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Pino Rauti era nato a Cardinale (Catanzaro) il 19 novembre del 1926
Giovanissimo partecipò alla nascita del Movimento sociale italiano di cui fu anche leader. Aveva 85 anni. Assunta Almirante: «E’ stato uno dei grandi della destra italiana»
È morto Pino Rauti. L’ex segretario del Movimento Sociale Italiano, che avrebbe compiuto 86 anni il 19 novembre, si è spento alle 9.30 di questa mattina nella sua casa di Roma. Nel 1946, giovanissimo, contribuì alla nascita del Movimento.
“E’ stato uno dei bravi, dei grandi di questa destra”. le parole di Assunta Almirante, vedova di Giorgio Almirante, storico leader del Movimento sociale, che ha ricordato i guai giudiziari di Rauti, coinvolto nelle inchieste sul terrorismo stragista neofascista: “Molto ingiustamente è stato indicato come un uomo che aveva commesso errori che è stato accertato che non erano suoi, come la strage di piazza Fontana”. Per la vedova Almirante Rauti “è stato una persona di grande intelligenza, è stato indicato come il fondatore di Ordine nuovo ma era un uomo di partito come pochi ce ne sono stati”.
Il Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, ha espresso«il più profondo cordoglio per la scomparsa di Pino Rauti, uomo politico che ha rappresentato una parte di rilievo nella storia della Destra italiana». «Parlamentare rigoroso, intellettuale di profonda cultura, Rauti - conclude - ha testimoniato con passione e dedizione gli ideali della nazione e della società che appartengono alla storia politica del nostro Paese. Ai familiari esprimo i sentimenti della più intensa vicinanza mia personale e della Camera dei deputati».
Il «fascista di sinistra», come è stato definito Giuseppe Umberto Rauti, nacque a Cardinale, in provincia di Catanzaro, il 19 novembre 1926. Fascista di sinistra in contrapposizione con il «fascismo di destra» incarnato da Giorgio Almirante, prima, e da Gianfranco Fini poi. L’attenzione di Rauti si concentrava, infatti, sulla socializzazione e sui temi dell’anticapitalismo e del terzomondismo interpretando, dal suo punto di vista, i motivi ispiratori del fascismo. Questo lo ha relegato per lungo tempo in una posizione minoritaria all’interno del Msi, partito che, giovanissimo, contribuisce a fondare alla fine del 1946. Nei primi anni cinquanta contribuisce a dare nuovamente vita all’organizzazione neofascista che rispondeva alla sigla FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria) insieme ad alcuni appartenenti alla corrente così detta «pagana» e «germanica» della prima organizzazione disciolta nel luglio del 1947.
Dopo due attentati a Roma, presso il Ministero degli Esteri e all’ambasciata statunitense, il 24 maggio 1951 furono condotti numerosi arresti nei confronti dei quadri di questa organizzazione, fra questi: Pino Rauti, Fausto Gianfranceschi, Clemente Graziani, Franco Petronio, Franco Dragoni e Flaminio Capotondi. Tra gli arrestati anche il filosofo Julius Evola, considerato l’ispiratore del gruppo. Il processo si concluse il 20 novembre 1951: Graziani, Gianfranceschi e Dragoni furono condannati a un anno e undici mesi. Altri dieci imputati a pene minori. Tutti gli altri vennero assolti. Tra loro Evola, Rauti ed Erra. Con la fine del processo si concluse definitivamente anche l’adozione della sigla FAR. Nel 1954, dopo la vittoria dei fascisti in doppiopetto e la nomina a segretario di Arturo Michelini, dà vita al centro studi Ordine Nuovo. Nel 1956 Ordine Nuovo esce dal MSI. Arriverà ad avere dai 2.000 ai 3.000 iscritti. Successivamente Giorgio Freda ed altri esponenti di estrema destra entreranno a far parte di Ordine Nuovo. Negli anni sessanta e settanta, il nome di questa organizzazione verrà usato per rivendicare una serie di attentati, ai quali Rauti si dichiarerà sempre estraneo. Nel maggio del 1965 l’istituto di studi militari Alberto Pollio organizza un convegno sulla «guerra rivoluzionaria», a Roma all’Hotel Parco dei Principi, che viene finanziato dallo Stato Maggiore dell’esercito: si trattava di un raduno fra fascisti, alte cariche dello Stato e imprenditori: Rauti presenta una relazione su «La tattica della penetrazione comunista in Italia». Il 16 aprile 1968 parte insieme ad altri 51 estremisti di destra (fra cui l’agente del SID Stefano Serpieri, Giulio Maceratini, Mario Merlino, Stefano Delle Chiaie, Franco Rocchetta) da Brindisi per un viaggio di istruzione sulle tecniche di infiltrazione, nella Grecia dei Colonnelli, a spese del governo greco. Con l’arrivo alla segreteria del MSI nel 1969 di Giorgio Almirante, Rauti e un gruppo di dirigenti rientrò nel partito, e alla guida del movimento restò Clemente Graziani.
Il 4 marzo 1972 il giudice Stiz di Treviso esegue mandato di cattura contro Rauti per gli attentati ai treni dell’8 e 9 agosto 1969. Successivamente l’incriminazione si estenderà agli attentati del 12 dicembre. Il 21 novembre 1973 trenta aderenti ad Ordine Nuovo vengono condannati dalla magistratura per ricostituzione del Partito Nazionale Fascista e viene decretato lo scioglimento dell’organizzazione. Nel 1974, con la rivoluzione dei garofani in Portogallo, viene scoperta l’organizzazione eversiva internazionale fascista Aginter Press con la quale ha stretti rapporti anche Rauti attraverso l’agenzia Oltremare per la quale lavora. Nessuna di queste inchieste ha mai accertato qualche reato a suo carico. Successivamente Pino Rauti fu inquisito per la strage di Piazza della Loggia a Brescia e in merito il 15 maggio 2008 è stato rinviato a giudizio. Assolto il 16 novembre 2010 in base all’articolo 530 comma 2 del codice di procedura penale (insufficienza di prove). Nelle richieste del pm Roberto Di Martino, per quanto concerne la posizione di Pino Rauti si afferma che la sua è una «responsabilità morale, ma la sua posizione non è equiparabile a quella degli altri imputati dal punto di vista processuale. La sua posizione è quella del predicatore di idee praticate da altri ma non ci sono situazioni di responsabilità oggettiva. La conclusione è che Rauti va assolto perché non ha commesso il fatto».
Nel 1972 Rauti viene eletto deputato alla Camera nelle file del Msi nel collegio di Roma, dove verrà sempre rieletto fino alle elezioni del 1994. È promotore di una stagione di rinnovamento dentro il partito, lanciando un quindicinale «Linea», e organizzazioni parallele, dal Movimento giovani disoccupati, ai Gruppi Ricerca Ecologica, e sostenendo i Campo Hobbit fu riferimento delle nuove generazioni del Fronte della Gioventù. La sua era detta la componente dei «Rautiani». Nel 1979, al XII congresso del MSI-DN, viene eletto vicesegretario. È animatore di mozioni congressuali come «Linea futura» (1977), «Spazio Nuovo» (1979 e 1982) e «Andare oltre» (1987). Il 14 dicembre 1987, al XV congresso del MSI a Sorrento, raccoglie quasi la metà dei consensi, insieme alla corrente di Beppe Niccolai, per l’elezione a segretario, ma è battuto da Gianfranco Fini, sostenuto dal segretario uscente e padre nobile del partito Giorgio Almirante, ormai gravemente malato.
Dans une tribune publiée le lundi 22 octobre dans le journal Le Monde, des politiques et intellectuels français ont appelé ouvertement à une intervention militaire occidentale en Syrie, pour abattre le régime de Bashar-El-Assad. Le texte, signé par Jacques Bérès, Mario Bettati, André Glucksmann, Bernard Kouchner et Bernard-Henri Lévy est l’aboutissement d’une pensée politique Occidentale, Americano-centrée, qui associe les notions de « droit d’ingérence » et « d’occident gendarme de la planète ». L’article arrondit des chiffres invérifiables. Bashar El Assad aurait fait assassiner 40.000 personnes (!), alors que ce chiffre est visiblement le total des morts, comprenant quand même les milliers de soldats Syriens et de civils assassinés par ceux que les auteurs de l’article osent qualifier « d’opposition Syrienne ». Il est sans doute inutile de revenir sur le parallèle grossier et irresponsable qui est fait entre la Syrie et la Libye, puisque désormais tout le monde sait que la Libye d’aujourd’hui ne mérite même plus le nom d’état, tellement elle est gangrenée par l’Islamisme radical, la violence et les volontés séparatistes. Il faut aussi noter, dans cet article, le ridicule parallèle historique fait entre la Russie de Vladimir Poutine qui soutient la Syrie et l’époque ou Mussolini et Hitler armaient les putschistes de Franco pendant la guerre d’Espagne. Mais les choses, observées depuis le café de Flore, paraissent simples : il faut que les puissances occidentales interviennent militairement.
