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lundi, 11 mars 2019

È morto Guillaume Faye, l’uomo che ha cambiato il pensiero non conforme europeo

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È morto Guillaume Faye, l’uomo che ha cambiato il pensiero non conforme europeo

 
Ex: https://www.ilprimatonazionale.com

Parigi, 7 mar – Con il decesso di Guillaume Faye, morto nella notte tra 6 e 7 marzo, scompare dalla scena metapolitica europea uno dei pochi intellettuali che ha davvero cambiato il modo in cui tutti noi pensiamo, anche chi non l’ha mai letto, anche chi lo ha letto pensandola diversamente su tanti temi. Gravemente malato da tempo, accudito da un pugno di sodali devoti, Faye ha mostrato sino all’ultimo più interesse per il mondo delle idee che per la propria persona, anche a costo di trascurare la propria salute pur di continuare a scrivere. Pur non avendolo mai conosciuto, negli ultimi tempi avevo provato diverse volte a contattarlo, scrivendo alla mail del suo sito. Una prima volta mi aveva risposto, acconsentendo a un’intervista. Ma, quando gli avevo mandato le domande via mail, aveva dichiarato di non aver ricevuto nulla, chiedendomi di inviargliele nuovamente… via lettera. Cosa invero singolare, per un profeta della tecnoscienza. Avevo fatto un secondo tentativo, al fine di cooptarlo sul Primato Nazionale, in cui una sua rubrica fissa sarebbe stata più che gradita. Non mi rispose mai, probabilmente perché stava già male.

La Nuova Destra francese

Faye era nato il 7 novembre 1949 ad Angoulême, il capoluogo del dipartimento della Charente, situato nella regione Nuova Aquitania. In un’intervista aveva detto: «Sono stato allevato nel culto del nazionalismo francese, di tendenza bonapartista, e il risultato paradossale fu un patriottismo europeo. Il mio ambiente sociale d’origine è quello della grande borghesia parigina, che conosco perfettamente dall’interno e di cui non ho mai condiviso gli ideali conformisti e materialisti». Diplomato all’Institut d’études politiques di Parigi e titolare di un dottorato in scienze politiche, è stato uno dei principali teorici del Groupement de Recherches et Etudes pour la Civilisation Européenne (Grece), e dell’ambiente più tardi noto come Nuova Destra francese, nel periodo che va dal 1970 al 1986. Faye si avvicina al Grece su invito di Dominique Venner, senza un pedigrée pregresso particolarmente legato alla destra. Tra le figure che lo hanno segnato fino a quel momento c’è semmai il marxista e situazionista Henri Lefebvre. In questa fase, Faye propone un pensiero volontarista, faustiano, marcatamente nietzscheano e portatore di un neopaganesimo postmoderno. La sua visione del mondo esalta la tecnoscienza visionaria dello spirito europeo. Non sono rare le provocazioni, soprattutto in tema etico e sessuale.

In un articolo di qualche anno fa, Stefano Vaj, amico di lunga data del francese, così descrive il primo impatto con il personaggio Faye, nell’ambito di un convegno del Grece: «Oratore eccezionale, ipnotico persino nel leggere una relazione scritta nell’atmosfera ovattata di un convegno di studi in un palazzo dei congressi, Guillaume Faye assomigliava un po’ fisicamente e nelle movenze al giovane Feddersen, interpretato da Gustav Froelich, protagonista di Metropolis di Fritz Lang; ed era già indiscutibilmente l’astro nascente del movimento. […] Faye lasciava un’impressione di “lucido fanatismo” in cui si mescolavano reminiscenze di Che Guevara, D’Annunzio, Ignazio di Loyola e Goebbels, alquanto lontane dal materiale umano settario e arrivista, conformista e reazionario, che dominava la mia esperienza politica italiana dell’epoca. Le notti passate a discutere delle questioni fondamentali della nostra epoca e del futuro dell’Europa nella campagna provenzale delle Université d’Eté del GRECE diventarono anzi ben presto una benvenuta boccata di ossigeno".

Il sistema per uccidere i popoli

Figlio di questa fase è l’eccezionale Le Système à tuer les peuples, puntuale diagnosi della globalizzazione scritta… nel 1981, quando l’agenda politica dell’Occidente era interamente occupata dalla Guerra fredda. In un mondo diviso in due, con le varie destre spesso preoccupate di rappresentare con il dovuto zelo il ruolo di sentinelle dell’Occidente, Faye si preoccupava dell’uniformità del pianeta all’insegna di un’unica ideologia consumistica, smobilitante, borghese, universalistica. Libro profetico se mai ve ne fu uno, Il sistema per uccidere i popoli – di cui esiste una traduzione in italiano, realizzata dallo stesso Vaj, più volte riproposta in diverse edizioni, l’ultima recentemente da Aga editrice – aveva inoltre il merito di proporre una lettura del potere totalmente aliena da schemi complottistici e semplificazioni settarie. La caratteristica principale del Sistema descritto da Faye era anzi proprio il fatto di «funzionare» in modo meccanico, impersonale, acefalo. Una lezione da ripassare, proprio oggi che gli spettri di mega cospirazioni tornano a dominare la scena di coloro che vorrebbero opporsi al medesimo Sistema.

Definito l’«antipapa della Nouvelle Droite» rispetto al «pontefice» riconosciuto dell’ambiente, Alain de Benoist, Faye non potrebbe aver avuto una personalità più diversa da quella dell’autore di Visto da destra: tanto meticoloso, enciclopedico, «intellettuale» de Benoist, quanto estroso, polemico, «militante» il secondo. Caratteristiche che comportano, in entrambi i casi, tanti pregi quanti difetti. Nel 1986, Faye rompe con l’ambiente del Grece, parallelamente ad altri esponenti illustri del medesimo ambiente, come lo storico Jean-Claude Valla. Per un decennio, Faye sta lontano dalla politica e dalla cultura: partecipa a programmi radio, fa provocazioni mediatiche, avrebbe persino preso parte, secondo una leggenda metropolitana da lui stesso alimentata, a dei film porno in qualità di attore.

Archeofuturismo

Nel 1998, il grande ritorno alla battaglia delle idee con Archeofuturismo, uno dei testi più importanti degli ultimi 30 anni. Lo scorso marzo, in occasione della riedizione del testo, ancora per i tipi di Aga, scrivevo che l’opera «incise fortemente sull’immaginario dei due decenni che seguirono, non perdendo sostanzialmente di attualità. […] La tesi del libro è nota, anche solo per essere stata orecchiata qua e là: bisogna unire Evola e Marinetti, il sacro e la tecnoscienza, la potenza dell’arcaico e le suggestioni avveniristiche. […] Ma era soprattutto il discorso sull’islam che era destinato a sconvolgere i vecchi ammiratori di Faye e a creare dibattito nel suo pubblico naturale. Il vecchio cantore della ‘causa dei popoli’ contro il sistema americanocentrico riemergeva dal nulla chiamando alla guerra contro i musulmani. Eresia, tradimento, zampino della Cia o del Mossad? Sul tema, come al solito, la visione fayana tendeva a portare i concetti all’estremo, con non poche forzature e qualche argomento tagliato con l’accetta».

Proprio nel numero di febbraio 2019 del Primato Nazionale è presente un’intervista a Guillaume Faye dai caratteri semi-testamentari.

Con il passare degli anni, l’accetta si era fatta sempre più affilata, anche se le vette visionarie, originali, mobilitanti di Archeofuturismo non sarebbero più state toccate. Tra le sue opere di questo secondo periodo, merita una menzione il misconosciuto Pourquoi nous combattons?, operetta minore, sorta di breviario militante davvero ricco di spunti. Tra i libri che più avevano fatto parlare e sparlare di sé c’era invece La nouvelle question juive, per cui era ovviamente stato bollato come agente del sionismo internazionale. L’ultimissimo saggio, uscito proprio in questi giorni, testimoniava un ulteriore, controverso passo verso una radicalità sempre più accentuata, a cominciare dal titolo: Guerre civile raciale. Un testo su cui sarebbe stato bello discutere e magari anche litigare. Non ce n’è stato il tempo.

Adriano Scianca

Guillaume Faye, l’uomo delle provocazioni vulcaniche. Il ricordo di Stefano Vaj

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Guillaume Faye, l’uomo delle provocazioni vulcaniche. Il ricordo di Stefano Vaj

Ex: https://www.ilprimatonazionale.it

Roma, 11 mar – “Soltanto il pensiero radicale é fecondo. Perché esso solo crea concetti audaci che spezzano l’ordine ideologico egemonico, e permettono di sfuggire al circolo vizioso di un sistema di civiltà rivelatosi fallimentare. Per riprendere la formula del matematico Rene Thom, autore della Teoria delle catastrofi, soltanto i ‘concetti radicali’ possono far crollare un sistema nel caos — la ‘catastrofe’ ovvero cambiamento di stato violento e repentino — al fine di dar vita a un altro ordine”.

Guillaume Faye ha rappresentato la declinazione intellettuale e polemica, e l’esempio, di un nietzschanesimo pratico che non vede un senso nello stare nel mondo se non per capirlo, e non vede un senso nel capirlo se non per cambiarlo. Il rispetto museale per esperienze passate, l’erudizione compiaciuta, l’accuratezza filologica, la paura del cambiamento, la ricerca della popolarità personale, l’accorta navigazione tra i pregiudizi del proprio pubblico, il moralismo lugubre del militante severo, non hanno mai avuto alcuna cittadinanza in questo entusiasmo panico che è ciò che mi ha sempre attirato di un amico e un interlocutore la cui attività e pensiero hanno fortemente condizionato la mia propria parabola intellettuale.

Un condizionamento largamente dialettico, perché una formazione e sensibilità largamente comuni non ci hanno mai impedito di difendere conclusioni spesso diverse, talora opposte, su vari argomenti, a partire comunque da presupposti e sensibilità condivisi, a cominciare dall’idea che le provocazioni vadano accettate e affrontate seriamente a prescindere dalla loro provenienza, e che in ogni problema, in ogni sviluppo passato o presente, si celi a fianco del pericolo un’opportunità che diversamente non si sarebbe mai aperta. Ma un condizionamento tanto significativo che non sarebbe una grande esagerazione dire che ho imparato davvero il francese per tradurre Il sistema per uccidere i popoli.

 

gf-af.jpgCosì, anche dopo che i nostri contatti personali e telefonici si sono fatti più sporadici, i miei due scritti principali, Indagine sui diritti dell’uomo  e Biopolitica. Il nuovo paradigma oltre ad essere farciti di citazioni fayane, non fanno altro che rappresentare sviluppi paralleli di preoccupazioni comuni, e un terzo testo – che mi ha creato qualche problema anche in connessione alla decisione di chi l’aveva originariamente pubblicato di intitolarlo Per un’autodifesa etnica totale – rappresenta in realtà una rilettura critica delle questioni sollevate in La colonisation de l’Europe, di cui continuo a non condividere le valutazioni inerenti al ruolo dell’Islam, ma che rappresenta ancora oggi uno dei testi fondamentali con cui è necessario confrontarsi nell’approfondire il tema della immigrazione extraeuropea nel nostro continente.

Ugualmente, il mio impegno più recente nel mondo transumanista, e in particolare nella AIT e in quello dell’associazionismo identitario e federalista di Terra Insubre, i cui esponenti oggi rivestono in Italia posizioni istituzionali ed accademiche di grande rilievo, rappresentano a loro volta riflessi di interessi condivisi, che proprio nel momento della morte di Faye giungono in qualche modo a maturazione nella coscienza collettiva almeno di minoranze significative della nostra società, con esiti che cominciano a trascendere la sociologia e il movimento delle idee per entrare nella storia.

In questo quadro, le posizioni e le provocazioni vulcanicamente espresse e promosse da Faye nel corso di più di quarant’anni non sono state estranee al mutamento di prospettiva in essere, anche se lui stesso non prendeva più sul serio tutto quello che diceva di quanto da parte loro facessero Nietzsche o Marinetti, lo scopo essenziale essendo quello di chiamare il lettore o l’ascoltatore a “mettere il pensiero in moto”, e ad esplorare percorsi che lo portino a considerare in una luce diversa quello che crede di sapere o di avere capito sui processi passati e su quelli in corso, anziché perdersi in dettagli o preoccupazioni documentarie, per cui l’autore dimostrava la propria noncuranza anche attraverso il vezzo di introdurre regolarmente in tutte le sue opere…una singola fonte falsa, inventata di sana pianta!

Perciò, poco mi convince chi puntigliosamente non gli perdona di associare, soprattutto nelle opere più direttamente riconnesse all’attualità politica, intuizioni profonde ad ipotesi od approcci implausibili e balzani quando non pericolosamente ambigui, e talora contraddittori rispetto a tesi contemporaneamente sostenute nel medesimo testo – come è il caso per buona parte del libro sulla Nouvelle question juive, che gli ha attirato gli strali di buona parte del mondo ebraico e della totalità di quello dell’antisemitismo primario, e che mi sono visto a sorpresa e con un certo imbarazzo dedicare. E continuo perciò a considerare prezioso e decisivo il suo ruolo anche nella sua produzione più discutibile, e fortunato il caso che ha fatto sì che ci conoscessimo e stringessimo un’amicizia fatta soprattutto di un impegno attorno a valori comuni.

Valori che restano espressi soprattutto nella parte più teorica e meno nota, ma non meno provocatoria, della sua opera, come come Per farla finita con il nichilismo, analisi non sempre attendibile ma geniale del pensiero di Heidegger uscita in italiano grazie a Francesco Boco, o Futurismo e Modernità, originariamente pubblicata da Divenire. Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano, e che meriterebbe certamente una riscoperta.

Stefano Vaj

Réseaux 5G : encore une révolution qui échappe à l’Europe ?...

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Réseaux 5G : encore une révolution qui échappe à l’Europe ?...

par Christopher Th. Coonen

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Nous reproduisons ci-dessous un point de vue de Christopher Coonen cueilli sur Geopragma et consacré aux enjeux pour l'Europe de la technologie 5G. Membre de Geopragma, Christopher Coonen a exercé des fonctions de directions dans des sociétés de niveau international appartenant au secteur du numérique.

Réseaux 5G : encore une révolution qui échappe à l’Europe ?

Le mot « 5G » sera sur toutes les lèvres lors du « Mobile World Congress » du 25 au 28 février prochains, grand-messe mondiale annuelle de la téléphonie mobile à Barcelone. Pourquoi ? Car c’est l’héritier tant attendu du standard actuel, la 4G.

Nous utilisons nos smartphones en France et en Europe depuis 2012 à leur plein potentiel grâce à la 4G. Ce fut alors une petite révolution, car la 4G offrait deux atouts : premièrement, elle permettait la circulation des appels vocaux directement par Internet et non plus par le réseau téléphonique. Deuxièmement, la 4G s’appuyait sur le « multiplexage » (passage de différents types d’information par le même canal) permettant d’augmenter les flux d’informations et des données.

Le réseau 4G donne un aspect superlatif au terme haut débit. A juste titre : ses débits théoriques sont nettement supérieurs à la génération précédente (3G), allant de 42 Megabits / seconde à 300 Megabits / seconde pour la « LTE » (Long Term Evolution). La « LTE Advanced » va au-delà de 1 Gigabit/seconde.

Les inventeurs de WhatsApp ne s’y étaient pas trompés, lançant en 2009 une application Android et iOS permettant un service de messagerie, de MMS (envoi de messages enrichis de photos, vidéos et messages vocaux), et d’appels vocaux, tous gratuits sous réseau WIFI, faisant trembler les opérateurs traditionnels de téléphonie mobile qui voyaient déjà leurs millions d’abonnés les déserter. Pour la petite histoire, ces démissionnaires de Yahoo! avaient postulé chez Facebook et vu leurs candidatures rejetées, avant de se faire racheter à prix d’or quelques années plus tard en 2014 par le même Facebook pour la modique somme de 19 milliards de dollars…Facebook impliqué dans le scandale de l’usurpation de données via Cambridge Analytica, et décrié par certains de ses anciens employés pour une insoutenable légèreté de l’être s’agissant du traitement des données personnelles. Facebook a 1,7 milliard d’abonnés au niveau mondial, WhatsApp 1,5 milliard – de lourds enjeux.

Nous voici au cœur du sujet : avec la 5G, le débit de données sera 10 à 100 fois plus puissant qu’avec la 4G. Au-delà des calculs et des quantités de débit, il existe un calcul de pouvoir, d’influence et de renseignement qui devrait inquiéter au plus haut point tous dirigeants politiques, militaires et d’entreprises. En effet, contrairement à la 4G, les données ne seront plus uniquement transportées d’un point A vers un point B, mais bien interactives dans tous les sens et depuis de multiples sources, rendant la gestion des villes connectées, les utilisations des voitures autonomes ou encore des drones civils et militaires bien plus efficaces avec des réactions en contexte et en temps infiniment réel. C’en sera fini de la « latence technologique ».

Or, face à ces enjeux de souveraineté colossaux, comme d’ailleurs sur bien d’autres sujets, l’Europe se retrouve de nouveau coincée entre les Etats-Unis et la Chine.

Les grandes manœuvres ont débuté pour l’attribution des licences 5G à l’échelle mondiale, ainsi que les appels d’offre organisés pour la construction de ce réseau révolutionnaire qui comprendra des « backbones » de fibre optique terriens et sous-marins, des routeurs et des réseaux du dernier kilomètre. Les entreprises qui les installeront auront à gérer leur part de réseau et les données y transitant, et pourraient assez facilement créer des « portes arrière » pour capter et potentiellement copier celles-ci.

Imaginons le revers de la médaille. Ces applications tellement plus puissantes et versatiles auront aussi leur talon d’Achille : les hackers d’Etat, petits ou grands, ou des pirates informatiques privés, pourront créer de véritables crises et failles en déréglant la circulation de véhicules en ville, paralysant totalement ces mêmes villes, ou encore en faussant le ciblage de la livraison d’un colis ou d’un missile…Il n’existe pas pour le moment de standard de cryptographie et de sécurité associé à la 5G.

Entre temps, sur l’autre rive de l’Atlantique, le Président Trump a pourtant adressé aux agences fédérales en octobre 2018 l’un de ses « Memorandum » : « il est impératif que les Etats-Unis soient les premiers dans la technologie cellulaire de cinquième génération (5G) », soulignant que la course à la 5G avec la Chine était une priorité de sécurité nationale. Mais en oubliant de mentionner l’importance de la cyber-sécurité de ces nouveaux réseaux et abrogeant même des dispositions prises par la « Federal Communications Commission » de l’administration du Président Obama pour que les réseaux de la 5G soient sécurisés en amont par des standards pour réduire les risques d’intrusions et de cyberattaques…

C’est donc un vide sidéral de part et d’autre face à des dangers très tangibles et incroyablement destructeurs. S’affrontent sur cette question de standards gouvernements et acteurs privés, et ces derniers ont bien plus de chance d’innover rapidement et de se mettre en ordre de bataille avant que ne le fassent les bureaucraties d’Etat ou pire la bureaucratie communautaire avec telle ou telle « directive » ; notre regard peut s’arrêter sur l’impuissance et même l’inconscience des nations sur ces sujets depuis vingt ans sur toutes sortes de questions liées à la technologie… En l’absence de standards et de supervision, tout est possible.

Avec la 5G se dessine donc un combat mondial entre les géants qui construisent et gèrent déjà nos réseaux 4G en Europe : Cisco (US), Ericsson, Nokia et Alcatel (EU) –qui tous trois possèdent des parts de marché minoritaires aujourd’hui – et deux géants chinois, ZTE et Huawei. Cette dernière a fait les choux gras des quotidiens récemment, avec la détention de sa DAF (surtout fille du fondateur) au Canada sous mandat d’arrêt des Etats-Unis pour violation potentielle des sanctions mises en place contre l’Iran. Huawei s’est vue qualifiée par la Commission Européenne de société « inquiétante » car les terra datas qu’elle traite pourraient tomber dans la nasse des services de renseignements chinois. Huawei est en pleine ascension en Europe, ayant doublé ses effectifs entre 2013 et 2018 pour atteindre 14.000 employés, avec une part de marché des infrastructures de réseaux européens estimée à 15-20%. Son chiffre d’affaires en 2018 s’est établi à 100 milliards de dollars, plus que Cisco et même IBM. Elle a détrôné Apple pour devenir le deuxième vendeur de smartphones au monde, derrière Samsung.

Contre ce mastodonte, les Etats-Unis mènent une campagne de pressions notamment envers les opérateurs télécom en Europe, ainsi qu’envers nos gouvernements pour sortir Huawei de cette « course aux armements » du 21ème siècle d’un nouveau genre. L’Administration américaine a dépêché des émissaires au Royaume-Uni, en Allemagne, et en Pologne en 2018 pour faire passer un message très clair : les gains de coûts associés au fait d’utiliser un prestataire tel que Huawei sont sans commune mesure avec les risques (et coûts) d’intrusions chinoises dans les infrastructures de l’OTAN…et la possible remise en cause de la construction d’une base de l’armée américaine en Pologne évaluée à USD $ 2 milliards. L’effet de cette campagne s’est même fait ressentir jusqu’en Australie qui a sorti Huawei des appels d’offres liés à la 5G.

Lorsque Huawei et ZTE ont remplacé les puces américaines par des chinoises dans leurs smartphones, le gouvernement des Etats-Unis a sommé ses deux plus importants opérateurs de téléphonie mobile, AT&T et Verizon, d’arrêter la vente de ces smartphones dans leurs boutiques. Ils s’y sont pliés sans broncher.

La crainte des Etats-Unis repose en partie sur une loi de l’Empire du Milieu datant de 2017, la « Loi Nationale d’Intelligence », qui enjoint les sociétés chinoises de soutenir et de coopérer avec les services de renseignement chinois, où qu’elles opèrent.

Mais cette posture du gouvernement américain est imprégnée d’une hypocrisie sans vergogne. Car dans cette affaire, il existe aussi un angle « NSA » (National Security Agency), les « Grandes Oreilles » de notre grand allié qui sont allées jusqu’à épier les téléphones mobiles de chefs d’Etat « amis ». En 2013, son directeur, l’Amiral Michael S. Rogers, avait interdit aux dirigeants des opérateurs télécom américains d’inclure Huawei ou tout autre acteur chinois dans leurs appels d’offre. Ensuite, grâce aux révélations d’Edward Snowden, nous savons qu’une opération de piratage conduite à partir de 2010 par cette même agence, nommée « Shotgiant », lui a permis de s’immiscer dans les systèmes d’information du géant à son QG à Shenzhen. Cette intrusion n’aurait apparemment pas révélé l’existence de codes sources « malins » ou de programmes systématiques de collecte de données.  Le gouvernement américain continue à ce jour de démentir l’existence d’une telle opération.

Et l’Europe, où est-elle dans tout cela ? Elle est loin sur son propre territoire, de reconstruire et même simplement de rénover son propre réseau avec les seuls acteurs nordiques et français. Elle se retrouve coincée entre les acteurs publics et privés chinois et américains. Peut-être pourrait-elle donner l’exemple comme elle l’a fait avec la RGPD, encore faudrait-il qu’il y ait une véritable prise de conscience et une ambition stratégique de la part de nos leaders politiques pour « sécuriser » cette révolution technologique, protéger les données confidentielles de nos entreprises et de nos gouvernements, et même pour s’en emparer. Il y a urgence. La mise en place de la RGPD est en effet d’ores et déjà elle-même menacée par le « Cloud Act II » voté par le Congrès américain en 2018.

Christopher Th. Coonen (Geopragma, 11 février 2019)

Lille : Conférence de Iurie Rosca et Robert Steuckers

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Moldavie, la virgule euro-russe

Samedi 23 mars 2019 à Lille :

Conférence de Iurie Rosca et Robert Steuckers

Ancien vice-premier ministre de Moldavie, journaliste et éditeur, Iurie Rosca est le principal coordinateur des colloques eurasistes de Chisinau, qu’il présente comme un anti-Davos. Persécuté par les oligarques qui dirigent son pays, il avait été menacé en 2018 d’une peine de 7 ans de prison.

C’est donc un authentique dissident anti-mondialiste que l’équipe d’ER Lille accueillera le samedi 23 mars prochain pour une rencontre avec l’historien belge Robert Steuckers sur le rôle géopolitique de la « Moldavie, la virgule euro-russe ».

Réservations : reservation.erlille@outlook.fr

Le Président des ultra-riches. Chronique du mépris de classe dans la politique d’Emmanuel Macron

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Le Président des ultra-riches Chronique du mépris de classe dans la politique d’Emmanuel Macron

par Frédéric Stévenot

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« Macron, c’est moi en mieux », confiait Nicolas Sarkozy en juin 2017. En pire, rectifient Michel Pinçon et Monique Pinçon-Charlot. Huit ans après Le Président des riches, les sociologues de la grande bourgeoisie poursuivent leur travail d’enquête sur la dérive oligarchique du pouvoir en France.

Au-delà du mépris social évident dont témoignent les petites phrases du président sur « ceux qui ne sont rien », les auteurs documentent la réalité d’un projet politique profondément inégalitaire. Loin d’avoir été un candidat hors système, Emmanuel Macron est un enfant du sérail, adoubé par les puissants, financé par de généreux donateurs, conseillé par des économistes libéraux. Depuis son arrivée au palais, ce président mal élu a multiplié les cadeaux aux plus riches : suppression de l’ISF, flat tax sur les revenus du capital, suppression de l’exit tax, pérennisation du crédit d’impôt pour les entreprises… Autant de mesures en faveur des privilégiés qui coûtent un « pognon de dingue » alors même que les classes populaires paient la facture sur fond de privatisation plus ou moins rampante des services publics et de faux-semblant en matière de politique écologique.
Mettant en série les faits, arpentant les lieux du pouvoir, brossant le portrait de l’entourage, ce livre fait la chronique édifiante d’une guerre de classe menée depuis le cœur de ce qui s’apparente de plus en plus à une monarchie présidentielle ».

Si le titre de l’ouvrage évoque à dessein l’une des précédentes publications des « Pinçon-Charlot »[1] , l’attention du lecteur doit se concentrer sur le sous-titre. Car le projet du livre y est défini très clairement. Le couple de sociologues utilise les connaissances acquises au cours de leurs nombreuses enquêtes au sein des élites pour analyser le parcours de l’actuel président de la République, mais aussi les mesures prises en l’espace d’une année et demie.

Les cent-soixante seize pages de cet ouvrage se lisent sans aucune difficulté, l’humour n’y étant pas pour rien. Les mieux informés ne trouveront pas de révélations inédites sur le personnage du président de la République, ce qui n’est d’ailleurs pas l’objectif des auteurs. En revanche, ils nous offrent une synthèse qui permet de mettre en relation tout ce que l’on sait sur lui, très précisément informée. Encore s’agit-il d’une analyse de type sociologique bâtie autour d’une problématique : en quoi E. Macron est-il représentatif de la classe sociale dont il est issu et dont il porte les intérêts ?

Si l’on se fie à ce que les auteurs disent en préambule, leur « Président des ultra-riches » est une réponse au défi lancé implicitement par E. Macron, dont les propos avaient été rapportés par Le Canard Enchaîné, à l’automne 2017. Il réfutait le fait qu’on puisse le qualifier de « président des riches », comme l’avait été N. Sarkozy : « personne ne peut me relier à cette image ». À défaut de cela, les sociologues devaient pouvoir démontrer facilement le mépris et la condescendance exprimés par le candidat puis par le président, en s’appuyant sur les premières mesures qui venaient appuyer les « macronades ». Ils rappellent toutefois les conditions de son élection : 24 % des votes exprimés, mais seulement 18,2 % des inscrits au premier tour, soit le plus mauvais résultat de toute la Cinquième République. Ce qui inciterait à la modestie laisse au contraire place à l’arrogance, au nom de la légitimité sortie des urnes. Ils rappellent également les conditions de la campagne électorale, et la construction d’un candidat « hors système », alors que son parcours démontre à l’envi qu’il se place parfaitement dans le système. On se dit alors que, finalement, avec une base populaire aussi restreinte, les mesures prises par le nouveau président sont en parfait accord avec ceux qui le soutiennent réellement. C’est justement la conclusion à laquelle parvient les Pinçon-Charlot, « en croisant le contenu de sa politique sociale et économique avec sa trajectoire sociobiographique et le maillage oligarchique de son pouvoir » (p. 155).

Quand la rédaction du livre s’est achevé, le mouvement des « gilets jaunes » avait commencé. La reprise de deux récits publiés dans L’Humanité (26 nov. et 11 déc. 2018) s’imposait pour confirmer le bien-fondé du propos du livre. En effet, l’un des thèmes exprimés par les manifestants concernait sinon la personne du président de la République, au moins le mépris de classe qu’il n’avait cessé d’exprimer.

Frédéric Stévenot, pour Les Clionautes

[1] Michel Pinçon et Monique Pinçon-Charlot, Le Président des riches. Enquête sur l’oligarchie dans la France de Nicolas Sarkozy, La Découverte, coll. « Zones », 2010, rééd. La Découverte, coll. « Poches/Essais », 2011.
 

Lumière de la Tradition

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Lumière de la Tradition

par Alastair Crooke
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Nous présentons rapidement un texte d’Alastair Crooke avant de revenir sur certaines réflexions qu’il suscite nécessairement, certes par son contenu, mais encore plus par sa chronologie qui renvoie à d’autres réflexions sur le même thème. Ce thème, c’est celui de l’interrogation fondamentale sur ce qu’on nomme la Tradition, comme orientation majeure qui pourrait nous suggérer des élans, des conceptions, des perceptions permettant d’aborder l’immense question du véritable “Grand Remplacement” qui devrait nous importer : qu’est-ce qui remplacera cette immense et infâme Système qui entend conduire la civilisation, la terre et tout le reste à un destin catastrophique anthropisation, et qui ne peut que s’effondrer lui-même, qui est d’ores et déjà en cours d’effondrement comme un s’affaisse un immense concentré de pourriture.

Alastair Crooke, qui introduit sa réflexion en faisant explicitement allusion à la Tradition et à l’un des philosophes du XXème siècle qui a illustré ce courant de pensée (Julius Evola), expose un aspect de la situation américaine (cette fois, nous écartons le qualificatif “américaniste”) où se développe une réflexion autour de cette référence qui est par définition “primordiale” et “principielle”. On voit que des esprits et des plumes sont au travail dans ce sens, éclairant une intuition qui éclaire notre temps parcouru des “Signes de la Fin des Temps”.

D’autre part, à partir de cette introduction avec ses données fondamentales, Crooke décrit, à partir d’auteurs essentiels, leurs interférences opérationnelles dans la situation politique actuelle aux USA, dans la “guerre civile en cours”. En même temps, on comprend bien la précision qui est faite selon laquelle cette interprétation essentielle de la situation US, notre “Rome postmoderne”, peut évidemment être étendue à d’autres territoires, d’autres ensembles, d’autres communautés et d’autres nations, parce qu’il s’agit du destin commun de l’effondrement d’une civilisation universelle et absolument perverse et de son remplacement. Tout cela fait une excellente illustration de l’évolution accélérée des dimensions catastrophiques de l’époque eschatologique que nous vivons.

Le titre original de Alastair Crooke sur Strategic-Culture.org du 4 mars 2019 était « US Conservatives Pursue a ‘Ben Option’ of Global Ramification ». Nous lui avons substitué la première phrase du texte.
dde.org
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« Sommes-nous Rome ? »

Sommes-nous ‘Rome’? La question prend aujourd’hui une place considérable dans l'esprit des conservateurs, des libertaires et des catholiques américains lors de leurs diverses conférences. L’Amérique suit-elle le destin de l’empire romain ? Décadence bureaucratique, dette publique massive, armée surchargée, système politique apparemment incapable de relever les défis ; « l’empire romain sur sa fin a souffert de ces maladies, et certains craignent que ce soit également le cas de l'Amérique contemporaine », note The American Conservative, une publication qui poursuit cette “ligne” éditoriale avec constance et avec un lectorat en constante augmentation depuis plusieurs années. (Notez que ce n’est pas la conception du vice-président Pence, qui argumente avec insistance à propos de ce qui est littéralement une Rédemption évangélique imminente, avec la politique dite de Rapture.)

The American Conservative choisit de façon très différente de sonner l’alarme :

« Si les libertaires de droite s'inquiètent de l’effondrement structurel, les conservateurs culturels et religieux ajoutent une dimension morale et spirituelle au débat. La montée de l'hédonisme, le déclin de l'observance religieuse, la séparation continue de la famille et la perte générale de cohérence culturelle, – pour les traditionalistes, ce sont les signes annonciateurs d’un âge des ténèbres. »

Et voici leur narrative en réponse à ces craintes : Vers l’an 500, une génération après la déposition du dernier empereur romain par les Francs, un jeune homme ombrien (originaire de la province de l’Ombrie, en Italie), fut envoyée à Rome par ses riches parents pour terminer ses études. Dégoûté par la décadence de Rome, il s’enfuit dans la forêt pour se faire ermite et choisir un destin de prière et de méditation.

Il s'appelait Benoît. Il fonda ensuite une douzaine de communautés monastiques et écrivit ses fameuses “règles” auxquelles on attribue le mérite d'avoir aidé la culture menacée et ses valeurs à survivre dans ces temps difficiles. Le professeur Russell Hittinger a résumé la leçon de Benoît dans l’âge des ténèbres : « Comment vivre la vie pleinement et complètement ? En écartant la recherche du succès dans le monde, au profit de la recherche du succès humain. »

Comment l’exemple d’un moine médiéval pourrait-il être pertinent pour notre époque laïque ? Parce que, dit le philosophe de la morale Alasdair MacIntyre, cette référence démontre qu'il est possible de construire « de nouvelles formes de communauté au sein desquelles la vie morale pourrait se maintenir » pendant un âge des ténèbres, – y compris, peut-être, un âge comme le nôtre.

MacIntyre propose la « suggestion inquiétante » selon laquelle la teneur du débat moral d'aujourd'hui (sa stridence et son interminabilité) est le résultat direct d'une catastrophe par rapport à notre passé ; une catastrophe si grande que son examen critique moral a été presque effacée de notre culture et de notre vocabulaire, exorcisé dans notre langue. Il fait référence aux “Lumières européennes”. Ce que nous possédons aujourd'hui, soutient-il, ne sont que des fragments d'une tradition plus ancienne. En conséquence, notre discours moral, qui utilise des termes tels que “bien”, “justice” et “devoir”, a été dépouillé du contexte qui le rend intelligible.

« Pour MacIntyre », écrit Rod Dreher, auteur de The Benedict Option, « Nous vivons une catastrophe semblable à celle de la chute de Rome, dissimulée par notre liberté et notre prospérité ». Dreher poursuit: « Dans son livre capital, ‘After Virtue’, publié en 1981, MacIntyre affirmait que le projet des Lumières avait coupé l’homme occidental de ses racines dans la tradition, mais il n’était pas parvenu à produire une morale contraignante fondée sur la seule raison. De plus, les Lumières vantaient l'individu autonome. Par conséquent, nous vivons dans une culture de chaos moral et de fragmentation dans laquelle de nombreuses questions sont tout simplement impossibles à régler. MacIntyre dit que notre monde contemporain est une forêt plongée dans l’obscurité et que, pour retrouver notre juste chemin, il faudrait créer de nouvelles formes de communauté ».

« L’‘option Benedict’ [‘option Benoît’] fait donc référence à [ceux] qui, dans l’Amérique contemporaine cessent d’identifier la continuation de la civilité et de la communauté morale avec le maintien de l’Empire américain et qui, par conséquent, souhaitent construire des formes de communauté locales en tant que lieux de résistance chrétienne contre ce que représente l'empire. En d’autres termes, l’option Benedict, – ‘BenOp’ – est un terme générique pour les chrétiens [et les conservateurs américains], qui acceptent la critique de MacIntyre sur la modernité ».

Le BenOp n’appelle pas le monachisme. Il est envisagé, en quelque sorte, comme un moyen plus pratique pour les Américains qui ont cette perception fondamentale de gérer la modernité d’aujourd’hui. Et… Où avons-nous entendu quelque chose comme ça auparavant ? Eh bien, dans les réflexions du philosophe politique italien Julius Evola, dans ses réflexions d’un traditionalisme radical de l’après-guerre, – L’homme au milieu des ruines, – dans lequel il plaide pour une défense et une résistance contre le désordre de notre époque. Ce sont les écrits d’Evola et d’autres auteurs du même genre [de défenseurs de la Tradition primordiale] qui ont soutenu les intellectuels russes tout au long de leur période sombre du communisme tardif, puis du néolibéralisme sauvage. Des impulsions largement similaires ont contribué à faire avancer le concept d'eurasianisme (bien que ses racines remontent aux années 1920 en Russie).

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Alastair Crooke
 
Ce dernier point reflète la tendance contemporaine, manifestée plus particulièrement par la Russie, mais allant bien au-delà de la Russie, au soutien du pluralisme (l’axe principal du “populisme” contemporain) ; autrement dit, la “diversité” qui privilégie précisément la culture, les récits nationaux, la religiosité et les liens de sang, de terre et de langue. Cette idée est tout à fait conforme à l'argument de MacIntyre, à savoir que seule la tradition culturelle donne un sens à des termes tels que “bien”, “justice”, etc. « En l'absence de traditions, le débat moral est dissocié et devient un théâtre d'illusions dans lequel la simple indignation et la simple protestation occupent le devant de la scène. »

L’idée est qu’il s'agit plutôt d'un groupe de “nations” et de “communautés”, chacune renouant avec ses cultures et ses identités primordiales, – c'est-à-dire que l'Amérique est “américaine” dans sa propre “voie culturelle” américaine (ou russe, dans sa propre voie), – et se refusant d’être absorbée et dissoute en succombant à la coercition d’un ensemble où les diversités se dissolvent, d’un empire cosmopolite.

Il est clair que cela ne va pas du tout dans le sens de la tendance générale américaine d’un ordre globaliste conforme aux règles de cette dynamique. C’est aussi un rejet catégorique de l’idée que le cosmopolitisme du “melting pot” puisse créer toute identité véritable ou tout fondement moral. En effet, « sans la notion de telos (directionnalité et détermination de la vie humaine) servant de moyen de triangulation morale, les jugements de valeur morale perdent leur caractère factuel. Et, bien sûr, si les valeurs sont privées de “faits” pour les substantiver, aucun appel à des faits ne pourra jamais régler un désaccord sur une valeur ».

Dreher est explicite à propos de cette opposition radicale. Il dit de BenOp : « Vous pourriez même dire que c’est une appréciation des possibilités progressives de la tradition et un retour aux racines, – contre une époque sans racines. »

Et pour ne laisser planer aucune ambiguïté, il est noté que les conservateurs américains qui pensent avoir trouvé un allié “facile” dans MacIntyre montrent qu’« ne parviennent pas à comprendre le type de politique nécessaire pour préserver les vertus [toute qualité requise pour se frayer un chemin dans la vie]. »

« MacIntyre précise que son problème avec la plupart des formes de conservatisme contemporain est que les conservateurs reflètent les caractéristiques fondamentales du libéralisme. L'engagement conservateur envers un mode de vie structuré par un marché libre aboutit à un individualisme, et en particulier à une psychologie morale, aussi antithétique à la tradition des vertus que le libéralisme. En outre, conservateurs et libéraux tentent tous deux d’utiliser le pouvoir de l’État moderne pour soutenir leurs positions d’une manière qui est totalement étrangère à la conception de MacIntyre des pratiques sociales nécessaires au bien commun ».

Ce qui est très intéressant pour un étranger, c’est la façon dont l'auteur de BenOp, Dreher, le situe dans le contexte politique américain :

« Beaucoup d’entre nous de droite qui avons été consternés par le Trumpening(sic) et qui ont été durement frappés par la débâcle de Kavanaugh ont conclu [néanmoins] que nous n’avions d’autre choix que de voter républicain en novembre [2018] par réflexe d’auto défense. »

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« La gauche culturelle, – c'est-à-dire le courant dominant américain, – n'a pas l'intention de vivre dans la paix d’un après-guerre. Elle entend exercer une pression continue comme si elle exerçait une occupation dure et implacable du pays, aidée en cela par l’inconscience des chrétiens [i.e. ceux qui reflètent le libéralisme], qui ne comprennent rien à ce qui se passe. Ne vous laissez pas berner: la victoire à la présidentielle de Donald Trump nous a au mieux laissé un peu plus de temps pour nous préparer à l’inévitable » [souligné ajouté].

« [Ceux] qui croient que la politique seule suffira ne seront pas préparés à ce qui va se passer lorsque les républicains perdront la Maison Blanche et / ou le Congrès, ce qui est inévitable. Notre politique est devenue si furieuse qu’il y aura une surenchère vicieuse et méchante, et cette surenchère s’exercera principalement contre les conservateurs sociaux et religieux. Lorsque les démocrates reprendront le pouvoir, les chrétiens conservateurs vont connaître des temps extrêmement durs. ».

BenOp, en d’autres termes, est une autre façon de décrire de ce que le professeur Mike Vlahos a décrit comme “un regroupement” pour un prochain chapitre de la “guerre civile” non résolue de l’Amérique : « L’Amérique aujourd’hui est divisée en deux visions du mode de vie futur de la nation : le “Rouge”, dont la vertu est constituée de la continuité de famille et de la communauté au sein d'une communauté nationale affirmée publiquement. La vertu du “Bleu” envisage des communautés choisies individuellement et régies par des médiations déterminées par les relations entre l’individu et l’État. Certes, ces deux visions antagonistes de l'Amérique s’opposent depuis des décennies et contrôlent jusqu'à présent plus ou moins la violence potentielle de cette opposition mais il existe désormais [aujourd’hui] le sentiment de la nécessité de se rassembler de chaque côté pour la lutte finale ».

« Aujourd’hui, deux chemins qui se jugent également vertueux sont enchaînés dans une opposition irréversible… Rouge et Bleu représentent déjà un schisme religieux irréparable, plus profond en termes doctrinaux même que le schisme catholique-protestant du XVIe siècle. Ici, la guerre porte sur la faction qui réussit à conquérir l’étendard des médias sociaux, pour se proclamer comme le véritable héritier de la vertu américaine. Tous deux se considèrent comme des champions du renouveau national, de la purification des idéaux corrompus et de la réalisation de la promesse de l’Amérique. Tous deux croient fermement qu'ils sont les seuls à posséder la vertu. »

Nous pourrions en conclure que cette formule du BenOp n’est qu’une manifestation exclusivement américaine, d’un intérêt réduit pour le reste du monde. Nous aurions tort. Tout d'abord, MacIntyre identifie l’origine de la tradition morale dans la littérature Traditionaliste Homérique (c'est-à-dire jusqu'à ses racines présocratiques) et dans cette “société héroïque” comme dépositaire des appréciations morales liées aux valeurs éternelles. Il s’agit de Grands Récits avec la singulière vertu de s’incarner dans la vie de la communauté qui les chérit, et faisant de cette communauté “un personnage” dans un récit moral historiquement étendu.

En d'autres termes, BenOp n'est pas du tout rattaché exclusivement au christianisme. MacIntyre suggère plutôt que le récit fournit une meilleure explication de l’unité d’une vie humaine particulière. Le moi a une continuité parce qu'il a tenu le rôle du personnage unique et central dans une histoire particulière : c’est le récit de la vie d’une personne. MacIntyre exprime cela de cette façon : « En assumant ces rôles, nous devenons simultanément des sous-parcelles dans les histoires de la vie des autres, tout comme ils deviennent des sous-parcelles dans la nôtre. De cette manière, les histoires de la vie des membres d’une communauté sont enchevêtrées et imbriquées. L’enchevêtrement de nos histoires est le tissu de la vie en commun… Car l’histoire de ma vie est toujours enracinée dans l’histoire de ces communautés dont je tire mon identité. » Ici, nous sommes directement renvoyés à Homère.

