalité constituées de narco-trafiquants, étiquettés de “gauche”, et, en juillet dernier, le directeur de la Bourse de New York, un certain Richard Grasso, est allé rendre visite à ces terroristes de fait, qui terrorisent la population, tuent des enfants, se livrent à des voies de fait dignes du Cambodge de Pol Pot, mais cela n’a pas dérangé outre mesure ce monsieur Grasso. Il a offert à cette bande d’”investir” leur argent sdale dans la Bourse de New York. Si le monde financier américain s’intéresse à l’argent des narco-trafiquants colombiens, cela signifie, en clair, que l’on va bientôt légaliser les drogues dures.

 

COSCO: Certains catholiques ont peur, car la mise en œuvre d’une globalisation totale provoquera la disparition de la religion catholique.  Pensez-vous que cette crainte se justifie?

 

BLONDET: Les milieux, qui veulent l’avènement du “nouvel ordre mondial” sont hostiles au catholicisme. Je pense surtout à Bush. Et aussi à Al Gore. La lutte contre le catholicisme est dure, elle relève de divers phénomènes autonomes, mais je pense toutefois qu’il est difficile d’agir directement  sur la religion catholique, c’est-à-dire sur le Vatican. Le vrai problème réside à mon sens dans une sorte de ressac final du catholicisme clérical. Le haut clergé du Vatican lui-même semble adopter une sorte de nihilisme souriant, qui l’induit à minimiser les contenus forts de l’orthodoxie, afin de provoquer de grands événements médiatiques, qui ne sont finalement que pures apparences, sans substance. Les choses sont allés si loin que l’an dernier, à la Noël, D’Alema, chef du gouvernement de gauche en Italie, a amené sa femme et ses enfants à la messe de minuit à Bethléem. Cela paraît anodin mais c’est proprement renversant : nous avons affaire à un homme politique qui ne croit en rien et qui amène sa famille pour assister, au fond, à un spectacle, de nature spirituelle, fort suggestif. En uncertain sens, cette visite constitue, pour moi, un événement symbolique fort, tout comme ce jubilée de la jeunesse [catholique] où, le dernier jour, dans les fauteuils réservés au VIP, on a pu voir se prélasser, invitées ou non, pratiquement toutes les personnalités du centre gauche...

 

COSCO: D’après vous, l’Eglise n’est plus rien d’autre qu’un vaste spectacle suggestif, destinés à impressionner les masses?

 

BLONDET: Effectivement, nous n’avons plus affaire  qu’à une Eglise-spectacle, patronné par cette espèce de cléricalisme institutionnel athée, car il est un clergé fourbe, aujourd’hui, qui est de gauche et qui est athée. Certains comportements de l’Eglise, comme les demandes continuelles de “pardon”, laissent les vrais catholiques perplexes et, à l’inverse, récoltent les oreilles attentives du consensus institutionnel de la gauche qui ne croit pas, mais qui prend les masses en considération, que nous ne sommes pas capables de mobiliser, alors qu’eux le peuvent. La CGIL est encore capable de s’organiser et d’organiser de vasgfes activités  sociales, ce que les paroisses ne peuvent plus faire. Mais, quoi que l’on fasse, ces jeunes ne seront véritablement chrétiens,comme l’a rappelé le Pape, que s’ils sont prêts à payer leur foi de leur sang. Et moi, je n’y crois pas!

 

Giuseppe Cosco

[ linus.tre@iol.it ]

jeudi, 15 avril 2010

Les "néo-conservateurs" sont les nouveaux jacobins de la Maison Blanche

Roberts.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2004

Les “néo-conservateurs” sont les nouveaux jacobins de la Maison Blanche

Entretien avec le Prof. Paul Craig Roberts, ancien représentant

du ministre des finances de l’Administration Reagan

 

Le Professeur Paul Craig Roberts enseigne au “Centre d’Etudes stratégiques et internationales” à Washington, ainsi que dans la célèbre université de Stanford. Sous Reagan, il était le représentant du ministre des finances des Etats-Unis et, conseiller influent du président, il a contribué à donner for­me à l’économie américaine de l’époque. Le terme de “néo-conservatisme” ne reçoit pas son aval: pour lui, c’est une escroquerie, une simple étiquette qui dissimule un autre contenu. Derrière cette étiquet­te, ajoute-t-il, se cache une “bande” qui s’est soustraite à toutes les traditions américaines.

 

Pression sur la CIA

 

Q. : Professeur Roberts, il y a un an commençait la guerre contre l’Irak. Les Américains y trouve­ront-ils les armes de destruction massive qu’ils cherchent?

 

PCR : Non. Les inspecteurs américains ont expliqué qu’il n’y avait pas d’armes de destruction massive en Irak. Leur chef, David Kay, a déclaré, début mars, dans un interview, que le refus du gouvernement américain d’accepter ce fait conduisait à miner sa crédibilité en politiques intérieure et extérieure.

 

Q. : Le gouvernement Bush a-t-il été mal informé par ses services secrets au sujet des armes de destruction massives irakiennes?

 

PCR : La CIA et le service secret de l’armée, la “Defence Intelligence Agency”, n’ont pas livré d’informa­tions fausses, pour justifier l’intervention en Irak. Les informations erronées ont été fabriquées par un nouveau “bureau spécial” du Pentagone, mis sur pied par les fauteurs de guerre “néo-conservateurs”, qui veulent une invasion de l’ensemble du Moyen Orient et dépouiller l’Islam de son contenu religieux. Des officiers des services secrets ont dressé leur rapport et constaté que c’est surtout le bureau du Vice-Président qui a exercé une forte pression sur la CIA. Celle-ci a été contrainte de fournir des “informa­tions” cadrant avec l’affirmation des néo-conservateurs, qui prétendaient que l’Irak possédait des armes de destruction massive. Les néo-conservateurs ont parié sur la désinformation et ont manipulé les dé­clarations d’exilés irakiens. Ces exilés voulaient utiliser à leur profit la puissance militaire américaine pour prendre la place de Saddam Hussein.

 

Q. : L’affaire sera-t-elle soumise à une commission d’enquête indépendante?

 

PCR : Si mes compatriotes américains continuent à gérer l’occupation de l’Irak de manière erronée et que ces vices de gestion amènent toujours davantage de troupes américaines à intervenir dans une guerre civile inter-irakienne, alors  il se pourrait bien que l’on mette une commission d’enquête sur pied. L’objectif d’une telle commission d’enquête viserait d’abord, évidemment, à blanchir le gouverne­ment de Bush. Les commissions d’enquête mises sur pied par l’Etat ne sont jamais indépendantes.

 

Q. : John Kerry a-t-il une chance de battre Bush aux prochaines élections?

 

PCR : Les sondages d’aujourd’hui semblent confirmer que Kerry battra Bush. Mais il est encore trop tôt pour avoir des pronostics fiables. D’après les dernières nouvelles, Bush s’efforce de trouver un accord avec le Pakistan pour attraper Oussama Ben Laden. Les conseillers les plus influents de Bush croient que l’arrestation de Ben Laden conduirait à une euphorie, immédiatement avant les élections en novembre prochain, ce qui ramènerait Bush au pouvoir.

 

Outre les doutes quant à l’opportunité d’avoir eu à envahir l’Irak, Bush doit faire face à deux autres gros problèmes. Il s’est aliéné une bonne part de sa base conservatrice, en proposant d’amnistier des millions d’étrangers en séjour illégal aux Etats-Unis. Bon nombre de conservateurs se demandent pourquoi Bush se montre militairement si actif à l’étranger, alors qu’il renonce à défendre les propres frontières du pays.