Pour nos va-t-en guerre, « Le Conseil de sécurité de l'ONU étant paralysé par les vetos russe et chinois, n'importe quelle autre alliance est justifiée pour arrêter les rivières de sang qui coulent dans les villes syriennes (…) L'OTAN, l'UE, la France, les Etats-Unis devraient donc cesser de se dérober et enfin organiser une aide décisive à la Syrie démocratique ». Ceux qui s’opposent à une intervention militaire occidentale s’inquiètent eux du sort qui pourrait être réservé aux minorités chrétiennes, alaouites, druzes, ismaélites, turkmènes, arméniennes, après un changement de régime en Syrie, et des risques de déstabilisation pour les pays voisins, Turquie, Liban, Jordanie et Israël. Mais par ailleurs, le véto russo-chinois au conseil de sécurité de l’ONU est peut être bien un soulagement pour les puissances occidentales qui hésitent, face à la complexité de la situation dans la région. Est-ce qu’il s’agit du début d’un grand affrontement entre Islam chiite et Islam sunnite ? Quelles sont les rivalités entre l’Egypte, l’Arabie saoudite et la Turquie ? Quel est le rôle exact du Qatar qui vient de briser l’isolement diplomatique du Hamas dans la bande de Gaza et surtout soutient l’internationale Djihadiste qui combat l’armée Syrienne ?
Ceux qui poussent à une intervention occidentale en Syrie se servent également de l’arme médiatique pour ranger le régime syrien dans « l’axe du mal ». Tout comme la Serbie en 1992, la Syrie est elle aussi victime d’une guerre de désinformation de très haute intensité et se retrouve menacée d’une agression militaire. Mais alors qu’Alep est présentée comme une ville en ruines et en sang par toute la presse occidentale (« des rivières de sang » disent nos va-t-en-guerre), un article récent explique qu’en fait la capitale économique du pays était largement aux mains du régime et que de nombreux quartiers de la ville n’étaient même pas touchés par les combats. Mieux encore, le reporter ébahi y constate que le marché fonctionne et que la liaison par bus avec Damas n’est pas coupée. Malgré toute la propagande déployée et l’offensive subventionnée de milliers de mercenaires islamistes, ni l’attaque de Damas ni la bataille d’Alep n’ont pourtant abouti a déstabiliser le régime Syrien.
La méthode il est vrai n’est pas nouvelle, la Yougoslavie en a fait les frais de 1992 à 1999, lorsqu’elle fut attaquée elle aussi par les mêmes puissances qui menacent la Syrie aujourd’hui. Après une campagne de désinformation médiatique exemplaire, les forces croates et bosniaques furent elles aussi épaulées par des Djihadistes Islamistes acheminés dans la région via le soutien logistique et politique du département d’état américain pour combattre l’armée serbe, il y a de cela déjà 20 ans!
Depuis le démantèlement de la Yougoslavie qui n’est toujours pas terminé (Kosovo), les interventions militaires de l’occident en Irak, en Afghanistan et en Lybie n’ont pas donné de résultats probants, c’est le moins qu’on puisse dire. Ces trois pays sont déstabilisés pour longtemps, et une intervention en Syrie pourrait être lourde de conséquences. Déstabiliser toute la région, détériorer les rapports entre les occidentaux d’une part, la Russie et la Chine d’autre part, et de plus enlever toute crédibilité au conseil de sécurité de l’ONU. Alors à quoi jouent nos apprentis sorciers dans les colonnes du journal Le Monde ? Ceux-ci s’étaient faits en 1992 les apôtres de l’impardonnable alliance entre les nationalistes croates, les mercenaires arabes et les intérêts américains dans la région. Nul surprise des lors de les retrouver aujourd’hui a appeler à la croisade en Syrie et à soutenir la diabolique et désormais cyclique alliance entre les puissances occidentales et les pétromonarchies Islamiques du golfe.
Il convient de tenter de comprendre l’objectif de ces opérations militaires contre la Serbie et la Syrie et celles-ci sont très claires. Ces deux pays ont un point commun essentiel: avoir refusé l’alignement géostratégique imposé par les Occidentaux, nouveaux gendarmes du monde, et être des alliés objectifs de la Russie. Les interventions contre la Serbie et la Syrie ont donc un objectif géopolitique clair: il s’agit d’annihiler la sphère d’influence de la Russie en détruisant un à un ses alliés les plus fiables, et les plus vulnérables. Nul doute que les prochaines étapes de ce remodelage géostratégique planifié viseront l’Iran, puis la Biélorussie, les deux derniers alliés clefs de la Russie. Et ensuite?
Quel que soit le résultat de l’élection américaine, qui pourrait voir l’arrivée à la maison blanche d’un candidat ayant déclaré que la Russie était l’ennemi puis l’adversaire principal de l’Amérique, une chose est certaine, le conflit Syrien semble parti pour s’intensifier et pour durer.
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Hans-Werner Sinn im n-tv Interview "Der Euro ist kaputt" Hans-Werner Sinn sorgt mal wieder für Furore. In Berlin stellt der streitbare Ifo-Präsident sein neues Buch zur Eurokrise vor. Mit n-tv spricht Sinn über den Euro, wie er gerettet werden kann und warum es notwenig ist, dass Griechenland temporär aus der Eurozone austritt. http://www.n-tv.de/mediathek/videos/wirtschaft/Der-Euro-ist-kaputt-article7458066.html
Frankfurt Identitäre in Deutschland, Nr. 1 – Jetzt mit Video von Johannes Schüller Mit einer kleinen, spontanen Aktion haben Identitäre aus Hessen gestern Abend die Eröffnung der »Interkulturellen Wochen« in Frankfurt am Main bereichert. Ein Video dazu folgt bald. Mehr zu den Identitären gibt’s hier, Material zur Eigeninitiative hier. Am Dienstagabend haben mehrere Aktivisten der Identitären Bewegung aus verschiedenen Untergruppen der feierlichen Eröffnung der interkulturellen Wochen in Frankfurt am Main in der Zentralbibliothek einen Besuch abgestattet und vor ca. 70 -100 Anwesenden (darunter auch http://de.wikipedia.org/wiki/Nargess_Eskandari-Grünberg#Kontroverse) Multikulti weggebasst! http://www.blog.blauenarzisse.de/5475/identitaere-in-deutschland.html
Rechtsruck zu den Freien Wählern Freie CDU-Wähler CDU-Politiker trommeln in einer „Wahlalternative 2013“ für die Freien Wähler. Die sollen „Partnerpartei“ für Konservative und Euroskeptiker sein. http://taz.de/Rechtsruck-zu-den-Freien-Waehlern/!102918/
(Fachkräftemangel = Durch Zuwanderung entstandene Probleme durch weitere Zuwanderung lösen) Zerrbild Deutschland: Wettbewerbsfähigkeit nur durch billige Löhne, Zeitarbeit und Minijobs? http://www.kas.de/wf/de/33.32460/
(„Keine Erklärung“ hat Klaus Wowereit für die Tat: „Berlins Regierender Bürgermeister Klaus Wowereit (SPD) bezeichnete die Tat nach der Gedenkstunde als sinnlos. Es gebe keine Erklärung für den Gewaltakt. Zur Suche nach den Tätern wollte er sich nicht äußern.“) Berliner trauern um Jonny K. http://www.rp-online.de/panorama/deutschland/berliner-trauern-um-jonny-k-1.3048147
Tout grand évènement religieux a des causes politiques et historiques. Cette observation se vérifie particulièrement en Europe dans l’histoire du christianisme, en raison des liens étroits et conflictuels établis entre l’Église et l’État, le Sacerdoce et l’Empire, le Trône et l’Autel. Tel est le sujet du dossier de la NRH de novembre 2012 (n° 63). Si vous prenez le temps de le lire, vous découvrirez certainement une face des choses qui vous paraîtra neuve. L’étude historique comme nous la pratiquons n’a pas pour but de rabâcher les clichés entretenus par une transmission paresseuse des savoirs scolaires. Elle à pour but de nous donner des instruments pour comprendre les mystères du passé et ceux du présent afin de construire notre avenir.
Il existe bien d’autres religions (ou de sagesses religieuses) à travers le monde et d’origine vénérable, mais aucune n’a eu un destin comparable au christianisme, en ce sens où aucune n’a édifié sur la longue durée une telle institution de pouvoir se posant à la fois en rivale ou en appui du Trône ou de l’État. Analyser cette particularité excède naturellement les limites de cet éditorial (1). Je me limiterai donc à rappeler deux particularités historiques majeures.
À la suite d’une série d’imprévus historiques majeurs, à la fin du IVe siècle de notre ère, un culte d’origine orientale et en constants changements fut adopté comme religion d’État obligatoire d’un Empire romain devenu largement cosmopolite. Pour faire bref, je ne crois pas du tout à la vieille thèse selon laquelle la nouvelle religion aurait provoqué la décadence de l’Empire. En revanche, c’est évidemment parce que « Rome n’était plus dans Rome » depuis longtemps, que les empereurs, à la suite de Constantin et de Théodose (malgré l’opposition de Julien), décidèrent, pour des raisons hautement politiques, d’adopter cette religion.
En trois gros siècles (l’espace de temps qui nous sépare de Louis XIV), la petite secte juive des origine était devenue une institution sacerdotale frottée de philosophie grecque que saint Paul avait ouverte à tous les non-circoncis (Galates, 3-28), une religion qui se voulait désormais celle de tous les hommes.
