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jeudi, 16 mai 2019

L'universale significato spirituale della Romanità

 
Giandomenico Casalino
 
Ex: https://www.ereticamente.net
 
1)”Il Vero è l’Intero. L’Intero però, è solo l’essenza che si compie mediante il proprio sviluppo. Dell’Assoluto, infatti, bisogna dire che è essenzialmente un Risultato, che solo alla fine è ciò che è in Verità”. Hegel, Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito.

2) Tale passo è la presentazione universale del concetto della Vita di ogni organismo dello Spirito, sia nel microcosmo come nel macrocosmo: l’uomo, l’universo, la Romanità… Pensare in guisa intensa i concetti profondissimi ivi presenti, conduce alla comprensione dell’Intero significato della Tradizione di Roma, proprio perché Realtà vivente.

louve.jpg3) Tale conoscenza non è sapere se non è innanzitutto uno stato dell’essere; lo stato dell’essere è vedere l’Invisibile, che è l’Indicibile, ma per colui che è Essere non è che l’Uno, l’Istante che è fuori dal tempo: colui che vive nella dimensione dello Spirito è nel tempo pur essendo, nella radice, fuori dal tempo, vedrà il Divenire che è Essere, come indica l’enigmatico sorriso dell’Apollo di Veio, Egli, sorridendo della nostra stupidità, accenna, svela e rivela la Verità: l’Assoluto, il Divino è semplicemente ciò che tu vedi e che sei! Tu però non lo sai!

4) Roma, nella sua essenza metafisica, nella sua potenza spirituale, nella sua eterna presenza come Simbolo dell’Ordine Cosmico, come Umbelicus Mundi, come Asse che non vacilla dell’Europa, è ciò che tu vedi se lo sei! È ciò che è se tu lo fai, lo vivi e lo crei, in ogni momento, in ogni Istante della tua vita, che sarà così il Rito filosofico interiore, come creazione costante del Kathekòn in quanto Limes nei confronti delle Tenebre e quindi  iniziazione all’Eterno.

5) È, quindi, necessario, oggettivamente necessario, come legge dello Spirito, acquisire il “mutamento di punto di vista”, di “stato mentale” in cui consiste, in buona sostanza, quello che Evola definisce lo stato dell’Essere interiore e, quindi, la sua manifestazione esterna che è la “Visione del mondo” che, se è necessario possedere in termini virtuali o potenziali, atteso che la stessa non si acquisisce sui libri né con altri strumenti se non la si possiede in potenza sin dalla nascita come “forma interna o carattere”, è vero anche che tutto ciò, secondo proprio il principio fondamentale della nostra Tradizione, che è il comando apollineo di Delfi: “conosci te stesso!”, deve essere però consapevolmente conosciuto e cioè esperimentato divenendo concretamente esso stesso!

CASALINO-3-1.jpgSi conosce solo ciò che si è e si è solo ciò che si conosce. Gli Dei non esistono a priori (per fede) ma esistono solo se si conoscono e si conoscono solo se si esperimentano, quindi esistono solo per colui il quale li esperimenta, cioè li vive e quindi li conosce; nel senso che, pur esistendo da sempre, per colui il quale non li conosce Essi non esistono. Tale è il significato della frase: “I Greci non credevano negli Dei; poiché li  vedevano!”

6) Se si vuole vivere l’esperienza spirituale dell’agire e della conseguenziale visione, tipica dell’Ascesi dell’Azione che qualifica la Romanità, della realizzazione, mediante il Rito giuridico-religioso, “del fenomenico per effetto della azione magica sul Numenico”, è necessario Sapere-Vedere  (non guardare…) che il Sé, la Mente, il Pensiero, che è l’Invisibile, è il Numenico e che solo agendo nell’Invisibile, cioè nel Pensiero e sul Pensiero, nella Mente e sulla Mente, nell’Animo e sull’Animo, cioè agendo sulla Causa, che è lo Spirito, creando la Forma in essa Causa, la stessa  Forma si riverbera, si riflette nello specchio che è il fenomenico e cioè il Mondo e così esso appare ed è conforme, identico al Numenico cioè al Pensiero che lo ha causato e ciò dimostra, tale processo dimostra che la paideia ed il mos majorum, sono la causa generatrice del Mondo, della Res Publica, dell’Ordine Giuridico-Religioso e quindi Politico: che è l’Idea realizzata nella storia di Juppiter Optimus Maximus. Tutto ciò è vero solo se è stato della Mente, che è stato dell’Essere, ed è vero solo se si è conseguenzialmente l’Uomo Nuovo,  Uomo che pensa, vede e quindi è l’Uomo aperto al Mondo, l’Uomo che non dice e non pensa mai in termini di “Io” ma sempre in termini del Noi, perché sente e sa di essere Noi; poiché la Romanità è Noi!

7) Essere Noi (ed è il secondo “momento dello Spirito”) significa entrare nel Mondo, superare e vincere la falsità dualistica dell’Io e del Mondo, del soggetto e dell’oggetto, della Trascendenza e della Immanenza  ed essere quindi realtà spirituale, esistenziale e concreta  e quindi Intero che è, secondo la nostra Tradizione classica Greco-Romana, l’Athanòr nella Filosofia Ermetica, l’Uno il Tutto nella Tradizione Platonica, la Res Publica Universale nella Romanità, l’Intero medesimo e cioè l’Assoluto nel significato che ha rivelato la Sapienza di Hegel. Tale è secondo la cultura tradizionale il vivere che coincide con l’essere che è il pensare, significando ciò Roma come l’Idea Vivente  e si ritorna al principio secondo cui il Pensiero è il Tutto essendo la Causa di Tutto, atteso il fatto che, se non vi è il mutamento di “stato”, il “Risveglio”, anche il Mondo continua ad essere caos ed oblio, oscurità e nebbia: solo nel “momento” in cui si “conosce se stessi”, il Mondo è salvo, il Mondo è Cosmos, Ordine, Unità; anzi il Sapere e l’Essere lo stato corrispondente, consente di acquisire la Conoscenza che quell’Ordine e quella Unità del Mondo ci sono da sempre, ab aeterno, solo che non lo si sapeva poiché non lo si era.

Giandomenico Casalino

Spirito classico - cristianesimo: le tesi di Walter Friedrich Otto

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Spirito classico - cristianesimo: le tesi di Walter Friedrich Otto

Giovanni Sessa

Ex: https://www.ereticamente.net

auWO.jpgNel corpo della cultura europea scorre sangue «pagano». A muovere dal Settecento, filosofi, storici delle religioni e artisti, si sono prodigati nel tentativo di far riemergere le sorgenti più arcaiche della nostra cultura, richiamando l’attenzione sul suo effettivo ubi consistam. Anzi, questo sforzo è ancora in corso: si pensi, tra i tanti esempi che si possono fare in tema, alla valorizzazione del mondo pre-cristiano, presentata, nella propria opera, da Evola o, più recentemente, da autori quali Marc Augé e Alain de Benoist. Un ruolo rilevante, in tal senso, nel secondo decennio del «secolo breve», lo ha svolto il filologo svevo e storico delle religioni, Walter Friedrich Otto. Il suo lavoro più noto, Gli Dei della Grecia, fu in qualche modo preparato da un libro che egli pubblicò nel 1923, Spirito classico e mondo cristiano, di cui è recentemente apparsa la seconda edizione italiana, per i tipi de L’arco e la Corte (per ordini: arcoelacorte@libero.it, pp. 174, euro 15,00). Si tratta, come ricorda Giovanni Monastra, nell’informata e stimolante Prefazione, di un testo nel quale l’autore mostrò, in tutta la sua forza e con invidiabile spessore erudito, l’attrazione empatica per il mondo classico e, in particolare, per la religiosità ellenica.

La potenza teorica del volume, la si spiega tenendo in debito conto alcuni dati biografici dell’autore, riferiti opportunamente dal prefatore. Otto si formò a Tubinga, nel medesimo Stift teologico nel quale avevano studiato Hegel, Schelling ed Hölderlin. Dopo aver seguito brillanti studi filologici, a Monaco incontrò il filosofo Klages e frequentò gli ambienti del Kreis di Stefan George. Fu, inoltre, attratto dagli studi di Leo Frobenius, dai quali trasse l’idea del Weltbild (immagine del mondo), che gli permise di decodificare l’essenza della civiltà ellenica. Fu vicino agli ambienti aristocratico-conservatori e, perciò, antinazisti, della Germania segreta: ciò lo costrinse ad insegnare in un’Università «periferica», quella di Könisberg, dove rimase fino all’arrivo dell’Armata rossa nel 1944. Fu sottoposto, dopo la guerra, ad una serie di controlli preventivi, ma evitò l’epurazione e continuò ad insegnare fino al momento del decesso avvenuto nel 1958. Frequentò, tra gli altri, Heidegger, Kerény e Pettazzoni.

9788894296655_0_306_0_75.jpgIn Spirito classico e mondo cristiano, sono presenti: «lampeggianti intuizioni e utili indicazioni che consentono di vedere con occhi nuovi il mondo religioso ellenico» (p. 13). Otto cerca, in ogni modo, di far parlare i Greci e i loro dei, con la voce che gli fu propria. Fino ad allora, infatti, il clamore millenario prodotto dalla cultura dei vincitori, nella contesa storica sviluppatasi nel IV secolo d.c., quella cristiana, aveva impedito di cogliere il senso ultimo della visione del mondo ellenica. La critica al cristianesimo di Otto è radicale, i toni polemici decisamente aspri, in alcuni passaggi rasentano l’invettiva. Per questo, successivamente, il filologo non si riconobbe del tutto in tali affermazioni e non volle che questo studio fosse nuovamente pubblicato (la precedente edizione italiana uscì nel 1973, ad insaputa della figlia dello studioso). Il libro è scritto sotto il segno di Nietzsche. Come il filosofo dell’eterno ritorno, anche Otto distinse l’originario insegnamento del Cristo, insieme a Socrate considerato ultimo esempio di vita persuasa, dalla successiva dottrina cristiana, esito del travisamento teologico operato dalla tradizione paolino-agostiniana. In ogni caso, quale idea ha Otto della religio greca?

Egli era convinto che i poemi omerici: «contenessero il paradigma più alto della concezione olimpica del divino» (p. 14). Quella omerica era religio virile, fiera, senza uguali nella storia delle religioni. Punto apicale mai più raggiunto, in quanto in essa gli dei venivano invocati in piedi, il greco guardava negli occhi, senza alcun timore reverenziale i propri numi. Non conosceva le genuflessioni cristiane ed asiatiche, di fronte al divino. Questo era inteso quale manifestazione improvvisa, suscitante, al medesimo tempo, meraviglia e sconcerto. La coscienza del singolo era conciliata con i ritmi e le misure che si manifestavano nel cosmo, nessun greco conobbe mai la “cattiva coscienza”, triste novità introdotta dal cristianesimo. Con la sua irruzione si iniziò ad avvertire: «una opposizione tra il mondo sconvolto e disperato dell’anima, agitata sempre da tormenti e turbamenti […], e il mondo olimpico della forma» (p. 16). La natura, avvertita in precedenza quale epifania del divino, venne progressivamente esperita in termini desacralizzati e ridotta alla mera dimensione della quantità.

9788845977350_0_0_626_75LLLLL.jpgI Greci, al contrario, non conobbero mai la fides, la loro religio della forma era, in realtà, un susseguirsi di esperienze, di realizzazioni del sacro, da parte dell’uomo. Il tratto politeista consentiva loro di apprezzare i diversi volti dell’Uno e di viverli, di farne esperienza. A ciò contribuivano il mito e il culto. Nel secondo: «è l’uomo che si innalza al Divino, vive e agisce in comunione con gli dei; nel mito è il divino che scende e si fa umano» (p. 21). Il rapporto uomo-dio si manifestava, come rilevato da Rudolf Otto, nell’endiadi Io-Esso. Si trattava, pertanto, di una relazione centrata sull’ethos, sul modo d’essere (Evola avrebbe detto “razza dello spirito”) e non sul pathos, sulla dimensione emotiva e sentimentale. Il trionfo del cristianesimo rese esplicito che il mondo antico aveva perso la propria anima, vale a dire quest’atteggiamento paritetico degli uomini nei confronti degli dei. Ecco perché alla «buona novella» aderirono gli ultimi, i diseredati e le donne, che divennero strumenti mortiferi per lo spirito classico. In quel frangente, pochi tentarono una resistenza. Si ersero in pochi, ricorda Otto, sulle rovine di un mondo al tramonto per proclamarne la grandezza, tra essi Giuliano Imperatore. Monastra ipotizza, e la cosa va segnalata, che Evola, avrebbe potuto trarre il titolo del suo, Gli uomini e le rovine, proprio da un passo del libro del filologo tedesco, che certamente lesse.

Condividiamo l’esegesi della relazione paganesimo-cristianesimo che questo volume presenta. Forse, come rileva il prefatore, è eccessivo sostenere, come fece Otto, l’unicità religiosa della Grecia. Resta il fatto, però, che la loro fu una religione della realtà: «alla quale risulta del tutto estranea la “fede” in qualcosa di “totalmente altro”» (p. 33). In conclusione, vogliamo qui ricordare quanto, a proposito dell’originario cristianesimo, ebbe a sostenere il filosofo Andre Amo: questa religione avrebbe rappresentato un ritorno dei culti agrari, cosmici, che nel mondo antico si era mostrati a latere del dionisismo, di contro al rigido monoteismo ebraico, imparentato con la religione apollinea. Un considerazione non dissimile da quella fatta propria dal tedesco, alcuni anni dopo la pubblicazione dello Spirito classico e il mondo cristiano.

Giovanni Sessa

vendredi, 10 mai 2019

Evola and Neo-Eurasianism

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Evola and Neo-Eurasianism

Ex: https://www.geopolitica.ru

We must understand Julius Evola’s work in the same vein as we understand Heidegger’s approach to metaphysics and Western civilization.

While we can know, for sure, that the current state of Western civilization no longer resembles, in toto, the idealistic image once pictured by Heidegger and Spengler, we must be aware that their work constitutes an important and vital watershed.

The spirit of of old Europe is alive in Heidegger’s work, just as much as in Evola’s work. Both represent the spirit of an age that knew – intimately, perhaps – the Nietzschean drive to its deep modernistic roots and its essence, and perhaps could be depicted in a certain sense as representing the age of the (aspiring) Overman, the active nihilist, and of the regimes that sought a new model of man – many of them Fascist, Communist or even Liberal – as opposed to the current age of the Last Man, a man who has lost the Faustian drive almost entirely and therefore succumbed to passive nihilism, and to the spirit of an age that has fully transitioned from Modernity to Post-Modernity. An age that now consequently, in our current epoch, faces complete dissolution.

Evola addresses this age of dissolution just as intensively and concisely as Heidegger deconstructs the essence of Western logos and of its Metaphysics focused on unreal abstract presences, on reified essences, and on the thinking subject.

We must understand Evola as a savant who was deeply aware of his own role within the End Times, and the sort of distillation, of objectivity (sachlichkeit), that would be necessary in confronting the dimensions and challenges given in our age. We must sense, in him, a man who grasped the inevitable dissolution and destruction of the standards of the bourgeois era, and the age of so-called “Old” Europe, of the Europe that was still recognizable to a man like Oswald Spengler, and about whose inevitable destiny Goebbels firmly proclaimed – as he spoke, during the aftermath of the Dresden bombing and the late 2nd major global confrontation: “all of old Europe comes crashing down, and will be buried, with this war. With this conflict, comes down the ruin of the bourgeois age.” [rough translation]

Even if this fundamentally correct intuition did not come in the style of perverted Nazi dreams, with the construction of the fascist Neue Ordnung, but instead with the building of a demented, sick, geriatric and nihilistic liberal regime within an Americanized mold, we must still see in Evola a sort of logical conclusion to the presuppositions that have so far underlined the later stages of European reaction.

Evola must be understood as constituting the bridge from late Western European continental thought, to Tradition as we should know, and properly understand in the conception that must underlie the foundations of a new, post-liberal civilization that we – as men of the Midnight – must necessarily aspire to.

The very movement of Evola’s life, from the Absolute Idealism of his youth, towards the Neo-Platonic intellectual rigidity, the cemented and refined orthodoxy of the “late” Evola, is indicative of the way that we should take in our age.

Evola wrote precisely for us, the men of the midnight. His writings concerned not just the critique of late Western metaphysics, from a partial point of view that is perhaps much more complete in the work of Rene Guenon and Martin Heidegger, but carries in itself the apocalyptic and eschatological vision of the End – although within Evola’s work, we must understand the undertones of this view of the End Times as being fundamentally different from the Semitic bluster of emotions that have characterized our understanding of the term within Christian civilization.

Evola’s view of the End Times is strictly aligned with a different Orthodoxy, namely, that of Platonism, Hermeticism, Buddhism in its early purer form, and also Samkhya, Advaita and other such currents that can still be discerned in our age. In them, while the End Times and the Dark Age form a coherent given, there’s a marked absence of the pathos of the Semitic type within the scope of these alternative traditional teachings.

The current age of liberal decadence, of the end of Western humanity, must be understood within the aegis and scope of the broad movement of dissolution, of fragmentation, that precedes the end of the cycle. And this is followed, markedly, by the search for transcendence in a world that has become meaningless, formless, objectified, banal and the passive receptacle of a process very similar to the fetish of commodities described by Marxist ideologues. And within this dystopian world of the late times, we can also witness the correspondence made in a very precise fashion with the age of the fourth caste, the age of the Sudra – characterized for instance by the domination of the formless mass man, of pure quantity and of machines – as opposed to the previous bourgeois age that retained the remnants of deeper, older organic elements.

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Within this age, and within the West, we must acknowledge that everything that was still organic and traditional in the previous “bourgeois” age, that ended most definitely in 1945, is now coming to an end or has already been destroyed. The anti-modernist teaching of the Roman Church was killed and buried together with its ceremonial and liturgical core, and so were the remnants of the organic, pre and anti-modern social elements, like the aristocracy, the clergy, and the broad aristocratic and hierarchical structures that still played their role in granting a deep and effective sense of societal and personal differentiation no longer present in our day and age.

In our age, which is marked deeply by the liberal and also former Communist erosion of all the remaining standards of organic civilization, we cannot count on the luxury of having the old models and superstructures present within our current milieu. The organic society of the Renaissance, and its predecessor, the organic society of the Middle Ages, are now but a distant memory. What is present right now is precisely the inorganic model of the civilized, late liberal world, that drags itself inexorably towards a vortex of imbecility, downwards leveling of the social structure, and also self-disintegration. Of this, we can only take into account the brilliant work “Jihad vs McWorld”, the sort of book that bears a title very fitting to the current age of Spenglerian early Caesarism, money politics, and solidification.

We have already discussed briefly here and elsewhere the nature of this age. And now, we must understand that when the West lies close to its stage of effective mortality, the initiative must be seized decisively towards a new direction. This initiative consists in the gathering of the men of the Midnight, the differentiated men who “ride the tiger”, to the construction of a new paradigm that must necessarily come after the deep, dark night of Western modernity, and that shall come to the fore as the necessary civilizing Traditional force over a world in ruins. Of a world that has lost sight of itself, and has submerged itself into the most elementary and animal-like barbarity.