 

Ensuite, l’autre gros problème de Bush concerne l’emploi. Les Etats-Unis, pour le moment, sont en train de perdre des emplois de haute qualification, à grand rendement productif. Un grand nombre de multinationales ont délocalisé leur production pour le marché américain, à l’étranger et ainsi quitté les Etats-Unis, car elles entendent profiter de la main-d’œuvre bon marché d’Asie. Cette délocalisation de la production à l’étranger confisque à l’économie américaine des emplois bien rémunérés, du capital et de la technologie, désormais délocalisés en Asie.

 

Internet, du fait de la très grande vitesse de communication qu’il permet, fait que des emplois très fortement rémunérés, comme ceux des ingénieurs, des  architectes, des radiologues, des conseillers financiers, des analystes boursiers et des spécialistes en toutes autres hautes technologies, quittent le pays pour migrer en Inde, en Chine, aux Philippines ou en Europe de l’Est, car on peut y faire faire les mêmes travaux pour une fraction seulement du prix qu’ils coûtent aux Etats-Unis. Or ces emplois repré­sentent traditionnellement les échelons à gravir dans la société américaine. Leur perte constituent un ressac très problématique sur les plans économique, social et politique.

 

Les emplois créés aujourd’hui aux Etats-Unis sont des emplois de bas niveau dans le secteur des services, mal rémunérés comme dans les soins de santé, les divers services subalternes et le secteur de la res­tauration. Après vingt-cinq mois de “redressement économique”, l’économie américaine a perdu plus d’emplois qu’elle n’en a créés.

 

L’actuelle mobilité du capital et de la technologie rend caducs les arguments généralement avancés par les défenseurs du libre marché. Les pertes qu’enregistrent le “premier monde” en capital et en technologie, au profit de pays jadis englobés dans le “tiers monde”, où le travail est aujourd’hui moins cher, constitue désormais un problème de premier plan et il concerne principalement les Etats-Unis, qui doivent, sur la planète, leur renommée au fait qu’ils permettaient une ascension sociale rapide. Ce n’est plus le cas. Le chef de file des conseillers de Bush en matières économiques avait déclaré que l’économie américain profitait du remplacement des emplois bien payés par des emplois mal payés, prestés par des étrangers aux Etats-Unis; cette affirmation a beaucoup nui au prestige de l’équipe de Bush.

 

Q. : Vous vous définissez comme un conservateur américain. Selon vous, selon vos options philo­sophiques, qu’y a-t-il d’erroné dans la politique extérieure de Bush?

 

PCR : La politique extérieure américaine est entièrement au service de la réélection du Président. Le gouvernement Bush a détruit le principe de multilatéralité qui avait guidé la politique extérieure des Etats-Unis sous les gouvernements de ces cinquante dernières années. Comment cela s’est-il passé? L’élection de Bush était contestée par la Court Suprême des Etats-Unis. Bush n’a pas obtenu de majorité bien claire parmi les électeurs. Les voix manquantes lui ont été attribuée d’office par la décision d’un tribunal. Les attentats terroristes contre le World Trade Center, le 11 septembre 2001, a permis aux hommes de l’ombre, qui se profilent derrière Bush, de le tirer hors du sac de noeuds que constituait le controverse née des élections; ils ont littéralement emballé Bush dans le drapeau national et l’ont hissé sur le piédestal du chef de la “guerre planétaire contre le terrorisme”. De cette façon, toute opposition à sa personne devenait impossible.

 

Cette situation a favorisé les menées des néo-conservateurs, ou, pour être plus exact, des nouveaux jacobins qui occupaient les principaux postes à responsabilité au ministère de la défense, dans les bureaux de la vice-présidence et dans les postes les plus influents de la politique extérieure. Ces nouveaux jacobins ont revendiqué une validité mondiale pour les principes qu’ils qualifiaient d’”américains”, ce qui revenait à donner à notre pays une sorte de monopole de la vertu. Le résultat de toutes ces démarches donne une idéologie militante, d’après laquelle il y aurait une obligation pour le monde de modifier toutes ses institutions pour les calquer sur le modèle américain, seul paré de toutes les vertus. Les nouveaux jacobins  visent un monde uniforme, un monde unipolaire. L’un de leurs chefs de file, Ben Wattenberg, l’a formulé comme suit : “Un monde unipolaire est une bonne chose, si l’Amérique est ce pôle”.

 

Les nouveaux jacobins sont des alliés de longue date du Likoud israélien. Un autre chef de file néo-jacobin, Norman Podhoretz, vient de nous définir la guerre contre le terrorisme comme une guerre de conquête américaine de l’ensemble du Proche Orient musulman, afin d’attaquer l’Islam à ses racines. L’entrée des troupes américaines en Afghanistan en en Irak doivent constituer les premières étapes d’une victoire prochaine et totale contre l’Islam.

 

Comme l’occupation de l’Irak génèrent des problèmes inattendus, le programme des néo-jacobins perd de son aura auprès des électeurs de Bush et des républicains en général. Pour faire face à cette fronde en sourdine, l’administration Bush s’efforce de créer un Etat policier aux Etats-Unis mêmes, en égratignant des droits civils acquis, bien inscrits dans la loi, au nom de la “guerre contre le terrorisme”. Simultané­ment, le reste du monde est invité, fermement, à prendre modèle sur la “démocratie” américaine. Com­me l’a écrit le Professeur Claes G. Ryn, dans son livre “L’Amérique vertueuse”, le programme des néo-ja­cobins conduit à une série infinie de guerres et de catastrophes.

 

(entretien paru dans DNZ,  Munich, n°13, mars 2004).

samedi, 10 avril 2010

Filoamericanismo, ideologia di deresponsabilizzazione

Filoamericanismo, ideologia di deresponsabilizzazione

di Costanzo Preve

Fonte: Bye Bye Uncle Sam [scheda fonte]

http://exodians.files.wordpress.com/2009/04/facebook-americanismo.jpg

“In Italia i filoamericani in servizio puramente effettivo sono particolarmente numerosi in ambiente giornalistico. Da Rossella a Riotta c’è solo l’imbarazzo della scelta. I giornalisti sono il clero secolare di questo nuovo medioevo capitalistico, laddove il clero regolare è piuttosto composto dai professori universitari di filosofia e di scienze sociali. Ritengo riduttivo ed economicistico l’approccio per cui questi servi laureati si comportano così perché sono sul libro paga della CIA. I soldi non sono tutto nella vita, anche se comunque non fanno mai schifo. Il filoamericanismo è certamente ben pagato, ma resta comunque un’attività prevalentemente gratuita, una passione, una passione che un tempo sarebbe stato battezzata “cupidigia di servilismo”. Il vecchio Tacito usava l’espressione latina ruere in servitium per indicare coloro che si affrettavano talmente a compiere atti di servilismo verso Tiberio da finire con l’inciampare. Nel dicembre del 2003, in occasione della cattura in Irak di Saddam Husseyn, abbiamo assistito ad episodi incredibili di questo ruere in servitium, e fra essi vorrei citare solo i nomi dei giornalisti Galli della Loggia e Rondolino.
Ma cerchiamo di stringere sulla natura del filoamericanismo. Ritengo si tratti in ultima istanza della manifestazione di una sindrome di impotenza storica interiorizzata, per cui si delega ad un potere esterno salvifico un insieme di compiti economici, politici e culturali che non si ritiene di poter più svolgere autonomamente. Il 1945 è ormai lontano, ma si continua a ripetere salmodiando che se non fossero arrivati gli americani noi europei saremmo ancora qui a gemere sotto la dittatura. L’apporto sovietico alla sconfitta di Hitler è ovviamente censurato, e curiosamente viene di fatto anche censurato il fenomeno storico della resistenza europea 1941-45. Ma si tratta solo di dettagli. In realtà si è di fronte alla ricostruzione della intera storia europea del Novecento in base ai due fondamenti metafisici della Malvagità e dell’Impotenza. In questo modo l’Europa avrebbe commesso una sorta di Colpa Assoluta integralmente Irriscattabile, e per questa ragione l’occupazione militare americana diventa non solo un fatto geopolitico, ma la si erge a fatto metafisico totale. In caso contrario ci si potrebbe laicamente chiedere che cosa ci fanno basi militari americane potentemente armate ad Aviano in Italia, a Ramstein in Germania, a Suda in Grecia, eccetera, dal momento che è venuta meno da tempo la cosiddetta minaccia sovietica. Ma è appunto questa domanda laica e pacata che il filoamericanismo non può neppure sopportare.
Il filoamericanismo è allora prima di tutto una ideologia di deresponsabilizzazione europea. Quando lo studioso americano Kagan parla degli USA come di Marte e dell’Europa come di Venere egli è purtroppo ancora al di qua della comprensione minima del problema. In realtà l’Europa ha deciso di essere come Tersite, l’oggetto dello scherno degli Achei e della umiliante punizione inflittagli da Odisseo.”