Mais deuxièmement, si nous faisions de l’ethnicité et du genre un choix personnel (et par conséquent jamais définitif) il nous manquerait quelque chose d’essentiel qui lie l’impulsion de BenOp à la résistance plus large contre les globalistes millénaires d’aujourd’hui qui fondent leur “rédemption” dans un processus téléologique consistant à “dissoudre” leur identité culturelle.

Cette critique, émanant d’un importante groupe conservateur américain qui vote Trump mais qui est conscient de ses inconvénients, est susceptible de s’étendre plus largement vers d’autres groupes non américains. Comme le note Rod Dreher, qui a lancé cette campagne dès 2006, des membres de ses groupes différents comprennent déjà sa portée plus large. Dreher observe :

« Au fait, je ne suis pas catholique non plus. Et alors? Nous, les orthodoxes, réclamons [Benoît] comme l'un des nôtres, comme le sont tous les saints du pré-schisme. Mais peu importe. [Les chrétiens] doivent approfondir l'histoire de l'Église pour trouver les ressources nécessaires pour résister aux pressions de la modernité. Saint Benoît est l’un d’entre eux. En raison de la diversité de nos ecclésiologies, un BenOp catholique serait différent d'un protestant et un orthodoxe serait également différent. Cela n’importe pas. En fonction de telos de chaque interprétation du BenOp, nous devrions pouvoir travailler ensemble de manière œcuménique. » 

Alastair Crooke

Remembering Guillaume Faye: November 7, 1949–March 7, 2019

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Remembering Guillaume Faye:
November 7, 1949–March 7, 2019

I was deeply saddened to learn today of the death of French New Right philosopher and polemicist Guillaume Faye after a battle with cancer. Faye had been sick for some time, but he was so focused on writing what will now be his last book that he postponed seeing a doctor until it was complete. When he finally sought medical attention, he was diagnosed with stage four cancer. There is no stage five. Guillaume Faye gave his life for his work, and his work for Europe.

Faye, like New Rightists and White Nationalists in European societies around the globe, was motivated by a sense of danger: the reigning system — liberal, democratic, capitalist, egalitarian, globalist — has set the white race in all of its homelands on the path to extinction through declining birthrates and race replacement through immigration and miscegenation. If we are to survive, we must understand this system, critique it, and frame an alternative that will secure the survival and flourishing of our race. Then we need to figure out how we can actually implement these ideas.

I like Faye’s approach for a number of reasons.

First, Faye thinks big. He wants to take all of Europe back for Europeans. I completely agree with this aim. Furthermore, to secure the existence of Europe against the other races and power blocs, Faye envisions the creation of a vast “Eurosiberian” Imperium, stretching from Iceland to the Pacific, with a federated system of government and an autarkic economy. He believes that only such an imperium will be equal to the challenges posed by the other races in a world of burgeoning populations and shrinking resources. As I argue in my essay “Grandiose Nationalism [2],” I think that such ideas are neither necessary nor practical and they entail dangers of their own. But nobody can fault them for visionary boldness.

Second, Faye thinks racially. His answer to the question “Who are we?” is ultimately racial, not cultural, religious, or subracial: white people are a vast, extended family descending from the original inhabitants of Europe after the last Ice Age. There are, of course, cultural and subracial identities that are also worth preserving within a federated imperium, but not at the expense of the greater racial whole.

Third, Faye is not a Luddite, primitivist, or Hobbit. He values our heritage, but he is attracted less to external social and cultural forms than to the vital drives that created them and express themselves in them. He also wishes to do justice to European man’s Faustian drive toward exploration, adventure, science, and technology. His “archeofuturism” seeks to fuse vital, archaic, biologically-based values with modern science and technology.

Fourth, Faye turns the idea of collapse into something more than a deus ex machina, a kind of Rapture for racists. We know a priori that an unsustainable system cannot be sustained forever and that some sort of collapse is inevitable. But Faye provides a detailed and systematic and crushingly convincing analysis of how the present system may well expire from a convergence of catastrophes. Of course, we need to be ready when the collapse comes. We need a clear metapolitical framework and an organized, racially conscious community to step into the breach, or when the present system collapses, it will simply be replaced with a rebranded form of the same ethnocidal regime.

Fifth, Faye is a strong critic of Christianity as the primary fount of the moral universalism, egalitarianism, and individualism that are at the root of our decline.

The only really fundamental disagreement I have with Faye was on the Jewish question. His views are closer to those of Jared Taylor, whereas mine are closer to those of Kevin MacDonald.

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I only met Faye once, at the 2006 American Renaissance conference, where we had a couple of enjoyable conversations. We corresponded occasionally before and after that meeting. One of my treasured possessions is a copy of Faye’s first book, Le Système à tuer les peuples (Copernic, 1981), which he had given to Savitri Devi. Unfortunately, he was never able to locate his brief correspondence with Savitri. Perhaps it will come to light in his papers, which should be carefully preserved. If European man has a future, it will be due in no small part to Faye’s works. He belongs to history now, and future European generations will look dimly upon us if we fail to conserve and carry on his legacy.

Counter-Currents will publish several memorial tributes to Faye in the coming days. In the meantime, I wish simply to draw your attention to many pieces by and about Faye at Counter-Currents.

By Guillaume Faye:

About Guillaume Faye:

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dimanche, 10 mars 2019

In Memoriam. Guillaume Faye (1949-2019), artisan du réveil de l’Europe colonisée

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In Memoriam. Guillaume Faye (1949-2019), artisan du réveil de l’Europe colonisée

par YV

Ex: https://www.breizh-infos.com

Le polémiste Guillaume Faye a rendu les armes. Les dieux lui réservent à coup sûr une place de choix au banquet des héros. En attendant, l’Europe vient de perdre un artisan de son réveil, lui qui avait annoncé, avant tout le monde, la colonisation de l’Europe, le grand remplacement, l’immigration massive venue d’Afrique et d’Asie, et le scénario qui se trame aujourd’hui sous nos yeux.

C’est en 2002 que j’ai été foudroyé à la lecture du livre La Colonisation de l’Europe, discours vrai sur l’immigration et l’islam, paru en 2000 (L’Aencre). À peine âgé de 18 ans alors, j’ai littéralement bu cet ouvrage, qui a profondément remué le militant de la gauche nationaliste bretonne que j’étais à l’époque et qui a été l’un des déclics de mon engagement au sein de la mouvance identitaire par la suite. Quelques années plus tard, lors d’un congrès d’Adsav, le parti du peuple breton, j’ai eu l’immense honneur, à l’époque, de précéder l’allocution de Guillaume Faye à la tribune. Une allocation, qui, elle aussi, par son dynamisme, par son humour, par son entrain, par son efficacité, par son éthylisme également, avait subjugué la salle.

Je ne pourrai pas parler de Guillaume Faye avant cette période, ne l’ayant pas connu. Diplômé de l’Institut d’études politiques de Paris, licencié d’histoire et de géographie, Guillaume Faye a également fait des études de lettres classiques et de philosophie. Il a travaillé comme journaliste au Figaro-Magazine, à Paris-Match, à VSD, à Magazine-hebdo, à Valeurs actuelles et à la radio « libre » La Voix du Lézard. Il fut un théoricien de la Nouvelle droite,  « un pourfendeur virulent de la société établie, de l’Occident et des idéologies occidentales, ainsi qu’un chaud partisan d’une alliance entre l’Europe et le tiers-monde » peut-on lire sur la fiche Metapedia le concernant.

C’est surtout à partir de 1998, période à laquelle il commence à publier plusieurs livres de réflexion, qu’il devient penseur identitaire reconnu. C’est également à cette période que sa route se sépare du GRECE.

Je ne rentrerai pas dans des débats que les gens de même pas 20 ans à l’époque ne pouvaient pas connaître. Le fait est que Guillaume Faye, par sa plume incisive, par son franc-parler, par la manière de décrire simplement des situations sans perdre son temps en philosophie abstraite, a su parler à une jeunesse qui se voulait militante, activiste, et rebelle.

De Pourquoi nous combattons à L‘Archéofuturisme (et à sa deuxième version, 2.0) en passant par son programme politique ou par un Sexe et Dévoiement d’anthologie, tout chez Guillaume Faye était inventif, provocateur, créatif, percutant. Guillaume Faye était l’anti-réactionnaire par excellence. Il avait compris qu’il fallait regarder vers le futur, et qu’il ne fallait pas être réfractaire à l’évolution, au progrès technique, aux nouvelles technologies. Qu’il fallait juste s’en servir, les faire évoluer, les dompter, les rendre utile, pour notre civilisation.

Je n’ai pas encore lu son dernier livre Guerre civile raciale, mais il est évident que ce vieux loup de Guillaume Faye a sans doute continué à balancer quelques obus politiques dans ces pages !

Depuis que je l’ai connu, j’ai eu plusieurs fois l’occasion, l’honneur de discuter et d’échanger avec lui, notamment lors de ses venues à Ti-Breizh, la maison de l’identité bretonne de Guerlesquin. Guillaume Faye, esprit curieux et ouvert, a toujours suscité des critiques, des remarques. Qui m’ont toujours profondément agacé. Oui, il buvait plus que de raison. Peut-être même se droguait-il. Oui, il a eu une vie totalement débridée. J’ai envie de dire, et alors ? Ce génie laisse derrière lui une œuvre complète qui, dans plusieurs siècles, permettra peut-être d’expliquer pourquoi notre civilisation est morte ou bien alors, ce que j’espère, comment est-ce qu’elle a réussi à faire face aux maux qu’elle traversait… Et aux génies, on se doit de pardonner tous les excès, puisqu’ils font eux aussi partie des traits du génie !

Pour commander le dernier livre de Guillaume Faye, c’est ici

Guillaume Faye était un génie politique, quoi qu’en disent ses détracteurs, parfois sans doute par jalousie inavouée. Certains de ses livres, comme La Nouvelle question juive ou Comprendre l’islam, ont suscité des grosses critiques politiques, ou moins d’intérêt ? Gardons de lui ce qu’il est essentiel de garder.

La Colonisation de l’Europe, bien avant le succès plus grand public de Laurent Obertone. L’Archéofuturisme, sans que quiconque n’ait réussi à produire depuis une synthèse entre notre longue mémoire et notre avenir. Il faut lire, faire lire, faire relire Guillaume Faye autour de soi. Il avait écrit ce qui se passe aujourd’hui, et l’avait dénoncé, avant tout le monde, tandis que d’autres, pour ne pas saborder de modestes carrières, se planquaient.

Ce n’est qu’un Au Revoir Guillaume. Tu dois enfin pouvoir te reposer là où tu es. Sans doute encore un verre de vin à la main, mais l’alcoolisme n’est plus une maladie là où tu es, c’est certain ! Nous, de notre côté, nous continuerons de parcourir tes livres, nous les lirons, nous les transmettrons. Ils nous permettront de garder les yeux grands ouverts, et d’affronter, dès aujourd’hui, les menaces auxquelles l’Europe est confrontée.

Un Européen libre et rebelle nous a quittés.

YV

« Non, le voyage ne s’achève pas ici. La mort n’est qu’un autre chemin qu’il nous faut tous prendre. Le rideau de pluie grisâtre de ce monde s’ouvrira et tout sera brillant comme l’argent. Alors, vous les verrez (…) Les rivages blancs. Et, au-delà, la lointaine contrée verdoyante sous un fugace lever de soleil. »

J. R. R. TOLKIEN – Le Seigneur des Anneaux – tome 3, Le retour du Roi (Gandalf)

Bibliographie de Guillaume Faye

  • Le Système à tuer les peuples, Paris, Copernic, coll. « Théoriques », , 189 p. (ISBN 2-85984-069-9, notice BnF no FRBNF36602545) — traduit en italien.
  • Contre l’économisme : principes de l’économie politique, Paris, Le Labyrinthe, coll. « Orientations », , 67 p. (notice BnF no FRBNF34730368)
  • Sexe et Idéologie, Paris, Le Labyrinthe, , 29 p.
  • La NSC, la nouvelle société de consommation, Paris, Le Labyrinthe, coll. « Orientations », , 59 p. (notice BnF no FRBNF34771989)
  • L’Occident comme déclin, Paris, Le Labyrinthe, coll. « Orientations », , 85 p. (notice BnF no FRBNF36624054)
  • Avant-guerre (ill. Éric et Jean-Marc Simon) (roman graphique), Paris, Carrère, , 48 p. (présentation en ligne [archive])
  • Europe et Modernité, Eurograf, 
  • Nouveau discours à la nation européenne (préf. Michel Jobert), Paris, Albatros, , 164 p. (notice BnF no FRBNF36630219)
  • Les Nouveaux Enjeux idéologiques, Paris, Le Labyrinthe, coll. « Les Cahiers de la Nouvelle Droite », , 135 p. (notice BnF no FRBNF34986164)
  • Avec Pierre Freson et Robert SteuckersPetit lexique du partisan européen, Esneux, Eurograf, , 107 p. (lire en ligne [archive])
  • « Pierre Barbès » et François-Bernard HuygheLa Soft-idéologie, Paris, Robert Laffont, coll. « Essais », , 214 p. (ISBN 2-221-05537-3, notice BnF no FRBNF34987137)
  • Avec Jean-Philippe Serrano, Le Guide de l’engueulade, Paris, Presses de la Cité, coll. « Hors collection », , 191 p. (ISBN 2-258-03501-5, notice BnF no FRBNF35502936)
  • « Professeur Skyman » et Jean-Christophe Florentin, Viol, pillage, esclavagisme, Christophe Colomb, cet incompris : essai historico-hystérique, Paris, Grancher, , 246 p. (notice BnF no FRBNF35539655)
  • « Skyman » et Jean-Philippe Serrano, Le Manuel du séducteur pressé, Paris, Presses de la Cité, coll. « Hors collection », , 180 p.
  • L’Archéofuturisme, Paris, L’Æncre, , 264 p. (présentation en ligne [archive]) — traduit en plusieurs langues.
  • Les Extraterrestres de A à Z, Paris, Dualpha, coll. « Vérités pour l’histoire », , 190 p. (ISBN 2-912476-19-4, notice BnF no FRBNF37624062)
  • La Colonisation de l’Europe : discours vrai sur l’immigration et l’Islam, Paris, L’Æncre, , 350 p. (ISBN 2-911202-30-9, notice BnF no FRBNF37191425) — traduit en anglais.
  • Pourquoi nous combattons : manifeste de la résistance européenne, Paris, L’Æncre, 237 p. (ISBN 2-911202-38-4, notice BnF no FRBNF37642181) — version refondue du Petit lexique du partisan européen. — traduit en anglais.
  • Chirac contre les fachos (ill. Chard), Paris, GFA (chez l’auteur), , 47 p. (notice BnF no FRBNF39154328)
  • Avant-guerre : chronique d’un cataclysme annoncé, Paris, L’Æncre, , 382 p. (ISBN 2-911202-52-X, notice BnF no FRBNF38901720)
  • « Guillaume Corvus », La Convergence des catastrophes, Paris, Diffusion international édition (DIE), coll. « Vérité », , 221 p. (ISBN 978-2914295123présentation en ligne [archive]) — traduit en anglais.
  • Le Coup d’État mondial : essai sur le nouvel impérialisme américain, Paris, L’Æncre, , 311 p. (ISBN 2-911202-61-9, notice BnF no FRBNF39166347) — traduit en anglais.
  • La Nouvelle Question juive, La Fosse, Le Lore, , 396 p. (ISBN 978-2-35352-008-4, notice BnF no FRBNF41088554)
  • Sexe et Dévoiement, La Fosse, Le Lore, , 370 p. (ISBN 978-2353520299) — traduit en anglais.
  • L’Archéofuturisme V2.0 : nouvelles cataclysmiques, La Fosse, Le Lore, , 208 p. (ISBN 978-2353520343) — traduit en anglais.
  • Mon programme : un programme révolutionnaire ne vise pas à changer les règles du jeu mais à changer de jeu, La Fosse, Le Lore, , 226 p.
  • Comprendre l’islam, Paris, Tatamis, , 325 p. (ISBN 978-2371530270) — traduit en anglais.

R.I.P. Guillaume Faye !

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R.I.P. Guillaume Faye !

par Togirix

Ainsi le crépuscule l’a-t-il englouti. Mais l’aube, demain, aura une lueur nouvelle…

« Dans la société marchande, tout a un prix mais rien n’a de valeur. »

Sous une forme ou sous une autre, prochainement ou dans quelques siècles – qu’importe, car le temps est un ressac infini où l’écume du passé se mélange à celle d’aujourd’hui et de demain -, nous le reverrons.

Son souffle continuera d’animer cette flamme si particulière, si honnie par les hordes lucifuges, qui crépite chez beaucoup d’entre nous.

Et quand les Européens se relèveront, quand les Dieux dans leur sang auront terminé d’y bouillonner et d’y réveiller la sagesse et la sainte fureur, alors les Européens auront bien des légions ; il y aura une légion Robert Dun, une légion Saint Loup, une légion Jean Mabire, une légion Dominique Venner, et tant d’autres… et une légion Guillaume Faye, désormais.

Il est mort mais sa vie fut pleine et il fut un homme bon, car bien des esprits (dont le mien) auront trouvé, et continueront de trouver grâce à lui un chemin haut et clair dans l’obscurité qui s’épaissit à l’entour.

Il ne faut pas pleurer Guillaume Faye. Il faut crier son nom comme un cri de guerre. Aujourd’hui nous sommes tristes mais ses écrits et sa parole résonnent en nous comme de solides viatiques, ils nous rendent plus forts, et plus joyeux jusques et y compris dans l’adversité. Surtout dans l’adversité.

« C’est le soir qu’il faut louer le jour » (Hávamál, 81).

Louons Guillaume Faye.

Que Lug le bénisse,
Qu’il chevauche aux côtés d’Epona,
Que le tonnerre et le fracas de Taranis grondent pour lui,
Que sa verve et sa plume soient reconnues par Ogmios,
Que Lug le porte sur ses rais lumineux,
Que Kernunos le baigne en ses eaux lustrales.
Que les Hommes honorent sa mémoire.

Adieux Guillaume !

Écrit par : Togirix | 07/03/2019

« La tolérance, la commisération, la pitié pour l’Autre, le lointain ; l’indifférence pour ceux de son clan, pour ses proches : telle est la logique de l’esprit bourgeois, cette peste qu’il faut combattre selon l’ordre nietzschéen » – Guillaume Faye

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Guillaume Faye overleden; afscheid van een zachtzinnige, intellectuele provocateur

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Guillaume Faye overleden; afscheid van een zachtzinnige, intellectuele provocateur

doot Roeland van Walleghem

Droevig nieuws uit het nationalistische kamp. Woensdag jl. overleed Guillaume Faye (Angoulême 1949-2019) op 69-jarige leeftijd ten gevolge van kanker. Veel te jong uiteraard.

Van opleiding was Guillaume Faye doctor in de politieke wetenschappen, maar raakte voor het grote publiek voornamelijk bekend als journalist voor Le Figaro, Paris Match en als schrijver van vele essays. In de jaren 90 van de vorige eeuw nam hij deel aan de uitzendingen van Radio Skyrock als Skyman en was hij vaak te zien in het programma Telematin van France2. Zijn medewerking aan Skyrock, een vrije radio gesticht in 1986, waar hij mensen telefonisch beetnam – vergelijkbaar met de Capriolen van Walter Capiau in Vlaanderen – riep bij velen vragen op: ‘Hoe kan een intellectuele nationalist zijn medewerking aan een populaire radio verlenen’? Daarop antwoordde hij met de nodige humor: “Men kan toch jachtpiloot of visser zijn, en toch goede boeken schrijven.”

Maar wij, nationalisten, onthouden zijn immense inzet voor de ‘goede zaak’. Met Guillaume Faye verdwijnt immers een van de belangrijkste theoretici en bezielers van la Nouvelle Droite (Nieuw Rechts). Faye was als dusdanig lang actief bij GRECE (Groupement de Recherche et d’Études de la Civilisation Européenne). Talrijk zijn de Vlamingen (en anderen) die in de Domus van Ventabren (Aix-en-Provence) van zijn uiteenzettingen konden genieten.

Faye stond ook bekend als een provocateur, waarvoor hij trouwens met overtuiging uitkwam. Hij genoot met volle teugen wanneer hij de politiekcorrecte meute de gordijnen kon injagen. Zo was hij een van de weinigen die kritiek had op de houding van Arnaud Beltrame, de Franse militair die om het leven kwam bij een gijzelingsactie in de Franse gemeente Trèbes nadat hij de plaats had ingenomen van een gegijzelde vrouw. Zijn daad wordt beschouwd als heldendaad. Faye bekeek dat anders: “een militair moet zijn (terroristische) vijand uitschakelen, en niet de vergevingsgezindheid of opoffering, ingegeven door zijn christelijk geloof, laten primeren”.

Het paganisme (heidendom) van Faye, was naar eigen zeggen positief: “ik ben geen antichrist, wel een pre- en post christen. Ik schiet niet op de ambulance, ik heb geen rekeningen te vereffenen. Het paganisme ging het christendom vooraf en zal – wanneer het verdwijnt – in het hart van de Europeanen blijven bestaan”.

We zullen je scherpe analyses missen, Guillaume. Doe de groeten aan Dominique Venner en Maurice Rollet, die je naar de eeuwige jachtvelden voorafgingen.

Al de boeken van Guillaume Faye zijn verkrijgbaar bij onze vrienden van La Librairie Francaise in Parijs.

L'hommage de Richard Roudier à Guillaume Faye

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L'hommage de Richard Roudier à Guillaume Faye

Richard Roudier, Président de la Ligue du Midi

Ex: http://synthesenationale.hautetfort.com

Photo: Guillaume Faye à Béziers en 1983, entre Maryvonne Roudier et Raymond Morell

Triste nouvelle que d’apprendre le départ d’un homme qui aura tant fait pour la cause, pour notre cause, pour la grandeur de cette Europe que nous chérissons, au point d’y laisser la peau…

Car Guillaume était un être entier qui aura mis sa substance vitale au service de son idéal ! Je plains les personnes qui ne l’auront pas connu car il ne leur restera qu’une seule facette du personnage que la lecture de ses ouvrages leur permettra d’appréhender. Car oui, Guillaume était un génie et il aura laissé une œuvre qui aura marqué une génération.

Le Système à tuer les peuples, l’Archéofuturisme, la Colonisation de l’Europe -et demain, sort « Guerre civile raciale » -… Ces lecteurs n’auront que la version de Guillaume en 2D et il leur manquera éternellement le contact avec l’homme. Car Guillaume était un penseur, mais loin de l’image de l’intellectuel éthéré, il était une véritable torche. Il embrasait son auditoire et touchait au cœur par son inspiration magnétique. Son charisme a marqué tous ceux qui l’ont côtoyé.

Je me souviens de ce débat organisé en novembre 1983 à Béziers où, en pleine possession de ses facultés, il avait présenté sa vision futuriste d’un Empire Européen face aux démons de la société de consommation américaine. Il est vrai que l’Europe était loin de la colonisation qu’elle subit actuellement. Aussi, c’est un tout autre discours qu’il avait tenu voici dix ans lorsque nous l’avions reçu à Lunel.

Guillaume, rejoins donc la place qui te revient au panthéon des Maîtres aux côtés de Jean, Maurice, Dominique et les autres !

Fallece el pensador francés Guillaume Faye

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Necrológica

Fallece el pensador francés Guillaume Faye

El ensayista y pensador francés Guillaume Faye murió el pasado 7 de marzo, a los 69 años de edad, después de luchar contra el cáncer.

Nacido en Angulema en 1949, Faye había recibido una sólida formación en ciencias políticas. Fue muy conocido como intelectual, autor de numerosos libros y artículos, periodista y activista. Fue uno de los fundadores, junto con Alain de Benoist y Robert Steuckers, del GRECE, el Grupo de Investigaciones y Estudios sobre la Civilización Europea. El GRECE, a su vez, fue el núcleo a partir del cual se originó todo un movimiento intelectual europeo de tipo metapolítico, la corriente conocida como Nouvelle Droite (Nueva Derecha) que pretendía contrarrestar la hegemonía cultural de la izquierda y del liberalismo.

Algunos de los temas estrella abordados por Faye y por la Nueva Derecha europea fueron la inmigración masiva y la colonización cultural de Europa, tanto la proveniente del islam como la americana, así como el estudio de las raíces paganas indoeuropeas de nuestra civilización, y el combate contra los tópicos de la izquierda y el progresismo (igualitarismo, complejo de culpa ante el problema del tercer mundo, feminismo, etc.).

Guillaume Faye fue evolucionando en sus posiciones ideológicas, y la advertencia contra la colonización islámica de Europa fue cobrando cada vez más protagonismo. En tal sentido, propuso una firme alianza de cristianos, judíos y laicos contra la invasión mahometana de nuestro continente. Precisamente, su acercamiento a Israel y a los judíos europeos le valió enemistades entre una Nueva Derecha marcada a veces por un irracional antisemitismo.

Faye también fue muy original y arriesgado en sus propuestas económicas y geopolíticas, propugnando una economía política "de grandes espacios", en la cual Europa pueda ser de nuevo soberana, autosuficiente e inatacable, con una ruralización de extensos territorios suyos que pudieran mantener, sin importaciones extraeuropeas relevantes, un centro altamente tecnologizado y puntero. Faye proponía una Europa no agresiva ni expansionista ante el resto de los continentes e imperios extra-europeos, pero fuertemente defendida y autosuficiente.

Descanse en paz, señor Faye. Nuestros respetos y memoria hacia usted.

Hommage à Guillaume Faye, ami disparu et penseur de la renaissance de l'Europe

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Hommage à Guillaume Faye, ami disparu et penseur de la renaissance de l'Europe

par Thomas Ferrier

Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com

Guillaume Faye n'est plus. Il a rejoint la cohorte des veilleurs de l'Europe au royaume des morts. Il entre dans la légende en figure tutélaire d'une cause qui le mérite et d'un combat qui fut le sien et qui est le nôtre.

Pincé par le crabe, face à un combat dont comme aux Thermopyles on ne pouvait sortir vivant, il aura lutté. Son dernier ouvrage, qui sonne comme une invocation à Mars vengeur, "Guerre civile raciale", sera son testament.

Guillaume Faye a été l'auteur d'ouvrages fondateurs qui bien sûr déclenchèrent le feu de la critique systémique. "La Colonisation de l'Europe", au titre si évocateur, si révélateur aussi, lui aura valu bien des inimitiés, sans parler d'un vil procès. la "Nouvelle question juive", audace subtile, lui aura valu aussi la perte de soutiens qui n'ont pas pu ou pas su comprendre la rupture intellectuelle à laquelle il nous invitait.

Le "Nouveau discours à la nation européenne", revu et augmenté par le Guillaume Faye des années 2000, profondément durci également, rappelle qu'avant tout l'Europe était sa nation, et sa passion. Dans "Pourquoi nous combattons", il rappelait qui nous sommes et quelle est notre mission. Il fournissait aussi de précieuses armes dialectiques à la résistance.

"L'Archéofuturisme" fut et demeure son ouvrage majeur. La nouvelle qui clôt son livre, vision d'une Europe ayant triomphé au prix de pertes immenses, est le révélateur d'une vision prométhéenne de l'homme européen, mais aussi de cette leçon de vie qui est que le monde est une arène de combat, et que le soleil inonde de sa lumière une vallée de larmes qu'il assèche ainsi. Loin d'un simple "vieux-neuf" ressuscité d'une figure du passé, mais en revanche conforme au Nietzsche le plus féroce, que Guillaume n'aura cessé d'honorer, l'auteur ne cessa de nous appeler à nous relever. Car nous tombons certes mais pour nous relever plus fort, encore. En tout cas, tant que la troisième Moire, ne décide pas de mettre fin à l'aventure. Atropos coupa le fil. L'ami s'en alla en Elysion.

Guillaume Faye n'est plus, mais sa mémoire lui survivra. La gloire impérissable des héros ne l'a pas oublié. Comme nous ne l'oublierons pas. Il fut un professeur d'énergie, un maître de sagesse. Guillaume me disait il y a encore un an que Dominique Venner était la figure qui l'avait amené à rentrer au GRECE. Il rejoint celui qui l'a inspiré dans le royaume d'Hadès.

Tu as été de nos hérauts. Nous serons les réalisateurs de ton œuvre.

Requiescat in Elysio.

Per Iouem, nom de Zeus, c'était Guillaume Faye. A l'ami, salut !

Thomas FERRIER

Thomas Ferrier: My tribute to Guillaume Faye

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My tribute to Guillaume Faye

by Thomas Ferrier

Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com

Guillaume Faye is gone. So, he joins the cohort of the european guardians into the kingdom of the dead ones. He entered the legend as the tutelary face tenured of a cause which deserves to fight for it, which had been his fight and ours.

Tight-lipped by the cancer, face up a challenge like in the Thermopylae which we can’t survive, he fought. His last book heared like a summon to the avenger god Mars. “Racial civil war” will be his will .

Guillaume Faye has been the author of the founding book which of course gets strike by the usual critic,  “Colonization of Europe” with this very evocative title, very revealing title, where he earns also some animosity and especially a wrong trial .

The tactful boldness “New jewish question” will have earned him the lost of his few remaining support who could not understand the intellectual breakthrough where he invited us .

“New speech to the European nation”, upgraded and improved by the 2000s' Guillaume Faye, deeply improved, remembers to us that over everything, Europe was his nation and passion. In his book “Why we fight “, he reminds us who we are and what is our mission. He gives to us some precious argumentation weapons to face to.

“Archeofuturism” was his main book. His short story which closes the book, a vision of an Europe which succeeds despite heavy loss, revealed a promethean vision of the european man but also a life lesson that the current world is like a fighting arena, the sun flooding with his light a valley of tears that it can also dry.

Far from a simple “ old - new” resurrected figure but conform to the ferocious Nietzsche, that Guillaume didn’t stop to honor, the author never stops to remind us to stand up. Because we fall again but to stand up stronger than ever. As long the third Moira decides to stop the adventure. Atropos cut the wire. Our friend left to Elysium .

Guillaume Faye is gone, but his memory will remain. The endured glory of the hero doesn’t forget him as we never forget him. He was a forethought teacher, a wise master.

Guillaume was telling me one year before that Dominique Venner was the figure who convinced him to enter to the GRECE. He joins this one into the kingdom of Hades .

Guillaume, you were one of our heralds. We will achieve your dream.

Requiescat in Elysio

Per Iouem, in the name of Zeus, that was Guillaume Faye. My friend, hail to you !

Thomas FERRIER

(Thanks to Jonathan for the translation)

C. Rol: Guillaume Faye est mort

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Guillaume Faye est mort
 
par Christian Rol
 
Guillaume Faye est mort cette nuit des suites d’une longue maladie qu'on
appelle la vie. Les béotiens et ceux étrangers à notre nébuleuse, ignorent
tout de lui mais les autres savent qu’il a été, avec Alain de Benoist et
quelques autres, un formidable agent régénérateur de la pensée dissidente en
même temps qu’un trublion talentueux occulté, comme il se doit, par les
avocats des élégances parisiennes.
 
Je l’ai connu il y a une trentaine d’années. Je devrais dire, plutôt, que je
l’ai croisé. Il donnait alors des conférences brillantissimes dans les
locaux du GRECE (Groupe de Recherche pour la Civilisation Européenne) rue
Charles Lecoq.  Et ses meetings Porte Maillot emportaient la salle comme une
rock star. C’est lui, et de Benoist, qui, à travers leurs séminaires et
leurs livres, ont donné à notre « camp » des armes idéologiques et ouvert
des perspectives revigorantes, quoique vaines.
 
J’ai participé avec Faye à l’aventure de son journal éphémère « J’ai Tout
Compris », outil « métapolitique » de courte durée mais qui m’a donné l’occasion
de côtoyer (un peu) ce feu follet qui brûlait la vie par les deux bouts. Les
femmes, les stups, l’alcool et les livres étaient à la fois ses piliers et
ses faiblesses.
 
Bien plus qu'aucun autre, il aurait mérité de sortir de ce ghetto auquel l’époque
nous a condamnés. Plus qu’aucun autre, il avait le talent, la fougue et la
passion qui font les révolutionnaires. Ses idées et sa mise au ban des
convenances l’ont consumé jusqu’à ce que mort s’en suive…
 
Désormais skyman est au ciel...
 
C. Rol

Le retour du peuple, communauté de lutte...

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Le retour du peuple, communauté de lutte...

par Jure Georges Vujic

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Nous reproduisons ci-dessous un point de vue de Jure Georges Vujic, cueilli sur Polémia et consacré au retour du peuple au travers de la révolte des Gilets jaunes... Avocat franco-croate, directeur de l’Institut de géopolitique et de recherches stratégiques de Zagreb, Jure Georges Vujic est l'auteur de plusieurs essais, dont Un ailleurs européen (Avatar, 2011) et  Nous n'attendrons plus les barbares - Culture et résistance au XXIème siècle (Kontre Kulture, 2015).

Le retour du peuple, communauté de lutte

Il n’y a pas si longtemps, Pierre Rosanvallon, dans Le peuple introuvable, posait la question de la  représentation effective du peuple dans nos vieilles démocraties parlementaires. Les apôtres  du libéralisme ayant proclamé le règne de l’individu-roi, la souveraineté du peuple – qui reste pourtant le fondement de la démocratie – se voyait sacrifiée au nom de la société de marché, la plus conforme au capitalisme tardif, de la séduction et du désir. Et pourtant, le peule insaisissable, le peuple essentialisé et sanctifié par les idéologies de la modernité, revint au-devant de la scène politique, dans la rue avec les gilets jaunes, parfois de façon brutale, mais en tant que force de contestation incontournable.

Cette présence du peuple au réel, au quotidien, n’est plus une abstraction, mais l’évidence même du principe politique de la démocratie, une réalité agonale qui unifie le principe naturel Fichteien du « droit du sang »  et la communauté de volonté Renanienne qui en appelle à « un plébiscite de tous les jours ».


C’est cette réalité, ce come back du peuple enraciné en tant que moteur de l’histoire, que l’hyperclasse globaliste s’efforce de nier et de réprimer. Alors que la démocratie parlementaire constituait, depuis deux siècles, l’horizon intouchable du bien politique, aujourd’hui elle semble trahie et toucher à son terme. Aujourd’hui, le divorce entre peuple et oligarchie globale gouvernante se gargarisant de ses discours, est bel et bien consommé, et les lignes de front seront à la fois sociales et communautaires.

Nous assistons de plus à l’émergence d’une conflictualité intra-étatique et non plus inter-étatique. Une conflictualité au sein de laquelle le peuple en tant que communauté de destin se définira à l’avenir, comme le souligne Charles Chaumont, par « l’histoire de ses luttes », une histoire qui reste à écrire…

En effet, Pour Charles Chaumont, contrairement au droit international classique, fondé sur la volonté des seuls gouvernants, le droit international contemporain se caractérise par l’irruption du peuple comme réalité historique dans la scène internationale. Une irruption qui introduit une véritable rupture critique dans la manière de penser l’ordre juridique international.


Deux siècles plus tard, on assiste à la convergence entre la « communauté de destin » de l’austro-marxiste Otto Bauer, qui permet d’opérer une articulation entre le peuple-en-soi et le peuple-nation, ce nouveau « bloc historique » Gramscien, porteur de transformation sociale. En effet, c’est la grande leçon de Gramsci qui avait bien vu les limites d’une telle conception anti-nationale et pour lequel l’expression de peuple-nation (« popolo-nazione ») s’insérait dans le cadre du bloc historique et d’hégémonie, tout en étant l’expression du sentiment national mise en perspective selon une stratégie sociale révolutionnaire stratégique inclusive et émancipatrice.

C’est bien cette rencontre entre la dimension « populaire-nationale » et la lutte sociale, qui échappe aux carcans des partis de la droite bourgeoise, ainsi qu’au monopole idéologique de l’antifascisme sansfrontiériste et internationaliste, qui fait la singularité d’un peule en lutte qui devient « fait social total ». En effet, la gauche antifasciste reste profondément réactionnaire, bourgeoise et anti-populaire, car prisonnière d’une approche anti-identitaire et a-nationale, elle n’a jamais su ancrer sa vision de « société des producteurs » dans une vaste communauté organique enracinée, dans le cadre d’une identité historique propre.


La même aporie est vérifiable chez le marxisme messianique historique qui transfère cette téléologie historique (« le sens de l’histoire ») de la nation vers le prolétariat international (ou plus exactement transnational) en oubliant que toute révolution sociale s’inscrit dans une culture nationale spécifique. C’est aussi la raison pour laquelle le capitalisme libéral contemporain, qui glorifie le marché transnational et le cosmopolitisme culturel a trouvé un allié privilégié dans le discours sans-frontiériste libéral-libertaire de gauche.

Depuis l’ordre international wilsonien qui, à la fin de première guerre mondiale, instrumentalisa le principe du droit des peuples à disposer d’eux-mêmes afin de décoloniser le monde et d’assurer le démantèlement des empires multiethniques, la notion de peuple comme « force créatrice » dans la dynamique du droit international fut peu à peu évacuée au profit de la volonté des seuls gouvernants, et du discours sociétal sur les droits de l’homme et sur le droit des minorités.


L’actuelle progression des mouvements populistes, le réveil des couches populaires et moyennes socialement marginalisées et déclassées de part l’Europe, démontrent que le peuple reste une force de contestation à la fois sociale et identitaire incontournable. Le principe des luttes de libération nationale de l’époque coloniale cède le pas au droit des peuples à témoigner d’eux-mêmes, le droit à l’auto-détermination se transformant en droit à l’auto-conservation et du droit à rester eux-mêmes à l’époque post-nationale et face à la logique marchande et uniformisante des Etats oligarchiques, satellisés par les instances supranationales et globalistes. Nul ne sait si ce phénomène général de clivage entre peuple et élites engendrera à long terme une possible inversion des jeux de puissance et des retournements qui peuvent, à terme, changer l’état de la société internationale.

Jure Georges Vujic (Polémia, 25 février 2019)

samedi, 09 mars 2019

Alexandre Marc

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Alexandre Marc

par Georges FELTIN-TRACOL

am4-liveuro.jpgPrincipale figure du non-conformisme européen tant dans les années 1930 qu’après-guerre, Alexandre Marc naît en 1904 à Odessa dans l’Empire russe au sein d’une famille juive. Alexandre-Marc Lipiansky et ses parents fuient la Révolution de 1917 et s’installent à Paris. Étudiant à Iéna en Allemagne, il s’intéresse à la philosophie, puis rentre en France et y suit des cours de droit et de sciences politiques. Il participe aussi à un groupe socialiste libertaire étudiant.

Embauché par les éditions Hachette en 1927 pour exercer le secrétariat du service de droit international, il en démissionne en 1930 et lance une agence, Pax Press. Un an auparavant, il avait repris le Club du Moulin-Vert. Il y reçoit Nicolas Berdaieff, Denis de Rougemont, Gabriel Marcel… Il rencontre aussi Arnaud Dandieu et Robert Aron. À l’automne 1930, tous les trois transforment le Club du Moulin-Vert en L’Ordre nouveau. Ils s’accordent sur le diagnostic : le monde moderne est voué au désordre grandissant. Le décès soudain d’Arnaud Dandieu en 1933 incite Alexandre Marc à se convertir au christianisme. Il épouse bientôt une protestante languedocienne et aura quatre enfants.

am3livciv.jpgEn contact étroit avec la revue réaliste Plans de Philippe Lamour, issue de la « galaxie » Georges Valois et des tentatives maladroites de fascisme à la française, Alexandre Marc se lie d’une part avec le pacifiste allemand francophile Otto Abetz, futur ambassadeur allemand à Paris sous l’Occupation, et, d’autre part, avec la revue nationale-bolchevique Der Gegner (« L’Opposant ») de Harro Schulze-Boysen. Il discute aussi avec Thierry Maulnier de la « Jeune Droite ». Auteur d’essais sur Pierre-Joseph Proudhon et Charles Péguy, Alexandre Marc s’oppose au nom du fédéralisme intégral à l’État-nation et nie la pertinence du clivage politicien gauche – droite.

En 1933, il co-écrit avec son condisciple René Dupuis Jeune Europe dans lequel les auteurs préviennent de la nocivité du national-socialisme allemand et du communisme soviétique. Il collabore par ailleurs à divers titres démocrates-chrétiens comme Sept dont il est secrétaire de rédaction, Temps nouveaux et Témoignage chrétien. Ce résistant de la première heure est interné en Suisse en tant que réfugié politique entre 1943 et 1944.

Dès 1945, il adhère à La Fédération d’André Voisin, devient secrétaire général de l’Union européenne des fédéralistes et co-organise en 1948 le Congrès de La Haye qu’il imagine en « États généraux pour l’Europe ». Le triomphe de la ligne adverse, celle des fonctionnalistes de Jean Monnet, ne douche pas son enthousiasme. En 1954, il fonde et dirige un Centre international de formation européenne, publie un périodique, L’Europe en formation, monte une maison d’édition, Les Presses d’Europe, et implante à Nice un Institut européen des hautes études internationales. Il décède au début de l’année 2000.

am1livresur.jpgComme de nombreux fédéralistes européens après 1945, il refuse l’« Europe forteresse » défendue par Maurice Bardèche et conçoit à l’époque – il sera plus réaliste au soir de sa vie – la fédération européenne comme la dernière étape vers une fédération mondiale, ce qui est proprement impolitique. Ce penseur personnaliste estime dans Fondements du fédéralisme. Destin de l’homme à venir (L’Harmattan, 1997) que « les antagonismes peuvent être féconds (p. 28) ». Soit ! Son fédéralisme ne se cantonne pas à la seule politique; elle a d’évidentes implications socio-économiques. À la fois hostiles au libéralisme, à l’étatisme et au collectivisme, « les fédéralistes, note-t-il, veulent une entreprise réellement libre, composée d’hommes libres, et fonctionnant avec un marché véritablement libéré, c’est-à-dire – pour reprendre […] la terminologie péguyiste – affranchie du joug et de l’Argent-Roi et de l’État-Moloch (p. 143) ». Ainsi propose-t-il la planification économique dans un cadre concurrentiel et l’auto-gestion en entreprise. Il se tait en revanche sur l’intéressement, l’association Capital – Travail et la participation, trois thèmes majeurs du gaullisme qu’Alexandre Marc soupçonnait de « néo-nationalisme » étriqué.

Cet adversaire du salariat – forme moderne d’esclavage – propose enfin le Minimum social garanti aussi appelé « Revenu de citoyenneté » et que le public connaît maintenant sous le nom de « Revenu universel ». Il fourmillait de mille et une idées dont certaines commencent à prendre une actualité particulière en ces temps de « Gilets jaunes » et de coalition gouvernementale Mouvement 5 ÉtoilesLigue en Italie...

Georges Feltin-Tracol.

• Chronique n° 23, « Les grandes figures identitaires européennes », lue le 29 janvier 2019 à Radio-Courtoisie au « Libre-Journal des Européens » de Thomas Ferrier.

vendredi, 08 mars 2019

Intelligence artificielle. Bluff technologique ou Game Over ?