Ce projet d’universalité chrétienne coïncidait avec l’ambition universelle de l’Empire. Il en était même le décalque, ce qui favorisa son adoption après des périodes de conflits (sans parler des nombreuses hérésies). Pour un empire à vocation universelle, une religion qui se voulait celle de tous les hommes convenait mieux que la religion des dieux autochtones de l’ancienne cité romaine. On pense rarement à cette réalité capitale. Tout plaidait politiquement en faveur de cette adoption, et les apologistes chrétiens n’ont pas manqué de le souligner. À la différence de l’ancienne religion civique, la nouvelle était individuelle et personnelle. Par la prière, chaque fidèle était en relation implorante avec le nouveau Dieu. Celui-ci ne s’opposait pas au pouvoir impérial : « Rendons à César ce qui est à César et à Dieu ce qui est à Dieu ». Les difficultés surgiront ultérieurement sur la délimitation du territoire accordé à César (le Trône) et à Dieu (l’Autel).
Par la voix de saint Paul, l’Église naissante avait justifié l’autorité des Césars : « Tout pouvoir vient de Dieu » (Romains, 13). À la condition toutefois que les Césars lui reconnaissent le monopole de la religion et de la parole sacrée. À cet égard, l’Empire multiethnique de l’époque ne pouvait souhaiter mieux qu’une religion prête à le servir en unifiant tous les peuples et toutes les races dans l’adoration d’un même Dieu sans attache ethnique.
L’empereur Constantin, imité en cela par ses successeurs en Orient (Byzance) était bien décidé à intervenir dans les affaires d’une Église qu’il voulait soumise, et à mettre de l’ordre dans les disputes théologiques grosses de désordres. Son autorité s’imposa ainsi au Concile de Nicée (326) qui établit les fondements de l’orthodoxie catholique en donnant une assise au mystère de la trinité divine. Devenue obligatoire, ce qui impliquait la conversion de tout titulaire d’autorité, l’Église naissante devint une formidable machine de pouvoir, épousant les structures de cette non moins formidable institution qu’était l’Empire.
Un siècle après Constantin et Théodose, surgit un nouvel imprévu historique aux conséquences colossales. Depuis longtemps, le gigantisme de l’Empire avait conduit à le diviser en deux : empire d’Occident (capitale Rome en attendant Ravenne) et empire d’Orient (capitale Constantinople). Une primature était accordée à Constantinople en raison du déplacement oriental du centre géométrique, ethnique et économique, de l’Empire. Cela d’autant que la présence toujours accrue à l’Ouest de populations germaniques, dites « barbares », créait une instabilité mal maîtrisée.
C’est ainsi qu’en 476, le dernier empereur fantoche d’Occident (Augustule) fut déposé par un chef hérule nommé Odoacre qui renvoya les insignes impériaux à Constantinople. Cet évènement signait la fin discrète de l’empire d’Occident (2). Ne subsistaient à l’Ouest que deux pouvoirs issus partiellement de l’ancienne Rome. Celui d’abord des rois et chefs germaniques adoubés par l’Empire, qui sont à l’origine de tous les royaumes européens. Celui, ensuite, plus ou moins concurrent d’une Église, riche et puissante, représentée par ses évêques, héritiers de l’administration diocésaine romaine.
Ce serait trop simplifier les choses que de distinguer alors pouvoir politique et pouvoir religieux, tant ce dernier disposait d’une part notable de la richesse et de la puissance publique. Mais dans ce monde neuf d’un Occident en ébullition, vont apparaître bientôt deux autres pouvoirs juxtaposés aux précédents, celui du pape, évêque de Rome, et celui des empereurs d’Occident et de rois qui, à la façon de Philippe le Bel, se voudront « empereur en leur royaume ». Ainsi se dessine le cadre historique d’équilibres et de conflits qui se sont prolongés jusqu’à nous (2).
Dominique Venner
Notes
(1) J’ai développé les observations de cet éditorial dans mon livre Le Choc de l’Histoire (Via Romana, 2011). Notamment p. 108 et suivantes, que complètent les réflexions du chapitre Mystique et politique(p. 155).
(2) L’Empire d’Occident fut relevé en l’an 800 par Charlemagne, ce qui suscita l’irritation de l’empereur byzantin.
Le succès colossal d’Expendables II est l’occasion de faire le bilan de la carrière de Sylvester Stallone, et d’essayer de comprendre l’évolution de son image telle qu’elle fut livrée, selon les époques, par les médias occidentaux et particulièrement français. Et de ce qu’elle révèle de la psychologie profonde de nos « élites », ces fameuses élites médiatiques « qui-nous-disent-ce-qu’on-doit-penser » et dont il serait plus exact de dire que leur fonction, plus subtile, est de nous signifier lesquelles de nos pensées peuvent être exposées au jugement public, et lesquelles doivent rester entre quatre murs. Puisque que c’est de ce contrôle idéologique et culturel impitoyable de la population, c’est de cette censure permanente de l’agora que découle, en fin de compte, leur domination politique.
Remontons jusqu’au milieu des années 80. Stallone semble être devenu le roi du monde. Coup sur coup, Rocky IV et Rambo II se sont installés au sommet du box-office planétaire. Toutes muscles dehors, l’acteur, bannière étoilée au vent, y affronte et terrasse les communistes, que ceux-ci soient russes ou vietnamiens. Ce patriotisme, sincère, naïf et assumé, qui trouve toujours un écho favorable dans l’Amérique profonde, va néanmoins lui mettre à dos cette classe médiatique. Sa carrière, à partir de là, va décliner irrémédiablement.
De plus, alors que la menace soviétique s’éloigne puis s’éteint, un pan essentiel de la culture de droite aux États-Unis s’effondre comme un Mur de Berlin virtuel. Les films de Sly (et accessoirement ceux de Chuck Norris, qui met sa carrière cinématographique en sommeil au début des années 90) apparaissent subitement appartenir à une autre époque, exalter un combat sans objet. Peu à peu, Schwarzenegger, plus calculateur, plus cynique, va s’imposer comme le nouveau roi des acteurs-athlètes, alternant savamment films d’action de facture « classique », œuvres de S.-F. ambitieuses, et comédies dans lesquelles il va, avec beaucoup d’à-propos, s’auto-parodier volontairement. Pendant ce temps, Stallone va s’entêter dans des films « de droite » qui vont marcher de moins en moins bien et attiser les quolibets.
Mais plus qu’aux États-Unis, c’est en France, alors, que le nom de Stallone commence à déclencher immanquablement des ricanements aussi mauvais que pavloviens. Car l’image qui s’impose alors de Sly est celle d’une « montagne de muscles sans cervelle ».
Il est inutile de chercher une quelconque origine « populaire » dans ce phénomène. De manière très cynique, on pourrait presque dire que, d’une certaine manière, le « peuple », dès cette époque, a disparu dans ce pays, remplacé par « l’opinion publique », c’est-à-dire l’agora censurée.
La haine que les élites médiatiques éprouvent pour l’idéologie dont Stallone est le vecteur, n’a que peu à voir, finalement, avec sa lutte contre le communisme soviétique avec lequel elles ont rompu depuis déjà longtemps. Il est, à ce titre, très intéressant d’examiner, vingt-cinq ans plus tard, le casting de stars d’Expendables II : Stallone, le véritable maître-d’œuvre du projet, est accompagné et secondé, dans l’ordre de leur notoriété, par Arnold Schwarzenegger, Bruce Willis, Jean-Claude Van Damme, Chuck Norris et Dolph Lundgren. On se croirait dans un congrès du Parti républicain. Si Norris et Willis ont toujours apporté à ce dernier leur soutien public, Schwarzenegger a carrément été élu gouverneur républicain de Californie. Quant à Stallone, s’il ne s’est jamais engagé officiellement pour tel ou tel parti, il suffit de voir le film Cobra réalisé en 1986, dans lequel il incarne un Dirty Harry bodybuildé, pour comprendre quel est son positionnement concernant ces questions clivantes à Hollywood que sont la peine de mort et la lutte contre le crime.
Cette sur-représentation d’acteurs de droite déclarés est absolument extraordinaire quand on connaît l’état politique du cinéma américain, dont les comédiens sont de gauche à 90 %, et fait de ce film une riposte à Ocean’s Eleven qui regroupait d’autres stars plus récentes, plus efféminées, plus bourgeoises, plus « intellectuelles », et ayant bien sur massivement soutenu, par la suite, l’élection du Messie Obama.
La seconde remarque concernant ces six noms est la suivante : trois d’entre eux sont européens.
Pour le formuler autrement : pour faire les films qu’ils avaient envie de faire, des films d’action, des films d’aventure, des films de S.-F., des films d’arts martiaux ou des films de guerre, le Suédois Lundgren, l’Autrichien Schwarzenegger et le Belge Van Damme ont ressenti le besoin impérieux de s’exiler aux États-Unis. Tout comme l’Anglais Ridley Scott, qui a réalisé en 2000, pour le compte des studios hollywoodiens, le film Gladiator, véritable plongée dans les racines romaines et antiques de l’Europe.
Je ne résiste pas au plaisir de citer un grand penseur de la dégénérescence de l’Europe, Guillaume Faye, dans son maître-livre L’archéofuturisme paru en 1998 :
« Le succès des superproductions hollywoodiennes s’explique par leur caractère imaginatif et épique, par leur rigorisme dramaturgique, l’ultra-professionnalisme de la production et de la distribution, une technicité parfaite… Ce qui rattrape largement la fréquente indigence des scénarios ou des bombardements de clichés infantiles et sirupeux. Hollywood fait du “ Jules Vernes filmé ”, et souvent avec des scénarios écrits par des Européens dégoûtés de l’absence de dynamisme de la production européenne.