Da L’ideocrazia imperiale americana. Una resistenza possibile, di Costanzo Preve, edizioni Settimo Sigillo, 2004, pagine 49-51.
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George Soros, ou la "conscience du monde"

george-soros1.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2004

 

George SOROS,

ou la "conscience" du Monde

 

Par Heather Cottin

(http://www.artel.co.yu)

 

« OUI, J’AI UNE POLITIQUE ETRANGERE : MON OBJECTIF EST DE DEVENIR LA CONSCIENCE DU MONDE. »

 

Il ne s’agit nullement d’un cas de trouble narcissique de la personnalité; voici, en fait, comment George Soros applique aujourd’hui le pouvoir de l’hégémonie des Etats-Unis dans le monde. Les institutions de Soros et ses machinations financières sont en partie responsables de la destruction du socialisme en Europe de l’Est et dans l’ancienne URSS. Il a également jeté son dévolu sur la Chine. Il a également fait partie de toute cette entreprise d’opérations en tous genres qui ont abouti au démantèlement de la Yougoslavie. Alors qu’il se donne du philanthrope, le rôle du milliardaire George Soros consiste à resserrer la mainmise idéologique de la globalisation et du nouvel ordre mondial tout en assurant la promotion de son propre profit financier. Les opérations commerciales et « philanthropiques » de Soros sont clandestines, contradictoires et coactives. Et, pour ce qui est de ses activités économiques, lui-même admet qu’il n’a pas de conscience, en capitaliste fonctionnant avec une amoralité absolue.

 

SON GOUROU ? SIR KARL POPPER,  THéORICIEN DE LA “SOCIéTé OUVERTE”

 

En maître d’œuvre du nouveau secteur de la corruption qui trompe systématiquement le monde, il se fraie un chemin jusqu’aux hommes d’Etat planétaires et ils lui répondent. Il a été proche de Henry Kissinger, de Vaclav Havel et du général polonais Wojciech Jaruzelski.(2) Il soutient le dalaï-lama, dont l’institut est installé au Presidio, à San Francisco, lequel Presidio héberge également, entre autres, la fondation dirigée par l’ami de Soros, l’ancien dirigeant soviétique Mikhaïl Gorbatchev.(3) Soros est une figure de pointe du Conseil des Relations extérieures, du Forum économique mondial et de Human Rights Watch (HRW). En 1994, après une rencontre avec son gourou philosophique, Sir Karl Popper, Soros ordonnait à ses sociétés de se mettre à investir dans les communications en Europe centrale et de l’Est.

 

L’administration fédérale de la radio et télévision de la République tchèque a accepté son offre de eprendre et de financer les archives de Radio Free Europe. Soros a transféré ces archives à Prague et a dépensé plus de 15 millions de dollars pour leur entretien.(4)

 

Conjointement avec les Etats-Unis, une fondation Soros dirige aujourd’hui Radio Free Europe/Radio Liberty, laquelle a étendu ses ramifications au Caucase et en Asie.(5) Soros est le fondateur et le financier de l’Open Society Institute. Il a créé et entretient le Groupe international de Crise (GIC) qui, entre autres choses, est actif dans les Balkans depuis le démantèlement de la Yougoslavie. Soros travaille ouvertement avec l’Institut américain pour la Paix – un organe officiellement reconnu de la CIA.

 

Lorsque les forces hostiles à la globalisation battaient de la semelle dans les rues entourant le Waldorf-Astoria, à New York, en février 2002, George Soros était à l’intérieur et tenait un discours devant le Forum économique mondial. Quand la police entassa les manifestants dans des cages métalliques à Park Avenue, Soros vantait les vertus d’une « société ouverte » et rejoignait ainsi Zbigniew Brzezinski, Samuel Huntington, Francis Fukuyama et d’autres.

 

 

 

 

 

QUI EST CE TYPE ?

 

George Soros est né en Hongrie en 1930 de parents juifs si éloignés de leurs racines qu’ils passèrent même une fois leurs vacances en Allemagne nazie.(6) Soros vécut sous le régime nazi mais, au moment du triomphe des communistes, il alla s’installer en Angleterre en 1947.

 

Là, à la London School of Economics, il subit l’influence du philosophe Karl Popper, un idéologue anticommuniste adulé dont l’enseignement constitua la base des tendances politiques de Soros. Il est malaisé de trouver un discours, un ouvrage ou un article de la plume de Soros qui n’obéisse à l’influence de Popper.

 

Anobli en 1965, Popper inventa le slogan de « Société ouverte », qu’on allait retrouver plus tard dans l’Open Society Fund and Institute de Soros. Les disciples de Popper répètent ses mots comme de véritables fidèles. La philosophie de Popper incarne parfaitement l’individualisme occidental. Soros quitta l’Angleterre en 1956 et trouva du travail à Wall Street où, dans les années 60, il inventa le « fonds de couverture » : « (…) les fonds de couverture satisfaisaient les individus très riches (…) Les fonds en grande partie secrets, servant habituellement à faire des affaires en des lieux lointains (…) produisaient des retours astronomiquement supérieurs. Le montant des ‘enjeux’ se muaient souvent en prophéties qui se réalisaient d’elles-mêmes : ‘les rumeurs circulant à propos d’une situation acquise grâce aux énormes fonds de couverture incitaient d’autres investisseurs à se hâter de faire pareil’, ce qui, à son tour, augmentait les mises de départ des opérateurs en couverture. »(7)

 

Soros met sur pied le Quantum Fund en 1969 et se met à boursicoter dans la manipulation des devises. Dans les années 70, ses activités financières glissent vers « l’alternance entre les situations à long et à court terme (…) Soros se mit à gagner gros à la fois sur la montée des trusts d’investissement dans l’immobilier et sur leur effondrement ultérieur. Durant ses vingt années de gestion, Quantum offrit des returns étonnants de 34,5% en moyenne par an. Soros est particulièrement connu (et craint) pour sa spéculation sur les devises.

 

(…) En 1997, il se vit décerner une distinction rare en se faisant traiter de scélérat par un chef d’Etat, Mahathir Mohamad, de Malaisie, pour avoir participé à un raid particulièrement rentable sur la monnaie de ce pays. »(8)

 

C’est via de telles martingales financières clandestines que Soros va devenir multimilliardaire. Ses sociétés contrôlent l’immobilier en Argentine, au Brésil et au Mexique, la banque au Venezuela et elles figurent au nombre des commerces de devises les plus rentables au monde, donnant naissance à la croyance générale que ses amis très haut placés l’ont aidé dans ses aventures financières, et ce pour des raisons tant politiques que liées à l’appât du gain.(9)

 

SOROS ? UN DRACULA QUI SUCE LE SANG DU PEUPLE !