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Intelligence artificielle. Bluff technologique ou Game Over ?

par Thierry DUROLLE

« Créer une intelligence artificielle serait le plus grand événement de l’histoire humaine. Malheureusement, ce pourrait être le dernier, à moins que nous découvrions comment éviter les risques. » Stephen Hawking résume ici toute l’envergure d’un processus prométhéen qui pose nombre de questions. Mise au point.

Principes de base de l’intelligence artificielle

Dans les années 90, on assiste à l’essor du Machine Learning (ou « apprentissage automatique »). Les programmes informatiques fonctionnent grâce à des configurations bien précises qui forment des cadres dont il est impossible de s’extirper, bien que certains cas l’exigeraient. Le programme devrait être capable de prendre des mesures par lui-même. Pour cela, il a besoin de nouveaux algorithmes qui lui permettront d’apprendre en l’alimentant avec des données, puis, en lui permettant de les classer ou de faire des associations. Il s’agit ni plus ni moins que d’une imitation du mode d’apprentissage des enfants : on désigne un chien du doigt et on nomme ce que l’on vient de lui montrer. L’une des clés pour comprendre l’IA (intelligence artificielle) réside justement dans ce mimétisme de l’humain (et plus généralement du vivant) où la pensée mécaniste sert de passerelle entre le monde de la nature et celui de la machine. Cela explique sans doute pourquoi l’on peut rapprocher l’intelligence artificielle et le transhumanisme, tout deux faisant partie d’un élan prométhéen à tendance bio-mécanique.

La neuro-informatique, par exemple, élabore un système inspiré de notre réseau neuronal dans son principe de fonctionnement, à l’exception que les neurones sont ici remplacés par des algorithmes nommés perceptrons. C’est la base du Deep Learning (« apprentissage approfondi »), une version beaucoup plus élaborée du Machine Learning, développé par le chercheur français Yann Lecun et rendu possible par l’évolution des ordinateurs et par le Big Data. Pour le moment, la machine ne peut pas rivaliser avec l’homme puisque contrairement à celle-ci nous avons, en plus de nos connaissances, tout un tas d’expériences devant nous, de facultés tenant de l’innée, de sensations et d’émotions. Autrement dit, nous avons nos cinq sens pour connaître et explorer le monde, pour faire nos propres expériences et nos propres choix; la machine n’a rien de semblable – d’où l’utilité des données pour palier à tout ce qui est du domaine de l’empirique.

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État des lieux de l’intelligence artificielle

La bonne nouvelle est que le scénario Terminator attendra encore pas mal de temps avant de pouvoir se réaliser. Néanmoins, et cela n’est pas pour autant très rassurant, l’IA est devenu une composante de nos vies sans forcément que nous nous en rendions compte. Lorsque vous naviguez sur le fil d’actualité d’un célèbre réseau social, les informations qui apparaissent sont sélectionnées via des algorithmes usant de procédés d’intelligence artificielle (par un décorticage de vos data). Il en va de même pour tout un tas de gadgets devenus des outils du quotidien pour un grand nombre de personnes, comme les traducteurs de langues, les reconnaissances vocale et faciale. Les domaines d’application sont nombreux : finance, médecine, armée ou encore jeux vidéos.

Les avancés en la matière sont objectivement prometteuses, notamment dans le domaine médical où l’intelligence artificielle permettra d’analyser à une vitesse fulgurante des données médicales, des radiographies pour repérer des anomalies difficiles à détecter à l’œil nu. L’IA se révèle extrêmement efficace dans le traitement et l’analyse des données. En fait, contrairement aux êtres humains, celle-ci s’avère efficace uniquement dans un domaine particulier pour une tâche elle-même extrêmement précise. Un bon exemple est le programme AlphaGo. Conçu pour le jeu de go, celui-ci a battu Lee Sidol, le meilleur joueur au monde, le 15 mars 2016. En revanche, ne demandez pas à AlphaGo de jouer aux échecs car il en est incapable. Ce à quoi il faut s’attendre en réalité s’apparente à « l’émergence d’une technologie de l’intégral » pour reprendre l’expression d’Éric Sadin, c’est-à-dire à la multiplicité d’applications ayant recours à l’IA dans notre quotidien. L’humanité enclenche le pilotage automatique.

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Utopie technicienne ou scénario Terminator ?

L’IA, qui n’est en définitive qu’une technique, nous est promu comme LA solution à nos problèmes, ce en quoi elle serait plus performante que son créateur pour certaines tâches spécifiques. L’homme ne serait en fin de compte perfectible qu’au-delà de sa condition biologique. Cette technique sera mise à toutes les sauces en terme de résolution collectives : fin des problèmes de chômage, d’économie, de politique, d’écologie, etc. D’ailleurs le monde économique se frotte les mains à l’idée d’usines entièrement robotisées.

Pour l’instant nous ne sommes qu’au commencement de ce que les chantres de l’IA appelle une révolution. Si ces derniers comprennent le mot révolution comme une subversion, ils ont sans doute raison, mais, quid de l’ampleur de cette révolution ? Ne s’agit-il pas en fin de compte d’un bluff technologique, pour emprunter l’expression de Jacques Ellul ? Ou alors, à l’opposé, avons-nous ouvert une boite de Pandore débouchant sur le scénario Terminator ? Les défenseurs de l’IA répondront que la machine n’a pas de volonté propre si ce n’est celle qui lui a été insufflée. Par conséquent, si l’on ne programme pas la possibilité pour un robot de faire le mal, celui-ci ne pourra pas s’exécuter. La machine peut-elle échapper à notre contrôle ? En août 2017, des chercheurs du Facebook Artificial Intelligence Research (FAIR) publient une étude dans laquelle ils expliquent que deux robots communicatifs programmés pour la négociation, appelés chatbots, ont inventé leur propre langage. Les chercheurs disent avoir arrêté le programme qui « ne fonctionnait pas comme prévu »…

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Après Prométhée, faire face à notre destin

Le véritable risque réside en fait dans cette emprise du technologisme sur nos vies (via et pour le plus grand bonheur du techno-capitalisme). Il suffit de voir les habitants des villes, mais aussi parfois des campagnes, le nez collé à leurs smartphones, la montre connectée vissée au poignet, pour se convaincre de la domination de la technique sur une partie de l’humanité. Déformé neurologiquement, mentalement et physiquement, le dos courbé pour être toujours plus près de l’écran du smartphone, les yeux fatigués par la lueur de celui-ci : voilà les techno-zombies, mus par des applications Androïd qui leur indiquent le grammage adéquat de nourriture qu’ils doivent ingérer pour continuer à exister, et qui les préviendront bientôt quand ils devront aller à la selle et comment s’accoupler récréativement. Parler d’accoutumance, voire carrément de dépendance, n’est donc pas exagéré. Tablettes, GPS, biométrie, réseau sociaux : ce que l’on gagne en côté pratique, en utilité, on le perd en indépendance, c’est-à-dire, en fin de compte, en liberté.

L’IA conçue comme une extension-outil de nous-même, indispensable à notre bon fonctionnement, voilà le danger ! En tant que partisan d’un monde organique, du Kosmos, de la saine mesure autrefois prônée par les Grecs anciens, lutter contre l’atomisation, la rationalisation fanatique et le mécanicisme cartésien devient, jours après jours, un impératif de survie. Nous sommes en train de faire face à un défi technique, économique, écologique, civilisationnel, et spirituel. Soyons lucide sur la situation, nous nous dirigeons tout droit sur un chemin hasardeux où les périls ne manquent pas. L’idéologie du Progrès nous amène peut-être à marche forcée vers la fin de l’Histoire… Alors, à l’heure où paraît enfin La perfection de la technique de Friedrich-Georg Jünger, et où l’on redécouvre l’œuvre de Bernard Charbonneau, résonne dans notre esprit un seul mot d’ordre : « Décélérons ! »

Thierry Durolle

jeudi, 07 mars 2019

Edelweiss The Archaeo-Futurist European Imperial Idea in Robert Steuckers’ Europa I. Valeurs et racines profonds de l’Europe

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Edelweiss

The Archaeo-Futurist European Imperial Idea in Robert Steuckers’ Europa I. Valeurs et racines profonds de l’Europe

(Madrid: BIOS, 2017)

by Alexander Wolfheze

Prologue: Wormtongue in Zürich

RS-trilogievol1.jpgFor the Brussels regime of globalist eurocrats the upcoming European elections obviously represent an opportunity to fit itself with a new set of ‘democratic clothes’, but it also offers the patriotic-identitarian resistance an opportunity to revisit its critique of the ‘EU project’. At this point, the camouflage cover of EU emperorship has become so threadbare that even its heir-apparent Mark Rutte openly wonders if the time has not come to switch from outdated democratic outfits to updated totalitarian styles. In this regard, the title of his Zürich ‘Churchill Lecture’ of 13 February 2019 - interpreted as yet another ‘job application’ by many political analysts - leaves little room for doubt: ‘The EU: from the power of principles towards principles and power’. Despite the grammatical ambiguity, the ‘semantic switch’ is clear for all to see: the ‘power principle’ is now foremost in the minds of the eurocratic elite. For the EU needs a reality check; power is not a dirty word read: ‘the EU should use its instruments of power’. For the importance of being less naïve and more realistic read: ‘it is time to end the idealistic charade’. For The requirement of unanimity reflects the fact that foreign policy is part of the core of national sovereignty... But when it comes to sanctions, I do think that we must give serious thought to enabling qualified majority voting for specific, defined cases read: ‘the remaining state sovereignty of the member states should be diminished even further’. In fact, the transformation of the EU into a ‘super state’ is already a palpable reality: the steady accumulation of censorship in the (social) media and digital sphere, through ‘hate speech codes’,[1] ‘fake news taskforces’[2] and ‘copyright directives’,[3] is approaching the level of Orwellian perfection. As the totalitarian finish line of the EU project is coming into view, it is important to re-view its historical genesis and ideological baseline.

The Maastricht Treaty that laid the formal groundwork for the present-day European Union was signed on 7 February 1992, only six weeks after the formal dissolution of the Soviet Union. Thus, the construction of the new cultural-marxist Western Bloc commenced almost immediately after the demolition of the old real-socialist Eastern Bloc. Since then, the EU was not only enlarged externally (most substantially through the hasty absorption of the Central European nation-states that had just freed themselves from Eastern Bloc rule) - it was also transformed internally, rapidly developing into a proto-totalitarian ‘super state’ project and a worthy successor to the Soviet Union. In a number of ways, the similarities are increasingly startling. The same social ‘deconstruction’ - Eastern Bloc: hyper-proletarian collectivism / Western Bloc: neo-matriarchal levelling. The same economic ‘deconstruction’ - Eastern Bloc: ‘forced collectivization’ / Western Bloc: ‘disaster capitalism’. The same ethnic ‘deconstruction’ - Eastern Bloc: ‘group deportation’ / Western Bloc: Umvolkung. In the contemporary West, the discrepancy between the theoretical discourse of the rulers and the practical lived reality of the people is approaching the same grotesque ‘doublethink’ level as it reached in the Eastern Bloc. The ideological doctrine of Western liberal-normativism theoretically upholds ‘freedom’, ‘equality’, ‘democracy’, ‘justice’ and ‘human rights’, but its real-time practice of nihilist deconstruction provides only social-darwinist economic jungle law, perverse social implosion, pervasive institutional corruption, failing law enforcement and wholesale ethnic replacement. In a certain sense, the Western Bloc has already surpassed Eastern Bloc totalitarianism: in all EU member states the EU flag is everywhere displayed right next to the national flag - a direct insult to national dignity that even the formally independent Soviet satellite states were spared.

Given this escalating discrepancy between theory and practice, the ruling class of the Western Bloc - a globalistically-eurocratically operating coalition between neo-liberal high finance and cultural-marxist intelligentsia - has been transformed into a hostile elite in the true sense of the word. Its EU project has been shown for what it truly constitutes: a globalist anti-Europe project. If European civilization, and the indigenous peoples of Europe that are the bearers of this civilization are to survive, the removal of the hostile elite must have absolute priority. In working towards this end, a fundamental (cultural-historical, political-philosophical) critique of its ideology is of crucial importance for the patriotic-identitarian resistance. An important contribution to this critique has recently been made by Belgian Traditionalist publicist Robert Steuckers: a better ‘guide’ to the issues at stake in the upcoming ‘European elections’ of May 2019 than his great trilogy Europa is hardly imaginable. This present essay aims at making Steuckers’ analysis of Europe’s authentic core values and identitarian roots, found in Part I of Europa but written in French and not yet translated, available to a wider English-speaking audience. Part I of Europa offers more than a thorough counter-analysis of the postmodern ‘deconstruction’ of Europe’s authentic values and identities: it offers a clear formulation of a viable alternative: an Archaeo-Futuristically inspired ‘Europe of the Peoples’, based on the complementary principles of autonomous ethnic communities, consistently-applied political subsidiarity and pragmatic confederative structures. It ought to be said once more: the Western patriotic-identitarian movement owes Robert Steuckers a great debt of gratitude for his tireless educational work. Above and beyond this, the patriotic-identitarian movement of the Low Countries congratulates him on rising above the usual intellectual mediocrity of our ‘lowlands’ - and reminding Europe of the fact that even in our backwaters thought is being given to the possible shape of a new Europe of the Peoples.

(*) As in the case of the preceding ‘Steuckers reviews’,[4] this essay is not only meant as a review: it also serves as a meta-political analysis in its own right - a contribution to the patriotic-identitarian counter-deconstruction of the postmodern deconstruction discourse of the Western hostile elite. The core of this essay provides a summary of Steuckers’ Traditionalist exploration of European identity. This exploration puts a full stop behind the postmodern deconstruction of that identity and provides a cultural-historical tabula rasa that allows the patriotic-identitarian movement to give an entirely new and revolutionary meaning to the idea that is ‘Europe’. In an intellectual sense, an Archaeo-Futurist Europe is now effectively within reach.

(**) This essay treats the ‘European case’ in three steps: the first paragraph triad offers base-line ‘diagnostics’, the second paragraph triad offers ‘therapeutic’ reference points and the seventh paragraph suggests avenues for a concrete ‘treatment’. In the first and last paragraphs, the reviewer gives an outline of the larger Archaeo-Futurist context within which Steuckers’ exploration of European identity becomes relevant for the patriotic-identitarian movement - the actual ‘review’ of Steuckers’ Europa I is found in paragraphs 2 through 6.

(***) For an explanation of the chosen linguistic form and note format the reader is referred to the prologues of the preceding ‘Steuckers reviews’.

1.

The Red Weed

(psycho-historical diagnosis)

‘Over Your Cities Grass Will Grow’[5]

wwwells2.jpgTill today, H.G. Wells’ masterpiece The War of the Worlds not only remains one of the greatest works of the entire literary science fiction genre: till today, this evergreen also retains a direct - albeit mostly unconsciously and instinctively recognized - relevance to the existential condition of Western civilization.[6] Wells’ masterful impressionist rendering of ‘Earth under the Martians’ sketches a world where mankind has lost its bearings - where all recognition and reference points have been wiped away. As human civilization is destroyed by superior alien technology, alien occupation reduces mankind itself to cattle for the slaughter - even earthly nature itself is displaced by alien vegetation. Thus a (literally) creepy ‘red weed’ - a reference to the red colour of ‘war planet’ Mars - grows over the ruins of human civilization, suffocating the remnants of earthly vegetation.[7] Literary analyses of The War of the Worlds recognize that Wells’ masterpiece can be plausibly interpreted as a series of retrospective and contextual psycho-historical ‘mirror images’. Thus, Wells projects the imperialistically rationalized and social-darwinistically justified genocide of ‘primitive peoples’ (such as the indigenous people of Tasmania)[8] by the ‘white master race’ throughout the modern era on the hypothetical extermination of humanity by a superior alien race. He also projects the dehumanizing horror of the rising ‘bio-industry’ of his time on humanity’s hypothetical ‘cattle status’ under alien dominion. Most literary analyses, however, stop of short of pointing to the predictive value of Wells’ work - a value that derives from its forward projection of multiple and simultaneous occurring technological and sociological developmental trajectories. Earlier times would undoubtedly have been recognized Wells’ genius literary packaging of these projections as straightforward ‘prophecy’ – our own time must make do with ‘scientific fiction’.

The existential stress fractures that Modernity has caused in Western civilization can be analyzed - and partially projected forward - by means of modern scientific models: economically as Entfremdung (Karl Marx), sociologically as anomie (Emile Durkheim), psychologically as cognitive dissonance (Leon Festinger) and philosophically as Seinsvergessenheit (Martin Heidegger). For the Western patriotic-identitarian movement the meta-political relevance of these analyses does not primarily reside in their - sometimes ideologically biased - ‘deconstructive’ capacity, but rather in their simple diagnostic value. In this respect, there exists an important similarity between such modern scientific models and modern artistic ‘models’ such as Wells’ The War of the Worlds: by interpreting societal develops as ‘omens’ they can provide societal ‘traffic signs’ - and existential ‘warning signs’. By now, the accumulative impact of Modernity on Western societies is so great that the existential condition of the Western peoples can no longer be described in terms of authentic civilizational continuities or historical ‘standard settings’. When deviation, aberration and derailment determine an entire existential condition, then historically recognizable ‘standards’ are obsolete. When scientifically formulated ‘traffic signs’ are ignored for long enough, then artistically ‘predicted’ dystopian abysses must be faced. It is not by chance that the current phase op (ex-)Western cultural history is described by the term ‘post-modern’: the (ex-)Western societies of today have largely left behind authentic civilizational continuity and they are now moving with increasing speed in the direction of existential conditions that bare an uncanny resemblance to those that prevailed in Wells’ vision of Earth under the Martians.

The new ‘globalist’ ruling class of the West has effectively separated itself from the Western peoples - and positioned itself above it. Now, its only ‘connection’ to these peoples is found in the impact of its power. The hostile elite now considers itself superior to the ‘masses’ that it has ‘outgrown’ in a sense that is not merely ethical and aesthetical: it considers itself evolutionarily superior - it has become alienated in the most literal sense of the word.[9] The consistently negative effects of the hostile elite’s exercise of power - felt most particularly in neo-liberal exploitation, industrial ecocide, bio-industrial animal cruelty, cultural-marxist deconstruction, social implosion, ethnic replacement - define its role as a literally hostile elite. It does not know empathy and sympathy in any way, shape or form: not for its Western enemies, not for its Third World servants and not for its home planet - it is now literally alien to the Earth itself. The globalists are at war with humanity as a whole. They seek to eliminate or enslave at will. They care about themselves and themselves alone. They are committed to concentrating all wealth in their hideous hands. In their evil eyes, our only purpose is to serve them and enrich them. Hence, there is no room for racism, prejudice, and discrimination in this struggle. It is not a race war but a war for the human race, all included, a socio-political and economic war of planetary proportions (Jean-François Paradis).[10]

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The globalist - and therefore anti-European - geopolitical strategy of the hostile elite (which aims at industrial delocalization, social atomization and cultural deracination, cf. Steuckers 223ff.) may be recognized as social-economic and psycho-social warfare by a handful of patriotic-identitarian thinkers, but the Western masses only recognize its effects: economic marginalization (labour market manipulation, artificial unemployment, interethnic wealth redistribution), social malaise (matriarchal anti-law, family structure disruption, digital pornification) and cultural decadence (educational ‘idiocracy’, academic ‘valorization’, media ‘political-correctness’). Through a carefully calibrated - but now critically dosed - process of mass immigration, the hostile elite is constantly reinforcing these economic, social and cultural ‘deconstruction’ programs, to the point of irreversibility. The Umvolkung process aims at eradicating the Western peoples as ethnically, historically and culturally distinct entities by ‘dissolving’ them in an atomized mass of atomized déracinés - by stamping them down into la boue,[11] the ‘mud’ of identity-less, character-less and will-less ‘mass man’. This process of ethno-cultural, social-economic and psycho-social total levelling, for now directed primarily at Europe, aims at the ultimate Endlösung of the core problem of the New World Order, which is the continued existence of authentic - and therefore automatically anti-globalist - identities at the collective level. Most concretely, this Endlösung is realized through the totalitarian implementation of ethnocidal ‘multiculturality’ and anti-identitarian ‘mobocracy’.

The motivations and aims of the hostile elite effectively ‘surpass’ the imagination of the Western masses - in certain respects, they even ‘surpass’ the common categories of human thought. In fact, their ‘un-earthly’ and ‘diabolical’ quality is starting to become increasingly evident in its concrete effects.[12] Elsewhere, the ideology of the hostile elite was defined as ‘Culture Nihilism’, i.e. as an improvised amalgam of ideas characterized by militant secularism, social-darwinist hyper-individualism, collectively internalized narcissism and doctrinal culture-relativism aimed at the destruction of all authentic forms of Western civilization.[13] The fact that the Western masses are not able to grasp Cultural Nihilism as an ideology and a program is largely due to its deliberate ‘vagueness’: the explicit motivations and aims of the hostile elite are intentionally il-logical and anti-rational. The only thing that is important for the hostile elite is power: its so-called ‘ideas’ are mere stratagems to gain, retain and expand power: they should be understood as ‘frames’ that serve specific purposes in cognitive warfare.

spcar.jpgA good example of this cognitive warfare can be found in the currently fashionable ‘climate debate’: the ‘party (cartel) line’ that has been laid out by the hostile elite makes an appeal to Gutmensch eco-consciousness, but the punitive tribute that is imposed on the masses by means of new ‘climate taxes’ is exclusively used for ‘investment’ in commercial ‘climate business’ - and to subsidize politically-correct ‘climate clubs’. The inevitable popular backlash is then cognitively ‘transposed’ into a sub-rational ‘climate denial’ discourse that is projected on - even pragmatically claimed by - the ‘populist’ opposition, either in activism (the French ‘yellow vests’) or in parliament (the ‘0,00007 degrees centigrade’ slogan of the Dutch Forum for Democracy party). In this case, the cognitive dissonance that has been successfully created by the hostile elite runs so deep that the ‘common man in the street’ is actually denying the reality of vanishing winter ice and absurd February springs seasons to himself. The balancing act of the hostile elite is entirely effective: the ‘populist opposition’ is happy to abandon the moral high ground for the sake of a few extra parliamentary seats, the masses are happy because they can continue their ‘dance on the volcano’ with some extra years of holiday flights and automobile kilometres and the hostile elite is happy to continue in its ‘economic growth’ model - and with the extra ‘climate taxes’ that can be fed into ‘commercial investments’ and, of course, ‘climate refugees’. In the meantime, ‘business as usual’, or actually more than usual, means that the ecocidal clock of anthropogenic global warming and meteorological catastrophes is left to run its course - to the ‘final countdown’.

On balance, however, the Western masses do instinctively recognize the globalist megalomania of the hostile elite - the elite intelligentsia dismisses this instinctive recognition as ‘belly feel’ and it disqualifies its political expression as ‘populism’. This extreme demophobic arrogance may long retain its effectiveness, but in the longest run, it will come at a heavy price: even now, the Western peoples are beginning to experience the globalist regime of the hostile elite as an ‘alien occupation’. The masses are slowly by slowly starting to see the all-suffocating power of the hostile elite for what it is: an alien ‘red weed’ that is literally smothering Western civilization and the Western homeland.

I had not realised what had been happening to the world, had not anticipated this startling vision of unfamiliar things. I had expected to see... ruins - I found about me the landscape, weird and lurid, of another planet. For that moment I touched an emotion beyond the common range of men, yet one that the poor brutes we dominate know only too well. I felt as a rabbit might feel returning to his burrow and suddenly confronted by the work of a dozen busy navvies digging the foundations of a house. I felt the first inkling of a thing that presently grew quite clear in my mind, that oppressed me for many days, a sense of dethronement, a persuasion that I was no longer a master, but an animal among the animals, under [alien rule]. With us it would be as with them, to lurk and watch, to run and hide; the fear and empire of man had passed away. - Herbert George Wells, The War of the Worlds

2.

The European Kata-morphosis

(political-philosophical diagnosis)

 

Impia tortorum long[o]s hic turba furores sanguinis innocui, non satiata, aluit.

Sospite nunc patria, fracto nunc funeris antro, mors ubi dira fuit,

vita salusque patent.

[Here an impious mob of torturers, insatiable,

fed their long-lasting frenzies for innocent blood.

Now that the fatherland is safe, now that the cave of murder has been destroyed,

in the place where foul death once was,

life and health are open to all.][14]

After half a century of systematic demolition work on state structures and ethnic identities, Europe’s political, economic, social and cultural landscape has changed beyond recognition. The decades’ long outgrowths of parasitical neo-liberalism and prolific cultural-marxism have covered Europe as a ‘red weed’, creating previously unimaginable societal deformations. Hyper-mobile ‘flash capital’ is causing short-lived economic bubbles that give rise to architectural, artistic and fashion monstrosities, spreading outwards from ‘central business districts’, ‘leisure time resorts’ and ‘academic campus environments’. Ethnic ‘diversity’ is resulting in social-economic networks that are smothering the Western public sphere as so many ‘invasive species’: diaspora economies, drug mafias and polycriminal subcultures. These networks are supplemented by un-Western ‘spirit-based’ institutions: the awqāf[15] sponsored by Middle Eastern oil capital, the ‘asylum industry’ funded by public taxes and the ‘system media’ managed by globalist capital. What effectively links all these networks and institutions, systematically tolerated and facilitated by the hostile elite, is their common functionality, viz. their role as replacement mechanisms that are laying the groundwork for the New World Order. In this regard, a crucial role is reserved for the schwebende Intelligenz, viz. cultural-marxist intelligentsia that constitutes the globalist avant-garde. This intelligentsia is tasked with the supra-spatial and im-material deconstruction that precedes the spatial and material deconstruction of Western civilization. These ‘spiritual’ and ‘intellectual’ representatives of the globalist occupation regime ...se nichent dans [l]es trois milieux-clefs - média, économie, enseignement - et participent à la élimination graduelle mais certaines des assises idéologiques, des fondements spirituels et éthiques de notre civilisation. Les uns oblitèrent les résidus désormais épars de ces fondements en diffusant une culture de variétés sans profondeur aucune, les autres en décentrant l’économie et en l’éclatant littéralement par les pratiques de la spéculation et de la délocalisation, les troisièmes, en refusant l’idéal pédagogique de la transmission, laquelle est désormais interprétée comme une pratique anachronique et autoritaire, ce qu’elle n’est certainement pas au sens péjoratif que ces termes ont acquis dans le sillage de Mai 68. [...have settled in [the] three key positions [of globalist power] - media, economy [and] education - and there they work towards the slow but sure elimination of the ideological, spiritual and ethical foundations of our civilization. Some of them are engaged in the erasure of the already crumbling foundational remnants by disseminating superficial ‘cultural diversity’. Others [are engaged in] the ‘decentralization’ of the economy by literally blowing it up through speculation and delocalization. Yet others [are engaged in] the sabotage of the pedagogical ideal of [cultural] transmission by representing [that ideal] as an ‘outdated’ and ‘authoritarian’ practice on the basis of the negative connotation that these terms were charged with in the aftermath of May ’68.] (p. 262-3)

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The globalist intelligentsia is using refined ‘alien audience’ propaganda strategies and coordinates the cognitive warfare that the hostile elite is waging against the Western peoples: it is creating a liberal-normative habitus of exclusively ‘economic thought’ that justifies the physical deconstruction of Western civilization. ...[U]ne économie ne peut pas, sans danger, refuser par principe de tenir compte des autres domaines de l’activité humaine. L’héritage culturel, l’organisation de la médecine et de l’enseignement doivent toujours recevoir une priorité par rapport aux facteurs purement économiques, parce qu’ils procurent ordre et stabilité au sein d’une société donnée ou d’une aire civilisationnelle, garantissant du même coup l’avenir des peuples qui vivent dans cet espace de civilisation. Sans une telle stabilité, les peuples périssent littéralement d’un excès de libéralisme, ou d’économicisme ou de ‘commercialité’... [An econom[ic model] cannot refuse to take account of other spheres of human activity with impunity. The cultural sphere, the healthcare sphere and the educational sphere must always be prioritized above merely economic factors because they provide order and stability to a given community or civilization. They are the guarantors of the future of the peoples living within that civilization. Without such stability, the[se] peoples will literally die of an overdose of ‘liberalism’, ‘economism’ and ‘commercialism’...] (p. 216-7)

In the European context, the doubly neo-liberal and cultural-marxist deconstruction of Western civilization and peoples is implemented through the Brussels-based ‘EU project’. This project is characterized by a radical departure from all traditional notions of pan-European cooperation: in a meta-historical sense, the postmodern ‘EU project’ represents a structural inversion of the classical concept of the European empire. L’Europe actuelle, qui a pris la forme de l’eurocratie bruxelloise, n’est évidemment pas un empire, mais, au contraire, un super-état en devenir. La notion d’‘état’ n’a rien  à voir avec la notion d’‘empire’, car un ‘état’ est ‘statique’ et ne se meut pas, tandis que, par définition, un empire englobe en son sein toutes les formes organiques de l’aire civilisationnelle qu’il organise, les transforme et les adapte sur les plans spirituel et politique, ce qui implique qu’il est en permanence en effervescence et en mouvement. L’eurocratie bruxelloise conduira, si elle persiste dans ses errements, à une rigidification totale. L’actuelle eurocratie bruxelloise n’a pas de mémoire, refuse d’en avoir une, a perdu toute assise historique, se pose comme sans racines. L’idéologie de cette construction de type ‘machine’ relève du pur bricolage idéologique, d’un bricolage qui refuse de tirer des leçons des expériences du passé. Cela implique une négation de la dimension historique des systèmes économiques réellement existants, qui ont effectivement émergé et se sont développés sur le sol européen. [Contemporary ‘Europe’, as given shape by the Brussels ‘eurocrats’, is clearly not an empire - it represents its opposite: a superstate-in-the-making. The notion of the ‘state’ is essentially different from the notion of the ‘empire’: the ‘state’ is [literally] ‘static’ and [essentially] immovable, whereas the ‘empire’ is [always in a state of flux as it is] engaged in the [constant] absorption of the organic forms that come within its reach, re-shaping and re-adapting them in accordance with its spiritual and political precepts. [T]hus, [the empire] is a constant state of fermentation and movement. If the Brussels eurocracy continues on its current path, which is leading [in the opposite direction and] towards a dead end, then it will end up in a state of total ‘fossilization’. In its current form, the Brussels eurocracy lacks - and refuses - [any kind of historical] memory and it resists [any kind of historical] rootedness. [Its radically] constructivist and mechanical self-image is based on an ideological improvisation that refuses to learn from the lessons and experiences of [European] history. This involves a denial of the historical dimension of the [specific national] real-life economic systems that have [organically] sprung up from the soil of Europe.] (p. 215-6)

From a political-philosophical perspective, the deeply anti-European ‘EU project’ represents no less than a globalist Machtergreifung. Neo-Jacobin radicals have taken over the reins of power and the historical precedents for Jacobin power experiments[16] - as in French and Russian revolutionary terror - should set off alarm bells all over Europe. But knowledge of the European historical context of the ‘EU project’, by itself, is insufficient for a thorough understanding of its ostensibly contradictory - because self-destructive - anti-European aims. Such an understanding requires insight into the larger aims of globalism - in his Europa trilogy, Steuckers now provides that insight in a lucid and concise manner.

3.

Globalist Anti-Europe Project

(geo-political diagnosis)

 

Sometimes the crime that one is about to commit is so terrible

that to commit it on behalf nation is not enough

- one needs to commit it on behalf of humanity.

- Nicolás Gómez Dávila

Steuckers’ panoramic overview of the contemporary global geopolitical landscape proceeds from the notion that the anti-European ‘EU project’ can only be properly understood as the result of the Second World War. That conflict ended the great power status and imperial hegemony of the European nation-states: the military defeat of France (1940), Italy (1943) and Germany (1945) was followed by the liquidation of European colonial empires (British India in 1947, the Dutch East Indies in 1949, Belgian Congo in 1960, French Algeria in 1962 and Portuguese Africa in 1975). In a few short years, world rule shifted to two superpowers that were guided by universalist ideologies and globalist geopolitics: the United States as the champion of Liberalism and the Soviet Union as the champion of Socialism. The physical (geographic, demographic, industrial) assets of defeated Europe was divided between the victors through military treaties (NATO, Warsaw Pact) and economic structures (EEC, Comecon). It is important to remember these brutal realities of military defeat, colonial liquidation and political tutelage. La Seconde Guerre mondiale avait pour objectif principal, selon Roosevelt et Churchill, d’empêcher l’unification européenne sous la férule des puissances d’Axe, afin d’éviter l’émergence d’une économie ‘impénétrée’ et ‘impénétrable’, capable de s’affirmer sur la scène mondiale. La Second Guerre mondiale n’avait donc pas pour but de ‘libérer’ l’Europe mais de précipiter définitivement l’économie de notre continent dans un état de dépendance et de l’y maintenir. Je n’énonce donc pas un jugement ‘moral’ sur les responsabilités de la guerre, mais je juge son déclenchement au départ de critères matériels et économiques objectifs. Nos médias omettent de citer encore quelques buts de guerre, pourtant clairement affirmés à l’époque, ce qui ne doit surtout pas nous induire à penser qu’ils étaient insignifiants. [For Roosevelt and Churchill the main aim of the Second World War was to prevent of the unification of Europe under the Axis powers, which would have given rise to a [European] economy that would have been ‘impenetrable’ and ‘invincible’ as an independent force on the world stage. Thus, [their true] aim in fighting the Second World War was not the ‘liberation’ of Europe, but [merely] the reduction of [Europe’s] continental economy to a state of permanent dependence. This statement does not reflect any pronouncement on the ‘moral’ responsibility for that war - it merely reflects the objective material and economic goals [that shaped it]. The fact that [the system] media are [carefully] avoiding any mention of [those] other goals, [goals] that were clearly pronounced at the time, does not mean that they were unimportant.] (p.220)

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In the mid-‘80s, after four decades of Cold War, the first stress fractures started to appear the globally operating power structures of the two superpowers. The Challenger and Chernobyl disasters (respectively, 28 January and 26 April 1986) clearly illustrated the fact that the symptoms of ‘imperial overstretch’ could no longer be hidden from public view. Escalating economic chaos and increasing loss of political credibility forced both superpowers into radical domestic reforms: Reaganomics and Perestroika represent the superpowers’ geopolitical high water mark. After the implosion of the Soviet Union, the United States formally comes out ‘on top’, but the Pyrrhic quality of America’s Cold War ‘victory’ soon becomes undeniable: it immediately ‘rolls over’ when China transforms itself into an economic superpower and it soon retreats from the Third World, which had been the prime battlefield of the Cold War just a few years before. After the American defeat in Somalia (Black Hawk Down, 1993), Africa is allowed to collapse into ‘failed states’ and neo-tribal chaos. After the American retreat from Panama (Canal Zone Handover, 1999), Latin America is left to Bolivarianismo and the Marea Rosa.[17] The imperialist ‘rat race’ between sovereign nation-states that started with the ‘World War Zero’ Seven Years War (1756-63) may have ended with America as ‘last man standing’, but the enforcement of an authentically imperial Pax America is far beyond the scope of America’s geopolitical intent, ambition and capacity. Thus, despite the overt Wilsonian rhetoric that surrounded America’s interventions in Iraq (Bush Senior in 1991 and Bush Junior in 2003), these do not represent exercises in principled ‘global governance’ - rather, they simply represent attempts at pragmatic resource control. After the self-abolition of the Soviet Union as a superpower contender and after the official announcement of a ‘New World Order’ (Bush Senior, 1991), the American ruling class decided that the ‘End of History’ (Francis Fukuyama, 1992) had come: it decided to switch from Americanism to globalism. Thus, it deliberately transformed itself into a ‘world elite’, now accessible to anybody with very much money and very little morality. This new world elite considers itself entirely exempt from the old rules and laws of geopolitics: from its perspective, national sovereignty, cultural uniqueness and ethnic identity are hopelessly outdated phenomena that merely stand in the way of its ‘Brave New World’. As a group, this new ‘globalist’ elite has cut itself off from all ethnic, religious and cultural roots: on the basis of this self-willed rootlessness it turns against the rest of mankind, to the extent that the rest still possesses roots: against states that still possess sovereign rights, against cultures that still possess authentic essences and against peoples that still possess substantial identities. The globalist hostile elite is born.

Under the double banners of neo-liberalism and cultural-marxism, the hostile elite regards the ‘backward’ residue of humanity as little more than a mass of infinitely malleable ‘human material’ that it can use to fill its bank accounts, to serve its sexual perversities and to compensate for its existential crises. [La superclasse... domine à l’ère idéologique du néoliberalisme. Il n’est pas aisé de la définir : elle comporte évidemment les managers des grandes entreprises mondiales, les directeurs des grandes banques, de cheiks du pétrole ou des décideurs politiques voire quelques vedettes du cinéma ou de la littérature ou encore, en coulisses, des leaders religieux et des narcotrafiquants, qui alimentent le secteur bancaire en argent sale. Cette superclasse n’est pas stable : on y appartient pendant quelques années ou pendant une ou deux décennies puis on en sort, avec, un bon ‘parachute doré’. ...[N]umériquement insignifiante mais bien plus puissante que les anciennes aristocraties ou partitocraties, elle est totalement coupée des masses, dont elle détermine le destin. En dépit de tous les discours démocratiques, qui annoncent à cor et à cri l’avènement d’une liberté et d’une équité inégalées, le poids politique/économique des masses, ou des peuples, n’a jamais été aussi réduit. Son projet ‘globalitaire’ ne peut donc pas recevoir le label de ‘démocratique’. [The ‘superclass’... dominates the era of neo-liberal ideology. It is not easy to define it: it is most clearly composed of the managers of the great multinationals, the directors of the great banks, the oil sheikhs [and some prominent] political leaders, but [it also includes] some movie stars, intellectuals and ‘spiritual gurus’. Aside from these, [it also includes] a much more opaque number of [mafia bosses and] drug barons who feed its banking branch with ‘black money’. The ‘superclass’ is far from stable: it is possible to belong to it for some years or decades, and then to drop out of it again - mostly with a ‘golden parachute’. ...[N]umerically, it is small, but it is more powerful than any of the aristocracies and partitocracies that preceded throughout all of [recorded] human history. Despite a [public] discourse that continually speaks about a glorious dawn of unprecedented freedom and equality, the [real] political [and] economic weight of the masses has never been so small before. Thus, the globalist project [that is now pursued by the ‘superclass’] cannot be qualified as ‘democratic’ in any meaningful way.] (p. 291)

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The globalist hostile elite instrumentalizes American military power and political influence: it uses American power and influence to further its own globalist agenda. It abuses American prestige, American wealth and American lives - this is the deepest reason for the anti-globalist and nationalist ‘populist’ backlash that brought Donald Trump into the White House. But the hostile elite operates above and behind formal institutions such as the presidency: in America, real power is largely exempt from institutional control and democratic correction. Real power resides in the ‘Washington swamp’, the ‘lying press’ and the ‘deep state’ - they determine policy; it is to fight these monsters that the American people chose Donald Trump to be its president. The monstrous power of the hostile elite, however, is so great that the public sphere is still dominated by Trump’s enemies, even two years after his election victory. The terrible anger and open sabotage with which the hostile elite responds to Trump is understandable: in the final analysis, the fate of the globalist hostile elite depends on its control over American military and political assets. The hostile elite needs to maintain its control over America’s monetary supply, America’ armed forces and America’s diplomatic network if it wants to maintain the international geopolitical chaos on which its financial interests and ideological chimaeras thrive.

The most pressing geopolitical concern of the hostile elite and the reason it needs absolute control over America is the permanent subjugation of its potentially most dangerous enemy: Europe. The deadly danger to nihilist and rootless globalism posed by Europe resides in its combination of technological-industrial/social-economic capacity with authentic cultural-historical rootedness/ethnicity-based identity. After the collapse of the Soviet Union the task of keeping Europe in subjugation to globalism, previously shared between the two superpowers, devolved on the United States alone. The globalist strategy to achieve this task started out twofold: the globalist hostile elite enforced a permanent weakening of newly re-united Germany (through formal sovereignty limits and ‘monetary union’ tribute payments to France) and it expanded American military presence eastward (through NATO enlargement). This double strategy, however proved problematic as a long-term solution to the ‘European Question’: given America’s many global commitments, its military presence throughout all of Europe constitutes a considerable liability that forces it into grotesque deficit spending and risqué diplomatic brinkmanship. Its centrepiece, the ‘containment’ of Germany, is also proving to be more problematic than previously thought: even the burdens of German unification (from 1990) and European single-currency liability (from 1999) have not been able to slow down the German social-economic motor. Quite the opposite has happened: EU expansion into the former Eastern Bloc (from 2004) is raising the old spectre of a German-led semi-autarkic geopolitical bloc. The prevention of such a Mitteleuropa project was the main aim of the Balkan ‘thwarting’ policy of the Entente powers in the early 20th Century: in the summer of 1914 it finally provoked the Central powers into starting the First World War. This geopolitical ‘larger picture’ provides an entirely different perspective on phenomena such as the ‘Financial Crisis’ of 2008, which started in America but led Europe into the crippling ‘European Debt Crisis’ of 2009, and the ‘Arab Spring’ of 2011, which led to the ‘European Migration Crisis’ of 2015.