Les Français et les Européens ont perdu le sens de l’épopée et de l’imagination. Qu’est-ce qui nous empêcherait de les retrouver ? Qui nous l’interdit ? Pourquoi aucun Européen n’a-t-il eu l’idée de traiter (à notre manière, sans doute plus intelligente, et tout autant dramaturgique) les thèmes de E.T., Jurassic Park, d’Armageddon ou de Deep Impact, de Twister, de Titanic ? »
En France, le dernier à avoir pu rivaliser sur le terrain du film d’action avec les Américains a été Jean-Paul Belmondo. Entre 1975 et 1983, il a triomphé dans des films musclés, à grand spectacle, truffés de cascades. La question se pose alors de savoir pourquoi « Bébel » n’a pas eu d’héritier. Et au-delà du simple film d’action de « musclé », il faudrait parler évidemment, comme le souligne Guillaume Faye, de la fin du cinéma épique populaire en Europe, dont Belmondo était en fait une survivance.
En France, à quel genre de films sont consacrés aujourd’hui les plus gros budgets du cinéma ? À des comédies, Astérix et Taxi en tête, qui sont, en fait, des parodies des grands films épiques d’autrefois. Comme si les Français et les Européens n’étaient plus capables d’autre chose, quand ils essaient de sortir du cinéma intellectuel, nombriliste et pseudo-élitiste, que de dérision.
Alors pourquoi les Européens n’ont-t-ils pas pu faire Gladiator ? Et plus révélateur encore pour nous, pourquoi Christophe Lambert n’a-t-il pu incarner Vercingétorix que dans un film américain (même si celui-ci se révéla être un navet infâme) ? Vercingétorix, symbole du patriotisme français, qui tenta de repousser par les armes l’invasion étrangère ? Poser la question, c’est apporter la réponse.
Imaginons un film sur ce héros national tourné en France : à quoi pourrait-il ressembler, à part à une comédie grotesque tournant en ridicule les mythes nationaux (ce qu’a été Astérix) ?
Il y a bien une autre option, évidemment, c’est le film de repentance : les soldats gaulois, racistes et moustachus, se montreraient injustement cruels avec les immigrés italiens, mais le chef arverne, révolté, prendrait fait et cause pour les opprimés. Son homosexualité latente s’éveillerait ensuite à l’occasion d’une nuit d’amour avec un jeune éphèbe de Rome arraché des griffes des beaufs celtiques. La bataille finale d’Alésia montrerait tout de même Vercingétorix luttant contre l’ennemi étranger, mais accompagné de son nouveau fiancé ayant trahi la cause de César par amour, ainsi que de quelques Noirs et Arabes dont on expliquerait qu’ils ont traversé les mers pour défendre la liberté et le progressisme contre les fascistes romains, même si l’histoire officielle (de toute façon raciste) n’en garde pas trace.
Le retour fulgurant, avec les deux Expendables, de Sylvester Stallone et de ses collègues sur le devant de la scène, alors qu’on les croyait morts et enterrés depuis quinze ou vingt ans – mis à part Bruce Willis – ne peut pas être interprété idéologiquement : après tout, le film d’action ne s’est jamais arrêté aux États-Unis. Ce qui s’était essoufflé, c’est le sous-genre « héros musclé et surpuissant » qui avait été remplacé justement, entre autres, par la série des Die Hard avec Willis.
On voit bien, à la vision de ce film, ce qui peut unir entre eux ces acteurs qui ont vraiment l’air de s’entendre comme larrons en foire : ils assument, sans aucun état d’âme, la violence inhérente au monde des hommes. On n’essaie pas de comprendre, encore moins d’excuser son ennemi : on l’anéantit. La rupture est alors inévitable entre ces « hommes de toujours », comme dirait Philippe Murray, et la nouvelle Europe des hommes d’après.
En 2005, Arnold Schwarzenegger, en tant que gouverneur de Californie, refuse de gracier un condamné à mort. Il est exécuté le lendemain. Alors, en Autriche, à Graz, ville natale de « Schwarzie », on s’insurge. Car, quelques années auparavant, on avait débaptisé le stade de Graz-Liebenau pour lui donner le nom de la star. Éclairé sur sa véritable philosophie, le conseil municipal, soudain outré, s’apprête à voter une procédure pour de nouveau débaptiser l’enceinte, quand Schwarzenegger, de lui-même, retire à la ville le droit d’utiliser son patronyme. Le bâtiment reprend alors son ancienne appellation. Le conseil n’a pas suivi les recommandations de l’opposition des Verts, qui souhaitait donner au stade le nom du condamné à mort, Stanley Williams, chef de gang, condamné pour quatre homicides.
Les « élites » médiatiques européennes et américaines partagent peu ou prou la même idéologie, la même vision du monde, et se considèrent investies de la mission sacrée d’imposer cette vision à la planète entière, et d’abord en Occident, puisqu’elles y ont déjà pris le contrôle des canaux de communication. Aux États-Unis, toutefois, leur domination est entravée par le conservatisme très fort, et lui aussi d’essence religieuse, de la population de base. L’expression convenue des « élites déconnectées du peuple » est beaucoup plus pertinente s’agissant du cas américain que pour ce qui concerne l’Europe, où il ne s’agit que d’un argument démagogique servi par l’opposition pendant chaque campagne électorale. Si l’on veut bien reprendre cette expression au pied de la lettre, on pourrait même dire que c’est le contraire qui est vrai : les peuples européens n’ont jamais été autant connectés aux « élites », buvant ses paroles comme un nourrisson boirait le lait empoisonné d’une mère perverse. Ils n’ont jamais autant été privés de l’idéologie alternative et des ressorts psychologiques qui leur permettraient de se mobiliser et de s’organiser pour défendre leurs intérêts. Les peuples européens sont comme un fruit qu’on a pressé pour en vider tout le suc, tout le contenu vital.
Plus que toute autre chose, c’est le caractère immensément populaire des films et de la personnalité de Sylvester Stallone, qui, depuis trente ans, lui vaut la haine des « élites » occidentales.
André Waroch
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L'article intitulé "Oswald Spengler" dans Stur, 1937
Il y a aujourd’hui plus d’un an, mourait à Munich l’un des hommes qui ont le plus fait, dans la crise profonde de la défaite allemande, pour maintenir intact le moral du pays et rendre possible un redressement : celui que nous voyons se développer sous nos yeux. Cet homme est en outre un cerveau de premier ordre, un de ces savants gigantesques, — comme il en apparaît quelques-uns au cours de l’histoire de l’Europe, depuis Roger Bacon jusqu’à Vinci, Descartes, Newton… — sorte de Titan spirituel, sur les découvertes duquel repose, avouée ou non, presque toute l’orientation de la pensée contemporaine.
Ce philosophe — puisque les travaux historiques d’Oswald SPENGLER sont en quelque sorte « enveloppés » dans une philosophie — a été cependant assez peu remarqué en France, dans la période qui a suivi immédiatement la dernière guerre . En Allemagne, son Déclin de l’Occident (Untergang des Abendlandes) a connu un succès sans précédent pour un ouvrage aussi sévère, puisqu’il dépasse aujourd’hui le 15e mille — succès d’actualité, mais également succès de profondeur. Le livre venait « à son heure », au moment où la défaite semblait contredire les aspirations de la grande majorité des Allemands et les livrer au désespoir ; il leur démontrait, par l’alliance d’une immense érudition et d’une pensée rigoureuse, l’inanité de la philosophie du progrès généralement admise et les voies qu’ils devaient adopter désormais, s’ils voulaient se relever. Aujourd’hui, les idées de Spengler ont disparu au second plan, dépassées qu’elles sont par la poussée plus apparente des sentiments de race, des mystiques de l’ordre, voire même de la pure apologie de la force. Elles n’en subsistent pas moins dans le domaine intellectuel — face à l’expansion véritablement angoissante du raisonnement matérialiste dans la masse des peuples blancs — comme l’expression profonde et authentique de tous les jeunes mouvements révolutionnaires, de ceux qui ne veulent pas subir la « mécanisation » envahissante, et qui ne la subiront pas.
Il serait temps qu’en Bretagne, cet ensemble de découvertes de l’ordre psychologique soit pris à sa juste valeur, que l’âme celtique soit mise désormais, et maintenue irrémédiablement, en face d’un système qui lui est si intimement apparenté, et qui, convenablement appliqué, peut faire jaillir son renouveau. Oswald Spengler est né en 1880, dans la petite ville de Blankenburg-en-Harz. De confession luthérienne, comme un grand nombre de ces compatriotes, il fit des études littéraires et scientifiques très complètes aux grandes Universités de Halle, Munich, Berlin, et il fut reçu docteur en philosophie en 1904 avec une thèse sur l’ancien penseur grec Héraclite d’Ephèse.