 

George Soros a été blâmé pour avoir fait sombrer l’économie thaïlandaise en 1997.(10) Un activiste thaï a même déclaré : « Nous considérons George Soros comme une sorte de Dracula. Il suce le sang du peuple. »(11) Les Chinois l’appellent « le crocodile » du fait que ses efforts économiques et idéologiques en Chine n’étaient jamais satisfaits et parce que ses spéculations financières ont engendré des millions de dollars de profit lorsqu’il a mis le grappin sur l’économie thaï et sur celle de la Malaisie.(12)

 

Un jour, Soros s’est fait un milliard de dollars en un jour en spéculant (un mot qu’il déteste) sur la livre britannique. Accusé de prendre « de l’argent à chaque contribuable britannique lorsqu’il spéculait contre le sterling », il avait répondu : « Lorsque vous spéculez sur les marchés financiers, vous ne vous embarrassez pas de la plupart des préoccupations morales auxquelles est confronté un homme d’affaires ordinaire. (…) Je n’avais pas non plus à m’embarrasser de questions de morale sur les marchés financiers. »(13)

 

Soros est schizophréniquement insatiable quand il s’agit de s’enrichir personnellement de façon illimitée et il éprouve un perpétuel désir d’être bien considéré par autrui : « Les commerçants en devises assis à leurs bureaux achètent et vendent des devises de pays de tiers monde en grande quantités. L’effet des fluctuations des cours sur les personnes qui vivent dans ces pays n’effleure même pas leurs esprits.

 

Il ne devrait pas le faire non plus : ils ont un travail à faire. Si nous nous arrêtons pour réfléchir, nous devons nous poser la question de savoir si les commerçants en devises (…) devraient contrôler la vie de millions de personnes. »(14)

 

C’est George Soros qui a sauvé la peau de George W. Bush lorsque la gestion par celui-ci d’une société de prospection pétrolière était sur le point de se solder par un échec. Soros était le propriétaire de la Harken Energy Corporation et c’est lui qui avait racheté le stock des actions en baisse rapide juste avant que la société ne s’effondre. Le futur président liquida a presque un million de dollars. Soros déclara qu’il avait agi de la sorte pour acheter de « l’influence politique ».(15) Soros est également un partenaire du tristement célèbre Carlyle Group. Officiellement fondée en 1987, la « plus importante société privée par actions du monde », qui gère plus de 12 milliards de dollars, est dirigée par « un véritable bottin mondain d’anciens dirigeants républicains », depuis l’ancien membre de la CIA, Frank Carlucci, jusqu’à l’ancien chef de la CIA et ancien président George Bush père. Le Carlyle Group tire la majeure partie de ses rentrées des exportations d’armes.

 

L’ESPION PHILANTHROPE

 

En 1980, Soros commence à utiliser ses millions pour s’en prendre au socialisme en Europe de l’Est. Il finance des individus susceptibles de coopérer avec lui. Son premier succès, c’est en Hongrie qu’il l’obtient. Il reprend le système éducatif et culturel hongrois, mettant hors d’état de fonctionnement les institutions socialistes partout dans le pays. Il se fraie directement un chemin à l’intérieur du gouvernement hongrois. Ensuite, Soros se tourne vers la Pologne, contribuant à l’opération Solidarité, financée par la CIA, et, la même année, il étend également ses activités à la Chine. L’URSS vient ensuite.

 

Ce n’est nullement une coïncidence si la CIA a mené des opérations dans tous ces pays. Son objectif était également le même que celui de l’Open Society Fund : démanteler le socialisme. En Afrique du Sud, la CIA dénichait des dissidents anticommunistes. En Hongrie, en Pologne et en URSS, via une intervention non dissimulée menée à partir de la Fondation nationale pour la Démocratie, l’AFL-CIO, l’USAID et d’autres institutions, la CIA soutenait et organisait les anticommunistes, le type même d’individus recrutés par l’Open Society Fund de Soros. La CIA allait les appeler ses « atouts ». Comme le dit Soros : « Dans chaque pays, j’ai identifié un groupe de personnes – certaines sont des personnalités de premier plan, d’autres sont moins connues – qui partageaient ma foi… »(16)

 

L’Open Society de Soros organisait des conférences avec des anticommunistes tchèques, serbes, roumains, hongrois, croates, bosniaques, kosovares.(17) Son influence sans cesse croissante le fit soupçonner d’opérer en tant que partie du complexe des renseignements américains. En 1989, le Washington Post se faisait l’écho d’accusations d’abord émises en 1987 par des officiels du gouvernement chinois et prétendant que le Fonds de Soros pour la Réforme et l’Ouverture de la Chine avait des connexions avec la CIA.(18)

 

AU TOUR DE LA RUSSIE

 

Après 1990, les fonds de Soros visent le système éducatif russe et fournissent des manuels à toute la nation.(19) En effet, Soros se sert de la propagande de l’OSI pour endoctriner toute une génération de la jeunesse russe. Les fondations de Soros ont été accusées d’avoir orchestré une stratégie visant à s’assurer le contrôle du système financier russe, des plans de privatisation et du processus des investissements étrangers dans ce pays. Les Russes réagissent avec colère aux ingérences de Soros dans les législations. Les critiques de Soros et d’autres fondations américaines ont affirmé que l’objectif de ces manœuvres était de « faire échouer la Russie en tant qu’Etat ayant le potentiel de rivaliser avec la seule superpuissance mondiale ».(20)

 

Les Russes se mettent à soupçonner que Soros et la CIA sont interconnectés. Le magnat des affaires, Boris Berezovsky, allait même déclarer : « J’ai presque tourné de l’œil en apprenant, il y a quelques années, que George Soros était un agent de la CIA. »(21) L’opinion de Berezovsky était que Soros, de même que l’Occident, « craignaient que le capitalisme russe ne devînt trop puissant ».

 

Si l’establishment économique et politique des Etats-Unis craint la concurrence économique de la Russie, quelle meilleure façon y a-t-il de la contrôler que de dominer les médias, l’éducation, les centres de recherche et le secteur scientifique de la Russie ? Après avoir dépensé 250 millions de dollars pour « la transformation de l’éducation des sciences humaines et de l’économie au niveau des écoles supérieures et des universités », Soros injecte 100 millions de dollars de plus dans la création de la Fondation scientifique internationale.(22) Les Services fédéraux russes de contre-espionnage (FSK) accusent les fondations de Soros en Russie d’« espionnage ». Ils font remarquer que Soros n’opère pas seul ; il fait partie de tout un rouleau compresseur recourant, entre autres, à des financements de la part de Ford et des Heritage Foundations, des universités de Harvard, Duke et Columbia, et à l’assistance du Pentagone et ses services de renseignements américains.(23) Le FSK s’indigne de ce que Soros a graissé la patte à quelque 50.000 scientifiques russes et prétend que Soros a cultivé avant tout ses propres intérêts en s’assurant le contrôle de milliers de découvertes scientifiques et nouvelles technologies russes et en s’appropriant ainsi des secrets d’Etats et des secrets commerciaux.(24)

 

CUNY, AGENT DE LA CIA  EN TCHéTCHéNIE?