Philosophy-Machiavelli.jpgThis perspective is best formulated by Steuckers himself: La globalisation, c’est... le maintien de l’Europe, et de l’Europe seule, en état de faiblesse structurelle permanente. Et cette faiblesse structurelle est due, à la base, à un déficit éthique entretenu, à un déficit politique et culturel. Il n’y a pas d’éthique collective, de politique viable ou de culture féconde sans que Machiavel et les anciens Romains, auxquels le Florentin se référait, appelaient des ‘vertus politiques’, le terme ‘vertu’ n’ayant pas le sens stupidement moraliste qu’il a acquis, mais celui, latin, de ‘force agissante’, de ‘force intérieure agissante’... [Globalization means this: ...the maintenance of Europe - and only Europe - in a permanent state of structural weakness. In the final analysis, this weakness is due to a permanent ‘ethical deficit’ [that translates into] a political and cultural deficit. Collective ethics, viable politics [and] fruitful cultures are impossible without what Machiavelli, and the ancient Romans on whom the Florentine based hi[s thought], termed the ‘political virtues’ - a phrase in which the meaning of the word ‘virtue’ does not have the short-sighted moralistic charge that it has attracted recently, but rather the [original] Latin [meaning] of ‘acting force’ [and] ‘inner guiding force’.] (p. 279-80) Steuckers correctly points to the ‘ethical deficit’ of Europe as being imposed by globalist cognitive warfare, resulting in Europe’s debilitating lack of purpose and willpower. This deficit prevents psycho-historical catharsis, geopolitical assertiveness and decisionist self-defence. It renders Europe helpless in the face of acute existential threats such as the social implosion, mass-immigration and jihadist terror that are deliberately fostered by its enemies. This globalist ‘anti-European’ Europe is realized in the internalization of the cognitively dissonant globalist ‘mainstream media’ discourse of self-destructively interpreted ‘human rights’, ‘multiculturality’ and ‘diversity’. L’arme principale qui est dirigée contre l’Europe est donc un ‘écran moralisateur’, à sens unique, légal et moral, composé d’images positives, de valeurs dites occidentales et d’innocences prétendues menacées, pour justifier des campagnes de violence politique illimitée. [The main weapon employed against Europe is the uniquely ‘moralist [television, computer and telephone] screen’ that [is imposing specific] legal and moral ‘values’ [through] the positive ‘frame’ of so-called ‘Western values’ and supposedly ‘threatened innocence’ by justifying a [systematic] campaign of endless political terrorism.] (p.281)

Everywhere across Europe this globalist discourse is entirely internalized and primarily represented by the soixante-huitard generation that achieved a power monopoly in the wake of its ‘long march through the institutions’. Pendant les années de leur traversée du désert, ...les [utopistes]de [la] génération soixante-huitard] feront... un ‘compromis historique’ qui repose, ...premièrement, sur un abandon du corpus gauchiste, libertaire et émancipateur, au profit des thèses néolibérales, deuxièmement, sur une instrumentalisation de l’idée freudo-sartienne de la ‘culpabilité’ des peuples européens, responsables de toutes les horreurs commises dans l’histoire, et troisièmement, sur un pari pour toutes les démarches ‘mondialisatrices’, même émanant d’instances capitalistes non légitimées démocratiquement ou d’institution comme la Commission Européenne, championne de la ‘néolibéralisation’ de l’Europe, dont le pouvoir n’est jamais sanctionné par une élection. [During their years in the desert... the [utopists] of the [‘68] generation... made a ‘historical compromise’ that is based... on [three complementary strategies]: (1) an [abandonment and] betrayal of their [core] leftist ideology [of] freedom and emancipation in favour of neo-liberalism, (2) a [political] application of the Freudian-Sartrean notion of the ‘guilt’ of the European peoples, [who are held] responsible for all crimes in history and (3) an adherence to ‘globalizing’ processes - even [if those processes] are driven by [un]democratic [and] illegitimate capitalist powers of institution[s] such as the European Commission, [which has become] the champion of the ‘neo-liberalisation’ of Europe and which has never received a democratic mandate.[18]] (p.293) This ideological betrayal and this globalist collaboration, now the standard modalities of the European hostile elite, have brought European civilization to the brink of the abyss.

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Steuckers points to the functionality of the treason of the European soixante-huitards in the larger framework of globalist geopolitics: this treason delivers Europe into the hands of a de facto ‘monster pact’ between two quintessentially anti-European globalist forces: liberal-normativism, as symbolized by American ‘Puritanism’, and islamism, symbolized by Saudi ‘Wahhabism’. Aujourd’hui, nous faisons face à l’alliance calamiteuse de deux fanatismes religieux : le wahhabisme, visibilisé par les médias, chargé de tous les péchés, et le puritanisme américain, camouflé derrière une façade ‘rationnelle’ et ‘économiste’ et campé comme matrice de la ‘démocratie’ et de toute ‘bonne gouvernance’. Que nous ayons affaire à un fanatisme salafiste ou hanbaliste qui rejette toutes les synthèses fécondes, génératrice et façonneuses d’empires, qu’elles soient byzantino-islamiques ou irano-islamisées ou qu’elles se présentent sous les formes multiples de pouvoir militaire équilibrant dans les pays musulmans, ou que nous ayons affaire à un fanatisme puritain rationalisé qui entend semer le désordre dans tous ces états de la planète, que ces états soient ennemis ou alliés, parce que ces états soumis à subversion ne procèdent pas de la même matrice mentale, nous constatons que toutes nos propres traditions européennes... sont considérées par ces fanatismes contemporains d’au-delà de l’Atlantique ou d’au-delà de la Méditerranée comme émanations du Mal, comme des filons culturels à éradiquer pour retrouver une très hypothétique pureté, incarnée jadis par les pèlerins du ‘Mayflower’ ou par les naturels de l’Arabie du VIIIe siècle. [In the contemporary world we are facing a disastrous [globalist, anti-European] alliance between two religious fanatisms: Wahhabism,[19] which is visualized as the scapegoat [‘bad cop’] in the [mainstream] media - and American puritanism, which is portrayed as a stable rational and economist reference frame [‘good cop’] that provides ‘democracy’ and ‘good governance’. But such [fanatisms] are [entirely] incompatible with our own European traditions. This is not only true for [‘Wahhabism’ and its] ‘Hanbalite and ‘Salafist’ [fellow-traveller] fanatisms[20] that are incompatible with the fertile, creative and imperial syntheses characteristic of [Traditional Islam, such as] Byzantine Islam and Persian Islam, but [it is] also [true] for the puritanically rationalized and militarily enforced [America-based] fanatism that is [now] creating chaos throughout the entire world (because all other cultural circles, irrespective of their allied or enemy status, necessarily represent incompatible mental worlds). To the fanatisms [that face Europe] across the Atlantic Ocean and Mediterranean Sea, [all of Europe’s authentic traditions] represent incarnations of Evil [pure and simple]: they represent mental worlds that they will fight to the death for the sake of their - highly hypothetical - purity, as modelled on the ‘Pilgrim Fathers’ [of the 17th Century] Mayflower[21] and the bons sauvages[22] of the 8th Century Arabian Desert.] (p.261-2)

The totalitarian-regressive fanatisms of ‘Puritanical’ liberal-normativism and ‘Wahhabist’ islamism have to be overcome emotionally, intellectually and spiritually if European civilization and the European peoples are to survive the Crisis of the Modern West. At this critical juncture, the therapy that Traditionalism can recommend as having the greatest chance of success is the ultimate political-philosophical ‘emergency option’: Archaeo-Futurism.

4.

The Archaeo-Futurist Alternative

(political-philosophical therapy)

Lo, all our pomp of yesterday
Is one with Nineveh and Tyre!
Judge of the Nations, spare us yet.
Lest we forget - lest we forget!

- Rudyard Kipling

The Archaeo-Futurist alternative for the globalist anti-European ‘EU project’ is based on a simultaneous retrograde recovery and forward projection of a Traditionalist concept that has long played a vital role in European history and may do so again: the European Imperial Idea. This is an idea that is strictly speaking supra-historical and can, therefore, be reactivated at any given point in history. The ideological abuse and historiographical misinterpretation of the European Imperial Idea in 19th and 20th Century (hyper-)nationalism - most recently in the ‘Third Reich’ - does not invalidate its supra-historical vitality. In this regard, Steuckers points to the vital importance of a correct understanding of the larger Traditionalist framework in which the Imperial Idea functions. Traditionalism states that all collective (linguistic, religious, ethnic, national) identities and the horizontally (worldly, physically) experienced differences between them are potentially organic parts of larger, synergetically unique entities with a higher, vertical, and transcendentally (spiritually, psychologically) experienced functionality. This entity can be identified as Imperium (German: Reich) - in the Western Tradition it derives its legitimacy from the ancient Roman Empire. Its numinous character becomes obvious from the fact that its mere mention conjures up a feeling of awe among those that naturally belong to it - and that inspires a feeling of fear among those that are unworthy of it.

Pour résumer brièvement la position traditional[iste],... disons que les horizontalités modernes ne permettent pas le respect de l’Autre, de l’être-autre. Si l’Autre est jugé dérangeant, inopportun dans son altérité, il peut être purement et simplement éliminé ou mis au pas, sans le moindre respect de son altérité, car l’horizontalité fait de tous des ‘riens ontologiques’, privés de valeur intrinsèque. Tel est l’aboutissement de la logique égalitaire, propre des idéologies et des systèmes qui ont voulu usurper et éradiquer la tradition ‘reichique’ : si tout vaut tout dans l’intériorité de l’homme, ou même dans sa constitution physique, cela signifie, finalement, que plus rien n’a de valeur spécifique, et si une valeur spécifique cherche à pointer envers et contre tout, elle sera vite considérée comme une anomalie qui appelle l’extermination. L’intervention fanatique et sanglante de ‘colonnes infernales’. La verticalité, en revanche, implique le devoir de protection et de respect, un devoir de servir les supérieurs et un devoir des supérieurs de protéger les inférieurs, dans un rapport comparable à celui qui existe, dans les sociétés et les familles traditionnelles, entre parents et enfants. La verticalité respecte les différences ontologiques et culturelles ; elle ne les considère pas comme des ‘riens’ qui ne méritent ni considération ni respect. [To summarize the traditional[ist] perspective... it may be said that modern[ist] horizontality impedes a[ny true] respect for [what is] Other and [what is D]ifferent. When the Other-ness of what is [D]ifferent is judged to be [mere] ‘interference’ [and] ‘inconvenience’, than it can be simply eliminated or ignored without the least respect for [its] Other-ness: [thus], modern[ist] horizontality reduces all [forms of authentic] identity to ‘ontological nullities’ without intrinsic value. This is the [inevitable] end result of the egalitarian logic that shapes ideologies and systems that aim at supplanting and erasing the imperial tradition. When everything is assumed to depend exclusively on human [subjective value], or even exclusively on [individual] human physical [existence], then nothing of specifically [objective] value remains. When any specific value points in a different [non-egalitarian] direction against the [perceived ‘common good’], then it is quickly identified as an ‘aberration’ that needs to be eliminated. This [results] in the fanatic and bloody intervention of ‘infernal columns’[23] [of modernist collectivism]. The principle of [Traditionalist] verticality, on the other hand, proceeds from a [reverse] duty: to protect and respect [the Other]. [This implies] the duty of [the commoners] to serve those set above them, and the duty of the higher-ranked to protect the lower-ranked, in a relationship that can be compared to that of parents and children in traditional communities and families. This verticality respects ontological differences and the cultural [expressions of these differences]: it does not reduce them to ‘[ontological] nullities’ unworthy of consideration and respect.] (p. 157)

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Thus, the Traditionalist Imperial Idea implies a holistic vision in which all collective and individual [authentic] identities are organically fitted into a larger entity of synergetic ‘added value’. Il faut enfin... que chaque communauté et chaque individu aient conscience qu’ils gagnent à demeurer dans l’ensemble impéria[ux]au lieu de vivre séparément. Tâche éminemment difficile qui souligne la fragilité des édifices impériaux : Rome a su maintenir un tel équilibre pendant les siècles, d’où la nostalgie de cet ordre jusqu’à nos jours. ...[L]a civitas de l’origine... de l’Urbs, la Ville initiale de l’histoire impériale, ...s’est étendue à l’Orbis romanus. Le citoyen romain dans l’empire signale son appartenance à cet Orbis, tout en conservant sa natio et sa patria, appartenance à telle nation ou telle ville de l’ensemble constitué par l’Orbis. [In the final analysis, it is necessary... that every community and every individual realizes that it stands to benefit more from its allegiance to the imperial entity than from a separate existence. [This requires] a difficult balancing act, underlining the vulnerability of [all] imperial projects: for centuries, Rome managed to maintain such a balance - hence the nostalgi[c longing] for the [Roman] order that pervades [Europe] up to today. ... [as the Roman Empire grew], the original civitas... of the ancestral Urbs, [i.e.] the City from which imperial history unfolded,... grew into an Orbis romanus. In th[at] empire, Roman citizenship meant identification with that Orbis, even if [citizens] still belonged to a particular natio and a particular patria, [i.e.] even if [they permanently] retained [their] specific nationality and fatherland within the [larger] Orbis.] (p.129-31) D’abord, il faut préciser que le ‘Reich’ n’est pas une nation, même s’il est porté, en théorie, par un populus (le populus romanus) ou une ‘nation’ (la deutsche Nation) : ...[c’est] n’est pas [une chose] nationaliste, [c’est] même [une chose] anti-nationaliste. [I]l n’a rien contre les sentiments d’appartenance nationale, contre la fierté d’appartenir à une nation. De tels sentiments sont positifs... mais doivent être transcendés par une idée. Cette transcendance conduit à une verticalité, qui oppose à toutes les formes modernes d’horizontalité, ce qui est, par ailleurs, le noyau idéel, de toutes les traditions... [Above all, it should be made clear that an ‘Empire’ is no nation, even if it is theoretically carried by a [particular] populus ([i.e. a ‘people’ such as] the populus romanus) or a [particular] nation ([i.e. a ‘nation’ such as] the deutsche Nation): ...[the Empire] is not nationalist, [it is, in fact,] anti-nationalist. [I]t does not oppose the [collective] nationalist sentiment or the [individual] pride that [rightly] derives from national identity. Such sentiments are positive [in themselves]... but they should be surpassed by the [still higher imperial] idea. This transcendence determines a vertical direction that opposes all modern forms of horizontality. In the final analysis, this [verticality] constitutes the ideal core of all [authentic T]raditions.] (p. 156-7)

The practical combination of collective and individual identities is realised in the political application of the Traditionalist principle of subsidiarity, a late trace of which can still be detected in the Dutch anti-revolutionary principle of ‘sphere sovereignty’[24]). ...[L]e principe de ‘subsidiarité’, tant évoqué dans l’Europe actuelle mais si peu mis en pratique, renoue avec un respect impérial des entités locales, des spécificités multiples que recèle le monde vaste et diversifié. [...The principle of ‘subsidiarity’, often claimed by seldom practised in contemporary Europe, can provide [a new] imperial[ly legitimate] respect for the [many] local communities [and] specific identities that are found in the real world of great [authentically-rooted] diversity.] (p. 139)

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In relation to the Imperial Idea, ‘identity politics’, ‘multiculturality’ and ‘diversity’ are effectively reduced to ‘non-issues’: they are organically resolved by - and dissolved in - a sublimation into the higher functionality of the Empire. L’empire est donc fait de multiplicités, de différences, qui n’ont rien de commun avec la fausse multiculturalité vantée par les médias d’aujourd’hui. Cette multiculturalité, escroquerie idéologique, relève justement de cette horizontalité qui vise à vider tous les hommes, autochtones et allochtones, de leur substance ontologique. Cette multiculturalité tue l’essentiel qui vit en l’homme. Toute politique qui cherche à la promouvoir est une politique criminelle, exterministe... [Thus, an Empire is based on [necessarily complex] pluralities [and] diversities that have nothing in common with the counterfeit ‘multiculturality’ currently promoted by the [main stream] media. This [fake] multiculturality represents an ideological deception that is based on [modernist] horizontality [and] that is meant to deprive all people - indigenous as well as non-indigenous - of their ontological substance. [That perverse kind of] multiculturality kills the essence that animates humanity. [Any form of] politics that aids and abet [this counterfeit multiculturality] constitutes criminal - and ethnocidal - politics....] (p.158) It is ironic that the Traditionalist concepts of the Imperial Idea and the Imperial Community provide much more tolerance and much more freedom than any kind of modernist ‘diversity’ and ‘democracy’ ever could.

5.

Sacrum Imperium

(neo-imperial therapy)

Hier die Ma[h]nen hehrer Krieger
Seien euch ein Musterbild
Führen e
uch vom Kampf als Sieger

[May the memory of the fearsome warriors

who fought before you, here inspire you

and lead you to glorious victory in battle]

- Joseph Hartmann Stuntz[25]

Western civilization is based on a vulnerable balance of complementary authentic identities that obtain synergetic ‘added value’ in a variety of historical interactions. This ‘added value’ can be expressed in the ‘hyper-boreal’ archetypes of Techne (technological liberation), Nomos (judicial liberation) and Evangelion (spiritual liberation).[26] But this ‘added value’, and the ethnicities on which it is based, require constant protection and guarding - this is the basis of the Traditionalist European Imperial Idea. En Europe, les structures de type impérial sont... une nécessité, afin de maintenir la cohérence de l’aire civilisationnelle européenne, dont la culture a jailli du sol européen, afin que tous les peuples au sein de cette aire civilisationnelle, organisée selon les principes impériaux, puissent avoir un avenir. [In Europe, structures of the imperial type... are indispensable for the cohesion of the European civilization sphere, which is grounded in the European soil - and for the future of the peoples that are indigenous to that sphere. [The maintenance of that cohesion requires] the organization of that sphere on imperial principles.] (p.214) A simultaneously idealistic and realistic - Archaeo-Futurist - reconsideration of the European Imperial Idea is essential for the protection of the European peoples and their common civilization. The extension of the European Imperial Idea to include the overseas peoples of European descent is a logical next step: this step has already been Archaeo-Futuristically explored in the concept of a ‘Boreal Alliance’. At a global level, such an alliance would find natural allies in the other two Indo-European Imperial Ideas: Persia and India - an Archaeo-Futurist exploration of this theme can be found in Jason Jorjani’s concept of the ‘World State of Emergency’. The alternative geopolitics that is required to do justice to these Archaeo-Futurist visions is already the object of concrete study in the anti-globalist Neo-Eurasianist movement.[27]

Traditionalism is tasked with the defence of the collective ‘Higher Vocation’ of the European peoples whenever it faces a serious threat.[28] Steuckers acts on this obligation by restating the Traditionalist vision of Europe: L’Europe, c’est une perception de la nature comme épiphanie du divin... L’Europe, c’est également une mystique du devenir et de l’action... L’Europe, c’est une vision du cosmos où l’on constate l’inégalité factuelle de ce qui est égal en dignité ainsi qu’une pluralité de centres... [C’est] une nouvelle vision de l’homme, impliquant la responsabilité pour l’autre, pour l’écosystème, parce que, ... sur [s]es bases philosophiques, ...l’homme... est un collaborateur de Dieu et un miles imperii, un soldat de l’empire. Le travail n’est plus malédiction ou aliénation mais bénédiction et octroi d’un surplus de sens au monde. La technique est service à l’homme, à autrui... La construction de l’Europe... nécessite de revitaliser une ‘citoyenneté d’action’, où l’on retrouve la notion de l’homme coauteur de la création divine et l’idée de responsabilité. [‘Europe’, [as a Traditionalist concept,] is a vision in which the natural world is treated as Divine Epiphany... [Such a] Europe is a mystery of becoming and enacting... [Such a] Europe is a cosmic vision that recognizes the factual inequality of all things as well as their equality in dignity - and [that validates cultural-historical and geo-political] multipolarity... [This] new vision of humanity implies a responsibility for [all that] is different [and] for the entire [natural and human] ecosystem because... at its philosophical [this vision establishes]... every man as a collaborator of God - [as] a miles imperii, a soldier of the [divinely instituted] Empire. Thus, work no longer represents a curse or alienation,[29] but a blessing as a duty regarding a [higher sense of] responsibility for [all of creation]. Technology serves man in his work - [also] for the benefit of the other...[30] The construction of Europe... demands a new ‘activist citizenship’ that is based upon the idea of man as a co-worker in the Divine Creation - and upon the idea of a [cosmic] responsibility that is rooted in authentic identity and vocation.] (p.138-9). It is clear that the Higher Vocation of the European peoples does not stop at the geographical borders of the European subcontinent: it is retained by the European peoples that have moved across these boundaries to dominate the boreal and austral regions overseas.

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Inwardly, this Higher Vocation requires individual self-discipline, individual work ethic and individual acceptance of hierarchical order - and therefore a radical reversion of the narcissist, hedonist and collectivist existential modality that is fostered and maintained by the liberal-normativism that dominates the postmodern West. This requires a transition to a new (or re-newed) existential condition, dominated by authentic norms and values - and by a legitimate Authority. In the European Tradition, which is based on a Roman archetype, this Authority bears the title ‘Caesar’ - Emperor.[31] Dans la conception [traditionaliste] hiérarchique des êtres et des fins terrestres... l’empire constituait le sommet, l’exemple impassable pour tous les autres ordres inférieurs de la nature. De même, l’empereur, également au sommet de cette hiérarchie par la vertu de sa titulaire, doit être un exemple pour tours les princes du monde, non pas en vertu de son hérédité, mais de supériorité intellectuelle, de son connaissance ou des ses connaissances. Les vertus impériales sont justice, vérité, miséricorde et constance... [In the [Traditionalist] vision of the hierarchy of creatures and purposes... the Empire represents the highest aim, the unrivalled example for all lower natural orders. This means that the emperor, who stands at the apex of this hierarchy on the basis of his title, provides an example for all [other] worldly princes - not on the grounds of his [earthly] descent but [on the grounds] of his intellectual superiority and of his abilities and insights. [In him,] the imperial ‘[political] virtues’ of justice, truth, mercy and stability [are realized]...]. (p. 136) Obviously, a recognizably legitimate Authority is difficult to imagine in the present European context, but still, the archetype of this Authority is indispensable as a fixed point of reference. To a certain extent, the same applies to the Imperial Idea as such: within the present-day discourse of political philosophy, the concept is primarily meant as a thought experiment that allows the patriotic-identitarian movement to chart a new course towards a new destination. In the same way that the ‘Kingdom of Heaven’ embodies the Higher Vocation of Christianity, thus the Imperial Idea embodies the Higher Vocation of European civilization - even if the ideal has not yet been tangibly realized in the here and now. Thus, the old Traditionalist Imperial Idea can serve as a reference point for a new Archaeo-Futurist Imperial Idea. Here too, the hierarchical political philosophy of Neo-Eurasianism can serve as a bridge.

Outwardly, any Traditionalist Imperial Idea requires collective self-identification, collective pride and collective dedication - to the point of supreme self-sacrifice. In this regard, it is important to emphasize that the Imperial Idea, as it is defended by the highest command authority, has a positive relation to the various authentic identities that are protected by the Empire through subsidiary guarantees: it literally has ‘added value’. Thus, a Traditionalist definition of a European - or even Western - Empire does not diminish specific linguistic, religious, cultural and ethnic identities that it contains: it merely adds an extra identity, viz. a European - or even Western - identity. This identity is not dominant in an inward sense (i.e. in citizens’ self- representation on the individual level), but it is dominant in an outward sense: to the outside world it represents a collective will. This implies that, to the outside world, the Empire represents an absolute standard that must be expressed in physical boundaries. Thus, the liberal-normative delusion of globalist ‘universal values’ and ‘open borders’ are entirely incompatible with effective maintenance of the classical norms of civilization that are incarnated in the Traditionalist Imperial Idea. L’empire se conçoit comme un ordre, entouré d’un chaos menaçant, niant par là même que les autres puissent posséder eux-mêmes leur ordre ou qu’il ait quelque valeur. Chaque empire s’affirme plus ou moins comme le monde essentiel, entouré de mondes périphériques réduits à des quantités négligeables. L’hégémonie universelle concerne seulement “l’univers qui vaut quelque chose”. Rejeté dans les ténèbres extérieures, le reste est une menace dont il faut se protéger. [The Empire conceives of itself as an order that is surrounded by threatening chaos [and in doing so] it must effectively deny that other [civilizations] may have their own order of [equal] intrinsic value. To a certain extent, every Empire views itself as a ‘world on its own’, surrounded by ‘peripheral worlds’: these ‘other worlds’ are reduced to negligible entities.[32] Universal hegemony exclusively applies to the ‘valuable universe’ [that is one’s own]. The rest [of reality] is intellectually and psychologically rejected [and thrust] into the Outer Dark: it is reduced to a threat that should be defended against.[33]] (p. 129)

6.

Ex oriente lux

(psycho-historical therapy)

 

Hail to our Prince!

We have searched the northwest winds for you

To you we offer our mortality

You are our Oath!

- freely inspired by Hereditary

The effectiveness of any Archaeo-Futurist therapy for the psycho-historical self-mutilation of Western civilization depends on the re-discovery and the re-activation of its archetypes.[34] From a meta-historical perspective, the political experiment of the narrowly nationalist and hyper-biodeterminist ‘Third Reich’ represents a rather improvised attempt at re-activating of these archetypes. The (actually rather tenuous) association of the Traditionalist Imperial Idea with the ‘Third Reich’ and the European Götterdämmerung of 1945 effectively removed these archetypes from Western public discourse. Thus, the idealistic, knightly and ascetic existential models that are linked to these archetypes, as incarnated in the ancient vocations of Academy, Nobility and Church, lost their raison d’être -  the utter decay of the West’s academic, military and ecclesiastical institutions proves this point beyond a reasonable doubt. This psycho-historic Untergang has recently reached the point that anything that even vaguely refers to ‘aristocratic’, ‘aryan’ or ‘masculine’ quality is automatically considered ‘subject’ in the public sphere. Deep conditioning in matriarchal oikophobia and resentful feminization has destroyed the old Western institutions of Academy, Army and Church.

Even so, this process is far from irreversible - it may even be considered as an indispensable part of a purifying ‘dialectic process’.[35] In such a process, an extreme negative polarity is a necessary precondition for any extreme discharge of positive energy. Thus, the ‘deconstruction’ of the improvised and superficial ‘hyper-nationalist’ and ‘hyper-biodeterminist’ ideology of the ‘Third Reich’ may, in fact, turn out to be a necessary precondition for a re-discovery and re-activation of the deepest archetypes of the Indo-European Tradition. The Archaeo-Futurist exploration of these deepest archetypes has started only recently, but the direction in which the new Golden Dawn of the West must be sought is already clear: - ex oriente lux. Jason Jorjani, the philosophical pioneer of the Archaeo-Futurist Revolution in the New World has already crossed the ‘event horizon’ of Western Modernity and he has already reported back on the civilizational outlines that are becoming visible in the first rays of what may be termed its coming ‘Golden Dawn’. It is cannot be a coincidence that Robert Steuckers, the foreman of Traditionalism in the Low Countries, is pointing in the same direction. Both are pointing to the oldest Indo-European archetypes that have been preserved in the Persian Tradition - and both point to their imminent return to the West.

phk.jpgLa catégorie d’hommes capables d’incarner un ‘Reich’ est née de la tradition persane, laquelle a été longtemps un ‘Orient’ (in modèle sur lequel on s’‘orientait’)... Dans la tradition persane, il est question d’un ‘hiver éternel’, allusion plus que probable au début d’une ère glaciaire particulièrement rude, qui a surpris les premiers peuples européens dans leur habitat premier. Au moment où survient cet ‘hiver éternel’, un roi-héros, Rama, rassemble les tribus et les clans et se dirige, à leur tête, vers le sud, vers le Caucase, la Bactriane et la Perse (les hauts plateaux iraniens). Ce roi-héros fonde les castes, ou, plus exactement, les fonctions que George Dumézil étudiera ultérieurement. Après avoir mené son peuple à bonne destination, pour échapper aux rigueurs de cet ‘hiver éternel’, Rama se retire dans les montagnes. Cette figure héroïque et royale se retrouve dans les traditions avestique et védique où il s’appelle Yama ou Yima. Pour mener cette expédition et cette migration, Rama-Yama-Yima s’est servi de chevaux et de chars et a jeté ainsi les premiers principes d’organisation d’une cavalerie... Plus tard, Zarathoustra codifie les règles qui doit suivre chaque cavalier... La troupe de Zarathoustra, qui doit faire respecter son enseignement pratique, est armée de massues (la ‘Clave’ dans l’œuvre de Julius Evola). Au départ de la troupe des adeptes de Zarathoustra se forme la caste des guerriers, les Kshatriyas de la tradition indienne, une caste opérative ancrée dans le réel politique et géographique, qui domine la caste de prêtres, contemplative et moins encline à exercer sur elle-même une discipline rigoureuse. ...La figure iranienne de Sraosha, qui donnera le Saint-Michel de la tradition médiévale, évolue entre le ciel et la terre, c’est-à-dire entre l’idéal de la tradition et la réalité, va-et-vient qui postule une formation rigoureuse, à l’instar des disciples de Zarathoustra. Ceux-ci, au fur et à mesure que se consolide la tradition iranienne, sont formés à rendre claire leur pensée, à purifier leurs sentiments, à prendre conscience de leur devoir. Armés de ces trois principes cardinaux d’orientation, le disciple de Zarathoustra lutte contre Ahriman, incarnation du mal, c’est-à-dire de la déliquescence des sentiments, qui rend inapte à œuvrer constructivement et durablement dans le réel. Seul les chevaliers capables d’incarner cet idéal simple mais rigoureux se donneront un charisme, un rayonnement, une lumière, la kwarnah. Ils sont liés entre eux par un serment. (p. 159-60) [The category of people that is able to personify an Empire originates in the Persian [T]radition: this Oriental reference point has been a constant existential orientation point [for the West] throughout the ages. The Persian [T]radition speaks of an ‘eternal winter’, a concept that probably dates back to the beginnings of a particularly harsh Ice Age that struck the ancient European peoples in their original habitat. When the ‘eternal winter’ began, a heroic king [named] Rama assembled the[se] peoples and tribes and he led them southward, towards the Caucasus, Bactria and Persia (the Iranian Highlands). This heroic kind was the founder of [their] castes, or, to be more precise: the [social-hierarchic] functionalities that were eventually reconstructed by Georges Dumézil.[36] After having saved his people from the hardships of the ‘eternal winter’, Rama retired into the mountains. This heroic and royal personality subsequently recurs in the Avestan and Vedic [T]raditions, in which he is called Yama or Yima.[37] To achieve this mission and migration, Rama-Yama-Yima organized horses and wagons, providing the foundations of a cavalry organization... Later the rules that had to be followed by every mounted warrior, [or ‘knight’], were codified by Zoroaster... The host of Zoroaster that obeyed his practical injunctions was armed with the mace (Julius Evola’s clava).[38] [Subsequently,] Zoroaster’s ‘school’ gave rise to the caste of the warriors - the Kshatriyas of Indian Tradition - that established itself in political [institutions] and geographical [holdings] and that came to predominate over a caste of the priests that was inclined to contemplation and rejection of over-rigorous discipline. ...The Iranian figure of Sraosha,[39] who re-appears in the Medieval [Western] Tradition as Saint Michael, is [constantly] realized [through re-birth and re-discover] between Heaven and Earth, i.e. between the Traditional ideal and [worldly] reality: [for aspiring knights] this ‘re-cycling’ requires [a constantly maintained] rigorous schooling, as it was for the students of Zoroaster. [These are the people] who realize [and re-live] the Iranian Tradition in themselves by learning to cleanse their thought[s] and feelings and by becoming aware of their vocation. Armed with these three main principles of orientation, the student of Zoroaster engages in combat with Ahriman,[40] the personification of evil, which is primarily [defined as] the kind of emotional weakness that makes it impossible to act on reality in a constructive and durable manner. Only ‘knights’ who are able to realize this simple but rigorous ideal [in themselves], can achieve the charisma, the shining halo, the crown of light - the khvarenah.[41]] (p. 159-60)

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The Indo-European archetype that is able to realize the new Empire is above all the ‘knight’. As stated earlier, the oldest expression of this archetype is preserved in the Persian Tradition: ...le modèle de la chevalerie perse... constitue... pour l’Europe un mode opératif sans égal, de type ‘kshatriyaque’... [que] ne peut être pensé en dehors du projet de ‘nouvelle chancellerie impériale européenne’, énoncé par Carl Schmitt. Celui-ci a évoqué la nécessité de former une instance de ce type, après les catastrophes qui ont frappé l’Europe dans la première moitié du XXe siècle et pour préparer la renaissance qui suivra l’assujettissement de notre sous-continent. ...[for Europe... the model of Persian knighthood... represents... an unequalled modality of the ‘kshatriyan’ type... without which one cannot imagine the project proposed by Carl Schmitt: the ‘new European imperial chancellery’. [Schmitt] pointed to the necessity of such an institution in the wake of the catastrophes that had struck Europe during the first half of the 20th Century: is in indispensable for the preparation of the rebirth that will follow the subjugation of our subcontinent.[42]] (p.163) The chronicle of the Persian Tradition provides hope to the peoples of Europe: it shows how the oldest Indo-European archetypes can survive even the catastrophic immersion of alien subjugation, ethnic replacement and cultural regression. ...[Le] philosophe perse islamisé Sohrawardi, ...dépositaire de la sagesse iranienne originelle, s’insurge, avant la destruction de son pays par les Mongols, contre la bigoterie, le rationalisme étrique qui est son corollaire, et réclame le retour à une attitude noble, lumineuse, archangélique et michaëlienne, qui n’est rien de autre que la tradition perse/avestique des origines les plus lointaines. Sohrawardi réclame une révolte contre la caste des prêtres étriques, et, partant, contre toutes pensées et démarches impliquant des limitations stérilisantes. Cette attitude a toujours paru suspecte aux vastes de prêtres ou d’intellectuels, soucieux d’imposer des corpus figés aux populations qui leur étaient soumises, en Occident comme en Orient. Arthur de Gobineau... a été le premier... à attirer l’attention des Européens... sur le passé lumineux de la Perse antique, modèle plus fécond, à ses yeux, que la Grèce, trop intellectuelle et trop spéculative. Le modèle chevaleresque, dont les traces premières remontent à Rama et à Zarathoustra, induit une pratique de le maîtrise de soi, supérieure, pour Gobineau, à la spéculation intellectuelle des Athéniens. Et, de fait, quand la Perse a été laminée par les Mongols, l’islam tout entier a commencé à sombrer dans le déclin. Le fondamentalisme wahhabite est l’expression de cette décadence, dans la mesure où il est une réaction outrée, caricaturale, au déclin de l’islam, désormais privé de la grande Lumière de la Perse. Les pauvres simagrées wahhabites ne pouvant bien entendu jamais servir d’‘Orient’. [...Even before the Mongol devastation of his country,[43] ...[the] ‘islamicized’ Persian philosopher Sohrawardi,[44] ...made a stance against the religious bigotry and superficial rationalism... - he demanded a return to the aristocratic, enlightened, angelic and michaelean [existential] attitude that is a characteristic of the original Persian [T]radition, which may be traced back to its oldest historical [sources in the] Avesta.[45] Thus, Sohrawardi represents a revolt against the [intellectually and spiritually] superficial priestly caste and against all ideologies and activisms that submit to sterilizing self-censorship. Everywhere and always, in the East as well as the West, such a stance is ‘suspect’ to the [time-serving] priestly and intellectual establishment that base themselves on a dogmatic[ally imposed] consensus. Arthur de Gobineau[46]...was one of the first [thinkers] who... drew the attention of Europe... to the luminous past of Ancient Persia: [he thought it] represented a much more fertile model than [Ancient] Greece, which to his mind was too much [focussed on] intellectual and speculative [endeavour]. The knightly model that can be traced back to Rama and Zoroaster was based on a self-disciplinary praxis that De Gobineau considered superior to the speculative intellectualism of Athens. In fact, it is true that the entire Islam[ic world] sunk into [cultural] decay after Persia had been reduced to ashes [and rubble] by the Mongols. Wahhabist fundamentalism represents the [final] expression of this decadence: it represents a grotesque caricature of Islam after its greatest Persian light had been extinguished. The shallow arrogance of the Wahhabites can offer n[either East nor West] an existential ‘orientation’. (p. 162)

Throughout the ages, the Indo-European archetypes that are at the core of the Persian Tradition have been transmitted to the West through various channels: through the [Hellenic] Empire of Alexander the Great, through the Crusaders, through Oriental Studies - and through the philosophy of the Traditional School (Steuckers, p.161ff). Their power resides in their essence - an essence that can be destroyed neither by pseudo-islamic cultural levelling, nor by pseudo-christian psychological regression, nor by cultural-nihilist intellectual deconstruction. Nietzsche overcame modern European nihilism in an authentic re-activation of the Indo-European archetype that is embodied in the Persian prophet Zoroaster. Nietzsche not only sought physical health in the High Alps, but he also sought spiritual health on this most rarefied top of the Indo-European Tradition - there he found the cure for nihilism.

...wirf den Helden in deiner Seele nicht weg! Halte heilig deine höchste Hoffnung!

[...do not reject the hero in your soul! Preserve the sanctity of your highest hope!]

- Also Sprach Zarathustra

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7.

Edelweiss-heit[47]

(Archaeo-Futurist medication)

 

                                                       Save a spot for me

Among the Edelweiss

- Danielle White

Every quest for the highest good must start with transforming the lowest defect. Thus, the foundation of the Western Imperial Idea depends on the proper tending of the Western soil. The building of the larger Western Empire depends on the proper construction of the smallest Western houses.

‘A better Netherlands starts in Small Houses!’ - these were the words of His Majesty King Willem Alexander of the Netherlands in his Christmas speech of 2018. These simple words express a profound truth: the King refers to the fact that all greatness starts small - even the greatest journey begins with one small step. For the Dutch people, a New West and a New Europe must start with a New Netherlands. It must start even tinier: it must start in a new city, a new village, a new street - and a new self. A New West starts with the basic qualities that define Western-ness: self-discipline, labour ethics, natural hierarchy and future planning. With basic ethics that include family dedication and marital faithfulness, modest wage demands and conscientious work, appropriate respect for high birth and natural abilities, social space for artistic talent and scientific achievement, solidarity with less fortunate fellow-countrymen and ecological responsibility. Thus, the characteristic features of the contemporary West and its liberal-normative postmodernity - collective narcissism, consumer hedonism and artificial class struggle - are entirely incompatible with Western-ness. But Western-ness is also incompatible with undignified reaction to these phenomena: a New West can never be achieved by ‘angry white men’. It can only be achieved - and maintained - by happy white people. It can only be achieved if it is built upon the positive energy of the indigenous European peoples - an ethnic collective that can only be historically defined as phenotypically ‘white’. This positive charge can only develop through self-esteem: in this regard, the slogan ‘it’s ok to be white’ is no more than a point of departure. This implies that not only European men but also European women should be able to positively experience their specific human identities as Europeans and as women - and to reject the artificially oikophobic and feminist ‘class warfare’ against European civilization and European men. It should be said that this New West - which must define itself as a universal standard of civilization - needs to reserve some space for a (limited number of) hard-working, well-behaved and well-intentioned (ex-colonial, inter-married, assimilated) non-Westerners, to the extent that they are able and willing to conform to the Western Leitkultur. This is an intrinsic feature of the Archaeo-Futurist Imperial Idea: it recognizes that the ‘magnetic’ effect of the authentic Western Tradition may result in an existentially regulating. i.e. inwardly transformative, attraction for gifted and talented individuals from other cultural circles. This effect, however, can never be assumed to automatically apply to entire ethnic collectives from other cultural circles: it requires an absolutely dominant Leitkultur that guarantees the high polar tension that is required for that inner transformation. The failure to impose that dominance is among the most reasons for the catastrophe of liberal-normative ‘multiculturalism’.

Steuckers points to the need for ‘micro-re-territorializations’ throughout the entire Western habitat, i.e. for a Reconquista of the West by means of a systematically planned and minutely exercised reclamation of the heritage of the West. Thus, for Steuckers too, the re-building of the larger Western Empire starts with the proper re-construction of the smallest Western houses: a New West starts with by re-living local traditions, regional cohesions and national identities. In the overseas Anglosphere, this requires a bottom-to-top reaffirmation of state rights and ethnostatist power devolution. In Europe, this requires the top-to-bottom rejection of hyper-nationalist Einzelgang, i.e. of nationalist projects such as Napoleon’s and Hitler’s. In Europe, a people - or a few peoples - may very well be the ‘chosen’ carrier(s) of the Imperial Idea, but this implies responsibility rather than superiority. Accordingly, the construction of an Archaeo-Futurist New European Empire will have to recognize the natural central role of the German people (which was also the ‘carrier nation’ of the ancient Holy Roman Empire), as well as the need for a pragmatic anti-globalist alliance on the Franco-German-Russian axis. Given the fact that the globalist hostile elite prioritizes the ‘pyro-political’ destruction of the Franco-German space - as currently realized in the Macron-Merkel strategy of Umvolkung à l’outrance - the Reconquista of Europe will have to start from its natural geopolitical citadel, which is Russia. The anti-globalist liberation of Russia, initiated by President Putin, provides a natural ‘fall back’ position for a meta-political counteroffensive that ‘rolls back’ globalism from east to west. The confederative and multipolar vision of Eurasianism, as formulated by Aleksandr Dugin, provides a good starting point. Once again the ancient adage holds true: ex oriente lux.[48]

To conclude this essay, it seems proper to support Steuckers’ plea for micro-re-territorialization by elaborating the strategy he suggests in the European context. Such elaboration will be required if the globalist ‘EU projects’ implodes within the foreseeable future - a scenario that is increasingly conceivable. Such implosion will require the smaller states of Europe to immediately re-position themselves in a post-globalist New Europe: they will have to re-invent and re-orient themselves. Even states of modest size and most weight, such as the three states currently occupying the Low Countries, may then gain a new lease of life. A New Europe will offer opportunities to regain lost state sovereignties, lost ethnic identities, lost national currencies and lost social welfare models. The collapse of the globalist ‘EU project’ and the disintegration of globalist control mechanisms will provide the smaller states of Europe with the freedom to develop themselves according to their particularities and unique characteristics.

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At the micro-level this potential is illustrated by the smallest European states: in many regards, the microstates of San Marino, Andorra, Monaco and Liechtenstein have swum through the mazes of the globalist net. They have been able to optimally develop themselves in their own small biotopes without abandoning their identities. They have been far better able to defend the rights of their indigenous peoples than the smaller EU member states: their peoples still maintain many of the judicial privileges, economic safeguards, social dominance and cultural hegemony that have been lost under the direct globalist rule of the EU.[49] There, citizenship and residency are not handed out to every ‘labour migrant’. There, welfare payments and housing facilities are not made available to every ‘asylum seeker’. There, the indigenous people are not expected to bend to every whim of cultural-marxist ‘diversity’ spin doctors. There, modern technology and economic prosperity have been proven to be entirely compatible with ethnic dominance and cultural hegemony. Without denying the specific circumstances and without ignoring the specific problems of the microstates, it is still possible to discern in them the first features of an Archaeo-Futurist Revolution. In this regard, a place of honour is reserved for the Principality of Liechtenstein, which has been benefitted from the direct and personal rule of hereditary Prince Hans-Adam II since the democratically approved constitutional reform of 2003. The Liechtenstein Archaeo-Futurist experiment proves that semi-decisionist governance and protected ethnic identity can very well be combined with a free market mechanism, great prosperity and a high level of social-economic development. Perhaps it is no coincidence that Liechtenstein, which actually constitutes the last legitimately ruled remnant of the Holy Roman Empire, has given rise to a first indication of how an Archaeo-Futurist Europe may look like. This ‘Edelweiss Model’, hidden high between the Alpine peaks, may inspire the smaller and medium-sized member states of the EU to reject the ‘Calimero argument’, i.e. the globalist argument that they are ‘too small’ to be able to stand on their own legs.

From a global (not: globalist) perspective, the situation of the European microstates is effectively not all that different from that of the smaller EU member states. Even at a larger scale, the ‘Edelweiss Model’ offers a viable alternative to globalism: the social-economic and ethnic models of smaller and medium-size of the prosperous Pacific Rim - Malaysia, Singapore, Brunei, Taiwan, South Korea - offer ample illustrations of viable non-globalist policies.[50] The fact that the ‘backward’ institution of the Monarch has been preserved in some of the smaller EU member states - in Scandinavia and the Low Countries - may very well provide them with a distinct advantage: the Monarchy can function as a ‘reserve sovereignty’ on which, in due time, a decisionist counter-offensive against liberal-normative globalism can base itself. Thus, for the Small House of the Netherlands, a New Europe may start with an ‘Edelweiss Model’ re-positioning. Decades of neo-liberal ‘disaster capitalism’ and cultural-marxist ‘deconstruction’ have caused social implosion and ethnic replacement on an unprecedented scale: the ruins of fifty years ‘purple’[51] prove that the Small House known as ‘The Netherlands’ is slated for demolition under globalist EU rule. The Low Countries - Belgium, the Netherlands and Luxembourg - would be well advised to start thinking about a viable alternative: subsidiary-based sovereignty and ethnicity-based identity within a New Europe - a Europe that may be inspired by the Archaeo-Futurist Imperial Idea and the Eurasianist confederate idea. This is what the Low Countries - and all the nations of the West - deserve: a place between the Edelweiss.