Il nous raconte lui-même, dans l’Introduction de son grand ouvrage (parag. XVI), comment il fut amené dans les années qui précèdent la guerre de 1914, à concevoir toute l’étendue de son système de l’histoire :
Les approches d’un grand conflit européen ne lui ont pas échappé, cette marche fatale des événements l’inquiète : « …En 1911, étudiant certains événements politiques du « temps présent, et les conséquences qu’on en pouvait « tirer pour l’avenir, je m’étais proposé de rassembler « quelques éléments tirés d’un horizon plus large. » En historien, il tente de comprendre sans parti-pris, de s’expliquer les tendances actuelles à l’aide de son expérience des faits anciens : « …Au cours de ce travail, d’abord restreint, la conviction s’était faite en moi que, pour comprendre réellement notre époque, il fallait une documentation beaucoup plus vaste… Je vis clairement qu’un problème politique ne pouvait pas se comprendre par la politique même et que des éléments essentiels, qui y jouent un rôle très profond, ne se manifestent souvent d’une manière concrète que dans le domaine de l’art, souvent même uniquement dans la forme des idées… Ainsi, le thème primitif prit des proportions considérables. »
L’histoire de l’Europe lui apparaît dès lors sous un jour tout nouveau : « …Je compris qu’un fragment d’histoire ne pouvait être réellement éclairci avant que le mystère de l’histoire universelle en général ne fût lui-même tiré au clair…; Je vis le présent (la guerre mondiale imminente) sous un jour tout différent. Ce n’était plus une figure exceptionnelle, qui n’a lieu qu’une fois…, mais le type d’un tournant de l’histoire qui avait depuis des siècles sa place prédéterminée. »
Un système s’est fait en son esprit, qui ne lui laisse plus de doutes sur la marche générale de l’histoire — et point seulement celle de notre civilisation européenne : « …Plus de doute… : l’identité d’abord bizarre, puis évidente, entre la perspective de la peinture à l’huile, l’imprimerie, le système de crédit, les armes à feu, la musique contrepointique et, d’autre part, la statue nue, la polis, la monnaie grecque d’argent, en tant qu’expressions diverses d’un seul et même principe psychique. » Chaque civilisation suit un cours qui lui est propre, avec une rigueur entière et véritablement impressionnante.
Du même coup, il a saisi le sens profond de l’inquiétude de l’homme moderne et il en ressent comme une assurance, délivré qu’il est de ses manifestations multiples et contradictoires : « …Une foule de questions et de réponses très passionnées, paraissant aujourd’hui dans des milliers de livres et de brochures, mais éparpillées, isolées, ne dépassant pas l’horizon d’une spécialité, et qui par conséquent enthousiasment, oppressent, embrouillent, mais sans libérer, marquent cette grande crise… Citons la décadence de l’art, le doute croissant sur la valeur de la science ; les problèmes ardus nés de la victoire de la ville mondiale sur la campagne : dénatalité, exode rural, rang social du prolétariat en fluctuation ; la crise du matérialisme, du socialisme, du parlementarisme, l’attitude de l’individu envers l’Etat ; le problème de la propriété et celui du mariage, qui en dépend ; …Chacun y avait deviné quelque chose, personne n’a prouvé, de son point de vue étroit, la solution unique générale qui planait dans l’air depuis Nietzsche… »
« …La solution se présenta nettement à mes yeux, en traits gigantesques, avec une entière nécessité intérieure, reposant sur un principe unique qui restait à trouver, qui m’avait hanté et passionné depuis ma jeunesse et qui m’affligeait parce que j’en sentais l’existence sans pouvoir l’embrasser. C’est ainsi que naquit, d’une occasion quelque peu fortuite, ce livre… Le thème restreint est donc une analyse du déclin de la culture européenne d’Occident, répandue aujourd’hui sur toute la surface du globe. »
Tout l’essentiel de la théorie spenglérienne de l’histoire est exposé en trois tableaux synoptiques, au début du premier tome de son « Déclin de l’Occident » : On y suit une comparaison systématique du développement, sur 1000 années environ, des deux civilisations gréco-romain (Antiquité) et européenne (Occident), du triple point de vue de la pensée abstraite, de l’art et des formes du gouvernement. Il en ressort la notion de l’âge des civilisations : une phase de jeunesse, notre Gothique (Moyen Age), à laquelle succède la maturité, notre Baroque (Epoque Moderne), puis la vieillesse au milieu de laquelle nous vivons (Epoque Contemporaine). C’est la même succession des formes doriennes, puis ioniennes, puis « romaines » dans le monde méditerranéen depuis les temps homériques jusqu’à l’avènement d’Auguste ? Des parallèles avec ce que nous savons des philosophie hindoues, de l’art égyptien ou des révolutions de l’ancienne Chine confirment cette impression du « cyclisme » de l’histoire humaine.
Le corps même de l’ouvrage n’est qu’une longue et savante justification de ce qui vient d’être avancé : justification métaphysique, en un premier tome, de divers problèmes logiques soulevés par un pareil système; en particulier celui de la continuité de la notion de Nombre à travers les diverses civilisations ; d’autre part, la définition de l’idée historique du Destin face à la Causalité scientifique… Un second tome renferme la justification érudite de plusieurs des assertions historiques du système : en particulier, l’existence d’une civilisation « arabe » durant le premier millénaire de notre Ere qui est en effet l’époque de floraison des grandes religions universelles de souche « sémitique » (christianisme, manichéisme, islam, judaïsme talmudique) . Spengler ne distingue pas moins de huit grandes civilisations qui se sont succédées en divers points du globe jusqu’à nos jours: civilisations égyptienne, mésopotamienne, chinoise, hindoue, gréco-romaine, orientale-arabe, mexicaine et occidentale-européenne, celle que nous vivons encore. Il tend à réserver le nom de «culture» à la période première de ces civilisations, pleine encore de sève et d’invention, pour laisser plus spécialement le nom de « civilisation » a leur phase de dissolution, quand disparait, dans l’impuissance, tout ce que des ancêtres vigoureux ont créé.
Il ne convient pas de surestimer l’originalité du système : pareil sentiment du cycle, de la fatalité, se retrouve à travers toute la spéculation germanique voire même européenne, depuis la foi calviniste en la Prédestination jusqu’au moyen nietzschéen du « retour éternel ». Et l’ancienne littérature des Celtes d’Irlande n’est-elle pas l’expression la plus absolue de ce sens du destin, héroïquement accepté ? C’est Spengler lui-même qui nous avertit de ce qu’il doit à Nietzsche dont il a seulement, dit-il, « changé les échappées en aperçus ». De façon plus générale, cette pensée d’historien se rattache à tout le mouvement de spéculation sur le temps, sur la durée, aux diverses « philosophies de la vie » fort en honneur depuis le début du siècle et dont H. Bergson serait en France le plus illustre représentant («L’Evolution créatrice»). W. Dilthey, en Allemagne, s’était engagé dans des voies similaires dès 1883, par sa curieuse «Introduction aux sciences morales». Nombreux ont été les historiens, les ethnologues allemands qui, dans le même temps, se sont efforcés de rechercher les lois de l’histoire universelle d’accord avec les résultats les plus poussés des sciences d’érudition : notons le grand explorateur africain Léo Frobenius, auteur d’un ouvrage fort remarqué . A Spengler était réservé, semble-t-il, de les trouver et de les exprimer, pour la première fois, avec une netteté irréfutable .
Là, réside la nouveauté absolue de l’œuvre, comme sa valeur immense dans le domaine de la pensée non moins que de la pratique. Avant lui bien des penseurs, depuis Montesquieu, Herder… jusqu’à Hegel et Auguste Comte plus près de nous, s’étaient bien hasardés à esquisser une « philosophie de l’histoire », très littéraire encore. Karl Marx s’était approché le plus près d’une rigueur scientifique, dans son « Capital », lorsqu’il avait bâti toute une interprétation de l’histoire moderne sur la loi du « matérialisme historique ». Hegel, il y a un siècle aujourd’hui, avait, d’autre part, parfaitement défini en logique les conditions et les limites de toute interprétation de l’Histoire. De là au système d’idées absolument clos et, de plus, parfaitement concret, tangible, expérimentable, que forme l’intuition spenglérienne, il y a un monde ! C’est une forme nouvelle de pensée, un instrument nouveau que Spengler met entre les mains des peuples blancs, une exploration dans le domaine du temps : non pas une quelconque magie, il s’agit de possibilités psychologiques nouvelles que dégage aussitôt en nous la conscience de la fin pressante de la civilisation que nous subissons, en particulier celle d’envisager de sang-froid les rapports des diverses nations et races de la planète… la possession de l’histoire entière est mise au service de notre avenir. Il ne faut voir là rien d’autre que la réplique, à trois siècles de distance, à l’exploration tentée dans les espaces sidéraux par les premiers astronomes munis d’instruments à longue portée. « Une découverte copernicienne sur le terrain de l’Histoire», a-t-on pu dire (voir le § VI de l’Introduction). Spengler doit ce sens aigu de la relativité des événements à l’intérêt qu’il porte aux civilisations exotiques, non classiques, si souvent négligées par les historiens. Pour lui, une création en vaut une autre : l’architecture de l’ancienne Egypte n’est pas inférieure à notre calcul infinitésimal, la vieille morale de Confucius pas moins positive que toute la sophistique rationnelle des socratiques,… il ne craint pas de mettre en parallèle pour leur rôle moral le bouddhisme primitif, le stoïcisme antique, et notre socialisme contemporain ! Le coup d’oeil est devenu sans parti-pris, mais combien plus pénétrant !