L’altro ’68 tra Julius Evola e Jan Palach

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L’altro ’68 tra Julius Evola e Jan Palach

da Giovanni Sessa
Ex: http://www.barbadillo.it

Molti dei mali del nostro tempo hanno avuto una lunga incubazione storica. Non può, però, essere messo in dubbio che, un momento di evidente accelerazione dei processi di crisi, si sia mostrato, in modo lapalissiano, nel tanto mitizzato 1968 e nella contestazione studentesca. Due recenti pubblicazioni vengono, opportunamente, a ricordarcelo. Si tratta di Julius Evola, Scritti sul ’68, comparso nel catalogo dell’editore l’Arco e la Corte (per ordini: arcoelacorte@libero.it, pp. 130, euro 15,00), e del volume di Petr Vyoral, Jan Palach, Praga 1969. Una torcia nella notte, di recente nelle librerie per Ferrogallico (per ordini: info@ferrogallico.it, pp. 111, euro 15,00).

9788894398328_0_306_0_75.jpg   Il primo libro, come ricorda nell’informata Premessa Alessandro Barbera, raccoglie gli articoli che Evola pubblicò su il Borghese nel biennio 1968-1969, aventi per tema la contestazione, due suoi scritti apparsi su Il Conciliatore, nonché un’intervista rilasciata, per lo stesso mensile, a Gianfranco de Turris. Infine, un articolo pubblicato sul Roma nel 1971 e il capitolo tratto da L’arco e la clava, intitolato La gioventù, i beats e gli anarchici di destra. Chiude il volume, un’Appendice che riunisce scritti di Mario Tedeschi, Giano Accame ed Adriano Romualdi. Dalla lettura è possibile evincere l’effettiva posizione che il filosofo assunse nei confronti del movimento studentesco. Evola iniziò la propria collaborazione a il Borghese di Tedeschi, per chiamata diretta dello stesso Direttore. Questi non condivideva le posizioni fatte proprie, in tema di movimento studentesco e «cinesi» all’Università, da Giano Accame, intelligenza scomoda formatasi sui testi di Evola, ma aperta, lo ricorda Barbera, alla modernità. Mentre Accame rilevava assonanze teoriche di fondo tra il pensiero di Tradizione ed alcuni assunti teorici espressi dai francofortesi, gli interventi Evola, misero in luce come, nell’antropologia disegnata da Marcuse, emergesse un debito rilevante nei confronti del freudismo.

   L’uomo che i contestatori avevano in vista per il superamento della società ad una dimensione, vedeva il prevalere della spinta meramente pulsionale, legata ad un’idea di libertà quale puro svincolo, libertà-da e non libertà-per. Inoltre, Evola espresse una critica radicale del maoismo, ideologia sostanziata dal marxismo e da un nazionalismo collettivistico, del tutto alieno dall’idea di comunità tradizionale. Ciò lo indusse a prendere, con chiarezza, le distanze dai gruppi nazi-maoisti che sostenevano di ispirarsi alle sue idee, come ribadito anche nell’intervista concessa a de Turris. Sulle medesime posizioni si schierò lo stesso Adriano Romualdi. La vera urgenza, per Evola, non andava individuata nella contestazione al sistema, ma nella Rivolta contro l’intera civiltà moderna. Non esistendo strutture politiche, né partitiche, atte a tanto, sarebbe stato necessario dedicarsi alla formazione personale, spirituale ed esistenziale, per farsi trovare pronti al momento opportuno. Evola fu, dunque, lungimirante.

    Comprese che il ’68 era funzionale al sistema e che i contestatori avrebbero semplicemente scardinato, a favore dei padroni del vapore, il ruolo dei corpi intermedi, della famiglia, avrebbero soprattutto messo in atto l’assassinio del Padre, indispensabile figura della trasmissione della Tradizione, al fine di liberare l’energia sovversiva del capitalismo, fino ai limiti estremi. Coglie nel segno, nella postfazione, Manlio Triggiani nel sostenere che Evola criticò, ad un tempo, i contestatori, e quanti a destra svolsero il ruolo di guardie bianche del sistema, «liberando» le Università dai «cinesi» che le occupavano. Comprese, che, per costruire un Nuovo Inizio europeo, sarebbe stato necessario lasciarsi alle spalle la mera nostalgia, così come gli sterili richiami patriottardi.

   Il secondo volume che presentiamo è dedicato a Jan Palach e richiama l’attenzione sull’Altro Sessantotto, quello combattuto, oltre la cortina di ferro, non dai figli della borghesia americanizzata dell’Occidente, dai narcisi à la page, ma dai figli del popolo che lottavano per affermare, sacrificando la propria vita, la dignità dell’uomo e della Tradizione. Il libro è costituito da testi e da disegni. Presenta in modalità decisamente accattivante, nel fumetto ottimamente realizzato da Vyoral, la storia, personale e politica, di Jan Palach, «torcia n. 1» che il 16 gennaio 1969, in piazza  san Venceslao a Praga, si diede fuoco per protestare, non solo contro l’occupazione del suo paese da parte delle truppe sovietiche ma, ancor di più, per suscitare una reazione forte nei confronti dell’asfissia prodotta dal sistema comunista. La primavera di Praga era stata stroncata nel sangue: non si trattava di «riformare» il comunismo, ma di sconfiggerlo. Il fumetto è accompagnato e completato dai testi di Emanuele Ricucci, autore della Prefazione, e di Umberto Maiorca, a cui si deve la Postfazione. Il primo ricostruisce, con toni lirici e appassionati, le tragiche vicende del giovane studente universitario ceco, ricordando quanto asserito da Marcello Veneziani: «i sessantottini incendiarono il mondo pensando a sé stessi, mentre Palach incendiò se stesso pensando al mondo» (p. 7). Maiorca ripercorre, in modo organico e compiuto, la breve esistenza di Jan, sottolineando, a beneficio del lettore, che nei Paesi dell’Est europeo, molte furono, in quegli anni, le torce che si accesero, perché la verità tornasse a riempire, luminosa, la vita offesa dal comunismo. Il 25 gennaio 1969, si svolsero i funerali del martire: «in una Praga avvolta dal silenzio e da una pioggia sottile […] sotto un cielo grigio seicentomila persone scendono in strada» (p. 96).

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  I suoi resti mortali non trovarono pace. La sua tomba divenne luogo di culto e di pellegrinaggio, che il regime non poteva tollerare. Il corpo venne riesumato, cremato, e le ceneri consegnate alla madre. Solo nel 1974 furono nuovamente sepolte, ma sulla tomba, perché non fosse riconosciuta, comparvero le sole iniziali del nome, «J. P.». Il senso comune contemporaneo tende a relegare gesti come quelli di Palach, nelle forme del patologico, riducendolo alla categoria della «follia». Ciò è naturale, la società post-moderna non riconoscendo più il Padre, il precedente autorevole, può mai comprendere la quint’essenza dell’Eroe? Jan Palach l’ha pienamente incarnata. Resterà per sempre simbolo del nostro Sessantotto.

@barbadilloit

Di Giovanni Sessa

dimanche, 05 mai 2019

La métaphysique de la tripartition indo-européenne

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La métaphysique de la tripartition indo-européenne, Partie 1

Collin Cleary

Note de l’auteur :

Cet essai fut originellement écrit il y a presque exactement treize ans. Je m’étais abstenu de le publier pendant toutes ces années, parce que je considérais que les idées qu’il contenait étaient un peu trop spéculatives et audacieuses. Je crois cependant que ces idées sont trop intéressantes pour être gardées indéfiniment non-publiées. Dans l’espoir que d’autres puissent en profiter, j’ai décidé que le temps était venu de publier cet essai. Je dois cependant souligner que ces idées sont en effet hautement spéculatives, et la théorie exposée ici demeure un travail en progrès.

  1. Introduction : le schéma tripartite de Dumézil

Le plus éminent savant dans le domaine des études indo-européennes est le regretté Georges Dumézil du Collège de France. La contribution de Dumézil à ce domaine plutôt restreint peut être résumée à deux choses : (a) il remarqua que toutes les cultures indo-européennes  exhibaient une structure tripartite fondamentale ; et (b) il découvrit que cette structure était  codifiée dans la mythologie de chaque peuple indo-européen. Je décrirai d’abord simplement cette tripartition et ensuite j’en proposerai quelques exemples. Ce sujet est déjà familier pour beaucoup de mes lecteurs.

Au sommet de la société indo-européenne se trouve ce que Dumézil appelle la première fonction. Celle-ci incarne des aspects jumeaux : un aspect juridique et un aspect sacerdotal. Elle concerne l’administration de la justice, et la religion. Elle est donc parfois appelée la fonction « sacerdotale-royale » ou « sacerdotale-juridique ». La deuxième fonction est assumée par la classe guerrière ou militaire, qui sert à protéger la société dans son ensemble et à faire la guerre à ses ennemis. La troisième fonction incorpore tous ceux qui s’occupent de la production ou de la fourniture de biens, de services, et de nourriture. Ainsi, cette classe incorpore tous les marchands, fermiers, commerçants, artisans, etc.

Quant à savoir quelle est la fonction qui règne vraiment dans la société indo-européenne, c’est une question complexe. D’une certaine manière, il semble évident que la première fonction règne. Elle joue un rôle organisateur et structurant dans la société. Parce qu’elle inclut un aspect juridique, elle est impliquée dans la compréhension et l’application de lois abstraites. De plus, puisqu’elle implique aussi un aspect religieux, c’est la première fonction qui fournit à la société l’accès au divin, la plus haute autorité de toutes. Cependant, dans la plupart des  sociétés indo-européennes, c’est de la classe guerrière, ou classe de la deuxième fonction, que les souverains provenaient. C’est le cas pour la caste indienne des Kshatriyas, par exemple.

Donc qui règne, la première ou la deuxième fonction ? Le problème est facilement résolu en regardant la description de la société timarchique traditionnelle dans la République de Platon. La timarchie est une société gouvernée par des membres de la classe guerrière, qui sont éduqués et conseillées par des membres de la première fonction, ou classe sacerdotale. Cela fait des guerriers des souverains de facto, mais puisque les prêtres font les lois, et servent d’autorité finale, on pourrait aussi soutenir qu’au sens réel c’est la première fonction qui règne. La timarchie est en fait la forme prise par la plupart des sociétés indo-européennes traditionnelles.

A présent, permettez-moi de donner quelques exemples spécifiques de tripartition dans les cultures indo-européennes, et dans le mythe indo-européen. En Inde nous trouvons trois castes principales : brahmanes (prêtres), kshatriyas (guerriers), et vaishyas (producteurs). Une quatrième caste, les shudras, est simplement celle des serviteurs des autres. Les aspects jumeaux de la première fonction sont représentés par les dieux Varuna et Mitra. La deuxième fonction est représentée par le dieu puissant et belliqueux Indra. La troisième fonction est représentée par les jumeaux Ashvins.

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En allant très loin en fait, parmi les Celtes nous trouvons les druides (qui étaient prêtres et juristes), les flaith (qui étaient une aristocratie militaire), et les bo airig, qui signifie littéralement « hommes libres possédant du bétail ». Parmi les tribus germaniques nous trouvons une tripartition sociale similaire, et des dieux similaires. Odin et Tyr représentent, respectivement, l’aspect religieux et l’aspect juridique de la souveraineté. Comme Varuna, Odin est représenté comme un habile magicien. Comme Mitra, Tyr est le contrat personnifié. Thor, qui correspond très clairement à Indra, est le dieu des guerriers. Freyr et Freya représentent la troisième fonction. Il faut noter, à cet égard, que tout ce qui a un rapport avec la production ou la fécondité est associé à la troisième fonction. C’est pourquoi Freyr et Freya, des dieux de la sensualité, sont des dieux de la troisième fonction. Dans le panthéon romain, nous avons Jupiter (première fonction), Mars (deuxième fonction), et Quirinus (troisième fonction). En Iran nous trouvons les Amesa-Spentas, aspects du Seigneur Sage, Ahura Mazda. Ceux-ci incluent Asa et Vohu Manah, qui représentent l’ordre cosmique et la moralité et qui sont donc des déités de la première fonction. Xsathra est puissance ou pouvoir, et est donc associé à la deuxième fonction. Armaiti, Haurvatat, et Amerutat sont les patrons, respectivement, de la terre, de la santé, et de l’immortalité, et semblent donc représenter des caractéristiques de la troisième fonction.

La tripartition est encodée dans le mythe indo-européen par d’autres manières encore. Dans un mythe scythe, par exemple, les dieux envoient à l’humanité quatre objets : un calice, une épée, un joug, et une charrue. Le calice est clairement un objet rituel, représentant la première fonction sacerdotale. L’épée est évidemment un objet de guerre et est donc associée à la deuxième fonction. Le joug et la charrue servent à cultiver le sol, et sont donc des objets de troisième fonction. Dans la légende irlandaise, les Tuatha de Danaan étaient supposés avoir quatre grands trésors. Le premier était la Pierre du Destin, qui servait pour les couronnements. Le deuxième et le troisième étaient l’épée invincible de Lug au Long Bras, et une lance magique (les deux ensemble représentent la deuxième fonction). Le quatrième était le Chaudron du Dagda, qui était une sorte de corne d’abondance.

La tripartition est au cœur de l’Iliade. Ce qui cause la Guerre de Troie est la rivalité entre les déesses Héra, Athéna et Aphrodite, parmi lesquelles un certain Pâris doit choisir la plus belle. Pour le séduire, Héra lui offre la souveraineté (première fonction) ; Athéna lui offre la prouesse militaire (deuxième fonction) ; et Aphrodite lui offre l’amour de la plus belle femme dans le monde (troisième fonction). En choisissant Aphrodite, et Hélène, Pâris voue sa nation à la perte en sortant de l’ordre naturel des choses : pour les Indo-Européens, la souveraineté et la chevalerie doivent toujours passer avant la sensualité.

Ayant fait un bref exposé de la tripartition indo-européenne, je vais maintenant arguer que nos ancêtres avaient raison de penser que la tripartition est plus qu’une simple structure sociale. Les trois fonctions sont en réalité les reflets d’une métaphysique tripartite plus profonde, et chaque niveau de réalité exhibe cette structure. Avant de commencer à défendre cette idée, je veux très brièvement faire trois remarques. Avant tout, je ne dis pas que « toutes les choses vont par trois ». Ce dont je parle ici est une forme particulière de structure triple, et non la triplicité en tant que telle. Ma procédure sera inductive. Je présenterai de nombreux exemples d’aspects de la réalité structurés d’une manière analogue au système social indo-européen. Dans les sections 7 et 8 je proposerai des exposés purement abstraits de la nature de ces principes, m’abstenant de toute application spécifique de ceux-ci.

Ensuite, je ne traiterai pas de la question de la manière dont les anciens Indo-Européens auraient pu posséder cette connaissance avancée. Je supposerai que je n’ai pas besoin de convaincre mes lecteurs qu’il est possible que nos lointains ancêtres connaissaient plus de choses que nous, et non pas moins.

Enfin, il est inévitable que certains objecteront à ma procédure ici en disant que les Indo-Européens tentaient simplement de justifier leur structure sociale en la « lisant » dans la structure même du cosmos. Cette objection sera émise spécialement par ceux qui objectent aux traits de l’« idéologie » indo-européenne qui sont « politiquement incorrects », par exemple le patriarcat, l’aristocratie, le militarisme, et, mon « isme » préféré, ce que Jacques Derrida appelait le « phallo-logocentrisme ». Il est bien sûr possible que les Indo-Européens aient simplement pu lire leur structure sociale dans les cieux, mais nous devons au moins envisager que cela a pu être l’inverse – qu’ils ont pu lire cette structure dans les cieux, et ensuite bâtir leur société autour d’elle. Mais cette objection est vraiment à coté de la question, car les exemples de tripartition que je présenterai ici sont principalement mes propres observations, ma propre application des catégories indo-européennes à d’autres régions du réel.

La Métaphysique de la Tripartition indo-européenne, Partie 2
La tripartition dans la Société Humaine Société, Psychologie, et Physiologie

Collin Cleary

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Le Jugement de Pâris par Rubens

  1. L’Ame Humaine Tripartite

Pour commencer, les Indo-Européens pensaient traditionnellement que la société doit être structurée en trois parties ou « fonctions », parce que les gens eux-mêmes exhibent trois types d’âmes basiques.

Les étudiants de la philosophie grecque réaliseront que c’est exactement la vision de Platon. Dans la République, Platon divise sa cité idéale en trois classes : les philosophes, les gardiens ou guerriers, et les producteurs. Cela correspond précisément à la tripartition indo-européenne, les philosophes-rois prenant la place des prêtres-juristes. Mais dans la République, Platon ne fait cette remarque politique que pour faire une remarque psychologique. Il dit que chaque être humain exhibe cette structure tripartite.

Dans nos âmes il y a un élément-guide – un élément qui contrôle, qui dit oui ou non, qui parle « sens » en nous quand les émotions s’égarent. Cet élément se préoccupe à la fois des règles, de l’ordre, de la logique, et de ce que nous appelons la spiritualité. Il correspond donc à la fonction juridique-sacerdotale de la société indo-européenne. Nous avons aussi ce que Platon appelle un élément « passionné » [spirited] (à ne pas confondre avec « spirituel ») qui bat sauvagement dans la poitrine dès que le corps ou l’honneur de quelqu’un est menacé. Il nous pousse à combattre, parfois stupidement. Cela correspond évidemment à l’élément gardien ou guerrier (deuxième fonction). Enfin, nous avons ce que Platon appelle la partie « appétitive » ou « désirante » de l’âme. C’est la partie de nous qui est avide de biens physiques : nourriture, sexe, plaisirs sensuels de toutes sortes, argent, trésors, biens immobiliers, etc. La vertu, pour Platon, est présente dans une âme quand ces trois éléments coexistent harmonieusement, l’harmonie étant largement imposée par le contrôle de la première fonction, ou fonction rationnelle.

  1. Les trois types humains

L’autre remarque psychologique de Platon est que les gens diffèrent selon la proportion de ces éléments dans leur âme individuelle. Pour le dire simplement, certains humains tendent naturellement à être intellectuels ou spirituels. D’autres sont principalement passionnés, agressifs, préoccupés par les choses comme la compétition, l’honneur, et la gloire. D’autres encore sont principalement appétitifs, avec des préoccupations qui ne s’élèvent jamais au-dessus du niveau de la satisfaction physique et sensuelle, ou du gain matériel.

Bref, pour Platon et pour les Indo-Européens, il existe des souverains et des prêtres naturels, des guerriers naturels, et des producteurs et des commerçants naturels. Pour les Indo-Européens, la société doit exhiber une structure tripartite parce que les humains eux-mêmes se répartissent dans un tel groupement. Soit dit au passage, Platon pensait que la plus grande partie de l’humanité tombait dans la troisième classe appétitive, et c’est pourquoi il s’opposait à la démocratie. Le règne de « la majorité » signifie inévitablement le règne de ceux qui ne sont pas principalement raisonnables, spirituels, ou honorables, mais plutôt de ceux qui sont principalement préoccupés par le gain personnel, et par l’instant.