Mon Dieu, ayez pitié de nos pauvres peuples[52]

 

Glossary

 

banlieusard

French: ‘suburban dweller’; referring specifically to the HLM social housing estates around Paris, largely inhabited by ethnic minorities;

decisionisme

doctrine of directly-concrete and physically-embodied command authority, opposite of indirectly-abstract and psychologically-manipulative Normativism (Rex vs. Lex);

éditocratie

or : ‘mediacracy’, ‘intellocracy’; rule of the mainstream media plus the politically-correct academic establishment;

éristique

Greek: εριστικός: ‘combative’, ‘battle ready’;

mobocratie

or: ‘ochlocracy’; mob rule, totalitarian hyper-collectivism;

partitocratie

political ‘hostage-taking’ of parliamentary institutions by party-political interests and party-cartels, politically-correct ‘1984’;

pyropolitiek

geopolitical ‘scorched earth’ strategy of the globalist hostile elite to ‘burn away’ all multipolar resistance to its New World Order;

soixante-huitard

French: ‘68 person’; reference to the Paris ‘cultural revolution’ of May 1968 and the ‘hippie-to-yuppie’ baby boomer generation that incarnates globalism through a combination of cultural-marxist theory and neo-liberal practice, currently being replaced by a successor generation of feminist-minority power elites;

 

Notes

 

[1] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/counte...

[2] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/fake-news-d...

[3] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/modernisati... - note the intriguingly explicit link that is here made between the proposed measures and the recent ‘Marrakesh Pact’ that aims at speeding up the ethnic replacement of the European peoples.

[4] https://www.geopolitica.ru/en/article/le-rouge-et-le-noir... and https://www.geopolitica.ru/en/article/arsenal-hephaestus

[5] A (double entendre) reference to the title of the post-modern – and ‘pre-apocalyptic’ - art documentary Sophie Fiennes (2010).

[6] For a summary Traditionalist interpretation of the science fiction genre – as hierophany and cryptomnesia – cf. Alexander Wolfheze, The Sunset of Tradition and the Origins of the Great War (Newcastle upon Tyne: Cambridge Scholars, 2018 - https://www.cambridgescholars.com/the-sunset-of-tradition... ) 240ff. For a psycho-historical ‘update’ on this theme cf. Alexander Wolfheze, Alba Rosa. Ten Traditionalist Essays about the Crisis in the Modern West (London: Arktos, 2019 - https://arktos.com/product/alba-rosa/ ) 35ff.

[7] Cf. the masterful illustrations that are added to Jeff Wayne’s Wells-based musical version: http://www.thewaroftheworlds.com/

[8] In pre-postmodern scientific sources Truganini is mentioned as the last full-blood Tasmanian and the last mother-tongue speaker of the Tasmanian language. She was born around 1812 as a daughter of the chief of the indigenous people of Bruny Island, located just off the southern coast of Tasmania. She survived the massacres, rapes and relocations of British colonial Umvolkung of her motherland and died in exile in 1876 – after her death, her skeleton was exhibited as a ‘scientific curiosity’. Cf. Wolfheze, Sunset, 318ff.

[9] For a ‘techno-philosophical’ forward projection of this ‘evolutionary’ development cf. Jason Jorjani, World State of Emergency (London: Arktos, 2017) 69ff.

[10] https://www.geopolitica.ru/en/article/what-white-genocide

[11] A term used by the anti-multicultural French political philosopher Charles Maurras (1868-1952), known as a proponent of ‘national integralism’ and chief ideologue of the monarchist and anti-revolutionary movement Action française.

[12] Wolfheze, Alba Rosa, 147ff.

[13] For a summary of the philosophical and cultural-historical context of Cultural Nihilism cf. https://www.geopolitica.ru/en/article/identitarian-revolu...

[14] The motto of Edgar Allen Poe’s The Pit and the Pendulum: ‘Quatrain composed for the gates of a market to be erected upon the site of the Jacobin Club House at Paris’. Comments and translation from http://blogicaster.blogspot.com/2010/10/epigraph-to-poes-...

[15] ‘Shielded property’; a charity institution serving the public good as defined by Islamic Law (e.g. a mosque, a school, a bathhouse).

[16] During the French Revolution, the Jacobin Club was based in the Jacobin monastery in the Paris Parijse Rue Saint-Honoré – it was an extreme-left party-political organization founded by radical freemasons led by Maximilien Robespierre. It attempted to enforce its vision of secular republicanism and social revolution through judicial murder and state-sponsored terrorism. During the Russian Revolution, Lenin’s political methodology was directly inspired by the Jacobin experiment.

[17] References to, respectively, the pan-Hispanic-American, anti-imperialist and semi-socialist ideology that is named after the 19th Century South American freedom fighter Simón Bolívar first formulated by Venezuelan President Hugo Chávez (1954-2013), and the ‘Pink Tide’ of (semi-)anti-globalist en progressivist political reform movement that dominated large parts of Latin America during the years between the election of Venezuelan President Hugo Chávez (1999) and the impeachment of Brazilian President Dilma Roussef (2016).

[18] The European Commission consists (after ‘Brexit’) of 27 unelected ‘Commissioners’ (mark the nomenclature similarity with the old Soviet ‘Commissars’) that are nominated by the member state governments and that have an absolute executive power, aside from their monopoly on legislation initiative and a strong control over the European judiciary. Thus, the European Commission, headed by former Luxembourgian PM Jean-Claude Juncker since 2014, effectively has dictatorial powers, even if it chooses to use this power in an almost exclusively negative sense through its institutional deference to laissez-faire neo-liberalism and ‘open borders’ cultural-marxism. In theory, the European Parliament has the power to veto Commission nominees and to fire sitting Commissioners, but in practice, these prerogatives are dead letter shams: appointments are exercises in consensus politics and dismissals are blocked by parliamentary sabotage. A further ‘democratic deficit’ is found in the fact that the turn-out for the elections of the supposedly ‘controlling’ European Parliament is structurally lower than 50%.

[19] Wahhabism, named after Sunni Islamic religious leader and reformer Mohammed al-Wahhad (1703-92), is a fundamentalist and iconoclastic doctrinal movement within the Hanbali School. The use of the term ‘Wahhabi’ as a reference to a follower of this movement is mostly restricted to its opponents: its supporters prefer to use terms such as muwahhīd (‘monotheist’) or Salafist. Wahhabism is characterized by a militant and even aggressive purism that is realized in regressive social practices within its community and institutional intolerance to the outside world. In contemporary geopolitics, the historically pragmatic alliance between the Wahhabite clergy and the Saudi Royal House results in phenomena such an ‘Al-Qaida’ and the ‘Islamic State’.

[20] Salafism (salaf, ‘predecessors, forefathers’, concrete: the first three generations of religious authorities in Islam) is a Sunni-Islamic religious reform movement that was inspired by 18th Century Wahhabism, originating in the 19th Century Egypt resistance movement against the social effects of Western imperialism. Although the whole Salafist movement opposes Western-style secularism and democracy, only a small minority of its followers (the so-called ‘Jihadists’) supports an armed ‘holy war’ to achieve the Salafist aims of social reform. The Hanbali maḏab (‘ethical code’, concrete: doctrinal ‘school’), which was founded by Ahmad ibn-Hanbal (780-855), is the smallest of the four legal traditions of Sunni Islam – its dominance as a religious and social code is limited to the Arabic Peninsula (where it has been incorporated in public law in Saudi-Arabia and Qatar). The Hanbali School is characterized by an effective rejection of ijmā‘ (‘specialist consensus’) and ijtihād (‘mental effort’) and a very restrictive application of qiyās (‘deductive analogy’) in Islamic legal practice. The social conservatism and financial power of the Gulf States have made the Hanbali School an attractive ideological base line for islamist extremists.

[21] The ‘Pilgrim Fathers’ were the English (mostly radical-Calvinist) religious dissidents who went into exile in the Dutch Republic in 1609 before emigrating to North America, where they founded Plymouth Colony (which was later absorbed into the Massachusetts Bay Colony). They are regarded as the founding fathers of the American nation (here ‘classically’ defined as ‘White Anglo-Saxon Protestant’) and as the instigators of the American Thanksgiving Day tradition (which may have been shaped by their memory of the Leyden October Festival celebrating the lifting of the Leyden Siege in 1584).

[22] The concept of the ‘noble savage’, supposedly still ‘uncorrupted’ by the globalist-imperialist expansion of ‘unnatural’ Western civilization, was an integral part of 18th Century Enlightenment thought. The term is widely but wrongly attributed to the French philosopher Jean-Jacques Rousseau (1712-78). Rousseau’s work did provide a prominently ‘proto-oikophobic’ twist to the older notion of ‘romantic primitivism’, which is, in fact, archetypal (cf. the ‘Enkidu’ character in the Gilgamesh Epic). For an Archaeo-Futurist re-interpretation of the Enlightenment motive of the ‘noble savage’, cf. Wolfheze, Sunset, 318ff.

[23] A reference to the semi-genocidal pacification campaign of early 1794 that was ordered by the Jacobin Republican regime in the aftermath of the War in the Vendée - it combined the strategies of scorched earth and ethnic cleansing and claimed the lives of up to 40.000 civilians.

[24] The concept of soevereiniteit in eigen kring, or ‘sphere sovereignty’, stipulates differentiated authority and responsibility and is a core element of Neo-Calvinist political theory - it was important in the policies of Dutch statesman Abraham Kuyper.

[25] Text written for the occasion of the ceremonial opening of the Bavarian Walhalla Memorial (1842) - translation Alexander Wolfheze.

[26] Cf. Alba Rosa, 112ff.

[27] For an introduction to Eurasianism cf. https://www.geopolitica.ru/en/article/le-rouge-et-le-noir...

[28] Cf. Wolfheze, Alba Rosa, 200ff.

[29] References to, respectively, the Biblical Fall (cf. Gen. 3:17) and Karl Marx’ theory of Entfremdung.

[30] Cf. Wolfheze, Alba Rosa, 55.

[31] In the European Tradition the Imperator, representing the highest command authority of the Empire, carries the honorary title ‘Caesar’ in tribute to the cognomen of Roman dictator Gaius Julius (100-44 v. Chr.). One of the historical etymologies of this cognomen assumes a link to a North African word for ‘elephant’ (much of Caesar’s coinage depicts an elephant).

[32] This ‘horizon’ principle a key component of the Dasein hermeneutics of German philosopher Martin Heidegger (1889-1976) – it has recently been reactivated for Archaeo-Futurism by the American-Persian philosopher Jason Jorjani (born 1981) – cf. Wolfheze, Alba Rosa, 228ff.

[33] A reference to the metaphysical dimension of the Traditionalist concept of the ‘Guardian of the Threshold’ that has been recently reactivated by Russian philosopher Aleksandr Dugin – cf. https://www.geopolitica.ru/en/article/broken-arrow

[34] Cf. Alba Rosa, 209ff.

[35] A reference to the modern dialectic method (‘thesis-antithesis-synthesis’), developed by German philosopher Friedrich Hegel (1770-1831) and ‘operationalized’ by German-Jewish political philosopher Karl Marx (1818-83).

[36] A reference to French comparative linguist Georges Dumézil (1898-1986) who did pioneering research into archaic Indo-European myths and social structures, known for his ‘Tri-functional Hypothesis’ regarding the original Indo-European caste system.

[37] In later Persian language forms and in the Shahnameh (the national epics of Iran entitled ‘The Book of Kings’ and written by the poet Ferdowsi at the end of the 10th Century AD) this king is named Jamshid (which means ‘Shining Yama’), a mythical priest-king who is said to possess supernatural abilities and who has the charismatic character associated with the highest Katechon.

[38] Later, the Indo-European mace became a ceremonial staff (often covered with gold foil) as a power symbol for high office in all Traditions of the Ancient Near East and the Classical World. The symbolic meaning of the mace can be related (through cultural-anthropological analyses of structural oppositions) to that of the sceptre (political power), the magic wand (spiritual power) and the baton (military power).

[39] The Avestan name for one of the Zoroastrian Yazata’s (deified principles ‘worthy of worship’ – the term is etymologically related to the Greek word ἅγιος ‘holy’): this is the principle of ‘Observance’ which functions as an ‘Archangel’ and is symbolically associated with the mace of worldly power – in later Persian language forms it is known as Sorush.

[40] The Middle Persian name Ahriman finds its older equivalent in Avestan Angra Mainyu, ‘Evil Spirit’, the cosmic archenemy of the highest creator divinity Ahura Mazda. As God (Light, Truth, Order) and the devil (darkness, deceit, chaos) oppose each other in Christianity, thus Ahura Mazda and Angra Mainyu oppose each other in Zoroastrianism.

[41] In the Christian Tradition, this charisma is symbolically expressed by means of an aureola, the halo effect that is associated with angels and saints. Modern science describes this phenomenon in neurological terms (as in relation to liminal phenomena such as epilepsy, synaesthesia and hallucination). For the historical context of the concept of the khvarenah cf. Jason Jorjani, World State of Emergency (Londen: Arktos, 2017) 153-92.

[42] For an introduction to Steuckers’ view of Europe as a subcontinental part of the larger Eurasian space cf. https://www.geopolitica.ru/en/article/le-rouge-et-le-noir...

[43] A reference to the Mongol conquest of the Khwarazmian Empire (approximately equivalent with ‘Persia’ at that time) by Genghis Khan that started in 1219.

[44] Shihab ad-Din Yahya Sohrawardi (1154-91), one of Persia’s Medieval ‘Masters of Enlightenment’, based his Illuminationism on the notion of prisca theologia – he was thus able to integrate pre-Islamic (philosophical concepts and) knowledge into his work. Esoteric symbolism and intellectual intuition pervade Sohrawardi’s work, which came to have a substantial influence on Western Traditionalism through the translations and interpretations of Henri Corbin (1903-78) and Seyyed Hussayn Nasr (born 1933).

[45] In the context of the Persian Tradition, this spiritual modality can be unreservedly characterized as ‘Aryan’ in the most precise sense of the word – it is this Aryan existential condition which is explored in Jason Jorjani’s books Prometheus and Atlas and The World State of Emergency.

[46] Joseph Count de Gobineau (1816-82) was a palaeo-conservative French thinker who is often mentioned as the founder of late 19th and early 20th Century ‘scientific racism’. During his diplomatic service in Persia, De Gobineau developed a life-long fascination with the philosophy, history and mysteries of the Persian Tradition.

[47] A contraction of the German words Edelweiss, for, and Weisheit, ‘wisdom’.

[48] https://www.geopolitica.ru/en/article/problems-european-s...

[49] In the wake of ‘Brexit’, even the mainstream media have picked up on the non-globalist ‘immigration model’ of Europe’s microstates, e.g. https://www.theguardian.com/politics/2016/oct/09/liechten...

[50] Models worth exploring are the ethnicity-based ‘Community Funds’ of Singapore and ‘Bumiputra’ privileges of Malaysia.

[51] A reference to De puinhopen van acht jaar paars, ‘The Ruins of Eight Years Purple’, the last book of assassinated patriotic leader Pim Fortuyn,. The term ‘purple’ here refers to the grand political coalition of ‘red’ social democrats and ‘blue’ neoliberals that ruled the Netherlands from 1994 to 2002.

[52] Freely inspired by the last words of William the Silent, Prince of Orange, leader of the Dutch Revolt and Dutch Father of the Fatherland (1533-84), spoken when he was assassinated after being declared an outlaw and a heretic by Philip II of Spain.

mercredi, 06 mars 2019

Italie - Fractures en Jaune et Vert

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Italie

Fractures en Jaune et Vert

par Georges FELTIN-TRACOL

Ex: http://www.europemaxima.com

Le partage du pouvoir entre le Mouvement 5 Étoiles (M5S) et la Ligue n’est pas de tout repos. Malgré l’approbation d’un contrat de gouvernement tant par les « Verts » lighistes que par les « Jaune » grillinistes, de nombreuses crispations autour de sujets souvent cruciaux pour l’avenir de l’Italie parcourent l’équipe ministérielle de Paolo Conte.

La déflagration aurait pu provenir du Diciotti, ce navire qui ne fit pas débarquer des étrangers clandestins sur l’injonction du ministre de l’Intérieur Matteo Salvini. Le parquet d’Agrigente lança aussitôt une information judiciaire contre le ministre et son chef de cabinet pour « abus de pouvoir et séquestration ». L’enquête requiert la levée de l’immunité parlementaire de Matteo Salvini par le Sénat. La perspective de ce vote plonge les sénateurs du M5S et, plus généralement, les militants dans une grande perplexité. En effet, le M5S combat la corruption politique, dénonce l’emprise de la Mafia et soutient les magistrats. Ses règles sont claires : l’inculpation de tout élu du M5S entraîne sa démission immédiate. Or Matteo Salvini a pris cette décision régalienne en concertation avec le président du Conseil et l’autre vice-président du gouvernement, le chef politique du grillinisme, Luigi Di Maio. Ses membres viennent de trancher par référendum électronique sur la plateforme Rousseau. 59 % rejettent la levée de l’immunité de Salvini. Dans la logique de démocratie impérative propre au M5S, ses sénateurs doivent s’y conformer, sinon ce sera une crise gouvernementale majeure.

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Un autre motif de tension entre partenaires gouvernementaux concerne la ligne à grande vitesse Lyon – Turin (ou TAV) et, plus généralement, la politique de relance de grands travaux d’infrastructures de circulation. Hostile à ces projets propices aux fausses factures et aux rétrocommissions, et au nom d’une vision écologique décroissante, le M5S s’oppose dès l’origine avec l’ultra-gauche à un Lyon – Turin indispensable pour l’essor économique de l’Italie du Nord riche en PME, base électorale de la Lega. Un abandon du TAV mécontenterait l’aile libérale, pro-européenne et régionaliste de la Ligue qui n’apprécie guère l’alliance avec les Cinq Étoiles du Sudiste Di Maio. Celui-ci serait-il cependant prêt à renoncer à un point phare de son programme après la transformation du « revenu de citoyenneté » promis en un RSA à la sauce transalpine ?

Le dernier gros contentieux se rapporte à la diplomatie. Sous la triple attraction de Viktor Orban, de Donald Trump et de Steve Bannon, la Lega a pris des positions eurosceptiques, néo-atlantistes et pro-sionistes. Elle considère le Hamas palestinien et le Hezbollah libanais comme des formations terroristes, exige le désarmement nucléaire unilatéral de l’Iran et conteste la légitimité du président vénézuélien Nicolas Maduro. Pour le M5S, Nicolas Maduro demeure le président légitime; le Hamas et le Hezbollah sont des mouvements combattants; l’Iran est la victime de l’hégémonie belliqueuse de la Maison Blanche. Cette pondération diplomatique s’explique par l’influence toujours forte de son fondateur, le comique Beppe Grillo, dont la seconde épouse est d’origine iranienne.

Ces frictions fragilisent l’actuelle coalition. Les récentes élections régionales dans les Abruzzes donnent l’avantage à la Ligue qui récolte maintenant trente années de militantisme sur le terrain tandis que le M5S ne dispose que d’un très faible maillage territorial militant. Il est dorénavant évident que les élections européennes de mai prochain établiront de nouveaux rapports de forces internes. Les grillinistes, élus, militants et sympathisants, seraient-ils prêts à rompre avec la Ligue au risque de déclencher de nouvelles élections législatives et la reconstitution autour de la personne de Salvini d’une union de toutes les droites ? Suivons donc avec attention tout ce qui va se passer dans les prochains mois au-delà des Alpes.

Georges Feltin-Tracol.

• « Chronique hebdomadaire du Village planétaire », n° 114, mise en ligne sur TV Libertés, le 25 février 2019.

La disparition programmée de la langue française

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La disparition programmée de la langue française

par Pierre-Emile Blairon

peblf-4grevisse.jpgJ’ai dans ma bibliothèque quelques livres de grammaire et de langue française (chinés dans les vide-greniers) dans un état qui laisse supposer qu’ils ont été fréquemment pris en main. Par exemple, celui-ci, dont la trente et unième édition (!) fut imprimée en 1950. C’est un manuel de grammaire destiné aux classes de sixième. La deuxième leçon présente, dans la rubrique La vie des mots, le texte suivant : « Le sens des mots s’élargit : Le mot boucher désignait au Moyen-Age l’homme qui vendait de la viande de bouc. Un panier n’était proprement qu’une corbeille à pain. Le mot bureau a désigné tout d’abord un petit morceau de bure ou étoffe grossière, ensuite le meuble sur lequel on pose cette bure, puis la salle dans laquelle ce meuble est placé… »

Qui d’entre nous sait encore ce qui constituait, pour un élève de sixième en 1950, le B.A ba de son apprentissage de la langue française ?

L’histoire des mots venait en parallèle de l’histoire des hommes ou de l’histoire d’une nation car les notions de langue, de citoyenneté et de nation étaient naguère (c’est-à-dire il n’y a guère de temps, dans un passé récent) intimement liées.

18 ans après, il ne resterait rien, en quelques mois, de cet ancestral mais fragile ordonnancement des règles subtiles et précieuses de notre langue ; la révolte de mai 68 était passée par là ; rébellion plus que révolte des étudiants petits-bourgeois, enfants de grands bourgeois, marxistes d’opérette qui, pour faire la nique à papa et à maman (expression qui a trouvé son délicat point d’orgue, ou son point G, de nos jours), se donnait pour tâche d’appliquer en France les pratiques radicales (et collectivistes en matière d’éducation) du Petit livre rouge de Mao.

C’est ainsi que, de démission en démission (de ministres de l’Education nationale) et de dogmatisme idéologique en abdication laxiste, désinvolte ou inconsciente (on pense à cette professeur-e ou professeuse qui, le pistolet sur la tempe, était en train de rigoler bêtement), les « maîtres » ont renoncé à inculquer la moindre règle de grammaire ou d’orthographe aux petits Français. C’est ainsi que ceux qui fréquentent les réseaux sociaux ou qui s’enquièrent de quelques commentaires sur internet peuvent lire ces perles que j’ai relevées (en l’état) en quelques minutes sur la toile, qui pourraient prêter à sourire, si elles n’étaient pas aussi tragiquement révélatrices d’un épouvantable désastre : l’indigence de notre enseignement qui a fabriqué des analphabètes en masse.

  • « moi je dit que cette imprimant vaux le coût quand ton voix les prix des cartouche cet imprimante est a 599€ mais je dit que l'on peu faire des économies sur les cartouche d'encre. »
  • « Feu circoncis sans dégât de la raffinerie !"
  • "Le politicien qui se fait dessus plus vite que son nombre ! »
  • Ils font aussi faucheton que tout la bande
  • Bonjour à tous allor comme je ne suis plus censuré je reviens vaire vous pour nôtre petit concours national, avez vous fait vaut pancarte et, ou banderole avec revendications à metre partout en ville ?
  • "les règles imposé ne sont pas les n'autres !"
  • il faudrait arrêter d accuser à tord et art vers.
  • « maintenant sa de viens du n'importe quoid »

Effectivement, ça devient n’importe quoi… Pour beaucoup de personnes, l’attention que l’on accorde à l’orthographe et à la grammaire est une question de bonne éducation ; quand on écrit, on s’astreint, par respect de soi et des lecteurs, par courtoisie, à éviter les fautes ou à les corriger, comme on peut trouver naturel de dire bonjour à sa boulangère.

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D’autres – les plus nombreux, hélas – ne voient pas cette nécessité. Ils estiment que la forme importe peu du moment qu’on se fait comprendre. En d’autres termes, qu’importe le flacon pourvu qu’on ait l’ivresse. C’est effectivement un raisonnement de pochard. Un homme bien né et bien éduqué ne boit pas du champagne dans une tasse à café et nos amis belges savent bien qu’une bonne bière ne peut être dégustée dans n’importe quel bock ; chaque bière de tradition a d’ailleurs élaboré son propre verre comme, en France, il existe des verres pour déguster du bordeaux, du bourgogne ou de l’alsace.

Le flacon, en même temps qu’il contient le nectar, lui donne sa forme, sa structure, et sublime ses qualités. Sans contenant, il n’y a pas de contenu. La langue française contient à elle seule tout le génie français.

peblf-wartburg.jpgLa langue, l’écriture, l’expression, la communication

On a prétendu que le XXIe siècle allait être celui de la communication. C’est vrai qu’il n’y eut jamais autant d’outils pour la servir ni autant de mots pour la définir. Mais il est vrai aussi qu’il n’y eut jamais aussi peu de liberté d’expression ; on croyait 1984 dépassée, mais cette année rendue intemporelle par George Orwell arrive en 2019, au pas clouté des flics-robots anonymes, cachés derrière leurs visières et leurs boucliers, sans pitié, sans états d’âme ni de service.

« Une langue est un système conventionnel de signes utilisé par un groupe social (Larousse) qui ne précise pas : humain.

Les animaux, eux, ont des moyens de communiquer très variés (chant des baleines ou des oiseaux, danse des abeilles, postures des chiens, etc.) qui laissent supposer que les hommes auraient bien à en apprendre, même s’ils ne se servent ni de leur langue (comme organe vocal) ni de l’écriture.

Certains situent les débuts de l’écriture à Sumer en Mésopotamie (l’actuelle Irak) environ quatre millénaires avant notre ère ; mais les tablettes de Tartaria découvertes en Roumanie pourraient être antérieures de 1500 ans à l’écriture sumérienne si leur authenticité est prouvée.

Nos ancêtres les Gaulois

La civilisation celtique, installée sur la quasi-totalité de l’Europe avant l’émergence des civilisations grecque et romaine, a fait son apparition un millénaire avant notre ère, son écriture, et les quelques bribes de gaulois dont nous avons héritées (quelques dizaines de mots[1]), est apparue trois ou quatre siècles après, mais nous n’en avons aucune certitude.

Les druides étaient les représentants sacerdotaux des Gaulois, intercesseurs entre le peuple et les dieux, mais aussi leurs sages et leurs savants ; leur parole prévalait sur celle du roi ; leur parole… car les druides n’écrivaient pas et n’enseignaient pas l’écriture, qu’ils connaissaient parfaitement[2], mais qu’ils considéraient déjà comme l’un des éléments de la fin du cycle, une concession faite à la matérialité ; les candidats à la fonction druidique apprenaient pendant une vingtaine d’années les bases de la sagesse (la connaissance) celte en faisant travailler leur cerveau, leur mémoire et en les vérifiant sur le terrain.

Ce rigorisme spirituel n’a pas servi la culture celte ; les historiens et les « intellectuels » ont considéré la civilisation celte comme négligeable pace qu’elle n’avait laissé ni une écriture complète et des écrivains, ni des temples à colonnes, ni un art de la guerre. La force des Romains et la raison des Grecs semblent avoir gagné sur la spiritualité des Celtes. Pourtant, les druides connaissaient le langage des dieux qui est celui des symboles ; pour les druides, la langue des dieux ne pouvait pas s’écrire ; plus tard, pourtant, une écriture est née de ce langage des formes qui ne s’adresse qu’à l’intuition, au cœur et à l’intelligence, il s’agit de l’écriture runique dont on découvre peu à peu sa richesse[3]

Ce sont les Gaulois qui ont inventé la charrue et les plus importantes méthodes de culture du sol, avec lequel ils entretenaient des liens magiques, et ce sont eux qui travaillaient le plus finement l’art de la parure et des bijoux. A la fois des paysans frustes et des artistes délicats. Le génie français vient de cet antagonisme apparent. Et, comme tout est analogie, un autre antagonisme apparaîtra issu du premier avec les langues régionales, implantées dans le terroir de leurs ancêtres, et, plus tard, la langue française dont s’entichera toute l’Europe pour sa délicatesse et sa préciosité. C’est ce que Spengler appellera une langue de culture, voire de civilisation puisque le français tendra à l’universalité.

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Les langues régionales

Les langues régionales, elles, naissent du sol, du terroir, chacune portant dans son accent toute l’histoire d’un pays, jusqu’aux moindres intonations, la couleur des toits et des robes, le souffle du vent, le chant des oiseaux, l’odeur des foins, les gestes des semeurs, des bûcherons, du cordonnier, la chaleur des amitiés, la défiance de l’étranger en même temps que le sens de l’hospitalité. Le gallo-roman a donné naissance à la langue d’oc au sud et d’oïl au nord mâtinée de franc. Dans les abbayes romanes construites sur les lieux sacrés des païens, les moines copistes, dans le froid et le silence des scriptorii, s’évertuent à éradiquer les derniers témoignages des anciens guérisseurs des campagnes, à propager la parole du nouveau dieu et à l’enluminer.

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L’apparition de la langue française et son triomphe dans le monde

En 1539, François Ier, par l’Edit de Villers-Cotterêts, imposera le français comme langue administrative de tout le royaume et les Révolutionnaires jacobins de 1789 continueront l’œuvre de centralisation et d’uniformisation des rois en interdisant les langues régionales.

La langue française ne pouvait que triompher et les langues régionales péricliter ; les élèves des troisième et quatrième républiques s’appliquaient tout autant à écrire leurs dictées - peut-être en tirant la langue - que les scribes du Moyen-Age à reproduire les textes sacrés. Jusqu’en 1968, la langue française conservera de par le monde une aura indéniable et, en France même, une utilisation châtiée, ou tout au moins policée, jusque dans les milieux les plus modestes. Un enfant d’ouvrier maniait la langue française avec autant d’aisance et de maîtrise qu’un enfant de bourgeois.

Puis le paysan fut moqué et la terre natale désertée. Ce fut la ruée vers les villes, les mégapoles, la mondialisation, le mondialisme ; l’anglais basique remplaça le français comme langue universelle.

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L’éternel combat entre la qualité et la quantité allait ressurgir ; quand le français était devenu la langue européenne au XVIIIe et mondiale au XIXe siècle, sa difficulté à la maîtriser constituait, paradoxalement, l’un de ses atouts, à des époques où le goût de l’effort était répandu, mais aussi parce qu’on lui reconnaissait cette beauté qui s’était patiemment construite et qui avait fini par devenir naturelle : la distinction s’apparentait alors à la grâce. Ceux qui avaient consenti (entre autres) à cet effort étaient légitimement l’élite d’une nation.

« Notre langue est réputée pour sa clarté, pour la précision de son vocabulaire, pour la richesse de ses verbes et de leur construction, pour la force de sa syntaxe. C’est pour cela que toute l’Europe se l’est appropriée il y a trois siècles. » disait Hélène Carrère d’Encausse devant les membres de l’Académie française en 2002.

Hélène Carrère d’Encausse poursuivait : « « L’enseignement, tel qu’il était conçu, enserrait l’élève dans les mailles serrées d’un même savoir lui offrant la maîtrise de la langue, la connaissance de l’histoire nationale, d’une géographie remarquable par sa variété. Ce savoir commun à des générations de toutes origines les avait unifiées dans la certitude de partager un même passé, une même culture, un même patrimoine et par là même d’être unies dans un même destin et une même vision de l’avenir. Mais depuis presque un demi-siècle, des théoriciens de la pédagogie ont imposé au système éducatif français une idée que naïvement ils croyaient neuve, c’est que l’école avait pour mission d’écouter l’enfant au lieu de lui apporter les connaissances qui formeraient son raisonnement. »

En 2019, il est impossible d’avoir recours au passé et tout ce qui faisait le charme de la vie est interdit.

La langue française, à partir de 1968, fut méthodiquement, lentement mais rageusement et inexorablement, assassinée.

Qui sont les assassins ?

Les commanditaires de l’assassinat sont les idéologies progressiste et mondialiste, l’une et l’autre ayant pour but de faire table rase du passé quel qu’il soit et de détruire tout ce qui peut constituer un système structuré ou des points de repère : la langue, la nature, le patrimoine, le genre sexuel, l’architecture, la famille, l’identité, les cultures, l’histoire, les nations, les peuples, etc.

En ce qui concerne la langue française, leurs hommes de main – les exécuteurs des basses œuvres - sont l’idéologie, le laxisme, la paresse, le « progrès », le « politiquement correct », la superficialité, la mode qui s’entendent tous comme larrons en foire et il est bien souvent difficile de les distinguer.

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L’idéologie est représentée par les fonctionnaires de l’Education nationale (autrefois appelés « maîtres »), par les féministes et les militants du « genre » (l’écriture dite « inclusive ») et par le politiquement correct, un totalitarisme importé des Etats-Unis.

C’est ainsi qu’une gomme devient un « bloc mucilagineux à effet soustractif », un nain, « une personne à verticalité contrariée », nager dans une piscine, c’est « se déplacer dans un milieu aquatique profond standardisé et traverser l’eau en équilibre horizontal par immersion prolongée de la tête ». Les lycéens ne savaient pas qu’il fallait, comme ils disent, « se prendre la tête » avant d’en piquer une.

Les féministes ont cru féminiser tous les noms de métiers en inventant des néologismes qui ne font que caricaturer leur recours inconscient et systématique au « mâle » dont elles ne cessent pourtant de dénoncer la prédominance : c’est ainsi qu’une « chercheure » devient le féminin de « chercheur » (un missile à tête chercheure ?) qu’une « auteure » est le féminin d’auteur alors que les membres de l’Académie française ont décidé de se lancer dans la surenchère et optent pour « autrice ». Qui sont les plus ridicules ? les précieuses ou les précieux ?

La reddition au « globish », cet anglais de basse-cour qui a envahi le monde, est le résultat d’un effet de mode, ceux qui veulent être « modernes », dans le vent (s’assimilant ainsi d’emblée à des girouettes), du laxisme de nos gouvernants qui n’ont rien fait pour protéger notre langue et, bien au contraire, tout fait pour l’éradiquer, tout comme nos médias qui ne manquent pas une occasion de remplacer un mot français existant par sa version globish, ce qu’ils font par snobisme, par mépris du peuple et par inculture.

Enfin le « progrès » technique planétaire mis à la disposition du plus grand nombre a zombifié de par le monde des millions de jeunes gens incapables de communiquer autrement que par leurs smartphones. Ils écrivent, certes, mais des SMS en langage phonétique dévalué dit « texto ».

Quel est, dans ce contexte, l’avenir de notre langue ? Bien sombre, vous en conviendrez. Il ne passe, comme tout ce que nous dénonçons dans bien d’autres domaines de notre culture agonisante, que par un profond changement de paradigme, un violent coup de barre qui arrêterait le processus d’involution et d’uniformisation par le bas, et qui ne peut être désigné, pour dire clairement les choses, que par un seul mot : révolution.

Pierre-Emile Blairon

Notes

[1] http://users.skynet.be/sky37816/Mots_gaulois.html

[2] L’écriture de Glozel, qui n’a jusqu’ici jamais pu être identifiée, pourrait bien être de l’ancien gaulois : voir la revue Ialon n°47

[3] Paul-Georges Sansonetti, Les Runes et la Tradition primordiale, éditions Exèdre.

mardi, 05 mars 2019

Edelweiss De Archeo-Futuristische Europese Rijksgedachte aan de hand van Robert Steuckers’ Europa I. Valeurs et racines profondes de l’Europe

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Edelweiss

De Archeo-Futuristische Europese Rijksgedachte aan de hand van Robert Steuckers’ Europa I. Valeurs et racines profondes de l’Europe

(Madrid: BIOS, 2017)

door Alexander Wolfheze

Voorwoord: Slangtong in Zürich

RS-trilogievol1.jpgDe aanstaande Europese verkiezingen, waarmee het globalistisch-eurocratisch regime in Brussels zich nogmaals vier jaar een ‘democratische’ dekmantel wil aanmeten, biedt een goede gelegenheid tot een gedegen heroverweging van het ‘EU project’. De democratische camouflagekleding van het EU keizerrijk is inmiddels echter zodanig afgedragen dat zelfs troonopvolger kandidaat Mark Rutte zich afvraagt of het niet tijd is om het gewoon maar om te kleden in onverhuld totalitaire ‘uniform’ stijl. De titel van zijn op 13 februari 2019 in Zürich uitgesproken - en door analisten als ‘sollicitatiebrief’ nummer zoveel geïnterpreteerde[1] - ‘Churchill Lezing’ spreekt in dit opzicht boekdelen: The EU: from the power of principles towards principles and power.[2] Ofwel: ‘De EU: van de macht van principes naar principes en macht’. ‘Naar machtsprincipe’ zegt hij nog net niet, maar de inhoud windt er geen doekjes om: ‘het gaat in de wereld om macht en macht is geen vies woord’ (lees: de EU heeft machtsmiddelen die onvoldoende worden gebruikt), ‘de EU moet minder naïef zijn en meer realisme tonen’ (lees: het is tijd voor de EU het idealistisch masker laat vallen) en ‘we moeten besluiten over sancties tegen landen voortaan met een gekwalificeerde meerderheid nemen’ (lees: de resterende staatssoevereiniteit van de lidstaten moet nog verder worden verkleind). En inderdaad ontwikkelt de EU zich steeds meer in de richting van een ‘superstaat’: de gestage accumulatie van censuurmaatregelen in de mediale en digitale sfeer met hate speech codes,[3] fake news taskforces[4] en copyright directives[5] neemt inmiddels Orwelliaanse vormen aan. Met de totalitaire finish lijn van het EU project in zicht, is het goed de historische ontwikkeling en ideologische grondslagen ervan nog eens de revue te laten passeren.

Het Verdrag van Maastricht dat de formele grondslag legde voor de huidige Europese Unie werd getekend op 7 februari 1992, zes weken na de formele opheffing van de Sovjet Unie: zo begon de opbouw van het nieuwe cultuurmarxistische Westblok direct na de afbraak van het oude reaalsocialistische Oostblok. Sindsdien heeft de EU zich niet alleen naar buiten toe sterk uitgebreid (met name door de haastige inlijving van de net uit het Oostblok ontsnapte Centraal-Europese natiestaten), maar zij heeft zich ook in rap tempo als proto-totalitair ‘superstaat’ project naar binnen toe ontwikkeld tot een waardige opvolger van de Sovjet Unie. De overeenkomsten zijn in toenemende mate frappant: dezelfde sociale ‘deconstructie’ (Oostblok: hyper-proletarisch collectivisme / Westblok: neo-matriarchale nivellering), dezelfde economische ‘deconstructie’ (Oostblok: ‘dwangcollectivisatie’ / Westblok: ‘rampen kapitalisme’) en dezelfde etnische ‘deconstructie’ (Oostblok: ‘groepsdeportatie’ / Westblok: ‘omvolking’). De tegenstelling tussen het theoretisch discours van het liberaal-normativisme (‘vrijheid’, ‘gelijkheid’, ‘democratie’, ‘rechtsstaat’, ‘mensenrechten’) en de praktische leefrealiteit van maatschappelijke degradatie (sociaal-darwinistische economische tweedeling, sociale implosie, institutionele corruptie, endemische criminaliteit, etnische vervanging) neemt in het huidige Westblok even groteske vormen aan als in het voormalige Oostblok. In zeker opzichten is het Westblok zelfs verder doorgeschoten in de richting van een ‘superstaat’: zo staat de EU vlag in alle lidstaten obligaat naast de nationale vlag - een directe degradatie van nationale waardigheid die zelfs de formeel onafhankelijke Sovjet satellietstaten bespaard bleef.

AFut-1.pngMet deze escalerende discrepantie tussen theorie en praktijk is de heersende klasse van het Westblok - een globalistisch-eurocratisch opererende coalitie tussen het neoliberale grootkapitaal en de cultuurmarxistische intelligentsia - inmiddels verworden tot een regelrecht vijandelijke elite. Haar EU project heeft ontpopt zich tot een voor allen zichtbaar globalistisch anti-Europa project. Voor het overleven van de Europese beschaving en van de Europese inheemse volkeren die deze beschaving dragen is de verwijdering van de vijandelijke elite absolute noodzaak. Daarbij is een fundamentele (cultuurhistorische, politiekfilosofische) kritiek op haar ideologie van essentieel belang. Een belangrijke bijdrage tot deze kritiek is recent geleverd door Belgisch Traditionalistisch publicist Robert Steuckers - een passender ‘verkiezingswijzer’ voor de ‘Europese verkiezingen’ van mei 2019 dan zijn grote trilogie Europa is nauwelijks denkbaar. Dit essay beoogt Steuckers’ analyse van de echte kernwaarden en identitaire wortels van Europa, zoals vervat in het eerste deel van zijn nog niet uit het Frans vertaalde trilogie, onder de aandacht van het Nederlandstalige publiek te brengen. Steuckers’ Europa I biedt meer dan een grondige tegen-analyse van de postmoderne ‘deconstructie’ van Europa’s authentieke waarden en identiteiten: het biedt een heldere formule van een levensvatbaar alternatief: een Archeo-Futuristisch geïnspireerd ‘Europa van de volkeren’ gebaseerd op de complementaire principes van autonome volksgemeenschappen, consistente politieke subsidiariteit en pragmatische confederatieve structuren. Het moet nogmaals gezegd zijn: de patriottisch-identitaire beweging van de Lage Landen is Robert Steuckers grote dank verschuldigd - en een hartelijke felicitatie met een werk dat de gewoonlijk nogal bescheiden intellectuele begrenzingen van onze gewesten verre te boven gaat.

(*) Zoals de voorafgaande ‘Steuckers recensies’[6] is dit essay niet alleen bedoeld als boekbespreking, maar ook als metapolitieke analyse - een bijdrage tot de patriottisch-identitaire tegen-deconstructie van het door de Westerse vijandelijke elite gehanteerde postmoderne deconstructie discours. De kern van dit essay is een samenvatting door Steuckers’ Traditionalistisch geleide exploratie van de Europese identiteit. Die exploratie zet een definitieve punt achter de postmoderne deconstructie van die identiteit en het aldus bewerkstelligde cultuurhistorische tabula rasa stelt de patriottisch-identitaire beweging in staat een revolutionair nieuwe invulling te geven aan het idee ‘Europa’. Een Archeo-Futuristisch Europa ligt daarmee feitelijk binnen intellectueel handbereik.

(**) Dit essay belicht ‘casus Europa’ in drie stappen: het eerste drietal paragraven beoogt diagnostische ‘nulmetingen’, het tweede drietal paragraven geeft therapeutische ‘referentiepunten’ en de zevende paragraaf indiceert een concreet ‘behandelplan’. In eerste en laatste paragraven schetst de recensent het grotere Archeo-Futuristische kader weer waarbinnen Steuckers’ exploratie van de Europese identiteit relevant is voor de patriottisch-identitaire beweging - de eigenlijke ‘recensie’ van Steuckers’ Europa I vindt de lezer in paragraven 2 t/m 6.

(***) Voor een toelichting op de gekozen (ver)taal(vorm) en (voet)noten(last) wordt verwezen naar het voorwoord van de voorafgaande ‘Steuckers recensies’.

1.