Ce n’est pas aujourd’hui encore que sera saisie dans son ampleur la répercussion révolutionnaire de pareilles nouveautés dans le monde des idées, ou — pour parler métaphysique — la possibilité d’ériger désormais en un système viable le monde intuitif des poètes, « l’univers-histoire », en face de « l’univers-nature », du règne de la science, si exclusivement tyrannique encore à l’heure actuelle (l’opposition est esquissée au chapitre 2 du tome I) ! Mais, au simple contact de ces doctrines, des sentiments confus se réveillent en nous, un monde mystique tend à reparaître, qui dut exister dans la foi du moyen-âge et que l’éducation classique de la Renaissance avait peu à peu enfoui. Car enfin, est-ce bien le livre qui a bouleversé le monde d’après-guerre ? ou n’est-il pas seulement le premier éclat, la première et insolite traduction littéraire de cette résurrection de l’âme du Nord, qui tend à se faire jour avec la violence d’un élément ?
Le tome I du «Déclin de l’Occident» parut en 1918 et Spengler en dédiait alors la préface aux armées allemandes, espérant que le livre ne serait pas « tout à fait indigne des sacrifices militaires… » Après l’écroulement, parmi « la misère et le dégoût de ce temps », l’édition de l’ouvrage tout entier (1922) apparut d’abord comme un instrument de combat…
Méridien Zéro vous propose un éclairage sur l'engagement méconnu de dizaines de milliers de jeunes nationalistes d'Europe et du Monde dans les rangs nationalistes durant la guerre Civile Espagnole. L'invité est Sylvain Roussillon, auteur de l'ouvrage "Les Brigades Internationales de Franco" aux éditions Via ROMANA.
“Individualisme? Goed. Maar: dat werd niet met ‘80 geboren, dat werd in de Renaissance geboren. En zoolang u en ik en de heele wereld met ons over het cultuurprobleem spreken, bestaat de cultuur niet; en al is in velen de wil geboren naar een gemeenschap, maar de Gemeenschap, zij is er niet. En willens of onwillens is alle werk, nà de Moederkerkelijke cultuur der Middeleeuwen, individualistisch: heidensch of protestant. Zoolang de herleving van het Katholicisme, die wij nu beleven, niet zich cultureel (d.i. geestelijk en maatschappelijk) verwerkelijkt tot een katholieke samenleving, zoolang blijft de Katholieke kunst, malgré soi (min of meer) individualistisch. Pas als de naam verdwijnt, het teeken van het individu, zullen de gemeenschappelijk-voelenden, de Nameloozen, de nieuwe Kathedralen mogen bouwen.”
La alianza entre los Estados Unidos y el Reino de Arabia Saudita ayudó a expandir la ideología del Islam Sunni fundamentalista por el globo. La mayoría de sus víctimas no son ciudadanos de países Occidentales, sino ciudadanos de países que las élites americanas consideran una amenaza a sus intereses económicos y geopolíticos.
Muchas víctimas del extremismo Sunni (a menudo llamado Wahhabismo o Salafismo [1]) son de hecho musulmanes (a menudo con un izquierdista secular o el fondo político nacionalista), Sunni moderados o miembros de la fe islámica Shi’ita. Este artículo se dirige a la historia del fundamentalismo Wahhabi y los ejemplos de Afganistán en los años ochenta, así como la situación actual en Siria.
Ambos casos ilustran la responsabilidad de América por la destrucción de sociedades seglares, socialmente progresistas en el mundo islámico y en otras partes.
Los Orígenes del Wahhabismo
La ideología Wahhabi sirve los intereses americanos por varias razones. La percepción arcaica de su sociedad los hace rechazar cualquier tipo de cambio social progresivo. Por consiguiente ellos se equipan bien para empujar atrás los movimientos socialistas, seglares o nacionalistas cuya independencia orientando las políticas son una amenaza a la agenda geopolítica de América.
Aunque el Wahhabismo no es ciertamente representativo de la mayoría de musulmanes Sunni, los musulmanes Wahhabi son extremistas Sunni que causan mantener una posición sumamente hostil hacia el Islam Shi’ta. Después de la invasión 2003 de Irak que derrumbó el régimen seglar-nacionalista de Saddam Hussein (un Sunni), la influencia de Irán dominado por Shi’itas aumentó y causó un cierto cambio de poder a favor de Islam Shi’ita en la región.
Debido a esto la representación Shi’ita se fortaleció, casi se han dirigido exclusivamente las actividades americanas en el Medio Oriente en los recientes años contra los intereses Shi’itas.
La emancipación de las masas Shi’ita desposeídas en Irak, Bahrein, Yemen o Líbano son contrarias a las aspiraciones del lado de EEUU cuyos los aliados principales en la región (al lado de Israel) consiste en regímenes Sunni represivos y grupos terroristas.
En el caso de Siria, el Presidente Bashar Al-Assad (un aliado de Irán) y la sociedad siria secular evoca particularmente el odio de los extremistas. El hecho que Al-Assad pertenece a la minoría Alawita (un grupo religioso místico y una rama de Islam Shi’ita) lo hace inaceptable a los puristas Wahhabi. Retratando Siria gobernada solamente por su minoría Alawi (como algunos periodistas de la corriente principal tienden a hacer) estaría no obstante equivocado.
Como Mahdi Darius Nazemroaya señaló, entre los oficiales tope sirios muertos por un ataque terrorista el 18 de julio de 2012, podrían encontrarse Sunnis y cristianos entre los Alawitas. [2]
Es por consiguiente valioso examinar los antecedente de estos enemigos del secularismo Mult.-fe, sociedad y progreso. Merece la pena por consiguiente.
El Wahhabismo es una rama puritana del Sunni Islam que se fundó a mitad del Siglo 18 por Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab, un teólogo que propagó la guerra santa y la “purificación” del Islam.
Una de sus inspiraciones era Ibn Taymiyyahá(1263-1328), un estudioso fundamentalista islámico temprano que se opuso a cualquier tipo de debate intelectual que diferenciara entre la palabra de Dios y su interpretación. Al-Wahhab y sus ideas se podrían haber sido olvidadas por la historia si él no hubiera hecho un pacto con Muhammad ibn Saud, el emir de Al-Diriyah y gobernante del primer estado Saudita en 1744.
Según Robert Dreyfuss, la alianza Saudita-Wahhabi:
“…empezó una campaña de matanza y pillaje por toda por Arabia, primero en Arabia central, luego en Asir en Arabia del sur y partes de Yemen, y finalmente en Rhiadh e Hijaz. En 1802 ellos hicieron una incursión en la ciudad santa Shiita de Karbala en lo que es ahora Irak y mataron la mayoría de la población de la ciudad, destruyendo el domo sobre la tumba de un fundador de Shiísmo, y con saqueo, de armas, ropas, alfombras, oro, plata y copias preciosas del Quran”. [3]
Para mantener la fe “pura”, las influencias de las filosofía griega, Cristiandad y Judaísmo tuvieron que ser exterminados.
Los intelectuales, artistas, científicos y gobernantes progresistas se declararon enemigos sin el derecho a vivir. Va sin decir que la idea de representar la pura enseñanza de Islam fue seguida fanáticamente; de hecho, por guerreros Wahhabi que estaban luchando para extender el estilo de vida más arcaico que podría encontrarse dentro de la cultura árabe.
En la segunda mitad del siglo 19, el imperialismo británico descubrió la casa de Al Saud como un aliado potencialmente útil en su esfuerzo por ganar influencia en el Medio-Oriente.
Riadh había sido invadido por el sultán otomano en 1818. Los Al Saud volvieron al poder en 1823, pero su área de control era principalmente restringida al corazón Saudita de la región de Nejd, conocido como el segundo el Estado Saudita. En 1899 los británicos ayudaron a Al Saud a establecer una base en su protectorado de Kuwait para reconquistar Riadh, en ese momento gobernado por la pro-otomana dinastía de Al Rashid.
Originalmente la motivación de Gran Bretaña para ganar influencia en el0 Medio Oriente fue causada por su vista de Arabia y el Golfo como ser “un eslabón en una cadena que corrió de Suez a India, las dos anclas del imperio”. [4]
Se descubrirían Inmensas reservas de petróleo en los años treinta. Gran Bretaña se volvió el primer país para reconocer la nueva Arabia Saudita como un estado independiente y establecer sus fronteras actuales en 1932. Un “Tratado de Amistad y Buena Comprensión” entre la Corona británica y el monarca Saudita se firmó en 1927.
La integración 1924 de los sitios santos de Meca y Medina en el reino a través de la conquista militar inevitablemente contribuyó a atrincherarse firmemente a la autoridad de Al Saud en el mundo musulmán. El interés americano en Arabia Saudita empezó a también crecer alrededor del mismo tiempo, y un tratado con la California Arabian Standard Oil Company se acordó en 1932.
Fue el primer tal acuerdo creado en cooperación con una compañía de petróleo occidental. En los años y décadas siguientes, los réditos crecientes en el negocio de petróleo habilitaron la financiación Saudita de instituciones religiosas mundiales y propagar interpretaciones extremistas de Islam.
El flujo de petro-dólares era de gran importancia a las élites Sauditas que adaptaron un estilo de vida lujoso y al mismo tiempo mantuvieron una alianza con la base de Wahhabi.[5] Ellos también mantuvieron lazos a oficiales del estado americano que dieron la bienvenida al petróleo Saudita así como al Islam radical, con tal de que se dirigiera contra esos estaban de pie en el camino de la manera de la agenda geopolítica de América.