  1. Les types somatiques et tempéramentaux 

sheldon.jpgWilliam Herbert Sheldon

Ainsi, ce que nous avons vu jusqu’ici est que la tripartition indo-européenne nous fournit une psychologie selon laquelle nous pouvons comprendre la dynamique de notre âme individuelle, et selon laquelle nous pouvons nous catégoriser et nous comprendre, nous-mêmes et les autres. Cependant, la tripartition n’est pas seulement présente dans l’âme mais aussi dans le corps. Dans ce qui suit je m’inspirerai des travaux du psychologue W. H. Sheldon, dont le travail a été déclaré « discrédité » aujourd’hui (tous ses livres sont épuisés), parce qu’il a commis le péché impardonnable de suggérer que la biologie forme notre destin [1].

Sheldon distingue trois types physiques ou « morphes », et trois types de tempérament, ou « tonies ». Les morphes seront familiers à beaucoup d’entre vous : ce sont l’ectomorphe, le mésomorphe, et l’endomorphe [2] (la signification littérale de ces noms sera discutée dans la section 4, plus loin).

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L’ectomorphe est typiquement mince, peut-être quelque peu fragile et délicat. La linéarité prédomine. Il y a peu de graisse et peu de masse musculaire. Le tempérament typiquement exhibé par l’ectomorphe est cérébrotonique. Il est souvent introverti, souvent complètement absorbé dans ses propres processus de pensée. La plupart des schizophrènes exhibent un type ectomorphique. Le cérébrotonique tend à un comportement nerveux, obsessif, et est souvent hautement doué pour les recherches théoriques. Je n’ai pas besoin de souligner ce que nous avons tous observé dans nos vies : que les « cérébraux » et les « dingues de science » tendent à être minces, dégingandés, et nerveux. Mais ce type, qui est attiré par l’abstrait et le rationnel, peut aussi être attiré par le spirituel et le mystique.

Le mésomorphe a typiquement des épaules larges, avec une taille étroite, lui donnant une apparence triangulaire. Il est naturellement bien-proportionné. Comme l’ectomorphe, il tend à avoir peu de graisse, mais à la différence de l’ectomorphe sa musculature est prononcée. C’est un athlète naturel, avec un corps construit pour le conflit et la compétition. Concernant son tempérament, Sheldon l’appelle somatotonique. C’est un tempérament orienté vers l’action. Le somatotonique est un guerrier, recherchant la compétition, l’effort, la victoire, et la gloire de toutes sortes. De tels individus tendent vers l’extraversion. Ils veulent faire des choses, plutôt que s’asseoir et y réfléchir. Ils tendent à l’insensibilité, et même parfois à la brutalité. Ils veulent diriger, mais ils peuvent aussi être des partisans fanatiques s’ils rencontrent quelqu’un qu’ils estiment plus hautement qu’eux-mêmes.

L’endomorphe est de forme ovale, tendant souvent à l’obésité. Il est l’opposé diamétral de l’ectomorphe. En termes géométriques, il est rond plutôt que droit. La musculature qu’il peut avoir est très souvent cachée sous la graisse. L’endomorphe est viscérotonique ou « dominé par les boyaux ». Un représentant des théories de Sheldon remarque que pour les viscérotoniques « l’amour du confort physique, de la nourriture, des cérémonies polies, de la compagnie, et du sommeil sont des caractéristiques dominantes ». Il est caractérisé par « la douceur du corps et de l’esprit » [3]. Cette « douceur de l’esprit » se manifeste par une tendance à la passivité, à la complaisance, à l’amabilité indiscriminée, à la jovialité, et à une absence de volonté ou une incapacité à faire des jugements fermes ou tracer des distinctions fermes.

Il devrait être évident que ces trois types corporels et tempéramentaux correspondent aux trois fonctions indo-européennes. L’ectomorphe et cérébrotonique est l’intellectuel, le raisonneur abstrait, le juge, ainsi que le mystique. Le mésomorphe et somatotonique est le guerrier naturel. L’endomorphe et viscérotonique est naturellement incliné vers la production, la consommation, et la satisfaction sensuelle. La description par Sheldon des trois tempéraments peut être considérée comme un supplément à la discussion par Platon des types rationnel, passionné, et appétitif. Dans la distinction des trois « morphes » associés à ces types nous trouvons une expression physique de la tripartition, ce qui est particulièrement remarquable.

  1. La signification du mésomorphe

Ce qui est particulièrement intéressant ici est la « position médiane », au niveau physique aussi bien qu’au niveau spirituel, occupée par les mésomorphes-somatotoniques. Comme l’ectomorphe, il est maigre. Comme l’endomorphe, il est épais. Mais sa maigreur épaisse est musculaire. Il manque de la graisse de l’endomorphe, mais à la différence de l’ectomorphe sa musculature tend à être visible.

Dans l’enseignement ésotérique de Platon – rapporté sous forme fragmentaire par Aristote et d’autres – le grand philosophe distingue deux principes ultimes et métaphysiques qu’il appelle l’Un et la Dyade Indéfinie. L’Un est conçu comme mesure, ordre, proportion. La Dyade est conçue comme les principes jumeaux du Grand et du Petit. On peut facilement surimposer les trois morphes à ces catégories, le mésomorphe représentant un milieu entre des extrêmes. C’est le type parfaitement mesuré, ordonné, proportionnel. C’est dans l’espoir d’approcher de sa forme que des millions de dollars sont dépensés chaque année pour adhérer à des sociétés de gymnastique. L’endomorphe et l’ectomorphe sont, respectivement, le Grand et le Petit. C’est comme si l’endomorphe avait trop de quelque chose et l’ectomorphe trop peu.

Il y a une autre manière plus importante par laquelle le mésomorphe-somatotonique est un « milieu » entre les deux autres. L’ectomorphe tend vers l’abstrait, le cérébral, et l’intellectuel. L’endomorphe-viscérotonique est à l’opposé : inclinant vers la sensualité, la physicalité, et l’oubli insouciant. En termes platoniciens-aristotéliens, l’un est plus proche du domaine du Formel et de l’Idéal, l’autre du matériel. Il est probable que les deux mènent des existences problématiques. Le mésomorphe, d’autre part, est un heureux milieu entre les deux. Il est incontestablement physique, et se réjouit de sa physicalité. Mais à la différence de l’endomorphe, sa physicalité n’est pas celle de l’autosatisfaction et de la sensualité. Le mésomorphe utilise sa physicalité pour poursuivre des idéaux. Ceux-ci vont de buts triviaux, comme gagner une partie, ou marquer un point, à des questions plus sérieuses, comme défendre l’honneur, vaincre une menace contre soi-même ou son peuple, ou défendre les sans-défense.

Le mésomorphe-somatotonique possède ainsi l’idéalisme de l’ectomorphe, mais sans sa tendance aux choses détachées-du-monde et à l’obsession de soi. Il possède la physicalité de l’endomorphe, mais sans sa tendance à la recherche du plaisir et à la passivité. C’est essentiellement pour cette raison que les anciens peuples, en particulier les Indo-Européens, regardaient ce type comme le type humain idéal. Ils lui érigeaient des statues, écrivaient des poèmes épiques et des sagas sur lui, et en général lui rendaient un culte comme étant l’être humain qui pouvait le plus approcher du divin (je reviendrai sur ce point quand je discuterai de la tripartition dans le tantrisme).

Le buste triangulaire du mésomorphe (souvent appelé la « forme en V ») est également intéressant. N’est-il pas fascinant que ce type, qui est une sorte d’équilibre entre les deux autres, approche d’une forme « triangulaire », et que cette forme soit trouvée si attirante ?

  1. Les organes corporels

Si nous regardons l’arrangement du corps humain, nous trouvons quatre systèmes principaux alignés autour de son axe central, l’épine dorsale. Ce sont le cerveau, le cœur, les boyaux, et les organes génitaux. Dans la pensée traditionnelle, ils sont l’expression physique des trois fonctions : le cerveau représentant, bien sûr, la première fonction. La passion de la deuxième fonction a depuis longtemps été associée à la région du cœur. Le terme de Platon qui est traduit par « passion » est thumos, qui était conçu comme une partie physique du corps, situé dans la région du cœur. Les boyaux et les organes génitaux représentent clairement la troisième fonction. Il est également intéressant de remarquer que le cœur occupe à peu près une position médiane entre le cerveau et les organes génitaux, de même que le mésomorphe-somatotonique est le milieu entre les deux autres types.

Une « qualité yang » dure caractérise les organes associés à la première et à la deuxième fonctions. Une « qualité yin » douce est typique des organes associés à la troisième fonction. Spécifiquement, les organes de la cavité abdominale sont non seulement mous, mais ils sont aussi les moins protégés par les os. Tout durcissement de ces organes signifie une maladie. La tête, par contre, une région associée à la première fonction, est l’une des parties les plus dures du corps. On peut aussi trouver des structures dures et cristallines dans le cerveau lui-même, dans la glande pinéale [4]. A la deuxième fonction sont associées les muscles les plus importants et les plus visiblement apparents du corps, dont la « dureté » est un signe de puissance. Nous utilisons le terme « durcir » pour décrire le processus de perfectionnement de ces muscles, qui sont si nécessaires pour l’attaque et la défense. Bien que les organes sexuels soient associés à la troisième fonction, chez le mâle ils ont, du moins une partie du temps, la qualité yang dure. C’est grâce à l’interaction de l’anatomie sexuelle mâle avec le système circulatoire, qui est un système de deuxième fonction, comme je le discuterai brièvement.

  1. Les Doshas ayurvédiques et les types sexuels 

La typologie physique et tempéramentale précédente fut considérablement développée par les anciens peuples indo-européens, en utilisant un vocabulaire très différent, bien sûr. Le meilleur exemple de cela peut être trouvé dans l’ancien système indien de la médecine ayurvédique. Ce matériel a été popularisé dans les années récentes dans un certain nombre de best-sellers, en particulier ceux de Deepak Chopra (envers qui nous devrions à part cela adopter un sain scepticisme). Le système dépend d’une division des êtres humains en trois types, appelés doshas : Vata, Pitta, et Kapha. Ceux-ci sont conçus comme des forces opérant dans le corps.

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Tout comme dans l’image platonicienne de l’âme, nous avons trois types en nous, mais chez la plupart des gens un dosha prédomine. Un type Vata est mince et dégingandé, avec une tendance à la crainte et à l’obsession de soi. Il est aussi imaginatif, introspectif, et souvent intellectuel. En d’autres mots, ectomorphique-cérébrotonique. Ce qui est particulièrement fascinant ici, c’est que l’Ayurveda conçoit le dosha Vata comme « dirigeant » les autres doshas. Deepak Chopra parle en fait du Vata comme du « roi » des doshas [5]. Le type Pitta est musculaire et bien-proportionné, agressif, impérieux, et déterminé. En d’autres mots, le type « guerrier » ; le mésomorphe-somatotonique. Le type Kapha a une tendance à l’obésité, à la bonne humeur, à l’autosatisfaction, et à la paresse mentale. Evidemment, l’endomorphe-viscérotonique.

Cette tripartition fut remarquée par les Indiens même dans le domaine du sexe. L’Ananga Ranga, un manuel sexuel indien de date incertaine (bien que clairement rédigé durant le dernier millénaire) divise les hommes en trois types sexuels : le Shasha ou homme-lièvre, le Vrishabha ou homme-taureau, et l’Ashwa ou homme-étalon. Je commencerai par l’homme-taureau. On le reconnaît, affirme l’Ananga Ranga, à son phallus ou lingam d’une longueur correspondant à la largeur de neuf doigts. Autant que je puisse me l’imaginer, cela correspond approximativement à la moyenne de Kinsey. D’après le texte, le corps de cet homme est « solide, comme celui d’une tortue ; sa poitrine est charnue, son ventre dur, et les grenouilles [= les triceps] de ses bras sont tournées de manière à être mises de face ». Bref, c’est un mésomorphe classique. Le texte nous informe que sa disposition est « cruelle et violente, agitée et irascible, et son Kama-salila [= semence] est toujours prêt » [6]. L’homme-étalon a un lingam d’une longueur correspondant à peu près à la largeur de douze doigts. Il est de forme épaisse. Le texte nous dit qu’il est « d’esprit insouciant, passionné et avide, glouton, changeant, paresseux, et rempli de sommeil » [7]. Il s’agit clairement du type endomorphe-viscérotonique, correspondant à la troisième fonction indo-européenne.

J’ai gardé l’homme-lièvre pour la fin, parce qu’ici la correspondance n’est pas aussi précise. Le texte nous dit que son lingam est d’une longueur correspondant à peu près à la largeur de six doigts. « Sa figure est courte et maigre, mais bien proportionnée en forme et en fabrication … son visage est rond … Il est d’une disposition tranquille ; il fait le bien pour l’amour de la vertu ; il est impatient de se faire un nom ; il est humble dans son comportement… » [8]. Rien ici sur l’aspect mince, dégingandé et introspectif. Mais l’adjectif « maigre » suggère la minceur. Le fait qu’il fasse le bien « pour l’amour de la vertu » suggère le goût des principes du cérébrotonique classique. Notez, à ce propos, que l’homme-taureau ou mésomorphe est le milieu mathématique précis entre l’homme-lièvre et l’homme-étalon. L’homme-lièvre a une taille de six doigts, l’homme-taureau de neuf, et l’homme-étalon de douze. Neuf est un nombre très important dans les traditions indo-européennes, particulièrement dans la tradition germanique.

  1. Paracelse

Paracelsus.jpgParacelse

Nous trouvons quelque chose de remarquablement similaire à ces distinctions physiologiques indiennes tripartites dans les ouvrages du médecin et alchimiste allemand du XVIe siècle, Theophrastus Bombastus von Hohenheim, appelé Paracelse. Il y a une sorte d’esprit indo-européen à l’œuvre chez ce penseur, car il insiste pour passer du système quadripartite des éléments (Terre, Air, Feu, et Eau – qui est peut-être bien une conception d’origine proche-orientale et non indo-européenne) au système tripartite du Soufre, du Mercure et du Sel. Mais ce n’est pas la pure triplicité de ce système qui est curieuse, mais plutôt sa correspondance exacte avec les trois fonctions indo-européennes.

Dans son Opus Paramirum (1530-1), Paracelse écrit, « La première chose que le médecin devrait savoir est que l’homme est composé de trois substances » [9]. Ce sont le Mercure, le Soufre et le Sel, dit-il, qui se combinent pour faire un corps. « Pour rendre les choses visibles, la Nature doit être obligée de se montrer … Prenez un morceau de bois. C’est le corps. Maintenant brûlez-le. La partie inflammable est le Soufre, la fumée est le Mercure, et la cendre est le Sel » [10]. Comme le note un commentateur, « Il utilisait ces termes pour décrire des principes de constitution, représentant l’organisation (Soufre), la masse (Sel), et l’activité (Mercure), toutes des variétés des formes spécifiques accomplies par les intelligences et semences immanentes de la matière » [11]. La correspondance avec le système indo-européen est donc comme suit : le Soufre, le principe organisateur = Première Fonction ; le Mercure, le principe actif et volatile = Deuxième fonction ; et le Sel, le principe de la pure masse ou matière = Troisième Fonction.

Notes

[1] Mêmes les bibliothèques se débarrassent des livres de Sheldon. Des exemplaires sont encore en circulation, mais souvent pour un prix élevé. Voir en particulier les ouvrages suivants : The Varieties of Human Physique (New York: Harper, 1940); The Varieties of Temperament (New York: Harper, 1942); Atlas of Men: Guide for Somatotyping the Adult Male at All Ages (New York: Gramercy Publishing, 1954).

[2] La terminologie de Sheldon continue à vivre dans les milieux de la santé et du fitness – particulièrement dans le bodybuilding.

[3] Robert S. De Ropp, The Master Game (New York: Delacorte Press, 1968), 116.

[4] Ces remarques peuvent être trouvées dans Wolfang Schad, Man and Mammals: Toward a Biology of Form, trans. Carroll Scherer (Garden City, New York: Waldorf Press, 1977), 17.

[5] Deepak Chopra, Perfect Health (New York: Harmony Books, 1991), 36.

[6] Kalayana Malla, Ananga Ranga, trans. F.F. Arbuthnot and Richard F. Burton (New York: Medical Press, 1964), 16

[7] Ibid., 16. Il est intéressant de noter que Shiva, l’incarnation de la troisième fonction, le principe du Tamas dans la théorie indienne des gunas, est appelé « seigneur du sommeil ».  Plus de détails là-dessus plus tard.

[8] Ibid, 15.

[9] Paracelse, Essential Readings, ed. Nicholas Goodrick-Clarke (Berkeley, California: North Atlantic Books), 76.

[10] Ibid., 78.

[11] Ibid., 28.

La métaphysique de la tripartition indo-européenne, Partie 3
La tripartition chez les animaux et dans la  nature en général

La tripartition chez les animaux

  1. Les trois systèmes de Schad

Jusqu’ici j’ai appliqué la tripartition indo-européenne au domaine humain, à l’ordre politique et sociétal, à la psychologie individuelle et de groupe, à la physionomie, à l’anatomie, et à la sexualité. Je vais maintenant passer à un niveau d’abstraction plus élevé, à la nature de l’organisme des mammifères en général. Dans les remarques qui suivent, je m’inspirerai principalement de l’œuvre des scientifiques Wolfgang Schad et Henri Bortoft, adeptes de l’anthroposophie.

Schad identifie trois processus fonctionnels fondamentaux dans l’organisme des mammifères : le système nerveux-sensoriel, le système respiratoire-circulatoire, et le système métabolique-membres. En termes de tripartition indo-européenne, les correspondances sont assez évidentes. Le système nerveux-sensoriel fonctionne pour guider le corps. Il correspond donc à la première fonction (souvenez-vous que l’ectomorphe, que j’ai identifié à la première fonction, a été décrit en termes de tempérament comme un cérébrotonique, où le système nerveux domine). Le système respiratoire-circulatoire correspond à la deuxième fonction. Une coïncidence heureuse fait que dans les traductions [anglaises] de Platon, nous utilisons le terme « spirited » pour décrire les gardiens ou guerriers, qui sont censés posséder l’« esprit ». Les anciens Indo-Européens pensaient que leurs guerriers étaient littéralement inspirés. Les types guerriers sont aussi connus pour leur manière de respirer et de gonfler la poitrine, une forme de parade destinée à intimider les autres mâles. Ainsi, il y a une association naturelle entre la deuxième fonction, le guerrier, et le système respiratoire-circulatoire. Mais beaucoup plus important est le fait que c’est dans le système circulatoire que nous trouvons les principaux gardiens du corps : les globules blancs qui servent à attaquer les envahisseurs.