 

En 1995, les Russes avaient été très en colère suite aux ingérences de l’agent du Département d’Etat, Fred Cuny, dans le conflit tchétchène. Cuny se servait du secours aux sinistrés comme de couverture, mais l’histoire de ses activités dans les zones de conflit internationales intéressant les Etats-Unis, auxquelles venaient s’ajouter les opérations d’investigations du FBI et de la CIA, rendaient manifestes ses connexions avec le gouvernement américain. A l’époque de sa disparition, Cuny travaillait sous contrat pour une fondation de Soros.(25) On se sait pas assez aux Etats-Unis que la violence en Tchétchénie, une province située au cœur de la Russie, est généralement perçue comme étant le résultat d’une campagne de déstabilisation politique que Washington voit d’un très bon œil et, en fait, orchestre probablement. Cette façon de présenter la situation est suffisamment claire aux yeux de l’écrivain Tom Clancy, au point qu’il s’est senti libre d’en faire une affirmation de fait dans son best-seller, La somme de toutes les peurs. Les Russes ont accusé Cuny d’être un agent de la CIA et d’être l’un des rouages d’une opération de renseignements destinée à soutenir l’insurrection tchétchène.(26) L’Open Society Institute de Soros est toujours actif en Tchétchénie, comme le sont également d’autres organisations sponsorisées par le même Soros.

 

La Russie a été le théâtre d’au moins une tentative commune de faire grimper le bilan de Soros, tentative orchestrée avec l’aide diplomatique de l’administration Clinton. En 1999, la secrétaire d’Etat Madeleine Albright avait bloqué une garantie de prêt de 500 millions de dollars par l’U.S. Export-Import Bank à la société russe, Tyumen Oil, en prétendant que cela s’opposait aux intérêts nationaux américains. La Tyumen voulait acheter des équipements pétroliers de fabrication américaine, ainsi que des services, auprès de la société Halliburton de Dick Cheney et de l’ABB Lummus Global de Bloomfield, New Jersey.(27) George Soros était investisseur dans une société que la Tyumen avait essayé d’acquérir. Tant Soros que BP Amoco avaient exercé des pressions afin d’empêcher cette transaction, et Albright leur rendit ce service.(28)

 

L’ENTRETIEN D’UN ANTISOCIALISME DE GAUCHE

 

L’Open Society Institute de Soros trempe les doigts dans toutes les casseroles. Son comité de directeurs est un véritable « Who's Who » de la guerre froide et des pontifes du nouvel ordre mondial. Paul Goble est directeur des communications : « Il a été le principal commentateur politique de Radio Free Europ ». Herbert Okun a servi dans le département d’Etat de Nixon en tant que conseiller en renseignements auprès de Henry Kissinger. Kati Marton est l’épouse de Richard Holbrooke, l’ancien ambassadeur aux Nations unies et envoyé en Yougoslavie de l’administration Clinton. Marton a exercé des pressions en faveur de la station de radio B-92, financée par Soror, et elle a également beaucoup œuvré en faveur d’un projet de la Fondation nationale pour la démocratie (une autre antenne officielle de la CIA) qui a collaboré au renversement du gouvernement yougoslave.

 

Lorsque Soros fonde l’Open Society Fund, il va chercher le grand pontife libéral Aryeh Neier pour la diriger. A l’époque, Neier dirige Helsinki Watch, une prétendue organisation des droits de l’homme de tendance nettement anticommuniste. En 1993, l’Open Society Fund devient l’Open Society Institute.

 

Helsinki Watch s’est mué en Human Rights Watch en 1975. A l’époque, Soros fait partie de sa Commission consultative, à la fois pour le comité des Amériques et pour ceux de l’Europe de l’Est et de l’Asie centrale, et sa nébuleuse Open Society Fund/Soros/OSI est renseignée comme bailleuse de fonds.(29) Soros a des relations étroites avec Human Rights Watch (HRW) et Neier écrits des articles pour le magazine The Nation sans mentionné le moins du monde qu’il figure sur les fiches de paie de Soros.(30)

 

Soros est donc étroitement lié à HRW, bien qu’il fasse de son mieux pour le dissimuler.(31) Il déclare qu’il se contente de bailler des fonds, de mettre les programmes au point et de laisser les choses aller d’elles-mêmes. Mais les actions de HRW ne s’écartent en aucune façon de la philosophie de son bailleur de fonds. HRW et OSI sont très proches l’un de l’autre. Leurs vues ne divergent pas. Naturellement, d’autres fondations financent également ces deux institutions, mais il n’empêche que l’influence de Soros domine leur idéologie.

 

Les activités de George Soros s’inscrivent dans le schéma de construction développé en 1983 et tel qu’il est énoncé par Allen Weinstein, fondateur de la Fondation nationale pour la démocratie. Wainstein déclare ceci : «Une grande partie de ce que nous faisons aujourd’hui était réalisée en secret par la CIA voici 25 ans. »(32)

 

LéGITIMER LES STRATéGIES AMéRICAINES

 

SorosTimeMagCover.jpgSoros opère exactement dans les limites du complexe de renseignements. Il diffère peu des trafiquants de drogue de la CIA au Laos, dans les années 60, ou des moudjahidine qui tiraient profit du trafic de l’opium tout en menant des opérations pour le compte de la CIA contre l’Afghanistan socialiste des années 80. Il canalise tout simplement (et ramasse) beaucoup plus d’argent que ces marionnettes et une partie bien plus importante de ses affaires se font au grand jour. Sa franchise, dans la mesure où il en fait preuve, réside dans un contrôle factice des dégâts, lequel sert à légitimer les stratégies de la politique étrangère américaine.

 

La majorité des Américains qui, aujourd’hui, se considèrent politiquement au centre-gauche, sont sans aucun doute pessimistes à propos des chances d’assister un jour à une transformation socialiste de la société. Par conséquent, le modèle de « décentralisation » à la Soros, ou l’approche « fragmentée » de «l’utilitarisme négatif, la tentative de réduire au minimum la quantité de misère », qui constituait la philosophie de Popper, tout cela leur plaît, en gros.(33) Soros a financé une étude de HRW qui a été utilisée pour soutenir l’assouplissement de la législation en matière de drogue dans les Etats de Californie et d’Arizona.(34) Soros est favorable à une législation sur les drogues – une manière de réduire provisoirement la conscience de sa propre misère. Soros est un corrupteur qui tutoie le concept de l’égalité des chances. A un échelon plus élevé de l’échelle socio-économique, on trouve les social-démocrates qui acceptent d’être financés par Soros et qui croient aux libertés civiques dans le contexte même du capitalisme.(35) Pour ces personnes, les conséquences néfastes des activités commerciales de Soros (lesquelles appauvrissent des gens partout dans le monde) sont édulcorées par ses activités philanthropiques. De la même manière, les intellectuels libéraux de gauche, tant à l’étranger qu’aux Etats-Unis, ont été séduits par la philosophie de l’« Open Society », sans parler de l’attrait que représentait ses donations.

 

La Nouvelle Gauche américaine était un mouvement social-démocratique. Elle était résolument antisoviétique et, lorsque l’Europe de l’Est et l’Union soviétique se sont effondrées, peu de gens au sein de cette Nouvelle Gauche se sont opposés à la destruction des systèmes socialistes. La Nouvelle Gauche n’a ni gémi ni protesté lorsque les centaines de millions d’habitants de l’Europe de l’Est et de l’Europe centrale ont perdu leur droit au travail, au logement à loyer décent et protégé par la loi, à l’éducation gratuite dans des écoles supérieures, à la gratuité des soins de santé et de l’épanouissement culturel. La plupart ont minimisé les suggestions prétendant que la CIA et certaines ONG – telles la Fondation nationale pour la Démocratie ou l’Open Society Fund – avaient activement participé à la destruction du socialisme. Ces personnes avaient l’impression que la détermination occidentale à vouloir détruire l’URSS depuis 1917 avait vraiment peu de chose à voir avec la chute de l’URSS. Pour ces personnes, le socialisme a disparu de son plein gré, du fait de ses défauts et lacunes.

 

LA  “NOUVELLE GAUCHE” IGNORE TOUJOURS LES MACHINATIONS  AMéRICAINES

 

Quant aux révolutions, comme celles d’un Mozambique, de l’Angola, du Nicaragua ou du Salvador, annihilées par des forces agissant sous procuration ou retardées par des « élections » très démonstratives, les pragmatistes de la Nouvelle Gauche n’en ont eu que faire et ont tourné les talons. Parfois même, la Nouvelle Gauche a semblé ignorer délibérément les machinations post-soviétiques de la politique étrangère américaine.