Het rode onkruid

(psycho-historische diagnose)

‘Over Your Cities Grass Will Grow’[7]

wells.jpgH.G. Wells’ eeuwig groene meesterwerk The War of the Worlds blijft tot op de dag van vandaag niet alleen een van de grootste werken van het hele literaire science fiction genre: het behoudt ook tot op de dag van vandaag een directe - veelal alleen onderbewust, instinctief erkende - relevantie voor de existentiële conditie van de Westerse beschaving.[8] Wells’ magistrale sfeerimpressie van de Earth under the Martians schetst een wereld waarin de mens alle herkenning- en referentiepunten verliest: de menselijke beschaving wordt weggevaagd door superieure buitenaardse technologie, de mensheid zelf wordt gereduceerd tot slachtvee voor een buitenaardse bezettingsmacht en zelfs de aardse natuur wordt verdrongen door buitenaardse vegetatie. Een griezelig ‘rood onkruid’ - in verwijzing naar de rode kleur van de oorlogsplaneet Mars - overwoekert de ruïnes van de menselijke beschaving en verstikt de restanten van de aardse vegetatie.[9] Literaire analyses van The War of the Worlds erkennen dat Wells’ meesterwerk op aannemelijk wijze kan worden geïnterpreteerd als een serie retrospectieve en contextuele psycho-historische ‘bespiegelingen’. Zo projecteert Wells de in zijn tijd recent afgeronde en sociaaldarwinistisch geïnterpreteerde genocide van ‘primitieve volkeren’ (zoals de inheemse bevolking van Tasmanië)[10] door het ‘blanke meesterras’ op een hypothetische uitroeiing van de mensheid door superieur buitenaards ras. Ook projecteert hij de mensonterende horreur van de in zijn tijd opkomende bio-industrie op een hypothetische ‘slachtvee status’ van de mensheid na een buitenaardse invasie. Waar de meeste literaire analyses zich echter niet mee bezig houden is de voorspellende waarde van Wells’ werk, een waarde die het ontleent aan de voorwaartse projectie van meerdere - en gelijktijdige - technologische en sociologische ontwikkelingstrajecten. Wells’ geniale literaire verpakking van deze projecties geeft zijn ‘wetenschappelijke fictie’ een kwaliteit die in eerdere eeuwen als ‘profetisch’ zou hebben gegolden.

De existentiële breuklijnen die de Moderniteit heeft veroorzaakt in de Westerse beschaving kunnen worden geanalyseerd - en deels ook vooruit geprojecteerd - met verschillende moderne wetenschappelijk modellen: economisch als Entfremdung (Karl Marx), sociologisch als anomie (Emile Durkheim), psychologisch als cognitive dissonance (Leon Festinger) en filosofisch als Seinsvergessenheit (Martin Heidegger). De metapolitieke relevantie van deze analyses voor de Westerse patriottisch-identitaire bewegung ligt niet zozeer in hun - al dan niet ideologisch negatieve - ‘deconstructieve’ capaciteit, als wel in hun simpele diagnostische waarde. Hierin ligt een belangrijke overeenkomst tussen deze moderne wetenschappelijke modellen en moderne artistieke ‘modellen’ zoals Wells’ meesterwerk The War of the Worlds: door ‘maatschappelijke signalen’ te interpreteren dienen ze als metapolitieke ‘verkeersborden’ - en als waarschuwingen. Inmiddels is de accumulatieve impact van de Moderniteit op de Westerse samenlevingen echter zó groot geworden, dat de existentiële conditie van de Westerse volkeren niet langer in termen van authentieke beschavingscontinuïteiten en historische standaardmodellen kan worden beschreven. Wanneer afwijking, aberratie en ontsporing een existentiële conditie volledig bepalen, dan is er immers niet langer sprake van een historische herkenbare ‘standaard’. Wanneer wetenschappelijke ‘waarschuwingsborden’ worden genegeerd, dan komen artistiek ‘voorspelde’ dystopische eindbestemmingen in zicht. Niet voor niets wordt deze fase van de (ex-)Westerse beschavingsgeschiedenis getypeerd als ‘post-modern’: de (ex-)Westerse samenlevingen van nu hebben authentieke beschavingscontinuïteit grotendeels achter zich gelaten en bewegen zich versneld in de richting van existentiële condities die overeenkomsten vertonen die van Wells’ Earth under the Martians.

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De nieuwe ‘globalistische’ heersersklasse van het Westen staat nu in effectief boven en los van de Westerse volkeren, zij is alleen nog ‘verbonden’ met deze volkeren in de uitwerking van haar macht. De vijandelijke elite acht zichzelf nu niet alleen ethisch en esthetisch, maar ook en vooral evolutionair verheven boven de ‘massa’ die zij is ‘ontgroeit’.[11] De consistent negatieve effecten van haar machtsuitoefening - hoofdrichtingen: neo-liberale uitbuiting, industriële ecocide, bio-industriële dierkwellerij, cultuur-marxistische deconstructie, sociale implosie, etnische vervangingsstrategieën - maken haar herkenbaar als een letterlijk vijandelijke elite. Zij kent geen sympathieën – niet voor haar autochtone vijanden, niet voor haar allochtonen dienaren en niet voor haar aardse thuis.  The globalists are at war with humanity as a whole. They seek to eliminate or enslave at will. They care about themselves and themselves alone. They are committed to concentrating all wealth in their hideous hands. In their evil eyes, our only purpose is to serve them and enrich them. Hence, there is no room for racism, prejudice, and discrimination in this struggle. It is not a race war but a war for the human race, all included, a socio-political and economic war of planetary proportions (Jean-François Paradis).[12]

De globalistische en dus anti-Europese geopolitieke strategie van de vijandelijke elite (gericht op industriële delokalisatie, sociale atomisering en culturele ontworteling, verg. Steuckers 223ff.) mag als zodanig - als sociaaleconomische en psychosociale oorlogsvoering - worden erkend door een handjevol patriottisch-identitaire denkers, maar zij wordt door de Westerse volksmassa alleen begrepen in haar uitwerkingen: economische marginalisatie (arbeidsmarktverdringing, kunstmatige werkeloosheid, interetnische tribuutplicht), sociale malaise (matriarchale anti-rechtstaat, gezinsontwrichting, digitale pornificatie) en culturele decadentie (onderwijs ‘idiocratie’, academische ‘commercialisering, ‘politiekcorrecte’ mediaconsensus). Deze economische, sociale en culturele ‘deconstructie’ programma’s worden door de vijandelijke elite kracht bijgezet en onomkeerbaar gemaakt door een zorgvuldig gedoseerd, maar inmiddels kritieke proporties aannemend proces van massa-immigratie. Het proces van etnische vervanging heeft tot doel de Westerse volkeren als etnisch, historisch en cultureel herkenbare eenheden te elimineren door ze als geatomiseerde déracinés ‘op te lossen’ in la boue,[13] de ‘modder’ van identiteitsloze, karakterloze en willoze massamens. Dit proces van etno-culturele, sociaal-economische en psycho-sociale totaal-nivellering beoogt - prioritair richting Europa - de ultieme Endlösung van het kernprobleem van de Nieuwe Wereld Orde, dat wil zeggen van het automatisch anti-globalistisch voortbestaan van authentieke identiteiten op collectief niveau. Concreet wordt deze Endlösung gerealiseerd in totalitair geïmplementeerde etnocidale ‘multiculturaliteit’ en anti-identitaire ‘mobocratie’.

De motivaties en doelstellingen van de vijandelijke elite onttrekken zich feitelijk aan het voorstellingsvermogen van de Westerse volksmassa - ze gaan in zekere opzichten het gewone menselijk verstand ‘te boven’. Hun ‘niet-aardse’ en ‘diabolische’ kwaliteit wordt echter in toenemende mate waarneembaar in hun concrete uitwerkingen.[14] Elders werd de ideologie van de vijandelijke elite gedefinieerd als ‘Cultuur Nihilisme’: een geïmproviseerde ideeëncocktail die zich kenmerkt door militant secularisme, sociaal-darwinistisch hyper-individualisme, collectief geïnternaliseerd narcisme en doctrinair cultuur- relativisme die uitmondt in de vernietiging van alle authentieke Westerse beschavingsvormen.[15] Het feit dat de volksmassa niet in staat het Cultuur Nihilisme als ideologie en programma te begrijpen heeft veel te maken met de opzettelijke ‘ongrijpbaarheid’ ervan: de expliciete motivaties en doelstellingen van de vijandelijke elite zijn intentioneel on-logisch en anti-rationeel. Het enige wat voor de vijandelijke elite telt is haar macht - haar zogenaamde ‘ideeën’ zijn slechts manoeuvres om de macht te krijgen, te behouden en te vergroten: ze dienen te worden begrepen in het kader van cognitieve oorlogsvoering.

Een goed voorbeeld van deze cognitieve oorlogsvoering is het huidige ‘klimaatdebat’: de door de vijandelijke elite uitgestippelde ‘partijkartel lijn’ beroept zich op Gutmensch eco-bewustzijn, maar het op basis van deze lijn via nieuwe ‘klimaatbelastingen’ aan de volksmassa opgelegde ‘straftarief’ wordt exclusief aangewend voor het ‘investeren’ in het commerciële ‘klimaat bedrijf’ – en het subsidiëren van politiek-correcte ‘klimaat clubs’. Het onvermijdbare verzet van de volksmassa wordt vervolgens cognitief ‘weggesluisd’ naar een subrationeel ‘klimaatontkenning’ discours dat wordt toegeschreven aan – en zelfs opportunistisch wordt opgeëist door – de ‘populisten’, activistisch (Frankrijk’s ‘gele hesjes’) dan wel parlementair (Baudet’s ‘0,00007 graden’). De daarbij succesvol bewerkstelligde opgelegde cognitieve dissonantie inzake ‘klimaat’ gaat zover dat men in de volksmassa het verdwijnen van winterijs en het toeslaan van februarilentes instinctief wegredeneert. De balanceerakte van de vijandelijke elite is feilloos: de ‘populistische oppositie’ is blij met een paar extra zeteltjes maar verspeelt haar échte moreel aanzien, de volksmassa is blij nog een paar jaartjes ‘dansen op de vulkaan’ met vakantievliegen en autorijden en de vijandelijke elite is blij dat haar ‘economische groei’ ongestoord oploopt – en met de extra ‘klimaatbelastingen’ die kunnen worden aangewend voor ‘commerciële aanbestedingen’ en, natuurlijk, ‘klimaat vluchtelingen’. Ondertussen loopt de ecocidale klok van antropogene aardopwarming en meteorologische catastrofes gewoon door - naar de final countdown.

wwow.jpgDe Westerse volksmassa erkent per saldo wel instinctief de globalistische grootheidswaanzin van de vijandelijke elite - deze instinctieve erkenning wordt door de elitaire intelligentsia veelal neerbuigend afgedaan als ‘onderbuikgevoel’ en de politieke vertaling ervan wordt al even neerbuigend betiteld als ‘populisme’. Deze ultiem demofobe arrogantie mag lang werken, maar er zal uiteindelijk wel een hoge prijs op staan: de Westerse volkeren ervaren het globalistische regime van de vijandelijke elite nu al in toenemende mate als een regelrechte ‘bezettingsmacht’. Men begint de alles verstikkende macht van de vijandelijke elite te zien voor wat zij is: een wezensvreemd ‘rood onkruid’ dat de Westerse beschaving en het Westerse thuisland versmoort.

I had not realised what had been happening to the world, had not anticipated this startling vision of unfamiliar things. I had expected to see... ruins - I found about me the landscape, weird and lurid, of another planet. For that moment I touched an emotion beyond the common range of men, yet one that the poor brutes we dominate know only too well. I felt as a rabbit might feel returning to his burrow and suddenly confronted by the work of a dozen busy navvies digging the foundations of a house. I felt the first inkling of a thing that presently grew quite clear in my mind, that oppressed me for many days, a sense of dethronement, a persuasion that I was no longer a master, but an animal among the animals, under [alien rule]. With us it would be as with them, to lurk and watch, to run and hide; the fear and empire of man had passed away. - Herbert George Wells, The War of the Worlds

2.

De Europese kata-morfose

(politiek-filosofische diagnose)

Impia tortorum long[o]s hic turba furores sanguinis innocui, non satiata, aluit.

Sospite nunc patria, fracto nunc funeris antro, mors ubi dira fuit,

vita salusque patent.

[Hier voedde een goddeloze en onverzadigbare meute beulsknechten

hun lange waanwoedes met het bloed der onschuldigen.

Pas nu het vaderland veilig is, nu deze moordkelder opengebroken is,

zijn leven en gezondheid weer mogelijk.][16]

Na een halve eeuw systematische sloop van staatsstructuren en volksidentiteiten is het Europese politieke, economische, sociale en culturele landschap nagenoeg onherkenbaar veranderd. Decennialange neoliberale woeker en cultuurmarxistische wildgroei hebben als Europa als een ‘rood onkruid’ in hun greep en vroeger onvoorstelbare ‘maatschappelijke vormen’ zijn ontstaan. Hypermobiel ‘flitskapitaal’ levert kortstondige economische bubbels op waarin zich architecturale, artistieke en modieuze monstruositeiten nestelen, met name in central business districts, leisure time resorts en academic campus environments. Etnische ‘diversiteit’ resulteert in sociaaleconomische netwerken die als ‘invasieve exoten’ de Westerse publieke sfeer overwoekeren: diaspora economieën, drugsmaffia’s, polycriminele subculturen. Deze netwerken worden aangevuld door on-Westerse ‘levensovertuigelijke’ instituties: de door Midden-Oosters oliekapitaal aangestuurde awqāf,[17] de uit belastingtribuut bekostigde ‘asielindustrie’ en de door globalistisch kapitaal aangestuurde systeemmedia. Wat deze door de vijandelijke elite effectief gedoogde en gefaciliteerde netwerken en instituties met elkaar verbindt is hun gemeenschappelijke functionaliteit: hun rol als vervangingsmechanismen ter bewerkstelligen van de Nieuwe Wereld Orde. Hierbij valt een cruciale voortrekkersrol toe aan die schwebende Intelligenz: de cultuur-marxistische intelligentsia die zich opwerpt als globalistische avant-garde. Deze intelligentsia is belast met de bovenruimtelijke en im-materiële deconstructie die voorafgaat aan de ruimtelijke en materiële deconstructie van de Westerse beschaving. Deze ‘spirituele’ en ‘intellectuele’ voorsprekers van het globalistische bezettingsregime ...se nichent dans [l]es trois milieux-clefs - média, économie, enseignement - et participent à la élimination graduelle mais certaines des assises idéologiques, des fondements spirituels et éthiques de notre civilisation. Les uns oblitèrent les résidus désormais épars de ces fondements en diffusant une culture de variétés sans profondeur aucune, les autres en décentrant l’économie et en l’éclatant littéralement par les pratiques de la spéculation et de la délocalisation, les troisièmes, en refusant l’idéal pédagogique de la transmission, laquelle est désormais interprétée comme une pratique anachronique et autoritaire, ce qu’elle n’est certainement pas au sens péjoratif que ces termes ont acquis dans le sillage de Mai 68. [...hebben zich genesteld in [de] drie sleutelposities [van de globalistische macht] - de media, de economie [en] het onderwijs - en zij werken van daar uit aan de langzame maar zekere eliminatie van de ideologische, spirituele en ethische fundamenten van onze beschaving. Sommigen van hen werken aan het wegwissen van de toch al uiteengevallen fundament restanten door een oppervlakkige ‘culturele diversiteit’ te verspreiden. Anderen [werken aan] de ‘decentralisatie’ van de economie door haar letterlijk op te blazen door middel van speculatie en dislokalisatie. Weer anderen [werken aan] de sabotage van het pedagogische ideaal van [culturele] transmissie door [dat ideaal] af te doen als een ‘verouderde’ en ‘autoritaire’ praktijk door [gebruik te maken van] de negatieve betekenis waarmee deze termen zijn belast in de nasleep van mei ’68.] (p. 262-3)

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De globalistische intelligentsia coördineert middels geraffineerde alien audience propaganda strategieën de cognitieve oorlogsvoering van de vijandelijke elite tegen de Westerse volkeren: zij bewerkstelligt de liberaal-normativistische habitus van exclusief ‘economisch denken’ dat de fysieke deconstructie van Westerse beschavingsvormen rechtvaardigt. ...[U]ne économie ne peut pas, sans danger, refuser par principe de tenir compte des autres domaines de l’activité humaine. L’héritage culturel, l’organisation de la médecine et de l’enseignement doivent toujours recevoir une priorité par rapport aux facteurs purement économiques, parce qu’ils procurent ordre et stabilité au sein d’une société donnée ou d’une aire civilisationnelle, garantissant du même coup l’avenir des peuples qui vivent dans cet espace de civilisation. Sans une telle stabilité, les peuples périssent littéralement d’un excès de libéralisme, ou d’économicisme ou de ‘commercialité’... [Een economi[sch model] kan niet ongestraft weigeren rekening te houden met de andere domeinen van menselijke activiteit. De culturele nalatenschap, het medische zorgsysteem en de onderwijstechnische organisatie moeten altijd prioriteit krijgen boven puur economische factoren want zij verschaffen orde en stabiliteit aan een gegeven gemeenschap of beschavingssfeer: zij garanderen namelijk de toekomst van de volkeren die leven binnen die beschavingssfeer. Zonder die stabiliteit sterven d[ie] volkeren letterlijk aan een overdosis van ‘liberalisme’, ‘economisme’ en ‘commercialisme’...] (p. 216-7)

In de Europese context wordt de dubbel neoliberale en cultuurmarxistische deconstructie van de Westerse beschaving en volkeren geïmplementeerd door het in Brussel gebaseerde ‘EU project’. Dit project wordt gekenmerkt door een radicale omkering van alle traditionele noties van pan-Europese samenwerking: in metahistorische zin staat het postmoderne ‘EU project’ in structurele tegenstelling tot de klassieke Europese rijksgedachte. L’Europe actuelle, qui a pris la forme de l’eurocratie bruxelloise, n’est évidemment pas un empire, mais, au contraire, un super-état en devenir. La notion d’‘état’ n’a rien  à voir avec la notion d’‘empire’, car un ‘état’ est ‘statique’ et ne se meut pas, tandis que, par définition, un empire englobe en son sein toutes les formes organiques de l’aire civilisationnelle qu’il organise, les transforme et les adapte sur les plans spirituel et politique, ce qui implique qu’il est en permanence en effervescence et en mouvement. L’eurocratie bruxelloise conduira, si elle persiste dans ses errements, à une rigidification totale. L’actuelle eurocratie bruxelloise n’a pas de mémoire, refuse d’en avoir une, a perdu toute assise historique, se pose comme sans racines. L’idéologie de cette construction de type ‘machine’ relève du pur bricolage idéologique, d’un bricolage qui refuse de tirer des leçons des expériences du passé. Cela implique une négation de la dimension historique des systèmes économiques réellement existants, qui ont effectivement émergé et se sont développés sur le sol européen. [Het huidige ‘Europa’, zoals het vorm wordt gegeven door de Brusselse ‘eurocratie’, is duidelijk geen rijk - het is het omgekeerde: een superstaat-in-wording. De notie van een ‘staat’ staat volledig los van de notie van een ‘rijk’, want een ‘staat’ is [letterlijk] ‘statisch’ en [in zijn essentie] onbewegelijk, terwijl een rijk nu juist alle binnen de erdoor beheerste beschavingssfeer organische vormen incorporeert, omvormt en aanpast aan zijn spirituele en politieke grondslagen: [een rijk] is daardoor nu juist permanent in een staat van gisting en beweging. Als de Brusselse eurocratie voortgaat op de door haar ingeslagen [tegengestelde en] doodlopende weg, dan zal zij uitlopen op een totale ‘verstening’. De Brusselse eurocratie van vandaag ontbeert - en weigert - [elk soort historisch] geheugen, heeft elk [soort] historisch fundament verloren en zet zich af tegen [elk soort historische] worteling. [Haar radicaal] constructivistische en mechanische zelfbegrip berust op een ideologische improvisatie die weigert om uit de lessen en ervaringen van de [Europese] geschiedenis te leren. Dit behelst een ontkenning van de historische dimensie van de [specifieke en volkseigen - althans tot voor kort -] echt bestaande economische systemen die [organisch] zijn voortgekomen en zich hebben ontwikkeld uit de Europese bodem.] (p. 215-6)

In politiek-filosofisch perspectief vertegenwoordigt het essentieel anti-Europese ‘EU project’ niets meer en minder dan een globalistische Machtergreifung. Neo-Jacobijnse radicalen hebben de macht overgenomen en historische precedenten met betrekking tot Jacobijnse machtsexperimenten[18] - met name de Franse en Russische revolutionaire terreur - geven aanleiding tot zorg. Kennis van de Europese historische context van het ‘EU project’ is echter onvoldoende voor een echt begrip van de ogenschijnlijk tegenstrijdige - want zelfdestructieve - anti-Europese doelstellingen van dat project. Zulk begrip vergt inzicht in de grotere doelstellingen van het globalisme - dat inzicht wordt nu in hapklare brokken aangeleverd in Steuckers’ Europa.

3.

Het globalistische anti-Europa

(geo-politieke diagnose)

Soms is de misdaad die men wil begaan zo groot,

dat het niet volstaat haar te begaan namens een volk:

dan moet men haar begaan namens de mensheid.

- Nicolás Gómez Dávila

Steuckers’ panoramische overzicht van de hedendaagse mondiale geopolitiek herleidt de oorsprong van het anti-Europese ‘EU project’ tot het einde van de Tweede Wereld Oorlog. Dit conflict bracht een einde aan de grootmacht status en imperiale hegemonie van de Europese natie-staten: de militaire nederlagen van Frankrijk in 1940, Italië in 1943 en Duitsland in 1945 werden gevolgd door de liquidatie van alle Europese koloniale rijken (Brits Indië in 1947, Nederlands Indië in 1949, Belgisch Congo in 1960, Frans Algerije in 1962 en Portugees Afrika in 1975). De wereldheerschappij werd in kort tijdbestek overgenomen door twee supermachten die beide op een universalistische ideologie en een mondiale geopolitiek inzetten: de Verenigde Staten als voorvechter van het Liberalisme en de Sovjet Unie als voorvechter van het Socialisme. Het fysieke (geografische, demografische, industriële) restbestand ‘Europa’ werd met militaire verdragen (NAVO, Warschau Pact) en economische samenwerkingsverbanden (EEG, Comecon) vervolgens tussen de overwinnaars verdeeld. Het is belangrijk de brute realiteiten van militaire nederlaag, koloniale liquidatie en politieke ontvoogding voor ogen te houden. La Seconde Guerre mondiale avait pour objectif principal, selon Roosevelt et Churchill, d’empêcher l’unification européenne sous la férule des puissances de l'Axe, afin d’éviter l’émergence d’une économie ‘impénétrée’ et ‘impénétrable’, capable de s’affirmer sur la scène mondiale. La Seconde Guerre mondiale n’avait donc pas pour but de ‘libérer’ l’Europe mais de précipiter définitivement l’économie de notre continent dans un état de dépendance et de l’y maintenir. Je n’énonce donc pas un jugement ‘moral’ sur les responsabilités de la guerre, mais je juge son déclenchement au départ de critères matériels et économiques objectifs. Nos médias omettent de citer encore quelques buts de guerre, pourtant clairement affirmés à l’époque, ce qui ne doit surtout pas nous induire à penser qu’ils étaient insignifiants. [Volgens Roosevelt en Churchill was het hoofddoel van de Tweede Wereld Oorlog te verhinderen dat Europa zich verenigde onder leiding van de As mogendheden, om zo te voorkomen dat er een [Europese] economie zou ontstaan die zich op het wereldtoneel als ‘ondoordringbaar’ en ‘onverslaanbaar’ zou kunnen handhaven. [Hun] Tweede Wereld Oorlog had dus niet ten doel om Europa te ‘bevrijden’, maar om de economie van ons continent te doel vervallen tot een staat van afhankelijkheid - en daarin te houden. Daarmee doe ik dus geen uitspraak over de ‘morele’ verantwoordelijkheid voor die oorlog - ik beoordeel [slechts] zijn uitbreken vanuit objectieve materiële en economische doelen. Het feit dat onze media [ook] de vermelding van een aantal andere oorlogsdoelen vermijden die toentertijd duidelijk werden verkondigd moet ons er niet toe brengen te denken dat die [doelen] onbelangrijk waren.] (p.220)

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Na veertig jaar Koude Oorlog beginnen zich midden jaren ’80 de eerste tekenen stressfracturen af te tekenen in de globaal opererende machtsmachines van de twee supermachten. De rampen met de Challenger en Chernobyl (28 januari en 26 april 1986) laten duidelijk zien dat de symptomen van imperial overstretch niet langer te verbergen zijn. Escalerende economische chaos en toenemend politieke gezagsverlies dwingen beide supermachten tot ingrijpende binnenlandse maatregelen: Reaganomics en Perestrojka markeren de geopolitieke vloedlijn van de supermachten. Na de implosie van de Sovjet Unie is de Verenigde Staten de officiële winnaar van de Koude Oorlog maar de Pyrrus-kwaliteit van de formele overwinning blijkt uit het feit dat Amerika onvoorwaardelijk berust in de sensationele opkomst van de Chinese economische supermacht en zich effectief terugtrekt uit de eerder felomstreden Derde Wereld. Na de Amerikaanse nederlaag in Somalië (Black Hawk Down, 1993) vervalt Afrika in failed states en neo-tribale chaos. Na de Amerikaanse evacuatie uit Panama (Canal Zone Handover, 1999) wordt Latijns Amerika overgelaten aan Bolivarianismo en Marea Rosa.[19] De imperiale rat race tussen de soevereine natiestaten die begon met de Zevenjarige ‘Wereld Oorlog Nul’ (1756-63) mag dan zijn geëindigd met Amerika als last man standing, maar het opleggen van een authentiek-imperiale Pax Americana ligt ver buiten het bereik van Amerika’s geopolitieke intenties, ambities en capaciteiten. De met Wilsoniaanse retoriek ingeklede interventies van Bush Senior en Bush Junior in Irak in 1991 en 2003 waren geen exercities in principiële global governance, maar in pragmatische resource control. Na de zelfopheffing van de Sovjet Unie als supermacht concurrent en de afkondiging van de ‘nieuwe wereld orde’ (Bush Senior, 1991) besloot de Amerikaanse heersende klasse dat het ‘einde van de geschiedenis’ (Francis Fukuyama, 1992) gekomen is: zij schakelde over van Amerikanisme naar globalisme. Er ontstond zo een ‘wereld elite’, toegankelijk voor iedereen met heel veel geld en heel weinig moraliteit. Deze elite acht zich ontheven aan alle geopolitieke regels en wetmatigheden: staatsrechterlijke soevereiniteit, culturele eigenheid en etnische identiteit zijn in die optiek definitief achterhaalde fenomenen, obstakels op de door haar ingeslagen snelweg naar een Brave New World. Als geheel definieert zich deze nieuwe ‘globalistische’ elite los van alle etnische religieuze en culturele wortels: vanuit deze zelfgewilde ontworteling keert zij zich meteen tegen de rest van de nog wel gewortelde mensheid - tegen staten die nog soevereiniteit hebben, tegen culturen die nog essentie hebben en tegen volken die nog identiteit hebben. De globalistische vijandelijke elite is geboren.

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Onder de dubbele banieren van neoliberalisme en cultuurmarxisme beschouwt de vijandelijke elite beschouwt het ‘achtergebleven’ menselijke ‘residu’ als weinig meer dan een oneindig ‘maakbare’ massa ‘mensenmateriaal’ dat kan worden gebruikt voor het aanvullen van banksaldi, het invullen van seksuele perversiteiten en het opvullen van existentiële leemtes. [La superclasse... domine à l’ère idéologique du néoliberalisme. Il n’est pas aisé de la définir : elle comporte évidemment les managers des grandes entreprises mondiales, les directeurs des grandes banques, de cheiks du pétrole ou des décideurs politiques voire quelques vedettes du cinéma ou de la littérature ou encore, en coulisses, des leaders religieux et des narcotrafiquants, qui alimentent le secteur bancaire en argent sale. Cette superclasse n’est pas stable : on y appartient pendant quelques années ou pendant une ou deux décennies puis on en sort, avec, un bon ‘parachute doré’. ...[N]umériquement insignifiante mais bien plus puissante que les anciennes aristocraties ou partitocraties, elle est totalement coupée des masses, dont elle détermine le destin. En dépit de tous les discours démocratiques, qui annoncent à cor et à cri l’avènement d’une liberté et d’une équité inégalées, le poids politique/économique des masses, ou des peuples, n’a jamais été aussi réduit. Son projet ‘globalitaire’ ne peut donc pas recevoir le label de ‘démocratique’. [De ‘superklasse’... domineert het tijdperk van de neoliberale ideologie. Het is niet gemakkelijk haar te definiëren: zij bestaat het duidelijkst uit de managers van de gro[ots]te multinationals, de directeuren van de gro[ots]te banken, de oliesjeiken [en bepaalde] politieke leiders, maar ook uit enkele filmsterren, intellectuelen en ‘spirituele leiders’ - en daarnaast uit een schimmiger personeelsbestand van [maffiabazen en] drugsbaronnen die de bankensector voeden met zwart geld. Deze ‘superklasse’ is verre van stabiel: men kan er enkele jaren of decennia toe behoren voordat men er weer uit valt - meestal met een ‘gouden parachute’. ...[N]umeriek is zij zeer klein, maar zij is machtiger dan alle voorafgaande aristocratieën en partitocratieën uit de menselijke geschiedenis. Zij is volledig afgesneden van de [volks]massa’s, waarvan zij het lot bepaalt. Ondanks het [publieke] discours dat continu spreekt over het aanbreken van weergaloze vrijheid en gelijkheid is het politieke [en] economische gewicht van de [volks]massa’s nog nooit [eerder in de geschiedenis] zo klein geweest. Het globalistische project [dat wordt nagestreefd door de ‘superklasse’] kan daarom in geen enkel opzicht ‘democratisch’ worden genoemd.] (p. 291)

De globalistische vijandelijke elite instrumentaliseert de militaire macht en politieke invloed van Amerika: zij wendt Amerikaanse macht en invloed aan voor globalistische doelen en wensen. Zij misbruikt het Amerikaans prestige, het Amerikaans vermogen en het Amerikaanse volk - dit is de diepste reden voor de anti-globalistische en nationalistische reactie die Donald Trump in het Witte Huis brachten. De vijandelijke elite opereert echter boven en achter Amerikaanse instituten als het presidentschap: in Amerika onttrekt de echte macht zich grotendeels aan institutionele controle en democratische correctie. De Washington swamp, de lying press en de deep state bepalen het beleid - het is voor de strijd tegen deze monsters dat het Amerikaanse volk Donald Trump tot president koos. De monsterlijke macht van de vijandelijke elite is echter zo groot dat ook twee jaar na Trump’s verkiezingsoverwinning de publieke sfeer nog steeds wordt gedomineerd door zijn vijanden. De onfatsoenlijke woede en openlijke sabotage waarmee de vijandelijke elite reageert op Trump is begrijpelijk: de globalistische vijandelijke elite valt en staat met haar grip op haar Amerikaanse instrumentarium. Alleen met controle over de Amerikaanse geldschepping, de Amerikaanse krijgsmacht en de Amerikaanse diplomatie is zij in staat de internationale geopolitieke chaos te handhaven waarin haar financiële belangen en ideologische waandenkbeelden gedijen.

Controle over Amerika is voor de globalistische vijandelijke elite vooral van belang voor het blijvend onderdrukken van haar potentieel machtigste vijand: Europa. Europa is een potentieel dodelijk gevaar voor het nihilistische en ontwortelde globalisme omdat het een ongeëvenaarde technologisch-industriële en sociaal-economische capaciteit combineert met authentieke cultuurhistorische en etnische worteling. Met het wegvallen van de Sovjet Unie eindigde de tweehoofdige ‘bewindvoering’ die aan het einde van de Tweede Wereld Oorlog werd opgelegd aan Europa. De geopolitieke opgave om Europa ‘klein te houden’ valt vervolgens toe aan Amerika alleen: de permanente verdragsmatige verzwakking van het verenigde Duitsland (vooral via monetaire convergentie met Frankrijk) en de Amerikaanse militaire expansie naar het oosten (vooral via uitbreiding van de NAVO) zijn basale ingrediënten van deze globalistische strategie. Toch blijkt deze strategie niet waterdicht: militaire aanwezigheid in Europa vergt een aanzienlijke en constante inspanning van een economisch en politiek mondiaal overbelast Amerika en zelfs de via de Europese eenheidsmunt (2002) afgedwongen tribuutplicht blijkt onvoldoende in staat de Duitse sociaaleconomische motor af te remmen. De EU expansie naar het voormalige Oostblok (2004) laat bovendien het gevaar herleven van een door Duitsland geleid semi-autarkisch geopolitiek blok - het tegenwerken van een dergelijk Mitteleuropa project was de hoofdreden van de Balkan ‘dwarsboom’ politiek waarmee de Triple Entente in 1914 de Eerste Wereld Oorlog provoceerde. Dit grotere geopolitieke perspectief geeft een heel andere duiding aan de in Amerika bedachte ‘Financiële Crisis’ van 2008, die leidde tot de economisch desastreuze en politiek destabiliserende ‘Europese Schuldencrisis’ van 2009, en aan de door Amerika geïnstigeerde ‘Arabische Lente’ van 2011, die leidde tot de Europese ‘Migratie Crisis’ van 2015.

NMst.jpgDeze duiding wordt het best verwoordt door Steuckers zelf: La globalisation, c’est... le maintien de l’Europe, et de l’Europe seule, en état de faiblesse structurelle permanente. Et cette faiblesse structurelle est due, à la base, à un déficit éthique entretenu, à un déficit politique et culturel. Il n’y a pas d’éthique collective, de politique viable ou de culture féconde sans ce que Machiavel et les anciens Romains, auxquels le Florentin se référait, appelaient des ‘vertus politiques’, le terme ‘vertu’ n’ayant pas le sens stupidement moraliste qu’il a acquis, mais celui, latin, de ‘force agissante’, de ‘force intérieure agissante’... [De globalisatie betekent dit: ...het gijzelen van Europa - en alleen van Europa - in een staat van permanente [en] structurele zwakte. En die zwakte is in essentie te wijten aan een doorlopend ‘ethisch tekort’ [dat zich vertaalt in] een politiek en cultureel tekortschieten. Een collectieve ethiek, een levensvatbare politiek [en] een vruchtbare cultuur zijn onmogelijk zonder wat Machiavelli, en de oude Romeinen waarop de Florentijn zi[jn denken] baseerde, de ‘politieke deugden’ noemden - waarbij de term ‘deugd’ niet de kortzichtige moralistische lading heeft die hij nu heeft, maar de [oorspronkelijk] Latijnse [betekenis] van ‘acterende kracht’ [en] ‘innerlijk sturende kracht’.] (p. 279-80) Terecht wijst Steuckers op de door globalistische cognitieve oorlogsvoering bewerkstelligde ‘ethisch tekort’ van Europa: het is dit tekort aan politieke deugd, doelbewustheid en daadkracht dat Europa verlamt. Dit tekort maakt psycho-historische catharsis, geopolitieke assertiviteit en decisionistische zelfverdediging onmogelijk: het maakt Europa machteloos tegen de acute existentiële bedreigingen van opzettelijk gestuurde sociale implosie, massa-immigratie en jihadistische terreur. Dit globalistisch ‘anti-European’ Europa verwezenlijkt zich door de verinnerlijking van het cognitieve-dissonante globalistische mainstream media discours van zelfdestructief geïnterpreteerde ‘mensenrechten’, ‘multiculturaliteit’ en ‘diversiteit’. L’arme principale qui est dirigée contre l’Europe est donc un ‘écran moralisateur’, à sens unique, légal et moral, composé d’images positives, de valeurs dites occidentales et d’innocences prétendues menacées, pour justifier des campagnes de violence politique illimitée. [Het voornaamste wapen dat gericht is tegen Europa is een uniek ‘moralistisch [televisie- en beeld]scherm’ dat [specifieke] juridische en morele ‘waarden’ [afdwingt via] het positieve ‘frame’ van zogenaamde ‘westerse waarden’ en gepretendeerde ‘bedreigde onschuld’ voor het goedpraten van een [systematische] campagne van eindeloze politieke terreur.] (p.281)

In Europa wordt dit globalistische discours exemplarisch geïnternaliseerd en prioritair vertegenwoordigd door de soixante-huitard generatie die zich na haar ‘lange mars door de instituties’ het monopolie op de politieke macht heeft toegeëigend. Pendant les années de leur traversée du désert, ...les [utopistes]de [la] génération soixante-huitard] feront... un ‘compromis historique’ qui repose, ...premièrement, sur un abandon du corpus gauchiste, libertaire et émancipateur, au profit des thèses néolibérales, deuxièmement, sur une instrumentalisation de l’idée freudo-sartienne de la ‘culpabilité’ des peuples européens, responsables de toutes les horreurs commises dans l’histoire, et troisièmement, sur un pari pour toutes les démarches ‘mondialisatrices’, même émanant d’instances capitalistes non légitimées démocratiquement ou d’institution comme la Commission Européenne, championne de la ‘néolibéralisation’ de l’Europe, dont le pouvoir n’est jamais sanctionné par une élection. [Gedurende hun jaren in de woestijn... maakten de [utopisten] van de [‘achtenzestig’] generatie... een ‘historisch compromis’ dat berust... op [drie complementaire strategieën:] (1) een verraad van hun linkse [kern]gedachtegoed [van] bevrijding en emancipatie ten gunste van het neoliberalisme, (2) een [politieke] toepassing van het Freudiaans-Sartriaanse idee van de ‘schuld’ van de Europese volkeren, [die zo] verantwoordelijk [worden gehouden] voor alle misdaden van de geschiedenis en (3) een inzet op ‘globaliserende’ processen - zelfs [als die processen] worden gedreven door [on]democratische [en] illegitieme kapitalistische machten of door institutie[s] als de Europese Commissie, die [zich heeft opgeworpen] als kampioen van de ‘neoliberalisatie’ van Europe en waarvan de macht nog nooit door een verkiezing is goedgekeurd.[20]] (p.293) Dit ideologische verraad en globalistische deze collaboratie, de standaard modaliteiten van de Europese vijandelijke elite, hebben de Europese beschaving aan de rand van de afgrond gebracht.

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Steuckers wijst op de functionaliteit van het verraad van de Europese soixante-huitards ten aanzien van de globalistische geopolitiek: dit verraad levert Europa over aan het de facto monsterverbond tussen twee essentieel anti-Europese globalistische krachten: het liberaal-normativisme, gesymboliseerd in het Amerikaanse ‘Puritanisme’, en het islamisme, gesymboliseerd in het Saoedische ‘Wahhabisme’. Aujourd’hui, nous faisons face à l’alliance calamiteuse de deux fanatismes religieux : le wahhabisme, visibilisé par les médias, chargé de tous les péchés, et le puritanisme américain, camouflé derrière une façade ‘rationnelle’ et ‘économiste’ et campé comme matrice de la ‘démocratie’ et de toute ‘bonne gouvernance’. Que nous ayons affaire à un fanatisme salafiste ou hanbaliste qui rejette toutes les synthèses fécondes, génératrice et façonneuses d’empires, qu’elles soient byzantino-islamiques ou irano-islamisées ou qu’elles se présentent sous les formes multiples de pouvoir militaire équilibrant dans les pays musulmans, ou que nous ayons affaire à un fanatisme puritain rationalisé qui entend semer le désordre dans tous ces états de la planète, que ces états soient ennemis ou alliés, parce que ces états soumis à subversion ne procèdent pas de la même matrice mentale, nous constatons que toutes nos propres traditions européennes... sont considérées par ces fanatismes contemporains d’au-delà de l’Atlantique ou d’au-delà de la Méditerranée comme émanations du Mal, comme des filons culturels à éradiquer pour retrouver une très hypothétique pureté, incarnée jadis par les pèlerins du ‘Mayflower’ ou par les naturels de l’Arabie du VIIIe siècle. [In het huidige tijdsbestek hebben we te maken met een rampspoedig [globalistisch, anti-Europees] bondgenootschap tussen twee religieuze fanatismes: het Wahhabisme,[21] zoals gevisualiseerd en als ‘zondig’ bestempeld door de [mainstream] media, en het Amerikaanse puritanisme, gecamoufleerd achter een ‘rationele’ en ‘economische’ façade en voorgesteld als vast referentie ‘frame’ voor ‘democratie’ en ‘behoorlijk bestuur’. Of we nu te maken hebben met vormen van ‘Salafistisch’ of ‘Hanbalitisch’ fanatisme[22] dat een punt zet achter de vruchtbare, creatieve en imperium-scheppende byzantijns-islamitische of iraans-islamitische syntheses, of met vormen van puriteins-gerationaliseerd en militair-hegemoniaal fanatisme dat over de hele wereld chaos schept (bij bevriende zowel als vijandelijke staten, want alle aan die hegemonie onderworpen staten vertegenwoordigen andersoortige mentale werelden): wij moeten constateren dat onze eigen Europese tradities... onverenigbaar zijn die fanatismes van de overzijde van de Atlantische Oceaan en Middellandse Zee. Die hedendaagse fanatismes beschouwen [onze tradities] als incarnaties van het [pure] Kwaad [en] als cultuuruitingen die moeten worden bestreden met het - overigens zeer hypothetische - puurheid die wordt belichaamt in de Pilgrim Fathers van de ‘Mayflower’[23] en de bons sauvages[24] van de 8e eeuwse Arabische binnenlanden]. (p. 261-2)

De totalitair-regressieve fanatismes van het ‘Puristisch’ liberaal-normativisme en het ‘Wahhabistisch’ islamisme zullen emotioneel, intellectueel en spiritueel moeten worden overwonnen als de Europese beschaving en de Europese volkeren de Crisis van het Moderne Westen willen overleven. De therapie die op dit kritieke punt vanuit Traditionalistisch oogpunt momenteel de grootste kans van slagen biedt is een politiek-filosofische ‘noodgreep’: de nooduitgang van het Archeo-Futuristisme. 

4.

Het Archeo-Futuristisch alternatief

(politiek-filosofische therapie)

Lo, all our pomp of yesterday
Is one with Nineveh and Tyre!
Judge of the Nations, spare us yet.
Lest we forget - lest we forget!

- Rudyard Kipling

Het Archeo-Futuristische alternatief voor het globalistische anti-Europese ‘EU project’ is een gelijktijdig teruggrijpen en vooruitprojecten van een Traditionalistisch concept dat lang een vitale rol heeft gespeeld in de Europese geschiedenis en dat weer kan doen: de Europese Rijksgedachte. Het gaat hierbij om een concept dat strikt genomen boven-historisch is daarom te allen tijde kan herleven. Het ideologisch misbruik en de historiografische misinterpretatie van de Europese Rijksgedachte door het 19e en 20e eeuwse (hyper-)nationalisme - meest recent in het ‘Derde Rijk’ - doet niets af aan de boven-historische vitaliteit ervan. Steuckers wijst in dat verband op het essentieel belang van een juist begrip van het Traditionalistische gedachtegoed waarvan de Rijksgedachte deel uitmaakt. Het Traditionalisme stelt namelijk dat alle collectieve (taalkundige, religieuze, etnische, nationale) identiteiten, en de horizontaal (werelds, fysiek) ervaren verschillen daartussen, organisch onderdeel (kunnen, moeten, zullen) zijn van grotere, synergetisch unieke entiteiten met een hogere verticale, transcendent (spiritueel, psychologisch) ervaren, functionaliteit. Deze entiteit kan worden betiteld als Imperium, ofwel ‘Rijk’ - in het Avondland als het ‘Europese Rijk’. Het numineuze karakter ervan is onmiddellijk aantoonbaar in het feit dat het ontzag inspireert in degenen die er zich op natuurlijke wijze deel van voelen - en dat het angst inspireert in degenen die het onwaardig zijn.