La “ayuda extranjera” financiada por el Reino era tremenda, según el especialista “anti-terror” de EEUU Alex Alexiev (aunque él no reconoce el compromiso americano extendiendo el terror Wahhabi):
“Entre 1975 y 1987, los Sauditas admiten a haber gastado $48 mil millones o $4 mil millones por año en ayuda de desarrollo extranjero, una figura que a finales de 2002 creció a más de $70 mil millones (281 mil millones de rials Sauditas) se informan las sumas .Eso para ser ayuda del estado Saudita y casi ciertamente no incluyen donaciones privadas que también son distribuidas a través de caridades controladas por el estado. Las tales cantidades tambaleantes contrastan rigurosamente con los $5 millón en cuentas de terrorista que los Sauditas dicen haber congelado desde 9/11″. [6]
Un informe de septiembre 2009, hecho por la Oficina de Responsabilidad Gubernamental, de EEUU puntaliza la relevancia histórica de relaciones Sauditas-americanas:
“Las relaciones entre los Estados Unidos y Arabia Saudita tienen un contexto histórico largo. Desde el establecimiento del estado Saudita moderno en 1932, y a lo largo de la Guerra Fría, los gobiernos de los Estados Unidos y Arabia Saudita desarrollaron una relación basada en los intereses compartido, incluso la producción de energía y combatiendo al comunismo. Por ejemplo, Arabia Saudita y ” los Estados Unidos se volvieron partidarios mayores de la lucha de Mujahideen afganos contra la invasión soviética en 1979.” [7]
La arcaica ideología respaldada por Saudita sirvió como un incentivo a los miles de hombres jóvenes confundidos al recibir entrenamiento militar en Pakistán en los años ochenta, de donde les enviaron a Afganistán para matar rusos.
‘Guerra’ Santa de América contra la URSS en Afganistán
En una famosa entrevista de 1998, el ex Consejero de Seguridad Nacional del Presidente Carter y estratega geopolítico, Zbigniew Brzezinski, abiertamente admitió que la agenda oculta de compromiso americano en la guerra entre las tropas soviéticas y Mujahideen afganos (1979-1988) era sobre “dar a la URSS su guerra de Vietnam”. Él también le admitió apoyo encubierto de luchadores de Islamistas a americano en Afganistán ya había empezado a seis meses prior de los al principio de intervención soviética para crear una trampa que llevaría en el futuro al derrumbe de la URSS.
Nada sobre esto es de valor sentido, según Sr. Brzezinski, ni incluso la alianza americana con el Islam radical:
“¿Que es muy importante a la historia del mundo? ¿El Taliban o el derrumbe del imperio’ soviético? ¿Alguna musulmanes revueltos o la liberación de Europa Central y el fin de la suma de la Guerra?” [8]
El anterior régimen paquistaní bajo el General Zia Ul Haq cuyo programa político consistió en un plan de “Islamización” del país, era el aliado americano principal cuando vinieron a entrenar a los luchadores Islamistas.
Esto pasó bajo cooperación cercana entre el CIA y la agencia de la inteligencia paquistaní ISI (Inter-Services Intelligence). El adoctrinamiento ideológico de las personas supuestas para luchar contra los soviéticos estaba siendo entregando por madrassas paquistaníes, escuelas del Islam radical (Wahhabi), financiado por Arabia Saudita. [9]
Mientras los oficiales americanos justificaron su apoyo por el Mujahideen presentándolos como algún tipo de supuestos luchadores de libertad, sus aliados islamistas mostraron menos refrenamiento revelando sus planes para Afganistán. Un ejemplo era el Director General de ISI en el momento, Akhtar Abdur Rahman Shaheed que expresó su opinión realmente no diplomática: “¡Kabul debe quemarse! Kabul debe quemarse”! [10]
Mientras Brzezinski logró su meta, el destino de Afganistán es bien conocido: Décadas de guerra civil, brutalidad, analfabetismo, la peor posible violación de los derechos de mujeres, pobreza extrema y violencia sectaria. Sin mencionar polución por uranio empobrecido que causa un marcado aumento en cáncer gracias a la campaña del bombardeo americana de octubre 2001.
Estados Unidos y Arabia Saudita contra Siria Secular
Muchos otros guiones que involucran terrorismo patrocinados por CIA/Saudita tuvieron lugar en los años que siguen el derrumbe de la Unión Soviética (ej. en Chechenia, Bosnia, Libia, etc.).
Actualmente, la seglar Siria, multi-étnico y la sociedad de multi-fe está siendo blanco por estas muy mismas fuerzas, así como regímenes reaccionarios que pertenecen al Consejo de Cooperación para los Estados árabes del Golfo (GCC) y Turquía.
Como con la guerra en Afganistán en los años ochenta, se piensa el compromiso americano en la crisis siria para aislar a Irán y, una vez más, hacer blanco en Rusia. En conjunción, los extremistas Wahhabi están llevando a cabo el mismo trabajo como sus antepasados en el Siglo 18, combatiendo todas las formas tolerantes del Islam a saber. Pueda que esto ha sido la razón por qué los insurgentes mataron al hijo más joven de la autoridad islámica más alta de Siria, Gran Mufti Ahmad Badreddine Hassoun.
De hecho, la posición del Gran Mufti no se alinea con el extremismo Wahhabi, como se mostró claramente en la entrevista de último año con Der Spiegel:
“Yo me veo como el gran mufti de los 23 millones de sirios, no sólo musulmanes, sino también Cristianos e incluso los ateos. Yo soy un hombre de diálogo. Quién sabe, quizá un agnóstico me convencerá un día con argumentos mejores, y yo me volveré un no-creyente. Y si yo soy entusiástico sobre la plataforma política de la oposición, yo también podría cambiar de lado”. [11]
Además, varios eventos que tuvieron lugar en el día esta entrevista particular son valor notando:
“Durante el atardecer, el gran mufti tiene otras citas: la visita de condolencia con una familia cristiana y una musulmana. Por la tarde, él tendrá que confortar a su esposa una vez más, quién está completamente aturrullado encima de la muerte de Saria. Él era el más joven de los cinco hijos de la pareja, y el único que todavía vive en casa. Los estudiantes compañeros de Saria están celebrando una vigilia a su sarcófago de la piedra, aun ahora, cuatro semanas después del asesinato. El joven está descansando en el último lugar que puede encontrarse en el patio de una mezquita modesta. El Jeque Hassoun visita este lugar triste todos los días”. [12]
Esto no corresponde ciertamente con el cuadro de los medios de comunicación Occidentales de Islamistas fanáticos que considera la muerte de sus hijos una señal de honor y martirio con tal de que ellos hayan muerto bajo circunstancias que causaron también la muerte de “infieles”.
Tal conducta es animada por Arabia Saudita, como puede verse en un video chocante disponible en YouTube. La longitud en pies ofrece a un padre en Yeddah, vendiendo a su hijo a ser enviado a Siria como un bombardero suicida. Aun cuando uno cuestiona la autenticidad del video, los bombardeos del suicidio continuados en Siria son indudablemente reales:
Conclusión
Para estar seguro, la religión del Islam propone así como mucho o poco una amenaza al mundo como las religiones del Judaísmo o Cristiandad. No obstante, ciertos bolsillos radicales existen quienes usan y abusas de la religión para justificar su aversión por el disentimiento y de cuyas prácticas totalitarias sólo pueden ser clasificadas como fascistas. Sus esfuerzos por destruir la razón, progreso e ideales humanistas les hacen herramientas ideales para las facciones imperialista más agresivas dentro del establishment americano para empujar para el cambio de régimen y llevar a cabo sus agendas explotadoras empobreciendo.
Notas
1 “Wahhabi” is a term usually used in a critical context by Muslims. Salafi means “ancestor” and is most often a term used by Sunni fundamentalists to describe themselves.
Henceforth there was only “profane” philosophy and “profane” science, in other words, the negation of true intellectuality, the limitation of knowledge to its lowest order, namely, the empirical and analytical study of facts divorced from principles, a dispersion in an indefinite multitude of insignificant details, and the accumulation of unfounded and mutually destructive hypotheses and of fragmentary views leading to nothing other than those practical applications that constitute the sole real superiority of modern civilization-a scarcely enviable superiority, moreover, which, by stifling every other preoccupation, has given the present civilization the purely material character that makes of it a veritable monstrosity. René Guénon http://tremblingcolors.tumblr.com/post/33456276670/henceforth-there-was-only-profane-philosophy-and
L’OSDH évoque des combats hier dans la grande banlieue et de Damas, à Harasta et Irbin. Il est fort possible que ces combats soient extrêmement localisés. En revanche, on sera d’accord avec l’OSDH pour dire que l’armée poursuit ses attaques contre les places fortes – ou ex-places fortes rebelles, à Alep,Homs et dans le secteur d’Idleb/Maarat al-Numan. Il est difficile d’avoir des informations sur les derniers développements des combats dans ce dernier secteur : on se bat toujours dans le secteur de la base de Wadi Deif, à l’est de la ville et de l’autoroute, mais il n’est plus question nulle part de l’assaut « final » des rebelles contre cette position.