Il nous reste à examiner le système métabolique-membres. Il y a là aussi une association entre le métabolisme et la troisième fonction indo-européenne. Dans la société indo-européenne, la troisième fonction est la fonction nourricière ; elle inclut tout ce qui est concerné par la fabrication ou l’apport de nourriture. Les deux organes du corps qui représentent le plus les différents aspects de la troisième fonction (qui sont complexes) sont l’estomac et les organes génitaux (souvenez-vous que l’endomorphe, que j’ai identifié à la troisième fonction, est fréquemment caractérisé par un estomac protubérant, et une tendance à la gloutonnerie). Le « caractère négatif » de la troisième fonction (que je discuterai en détail plus tard) est illustré par l’action des organes digestifs, qui suppriment l’identité de la matière étrangère et la  convertissent en la propre substance du corps.

  1. Rongeurs, ongulés, et carnivores 

Dans l’être humain, les trois systèmes de Schad existent dans un état d’équilibre. Chez d’autres mammifères, cependant, ces systèmes existent d’une manière telle que l’un domine les autres. Schad affirme que les rongeurs (castors, spermophiles, lemmings, souris, taupes, rats, écureuils, etc.) sont dominés par le système nerveux-sensoriel. On peut voir cela non seulement dans leur activité nerveuse frénétique (similaire à celle de l’ectomorphe-cérébrotonique humain), mais aussi dans le fait que leur tête est beaucoup plus grosse et plus développée que leurs membres. Les ongulés (buffles, chameaux, vaches, chevreuils, chèvres, chevaux, cochons, etc.) sont dominés par le système métabolique-membres. Cela se reflète dans leur grande taille. En particulier, leur estomac est habituellement très grand, et leurs membres sont aussi allongés et massifs. Comme l’endomorphe-viscérotonique humain, ils tendent à être passifs, à se déplacer lentement, et aiment manger.

Les carnivores (chats, loups, dauphins, blaireaux, belettes, etc.) sont dominés par le système respiratoire-circulatoire, que Bortoft décrit significativement comme « intermédiaire entre les deux autres [systèmes] » [1]. Il écrit : « Dans leur forme bien proportionnée, dans laquelle aucune partie du corps n’est développée plus que les autres, aussi bien que par leur taille intermédiaire, ils représentent un équilibre actif entre les deux extrêmes du rongeur et de l’ongulé » [2]. Cette description correspond exactement à mon traitement du mésomorphe-somatotonique humain. Les carnivores, comme les guerriers de la deuxième fonction, sont bien sûr caractérisés par une nature de prédateur. Et qui sont les souverains de facto du royaume animal ? Les carnivores, bien sûr.

Schad dit des choses fascinantes sur la vie de ces trois types de conduite des mammifères, et sur leur relation particulière avec la mort. Le rongeur, dit-il, « vit involontairement » et « meurt avec joie ». Sa vie nerveuse hyper-cinétique semble le rendre fatigué de l’existence, et il meurt généralement facilement et sans combat. Le cas extrême serait celui du lemming.  L’ongulé, par contre, « vit avec joie » et « meurt involontairement ». L’ongulé meurt mal. Il est souvent difficile à achever, et se débat et proteste bruyamment. Lorsqu’il se trouve face à une menace réelle ou potentielle, le rongeur réagit généralement par la fuite ; l’ongulé réagit par l’« évitement tranquille ». Par contre, le carnivore attaque. « Il s’expose également à la vie ou à la mort. Avec la mort aussi bien qu’avec la vie, il a une relation active ». Plus loin, il nous dit que le carnivore « accepte également la possibilité de la vie ou de la mort » [3]. En termes humains, cette étrange combinaison d’héroïsme et de résignation est typique, bien sûr, du guerrier tel qu’il est classiquement conçu.

  1. Exemples anatomique : dents et os

Nous pouvons trouver la tripartition même à un niveau beaucoup plus concret, reflété dans le dessin des parties individuelles du corps. Prenez les dents, par exemple : les incisives, les canines et les molaires. Schad nous montre que chez les rongeurs les incisives dominent, chez les carnivores les canines, et chez les ongulés les molaires. Chacun accentue le type de dents dont il a besoin pour sa forme de vie. Mais chez l’être humain, ces trois types sont également développés, parce que nous pouvons manger – et en faire notre subsistance – toutes les nourritures mangées par les rongeurs, les carnivores, et les ongulés.

Ce simple fait nous oriente vers des questions de grande importance concernant la place de l’homme dans l’univers ; son rôle cosmique, si vous voulez. Non seulement les êtres humains possèdent les trois types de dents, également développées, mais, comme je l’ai déjà mentionné, dans l’être humain les trois systèmes corporels (nerveux-sensoriel, respiratoire-circulatoire, et métabolique-membres) sont équilibrés, sans qu’aucun ne domine les autres. Qu’est-ce que cela signifie ? Dans le concept indo-européen traditionnel de la royauté, le roi, bien qu’il vienne d’une caste, était en réalité considéré comme incarnant les trois fonctions. Maintenant, je dirais que l’homme est à la nature ce que le roi est à son royaume. Comme le roi, qui incarne tous les aspects de son royaume dans sa personne, l’homme incarne tous les aspects de la nature. L’homme est à la fois rongeur, carnivore et ongulé. L’homme est le microcosme. Si on peut dire qu’il est le « roi de la nature », sa royauté est une intendance. Son rôle n’est pas d’être un tyran, ni de piller son royaume, mais d’y travailler presque comme un jardinier travaille dans un jardin : s’assurer que le sol est capable de supporter la croissance, planter les graines d’une manière judicieuse, guider la croissance de ses plantes, et bien sûr éliminer les herbes mauvaises et nuisibles.

Comme exemple anatomique supplémentaire de tripartition, considérez les trois types de cellules osseuses. Les ostéoblastes synthétisent les nouveaux os, et réparent les os existants en prenant du calcium dans le sang et en créant des matrices osseuses. Les ostéocytes maintiennent la force osseuse. Enfin, les ostéoclastes dissolvent les os dans le sang afin de briser et de réassimiler les vieilles structures osseuses. Nous avons ici un mécanisme organisateur positif, un mécanisme préservateur, et un mécanisme destructeur négatif. Comme un auteur le remarque, cela correspond étroitement à la trinité des dieux hindous, Vishnou, Brahma, et Shiva [4]. Comme nous le verrons plus loin, ces trois dieux sont conçus comme l’incarnation de forces qui correspondent exactement aux trois fonctions indo-européennes.

  1. Vie microscopique

Maintenant, pour l’instant je n’ai rien à dire sur les groupes d’animaux autres que les mammifères. Je n’ai rien à dire non plus sur les plantes. Ce sont des domaines pour une réflexion ultérieure. Je dirai cependant quelque chose sur la forme de vie la plus primale, la cellule de base et le micro-organisme.

Il y a différentes sortes de cellules, avec des structures différentes, mais dans la structure basique de chaque cellule nous pouvons voir une tripartition. Le noyau, dont le reste de la cellule reçoit ses ordres de marche, semblerait correspondre à la première fonction. La membrane de la cellule, qui entoure la cellule et la protège, serait la deuxième fonction. Enfin, la mitochondrie, et d’autres structures, qui déconstruisent et assimilent les molécules de nourriture pour fournir de l’énergie à la cellule, semblerait représenter la troisième fonction.

En prenant à nouveau les humains comme exemple, nos corps commencent par être des organismes microscopiques tripartites. Après environ trois semaines, l’embryon humain se développe en une sphère composée de soixante cellules appelées une blastula. La blastula se replie sur elle-même et développe trois structures de base, l’ectoderme, le mésoderme, et l’endoderme. De l’ectoderme se développeront la protection extérieure du corps, l’épiderme, ainsi que le cerveau et le système nerveux. L’ectomorphe est simplement quelqu’un chez qui cette composante prédomine. Le mésoderme se développe en muscles, os, système respiratoire et circulatoire, et est le trait saillant du mésomorphe. Enfin, l’endoderme, qui prédomine dans l’endomorphe, se développe en système digestif, ainsi que dans la parité du  système respiratoire et du canal alimentaire.

Si on regarde la structure de la blastula originelle, on découvre que l’ectoderme et l’endoderme naissants sont mis ensemble, pour former la couche extérieure de la blastula. Le mésoderme est le noyau intérieur. Cela suggère le lien entre les opposés polaires de la première fonction et de la troisième fonction. En un certain sens, ceux-ci existent sur un continuum. Les anciens reconnaissaient cela, et c’est pourquoi Platon parlait de sa Dyade Indéfinie comme du Grand et du Petit. Similairement, les deux extrêmes qui s’opposent au milieu dans la doctrine aristotélicienne des vertus sont conçus comme s’ils étaient sur un continuum. Même plus tard, quand l’ectoderme et l’endoderme sont plus complètement différenciés, ces deux sont encore visiblement présents sur un continuum. Et le mésoderme réside encore au centre de l’organisme, à l’intérieur de la coquille extérieure formée par l’ectoderme et l’endoderme.

Que le mésoderme doive se trouver à l’intérieur des deux autres, plutôt que sur le continuum avec eux, est hautement significatif. Cela reflète le caractère spécial de la deuxième fonction : son coté à part, son statut de médiation entre les autres fonctions. De plus, parce que dans la deuxième fonction les deux autres sont harmonisées et réalisées (un point sur lequel je reviendrai plus loin), la deuxième fonction est, d’une certaine manière, la « vérité intérieure » des autres. La position du mésoderme comme noyau intérieur est la vérité intérieure exprimée physiquement.

La tripartition dans le monde physique en général

  1. Le macrocosme

Le niveau le plus abstrait que nous considérerons sera l’existence en tant que telle. Mais avant d’atteindre ce niveau, regardons d’abord simplement notre monde physique, et ensuite les constituants physiques de ce monde. A nouveau, c’est un domaine dans lequel beaucoup de spéculations sont possibles, et ici je ne peux proposer que quelques suggestions.

Une division triple évidente de notre monde serait celle de la terre, du ciel et de l’atmosphère, et des cieux au-delà. Sur la terre nous trouvons du liquide et du solide, des océans et des continents. La terre est la source d’abondance, de la subsistance. A ce niveau de la réalité, elle est donc la troisième fonction. La coprésence du liquide et du solide représente la coprésence dans la troisième fonction du chaos (« les eaux » sont un symbole pérenne de la force du chaos), et de l’abondance ; l’indéfinition, et la fécondité précise. Le ciel plane au-dessus de la terre. L’atmosphère entoure celle-ci et la protège. Le ciel a souvent représenté une force mâle, et la terre la force féminine. Dans le système germanique, le ciel correspond à Tyr, la terre à Ing. Les deux sont des dieux mâles, mais Tyr fait partie des Ases, Ing des Vanes. De même, je dirais que le ciel et l’atmosphère représentent la deuxième fonction. Il est aussi remarquable que, comme je l’ai montré, la deuxième fonction soit associée à l’inspiration, au sens littéral ; à l’air et à la respiration. La première fonction est représentée par les corps célestes, en particulier le soleil, qui exerce une influence sur la terre depuis en-haut, une influence que les scientifiques commencent seulement à comprendre. Le soleil est aussi un symbole pérenne de la première fonction. Il apparaît dans la République de Platon comme un symbole de l’idéal. Comme je le discuterai brièvement, le soleil joue aussi ce rôle dans la pensée indienne.

  1. Physique

L’équation d’Einstein E=mc2 décrit l’univers physique en termes d’énergie, de masse, et de lumière. Comme nous le verrons, dans la philosophie indienne la première fonction indo-européenne est identifiée à la lumière, la troisième fonction à la masse, et la deuxième, une fonction de médiation avec l’énergie. La masse ou matière dans la physique contemporaine est décrite comme un « tourbillon d’atomes », de même que, en termes métaphysiques, la  troisième fonction est souvent identifiée au chaos, ou au « flux » d’Héraclite. Nous pouvons aussi remarquer que tous les atomes après l’hydrogène sont tripartites, composés de protons positifs, d’électrons négatifs, et de neutrons à charge neutre. L’électron négatif exhibe l’aspect d’indétermination et de « flux » normalement associé à la troisième fonction. Les électrons sont conçus pour être toujours en mouvement (dans le modèle classique, orbitant autour du noyau), de sorte qu’il est impossible d’établir précisément leur position.

Notes

[1] Henri Bortoft, The Wholeness of Nature (Hudson, New York: Lindisfarne Press, 1996), 94.

[2] Ibid., 94-95. Caractères italiques ajoutés.

[3] Schad, 228-229; 216.

[4] Michael S. Schneider, A Beginner’s Guide to Constructing the Universe (New York: HarperCollins, 1995), 55. Schneider identifie en fait les ostéoblastes à Brahma, les ostéocytes à Vishnou, et les ostéoclastes à Shiva. Pour des raisons qui deviendront évidentes, j’ai changé cet ordre.

La métaphysique de la tripartition indo-européenne,  Partie 4
La tripartition dans la pensée et le langage  humains

arjuna-warrior-203x300.jpgArjuna

  1. Universel, particulier, et individuel

Avant de nous tourner vers le niveau de ce qui est purement idéal et transcendant, notre niveau d’abstraction le plus élevé, je parlerai brièvement de la manière dont la tripartition se manifeste quand nous tentons d’incarner l’idéal dans la pensée et le langage.

Avant tout, il y a trois types fondamentaux de noms : l’universel, le particulier, et le singulier. Nous parlons du « loup » comme d’une espèce (ou de la gent « lupine »), et nous parlons des « loups » ou d’« un loup », et nous parlons de loups singuliers ou individuels (par exemple « Fenris »). L’universel représente la troisième fonction en ce qu’elle est une réalité potentiellement illimitée, et, pour cette raison, indéfinie. Il n’est pas sans caractère, mais son caractère n’est pas d’être un individu déterminé. Le particulier représente la première fonction : c’est l’universel rendu plus spécifique et précis. L’universel est un potentiel indéfini pour l’existence multiple. Le particulier réalise le potentiel de l’universel pour l’instanciation. Mais bien qu’« un loup » soit un existant, « un loup » est « un loup » est « un loup », etc. C’est un générique, et donc encore en un certain sens une existence indéfinie. Le singulier, l’individuel, qui serait un loup unique et non un loup générique, a vraiment une existence réelle. Comme la relation du mésomorphe avec l’ectomorphe et l’endomorphe, il fait la médiation entre l’universel et le particulier. C’est une existence particulière élevée au niveau de la réalité pleinement concrète, dans et par la réalisation de certaines des facettes, mais pas de toutes, de l’universel lui-même.

  1. Jugement perceptuel : identité, différence, et fondement

Dans le perceptuel et toutes les autres formes de jugement, trois concepts prédominent : identité, différence, et le fondement. Nous disons que les choses sont les mêmes ou autres, et nous disons cela dans la conscience d’un certain fondement ou base pour l’identification ou la distinction. Par exemple, deux hommes sont les mêmes, ou différents par la taille, qui est le fondement. Ici, l’identité représente la première fonction qui unit, égalise, rend un. La différence représente la troisième fonction qui divise et désagrège (cela deviendra plus clair quand je discuterai des gunas indiens dans un moment). Le fondement représente la deuxième  fonction, faisant à nouveau la médiation entre les deux. Il représente une constante résolue dans le jeu des identités et des différences. Comme la classe guerrière, il fournit la condition même sous laquelle les hommes, ou quoi que ce soit, peuvent être associés ensemble, ou tenus à part.

  1. Le syllogisme

En logique, nous distinguons entre trois types basiques d’argument ou de syllogisme : la catégorique, l’hypothétique, et le disjonctif. Le catégorique nous permet d’associer des concepts ou d’appliquer des concepts à des cas particuliers. Voici un exemple :

Tous les princes sont des Kshatriyas.
Tous les Kshatriyas sont des guerriers.
Donc, tous les princes sont des guerriers.

Cet argument opère entièrement à l’intérieur du domaine de l’idéal ou de l’abstrait, associant des catégories de choses. Ou prenons cet exemple :

Tous les princes sont des Kshatriyas.
Arjuna est un prince.
Donc, Arjuna est un Kshatriya.

Cet argument subsume un particulier sous un universel. Il inverse l’ordre ontologique des choses. L’existence est une réalisation de l’universel dans le monde, un cas particulier. L’argument catégorique « fait revenir » le cas dans l’universel. Les deux formes de pensée (passer d’une catégorie abstraite à une catégorie abstraite, et subsumer des particuliers dans des universaux) sont caractéristiques de la cérébralité de la première fonction.

Un exemple d’un syllogisme disjonctif serait celui-ci :

Arjuna est chez lui ou il est parti chasser.
Il n’est pas chez lui.
Donc il est parti chasser.

Cette forme d’argument dépend de la distinction nette – de l’exclusion des possibilités, l’une par rapport à l’autre. Elle exhibe donc l’aspect diviseur et fractionneur de la troisième fonction.

Un syllogisme hypothétique ressemble à cela :

Si Arjuna découvre que son fils est mort, alors il cherchera à se venger.
Arjuna a découvert que son fils est mort.
Donc, il cherchera à se venger.

La proposition hypothétique a un but, elle est orientée vers l’action, et conséquente. Elle exprime les conséquences qui s’ensuivront si une condition antécédente est satisfaite. Un syllogisme hypothétique ne subsume pas simplement un particulier dans un universel, il nous dit quelque chose que nous pouvons attendre du monde. Il est intéressant de noter que tous les syllogismes catégoriques peuvent être convertis en syllogismes hypothétiques. Par exemple :

Tous les princes sont des Kshatriyas.
Arjuna est un prince.
Donc, Arjuna est un Kshatriya.

devient

Si quelqu’un est un prince, alors il est un Kshatriya.
Arjuna est un prince.
Donc, Arjuna est un Kshatriya.

Notez la subtile différence que fait la conversion. Elle semble maintenant dire : « Si vous découvrez que quelqu’un est un prince, alors vous pouvez savoir que c’est un Kshatriya, donc faites attention, car Arjuna, qui est un prince, etc.… ». L’hypothétique est un argument mondain, dynamique, et donc il représente la deuxième fonction [1].

En étudiant spécifiquement le syllogisme catégorique, il consiste en termes majeur, mineur, et médian. Pour reprendre le même argument —

Tous les princes sont des Kshatriyas.
Arjuna est un prince.
Donc, Arjuna est un Kshatriya.

kshatriya.jpg— « Kshatriya » est le terme mineur, « Arjuna » est le terme majeur, et « prince » est le terme médian. Le terme mineur est la catégorie la plus large dans cet argument, le plus abstrait des universaux nommés à l’intérieur de lui. De même, suivant mon identification de l’universel avec la troisième fonction, le terme mineur représente aussi la troisième fonction. Le terme majeur donne une spécificité au terme mineur : il nomme un quelque chose spécifique qui appartient au terme mineur (l’universel). De même, du fait de ce rôle de « spécifieur » ou d’« identifieur », le terme majeur représente la première fonction. Le médian relie le mineur et le majeur, puisqu’il est présent dans les deux prémisses. Du fait de cette fonction médiatrice, que j’ai déjà discutée dans d’autres contextes, le terme médian semble correspondre à la deuxième fonction.