Pour résumer brièvement la position traditional[iste],... disons que les horizontalités modernes ne permettent pas le respect de l’Autre, de l’être-autre. Si l’Autre est jugé dérangeant, inopportun dans son altérité, il peut être purement et simplement éliminé ou mis au pas, sans le moindre respect de son altérité, car l’horizontalité fait de tous des ‘riens ontologiques’, privés de valeur intrinsèque. Tel est l’aboutissement de la logique égalitaire, propre des idéologies et des systèmes qui ont voulu usurper et éradiquer la tradition ‘reichique’ : si tout vaut tout dans l’intériorité de l’homme, ou même dans sa constitution physique, cela signifie, finalement, que plus rien n’a de valeur spécifique, et si une valeur spécifique cherche à pointer envers et contre tout, elle sera vite considérée comme une anomalie qui appelle l’extermination. L’intervention fanatique et sanglante de ‘colonnes infernales’. La verticalité, en revanche, implique le devoir de protection et de respect, un devoir de servir les supérieurs et un devoir des supérieurs de protéger les inférieurs, dans un rapport comparable à celui qui existe, dans les sociétés et les familles traditionnelles, entre parents et enfants. La verticalité respecte les différences ontologiques et culturelles ; elle ne les considère pas comme des ‘riens’ qui ne méritent ni considération ni respect. [Om het tradition[alistische] standpunt samen te vatten... kan men stellen dat de modern[istische] horizontaliteit een [waarachtig] respect van de Ander en het anders-zijn onmogelijk maakt. Wanneer de Ander in zijn anders-zijn [slechts] als storend [en] inopportuun wordt beoordeeld, dan kan hij simpelweg worden geëlimineerd of worden weggezet zonder het minste respect voor zijn anders-zijn: de [modernistische] horizontaliteit reduceert immers alle [vormen van authentieke] identiteit tot een ‘ontologisch nulwaarde’ zonder intrinsieke waarde. Dat is het [onvermijdelijke] eindresultaat van de egalitaire logica die ligt achter de ideologieën en systemen die de rijkstraditie willen vervangen en uitwissen. Als alles alleen maar afhangt van het innerlijk van de mens, of zelfs alleen maar van zijn fysieke constitutie, dan blijft er uiteindelijk niets van specifieke waarde over. Wanneer een specifieke waarde in de tegenovergestelde [niet-egalitaire] richting wijst tegen het [‘algemene belang’ in], dan wordt zij al snel gezien als een ‘afwijking’ die moet worden geëlimineerd. Dit [resulteert] in de fanatieke en bloedige interventie van de ‘helse colonnes’[25] [van het modernistische collectivisme]. Daartegenover staat de [Traditionalistische] verticaliteit die uitgaat van de verplichting tot bescherming van en respect voor [de Ander]. [Dat is] de verplichting [van lager gestelden] om hoger gestelden te dienen en de verplichting van hoger gestelden om lager gestelden te beschermen in een verhouding die vergeleken kan worden met die tussen ouders en kinderen in traditionele gemeenschappen en families. Deze verticaliteit respecteert ontologische verschillen en de culturele [uitdrukkingen daarvan]: zij reduceert ze niet tot ‘[ontologische] nulwaarden’ die geen consideratie en respect verdienen.] (p. 157)

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De Traditionalistische Rijksgedachte behelst dus een holistische visie waarin alle collectieve en individuele [authentieke] identiteiten op organische wijze worden ingepast in een groter geheel van synergetische meerwaarde. Il faut enfin... que chaque communauté et chaque individu aient conscience qu’ils gagnent à demeurer dans l’ensemble impéria[ux]au lieu de vivre séparément. Tâche éminemment difficile qui souligne la fragilité des édifices impériaux : Rome a su maintenir un tel équilibre pendant les siècles, d’où la nostalgie de cet ordre jusqu’à nos jours. ...[L]a civitas de l’origine... de l’Urbs, la Ville initiale de l’histoire impériale, ...s’est étendue à l’Orbis romanus. Le citoyen romain dans l’empire signale son appartenance à cet Orbis, tout en conservant sa natio et sa patria, appartenance à telle nation ou telle ville de l’ensemble constitué par l’Orbis. [Het is uiteindelijk noodzakelijk... dat elke gemeenschap en ieder individu zich ervan bewust zijn dat zij er meer bij gebaat zijn vast te houden aan het imperiale geheel dan afzonderlijk te leven. [Dit is] een zeer ingewikkelde opgave die de kwetsbaarheid van [alle] imperiale projecten onderstreept: Rome wist eeuwenlang een dergelijke balans te handhaven - vandaar de nostalgie naar de [Romeinse] orde die voortduurt tot op de dag van vandaag. ...[D]e originele civitas... van de Urbs waaruit [men] stamt, [dat wil zeggen] de Stad vanwaaruit de imperiale geschiedenis zich ontplooide... breidde zich [met het Romeinse rijk] uit tot een Orbis romanus. Onder het [Romeinse] keizerrijk duidde het Romeins burgerschap op een identificatie met die Orbis, met behoud van de eigen natio en het eigen patria, [dat wil zeggen] met een [blijvend] toebehoren aan een bepaalde natie of vaderland binnen het geheel van die Orbis.] (p.129-31) D’abord, il faut préciser que le ‘Reich’ n’est pas une nation, même s’il est porté, en théorie, par un populus (le populus romanus) ou une ‘nation’ (la deutsche Nation) : ...[c’est] n’est pas [une chose] nationaliste, [c’est] même [une chose] anti-nationaliste. [I]l n’a rien contre les sentiments d’appartenance nationale, contre la fierté d’appartenir à une nation. De tels sentiments sont positifs... mais doivent être transcendés par une idée. Cette transcendance conduit à une verticalité, qui oppose à toutes les formes modernes d’horizontalité, ce qui est, par ailleurs, le noyau idéel, de toutes les traditions... [Vooraf moet worden vastgesteld dat een ‘Rijk’ geen natie is, zelfs als het in theorie door een populus ([een ‘volk’ zoals] het populus romanus) of door een natie ([een natie zoals] de deutsche Nation) wordt gedragen: ...[het Rijk] is niet nationalistisch, [het is] zelfs anti-nationalistisch. [H]et heeft niets tegen het identiteit bepalende [collectieve] nationalistisch sentiment [of] tegen de [individuele] trots op het behoren tot een natie. Zulke sentimenten zijn positief... maar dienen te worden overstegen door het [nog hogere imperiale] idee. Deze transcendentie leidt tot een verticaliteit die zich afzet tegen alle moderne vormen van horizontaliteit - deze [verticaliteit] is uiteindelijk de ideële kern van alle [authentieke T]radities.] (p. 156-7)

Het praktische samengaan van collectieve en individuele identiteiten wordt gerealiseerd in de politieke toepassing van het Traditionalistische beginsel van subsidiariteit (een laatste spoor daarvan is in de Nederlandse Traditie terug te vinden in het anti-revolutionaire principe van ‘soevereiniteit in eigen kring’). ...[L]e principe de ‘subsidiarité’, tant évoqué dans l’Europe actuelle mais si peu mis en pratique, renoue avec un respect impérial des entités locales, des spécificités multiples que recèle le monde vaste et diversifié. [...Het beginsel van ‘subsidiariteit’, waaraan men vaak refereert in het hedendaagse Europe maar dat men zelden in de praktijk brengt, kan [nieuw] imperiaal [ondersteund] respect geven aan de lokale gemeenschappen [en] specifieke identiteiten die horen bij de echte wereld van enorme [authentiek-gewortelde] diversiteit.] (p. 139)

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In relatie tot de Rijksgedachte zijn ‘identiteitspolitiek’, ‘multiculturaliteit’ en ‘diversiteit’ non-issues: ze worden organisch ‘opgelost’ door sublimatie in de hogere functionaliteit van het Rijk. L’empire est donc fait de multiplicités, de différences, qui n’ont rien de commun avec la fausse multiculturalité vantée par les médias d’aujourd’hui. Cette multiculturalité, escroquerie idéologique, relève justement de cette horizontalité qui vise à vider tous les hommes, autochtones et allochtones, de leur substance ontologique. Cette multiculturalité tue l’essentiel qui vit en l’homme. Toute politique qui cherche à la promouvoir est une politique criminelle, exterministe... [Een Rijk behelst dus [altijd complexe] meervoudigheden [en] diversiteiten die niets gemeen hebben met de valse ‘multiculturaliteit’ die wordt aangeprezen door de [mainstream] media van vandaag. Deze [namaak-] multiculturaliteit is een ideologisch bedrog dat voortvloeit uit de [modernistische] horizontaliteit die bedoeld is om alle mensen - autochtoon zowel als allochtoon - the ontdoen van hun ontologische substantie. Deze multiculturaliteit doodt de essentie die leeft in de mens. Alle politiek die haar wil bevorderen is een criminele - en etnocidale - politiek...] (p.158) Het is een ironisch feit dat de Traditionalistische Rijksgedachte en Rijksgemeenschap effectief veel meer tolerantie en vrijheid bieden dan de modernistische ‘diversiteit’ en ‘democratie’ dat ooit zouden kunnen.

5.

Sacrum Imperium

(neo-imperiale therapie)

Hier die Manen hehrer Krieger
Seien euch ein Musterbild
Führen euch vom Kampf als Sieger

- Joseph Hartmann Stuntz[26]

De Westerse beschaving is gebaseerd op een kwetsbare balans tussen elkaar aanvullende authentieke identiteiten die samen synergische meerwaarde krijgen via historische interacties. Deze meerwaarde kan worden uitgedrukt in de ‘hyper-boreale’ archetypen van Techne (technische bevrijding), Nomos (juridische bevrijding) en Evangelion (spirituele bevrijding).[27] Maar deze meerwaarde en de beschaving waarop zij is gebaseerd vergen constante bescherming en bewaking - dit is de basis van de Traditionalistisch Europese Rijksgedachte. En Europe, les structures de type impérial sont... une nécessité, afin de maintenir la cohérence de l’aire civilisationnelle européenne, dont la culture a jailli du sol européen, afin que tous les peuples au sein de cette aire civilisationnelle, organisée selon les principes impériaux, puissent avoir un avenir. [In Europa zijn structuren van het imperiale type... onontbeerlijk om de cohesie te beschermen van de Europese beschavingssfeer die is ontsproten aan de Europese grond - en om aan de binnen die beschavingssfeer inheemse volkeren een toekomst[perspectief] te bieden door een haar te [re]organiseren volgens imperiale principes.] (p. 214) Een dubbel idealistische en realistische - Archeo-Futuristische - heroverweging van de Rijksgedachte is van essentieel belang ter bescherming van de Europese volkeren en van hun gezamenlijke beschaving. De uitbreiding van de Europese Rijksgedachte tot de overzeese Europees-stammige volkeren is daarbij een logische volgende stap: deze stap is reeds Archeo-Futuristisch uitgewerkt in het concept van de ‘Boreale Alliantie’. Op globale schaal zou een dergelijke alliantie natuurlijke bondgenoten vinden in de twee andere Indo-Europese Rijksgedachten: de Perzische en Indische: een Archeo-Futuristische exploratie van dit thema is te vinden in Jason Jorjani’s concept van de World State of Emergency. De alternatieve geopolitiek die past bij deze Archeo-Futuristische heroverwegingen wordt al concreet onderzocht in de anti-globalistische Neo-Eurazianistische beweging.[28]

aigle2t.jpgHet is de taak van het Traditionalisme om de gezamenlijke ‘Hogere Roeping’ van de Europese volkeren in herinnering te brengen wanneer deze bedreigd wordt.[29] Steuckers voldoet hieraan door de Traditionalistische visie van Europa eenduidig te neer te zetten: L’Europe, c’est une perception de la nature comme épiphanie du divin... L’Europe, c’est également une mystique du devenir et de l’action... L’Europe, c’est une vision du cosmos où l’on constate l’inégalité factuelle de ce qui est égal en dignité ainsi qu’une pluralité de centres... [C’est] une nouvelle vision de l’homme, impliquant la responsabilité pour l’autre, pour l’écosystème, parce que, ... sur [c]es bases philosophiques, ...l’homme... est un collaborateur de Dieu et un miles imperii, un soldat de l’empire. Le travail n’est plus malédiction ou aliénation mais bénédiction et octroi d’un surplus de sens au monde. La technique est service à l’homme, à autrui... La construction de l’Europe... nécessite de revitaliser une ‘citoyenneté d’action’, où l’on retrouve la notion de l’homme coauteur de la création divine et l’idée de responsabilité. [Het [Traditionalistisch] ‘Europa’ is een visioen waarin de natuurlijke wereld als Goddelijke Epifanie geldt... [Dit] Europa is een mysterie in wording en werking... [Dit] Europa is een kosmisch visioen dat de feitelijke ongelijkheid erkent van alles dat gelijk is in waardigheid en daarmee ook van [cultuurhistorische en geopolitieke] multipolariteit... [Dit] nieuwe visioen van mens-zijn impliceert verantwoordelijkheid voor [alles dat] anders [en] voor het [hele natuurlijke en menselijke] ecosysteem omdat... op de filosofische basis [van dit visioen]... de mens een medewerker is van God - een miles imperii, een soldaat van het [goddelijk ingestelde] Rijk. Hier is werk niet langer vloek of vervreemding,[30] maar een zegen en een octrooi voor [een hoger] verantwoordelijkheidsbesef voor de [hele schepping]. [Hierbij] staat de techniek ten dienste van de mens - [en] van de ander...[31] De constructie van Europa... vereist een herleven van ‘activistisch burgerschap’ waarin men het idee terugvindt van de mens als medewerker aan de Goddelijke Schepping - en het idee van [zijn uit zijn authentieke identiteit voortvloeiende kosmische] verantwoordelijkheid.] (p. 138-9) Het is duidelijk dat de Hogere Roeping van de Europese volkeren niet stopt aan de geografische grenzen van het Europese subcontinent: zij geldt ook voor de Europees-stammige volkeren die zich over deze grenzen heen hebben begeven en zich overzees hebben gevestigd in boreale en australe regionen.

Naar binnen toe vereist dit visioen een individuele zelfdiscipline, een individuele arbeidsethos en een individuele acceptatie van hiërarchische orde - en dus een omkering van de narcistische, hedonistische en collectivistische levenshouding die wordt bevorderd en bestendigd in het liberaal-normativisme dat nu dominant is in het postmoderne Westen. Dit betekent een overgang naar een nieuwe existentiële realiteit die wordt beheerst door authentieke normen en waarden - en door een legitieme Autoriteit. In de Europese Traditie draagt die Autoriteit, in navolging van zijn Romeinse archetype, de titel ‘keizer’.[32] Dans la conception [traditionaliste] hiérarchique des êtres et des fins terrestres... l’empire constituait le sommet, l’exemple impassable pour tous les autres ordres inférieurs de la nature. De même, l’empereur, également au sommet de cette hiérarchie par la vertu de sa titulaire, doit être un exemple pour tours les princes du monde, non pas en vertu de son hérédité, mais de supériorité intellectuelle, de son connaissance ou des ses connaissances. Les vertus impériales sont justice, vérité, miséricorde et constance... [In de [Traditionalistische] hiërarchische opvatting van wereldse wezens en wensen... vertegenwoordigt het Rijk het hoogste doel, het onevenaarbare voorbeeld voor alle lagere natuurlijke ordeningen. Dit betekent dat de keizer, die op grond van zijn titel aan de top van deze hiërarchie staat, een voorbeeld stelt voor alle [overige] prinsen van de wereld - niet op grond van zijn afstamming, maar [op grond] van zijn intellectuele superioriteit en van zijn kundigheid en inzichten. [In hem worden de] imperiale [‘politieke] deugden’ van rechtvaardigheid, waarheid, mededogen en standvastigheid verwezenlijkt]. (p. 136) Vanzelfsprekend is een als zodanig herkenbare legitieme Autoriteit bijna onvoorstelbaar in de huidige Europese context, maar toch is dit ideaalbeeld van deze Autoriteit onontbeerlijk als vast referentiepunt. Ditzelfde geldt tot op zekere hoogte voor de Rijksgedachte zelf: in het huidige politiek-filosofisch discours is deze gedachte eerst en vooral een experiment waarmee een bestemming en een koers kunnen worden bepaald voor de patriottisch-identitaire beweging. Op dezelfde manier dat het ‘Koninkrijk der Hemelen’ als referentiepunt dient voor de Hogere Roeping van het Christendom, zo dient de Europese Rijksgedachte als referentiepunt voor de Europese beschaving – ook als het ideaal nog niet is verwezenlijkt in het hier en nu. De oude Traditionalistische Rijksgedachte dient hierbij als voorbeeld voor een nieuwe Archeo-Futuristische Rijksgedachte. De hiërarchische politieke filosofie van het Neo-Eurazianisme kan ook hierbij een brugfunctie vervullen.

geants1.jpgNaar buiten toe vereist de Traditionalistische Rijksgedachte collectief zelfbewustzijn, collectieve trots en collectieve opofferingsbereidheid. Het is daarbij belangrijk te benadrukken dat de Rijksgedachte, zoals die wordt gehandhaafd door de hoogste bevelsautoriteit, zich positief - als letterlijke meerwaarde - verhoudt tot de verschillende authentieke identiteiten die met subsidiaire waarborgen worden bewaard binnen het Rijk. Een Traditionalistisch gedefinieerd Europees - of groter: Westers - Rijk doet niets af aan de specifieke taalkundige, godsdienstige, culturele en etnische identiteiten die erbinnen blijven bestaan: het voegt een identiteit toe, namelijk een Europese - of zelfs Westerse. Deze identiteit is dan niet dominant naar binnen (in de individuele voorstelling), maar wel naar buiten: naar buiten vertegenwoordigt zij een collectieve wil. Dat wil zeggen: het Rijk vertegenwoordigt naar buiten een absolute standaard, uitgedrukt in fysieke grenzen. De liberaal-normativistische illusie van globalistische ‘universele waarden’ en de ‘open grenzen’ zijn onverenigbaar met de effectieve handhaving van de klassieke beschavingsnormen die worden belichaamd in Traditionalistische Rijksgedachte. L’empire se conçoit comme un ordre, entouré d’un chaos menaçant, niant par là même que les autres puissent posséder eux-mêmes leur ordre ou qu’il ait quelque valeur. Chaque empire s’affirme plus ou moins comme le monde essentiel, entouré de mondes périphériques réduits à des quantités négligeables. L’hégémonie universelle concerne seulement “l’univers qui vaut quelque chose”. Rejeté dans les ténèbres extérieures, le reste est une menace dont il faut se protéger. [Het Rijk concipieert zichzelf als een orde die wordt omgeven door een dreigende chaos - [de Rijksgedachte] ontkent daarmee feitelijk dat andere [beschavingen] zelf een eigen orde met zelfstandige waarde kunnen hebben. Ieder Rijk ziet zichzelf min of meer als een ‘wereld op zich’, omgeven door tot op verwaarloosbare eenheden teruggebrachte ‘perifere werelden’.[33] Universele hegemonie wordt alleen gezocht binnen de sfeer van het als [exclusief] waardevol erkende [eigen] universum. De resterende [realiteit wordt] verstoten naar de Buitenste Duisternis en is niet anders dan een dreiging waartegen men zich moet beschermen.[34]] (p. 129)

6.

Ex oriente lux

(psycho-historische therapie)

 

Wees gegroet, Hoge Prins!

Op de noordwesten wind hebben wij naar u gezocht

Aan u offeren wij nu onze sterfelijkheid

U bent onze Eedhouder!

- vrij vertaald uit Hereditary

Een effectieve Archeo-Futuristische therapie voor de psycho-historische zelfverminking van de Westerse beschaving ligt in de herontdekking en reactivering van haar archetypes.[35] Vanuit meta-historisch perspectief vertegenwoordigt het politieke experiment van het nationalistisch-enggeestige en hyper-biodeterministische ‘Derde Rijk’ een geïmproviseerde poging tot een reactivering van deze archetypes. Door de - feitelijk zeer ver gezochte - associatie van de Traditionalistische Rijksgedachte met het ‘Derde Rijk’ en door de Europese Götterdämmerung van 1945 werden deze archetypes verdrongen uit het Westerse publieke discours. De bij deze archetypes horende idealistische, ridderlijke en ascetische levenshouding - belichaamt in de oude roepingen van Academie, Adel en Kerk - verloor hiermee haar bestaansgrond: het rampzalige verval van de Westerse geesteswetenschappelijke, militaire en kerkelijke instituties vormen hiervan het tastbare bewijs. Deze psycho-historische Untergang is recentelijk zover doorgeschoten dat nu alles wat zelfs maar enigszins verwijst naar ‘aristocratische’, ‘arische’ en ‘mannelijke’ kwaliteit in de publieke sfeer ‘verdacht’ is. Een diep ingezonken conditionering van matriarchale oikofobie en rancuneuze feminisatie hebben de oude Westerse instituten van Academie, Leger en Kerk vernietigd.

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Toch is deze ontwikkeling niet onomkeerbaar - ze kan zelfs worden opgevat als een noodzakelijke fase in een zuiverend ‘dialectisch proces’.[36] Een extreem negatieve polariteit is immers een noodzakelijke voorwaarde voor een extreem positieve energielading. De deconstructie van de geïmproviseerde en oppervlakkige ‘hyper-nationalistische’ en ‘hyper-biodeterministische’ ideologie van het Derde Rijk vormen zo een noodzakelijke voorwaarde voor een her-ontdekking en her-activering van de diepst liggende archetypes van de Indo-Europese Traditie. De Archeo-Futuristische exploratie van deze diepst gelegen archetypes is pas begonnen, maar de richting waarin de nieuwe Gouden Dageraad van het Westen moet worden gezocht ligt al vast - ex oriente lux. Jason Jorjani, de filosofisch pionier van de Archeo-Futuristische Revolutie in de Nieuwe Wereld, is de event horizon van de Westerse Moderniteit reeds overgestoken en hij heeft reeds gerapporteerd welke beschavingscontouren zichtbaar worden in wat als een nieuwe ‘Gouden Dageraad’ kan worden aangeduid. Het kan geen toeval zijn dat Robert Steuckers, de voorman van het Traditionalisme in de Lage Landen, in dezelfde richting wijst. Beiden laten de oudste Indo-Europese archetypes, zoals behouden in de Perzische Traditie, terugkeren naar het Avondland.

La catégorie d’hommes capables d’incarner un ‘Reich’ est née de la tradition persane, laquelle a été longtemps un ‘Orient’ (in modèle sur lequel on s’‘orientait’)... Dans la tradition persane, il est question d’un ‘hiver éternel’, allusion plus que probable au début d’une ère glaciaire particulièrement rude, qui a surpris les premiers peuples européens dans leur habitat premier. Au moment où survient cet ‘hiver éternel’, un roi-héros, Rama, rassemble les tribus et les clans et se dirige, à leur tête, vers le sud, vers le Caucase, la Bactriane et la Perse (les hauts plateaux iraniens). Ce roi-héros fonde les castes, ou, plus exactement, les fonctions que George Dumézil étudiera ultérieurement. Après avoir mené son peuple à bonne destination, pour échapper aux rigueurs de cet ‘hiver éternel’, Rama se retire dans les montagnes. Cette figure héroïque et royale se retrouve dans les traditions avestique et védique où il s’appelle Yama ou Yima. Pour mener cette expédition et cette migration, Rama-Yama-Yima s’est servi de chevaux et de chars et a jeté ainsi les premiers principes d’organisation d’une cavalerie... Plus tard, Zarathoustra codifie les règles qui doit suivre chaque cavalier... La troupe de Zarathoustra, qui doit faire respecter son enseignement pratique, est armée de massues (la ‘Clave’ dans l’œuvre de Julius Evola). Au départ de la troupe des adeptes de Zarathoustra se forme la caste des guerriers, les Kshatriyas de la tradition indienne, une caste opérative ancrée dans le réel politique et géographique, qui domine la caste de prêtres, contemplative et moins encline à exercer sur elle-même une discipline rigoureuse. ...La figure iranienne de Sraosha, qui donnera le Saint-Michel de la tradition médiévale, évolue entre le ciel et la terre, c’est-à-dire entre l’idéal de la tradition et la réalité, va-et-vient qui postule une formation rigoureuse, à l’instar des disciples de Zarathoustra. Ceux-ci, au fur et à mesure que se consolide la tradition iranienne, sont formés à rendre claire leur pensée, à purifier leurs sentiments, à prendre conscience de leur devoir. Armés de ces trois principes cardinaux d’orientation, le disciple de Zarathoustra lutte contre Ahriman, incarnation du mal, c’est-à-dire de la déliquescence des sentiments, qui rend inapte à œuvrer constructivement et durablement dans le réel. Seul les chevaliers capables d’incarner cet idéal simple mais rigoureux se donneront un charisme, un rayonnement, une lumière, la kwarnah. Ils sont liés entre eux par un serment. [De categorie van mensen die in staat zijn een Rijk te personificeren is ontstaan in de Perzische [T]raditie, die [voor het Westen] eeuwenland een Oriëntaals referentiepunt was in de eigenlijke zin van existentiële oriëntatie. In de Perzische [T]raditie is sprake van een ‘eeuwige winter’, een begrip dat waarschijnlijk teruggaat op het begin van een zeer harde IJstijd die de eerste Europese volkeren trof in hun eerste leefgebied. Toen de ‘eeuwige winter’ intrad, bracht een heroïsche koning [genaamd] Rama de[ze] volkeren en stammen bijeen en leidde hen naar het zuiden, naar de Kaukasus, Baktrië en Perzië (de Iraanse hoogvlakten). Deze heroïsche koning was de stichter van [hun] kasten, of preciezer gezegd: van de [sociaalhiërarchische] functionaliteiten die uiteindelijk door Georges Dumézil zijn gereconstrueerd.[37] Na zijn volk uit de ontberingen van de ‘eeuwige winter’ in veiligheid te hebben gebracht, trok Rama zich terug in de bergen. Deze heroïsche en koninklijke persoonlijkheid vinden we [vervolgens] terug in de Avestische en Vedische [T]radities, waar hij Yama of Yima genoemd wordt.[38] Om deze onderneming en deze migratie te volbrengen organiseerde Rama-Yama-Yima paarden en wagens, waarmee hij de fundamenten van een cavalerie organisatie legde... Later werden de regels die elke bereden krijger, [ofwel ‘ridder’,] te volgen heeft vastgelegd door Zarathoestra... De krijgsmacht van Zarathoestra die zich onderwerpt aan zijn praktische onderwijs is bewapend met knotsen (als clava betiteld in het werk van Julius Evola).[39] Uit deze ‘school’ van Zarathoestra ontstaat [vervolgens] de kaste van de krijgers - de Kshatriya’s van de Indische Traditie - die zich in politieke [instituties] en geografische [machtsbereiken] vastlegt en die komt te heersen over de kaste van de priesters, die contemplatief zijn ingesteld en zich niet aan een [dergelijk] rigoureuze discipline wil onderwerpen. ...De Iraanse figuur Sraosja,[40] die in de middeleeuwse [Westerse] Traditie naar voren komt als de Heilige Michaël, neemt [voortdurend opnieuw] gestalte aan tussen hemel en aarde, dat wil zeggen tussen het Traditie ideaal en de [wereldse] realiteit - een ontstaan en vergaan dat [voor aspirant-ridders] een [constant vastgehouden] rigoureuze scholing veronderstelt, net zoals bij de leerlingen van Zarathoestra. [Het gaat daarbij om] diegenen die, naarmate de Iraanse Traditie zich verwezenlijkt, worden opgeleid om hun gedachte[n] en gevoelens te zuiveren en zich bewust te worden van hun [levens]opgave. Bewapend met deze drie hoofdprincipes van [levens]oriëntatie strijdt de leerling van Zarathoestra tegen Ahriman,[41] de personificatie van het kwaad, dat wil zeggen [primair] tegen de gevoelszwakte die het [hem] onmogelijk maakt constructief en duurzaam op de realiteit in te werken. Alleen ‘ridders’ die in staat zijn dit simpele maar rigoureuze ideaal te belichamen verkrijgen het charisma, de stralenglans, het licht[wezen] - de khvarenah.[42]]  (p. 159-60)

ksch.jpgHet Indo-Europese archetype dat het nieuwe Rijk moet vestigen is bovenal de ‘ridder’. Zoals gezegd, wordt oudste uitdrukking daarvan bewaard in de Perzische Traditie: ...le modèle de la chevalerie perse... constitue... pour l’Europe un mode opératif sans égal, de type ‘kshatriyaque’... [que] ne peut être pensé en dehors du projet de ‘nouvelle chancellerie impériale européenne’, énoncé par Carl Schmitt. Celui-ci a évoqué la nécessité de former une instance de ce type, après les catastrophes qui ont frappé l’Europe dans la première moitié du XXe siècle et pour préparer la renaissance qui suivra l’assujettissement de notre sous-continent. ...[het model van de Perzische ridderstand... vertegenwoordigt... voor Europa een kwalitatief ongeëvenaarde modus van het ‘kshatriyaanse’ type... waarzonder men zich geen voorstelling kan maken van het project dat Carl Schmitt voor ogen stond: de ‘nieuwe Europese rijkskanselarij’. [Schmitt] wees op de noodzaak een dergelijke instantie te vormen in de nasleep van de catastrofes die Europa gedurende de eerste helft van de 20e eeuw heeft ondergaan ten einde de wedergeboorte voor te bereiden die zal volgen op de onderwerping van ons subcontinent.[43]] (p. 163) De kroniek van de Perzische Traditie kan de volkeren van Europa hoop geven: zij laat zien hoe de oudste Indo-Europese archetypes zelfs de catastrofe van barbaarse bezetting, etnische vervanging en culturele regressie kunnen overleven. ...[Le] philosophe perse islamisé Sohrawardi, ...dépositaire de la sagesse iranienne originelle, s’insurge, avant la destruction de son pays par les Mongols, contre la bigoterie, le rationalisme étrique qui est son corollaire, et réclame le retour à une attitude noble, lumineuse, archangélique et michaëlienne, qui n’est rien de autre que la tradition perse/avestique des origines les plus lointaines. Sohrawardi réclame une révolte contre la caste des prêtres étriques, et, partant, contre toutes pensées et démarches impliquant des limitations stérilisantes. Cette attitude a toujours paru suspecte aux vastes de prêtres ou d’intellectuels, soucieux d’imposer des corpus figés aux populations qui leur étaient soumises, en Occident comme en Orient. Arthur de Gobineau... a été le premier... à attirer l’attention des Européens... sur le passé lumineux de la Perse antique, modèle plus fécond, à ses yeux, que la Grèce, trop intellectuelle et trop spéculative. Le modèle chevaleresque, dont les traces premières remontent à Rama et à Zarathoustra, induit une pratique de le maîtrise de soi, supérieure, pour Gobineau, à la spéculation intellectuelle des Athéniens. Et, de fait, quand la Perse a été laminée par les Mongols, l’islam tout entier a commencé à sombrer dans le déclin. Le fondamentalisme wahhabite est l’expression de cette décadence, dans la mesure où il est une réaction outrée, caricaturale, au déclin de l’islam, désormais privé de la grande Lumière de la Perse. Les pauvres simagrées wahhabites ne pouvant bien entendu jamais servir d’‘Orient’. [...De geïslamiseerd-Perzische filosoof Sohrawardi,[44] ...drager van de oorspronkelijke Iraanse wijsheid, stond nog voor de Mongoolse verwoesting van zijn land[45] op tegen religieuze kwezelarij en het oppervlakkige rationalisme... - hij eiste een terugkeer naar de adellijke, verlichte, engelachtige en michaëlitische [existentiële] houding die hoort bij de oorspronkelijke Perzische [T]raditie zoals teruggaande op haar oudste historische Avestische [bronnen].[46] Sohrawardi staat voor een opstand tegen de [intellectueel en spiritueel] oppervlakkig priesterkaste en daarmee tegen alle denk[stroming]en en activismen die zich onderwerpen aan steriliserende begrenzingen. Deze houding schijnt altijd verdacht toe aan het priesterlijke en intellectuele establishment dat zowel in het Westen als het Oosten bedacht is op het handhaven van een dogmatische consensus. Arthur de Gobineau[47]... was de eerste die... de aandacht van Europa... vestigde op het lumineuze verleden van het Oude Perzië: [hij achtte het] een veel vruchtbaarder model dan het [Klassieke] Griekenland dat in zijn optiek te intellectueel en te speculatief [was ingesteld]. Het ridderlijke model dat teruggaat op Rama en Zarathoestra bewerkstelligde een zelfdisciplinaire praktijk die voor de Gobineau superieur was aan die van het speculatieve intellectualisme van Athene. Het is inderdaad waar dat de hele Islam[itische wereld] in [culturele] neergang verzonk nadat Perzië door de Mongolen in de as was gelegd. Het Wahhabitische fundamentalisme is de [ultieme] uitdrukking van deze decadentie: het is een uiterste - karikaturale - reactie op het verval van de Islam na het uitdoven van zijn grootse Perzische Licht. De armzalige verwaandheid van de Wahhabieten kan [noch voor het Westen noch voor het Oosten] ter existentiële ‘oriëntatie’ dienen.] (p. 162)

De Indo-Europese archetypes die worden bewaard in de Perzische Traditie zijn via een eeuwenlange wisselwerking doorgegeven aan Avondland: via het [Helleense] Rijk dat werd gesticht door Alexander de Grote, via de Romeinse cavalerietraditie, via de kruisvaarders, via de Oosterse Letteren - en via de filosofie van de Traditionele School (Steuckers, p. 161ff.). Hun kracht berust in hun essentie - een essentie waarop noch pseudo-islamische cultuurbarbarij, noch pseudo-christelijke psychologische regressie, noch cultuur-nihilistische intellectuele deconstructie vat kunnen krijgen. Nietzsche overkwam het moderne Europese nihilisme in een authentieke herbeleving van het Indo-Europese archetype dat vervat ligt in de Perzische profeet Zarathoestra. Hij zocht niet alleen fysieke gezondheid in de hoge Alpen maar ook spirituele gezondheid op deze ijlste top van de Indo-Europese Traditie - daar vond hij zijn geneesmiddel voor het nihilisme.

...wirf den Helden in deiner Seele nicht weg! Halte heilig deine höchste Hoffnung!

- Also Sprach Zarathustra

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7.

Edelweiss-heid

(Archeo-Futuristische medicatie)

Save a spot for me

Among the Edelweiss

- Danielle White

Elke queeste naar het hoogste begint echter bij het laagste: de fundering van de Europese Rijksgedachte kan niet anders dan liggen in de Europese aarde - het grotere Europese Huis kan niet anders dan beginnen bij de kleinste Europese huisjes.

‘Een beter Nederland begint in Kleine Huisjes!’ - zo sprak Koning Willem Alexander ter gelegenheid van het Kerstfeest van 2018. [48] Veel wijsheid ligt in deze eenvoudige woorden: de Vorst wijst op het feit dat het grote begint met het kleine en dat zelfs de grootste reis aanvangt met een eerste kleine stap. Aan een Nieuw Europa gaat dus een Nieuw Nederland vooraf. Het begint zelfs nog dichter bij huis: bij een nieuwe stad, een nieuw dorp, een nieuwe straat - en dan ook nog bij een nieuw zelf. Een Nieuw Europa begint met de basale kwaliteiten die horen bij het Europese mens-zijn: zelfdiscipline, arbeidsethos, natuurlijke hiërarchie en toekomstplanning. Bij eenvoudige zaken als gezinstoewijding en huwelijkstrouw, bij bescheiden looneisen en gewetensvolle arbeid, bij kansen voor jongeren en respect voor ouderen, bij passend ontzag voor hoge geboorte en aangeboren talent, bij maatschappelijke ruimte voor artistieke gave en wetenschappelijke verdienste, bij solidariteit met de minder fortuinlijke volksgenoot en bij ecologisch verantwoordingsbesef. De karakteristieke eigenschappen van het huidige Europa en haar liberaal-normativistische postmoderniteit - collectief narcisme, consumptief hedonisme en kunstmatige klassenstrijd - horen hier dus pertinent niet bij. Ook niet in reactieve zin: een Nieuw Europa is onhaalbaar voor reactief-onwaardige ‘boze witte mannen’. Het is haalbaar wanneer het positief begint bij - en wordt gedragen door - blije blanke mensen. Dus alleen wanneer de Europese - inheems-fenotypisch niet anders dan blank definieerbare - bevolking blij is met zichzelf: de slagzin it’s ok to be white is in dat opzicht niet meer dan een minimaal beginpunt. Dus ook pas wanneer de Europese vrouw blij is met haar specifieke vorm van mens-zijn als Europees en als vrouw - en zich afkeert van de kunstmatige oikofobe en feministische ‘klassenstrijd’ tegen de Europese beschaving en de man. In het Nieuwe Europa - dat een universele beschavingsstandaard herstelt - moet expliciet een plaatsje worden opengehouden voor - een beperkt aantal - goedwillende, hardwerkende en nette (ex-koloniale, aangetrouwde, geassimileerde) niet-Europeanen die zich vereenzelvigen met de Europeaanse Leitkultur. Ook dat hoort bij de Archeo-Futuristische Europese Rijksgedachte: de ‘magnetische’ inwerking van de authentieke Europese Traditie waarvan een existentieel ordenende - dus innerlijk transformatieve - aantrekkingskracht kan uitgaan voor speciaal getalenteerde individuen uit andere culturen. Deze inwerking is echter geen automatisch gegeven: alleen een absoluut dominante Leitkultur garandeert de voor die innerlijke transformatie vereiste polaire hoogspanning. In het falen van deze dominantie ligt meest catastrofale weeffout van het liberaal-normativistisch ‘multiculturalisme’.

Steuckers wijst op het belang van ‘micro-herterritorialisaties’, dat wil zeggen een Reconquista van Europa door middel van een stapsgewijs geplande en minutieus uitgewerkte herovering van de Europese erfenis. Het grotere ‘Europese Huis’ van de Archeo-Futuristische Rijksgedachte begint dus ook voor hem bij ‘Kleine Huisjes’: een Nieuwe Europa begint bij geleefde, beleefde en doorleefde lokale traditie, regionale cohesie en nationale identiteit. Een Nieuwe Europa is onbereikbaar via een nationalistische Einzelgang: de val van Napoleon en Hitler bewijzen het. Wat wel erkend moet worden is dat de Archeo-Futuristische Rijksgedachte in Europa in de eerste plaats zal moeten worden gedragen door het volk - of: de paar volkeren - die een centrale plaats innemen in Europa. Enkele hoofdlijnen in de verwezenlijking van de Archeo-Futuristische Rijksgedachte zijn al duidelijk. De centrale positie van het Duitse volk, het dragende volk van het oude Heilige Roomse Rijk, is een natuurlijk uitgangspunt - een pragmatische anti-globalistische alliantie op de Frans-Duits-Russische as al evenzeer. Gegeven het feit dat de globalistische vijandelijke elite prioritair, via de Macron-Merkel strategie van Umvolkung à l’outrance, inzet op de ‘pyropolitieke’ verwoesting van de Frans-Duitse ruimte zal de herovering van Europa moeten beginnen bij ‘terugvalbasis’ Rusland. De door President Putin begonnen anti-globalistische bevrijding van Rusland is de natuurlijke uitvalsbasis voor een oost-naar-west metapolitiek tegenoffensief. Het door Aleksandr Doegin geformuleerde - confederatieve, multipolaire - Eurazianisme geeft hiertoe een eerste aanzet - ook hier geldt: ex oriente lux.[49]

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Ter afsluiting van dit essay lijkt het passend Steuckers’ pleidooi voor micro-herterritorialisatie te ondersteunen door zijn argument verder uit te werken. Het is namelijk verre van denkbeeldig dat het globalistische ‘EU project’ binnen een aantal jaren implodeert. Het is dan aan de kleinere staten van Europa om direct hun eigen plaats te bepalen in een post-globalistisch Nieuw Europa - zij zullen zich dan direct opnieuw moeten uitvinden en positioneren. Ook voor staten van bescheiden omvang en gering gewicht, zoals de huidige staten van de Lage Landen, is er dan een wereld te winnen. Een Nieuw Europa biedt immers kansen voor het herwinnen van sinds de Tweede Wereld Oorlog verloren en verkwanselde zelfstandigheid: staatssoevereiniteit, volksidentiteit, valuta en welvaartsstaat. Het falen van het globalistische ‘EU project’ en het wegvallen van globalistische controlemechanismen zal de kleinere staten van Europa de vrijheid geven om zich op hun eigen unieke wijze te ontwikkelen.

Op het kleinste niveau wordt dit potentieel geïllustreerd door de nog kleinere Europese microstaten: de ministaatjes San Marino, Andorra, Monaco en Liechtenstein zijn in vele opzichten tussen de mazen van het globalistische net heen geglipt. Zij hebben zich in hun eigen biotoopjes optimaal kunnen ontwikkelen zonder hun eigenheid op te geven. Anders dan in de kleinere EU lidstaten blijft de inheemse bevolking van de microstaten - grosso modo - juridisch geprivilegieerd, economisch beschermd, sociaal dominant en cultureel behouden.[50] Daar krijgt niet zomaar iedere willekeurige ‘arbeidsmigrant’ verblijfsstatus en staatsburgerschap. Daar worden sociale voorzieningen en huisvesting niet zomaar uitgedeeld aan de eerste de beste ‘asielzoeker’. Daar wordt van de inheemse bevolking niet verwacht dat zij berust in de modegrillen van identiteitsondermijnende ‘diversiteit’. Daar is het blijkbaar wél mogelijk moderne technologie en economische welvaart te combineren met een dominante etniciteit en een dwingend cultuurmodel. Zonder de specifieke omstandigheden van deze microstaten te negeren en zonder hun specifieke problemen te vergoelijken kan wel worden gesteld dat de Archeo-Futuristische Revolutie daar in bepaalde opzichten al is begonnen. Met name het Vorstendom Liechtenstein, door Prins Hans-Adam II sinds de democratisch goedgekeurde constitutionele hervorming van 2003 direct en persoonlijk bestuurd, bewijst dat een combinatie van semi-decissionistisch bestuur en beschermde etnische identiteit met een vrije markt mechanisme, grote welvaart en hoge sociaaleconomische ontwikkeling heel goed mogelijk is. Het is misschien geen toeval dat Liechtenstein als laatste legitiem bestuurd overblijfsel van het Heilige Roomse Rijk een eerste beeld laat zien van hoe een Archeo-Futuristisch Europa er uit zou kunnen zien. Het is dit hoog in de Alpen verscholen ‘Edelweiss model’ dat de kleine en middelgrote EU lidstaten kan inspireren tot het verwerpen van het ‘Calimero argument’: het globalistische argument dat ze ‘te klein’ zouden zijn om op eigen benen te staan.