 

Bogdan Denitch, qui nourrissait des aspirations politiques en Croatie, a été actif au sein de l’Open Society Institute et a reçu des fonds de ce même OSI.(36) Denitch était favorable à l’épuration ethnique des Serbes en Croatie, aux bombardements par l’Otan de la Bosnie et de la Yougoslavie et même à une invasion terrestre de la Yougoslavie.(37) Denitch a été l’un des fondateurs et le président des Socialistes démocratiques des Etats-Unis, un groupe prépondérant de la gauche libérale aux Etats-Unis. Il a également présidé longtemps la prestigieuse Conférence des Universitaires socialistes, par le biais de laquelle il pouvait aisément manipuler les sympathies de beaucoup et les faire pencher du côté du soutien à l’expansion de l’Otan.(38) D’autres cibles du soutien de Soros comprennent Refuse and Resist the American Civil Liberties Union (refus et résistance à l’Union américaine de défense des libertés civiques), et toute une panoplie d’autres causes libérales.(39) Soros allait acquérir un autre trophée invraisemblable en s’engageant dans la Nouvelle Ecole de Recherches Sociales de New York, qui avait été longtemps une académie de choix pour les intellectuels de gauche. Aujourd’hui, il y sponsorise le Programme pour l’Europe de l’est et l’Europe centrale.(40)

 

MICHEL KOZAK : INSTALLER DES “DIRIGEANTS SYMPATHIQUES”

 

Bien des gens de gauche inspirés par la révolution nicaraguayenne ont accepté avec tristesse l’élection de Violetta Chamorro et la défaite des sandinistes en 1990. La quasi-totalité du réseau de soutien au Nicaragua a cessé ses activités par la suite. Peut-être la Nouvelle Gauche aurait-elle pu tirer quelque enseignement de l’étoile montante qu’était Michel Kozak. L’homme était un vétéran des campagnes de Washington visant à installer des dirigeants sympathiques au Nicaragua, à Panama et à Haïti, et de saper Cuba – il dirigeait la Section des Intérêts américains à La Havane.

 

Après avoir organisé la victoire de Chamorro au Nicaragua, Kozak a poursuivi son chemin pour devenir ambassadeur des Etats-Unis en Biélorussie, tout en collaborant à l’Internet Access and Training Program (IATP – Progr. d’accès et d’initiation au net), sponsorisé par Soros et qui œuvrait à la « fabrication de futurs dirigeants » en Biélorussie.(41) Dans le même temps, ce programme était imposé à l’Arménie, l’Azerbaïdjan, la Géorgie, le Kazakhstan, le Kirghizistan, le Turkménistan et l’Ouzbékistan. L’IATP opère à visière relevée avec le soutien du département d’Etat américain. Au crédit de la Biélorussie, il faut ajouter qu’elle a fini par expulser Kozak et toute la clique de l’Open Society de Soros et du département d’Etat américain. Le gouvernement d’Aleksandr Lukachenko a en effet découvert que, quatre ans avant de s’installer à Minsk, Kozak organisait la ventilation des dizaines de millions de dollars destinés à alimenter l’opposition biélorusse. Kozak travaillait à l’unification du coalition d’opposition, il créait des sites web, des journaux et des pôles d’opinion, et il supervisait un mouvement de résistance estudiantine semblable à l’Otpor en Yougoslavie. Kozak fit même venir des dirigeants de l’Otpor pour former des dissidents en Biélorussie.(42) Juste à la veille du 11 septembre 2001, les Etats-Unis relançaient une campagne de diabolisation contre le président Aleksandr Lukachenko. Cette campagne allait toutefois être remise sur feu doux pour donner la priorité à la « guerre contre le terrorisme ».

 

Par l’entremise de l’OSI et du HRW, Soros était l’un des principaux sponsors de la station de radio B-92 à Belgrade. Il fonda l’Otpor, l’organisation qui recevait ces « valises d’argent » afin de soutenir le coup d’Etat du 5 octobre 2000 qui allait renverser le gouvernement yougoslave.(43) Un peu plus tard, Human Rights Watch aidait à légitimer l’enlèvement et la médiatisation du procès de Slobodan Milosevic à La Haye sans aucunement faire état de ses droits.(44)

 

Louise Arbour, qui a œuvré comme juge au sein de ce tribunal illégal, siège actuellement au conseil du Groupe international de crise de Soros.(45) Le gang de l’Open Society et de Human Rights Watch a travaillé en Macédoine, disant que cela faisait partie de sa « mission civilisatrice ».(46) Il faut donc s’attendre à ce qu’on « sauve » un jour cette république et que s’achève ainsi la désintégration de l’ancienne Yougoslavie.

 

DES MANDATAIRES DU POUVOIR

 

En fait, Soros a déclaré qu’il considérait sa philanthropie comme morale et ses affaires de gestion d’argent comme amorales.(47) Pourtant, les responsables des ONG financées par Soros ont un agenda clair et permanent. L’une des institutions les plus influentes de Soros n’est autre que le Groupe international de Crise, fondé en 1986.

 

Le GIC est dirigé par des individus issus du centre même du pouvoir politique et du monde des entreprises. Son conseil d’administration compte entre autres en ses rangs Zbigniew Brzezinski, Morton Abramowitz, ancien secrétaire d’Etat adjoint aux Etats-Unis; Wesley Clark, ancien chef suprême des alliés de l’Otan pour l’Europe; Richard Allen, ancien conseiller national à la sécurité des Etats-Unis. Il vaut la peine de citer Allen : l’homme a quitté le Conseil national de la sécurité sous Nixon parce qu’il était dégoûté des tendances libérales de Henry Kissinger; c’est encore lui qui a recruté Oliver North pour le Conseil national de la sécurité sous Reagan, et qui a négocié l’échange missiles-otages dans le scandale des contras iraniens. Pour ces quelques individus, « contenir des conflits » équivaut à assurer le contrôle américain sur les peuples et ressources du monde entier.

 

Dans les années 1980 et 1990, sous l’égide de la doctrine reaganienne, les opérations secrètes ou à ciel ouvert des Etats-Unis battaient leur plein en Afrique, en Amérique latine, dans les Caraïbes et en Asie. Soros était ouvertement actif dans la plupart de ces endroits, oeuvrant à corrompre d’éventuels révolutionnaires en devenir, à sponsoriser des hommes politiques, des intellectuels et toute autre personne susceptible d’arriver au pouvoir lorsque l’agitation révolutionnaire serait retombée. Selon James Petras : « A la fin des années 1980, les secteurs les plus perspicaces des classes néo-libérales au pouvoir comprirent que leurs menées politiques polarisaient la société et suscitaient un ample mécontentement social.