Il y a aussi, en général, une tendance souvent notée dans notre pensée à grouper les choses par trois (cela peut être universel, mais je soupçonne que cela pourrait être plus répandu parmi les Indo-Européens). On apprend aux enfants leur « A-B-C », par exemple, pas leur « A-B-C-D ». La plupart des gens ont trois noms : un premier, un médian, et un dernier. Nos histoires et fables abondent de trois : trois ours, trois frères, trois vœux, trois sorcières, trois demi-sœurs laides, trois haricots, trois voies sur la route, etc. De nombreux dictons ou rimes ont trois parties : « Jeannot sois agile ! Jeannot sois rapide ! Jeannot saute par-dessus le chandelier ! » ; Je crie ! Vous criez ! Nous crions tous pour de la crème glacée ! [“I scream! You scream! We all scream for ice cream!”] ; « Menteur, menteur, pantalon en feu ! » [“Liar, Liar, pants on fire!”] ; « Plus de stylos, plus de livres, plus de foutus professeurs ! » ; « Hip ! Hip ! Hourrah ! » ; « Du peuple, par le peuple, pour le peuple » ; « Crac, zim, boum » [Snap, Crackle, Pop], etc. Le mythe indo-européen est rempli de trois. Dans le mythe nordique il y a trois puits, trois racines, trois Nornes, trois frères (Odin, Vili et Vé), trois enfants de Loki, etc. Les Grecs avaient trois parques, trois grâces, une déesse à trois faces (Hécate), un loup à trois têtes (Cerbère), etc. La plupart des traditions indo-européennes parlent aussi d’une bataille entre un héros et un monstre à trois têtes. Il suffit de dire que de même que le monde exhibe la triplicité fondamentale que j’ai décrite, nos esprits pourraient être conçus de manière à ordonner même les choses les plus triviales en modèles triples.

Voir aussi mon article « The Gifts of Odin and His Brothers » [Les cadeaux d’Odin et de ses frères] dans What is a Rune? And Other Essays (San Francisco: Counter-Currents Publishing, 2015) pour une discussion de la structure triple fondamentale de l’esprit humain.

Note

  1. Il y a certaines raisons de dire que la forme hypothétique « fait la médiation » entre la catégorique et la disjonctive. Examinez les trois formes posées à plat :

Categorical Disjunctive Hypothetical (Modus Ponens)

P are Q           P v Q           P > Q
R is P             -P                 P
R is Q             Q                 Q

Notez que dans la forme hypothétique, P et Q sont d’abord mis ensemble (comme dans l’argument catégorique) par une implication (« P implique Q ») puis séparés (comme dans l’argument disjonctif), mais pas opposés.

La métaphysique de la tripartition indo-européenne, Partie 5
La tripartition et les gunas

  1. L’émergence des gunas du Brahman

Nous avons manifestement affaire à trois principes qui se manifestent sous différentes formes. Ces principes ont le statut des idées platoniciennes : des formes transcendantes que nous pouvons approcher par leurs diverses expressions dans le monde. Mais pouvons-nous exprimer les trois principes dans l’abstrait ?

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Le domaine de recherche le plus évident est celui des traditions philosophiques et mystiques indo-européennes. Ici nous avons de la chance, car il y a beaucoup de sources d’inspiration. Comme on pouvait s’y attendre, la tradition indienne est la source la plus riche. Les anciens Aryens reconnaissaient et discutaient explicitement et exactement ce que j’ai soutenu dans cet article : que toutes les choses exhibent la même structure tripartite.

Ce dont je parle spécifiquement est l’ancienne doctrine des gunas. Guna signifie quelque chose comme « qualité », et cela peut aussi avoir signifié « partie d’un tout ». Guna est donc le même concept désigné dans la philosophie allemande par « moment ». Un moment est une partie d’un tout séparable seulement en pensée. Les gunas sont trois moments de l’Etre, dont nous pouvons parler séparément, mais qui ne peuvent pas réellement exister en séparation.

Les gunas proviennent du Brahman, qui est l’Absolu ou Immensité Transcendante existant au-delà de toute la création. Je comprends le Brahman comme étant le « fondement de l’Etre ». Quel est le fondement sur lequel l’existence ou la création devient elle-même présente ? C’est le Brahman. Pour cette raison, on en parle parfois comme d’un néant. Le brahman est en effet « néant » [« no-thing »], mais ce n’est pas un véritable néant : il doit être réel pour être le fondement sur lequel la figure de la création apparaît.

Par le pouvoir de Maya ou Illusion, le mouvement apparaît dans cette immensité transcendante du néant. Ce mouvement a, par nécessité, trois et seulement trois formes : centripète, centrifuge, et orbitante (mouvement autour d’un point). Comme le remarque Alain Daniélou : « cette triade imprègne toutes choses et apparaît dans tous les aspects de l’univers, physique aussi bien que conceptuel » [1].

  1. Sattva, Tamas, et Rajas 

La force centripète d’attraction crée la cohésion, ou agrégation. Les hindous l’appellent Sattva ou « existence », car toute existence est une agrégation [d’éléments différents]. Le Sattva est donc le principe d’unité, ayant une fonction liante ou préservatrice. Il est figuré par la lumière, et comme le Soleil. Il est associé à l’intelligence, et avec le rêve. Il devrait être évident qu’il s’agit de la première des fonctions indo-européennes. Le Sattva est incarné par le dieu Vishnou, le « Préservateur ».

La force centrifuge est l’opposée de Sattva. Ce n’est pas une force d’attraction, mais de répulsion. Ce n’est pas une force de cohésion, mais de dispersion, d’annihilation, et de retour dans l’Immensité. Elle empêche la concentration. Cette force est appelée Tamas, obscurité ou inertie. Le Tamas est l’obscurité, parce que là où il y a dispersion il y a dispersion d’énergie, et donc absence de lumière. De même, à cause de cette association avec le chaos, l’obscurité, et l’absence d’unité, il s’agit de la troisième fonction. Le dieu Rudra incarne le Tamas. Il est aussi appelé Shiva, le destructeur et seigneur du sommeil. Le Tamas ou Shiva est considéré comme la nature intérieure de toutes choses, puisque toutes choses sortent de la désintégration, pour ensuite se désintégrer à nouveau. Comme le Sattva, le Tamas est associé au sommeil, mais cette fois c’est un sommeil sans rêves – un sommeil sans formes ni images.

L’équilibre entre le Sattva et le Tamas donne naissance à une troisième force, le Rajas. En cosmologie, c’est le mouvement tournant, circulaire (que, soit dit au passage, les Grecs associaient à la perfection). Rajas signifie « activité ». C’est la source de toutes les formes et espèces différentes de la création. Tout mouvement rythmique – le type de mouvement exhibé par la vie – vient du Rajas. A la différence du Sattva et du Tamas, le Rajas n’est pas lié au sommeil, mais à la conscience éveillée. Le Sattva est associé à la forme ou à l’intelligence, le Tamas à la masse ou à la matière, et le Rajas à l’énergie. Ces associations correspondent étroitement au soufre, au sel et au mercure de Paracelse. Chose intéressante, le Rajas est considéré comme incarné dans Brahma, qui est le singulier nominatif masculin de Brahman, c’est-à-dire la personnification du Brahman. Le Rajas est évidemment la deuxième fonction indo-européenne.

Daniélou remarque : « L’une ou l’autre des trois tendances prédomine dans chaque sorte de chose, dans chaque espèce d’être » [2]. Nous avons vu cela dans les êtres humains, dans la tendance de certains hommes à être rationnels ou spirituels, d’autres passionnés, et d’autres appétitifs. Et cette doctrine des types humains peut justement être trouvée dans la psychologie tantrique. D’après le Tantra, les hommes appartiennent au Sattva, au Rajas, et au Tamas. Seuls les deux premiers sont aptes à entreprendre des pratiques spirituelles.

  1. Divya, Vira, et Pashu 

L’homme du Tamas (troisième fonction) est appelé Pashu, qui signifie « animal ». Pashu vient de « pac », lier. Le Pashu est lié à des désirs animaux – faim, sexe, confort, avidité – ainsi que par la convention sociale (à ce propos, c’est précisément de cette manière que les Grecs regardaient l’homme appétitif : ils le voyaient largement comme un animal ; comme non pleinement humain). Le tantrisme soutient que dans l’âge actuel, qui est appelé le Kali Yuga, le type Pashu prédomine.

L’homme du Sattva (première fonction) est appelé Divya, un « être divin ». Comme le Pashu, il est en un certain sens non-humain, parce qu’il est plus qu’humain. Cet homme suit un chemin intérieur, se détachant du monde. Le Divya est très rare dans le Kali Yuga.

L’homme du Rajas (deuxième fonction) est appelé Vira. Ce mot vient de la racine indo-européenne vir- dont viennent les mots modernes viril et vertu. Le vira est un être humain pleinement réalisé : un être viril et héroïque. Il y a des viras de la main droite et des viras de la main gauche. Le vira de la main droite est héroïque mais dépourvu de sens critique. Il combat pour des idéaux qu’il a à peine examinés, et se met au service de l’autorité qu’il ne conteste jamais. En fait, avec le vira de la main droite, la soumission à l’autorité et l’accomplissement aveugle du devoir sont considérés comme les vertus suprêmes.

Le vira de la main gauche peut commencer dans cet état, mais, comme le Divya, il suit un chemin intérieur. Il peut être comparé à l’idéal taoïste chinois du « guerrier lettré ». Julius Evola écrit : « Montant des niveaux inférieurs aux niveaux supérieurs, les viras sont soumis à toujours moins de limitations et de liens » [3]. Le vira atteint un point au-delà du bien et du mal, où il devient autonome au sens littéral de se donner une loi à soi-même. L’idéal pour le vira de la main gauche, et donc l’idéal humain tout court, est l’indépendance, l’autosuffisance, la complétude, et le détachement. Ce sont des caractéristiques que nous retrouvons dans la tradition grecque, dans le concept aristotélicien de Dieu, le Moteur Immobile. Pour Aristote, l’homme idéal approche le plus possible des qualités du Moteur Immobile. Dans le Tantra, l’homme idéal est celui qui incarne le plus pleinement Brahma, l’incarnation du Rajas.

Le fait que le mot « vertu » soit dérivé de la même racine que vira est très significatif. Avant tout, il suggère un lien inattendu entre virilité et vertu, ou entre masculinité et vertu. La conclusion évidente à tirer est que les anciens considéraient les vertus comme des réalisations masculines. Cela se confirme si nous nous tournons vers Aristote. Le mot grec normalement traduit par le mot latin vertu est arete, qui est peut-être le mieux traduit par « excellence ». Dans son Ethique à Nicomaque, Aristote discute la nature de l’homme vertueux, et ne lie nulle part ses observations à la femme. De plus, Aristote conçoit la vertu comme un milieu entre deux extrêmes. Par exemple, le courage est un milieu entre la lâcheté et l’irréflexion. Le vira indien – qui, comme je l’ai dit, est le type guerrier mésomorphe et somatotonique – est une sorte de milieu entre le Divya et le Pashu. En effet, tout ce qui est analogue à la deuxième fonction indo-européenne occupe une position médiane entre les deux autres fonctions. Si nous regardons la liste des vertus d’Aristote, son milieu entre les extrêmes équivaut à une description du vira. Je soupçonne que les deux extrêmes opposés au milieu décriront aussi très bien les caractéristiques du Divya et du Pashu.

Ceux chez qui le Tamas prédomine, les Pashus, adorent des fantômes et des esprits (Bhuta et Preta). Ceux chez qui le Sattva prédomine, les Divyas, adorent les Devas. Ceux chez qui le Rajas prédomine, les viras, adorent les génies (Yakshas) et les anti-dieux (Asuras). Ce dernier fait est extrêmement intéressant, car le terme Asura est relié au vieux-norrois Aesir [= Ases], qui est le nom du groupe des dieux de première et de deuxième fonctions dans la tradition germanique : Odin, Thor, Tyr, etc.

D’après le Tantra, le Tamas est en réalité le chemin vers l’illumination. Mais en dépit du fait qu’il est une créature du Tamas, le Pashu ne peut pas en tirer avantage. Le Tamas est annihilation et absence d’unité. Souvenez-vous qu’il est aussi associé au sommeil profond, sans rêves. La voie de l’illumination, de la compréhension du fondement ultime de toutes choses, l’Immensité transcendante du Brahman, passe par l’annihilation et la multiplicité. Sur le plan de l’action, le vira détruit avec son épée. Le vira de la main gauche tourne son pouvoir vers l’intérieur, et détruit le jeu de la multiplicité dans sa propre âme. Il tente d’atteindre un état comme celui du sommeil sans rêves, mais dans un état d’éveil, sous son contrôle. D’où l’usage de la méditation, et de pratiques conçues pour parvenir à la maîtrise totale du corps, comme les diverses formes de yoga et d’arts martiaux.

Mais le monde externe des choses et le monde interne des pensées et des images sont tous deux issus de Sattva, la force centripète. Tout ce qui s’oppose à Sattva s’oppose au monde lui-même, et à l’intention du créateur. « Le but de tout créateur est d’empêcher une compréhension qui détruirait sa création », note Daniélou. « C’est pourquoi [il est dit que] ‘l’Ame [l’Atman, le vrai Soi] n’est pas à la portée du faible’. Elle doit être conquise en s’opposant à toutes les forces de la nature, à toutes les lois de la création » [14]. Ainsi, celui qui cherche l’illumination doit devenir un guerrier contre toute la création, en fait contre les dieux eux-mêmes. C’est pourquoi l’homme le plus adapté à la quête de l’illumination doit être l’homme qui répond à la description du vira de la main gauche – du moins, c’est le cas dans le Kali Yuga.

Notes

[1] Alain Danielou, The Myths and Gods of India (Rochester, Vermont: Inner Traditions, 1991), 22.

[2] Ibid., 27.

[3] Julius Evola, The Yoga of Power, trans. Guido Stucco (Rochester, Vermont: Inner Traditions, 1992), 55.

[4] Danielou, 33.

La métaphysique de la tripartition indo-européenne, partie 6
F. W. J. Schelling et la tripartition indo-européenne

von_schelling.jpgFriedrich Schelling, 1775–1854

  1. Les influences de Schelling : la Trinité chrétienne et Jacob Boehme

Je me tourne finalement vers une tradition indo-européenne différente, celle de l’Idéalisme allemand du XIXe siècle. J’inclus ce matériel afin de prouver le caractère pérenne de la pensée indo-européenne. On pourrait dire que toute l’histoire de la philosophie occidentale (et indienne) est une longue et inconsciente tentative pour retrouver la sagesse connue « directement » par nos ancêtres indo-européens.

Remarquablement, dans la philosophie tardive de F. W. J. Schelling, qui était un ancien  copain d’école de Hölderlin et Hegel, nous trouvons une doctrine qui correspond exactement à l’ancienne théorie aryenne des gunas. Ceci en dépit du fait que Schelling avait, autant que nous le sachions, une faible connaissance de la philosophie indienne. Il écrivait à une époque où les détails de la pensée indienne commençaient seulement à être connus des intellectuels européens. Les détails ésotériques des gunas n’étaient certainement pas connus de Schelling, et pourtant il écrit comme s’il les traduisait dans le langage de la philosophie idéaliste.

Spécifiquement, je parle de la Potenzlehre de Schelling, une doctrine des Puissances, qu’il développa durant toute sa carrière, mais qui ne s’épanouit pleinement que dans sa tardive et dénommée « philosophie de la mythologie ». Pour pleinement comprendre cette doctrine, on doit explorer ses antécédents dans la tradition mystique occidentale. Avant tout, Schelling, Hegel et les philosophes allemands en général étaient fascinés par le mystère de la Trinité chrétienne. On pourrait démontrer que ce que nous connaissons sous le nom de « la Trinité » n’est pas une conception proche-orientale originale mais en réalité un résultat de la « germanisation » du christianisme, développée après la conversion de nos ancêtres païens. L’idée de trois « personnes » en une seule correspond à peu près à la notion aryenne de l’unité des trois gunas dans le Brahman. Sans trop entrer dans les détails, je suggérerais que le Père correspond à la première fonction indo-européenne, le Fils à la troisième fonction, et le Saint Esprit à la deuxième fonction. En cela je suis influencé par Hegel, qui traitait le Père comme le logos, ou Idée Absolue, le Fils comme la Nature, et le Saint Esprit comme l’homme, qui est l’unité du logos et de la nature, ou de Dieu et de l’animal [1].

L’influence mystique immédiate sur Schelling fut l’Allemand Jacob Boehme, qui concevait toute la réalité comme possédant une structure triple. Considérez la citation suivante de Boehme :

« Ainsi donc la lumière éternelle, et la vertu de la lumière, ou paradis céleste, se meut dans l’obscurité éternelle ; et l’obscurité ne peut pas comprendre la lumière ; car ce sont deux Principes [séparés] ; et l’obscurité désire la lumière, parce que l’esprit s’y contemple lui-même, et parce que la divine vertu est manifestée en elle. Mais bien qu’elle n’ait pas compris la divine vertu et la lumière, elle s’est cependant continuellement et ardemment élevée vers elle, jusqu’à ce qu’elle ait allumé la racine du feu en elle-même, à partir des rayons de la lumière de Dieu ; et alors naquit le Troisième Principe, sortant de la matrice obscure, par la spéculation de la vertu [ou puissance] de Dieu. » [2]

Il y a donc trois principes, un de lumière, un d’obscurité, et un qui réconcilie. Boehme conçoit les trois principes comme étant réunis au sein de ce qu’il nomme l’Ungrund : le fondement transcendant et ineffable de tout l’être qui est lui-même sans fondement, parce qu’il n’y a rien au-delà de lui qui pourrait servir de fondement. A nouveau, nous avons une correspondance avec l’existence des gunas à l’intérieur du Brahman. Boehme conçoit ses trois principes comme imprégnant toute la réalité [3]. L’homme, affirme-t-il, est la véritable réalisation des trois principes. A cause de la coprésence des trois principes dans l’homme, ce dernier a le potentiel pour comprendre l’ensemble de la création.

  1. Les Trois Puissances 

Tournons-nous maintenant vers Schelling : celui-ci parle de Trois Puissances, qu’il conçoit comme des principes ou des idéaux, et comme des agences de volition. Schelling a une manière particulière et algébrique de parler des Puissances comme –A ou A1, +A ou A2, et A3. J’abandonnerai cet usage, et je ferai une nouvelle violence à la terminologie de Schelling en parlant de la première puissance comme étant la troisième, la seconde comme étant la première, et la troisième comme étant la seconde. L’idée est de faire apparaître les corrélations avec les fonctions indo-européennes. Ma présentation ne fera cependant pas violence aux idées de Schelling.

Schelling conçoit un temps primordial où les trois puissances existaient par elles-mêmes, avant qu’elles puissent s’exprimer dans un monde d’objets. De plus il voit les puissances comme des aspects de l’Absolu – l’équivalent du Brahman dans sa philosophie.