Feitelijk is de situatie van de Europese microstaten vanuit mondiaal perspectief niet essentieel anders dan die van de kleinere EU lidstaten. De veel evenwichtiger sociaaleconomische en etnische politiek van de kleinere en middelgrote staten van de welvarende Pacific Rim - Maleisië, Singapore, Brunei, Taiwan, Zuid-Korea - bewijzen dat het ‘Edelweiss model’ ook op grotere schaal voor herhaling vatbaar is.[51] Het behoud van de Monarchie in een deel van de kleinere EU lidstaten - in Scandinavië en de Lage Landen - geeft hierbij een gunstige uitgangsbasis voor overschakeling naar het Leichtensteiner ‘Edelweiss model’: de Monarchie biedt hier een ‘reserve soevereiniteit’ die een decissionistische reactie mogelijk maakt op het liberaal-normativistische globalisme. Het Nieuwe Europa kan ook beginnen met een ‘Edelweiss positionering’ van het Kleine Huisje geheten Nederland. De afgelopen decennia van neo-liberale kaalslag en cultuur-marxistische deconstructie hebben geleid tot sociale implosie en etnische vervanging: de ‘puinhopen van vijftig jaar paars’[52] bewijzen dat het Kleine Huisje geheten Nederland op de slooplijst staat van het globalistische ‘EU project’. Voor de Lage Landen - België, Nederland, Luxemburg - is het tijd voor beraad op een levensvatbaar alternatief: een subsidiair gedefinieerde en geborgen plaats in een Nieuw Europa, een Europa dat is zich kan inspireren op de Archeo-Futuristische Rijksgedachte en het confederatieve Eurazianisme. Dit is wat de Lage Landen verdienen: een eigen plaats tussen de Edelweiss.

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Nawoord: de Koning als Katechon

De Nederlandse patriottisch-identitaire beweging erkent de Koning als Katechon - als door de Goddelijke Voorzienigheid aangestelde Beschermer van de Nederlandse staat en het Nederlandse volk. Meer dan dat: de Vorst belichaamt de Nederlandse staat in meest letterlijke zin: het feit dat zijn macht door constitutionele scherpslijperij in de loop van de laatste anderhalve eeuw stukje bij beetje is weggesneden door een jaloerse regentenklasse en een wannabe ‘schijnelite van valsemunters’[53] doet daar niets aan af. Door de eeuwen heen heeft het Huis van Oranje, wanneer puntje bij paaltje kwam, altijd voor de belangen van het Nederlandse volk en de gewone man gestaan. De patriottisch-identitaire beweging dient de diepe eerbied en aanhankelijkheid van het Nederlandse volk naar het Huis van Oranje en de Monarchie als institutie te respecteren - en te integreren in haar doen en laten.

Uiteindelijk is het aan de Vorst om te bepalen wat het beste is voor zijn land en zijn volk - het land is immers zijn erfdeel en hij is vader van zijn volk. Het is niet redelijk te denken dat de Vorst ook maar enigszins geneigd zou zijn erfdeel te verkwanselen en zijn volk te verraden - basaal vertrouwen in zijn oordeel hoort bij de eeuwenoude band tussen het Vorst en volk. Zijn woord en zijn wil moeten daarom, binnen de grenzen van wat redelijk is, zeer zwaar wegen - ook als hij de tijd en manier om op te treden tegen het globalisme wellicht (nog) anders inschat dan de meeste van zijn onderdanen. Ook zulk respectvol inschikken in de natuurlijke hiërarchie en de wettelijke orde hoort, binnen de grenzen van wat redelijk is, bij goed burgerschap. Net zoals de wettelijke orde en het politiek proces - hoe onredelijk en onbehoorlijk ze ook feitelijk worden ingevuld - moeten worden gerespecteerd zolang dat nog enigszins mogelijk is. Natuurlijk kan er, gegeven de globalistische ramkoers met de soevereiniteit van de Nederlandse staat en de identiteit op het Nederlandse volk, op den duur een situatie ontstaan waarin dit niet langer mogelijk is, maar die ultieme afweging komt alleen toe aan het volk als geheel - en aan de Vorst, als vader van het volk. Wat de Nederlandse patriottisch-identitaire beweging tot die tijd betaamt, is respectvol in te schikken - en volk en Vorst respectvol te dienen, door een redelijk alternatief aan te dragen voor globalistische deconstructie en door in metapolitieke zin de vervanging voor te bereiden van de vijandelijke elite. De beweging dient, omwille van het volk, ook de Vorst: waar en wanneer nodig, en waar en wanneer gevraagd, moet de Vorst de patriottisch-identitaire beweging aan zijn zijde weten - ook tegen de vijandelijke elite. Diep in het verradershart van de vijandelijke elite - het ziekelijk monsterverbond tussen de crypto-republikeinse ‘regenten klasse’ en de eeuwig-rancuneuze soixante-huitard ‘intelligentsia’ - zit namelijk niet alleen haat voor het volk, maar ook haat voor de Vorst.

De kersttoespraak van de Koning biedt hoop aan alle Nederlanders: zij biedt een veilige afstand tot ‘verre tafels’ en een tijdige herinnering aan de tachtigjarige vrijheidsstrijd van het Nederlandse volk. Niets past de patriottisch-identitaire beweging echter minder dan woorden te leggen in de mond van de Vorst. Dit essay sluit daarom af met diens eigen woorden - woorden van welgemeende zorg en eenvoudige troost, gericht tot ons arme volk:

Tegenover de sterke en brute krachten in de wereld staan gewone mensen machteloos… zo voelt het vaak. Maar zou het niet kunnen dat we onze eigen rol onderschatten? ...U denkt misschien: ‘Wat moeten we met zo’n verklaring? Het klinkt zo ver weg allemaal’. Maar de drijvende kracht erachter - Eleanor Roosevelt dacht daar heel anders over. Zij zei: ‘Waar beginnen mensenrechten? Op plekken dicht bij huis, zó dichtbij en zó klein dat ze op geen enkele kaart zichtbaar zijn.’ Ze legt hiermee een direct verband tussen de straat waarin we wonen en de grote wereld. Vrijheid, gelijkheid en eerlijke kansen voor iedereen zijn óók afhankelijk van de manier waarop wij dagelijks met elkaar omgaan. Een leven zonder angst en onverschilligheid wordt niet alleen bepaald aan verre vergadertafels, hoe onmisbaar die ook zijn. Daar gaan we gelukkig ook zelf over. We zijn minder machteloos dan we denken. Verreweg de meeste Nederlanders voelen zich thuis in een omgeving waarin tegenstellingen niet op de spits worden gedreven en waarin conflicten zo goed mogelijk samen worden opgelost. Vergelijking met andere landen is vaak een bron van troost, zo niet van trots. De bereidheid om rekening met elkaar te houden en samen te werken heeft ons vèr gebracht. Dit was de basis onder ons land, 450 jaar geleden, toen een klein groepje Nederlandse gewesten tegen de verdrukking in de krachten bundelde en met succes zijn eigen weg ging. Zoiets was nog nooit eerder vertoond.... Een beter Nederland begint in Kleine Huisjes! We onderschatten vaak de positieve invloed die we met onze bescheiden mogelijkheden als mens kunnen hebben. Juist dicht bij huis wordt de wereld gewonnen. We kunnen samen niet alles. Maar wel veel... Een mooie toekomst is mogelijk. Mits we het geloof in onszelf en in elkaar vasthouden! [54] - Zijne Majesteit Willem-Alexander, Koning der Nederlanden

Mon Dieu, ayez pitié de ce pauvre peuple

 

Glossarium

 

banlieusard

Frans: ‘buitenwijk bewoner’, speciaal verwijzend naar de overwegend door etnische minderheden bewoonde sociaal huisvesting hoogbouw wijken rond Parijs;

decisionisme

francofoon-anglofone term, neologistisch vertaalbaar als ‘beslisme’:

doctrine van direct-concrete en fysiek-belichaamde beslissingsbevoegdheid, het tegengestelde van indirect-abstract en psychologisch-manipulatie Normativisme (Rex vs. Lex);

éditocratie

ook: mediacratie, intellocratie; heerschappij van de main stream media plus politiek-correcte academisch publicisten;

éristique

Grieks εριστικός: ‘strijdlustig’, ‘strijdvaardig’ ;

mobocratie

ook: ochlocratie;[55] heerschappij van de ‘meute’, de ‘massa’;

partitocratie

politieke kaping van parlementaire instituties door partijbelangen en partijkartels; het mechanisme achter politicide, d.w.z. vernietiging van politieke pluraliteit en invoering van dogmatische politieke-correcte consensus (‘1984’);

pyropolitiek

geopolitieke ‘verschroeide aarde’ strategie waarvan de globalistische vijandelijke elite zich bedient voor het ‘wegbranden’ van multipolaire verzetshaarden tegen haar Nieuwe Wereld Orde;

soixante-huitard

Frans: ‘68-er’; verwijzing naar de Parijse ‘culturele revolutie’ van mei 1968 en naar de door geïnspireerde ‘hippie tot yuppie’ babyboomer generatie die het globalistisme belichaamt in de dubbele na/uitleving van cultuur-marxistische theorie en neo-liberale praktijk, nu voortgezet in een vervolg generatie: de nieuwe feministisch-allochtone machtselite;

 

Noten

[1] https://www.nrc.nl/nieuws/2019/02/13/rutte-eu-moet-meer-v...

[2] https://www.government.nl/documents/speeches/2019/02/13/c...

[3] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/counte...

[4] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/fake-news-d...

[5] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/modernisati... - let op de expliciet vermelde invulling van deze maatregelen aan de hand van het op versnelde etnische vervanging gerichte ‘Marrakesh Pact’.

[6] https://www.erkenbrand.eu/artikelen/le-rouge-et-le-noir-i... en http://www.erkenbrand.eu/artikelen/uit-het-arsenaal-van-h...

[7] Een (double entendre) verwijzing naar de titel van de post-modern - en ‘pre-apocalyptische’ - kunst documentaire van Sophie Fiennes (2010).

[8] Voor een beknopte Traditionalistische interpretatie van het science fiction genre - als hierofanie en cryptomnesie - verg. Alexander Wolfheze, The Sunset of Tradition and the Origins of the Great War (Newcastle upon Tyne: Cambridge Scholars, 2018 - https://www.cambridgescholars.com/the-sunset-of-tradition... ) 240ff. Voor een psycho-historische update bij dit thema verg. Alexander Wolfheze, Alba Rosa. Ten Traditionalist Essays about the Crisis in the Modern West (London: Arktos, 2019 - https://arktos.com/product/alba-rosa/ ) 35ff.

[9] Verg. de magistrale illustraties bij Jeff Wayne’s op Wells’ boek gebaseerd musical versie: http://www.thewaroftheworlds.com/

[10] Truganini wordt in de pre-postmoderne wetenschappelijke literatuur beschreven als de laatste volbloed Tasmaniër en de laatste Tasmanische moedertaal spreker. Zij werd rond 1812 geboren als de dochter van het opperhoofd van de inheemse bevolking van het voor de Tasmaanse zuidkust gelegen Bruny Eiland, overleefde de moordpartijen, verkrachting en ‘hervestiging’ van de Britse koloniale ‘omvolking’ van haar moederland en stierf in ballingschap in 1876 - na haar dood werd haar skelet tentoon gesteld als ‘wetenschappelijk curiosum’. Verg. Wolfheze, Sunset, 318ff. 

[11] Voor de ‘techno-filosofische’ uitwerking van deze ‘evolutionaire’ ontwikkeling verg. Jason Jorjani, World State of Emergency (Londen: Arktos, 2017) 69ff.

[12] https://www.geopolitica.ru/en/article/what-white-genocide

[13] Een term uit het anti-multiculturele discours van Frans politiek filosoof Charles Maurras (1868-1952), bekend als voorstander van ‘nationaal integralisme’ en ideoloog van de monarchistische en anti-revolutionaire beweging Action française.

[14] Wolfheze, Alba Rosa, 147ff.

[15] Voor een beknopte weergave van de filosofische en cultuur-historische context van het Cultuur Nihilisme: https://www.erkenbrand.eu/artikelen/de-identitaire-beelde...

[16] Het naar de (proto-globalistische) Franse revolutionaire terreur verwijzende ‘epitaaf’ ontwerp voor de Jacobijnse Club in Parijs, aangehaald in Edgar Allen Poe’s The Pit and the Pendulum.

[17] ‘Afgeschermd bezit’ - een liefdadigheidsinstelling voor publiek gebruik onder Islamitisch Recht (bijv. een moskee, een school, een badhuis).

[18] De Jacobijnse Club, gebaseerd op het Jacobijnen klooster in de Parijse Rue Saint-Honoré, was gedurende de Franse Revolutie een extreem-links georiënteerde partijpolitieke organisatie van vrijmetselaars radicalen, gesticht en aangevoerd door Maximilien Robespierre. Zij beoogde seculiere republiek en sociale revolutie af te dwingen door middel van justitiële moord en staatsterreur. Lenin’s politieke methodiek na de Russische Oktober Revolutie werd direct geïnspireerd door het Jacobijnse experiment.

[19] Verwijzingen naar, resp., de naar de 19e Zuid-Amerikaanse vrijheidsstrijder Simón Bolívar genoemde pan-Hispaans-Amerikaanse, anti-imperialistische en semi-socialistische staatsopvatting zoals geformuleerd door de Venezuelaanse President Hugo Chávez (1954-2013) en het ‘Roze Getij’ van (semi-)anti-globalistische en progressieve politieke hervormingen dat grote delen van Latijns-Amerika domineerde, ongeveer tussen de verkiezing van de Venezuelaanse President Hugo Chávez (1999) en de afzetting van de Braziliaanse Presidente Dilma Roussef (2016).

[20] De Europese Commissie bestaat (na de ‘Brexit’) uit 27 ongekozen ‘Commissarissen’ (let op de nomenclatuur die is overgenomen uit het oude Sovjet systeem) die worden voorgedragen door de regeringen van de lidstaten en die gezamenlijk de uitvoerende macht monopoliseren - naast hun exclusief recht op wetsvoorstellen en hun sterke controle op de wetsuitvoering. De Europese Commissie, sinds 2014 voorgezeten door de Luxemburger Jean-Claude Juncker, heeft daarmee feitelijk dictatoriale macht, ook als zij deze macht vrijwel uitsluitend in negatieve zin uitoefent door haar institutionele begunstiging van laissez faire neo-liberalisme en ‘open grenzen’ cultuur-marxisme. Theoretisch gesproken moet het Europees Parlement de benoemingen goedkeuren en heeft het Parlement het recht de Commissie naar het huis te sturen, maar in de praktijk zijn de benoemingen vrijwel altijd exercities in consensuspolitiek en wordt het afzettingsrecht door parlementaire sabotage gereduceerd tot een dode letter. Een verder democratic deficit ligt natuurlijk in het feit dat de opkomst voor de verkiezingen van het zogenaamd ‘controlerende’ Europese Parlement structureel onder de 50% ligt.

[21] Het Wahhabisme, vernoemd naar Soenni-Islamitisch religieus leider en hervormer Mohammed al-Wahhad (1703-92), is een fundamentalistische en iconoclastische doctrinaire stroming binnen de Hanbali School. De aanduiding ‘Wahhabi’ voor een aanhanger van deze stroming wordt voornamelijk gebruikt door haar tegenstanders: zelf geven aanhangers ervan de voorkeur aan termen als muwahhīd (‘monotheïst’) of Salafist. Het Wahhabisme wordt gekenmerkt door een militant en zelfs agressief purisme dat zich uit in regressieve sociale praktijken naar binnen en institutionele intolerantie naar buiten. Het historisch pragmatische bondgenootschap tussen de Wahhabitische geestelijkheid en het Saoedische koningshuis vertaalt zich in contemporaine geopolitieke realiteiten als ‘Al-Qaida’ en de ‘Islamitische Staat’.

[22] Het Salafisme (salaf, ‘voorgangers, voorvaderen’, concreet: de eerste drie generaties religieuze autoriteiten in Islam) is een door het 18e eeuwse Wahhabisme geïnspireerde Soenni-Islamitische religieuze hervormingsbeweging die ontstond in het 19e eeuwse Egypte ontwikkelde in verzet tegen de maatschappelijke effecten van het Westerse imperialisme. Hoewel deze hele beweging zich verzet tegen secularisme en democratie naar Westers model, is slechts een kleine minderheid van haar aanhangers (de zgn. ‘Jihadisten’) voorstander van de gewapende ‘heilige oorlog’ ter implementatie van de Salafistische maatschappelijke hervorming. De Hanbali maḏab (‘gedragscode’, concreet: doctrinaire ‘school’), gesticht door Ahmad ibn-Hanbal (780-855), is de kleinste van de vier traditionele jurisprudenties van de Soenni-Islam en als dominante leer beperkt tot het Arabische Schiereiland (waar die leer tot wet is verheven in het publieke domein in Saoedi-Arabië en Qatar). De Hanbali School wordt gekenmerkt door een effectieve verwerping van ijmā‘ (‘specialistische consensus’) en ijtihād (‘mentale inspanning’) en een beperkte inzet van qiyās (‘deductieve analogie’) in Islamitische jurisprudentie. Het maatschappelijk conservatisme en financiële slagkracht van de Golfstaten maken de Hanbali School aantrekkelijk als ideologisch basismodel voor islamistische extremisten.

[23] De ‘pelgrim vaderen’ waren de Engelse (grotendeels radicaal-Calvinistische) religieuze dissidenten die in 1609 eerst uitweken naar de Nederlandse Republiek, maar vervolgens met het schip de ‘Mayflower’ emigreerden naar Noord-Amerika, waar zij de Plymouth Colony stichtten (later territoriaal opgenomen in de Massachusetts Bay Colony). Zij worden beschouwd als de grondleggers van de Amerikaanse natie (hier ‘klassiek’ gedefinieerd als White Anglo-Saxon Protestant) en zij worden vaak gezien als de initiators van de Amerikaanse feestdag Thanksgiving Day, ‘Dankzeggingsdag’ (naar verluidt beïnvloed door hun herinnering aan het Leidse Oktoberfeest).

[24] Het concept van de ‘edele wilde’, nog niet ‘gecorrumpeerd’ door de globaal-imperialistisch expansieve maar ‘tegen-natuurlijke’ Westerse beschaving, was een integraal onderdeel van het 18e eeuwse Verlichtingsdenken. De term wordt ten onterechte toegeschreven aan de antropologisch-optimistisch (op een utopische ‘natuur staat’) georiënteerde Frans filosoof Jean-Jacques Rousseau (1712-78). Rousseau’s werk gaf echter wel een ‘proto-oikofobische’ invulling aan de voorliggende archetypische notie van ‘romantisch primitivisme’ (een archetype dat al is terug te vinden in the ‘Enkidoe’ karakter van het Gilgamesj Epos). Voor een Archeo-Futuristische herinterpretatie van het Verlichtingsmotief van de ‘edele wilde’, verg. Wolfheze, Sunset, 318ff.

[25] Een verwijzing naar de semi-genocidale pacificatie campagne van de eerste maanden van 1794 die door het Jacobijnse regime werd gevoerd in de nasleep van de Opstand in de Vendée - deze campagne combineerde de strategieën van verschroeide aarde en ethnic cleansing en kostte tot 40.000 burgers het leven.

[26] Tekst ter gelegenheid van de opening van de Beierse Walhalla Gedenkhal (1842).

[27] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 112ff.

[28] Voor een inleiding op het Eurazianistisch gedachtegoed verg. https://www.erkenbrand.eu/artikelen/le-rouge-et-le-noir-i...

[29] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 200ff.

[30] Verwijzingen naar, resp., de Bijbelse zondeval (specifiek Gen. 3:17), en Karl Marx’ theorie van Entfremdung.

[31] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 55.

[32] Latijn: Caesar, in de Europese Traditie de eretitel van de Imperator, de hoogste bevelsautoriteit, afgeleid van de bijnaam van de Romeinse dictator Gajus Julius (100-44 v. Chr.). Eén van de historisch overgeleverde etymologieën herleidt de bijnaam tot een Noord-Afrikaans woord voor ‘olifant’ (Caesar liet opvallend veel munten slaan met de afbeelding een olifant).

[33] Dit ‘begrenzing’ principe kan worden teruggevonden in de Dasein hermeneutiek van de Duitse filosoof Martin Heidegger (1889-1976) en is recentelijk Archeo-Futuristisch uitgewerkt door de Amerikaans-Perzische filosoof Jason Jorjani (geboren 1981) - verg. Wolfheze, Alba Rosa, 228ff.

[34] Een verwijzing naar de metafysische dimensie van het Traditionalistische begrip ‘Wachter op de Drempel’ zoals recent gereactiveerd door de Russische filosoof Aleksandr Doegin - verg. https://www.erkenbrand.eu/artikelen/de-gebroken-pijl-2/

[35] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 209ff.

[36] Een verwijzing naar de moderne dialectische methode (‘these-antithese-synthese’) ontwikkelt door de Duitse filosoof Friedrich Hegel (1770-1831) en ‘geoperationaliseerd’ door de Duits-Joodse politiek filosoof Karl Marx (1818-83).

[37] Een verwijzing naar de Franse vergelijkende taalwetenschapper Georges Dumézil (1898-1986) die pionerend onderzoek deed naar archaïsche Indo-Europese mythen en sociale structuren, bekend om zijn ‘Trias These’ m.b.t. het oorspronkelijke Indo-Europese kastensysteem.

[38] In latere Perzische taalvarianten en in de Sjāhnāmeh (het nationale epos van Iran, getiteld ‘Het Boek der Koningen’, geschreven door dichter Firdawsī aan het einde van de 10e eeuw AD) wordt deze koning aangeduid als Jamšīd (ofwel ‘Schitterende Yama’), een mythische priester-koning met bovennatuurlijke gaven en de charismatische roeping van de hoogste Katechon.

[39] De Indo-Europese knots wordt als - vaak met goud foelie overtrokken - ceremoniële staf overgenomen als machtssymbool van hoogwaardigheidsbekleders binnen alle Tradities van de Oude Nabije Oosten en de Klassieke Wereld. De symbolische betekenis van de knots is (via cultureel-antropologisch herleidbare structurele opposities) gerelateerd aan die van de scepter (politiek gezag), de toverstaf (spiritueel gezag) en de baton (militair gezag).

[40] De Avestaanse aanduiding voor een van de Zoroastrische Yazata’s (‘vererenswaardige’, vergoddelijkte principes - de term is etymologisch verwant aan het Griekse woord ἅγιος ‘heilig’): het gaat hier om het principe van het ‘Geweten’ dat functioneert als een ‘aartsengel’ en is toegerust met de knots van wereldse macht - in latere Perzische taalvarianten wordt hij aangeduid als Sorūš.

[41] De Middel-Perzische naam Ahriman wordt in het oudere Avestisch weergegeven als Angra Mainyu, ‘Kwade Geest’, de kosmische tegenstrever van de opper- en scheppergodheid Ahura Mazda. Zoals in het Christendom God (Licht, Waarheid, Orde) en de duivel (duisternis, leugen, chaos) tegenover elkaar staan, zo staan in het Zoroastrianisme  Ahura Mazda en Angra Mainyu tegenover elkaar.

[42] Dit charisma wordt in de Christelijke Traditie symbolisch uitgebeeld door middel van een aureool, een halo-effect toegeschreven aan engelen en heiligen. De moderne wetenschap beschrijft dit fenomeen in neurologische termen (bijv. in relatie tot liminele verschijnselen als epilepsie, synesthesie en hallucinatie). Voor de historische context van het concept van de khvarenah verg. Jason Jorjani, World State of Emergency (Londen: Arktos, 2017) 153-92.

[43] Voor Steuckers’ visie van Europa als subcontinentaal deel van de totale Euraziatische ruimte verg. https://www.erkenbrand.eu/artikelen/le-rouge-et-le-noir-i... .

[44] Šihāb ad-Dīn Yahya Sohrawardi (1154-91), bijgenaamd ‘Meester der Verlichting’, baseerde zijn Illuminationisme op de notie van prisca theologia en was zo in staat pre-Islamitische (filosofische concepten en) kennis te integreren in zijn werk. Esoterische symboliek en intellectuele intuïtie zijn essentiële elementen in Sohrawardi’s werk, dat invloed kreeg op het Westerse Traditionalisme door de vertalingen en interpretaties van Henri Corbin (1903-78) en Seyyed Hossein Nasr (geboren 1933).

[45] Een verwijzing naar de verovering van het Chorasmidische Rijk (grosso modo het toenmalige ‘Perzië’) door Dzjengis Khan, beginnend in 1219.

[46] In de Iraanse context kan deze spirituele houding zonder voorbehoud worden omschreven als ‘Arisch’ - het is deze Arische existentiële conditie die door Jason Jorjani wordt onderzocht in zijn werken Prometheus and Atlas en The World State of Emergency.

[47] Joseph Arthur Graaf de Gobineau (1816-82) was een paleo-conservatief Frans denker - vaak genoemd als grondlegger van het laat-19e en vroeg-20e eeuwse ‘wetenschappelijk racisme’ - die tijdens zijn diplomatieke dienst in Perzië een levenslange filosofische, geschiedkundige en mystieke fascinatie voor de Perzische Traditie ontwikkelde.

[48] https://www.koninklijkhuis.nl/documenten/toespraken/2018/...

[49] https://www.geopolitica.ru/en/article/problems-european-s...

[50] Na ‘Brexit’ heeft zelfs in de mainstream media voorzichtige interesse getoond voor de niet-globalistische immigratie politiek van de Europese microstaten. bijv. https://www.theguardian.com/politics/2016/oct/09/liechten...

[51] Modellen die waardevolle elementen bevatten zijn o.a. de etnisch-gebaseerde Community Funds van Singapore en de Bumiputra privileges van Maleisië.

[52] Een schuine verwijzing naar de titel van het boek van Pim Fortuyn, De puinhopen van acht jaar paars (2002).

[53] Een verwijzing naar de titel van het Martin Bosma’ politieke traktaat De schijn-élite van de valse munters (2010), door Bosma zelf vrij toegankelijk gemaakt via https://gratis-boek.nl/martin-bosma-de-schijn-elite-van-d...

[54] https://www.koninklijkhuis.nl/documenten/toespraken/2018/...

[55] Een term die in de Nederlandse publieke sfeer werd geïntroduceerd door de politieke leider van het CDA, Sybrand van Haersma Buma.

lundi, 04 mars 2019

H. P. Lovecraft à la lumière du Soleil Levant

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H. P. Lovecraft à la lumière du Soleil Levant

par Thierry Durolle

Nul n’est prophète en son pays… et en son temps ! Ce fut le cas du plus célèbre des écrivains fantastiques que le monde des hommes ait connu: Howard Phillips Lovecraft. Né en 1890 à Providence dans le Rhode Island et mort en 1937 dans la même ville, Lovecraft n’était pas un auteur populaire à son époque. Entre temps, son univers si particulier fut redécouvert mais surtout apprécié à sa juste valeur. Le « mythe de Lovecraft », pour reprendre l’expression de son biographe S.T. Joshi, a imprégné moult aspects et domaines de la culture populaire, du cinéma à la musique, en passant par l’art graphique, sur lequel nous allons nous pencher.

tdl-2.jpgMais avant cela, il faut tout d’abord revenir sur quelques caractéristiques majeurs, ainsi que quelques grands thèmes présents,pour ne pas dire constitutifs, de l’œuvre de Lovecraft. Évidemment il y a tout d’abord ces entités primordiales monstrueuses, ces abominations répondant aux noms de Yog-Sothoth, Nyarlathotep ou bien encore Cthulhu. A l’instar de nombreux éléments qui façonnent l’univers de l’auteur, son panthéon noir est sujet à l’intertextualité : le lecteur retrouvera ces monstruosités dans divers nouvelles indépendantes des unes des autres. Ces horreurs sont également citées dans des livres, le plus souvent des vieux grimoires comme le Necronomicon, les Manuscrits Pnakotiques, l’Unaussprechlichen Kulten,etc, eux-aussi présents dans la plupart des écrits de Lovecraft (et il en est de même pour certains lieux, bien réels ou imaginaires). L’intertextualité constitue une véritable toile de fond qui contribue à la création de l’univers « lovecraftien ».

Un autre aspect de l’œuvre de H.P.Lovecraft est la dialectique Progrès/Conservatisme-rejet de la modernité. Nous savons que le « père » de Cthulhu s’était intéressé à l’astronomie et aux progrès scientifiques. Cela ne l’empêchait pourtant pas de ressentir une méfiance certaine envers les nouvelles découvertes, animé sans doute de cette peur de l’inconnu tellement humaine : il suffit de relire les nouvelles Herbert West, réanimateur et Les montagnes hallucinées pour s’en convaincre. H.P.Lovecraft aurait-il été un défenseur du concept de limite ? Il n’y a là qu’un pas que nous nous abstenons de faire, mais il nous semble plus mesuré de voir en lui une sorte de donneur d’alerte : les forces élémentaires, titaniques, risquent une nouvelle fois de faire irruption dans notre monde.

tdl-3.jpgCette dialectique s’accompagne ainsi d’une atmosphère anti-moderne palpable, voir d’un véritable retour à l’archaïque (type de sculptures, d’architectures, de sociétés humaines, etc). Mais, encore une fois, H.P.Lovecraft pouvait également s’intéresser à des « tendances » de son époque, comme l’eugénisme. Certes Lovecraft était raciste et antisémite – les pseudo-journalistes et autres écrivaillons n’oublient jamais de gloser là-dessus  bien évidemment – mais c’est surtout la dégénérescence atavique qui est intéressant chez lui. Les nouvelles La peur qui rode et surtout Le cauchemar d’Innsmouth mettent horriblement en avant ces thèmes, voir aussi celui du Destin.

Les montagnes hallucinées, à notre avis l’une des meilleures nouvelles de l’écrivain, emploie à merveille la dialectique mentionnée plus haut. L’ambiance y est glaciale, anxiogène mais parfois onirique, avec forcément une dose d’horreur sans quoi Lovecraft ne serait pas Lovecraft. Nous fûmes surpris d’apprendre la parution en français d’une adaptation de ce formidable récit en manga. C’est donc en néophyte curieux que nous nous sommes plongé dans le travail de Gou Tanabe.

Peu d’informations sur ce mangaka nous sont parvenues dans l’Hexagone. Né en 1975, Gou Tanabe s’est visiblement spécialisé dans l’adaptation de romans ou de nouvelles horrifiques japonaises, russes et américaines. The Hound (Le molosse) fut sa première adaptation d’une nouvelle de Lovecraft. Il s’attaque donc maintenant aux terribles montagnes de l’Antarctique.

tdl-4.jpgEn 1930, une expédition en Antarctique est organisée par l’Université Miskatonic. Celle-ci est composée de nombreux scientifiques et d’étudiants : biologistes, géologues, et physiciens. Ayant établi leur QG sur le mont Erebus, les premières découvertes ne tardent pas à voir le jour. Enthousiasmé, le Professeur Lake décide de poursuivre les recherches au nord-ouest. C’est en arrivant sur place qu’ils vont découvrir une chaîne de montagnes plus haute encore que l’Himalaya. Une fois leur camp installé, l’équipe met à jour une grotte abritant des restes de créatures inconnues, mi-animales, mi-végétales, que le Pr. Lake baptisera « les Anciens », en référence à la description de créatures semblables dans le Necronomicon. Une violente tempête s’abat sur la région et le contact entre les deux équipes est coupée. Le Professeur Dyer décide d’aller aider ses confrères partis au nord-ouest. Sur place, ils ne trouveront que les cadavres horriblement mutilés de l’équipe et des chiens de traîneau. Seul manque à l’appel Gedney, l’assistant de Lake, et un chien…

Cette adaptation est l’occasion d’étoffer une nouvelle au style narratif à la première personne qui ne s’embarrassait pas de dialogues (hormis entre Dyer et Danforth). C’est donc un développement qui devrait plaire aux inconditionnels de ce récit. Le dessin quant à lui est excellent. A l’évidence Gou Tanabe maîtrise son art et surtout son sujet. Il n’a pas son pareil pour dessiner des paysages lugubres. Sous sa plume, l’horrible plateau de Leng devient réalité. Cette adaptation des Montagnes hallucinées est une réussite. Il faut espérer que le mangaka ne s’arrêtera pas en si bon chemin.

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dimanche, 03 mars 2019

Yockey et la machine américaine à uniformiser

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Yockey et la machine américaine à uniformiser

Les Carnets de Nicolas Bonnal

FPY-imp.jpgRené Girard a parlé de l’Amérique comme puissance mimétique. Sur cette planète de crétins en effet tout le monde veut devenir américain, y compris quand il s’agit de payer des études à quarante mille euros/an, des opérations à 200 000 euros, de devenir obèse et même abruti par la consommation de médias et d’opiacés...

L’affaire est déjà ancienne et René Guénon a bien évoqué après Tocqueville ou Beaumont la médiocrité industrielle de la vie ordinaire/américanisée qu’on nous impose depuis les bourgeoises révolutions...

Un des américains à avoir le mieux parlé de cette uniformisation, après Poe ou Hawthorne, fut Francis Parker Yockey. Je laisse de côté ses vues politiques totalement aberrantes et je prends en compte ses observations sociologiques qui, comme celles de Louis-Ferdinand Céline, sont souvent justes ou/et intéressantes. Voici ce qu’il observe à l’époque de Bogart, quand tout le monde là-bas mène une vie gris Hopper, clope sans arrêt, boit son whisky au petit-déjeuner, imite les criminels en se couvrant d’un chapeau et d’une ridicule gabardine :

« La technique pour éliminer la résistance américaine à la distorsion de la culture a été l'uniformité. Chaque Américain a été fait pour s'habiller de la même manière, vivant et discutant de la même façon, se comportant de la même manière et pensant aussi identiquement. Le principe de l'uniformité considère la personnalité comme un danger et aussi comme un fardeau. Ce grand principe a été appliqué à tous les domaines de la vie. La publicité d'un genre et à une échelle inconnue de l'Europe fait partie de cette méthode d'éradication de l’individualisme. On voit partout le même visage vide, souriant. »

La femme américaine fut plus facilement mécanisée que l’homme :

«  Ce principe a avant tout été appliqué à la femme américaine dans les vêtements, les cosmétiques et le comportement, elle a été privée de toute individualité. Une littérature, vaste et inclusive, s'est développée pour mécaniser et uniformiser tous les problèmes et toutes les situations de la vie. Des millions de livres sont vendus pour dire à l’Américain «Comment se faire des amis». D’autres livres lui expliquent comment écrire des lettres, se comporter en public, faire l’amour, jouer à des jeux, uniformiser sa vie intérieure, comment beaucoup d'enfants à avoir, comment s'habiller, même comment penser. »

FPY-lost.jpgLe cinéaste Tim Burton a bien moqué ce comportement homogénéisé/industriel dans plusieurs de ses films, par exemple Edouard aux mains d’argent. Kazan avait fait de même dans l’Arrangement. Aujourd’hui ce comportement monolithique/industriel s’applique à l’humanitaire, à la déviance, à la marginalité, au transsexualisme, au tatouage, au piercing, etc. 

Toujours dans Empire, Francis Parker Yockey ajoute :

« Un concours a récemment eu lieu en Amérique pour trouver «Mr. L'homme moyen». Des statistiques générales ont été utilisées pour trouver le centre/moyen de la population, les relations matrimoniales, la répartition de la population, le nombre de familles, la répartition rurale et urbaine, et ainsi de suite. Enfin, un homme et sa femme avec deux enfants dans une maison de taille moyenne en ville ont été choisis comme «famille moyenne». Ils ont ensuite fait un voyage à New York, ont été interviewés par la presse, fêtés, sollicités pour approuver les produits commerciaux... »

On pense aux films de Capra qui déclinaient jusqu’à l’écœurement ce modèle de l’homme moyen dont se moquent les Coen dans leur œuvre (revoyez Barton Fink ou l’Homme qui n’était pas là sous cet angle) :

Yockey : « Leurs habitudes à la maison, leurs ajustements de vie ont généralement fait l’objet d’une enquête, et puis de généraliser. Ayant trouvé l'homme moyen du haut vers le bas, les idées et les sentiments ont ensuite été généralisés sous la forme de pensées moyennes impératives et des sentiments. Dans les «universités» américaines, les maris et les femmes assistent à une conférence sur l'adaptation au mariage. L’individualisme ne doit même pas être accepté dans quelque chose d'aussi personnel que le mariage. L’uniforme civil est aussi rigoureux – pour chaque type d’occasion – en tant que vêtement militaire ou liturgique le plus strict. »

Notre rebelle dénonce la liquidation des arts : 

« Les arts ont été coordonnés dans le schéma directeur. Il n’y a en Amérique, avec ses 140 000 000 d’habitants, pas une seule compagnie d'opéra continue, ni un seul théâtre continu ; le théâtre n’y produit que des «revues» et des pièces de propagande journalistique. »

Comme Céline ou Duhamel, Yockey souligne le rôle du cinéma :

« Pour le reste, il n’y a que le cinéma et c’est, après tout, le moyen le plus puissant de l’uniformisation de l’Américain. »

La peinture et la musique sont remplacées :

« Dans un pays qui a produit West, Stuart et Copley, il n'y a pas un seul peintre de notoriété publique qui continue dans la tradition occidentale. Les «abstractions», la folie picturale et le souci de la laideur monopolisent l'art pictural.

FPY-flames.jpgLa musique est rarement entendue en Amérique, ayant été remplacée par le battement de tambour sans culture du noir. Comme le dit un musicologue américain: «Le rythme du jazz, tiré de tribus sauvages, est à la fois raffiné et élémentaire et correspond aux dispositions de notre âme moderne. Cela nous excite sans répit, comme le battement de tambour primitif du danseur de la prière. Mais il ne s'arrête pas là. Il doit en même temps tenir compte de l'excitabilité de la psyché moderne. Nous avons soif de stimuli rapides, excitants et en constante évolution. La musique est un excellent moyen d’excitation, syncopé, qui a fait ses preuves. »

Et la littérature aussi :

« La littérature américaine, qui a produit Irving, Emerson, Hawthorne, Melville, Thoreau et Poe, est aujourd'hui entièrement représentée par des distorteurs de la culture qui transforment les motifs freudiens et marxistes en pièces de théâtre et en romans. »

Famille et religion n’existent déjà plus (années de la révolution sociétale Roosevelt) :

« La vie de famille américaine a été complètement désintégrée par le régime qui déforme la culture. Dans le foyer américain habituel, les parents ont en réalité moins d'autorité que les enfants. Les écoles n'appliquent aucune discipline, pas plus que les églises. La fonction de formation des esprits des jeunes a été abdiquée par tous en faveur du cinéma. Le mariage en Amérique a été remplacé par le divorce. Ceci est dit sans intention paradoxale. Les statistiques montrent que dans les grandes villes, un mariage sur deux se termine par un divorce. Le pays dans son ensemble, le chiffre est un sur trois. »

La presse sert à manipuler, à préparer la guerre (pensons à l’Iran, au Venezuela, à la Russie, à la Chine, gros morceaux pourtant, mais rien n’arrêtera nos couillons) :

« L'uniformité est la technique de l'excitation. La presse présente chaque jour de nouvelles sensations. Que ce soit un meurtre, un enlèvement, un scandale gouvernemental ou une alerte à la guerre, peu importe la raison. Mais, à des fins politiques particulières, ces dernières sensations sont les plus efficaces. Pour nous préparer à la Seconde Guerre mondiale, le facteur de distorsion a administré tous les jours une nouvelle "crise". Le processus a augmenté jusqu'à ce que la population soit prête à se féliciter du déclenchement de la guerre comme un soulagement de la constante tension nerveuse. Lorsque la guerre est apparue, le distorteur a immédiatement appelé une "guerre mondiale" malgré le fait que seulement trois puissances politiques étaient engagées, et les plus forts pouvoirs n'étaient pas impliqués. »

On tape souvent sur les Américains ou les Anglo-Saxons en oubliant, comme me disait Jean Parvulesco peu avant sa mort, qu’ils avaient d’abord perdu le combat chez eux…

 

Source

Yockey, Imperium, world-outlook, pp. 502-506

La Chine devient un arbitre mondial incontournable

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La Chine devient un arbitre mondial incontournable

par Jean-Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu

A la fin du 20e siècle, c'était l'Amérique qui s'était imposée dans ce rôle. Des aujourd'hui et dans les prochaines décennies ce sera la Chine. De plus si l'Amérique avait pu acquérir ce rôle, c'était essentiellement grâce à sa puissance militaire. Aujourd'hui la Chine le devient grâce à son habilité diplomatique.

L'incapacité manifestée le 31 janvier par Donald Trump pour faire céder le leader nord-coréen Kim Jong Un dans l'affaire du désarmement nucléaire vient d'en donner un exemple éclatant. Cet épisode a certes mis en valeur le manque de réalisme et l'immense maladresse de Trump lui-même. Mais elle a surtout montré qu'une Amérique considérée encore comme la première puissance mondiale n'avait plus désormais, sauf à déclencher une guerre nucléaire, la capacité de faire céder un petit Etat asiatique.

Dans cette affaire, la Chine est intervenue discrètement, autant que l'on sache, pour rappeler à Kim que si elle le soutenait politiquement, il ne devait pas abuser de ce soutien et qu'il devait en particulier tenir le plus grand compte des intérêts de la Corée du Sud et des autres Etats de la région. Comme la Chine est voisine de la Corée du Nord et que celle-ci avait toujours bénéficié de son aide, PyongYang n'est pas en mesure de refuser son arbitrage.

Sur de nombreux autres théâtres de confrontation entre les Etats-Unis et la Russie, le président chinois Xi Jinping, sans s'opposer directement au positions de son allié Vladimir Poutine, joue là aussi un rôle d'apaisement permettant de calmer l'hystérie anti-russe que Washington s'efforce de propager dans l'ensemble du monde occidental. Au Venezuela, la Chine et la Russie se sont opposées jusqu'ici avec succès aux efforts de Donald Trump pour renverser Nicolas Maduro. Plus généralement, la Chine qui a de plus en plus d'investissements en Amérique Latine, fera tout son possible pour éviter des tensions entre les pays de ce continent. Il en sera de même en Afrique.

Dans le début de guerre entre Inde et Pakistan, la Chine alliée de ce dernier pays, s'efforce actuellement d'éviter qu'une guerre de grande ampleur n'éclate entre Delhi et Islamabad. Ses intérêts, notamment dans le cadre de l'Obor, en seraient directement affectés. Mais elle veut également maintenir de bonnes relations avec l'Inde avec qui elle cohabite dans le cadre du Brics. On peut espérer que son intermédiation ramènera à la raison les deux adversaires.

Au Moyen-Orient, il semble bien que la diplomatie chinoise intervienne pour détendre les relations entre l'Iran, l'Irak et la Syrie.

La Chine dispose d'atouts importants pour se faire prendre au sérieux par les autres grandes puissances. Le milliard de chinois sont désormais réputés pour jouer la carte d'un développement mondial pacifique. On ne peut en dire autant du milliard d'hindous qui restent pénétrés d'un hindouisme religieux militant qui les pousse à s'opposer au reste du monde. Sur le plan des industries numériques et de la recherche scientifique avancée, la Chine est en voie de rattraper le retard qu'elle avait pris sur les Etats-Unis. Elle dispose par ailleurs d'un élément essentiel pour ce faire, les très nombreux chercheurs chinois qui travaillent dans les laboratoires américains et pourraient si consigne leur en était donnée, rejoindre rapidement leur pays d'origine. Concernant les industries spatiales et l'exploration de l'espace, si elle reste encore inférieure aux Etats-Unis, cette infériorité ne durera pas, car les crédits publics ne manquent pas. Ce qui n'est plus le cas désormais dans le spatial américain non militaire.

Inutile d'ajouter que l'Europe, et plus particulièrement la France, qui auraient pu également jouer ce rôle d'arbitre, en accord avec la Chine, ne le feront pas car elles sont et demeureront des american puppets.

Note. Sur la Chine, voir cet article se voulant rassurant de Bruno Guiguez https://francais.rt.com/opinions/59011-chine-sans-oeiller...

 

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