« Ma stratégie est sans détours, de poursuivre les méchants, faire de notre mieux pour les interrompre, les tuer, les sortir du paysage. Mais ma stratégie est plus large que ça. (…) Le bon chemin est de s’assurer que nous poursuivons ceux qui sont les leaders de ces groupes anti-américains et de ces djihadistes, mais aussi d’aider le monde musulman. » – Mitt Romney - »Je suis heureux que vous reconnaissiez qu’Al-Qaïda est une menace. Parce qu’il y a quelques mois, vous avez répondu que la Russie était la plus grande menace géopolitique pour l’Amérique, pas Al-Qaïda. (…) A chaque fois que vous avez exprimé une opinion, vous avez eu tort. » – Barack Obama
Sur le plan politique, Bachar al-Assad a décrété une nouvelle amnistie pour les opposants ayant commis des crimes avant le 23 octobre 2012. Ce n’est certes pas la première fois que le président syrien décrète une mesure en ce sens, destinée évidemment à démobiliser une partie de la rébellion : en avril dernier, une amnistie avait été proposée pour tous les combattants n’ayant pas de sang sur les mains. On voit donc que Bachar a encore baissé « la barre du pardon ». Pour autant, il a précisé que les « terroristes » seraient exclus de la présente mesure : au-delà de quel niveau de crime ne peut-on plus prétendre au pardon, c’est encore chose imprécise.
Une petite phrase importante de Lavrov
Et voilà qui nous amène à la diplomatie. Lundi, le ministre russe des Affaires étrangères Sergueî Lavrov s’est, plus nettement encore qu’auparavant, engagé vis à vis du président syrien : « Bachar al-Assad est garant de la sécurité des minorités vivant en Syrie, dont les chrétiens » a ainsi déclaré Lavrov au quotidien russe Rossiskaia Gazeta. ajoutant que même les pays occidentaux reconnaissaient aujourd’hui qu’au moins « un tiers de la population syrienne voit en Assad une personne qui a appelé à empêcher la transformation de la Syrie en un Etat où les minorités n’auraient pas la possibilité d’exister« . On ajoutera juste qu’une bonne partie de la majorité sunnite voit aussi en Bachar un rempart contre le chaos et l’oppression salafiste. En tout cas, c’est un engagement marqué de la direction russe en faveur du président syrien.
La déclaration de Lavrov pèse certes plus lourd que l’énième appel d’un quarteron d’intellectuels parisiens et sionistes -BHL, Glucksmann, Kouchner – en faveur d’une intervention. On notera juste que ces messieurs réclament à présent une intervention en Syrie pour débarrasser le pays du « gang barbare des Assad » ET des « extrémistes islamistes », ce qui prouve qu’ils ont du tenir compte de la prise de conscience croissante des Occidentaux, ces deux ou trois derniers mois, de ce qui se cachait derrière la « révolution » syrienne. On notera le ton grandiloquant habituel à ces matamores du tout-Paris friqué et sioniste, à la limite de l’insolence vis-à-vis de Hollande et de son gouvernement : « Assez de dérobade, il faut intervenir en Syrie ! » On se demande comment leur excellent ami Fabius a reçu cette mise en demeure.
Et une précision non moins importante d’Obama/Romney
La démarche de ces convaincantes incarnations du mensonge et de la manipulation est conforme au niveau d’abjection attendu. Mais elle est surtout pathétique : lors de leur troisième et dernier grand débat télévisé, Barack Obama ET Mitt Romney sont au moins tombés d’accord pour dire qu’il ne fallait surtout pas envoyer de soldats américains en Syrie, et même pour reconnaître qu’il fallait mieux « identifier » l’opposition syrienne. Le forfait américain vaut forfait pour l’OTAN aussi, et donc pour l’Europe et même la Turquie. Jamais le principe d’une intervention occidentale en Syrie n’a été aussi hors de propos. Quant au malheureux Hollande, BHL and co devront se contenter – peut-être – d’une expédition française dans le Nord Mali, ce dont évidemment BHL se fout comme de sa première chemise blanche.
Dans ces conditions, le manifeste belliciste de cette petite bande sans crédit autre que médiatique s’apparente plus au trépignement de gosses frustrés par leurs parents de telle ou telle faveur qu’à une démarche politique.
Et puis sur le fond ! Dire en substance « Renversons Bachar et sa clique pour préserver la Syrie de l’islamisme radical » quand une grande majorité des Syriens, une bonne moitié du monde et même de plus en plus d’analystes occidentaux savent que c’est justement le gouvernement actuel qui est le meilleur rempart contre des islamistes qu’il affronte chaque jour, c’est ubuesque et « décalé » par rapport à la réalité. Mais la réalité n’est rien auprès du rêve de ces messieurs : la destruction de l’axe anti-israélien au Proche=Orient, avec une Syrie ramenée au niveau de l’Irak en 2003. Mais ce rêve est bien parti pour demeurer un rêve, même si la Syrie souffre.
De toute façon, et pour conclure, ce n’est certainement plus à Washington que se prennent les grandes orientations sur la Syrie, c’est sans doute plutôt à Moscou et à Pékin, mais une chose est sûre, ce n’est pas – moins que jamais – à Saint-Germain-des-Prés et au Quai d’Orsay que ça se passe !
"Esquisses d'une Europe nouvelle" de Geneviève Duchenne
"Esquisses d'une Europe nouvelle. L'européisme dans la Belgique de l'entre-deux-guerres (1919-1939)" vient de paraître dans la collection Euroclio, aux éditions P.I.E. - Peter Lang.
Alors que ce n'est qu'à partir des années 1950 que le projet européen se traduit dans les institutions et dans les politiques, l'idée européenne, suscite déjà, et ce, dès l'entre-deux-guerres, de multiples initiatives. Cet ouvrage issu d'une thèse de doctorat, souhaite apporter une contribution originale à la connaissance des courants européistes qui fleurirent dans la Belgique des années 1920 et 1930. Fondé sur l'exploitation de sources multiples et inédites, il révèle la richesse insoupçonnée des projets et des mouvements engendrés dans le contexte de l'Europe de Versailles. Invitant à découvrir l'Europe telle que la conçurent la génération de la guerre et celle de la crise à travers leurs cadres mentaux, chronologiques et géographiques, cette étude met en lumière le rôle des cercles, des milieux ainsi que des moments-clés. Elle place enfin l'accent sur les lieux qui de Genève à Vienne et Paris, puis de Bruxelles à Berlin, incarnent l'européisme de l'époque.
«Le livre de Geneviève Duchenne, inspiré de sa thèse de doctorat, propose ainsi un « retour aux sources » de l’engagement européen belge et fait le point sur les projets européistes qui ont traversé la Belgique de l’entre-deux-guerres. C’est en fin de compte un travail pionnier que nous livre l’auteur». Matthieu Boisdron sur Histobiblio.com (Lire l'intégralité du compte-rendu)
Dans L'Écho:
«Dans la thèse de doctorat qu’elle vient de publier, l’historienne belge Geneviève Duchenne fait le point sur les courants européistes qui ont fleuri dans la Belgique des années 1920 et 1930. Elle révèle la richesse insoupçonnée des projets et des mouvements engendrés dans le contexte de l’Europe de Versailles. [...] L’intérêt de cet ouvrage est de voir comment une conception idéalisée de l’Europe (au milieu des nationalismes féroces de l’époque) a progressivement laissé la place à une approche plus pragmatique qui débouchera finalement sur les trois traités fondateurs d’après-guerre». (Bombaerts, J.-P., "L'idée européenne en Belgique avant le Traité de Rome", L'Écho, 11 mars 2008, p. 16)
Dans La Libre Belgique:
«Depuis sa création en 1831, la Belgique, "terre d'entre-deux", a entretenu une relation forte à l'Europe dont dépendait son existence. La guerre de 1914-18 lui conféra une intensité nouvelle dans le double souci de contrer le déclin du Vieux Continent, auguré par Oswald Spengler, et d'assurer sa paix par sa réunification. L'entre-deux guerres a dès lors vu fermenter plans, projets, débats, cercles d'étude, associations, publications. Cette période fut véritablement la matrice de la construction européenne après 1945. Cette ébullition "européiste" en Belgique, avec ses espoirs et ses déboires, vient de faire l'objet d'un ouvrage magistral de Geneviève Duchenne, docteur en histoire de l'Université de Louvain, diplomée en "Taal en Kultuur" de la K.U.L., professeur invitée aux Facultés Saint-Louis de Bruxelles.» (Franck, J., "L'idée européenne 1919-39", La Libre Belgique, 21 mars 2008, article accessible via le site de La Libre)
Lire aussi Martin, P., "À bout portant : « La Belgique de l’entre-deux-guerres avait déjà un sens pratique de la future Europe »", Le Soir, 4 avril 2008
Cette publication a été le sujet des émissions Mémo (Jacques Olivier, La Première - RTBF-radio) des 19 et 26 avril 2008.
"Modern liberalism does not offer ordinary men compelling motives for personal suffering, sacrifice and death. There is no tragic dimension in its picture of the good life. Men become willing to endure, sacrifice and die for God, family, king, honor, country, from a sense of absolute duty or an exalted vision of the meaning of history. It is such traditional ideas and the institutions slowly built around them that are in present fact the great bulwarks, spiritual as well as social, against the tidal advance of the world communist enterprise. And it precisely these ideal and institutions that liberalism has criticized, attacked and in part overthrown as superstitious, archaic, reactionary and irrational. In their place liberalism proposes a set of pale and bloodless abstractions — pale and bloodless for the very reason that they have no roots in the past, in deep feeling and in suffering. Except for mercenaries, saints and neurotics, no one is willing to sacrifice and die for progressive education, medicare, humanity in the abstract, the United Nations and a ten percent rise in Social Security payments."
— James Burnham, Suicide of the West : An Essay on the Meaning and Destiny of Liberalism