La Troisième Puissance est conçue par Schelling comme une pure et indéfinie possibilité d’être (das sein Koennende). C’est une sorte d’« être-en-soi » primal, qui est indéfini, illimité, et négatif. Il possède, affirme-t-il, un pur pouvoir d’auto-négation. Il peut annuler ou rejeter tout ce qu’il est et devenir n’importe quoi d’autre. Il n’a pas d’identité fixée. Les parallèles philosophiques incluent le flux d’Héraclite, et l’apeiron d’Anaximandre. Il correspond à peu près au Yin chinois, et est donc le principe féminin. Schelling conçoit aussi cette Puissance comme de la pure subjectivité. La Troisième Puissance est manifestement équivalente au Tamas indien.

La Première Puissance est un principe d’ordre et d’objectivité. Elle est l’opposée de la Troisième Puissance : spécifique, légale, précise, distincte. C’est le principe de l’identité, et de la différentiation. La Première Puissance est être pur, par opposition à la pure possibilité de l’être. Sa fonction est de placer des « limites » autour du chaos qui est la Troisième Puissance, et de faire exister des entités précises. Alors que la Troisième Puissance est das sein Koennende, « l’être possible », la Première Puissance est das sein Muessende, « l’être obligé ». La Troisième Puissance est « être-en-soi », mais la Première Puissance est « être-en-dehors-de-soi », parce que les limites fournies par la Première Puissance sont en-dehors d’elle, placées autour d’une autre. C’est donc un principe mâle, équivalent au Yang chinois, et au Sattva indien. La raison en est simple : la nature de la femelle est de générer en elle-même, la nature du mâle est de générer dans un autre (donc, « être-en-dehors-de-soi »). Parce que la Première Puissance est pure objectivité et non subjectivité, elle ne possède pas de volonté propre, ce qui est l’une des facettes d’un sujet.

Ces deux Puissances ne peuvent coexister parce qu’elles sont des opposés totaux. Sans elles, il ne peut y avoir de monde. Donc quelque chose d’autre doit fonctionner pour les réunir. Entrez ce que j’appelle la Seconde Puissance, simplement pour l’identifier avec la deuxième fonction indo-européenne. A nouveau, tout ce qui correspond à la deuxième fonction constitue une sorte de milieu entre les première et troisième fonctions. Ainsi, la Seconde Puissance doit posséder un être objectif (comme la Première Puissance), mais avec la possibilité de changement (comme la Troisième Puissance). Pour le dire d’une autre manière, la Seconde Puissance doit être quelque chose de précis, mais elle doit aussi être libre.

La Troisième Puissance est pure subjectivité, et la Première Puissance est pure objectivité, donc d’une manière ou d’une autre la Seconde Puissance unira sujet et objet. Ce fait est significatif, car Schelling conçoit l’Absolu comme le « point d’indifférence » entre sujet et objet. Il y a ici une correspondance exacte, encore une fois, avec la théorie indienne des gunas. Le vira est l’homme dans lequel le Rajas prédomine, et la personnification de Rajas est Brahma. Ainsi, c’est le vira qui est dans la position unique d’atteindre le Brahman lui-même par une transformation de sa propre nature. Chez Schelling, la Seconde Puissance, qui correspond au Rajas, est la réunion du sujet et de l’objet, alors que l’Absolu, qui correspond au Brahman, est la transcendance du sujet et de l’objet. C’est comme si la Seconde Puissance était l’Absolu « tourné vers l’intérieur », et vice-versa. L’implication semble être que celui qui s’identifie à la Seconde Puissance, ou Rajas, peut s’élever vers l’Absolu, ou Brahman, par une sorte d’héroïque changement de Gestalt.

Alors que la Première Puissance est « être en-dehors de soi », et que la Troisième Puissance est « être en soi », la Seconde Puissance est « être avec soi ». Ce choix des mots suggère que dans la Seconde Puissance il y a une sorte de totalité, d’accomplissement, de réconciliation, et d’autosuffisance [4]. Schelling remarque plus loin que si la Troisième Puissance est l’Illimité, et la Première Puissance est le Limitant, la Seconde Puissance est le « purement autolimitant ». Ici encore, nous voyons une anticipation métaphysique du vira. J’ai dit plus haut que le vira atteint un point où il devient autonome au sens littéral de se donner une loi à soi-même. C’est l’autolimitation dans sa forme la plus élevée. Le vira est autonome, indépendant, autosuffisant, et complet, tout comme la Seconde Puissance primale. La Troisième Puissance est « l’être possible », la Première Puissance est « l’être obligé », et la Seconde Puissance est das sein Sollende, « l’être qui devrait ». Sollen signifie « devrait », et donc dans la Seconde Puissance une dimension éthique ou idéaliste apparaît. C’est prévisible, puisque la Seconde Puissance se manifeste au niveau humain dans l’homme « passionné ».

Si nous pouvons parler de la Troisième Puissance comme étant la matière ou élément matériel, et de la Première Puissance comme étant la forme, alors qu’est-ce que la Seconde Puissance ? Encore une fois, puisqu’elle constitue une sorte de milieu entre les deux autres, en un certain sens la Seconde Puissance doit être une union de la matière et de la forme. Je me souviens ici de la théorie hégélienne des trois types d’art : symbolique, classique, et romantique. Le symbolique est l’art qui est excessivement formel, stylisé, et contraint. Il prend l’art égyptien comme exemple. L’art romantique se soucie avant tout de soulever des émotions et de soupeser des mamelles : un art qui a perdu toute retenue. Ici, la forme est brisée ou dépassée par un excès de contenu ; par un sentiment sans contraintes. L’art classique occupe une position moyenne, une unité parfaite de la forme et du matériel. Et qu’utilise Hegel comme exemple de l’art classique ? Les sculptures grecques de dieux et d’athlètes, bien sûr. En d’autres mots, des mésomorphes : des corps de deuxième fonction gouvernés par le Rajas, ou la Seconde Puissance schellingienne. Dans tout ce qui occupe la position de deuxième fonction, il y a une complémentarité presque parfaite de la forme et de la matière, de la raison et de l’émotion, des forces centripètes et centrifuges, etc.

La Seconde Puissance est donc l’union primale et parfaite de la forme et de la matière. C’est la forme platonicienne d’un dieu (et il faut répéter que les Grecs utilisaient le mésomorphe, la parfaite union humaine de la forme et de la matière, pour représenter leurs dieux), alors que la Première Puissance et la Seconde Puissance sont de simples forces (comme l’« amour » et la « haine » d’Empédocle). La Seconde Puissance est l’union éternelle des deux autres Puissances. Quand les trois Puissances s’extériorisent dans la création, la relation éternelle entre elles s’exprime d’une manière temporelle. Le monde est simplement la réunion et la séparation de la Première Puissance et de la Troisième Puissance, Sattva et Tamas, étendues dans le temps. L’agent ultime de ce processus dans le monde est le vira, l’homme de la deuxième fonction, qui est à la fois préservateur et destructeur. Edward Allen Beach, parlant de la Potenzlehre de Schelling, dit que « [la Seconde Puissance] est … la cause finale [aristotélicienne] ou but final vers quoi tend tout l’organisme idéal de l’univers » [5].

  1. Les Anti-Puissances

Schelling appelle les trois Puissances prises ensemble « la figure de l’être ». Mais l’histoire ne se termine pas ici, car Schelling dit que l’exposé jusqu’ici n’est qu’un exposé d’essences pures. Comment exactement un monde spatio-temporel concret vient-il à l’être, à partir de ces Puissances ? J’ai parlé un peu plus haut des Puissances s’extériorisant dans la création. Mais comment cela a-t-il lieu ? La réponse de Schelling à cela est très obscure.

Il commence par remarquer que c’est plutôt dans l’ordre naturel des choses que la Troisième Puissance doive se subordonner à la Première Puissance : cette matière doit se mettre en position d’être informée. Mais cela ne se passe pas toujours comme cela. Nous pouvons le constater autour de nous. Si la Troisième Puissance, dans toutes ses expressions, se donnait à la Première Puissance continuellement et sans résistance, alors tous les objets matériels seraient des expressions parfaites de leurs formes. Il n’y aurait pas de laideur, pas de défaut, pas de difformité. Mais puisque ce n’est pas le cas, la relation entre la Troisième Puissance et la Première Puissance doit être plus compliquée que nous le pensions.

Parce que la Troisième Puissance est pure possibilité d’être, elle peut très bien faire comme elle veut ! Dans cette Puissance se trouve une dualité : c’est une potentialité de donner naissance à l’existence, à être fécond, mais c’est aussi une potentialité de nier toutes les potentialités, de dire non à tout. Elle a donc toujours en elle la possibilité de se rebeller contre son rôle de matrice, de mère, de toute la création. En faisant cela, elle devient résistante à l’ordre, à la forme, à la détermination, à la raison, et au règne de la Première Puissance. Son obscurité s’accroit, et devient impénétrable. Schelling appelle cette forme pervertie de la Troisième Puissance « B ». Je l’appellerai « l’anti-Troisième ». L’anti-Troisième de Schelling est exactement analogue à l’« aigre » de Jakob Boehme : un pouvoir égoïste négateur, tourné vers l’intérieur.

En résultat de la transformation de la Troisième Puissance en anti-Troisième, la Première Puissance lui est subordonnée. Cela indique le grand pouvoir de la Troisième Puissance : en se fermant simplement à la Première Puissance ou en lui résistant, elle subvertit le rôle naturel de la Première Puissance et la jette dans un état de déséquilibre. Souvenez-vous que la Troisième Puissance est subjectivité et la Première Puissance objectivité. En étant rejetée par la Troisième Puissance, la Première Puissance est rejetée sur elle-même, et développe ainsi la subjectivité [6]. Alors que, comme Ouranos, elle avait jadis joui d’une félicité inconsciente dans les bras de Gaïa, elle vient maintenant à la conscience – mais seulement en étant castrée. Elle se tourne vers l’intérieur. Et lorsqu’elle se conçoit, elle se conçoit seulement comme dirigée dans le sens de la soumission de l’anti-Troisième.

Pour continuer le parallèle masculin-féminin, l’anti-Troisième trouve son représentant humain dans la femme moderne « libérée » (à l’extrême, dans la « haïsseuse de l’homme », qui peut aller jusqu’à abjurer entièrement l’amour des hommes, et à réprimer le désir d’être pénétrée). Ce que la Première Puissance devient en résultat de la venue à l’être de l’anti-Troisième, c’est le mâle moderne, qui est préoccupé par la conquête physique de la femme, considérant cela comme l’essence de la virilité. Il est en fait un être entièrement physique.

Une parfaite illustration de cette dynamique se trouve dans Women in Love de D. H. Lawrence, qui montre le cours de deux histoires d’amour. La première, entre Ursula Brangwen et Rupert Birkin, illustre la relation naturelle entre la Troisième Puissance et la Première Puissance. Ursula est une « femme naturelle », qui rêve d’être possédée par Birkin. Birkin, pour sa part, est attiré par Ursula, mais refuse de se donner à elle complètement, désirant connaître quelque chose de supérieur à l’amour charnel. Bref, il a quelque chose du vira en lui. L’autre couple est Gudrun Brangwen, sœur d’Ursula, et Gerald Crich, meilleur ami de Rupert. Gudrun est l’anti-Troisième incarnée. Elle désire quelque chose, mais ne s’identifie à rien. Elle saute d’intérêt en intérêt, de lieu en lieu. Elle repousse le désir de Gerald, et l’humilie, disant à un moment : « Tu es si insistant, et il y a si peu de grâce en toi, si peu de finesse. Tu es si brutal. Tu m’embête – tu ne fais que m’ennuyer – c’est horrible pour moi » [7]. Naturellement, Gerald est obsédé par elle, et répond à ces paroles en lui faisant violemment l’amour, et en tentant plus tard de l’étrangler. Gerald est l’être entièrement physique dont j’ai parlé ; la perversion de la Première Puissance. C’est un propriétaire de mine qui (comme Clifford dans L’amant de Lady Chatterley de Lawrence) s’immerge totalement dans le dur monde des machines et des plans de production. Il s’enorgueillit de sa physicalité brutale, et, à la différence de Rupert, est préoccupé par le sexe.

Maintenant, remarquez que la Première Puissance correspond à la première fonction, qui correspond, en termes de types humains, à l’ectomorphe-cérébrotonique. Ainsi, ce qui est particulier dans le changement produit dans la Première Puissance par l’anti-Troisième est que la Première Puissance devient, d’une certaine manière, son propre opposé. En termes humains, le cérébrotonique, l’homme qui « vit dans sa tête », finit par penser qu’il devrait être son opposé : l’homme physique, le sensualiste, le « mâle ». Ce dont nous parlons, en essence, est un divya (ou divya potentiel) qui désire secrètement être un pashu. Mais un tel homme, bien qu’il puisse ne penser à rien d’autre hormis la possession sexuelle des femmes, ne réussit jamais à vraiment ou totalement posséder une femme, parce que son obsession est en fait non-masculine et, finalement, repoussante pour les femmes. C’est le mâle détaché et distant, spirituellement viril, qui se révèle le plus attirant. C’est à lui que les femmes souhaitent vraiment se donner. Entrez le vira, et la Seconde Puissance.

Nous trouvons la relation entre la Seconde Puissance et les deux anti-Puissances représentées dans le Nibelungenlied germanique médiéval. Le roi burgonde Gunther pose les yeux sur Brünhild semblable à une amazone, mais pour mériter sa main il doit se soumettre à l’épreuve du combat. S’il perd, Brünhild prend sa vie. Brünhild représente l’anti-Troisième, qui est devenue activement hostile et même mortelle pour la Première Puissance, ou Puissance mâle. Gunther, qui représente la Première Puissance émasculée, ne peut vaincre Brünhild, et donc il s’assure de l’aide de Siegfried. En tant que héros guerrier, Siegfried représente, bien sûr, la Seconde Puissance. Se rendant invisible, Siegfried agit secrètement au nom de Gunther, et gagne la main de Brünhild pour son roi. Par la suite, cependant, Brünhild se refuse à Gunther dans le lit conjugal, et donc Siegfried est à nouveau appelé pour se faire passer pour Gunther et obliger Brünhild à la soumission. Lorsqu’il réussit, elle crie : « Je ne résisterai plus à ton noble amour. J’ai découvert que tu sais maîtriser les femmes » [8].

Un curieux problème ici concerne le sexe qui doit être attribué à la Seconde Puissance. Si la Première Puissance est « mâle » et si la Troisième Puissance est « femelle », qu’en est-il de la Seconde Puissance ? Je l’ai caractérisée comme médiatrice entre les deux autres, donc serait-elle androgyne ? Etant donné que j’ai identifié la Seconde Puissance à la Deuxième fonction, à la figure guerrière mésomorphe-somatotonique, cela semble être une suggestion absurde – jusqu’à ce qu’on jette un coup d’œil sur les représentations mythologiques indo-européennes du guerrier. Ici on trouve des preuves abondantes que le guerrier était regardé comme ayant des caractéristiques à la fois masculines et féminines. Par exemple, Thor apparaît en travesti, tout comme Héraclès (à partir du XVIe siècle, les représentations artistiques d’Héraclès l’ont le plus souvent décrit en habits féminins). La figure d’Arjuna dans le Mahabharata est aussi décrite comme androgyne. Pourquoi exactement le guerrier ou vira devrait être vu de cette manière doit avoir un rapport avec son important rôle métaphysique, discuté plus haut, comme un être qui peut passer entre les opposés du sujet et de l’objet, de la forme et de la matière, du masculin et du féminin pour accomplir l’unité avec l’Absolu ou Brahman. Le nom Perceval (ou Parzival) signifie « perce la vallée ». C’est celui qui dépasse les opposés (entre les « montagnes ») pour atteindre l’Un.

A la différence de la Première Puissance et de la Troisième Puissance, d’après Schelling la Seconde Puissance ne subit pas de changement ; elle demeure constante. Mais, affirme Schelling, elle ne peut être pleinement réalisée tant que les deux autres Puissances n’ont pas terminé leur développement. Ainsi, du fait de l’inversion ou perversion de la Première Puissance et de la Troisième Puissance, la Seconde Puissance n’est plus l’équilibre éternel du Limité et de l’Illimité. Selon les mots de Beach, la Seconde Puissance prend le statut d’une « condition future » encore à atteindre [9]. En d’autres mots, l’unité du Limité et de l’Illimité devient un but ou un point final idéal. Schelling croit que c’est la fin vers laquelle toute l’histoire se dirige. Mais la conception historique de Schelling, comme celle de Hegel, est christianisée et linéaire. Beach remarque que « Schelling voit toute la tendance de l’histoire du monde postérieure à la Création comme étant précisément d’amener la première puissance invertie à la soumission, de changer [l’anti-Troisième] à nouveau [en la Troisième Puissance  positive] » [10].

  1. Implications de la théorie de Schelling

Si nous abandonnons la vision linéaire de l’histoire de Schelling et que nous la remplaçons par un modèle cyclique indo-européen traditionnel de changement historique, ce qui en résulte est une conception de l’anti-Troisième et de la Première Puissance évoluant continuellement vers l’unité, ce qui veut dire, donnant continuellement naissance à la réalisation de la Seconde Puissance. Après que le zénith de la Seconde Puissance est atteint, il y a une période où les deux autres Puissances se normalisent : quand l’anti-Troisième devient la Troisième Puissance « naturelle », et que la Première Puissance regagne son statut d’agent objectif inspirateur. Mais ensuite cela est suivi par un déclin, où les deux Puissances deviennent à nouveau perverties, et où la Seconde Puissance se retire apparemment, mais seulement pour resurgir plus tard, et ainsi de suite.

Du conflit et de la réconciliation graduelle de la Première Puissance et la Troisième Puissance, un monde vient à l’être. Schelling pense que son exposé du conflit des anti-Puissances n’est pas un exposé d’essences abstraites. Quand la Troisième Puissance se rebelle contre sa nature de réceptrice de forme, elle devient l’élément matériel lui-même, car la matière est précisément ce qui a la nature de recevoir la forme et de lui résister.

Pour dire cela en termes humains, le monde donne perpétuellement naissance au vira, mais le vira naît dans le conflit. Les conditions nécessaires pour donner naissance au vira sont le conflit et la disharmonie. C’est dans le creuset du trouble, de la guerre et de la désunion que le vira surgit – et monte à cette occasion. En défiant et en surmontant ces conditions, ceux qui peuvent être des viras réalisent leur nature de vira, et imposent l’ordre au chaos. Mais cet « âge d’or » ne peut pas durer, et le désordre et la disharmonie finissent par revenir – et ainsi de suite, ad infinitum.

Une telle vision de l’histoire est grosse de conséquences philosophiques. Par exemple, le dénommé « problème du mal » est résolu. Le mal – conflit, guerre, désordre, disharmonie, etc. – existe simplement pour amener le vira, l’incarnation de Dieu dans le monde, à l’être.

Nous avons aussi répondu à la question « pourquoi y a-t-il quelque chose et non pas rien ? ». Le rien qui est le Fondement de l’Etre est le Brahman. Du Brahman, un monde constitué par les trois gunas ou Puissances vient à l’être. La réalité la plus élevée dans ce monde est accomplie par la plus haute chose vivante dans le monde, qui est le vira humain. Il est l’expression humaine de Brahma, et en tant que tel il peut, par une transformation de lui-même, « faire revenir la création sur elle-même » et accomplir l’unité avec le Brahman, la base de l’existence comme telle. Ainsi, il n’y a pas « quelque chose et non pas rien », car le quelque chose est le rien inconscient de lui-même.