 

UNE STRATéGIE PARALLèLE “à PARTIR DE LA BASE”

 

Les politiciens néo-libéraux se sont mis à financer et à promouvoir une stratégie parallèle ‘à partir de la base ‘, la promotion d’organisations en quelque sorte ‘tirées du sol’, à l’idéologie ‘anti-étatique’ et censées intervenir parmi les classes potentiellement conflictuelles, afin de créer un ‘tampon social’. Ces organisations dépendaient financièrement de ressources néo-libérales et étaient directement engagées dans la concurrence avec des mouvements socio-politiques pour la fidélité des dirigeants locaux et des communautés militantes. Dans les années 1990, ces organisations, décrites comme ‘non gouvernementales’, se comptaient par milliers et recevaient quelque 4 milliards de dollars pour l’ensemble de la planète. »(48)

 

Dans Underwriting Democracy (Garantir la démocratie), Soros se vante de « l’américanisation de l’Europe de l’Est ». Selon ses propres dires, grâce à ses programmes d’éducation, il a commencé à mettre en place tout un encadrement de jeunes dirigeants « sorosiens ». Ces jeunes hommes et femmes issus du moule éducatif de la Fondation Soros sont préparés à remplir des fonctions de ce qu’on appelle communément des « personnes d’influence ». Grâce à leur connaissance pratique des langues et à leur insertion dans les bureaucraties naissantes des pays ciblés, ces recrues sont censées faciliter, sur le plan philosophique, l’accès à ces pays des sociétés multinationales occidentales. Le diplomate de carrière Herbert Okun, qui siège en compagnie de George Soros au Comité européen de Human Rights Watch, entretient d’étroites relations avec toute une série d’institutions liées au département d’Etat, allant de l’USAID à la Commission trilatérale financée par Rockefeller. De 1990 à 1997, Okun a été directeur exécutif d’une organisation appelée le Corps des bénévoles des Sercvices financiers, qui faisait partie de l’USAID, « afin d’aider à établir des systèmes financiers de marché libre dans les anciens pays communistes ».(49) George Soros est en complet accord avec les capitalistes occupés à prendre le contrôle de l’économie mondiale.

 

LA RENTABILITE DU NON-MARCHAND

 

Soros prétend qu’il ne fait pas de philanthropie dans les pays où il pratique le commerce des devises.(50) Mais Soros a souvent tiré avantage de ses relations pour réaliser des investissements clés. Armé d’une étude de l’ICC et bénéficiant du soutien de Bernard Kouchner, chef de l’UNMIK (Administration intérimaire des Nations unies au Kosovo), Soros a tenté de s’approprier le complexe minier le plus rentable des Balkans.

 

En septembre 2000, dans sa hâte de s’emparer des mines de Trepca avant les élections en Yougoslavie, Kouchner déclarait que la pollution dégagée par le complexe minier faisait grimper les taux de plomb dans l’environnement.(51) C’est incroyable, d’entendre une chose pareille, quand on sait que l’homme a applaudi lorsque les bombardements de l’Otan, en 1999, ont déversé de l’uranium appauvri sur le pays et ont libéré plus de 100.000 tonnes de produits cancérigènes dans l’air, l’eau et le sol.(52) Mais Kouchner a fini par obtenir gain de cause et les mines ont été fermées pour des « raisons de santé ». Soros a investi 150 millions de dollars dans un effort pour obtenir le contrôle de l’or, l’argent, le plomb, le zinc et le cadmium de Trepca, lesquels confèrent à cette propriété une valeur de 5 milliards de dollars.(53)

 

Au moment où la Bulgarie implosait dans le chaos du « libre marché », Soros s’acharnait à récupérer ce qu’il pouvait dans les décombres, comme Reuters l’a rapporté au début 2001 : « La Banque européenne de Reconstruction et de Développement (BERD) a investi 3 millions de dollars chez RILA [une société bulgare spécialisée dans les technologies de pointe], la première société à bénéficier d’un nouveau crédit de 30 millions de dollars fixé par la BERD pour soutenir les firmes de high-tech en Europe centrale et de l’Est. (…) Trois autres millions de dollars venaient du fonds américain d’investissements privés Argus Capital Partners, sponsorisé par la Prudential Insurance Company of America et opérant en Europe centrale et de l’Est. (…) Soros, qui avait investi quelque 3 millions de dollars chez RILA et un autre million de 2001 (…) demeurait le détenteur majoritaire. »(54)

 

CERNER LES PROBLEMES

 

Ses prétentions à la philanthropie confèrent à Soros le pouvoir de modeler l’opinion publique internationale lorsqu’un conflit social soulève la question de savoir qui sont les victimes et qui sont les coupables. A l’instar d’autres ONG, Human Rights Watch, le porte-voix de Soros sur le plan des droits de l’homme, évite ou ignore la plupart des luttes de classes ouvrières organisées et indépendantes.

 

En Colombia, des dirigeants ouvriers sont très fréquemment assassinés par des paramilitaires opérant de concert avec le gouvernement sponsorisé par les Etats-Unis. Du fait que ces syndicats s’opposent à l’économie néo-libérale, HRW garde à propos de ces assassinats un relatif silence. En avril dernier, José Vivanco, de HRW, a témoigné en faveur du Plan Colombia devant le Sénat américain (55) : « Les Colombiens restent dévoués aux droits de l’homme et à la démocratie. Ils ont besoin d’aide. Human Rights Watch ne voit pas d’inconvénient fondamental à ce que ce soient les Etats-Unis qui fournissent cette aide. »(56)

 

HRW met les actions des combattants de la guérilla colombienne, qui luttent pour se libérer de l’oppression de la terreur d’Etat, de la pauvreté et de l’exploitation, sur le même pied que la répression des forces armées financées par les Etats-Unis et celle des escadrons paramilitaires de la mort, les AUC (Forces colombiennes unies d’autodéfense). HRW a reconnu le gouvernement de Pastrana et de ses militaires, dont le rôle était de protéger les droits à la propriété et de maintenir le statu quo économique et politique. Selon HRW, 50% des morts de civils sont l’œuvre des escadrons de la mort tolérés par le gouvernement.(57). Le pourcentage exact, en fait, est de 80%.(58)

 

HRW a validé les élections dans leur ensemble et l’accession au pouvoir du gouvernement Uribe, en 2002. Uribe est un parfait héritier des dictateurs latino-américains que les Etats-Unis ont soutenu dans le passé, bien qu’il ait été « élu ». HRW n’a pas eu de commentaire à propos du fait que la majorité des habitants ont boycotté les élections.(59)

 

CUBA DéMONISé PAR “HUMAN RIGHTS WATCH”

 

Dans le bassin caraïbe, Cuba est un autre opposant au néo-libéralisme à avoir été diabolisé par Human Rights Watch. Dans l’Etat voisin de Haïti, les activités financées par Soros ont opéré de façon à venir à bout des aspirations populaires qui ont suivi la fin de la dictature des Duvalier, et ce, en torpillant le premier dirigeant haïtien, démocratiquement élu, Jean-Bertrand Aristide. Ken Roth, de HRW, a abondé utilement dans le sens des accusations américaines reprochant à Aristide d’être « antidémocratique ». Pour étayer son idée de la « démocratie », les fondations de Soros ont entamé à Haïti des opérations complémentaires de celles si inconvenantes des Etats-Unis, telles la promotion par USAID de personnes associées aux FRAPH, les fameux escadrons de la mort sponsorisés par la CIA et qui ont terrorisé le pays depuis la chute de « Baby Doc » Duvalier.(60)

 

Sur le site de HRW, le directeur Roth a critiqué les Etats-Unis de ne pas s’être opposés à la Chine avec plus de véhémence. Les activités de Roth comprennent la création du Tibetan Freedom Concert (Concert pour la liberté du Tibet), un projet itinérant de propagande qui a effectué une tournée aux Etats-Unis avec d’importants musiciens de rock pressant les jeunes à soutenir le Tibet contre la Chine.(61) Le Tibet est un projet de prédilection de la CIA depuis de nombreuses années.(62)

 

Récemment, Roth a réclamé avec insistance que l’on s’oppose au contrôle de la Chine sur sa province riche en pétrole du Xinjiang. Avec l’approche colonialiste du « diviser pour conquérir », Roth a essayé de convaincre certaines membres de la minorité religieuse des Ouïgours au Xinjiang que l’intervention des Américains et de l’Otan au Kosovo contenait une promesse en tant que modèle pour eux-mêmes. Déjà en août 2002, le gouvernement américain avait soutenu quelque peu cette tentative également.