Conclusion générale

Comme je l’ai annoncé au début de cette série, ma procédure dans cet essai a été inductive. J’ai commencé par exposer la structure tripartite de la société indo-européenne, et ensuite dit que d’autres parties du monde naturel exhibent une structure analogue : l’âme humaine elle-même, les types corporels humains, l’anatomie humaine, l’anatomie des organes ou systèmes individuels, l’embryon humain, les mammifères, la cellule isolée, le monde macroscopique, le monde microscopique de l’atome, et la structure de la pensée et de la logique humaines. Je crois que ces analogies sont plausibles. Dans certains cas, en particulier ceux des analogies entre types humains et types de mammifères, les analogies sont très précises et frappantes.

Ayant vu les mêmes structures se répétant à travers les différents aspects de la réalité, j’ai ensuite demandé s’il y avait un moyen de mettre à nu la nature de ces structures et de parler d’elles dans l’abstrait – de les connaître « en elles-mêmes et par elles-mêmes ». Plutôt que de donner mon avis en premier, j’ai d’abord regardé la Tradition, et trouvé exactement ce que je recherchais – dans la théorie indienne des gunas. Nous pouvons voir que les Indiens ont remarqué la même répétition de la structure tripartite dont j’ai parlé. En expliquant les gunas, j’ai eu l’occasion de revenir au sujet des types humains, et j’ai développé certaines suggestions sur la manière dont nous pourrions les utiliser pour élaborer une théorie de l’histoire, et une compréhension du but de l’existence elle-même.

J’ai aussi donné un exposé de la Potenzlehre de Schelling. Celui-ci servait deux buts. D’abord, il montrait comment un exposé encore plus abstrait des trois principes peut être donné. Ensuite, sa correspondance remarquable avec la théorie indienne des gunas semble indiquer que la conscience des trois principes est éternelle. Je mets cela en relation avec l’idée hermétique de la « philosophie pérenne ». Si une idée continue à apparaître dans des systèmes philosophiques ou mystiques différents, particulièrement s’il y a peu ou aucun contact entre les auteurs de ces systèmes, je prends cela comme la preuve prima facie de sa vérité.

Maintenant, on pourrait objecter que j’ai simplement « lu » ce schéma tripartite dans diverses choses, mais qu’on pourrait tout aussi bien trouver la dualité et la quadrité et la quintité dans ces mêmes choses. Cette objection manque son but, car, comme je l’ai dit au début, je ne recherche pas la pure triplicité, mais plutôt un type spécifique de triplicité. Ensuite, l’objection semble déloyale à la lumière des analogies vraiment remarquables que je crois avoir exposées ici. En fin de compte, mon argument en faveur de la vérité des principes, et la crédibilité des principes comme guides pour comprendre le monde, est pragmatique. Je crois que j’ai montré que voir le monde selon ces trois structures – ça marche. Cela nous ouvre des horizons ; cela nous permet de mieux organiser, catégoriser et analyser les choses, et de voir leurs relations. De plus, cela conduit à des réflexions vraiment profondes sur la nature de l’existence dans son ensemble.

Notes

[1] Hegel ne dit pas vraiment que l’Esprit est une unité du logos et de la nature, ou de Dieu et de l’animal, mais c’est une implication de ses idées, et correspond exactement à la vision philosophique grecque, qui influença fortement Hegel.

[2] Jacob Boehme, Concerning the Three Principles of the Divine Essence, trans. John Sparrow, 1648 (London: John M. Watkins, 1910), VII: 25; p. 100.

[3] « Et aucun lieu ou position ne peut être conçu ou trouvé là où l’esprit de la tri-unité n’est pas présent, et dans chaque être... », Boehme, Six Theosophic Points, trans. John Rolleston Earle (New York: Alfred A. Knopf, 1920), I:21; pp. 18-19.

[4] Une petite application de ce principe peut être trouvée dans les habitudes alimentaires des carnivores de rang moyen. Alors que les rôdeurs subsistent principalement par les féculents, les graisses et les huiles, et les ongulés par la cellulose, les carnivores subsistent par les protéines ; c’est-à-dire par une nourriture similaire à leur propre matériel corporel. Voir Schad, Man and Mammals, 32.

[5] Edward Allen Beach, The Potencies of Gods (Albany, New York: State University of New York Press, 1994), 126.

[6] Cela rappelle la dialectique maître-esclave dans la Phénoménologie de l’Esprit de Hegel : subjugué par le maître, l’esclave se tourne vers l’intérieur et donne naissance au Geist.

[7] D. H. Lawrence, Women in Love (New York: Viking Press, 1969), 434.

[8] Nibelungenlied, trans. Helen M. Mustard, in Medieval Epics (New York: Modern Library, 1963), 282.

[9] Beach, 136.

[10] Ibid., 134.

vendredi, 03 mai 2019

Le soleil et ses symboles chez les peuples européens

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Le soleil et ses symboles chez les peuples européens

La bannière auvergnate de Terre & Peuple aura le plaisir de recevoir Jean-Christophe Mathelin, fondateur et rédacteur en chef de la revue Solaria, pour une conférence-projection intitulée « Le soleil et ses symboles chez les peuples européens, des origines à nos jours », samedi 25 mai 2019 à Clermont-Ferrand.


Fondée le jour du solstice d’hiver 1992, Solaria édite une revue et un calendrier. Cette association organise des activités culturelles telles que des conférences, des visites de sites et de musées, ou encore des fêtes traditionnelles. Elle a également créé un musée du Soleil. Ses objectifs sont de promouvoir les études et recherches sur les cultes et cultures solaires, ainsi que de rendre ce patrimoine accessible et utile à nos contemporains.


La revue publie dans un esprit ouvert des études, des textes choisis, des informations, des recensions d’ouvrages et d’articles sur la solarité, envisagée au sens le plus large des activités humaines (archéologie, histoire, symboles, art, littérature, poésie, religions, astronomie, écologie, etc…).


En plus de Solaria, Jean-Christophe Mathelin est l’auteur d’une anthologie sur le Soleil et la Lumière. Il est également astronome et conférencier en planétarium.


Dans son souci de renouer avec les religions natives de France et d’Europe, Terre & Peuple et sa bannière auvergnate souhaitent, à travers cette conférence-projection, mettre l’accent sur l’aspect cosmique et solaire du paganisme de nos ancêtres, ainsi que sur l’importance de son symbolisme. Nous vous accueillerons donc samedi 25 mai à Clermont-Ferrand à partir de 17 heures.

 

lundi, 08 avril 2019

Yggdrasil - l'arbre mondes

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Yggdrasil - l'arbre mondes

Yggdrasil est au cœur de la mythologie nordique dont il relie les neuf mondes.
Mais quelle est son histoire ?
Plus d'info sur le site ici: http://mythesetlegendes.wix.com/mythe...
Vidéo d'introduction: Yann Texte/montage/voix: illifire
Musiques: DC Love Go Go - Silent Partner Donors - Letter Box
Ending template: RAVEN DESIGN
 
Bibliographie:
BOYER Régis, L'Edda poétique, éd. Fayard, Daumont, 2010
BOYER Régis, Snorri Sturluson, le plus grand écrivain islandais du Moyen Âge, éd. Orep, coll. Héritages Vikings, Bayeux, 2012
Dillmann F.-X., L'Edda, récits de mythologie nordique par Snorri Sturluson, éd. Gallimard, coll. L'aube des peuples, 2014
DUMEZIL Georges, Mythes et dieux des Indo-Européens, Loki, Heur et malheur du guerrier, éd. Flammarion, Lonrai, 2011.
GUELPA Patrick, Dieux et mythes nordiques, éd. Presses Universitaires du Septentrion, Paris, 1998
KERSHAW Kris, The One-eyed God, Odin and the (Indo-)Germanic Männerbünd, Journal of Indo-European Studies Monograph Number Thirty-Six, Washington D.C., 2000.
MIRZA Sandrine, La mythologie, éd. Gallimard Jeunesse, coll. Tothème, Paris, 2010.
STURLUSON Snorri, Edda, récits de mythologie nordique, éd. Gallimard, France, 2014
THIBAUD Robert-Jacques, Dictionnaire de mythologie et de symbolique nordique et germanique, éd. Dervy, Clamecy, 2009.
 

dimanche, 07 avril 2019

Devotion of the Celtic Warrior Class

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Devotion of the Celtic Warrior Class

In the Gests of most Indo-European mythical war episodes, the chief, or king, has the responsibility to instruct and lead his fellow warriors into battle in order to ensure the protection of the subjects he defends. In this situation, he acts as a military officer according to the duties of the first function of teachers and instructors. These duties and responsibilities were defined and conditioned by set statutory rules. As Georges Dumézil explained in The Destiny of the Warrior, the central motif of the Indo-European tripartite ideology was one of force, protection, sovereignty, prosperity, and fecundity. The main purpose of sacred royalty is to maintain organization and capitalization in order to withhold the kingdom’s balance of power and justice. But before reaching chieftain-hood, or kingship, the young warrior must undergo a series of ritual initiations. This, before he is to become an accomplished combatant tested in battle.
 
Article on Academia: Devotion of The Celtic Warrior Class : Celtic Warrior class Devotion_Boutet.pdf
 

samedi, 06 avril 2019

Georges Dumezil sur les Indo Européens

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Georges Dumezil sur les Indo- Européens

 
Les fonctions tripartites indo-européennes, est une thèse formulée par Georges Dumézil à partir de la mythologie comparée.
 

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mercredi, 03 avril 2019

René Guénon et notre civilisation hallucinatoire

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René Guénon et notre civilisation hallucinatoire

Les Carnets de Nicolas Bonnal

Ex: http://www.dedefensa.org

Il est évident que nous vivons sous hypnose : abrutissement médiatique/pédagogique, journaux, actus en bandeaux, « tout m’afflige et me nuit, et conspire à me nuire. » Mais cette hypnose est ancienne et explique aussi bien l’ère d’un Cromwell que celle d’un Robespierre ou d’un Luther-Calvin. L’occident est malade depuis plus longtemps que la télé…O Gutenberg…

Je redécouvre des pages extraordinaires de Guénon en relisant Orient et Occident. Il y dénonce le caractère fictif de la notion de civilisation ; puis son caractère hallucinatoire à notre civilisation ; enfin son racisme et son intolérance permanentes (sus aux jaunes ou aux musulmans, dont les pays – voyez le classement des pays par meurtre sur Wikipédia – sont les moins violents au monde). Problème : cette anti-civilisation dont les conservateurs se repaissent, est la fois destructrice et suicidaire. Exemple : on détruit des dizaines de pays ou des styles de vie pour se faire plus vite remplacer physiquement (puisque métaphysiquement nous sommes déjà zombis)…

Voyons Guénon :

« La vie des mots n’est pas indépendante de la vie des idées. Le mot de civilisation, dont nos ancêtres se passaient fort bien, peut-être parce qu’ils avaient la chose, s’est répandu au XIXe siècle sous l’influence d’idées nouvelles…Ainsi, ces deux idées de « civilisation » et de « progrès », qui sont fort étroitement associées, ne datent l’une et l’autre que de la seconde moitié du XVIIIe siècle, c’est-à-dire de l’époque qui, entre autres choses, vit naître aussi le matérialisme; et elles furent surtout propagées et popularisées par les rêveurs socialistes du début du XIXe siècle.»

Guénon pense comme le Valéry de Regards (1) que l’histoire est une science truquée servant des agendas :

« L’histoire vraie peut être dangereuse pour certains intérêts politiques ; et on est en droit de se demander si ce n’est pas pour cette raison que certaines méthodes, en ce domaine, sont imposées officiellement à l’exclusion de toutes les autres : consciemment ou non, on écarte a priori tout ce qui permettrait de voir clair en bien des choses, et c’est ainsi que se forme l’« opinion publique ».

Puis il  fait le procès de nos grands mots (comme disait Céline : le latin, le latinisant en particulier estconifié par les mots), les mots à majuscule du monde moderne :

« …si l’on veut prendre les mêmes mots dans un sens absolu, ils ne correspondent plus à aucune réalité, et c’est justement alors qu’ils représentent ces idées nouvelles qui n’ont cours que moins de deux siècles, et dans le seul Occident. Certes, « le Progrès » et « la Civilisation », avec des majuscules, cela peut faire un excellent effet dans certaines phrases aussi creuses que déclamatoires, très propres à impressionner la foule pour qui la parole sert moins à exprimer la pensée qu’à suppléer à son absence ; à ce titre, cela joue un rôle des plus importants dans l’arsenal de formules dont les « dirigeants » contemporains se servent pour accomplir la singulière œuvre de suggestion collective sans laquelle la mentalité spécifiquement moderne ne saurait subsister bien longtemps. »

rg-quantité.jpgIl a évoqué la suggestion comme Gustave Le Bon. Il va même parler d’hypnose, notre René Guénon !

«  À cet égard, nous ne croyons pas qu’on ait jamais remarqué suffisamment l’analogie, pourtant frappante, que l’action de l’orateur, notamment, présente avec celle de l’hypnotiseur (et celle du dompteur est également du même ordre) ; nous signalons en passant ce sujet d’études à l’attention des psychologues. Sans doute, le pouvoir des mots s’est déjà exercé plus ou moins en d’autres temps que le nôtre ; mais ce dont on n’a pas d’exemple, c’est cette gigantesque hallucination collective par laquelle toute une partie de l’humanité en est arrivée à prendre les plus vaines chimères pour d’incontestables réalités ; et, parmi ces idoles de l’esprit moderne, celles que nous dénonçons présentement sont peut-être les plus pernicieuses de toutes. »

A l’époque moderne, le mot devient une idole. TS Eliot en parle aussi dans un poème célèbre, les chorus :

Words that have taken the place of thoughts and feelings…

La science ne nous sauve en rien, bien au contraire. Autre nom à majuscule, elle sert aussi notre mise en hypnose (pour René Guénon, aucun mot à particule n’a de sens sérieux, et il est important de le noter) :

« La civilisation occidentale moderne a, entre autres prétentions, celle d’être éminemment « scientifique » ; il serait bon de préciser un peu comment on entend ce mot, mais c’est ce qu’on ne fait pas d’ordinaire, car il est du nombre de ceux auxquels nos contemporains semblent attacher une sorte de pouvoir mystérieux, indépendamment de leur sens. La « Science », avec une majuscule, comme le « Progrès » et la « Civilisation », comme le « Droit », la « Justice » et la « Liberté », est encore une de ces entités qu’il faut mieux ne pas chercher à définir, et qui risquent de perdre tout leur prestige dès qu’on les examine d’un peu trop près. »

Le mot est une suggestion (repensez à la psychologie des foules de Le Bon) :

« Toutes les soi-disant « conquêtes » dont le monde moderne est si fier se réduisent ainsi à de grands mots derrière lesquels il n’y a rien ou pas grand-chose : suggestion collective, avons-nous dit, illusion qui, pour être partagée par tant d’individus et pour se maintenir comme elle le fait, ne saurait être spontanée ; peut-être essaierons-nous quelque jour d’éclaircir un peu ce côté de la question. »

Et le vocable reste imprécis, s’il est idolâtré :

« …nous constatons seulement que l’Occident actuel croit aux idées que nous venons de dire, si tant est que l’on puisse appeler cela des idées, de quelque façon que cette croyance lui soit venue. Ce ne sont pas vraiment des idées, car beaucoup de ceux qui prononcent ces mots avec le plus de conviction n’ont dans la pensée rien de bien net qui y corresponde ; au fond, il n’y a là, dans la plupart des cas, que l’expression, on pourrait même dire la personnification, d’aspirations sentimentales plus ou moins vagues. Ce sont de véritables idoles, les divinités d’une sorte de « religion laïque » qui n’est pas nettement définie, sans doute, et qui ne peut pas l’être, mais qui n’en a pas moins une existence très réelle : ce n’est pas de la religion au sens propre du mot, mais c’est ce qui prétend s’y substituer, et qui mériterait mieux d’être appelé « contre-religion ».

L’hystérie occidentale, européenne ou américaine, est violente et permanente (en ce moment russophobie, Afghanistan, Syrie, Irak, Venezuela, Libye, etc.). Elle repose sur le sentimentalisme ou sur l’humanitarisme :

« De toutes les superstitions prêchées par ceux-là mêmes qui font profession de déclamer à tout propos contre la « superstition », celle de la « science » et de la « raison » est la seule qui ne semble pas, à première vue, reposer sur une base sentimentale ; mais il y a parfois un rationalisme qui n’est que du sentimentalisme déguisé, comme ne le prouve que trop la passion qu’y apportent ses partisans, la haine dont ils témoignent contre tout ce qui contrarie leurs tendances ou dépasse leur compréhension. »

rg-cmm.jpgLe mot haine est important ici, qui reflète cette instabilité ontologique, et qui au nom de l’humanisme justifie toutes les sanctions et toutes les violences guerrières.  Guénon ajoute sur l’islamophobie :

« …ceux qui sont incapables de distinguer entre les différent domaines croiraient faussement à une concurrence sur le terrain religieux ; et il y a certainement, dans la masse occidentale (où nous comprenons la plupart des pseudo-intellectuels), beaucoup plus de haine à l’égard de tout ce qui est islamique qu’en ce qui concerne le reste de l’Orient. »

Et sur la haine antichinoise :

« Ceux mêmes d’entre les Orientaux qui passent pour être le plus fermés à tout ce qui est étranger, les Chinois, par exemple, verraient sans répugnance des Européens venir individuellement s’établir chez eux pour y faire du commerce, s’ils ne savaient trop bien, pour en avoir fait la triste expérience, à quoi ils s’exposent en les laissant faire, et quels empiétements sont bientôt la conséquence de ce qui, au début, semblait le plus inoffensif. Les Chinois sont le peuple le plus profondément pacifique qui existe… »

Sur le péril jaune alors mis à la mode par Guillaume II :

« …rien ne saurait être plus ridicule que la chimérique terreur du « péril jaune », inventé jadis par Guillaume II, qui le symbolisa même dans un de ces tableaux à prétentions mystiques qu’il se plaisait à peindre pour occuper ses loisirs ; il faut toute l’ignorance de la plupart des Occidentaux, et leur incapacité à concevoir combien les autres hommes sont différents d’eux, pour en arriver à s’imaginer le peuple chinois se levant en armes pour marcher à la conquête de l’Europe… »

rg-orocc.jpgGuénon annonce même dans la deuxième partie de son livre le « grand remplacement » de la population occidentale ignoré par les hypnotisés et plastronné par les terrorisés :

« …les peuples européens, sans doute parce qu’ils sont formés d’éléments hétérogènes et ne constituent pas une race à proprement parler, sont ceux dont les caractères ethniques sont les moins stables et disparaissent le plus rapidement en se mêlant à d’autres races ; partout où il se produit de tels mélanges, c’est toujours l’Occidental qui est absorbé, bien loin de pouvoir absorber les autres. »

A la même époque de nombreux écrivains (Chesterton, Yeats, Céline, Madison Grant ou Scott Fitzgerald en Amérique) pressentent/constatent aussi le déclin quantitatif de la population en occident. Guénon semble par contre avoir surestimé la résilience orientale au smartphone et au béton, à la télé et au shopping-center… Sans oublier Hollywood, le tabac et le chewing-gum. Mais on ne se refera pas.