 

Les intentions américaines à propos de cette région sont apparues clairement lorsqu’un article du New York Times sur la province de Xinjiang, en Chine occidentale, décrivait les Ouïgours comme une « majorité musulmane vivant nerveusement sous domination chinoise. Ils « sont bien au courant des bombardements de la Yougoslavie par l’Otan, l’an dernier, et certains les encensent pour avoir libéré les musulmans du Kosovo; ils s’imaginent pouvoir être libérés de la même manière ici ».(63) Le New York Times Magazine, de son côté, notait que « de récentes découvertes de pétrole ont rendu le Xinjiang particulièrement attrayant au yeux du commerce international » et, en même temps, comparaît les conditions de la population indigène à celles du Tibet.(64)

 

DES DEFICIENCES EN CALCUL

 

Lorsque les organisations sorosiennes comptent, elles semblent perdre toute notion de vérité. Human Rights Watch affirmait que 500 personnes, et non pas plus de 2.000, avaient été tuées par les bombardiers de l’Otan au cours de la guerre de Yougoslavie, en 1999.(65) Elles prétendent que 350 personnes seulement, et non pas plus de 4.000, étaient mortes suite aux attaques américaines en Afghanistan.(66) Lorsque les Américains ont bombardé Panama en 1989, HRW a préfacé son rapport en disant que « l’éviction de Manuel Noriega (…) et l’installation du gouvernement démocratiquement élu du président Guillermo Endara amenait de grands espoirs au Panama (…) ». Le rapport omettait de mentionner le nombre de victimes.

 

Human Rights Watch a préparé le travail de terrain pour l’attaque de l’Otan contre la Bosnie, en 1993, avec de fausses allégations de « génocide » et de viols par milliers.(67) Cette tactique consistant à susciter une hystérie politique était nécessaire pour que les Etats-Unis puissent mener à bien leur politique dans les Balkans. Elle a été réutilisée en 1999 lorsque HRW a fonctionné en qualité de troupes de choc de l’endoctrinement pour l’attaque de la Yougoslavie par l’Otan. Tout le bla-bla de Soros à propos du règne de la loi a été oublié d’un seul coup. Les Etats-Unis et l’Otan ont imposé leurs propres lois et les institutions de Soros étaient derrière pour les soutenir.

 

Le fait de trafiquer des chiffres afin d’engendrer une réaction a été une composante importante de la campagne du Conseil des relations étrangères après le 11 septembre 2001. Cette fois, il s’agissait des 2.801 personnes tuées au World Trade Center. Le Conseil des relations étrangères (CRE) se réunit le 6 novembre 2001 afin de planifier une « grande campagne diplomatique publique ». Le CRE créa une « Cellule de crise indépendante sur la réponse de l’Amérique au terrorisme ». Soros rejoignit Richard C. Holbrooke, Newton L. Gingrich, John M. Shalikashvili (ancien président des chefs d’état-major réunis) et d’autres individus influents dans une campagne visant à faire des morts du WTC des outils de la politique étrangère américaine. Le rapport du CRE mit tout en œuvre pour faciliter une guerre contre le terrorisme.

 

VANTER ET DéFENDRE LA POLITIQUE éTRANGèRE AMéRICAINE

 

On peut retrouver les empreintes de George Soros un peu partout, dans cette campagne : « Il faut que les hauts fonctionnaires américains pressent amicalement les Arabes amis et autres gouvernements musulmans non seulement de condamner publiquement les attentats du 11 septembre, mais également de soutenir les raisons et les objectifs de la campagne antiterroriste américaine. Nous n’allons jamais convaincre les peuples du Moyen-Orient et de l’Asie du Sud de la légitimité de notre cause si leurs gouvernements restent silencieux. Il nous faut les aider à éviter tout retour de flamme pouvant émaner de telles déclarations, mais il faut que nous les convainquions de s’exprimer de vive voix. (…) Encouragez les musulmans bosniaques, albanais et turcs à apprendre à des auditoires étrangers à considérer le rôle des Américains dans le sauvetage des musulmans de Bosnie et du Kosovo en 1995-1999 ainsi que nos liens étroits et de longue durée avec les musulmans dans le monde entier. Engagez les intellectuels et les journalistes du pays à prendre la parole également, quels que soient leurs points de vue. Informez régulièrement la presse régionale en temps réel pour encourager des réponses rapides. (…) Insistez sur la nécessité de faire référence aux victimes (et citez ces dernières nommément afin de mieux les personnaliser) chaque fois que nous discutons de nos motifs et de nos ob­jectifs.»(68)

 

Bref, les déficiences sorosiennes en calcul servent à vanter et à défendre la politique étrangère américaine.

 

Soros est très ennuyé par le déclin du système capitaliste mondial et il veut faire quelque chose à ce propos, et maintenant, encore. Récemment, il déclarait : « Je puis déjà discerner les préparatifs de la crise finale. (…) Des mouvements politiques indigènes sont susceptibles d’apparaître qui chercheront à exproprier les sociétés multinationales et à reprendre possession des richesses ‘nationales’. »(69)

 

Soros suggère le plus sérieusement du monde un plan pour contourner les Nations unies. Il propose que les « démocraties du monde devraient prendre les rênes et constituer un réseau mondial d’alliances qui pourraient travailler avec ou sans les Nations unies ». Si l’homme était psychotique, on pourrait penser qu’il était en crise, à ce moment précis. Mais le fait est que l’affirmation de Soros : « les Nations unies sont constitutionnellement incapables de remplir les promesses contenues dans le préambule de leur Charte » reflète la pensée des institutions réactionnaires du genre de l’American Enterprise Institute.(70) Bien que maints conservateurs font référence au réseau de Soros comme étant de gauche, si l’on aborde la question de l’affiliation des Etats-Unis aux Nations unies, Soros est exactement sur la même longueur d’onde que les semblables de John R. Bolton, sous-secrétaire d’Etat pour le Contrôle des Armes et les Affaires de Sécurité internationale qui, en même temps que « de nombreux républicains du Congrès, croient qu’il ne faut pas accorder davantage de crédit au système des Nations unies ».(71) La droite a mené une campagne de plusieurs décennies contre l’ONU. Aujourd’hui, c’est Soros qui l’orchestre. Sur divers sites web de Soros, on peut lire des critiques des Nations unies disant qu’elles sont trop riches, qu’elles ne sont guère désireuses de partager leurs informations, ou qu’elles se sont affaiblies dans des proportions qui les rendent impropres à la manière dont le monde devrait tourner, selon George Soros, du moins.

 

LES “PROGRESSISTES” OCCIDENTAUX ONT DONNé UN BLANC-SEING à SOROS

 

Même les auteurs écrivant dans The Nation, des auteurs censés en savoir beaucoup plus, ont été influencés par les idées de Soros. William Greider, par exemple, a récemment découvert quelque pertinence dans la critique de Soros disant que les Nations unies ne devrait pas « accueillir les dictateurs de pacotille et les totalitaristes ni les traiter en partenaires égaux ».(72) Ce genre de racisme eurocentrique constitue le noyau de l’orgueil démesuré de Soros. Quand il affirme que les Etats-Unis peuvent et devraient diriger le monde, c’est un plaidoyer pour le fascisme à l’échelle mondiale. Pendant bien trop longtemps, les « progressistes » occidentaux ont donné un blanc-seing à Soros. Il est probable que Greider et les autres trouvent que l’allusion au fascisme est excessive, injustifiée et même insultante.

 

Mais écoutez plutôt, et d’une oreille attentive, ce que Soros lui-même a à dire : « Dans la Rome ancienne, seuls les Romains votaient. Sous le capitalisme mondial moderne, seuls les Américains votent. Les Brésiliens, eux, ne votent pas. »

 

Heather COTTIN.