Concluons : notre bel et increvable occident est toujours aussi belliqueux, destructeur et autoritaire ; mais il est en même temps humanitaire, pleurnichard, écolo, mal dans sa peau, torturé, suicidaire, niant histoire, racines, polarité sexuelle… De ce point de vue on est bien dans une répugnante continuité de puissance hallucinée fonctionnant sous hypnose (relisez dans ce sens la Galaxie Gutenberg qui explique comment l’imprimerie nous aura altérés), et Guénon l’aura rappelé avec une sévère maîtrise…

Note 

(1) Valéry : « L’Histoire est le produit le plus dangereux que la chimie de l’intellect ait élaboré. Ses propriétés sont bien connues. Il fait rêver, il enivre les peuples, leur engendre de faux souvenirs, exagère leurs réflexes, entretient leurs vieilles plaies, les tourmente dans leur repos, les conduit au délire des grandeurs ou à celui de la persécution, et rend les nations amères, superbes, insupportables et vaines… L’Histoire justifie ce que l’on veut. Elle n’enseigne rigoureusement rien, car elle contient tout, et donne des exemples de tout. »

Sources 

René Guénon, Orient et occident, classiques.uqac.ca, pp.20-35

Georges Dumézil - La tripartition indo-européenne

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Georges Dumézil - La tripartition indo-européenne

 

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mardi, 02 avril 2019

La Caballería Espiritual. Un ensayo de Psicología Profunda

 

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La Caballería Espiritual. Un ensayo de Psicología Profunda

(Presentación de Eduard Alcántara)

La Caballería Espiritual. Un ensayo de Psicología Profunda.

La editorial EAS acaba de publicar el ensayo del filósofo y psicólogo Dr. Carlos X. Blanco, La Caballería Espiritual. Este es un texto que, según su prologuista, el profesor Eduard Alcantára, se enmarca plenamente en la Filosofía Tradicional, con numerosos ingredientes de la Psicología Jungiana y otras reflexiones encaminadas a lograr por parte del lector la sanación, el crecimiento interior y el equilibrio orgánico de la psique.

Eduard Alcántara:

Al prologar la presente obra nuestra intención no va a ser la de repetir lugares comunes con lo expresado por el autor. Las jugosas reflexiones, los muy necesarios consejos que ofrece para subsistir y existir dignamente y en armonía con uno mismo y la visión del hombre y del mundo que refleja en estas páginas tampoco tenemos necesidad de reiterarlos en este nuestro prólogo. Y no lo vamos a hacer por tres razones:

Una, porque no pretendemos desvelar, con antelación a su lectura, los contenidos del trabajo de Carlos X. Blanco.

Dos, porque no necesariamente tenemos que identificarnos al 100% con los postulados basilares del pensamiento de nuestro autor, aunque sí recomendemos encarecidamente la lectura de su libro por comulgar con casi todo lo que en él se nos transmite.

Tres, porque lo sustancioso de esta obra nos da pie a extraerle muchas citas de enjundia para reflexionar sobre ellas y para cotejarlas con el prisma de nuestra personal cosmovisión.

Basamos nuestra manera de concebir el mundo y la existencia en la Tradición. Por ello adherimos al Tradicionalismo, así con mayúsculas. Adherimos, pues, a una forma de entender y de vivir el mundo y la existencia que ha empujado al hombre, en determinados momentos de su historia, a encauzar todo su quehacer cotidiano hacia fines Elevados, Suprasensibles, Metafísicos,… y le ha llevado, en consecuencia, a configurar unos tejidos sociales, culturales, económicos y políticos guiados e impregnados hasta la médula por dichos valores Superiores y dirigidos a la aspiración de la consecución de un Fin Supremo, Trascendente.

Adherir al Tradicionalismo presupone aspirar a conformar un Hombre de la Tradición[1]. No creemos que los consejos expuestos por el Sr. Blanco, a lo largo del libro que tenemos la honra de prologar, tengan el de configurar un tipo de hombre disímil al Hombre Tradicional, pues bregar (tal como pretende, encomiablemente, nuestro autor) por evitar que el hombre sucumba a las disoluciones inherentes a nuestro disolvente y alienante mundo moderno es, a la postre, no otra cosa que pugnar por convertirlo en un Hombre de la Tradición. Y para que éste no acabe siendo algo así como un concepto etéreo y quimérico sino un ser con entidad la persona que aspire a construirlo en sí debe ser fiel a las que, en tiempos no disolutos, fueron sus más genuinas raíces y su más sacro origen, pues de faltar éstos su asunción se tornará irremisiblemente irrealizable. En este sentido Carlos X. Blanco no en vano nos señala, en su obra, que “en los mitos de pueblos más diversos se expresa esta necesidad de volver hacia atrás” y que “el hombre es un animal desarraigado, y por ese mismo motivo trascendental, necesita tener raíz”. Asimismo, nos dice que “crear también consiste en seguir fielmente un Arquetipo que el tiempo, el olvido, la futilidad del día a día ha podido dejar enterrado.” El no romper con las raíces es una necesidad ineludible que nos es introducida por el autor con lo que él denomina como “la estrategia de pulgarcito” …ilustrativa imagen para que entre nuestros orígenes más genuinos y remotos y nosotros vayamos siempre dejando un camino de piedrecitas que se constituya en nuestro particular cordón dorado.

Las raíces que deberá hacer crecer el hombre que se niegue a ser vapuleado por la barbarie de la modernidad estarán impregnadas por el halo de lo sagrado, que siempre fue consustancial al Mundo de la Tradición. Pero lo sacro no debe ser percibido como algo extrínseco a uno sino intrínseco a nuestro propio ser. El problema estriba en que aunque forma parte de nosotros (es el Atman, de la tradición hinduista: “el Santo Grial habita dentro de sus corazones y en las profundas simas del alma”, nos enseña Carlos X. Blanco), aunque, decíamos, lo sacro forma parte del alma lo está en forma aletargada y no en acto, contrariamente a lo que acontecía en la Tradición Primordial (en la Edad de Oro, de la que nos hablaba el griego Hesíodo). Despertarlo es el resultado del tránsito por un arduo, metódico y concienzudo camino que en ciertas tradiciones se conoció con el nombre de Iniciación. Despertar el Espíritu que atesoramos es sacarlo de ese estado de ignorancia (o avidja, en término propio al hinduismo) en que él mismo se halla con respecto a su misma esencia. Despertarlo nos llevará no sólo a Conocer a ese Principio Supremo que se halla en el origen del Cosmos sino también a hacernos uno con Él. En tal sentido nos resultan sumamente interesantes asertos de nuestro autor como aquél que dice que “conocer, como ya advirtiera el gran Platón, es ante todo rescatar”; rescatar a atman del olvido y la autoignorancia.

Emprender la vía Iniciática es el único camino que puede llevar al hombre a Conocer. Conociéndose a uno mismo conocerá todos los arcanos del mundo manifestado, porque en nosotros también se hallan todas esas fuerzas sutiles que “estructuran” y armonizan el cosmos. Así, el Sr. Blanco escribe que “La vieja sabiduría ya lo decía: en nosotros llevamos un mundo infinito. Somos un microcosmos”. En nuestro interior cohabitan todos los enigmas del mundo. En este sentido rescatamos pensamientos de nuestro autor como aquél de que “en mí está Todo” o aquél otro de que “todo habita en nosotros”. En la misma línea nos recuerda aquella sentencia del poeta griego Píndaro: “Aprende a ser el que eres”. Y nos señala que “toda transformación verdadera no supone más que un auto-conocimiento. El oráculo de Apolo en Delphos decía: Conócete a ti mismo”. Despertar lo sagrado que hay en nosotros dará sus frutos y, así, ese “seréis como dioses”, que dice el Sr. Blanco, tendrá pleno sentido.

Esa vía de remoción interna que supone la Iniciación huirá del ruido dispersor y buscará el silencio. No sentirá grima ante la soledad, pues ésta le ayudará en su camino de perfección. Nos impele a ello el autor de esta obra con ese “no huyas del silencio”. De la soledad, por el contrario, huye nuestro desnortado hombre moderno (al cual el Sr. Blanco se ha propuesto tender puentes liberadores), pues aquélla le hace toparse con su vacío existencial: “La soledad –dice– resulta insoportable”.

Lo primero por lo que bregará la via remotionis será por descondicionar al hombre con respecto a todo aquello que lo obnubila, lo aliena, lo atormenta, lo esclaviza, lo altera, lo ciega y lo encadena, pues sólo con la mente calma podrá aventurarse en la gnosis de los planos metafísicos de la Realidad y en la identificación ontológica de la persona con ellos.

A este proceso de descondicionamiento lo denominó ‘obra al negro’ o nigredo la tradición hermético-alquímica. También habló de él como de ennegrecimiento o putrefacción, pues de lo que se trata es de pudrir (de eliminar) o, al menos, de dominar todo aquello que aturde a la psique. Carlos X. Blanco parece invitar a transitar por la vía iniciática cuando refiriéndose a su ocurrente Maestro Viajero dice que “cuando partió para dejarnos, todos sus discípulos hemos asumido nuestro traje de peregrinos, y adoptamos como verdadera Casa el camino”. Nuestro autor, igualmente, nos pone en bandeja muchas reflexiones que encajan como anillo al dedo en el meollo del nigredo, pues le podemos leer que “los demonios comenzaron a hacerse más visibles, nítidos. Las neurosis, los complejos, las preocupaciones, todo aquello que tenga que ver con la inseguridad. El Viaje es destructivo en gran medida. Consiste en acabar con todo ese género de basura”. En igual sentido nos comenta que “allá abajo también se agitan monstruos desconocidos, seres adormecidos que pueden un día despertarse y llevarnos con ellos hacia lo más profundo”. También nos escribe que “las zancadillas nos las ponen esos demonios ocultos que trasguean con nuestra existencia” y que “el héroe de verdad es aquel que va a lo más profundo de la Oscuridad. Y después, vuelve” …pues ese bajar a “lo más profundo de la oscuridad” recuerda a la imagen de ‘bajar a los infiernos’, para confrontar en ellos a ese submundo irracional y subconsciente al que se debe domeñar para no sucumbir a su vorágine.

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Pero no se trata “tan solo”, por un lado, de pavores, de demonios, de traumas y de miedos o de, por otro lado, pulsiones, pasiones desaforadas, sentimientos exacerbados, emociones cegadoras e instintos subyugantes de lo que el alma/mente ha de liberarse sino que también debe hacerlo con respecto a los paradigmas conceptuales, a los prejuicios incapacitantes, a los falsos mitos, al racionalismo, a los subproductos pseudointelectuales y pseudocientíficos o al método analítico-fenomenológico-dispersador (y no al sintético-unitario-holístico) que la modernidad le ha insuflado. El Sr. Blanco nos brinda pensamientos que a nosotros nos parecen brillantes a la hora de denunciar estas bloqueadoras inoculaciones que la mente sufre sin cesar. Cuanto mayor se hace uno mayor es, también, la dosis de inoculación recibida. Por ello nuestro autor nos dice: “¡Fíjate en los niños, esos seres que también pueden observar durante horas las más insignificantes criaturas del jardín, o las más diminutas estrellas del firmamento! Ellos todavía no han aprendido conceptos para matar su atención y curiosidad”. Y en la misma línea escribe que “la piedra que apartamos en el camino con la punta de nuestra bota, contiene mayor complejidad, infinitamente mayor “densidad” para nuestro entendimiento que todos los armazones conceptuales que el hombre de ciencia construya para entenderla y explicarla”. También le leemos que “los más antiguos pensadores supieron poseer algo más que una mente analítica y calculadora” o que “la verdadera Ciencia, me dijo el Maestro Viajero, no es patrimonio del racionalista estrecho actual que se empeña por hacer encajar los fenómenos en sus esquemas pre-establecidos, en sus niveles de análisis. La verdadera Ciencia, como ya afirmó Aristóteles, no otra cosa es salvo Admiración y búsqueda de lo Universal”.

Superar la nigredo, descondicionarse de las ataduras que se le van tejiendo a la mente, convierten al Iniciado en El Gran Autarca del que, allá por los años ’20 de la anterior centuria, nos habló el italiano Julius Evola. Ese hombre al que el Sr. Blanco pugna por ayudar ya habría salido, a estas alturas del camino andado, del lodazal al que el mundo moderno sumerge al común de los mortales. “Construir un ser pleno es hacerse autárquico”, nos dice el autor de este libro. Y es que hacerse autárquico supone no depender de ninguna atadura interior alienante y/o incapacitante ni tampoco de circunstancias exteriores (estrechos convencionalismos sociales, morales coercitivas,…). Hacerse autárquico equivale a asemejarse al ‘señor de sí mismo’ del que hablaba el taoísmo; justo la figura opuesta al esclavo producto de nuestro mundo moderno. Ahonda, nuestro autor, en la misma idea cuando nos señala que “la garantía de toda supervivencia, no requerir de nadie y de no crearse necesidades superfluas. Estas pulsiones, evidentemente, si son superfluas no son necesidades”.

Muchos son los Tradicionalistas que opinan que este camino de realización interior necesita, sí o sí, de la guía de un maestro espiritual. Así, por ejemplo, lo postulaba el francés René Guénon. Por el contrario, el ya citado Julius Evola sostenía la convicción de que, aunque en la mayoría de los casos se precisaba de ese maestro, en otros casos excepcionales existían personas que (por sus especiales potencialidad espiritual y voluntad) no precisaban de él y podían apostar por una ‘vía autónoma de realización espiritual’. Nos parece que difícilmente se puede ilustrar mejor esta última convicción que cuando el Sr. Blanco escribe que “este autodescubrimiento de la Verdad es como el caminar. Puedes tomar un bastón. Incluso a algunos les resultará imprescindible. Pero no es estrictamente necesario si cuentas con dos buenas piernas”. O cuando aduce que “los Caminos y los Felices Encuentros deben ser buscados por uno mismo”.

No es éste lugar donde seguir desarrollando el meollo de las fases que suceden al nigredo de la tradición hermético-alquímico. Sólo delinearemos, a grandes trazos, que tras aquélla sobrevendría la albedo u ‘obra al blanco’, en la que el hombre descondicionado en la etapa anterior y con la mente/alma ya calma podrá acceder al Conocimiento, y actualización en sí, de la fuerzas sutiles (metafísicas) que no sólo forman parte de la totalidad del cosmos sino también de uno mismo. Tras la albedo vendría la rubedo u obra al rojo, en la que la meta a alcanzar sería la de Despertar ese atman o Principio Eterno que atesora en su fuero interno.

La búsqueda de lo Eterno, de lo Imperecedero, es la búsqueda del Ser. Las culturas y/o civilizaciones Tradicionales eran las Civilizaciones del Ser. Su desaparición lo fue a costa de esta anomalía que es el mundo moderno y sus civilizaciones del devenir, en las que el factor tiempo y su vorágine lo enloquece todo e impide vivir la eternidad y recrear y vivificar mitos formadores que aluden a illo tempore. La materia ha suplantado al Espíritu y el ‘demon de la economía’, con su engranaje envolvente de producción-consumo, anega toda la existencia humana. De forma brillante el Sr. Blanco nos dice al respecto que “La civilización devino en barbarie en cuanto se inventó el reloj.

El mundo de hoy, basado en el Mercado y en el culto a la Técnica, es un mundo que ha enloquecido.

Abundan los que se toman sus horas de placer y ocio como una mera prolongación de su horario de oficina. Se habla de rentabilizar su tiempo y de aprovecharlo. La Edad Media contaba con una más exacta comprensión del tiempo. El tiempo del campesino y del monje se subordinaba a la negación misma del tiempo, esto es, la Eternidad”. También denuncia que “Han montado un mundo de prisas y relojes con el único fin de destruirnos”.

Estas civilizaciones del devenir, para las que la primacía se la lleva el factor tiempo, cae, por pura lógica, en el historicismo (la historia de la humanidad como mera sucesión, a lo largo del vector tiempo, de hechos acaecidos sin ningún tipo de referencia mítica formadora). La concepción lineal de la historia lleva aparejada la idea de progreso continuo. El hombre moderno piensa que una suerte de fatalidad, ante la que ha perdido la libertad, conduce a la humanidad a cada vez mayores cotas de progreso (siempre entendidas, por él, en un sentido material: de acumulación de riquezas). A nuestro entender el hombre sufre una regresión desde unos orígenes sacros a esta postración actual que padece y que lo ha dejado inmerso en el más burdo materialismo. Carlos X. Blanco nos confirma que “culturas dignas, modos de vida nobles, sanos y hermosos, han sucumbido en el altar del Progreso” y que “El Progreso es el enemigo irreconciliable de la Dignidad y de la Espiritualidad”.

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Son muchas otras las problemáticas y los temas tratados por el autor de esta obra. El lector es el que tiene que ir sumergiéndose en ellos a través de su lectura. No es tarea nuestra el repasarlos todos en estas líneas; no es el cometido de un prólogo y no hay espacio en él para ello. Encontrará, el dicho lector, mucha luz para el buen alumbrar de su camino existencial. Se trata de no verse abocado a un simple vegetar, a un latir anodino o a un convulsionarse o agitarse sin rumbo y con desazón; Carlos X. Blanco ayudará mucho, con el contenido de sus páginas, para evitarlo.

De entre tantas tan sustanciosas citas como hay en este libro queremos concluir este prólogo con un par más de ellas, por cuanto 

señalan al binomio Espíritu/Tradición como las claves de bóveda que, como puntos de referencia insoslayables, deben erigirse en los puntales que rescaten a nuestro actual desasosegado hombre moderno.

A saber:

(…) tales estrechuras de una psicología estímulo-respuesta quedan relegadas a su condición de juguetes. Juguetes conceptuales y experimentales de unos sabios que han perdido (…) todo sentido espiritual de aquel ser que verdaderamente deberían estudiar: el ser espiritual.”

(…) ciencia no es Conocimiento. Cualquiera puede saber de esos obreros de laboratorio, vestidos con bata blanca: especialistas en naderías, ignoran de forma feroz la Historia, desprecian la Tradición. (…) hay también en la Tradición el hermoso legado del saber de nuestros predecesores, la bella lección de humildad que nos reporta saber que otros meditaron verdades eternas con mucho mayor tino y mucha mayor hondura de lo que podamos hacer nosotros”.

Eduard Alcántara

[del Prólogo]

Eduard Alcántara

Profesor y experto en Filosofía Tradicional  [https://septentrionis.wordpress.com/]

Web de la Editorial EAS: https://editorialeas.com/

Enlace al libro La Caballería Espiritual: https://editorialeas.com/shop/hesperides/la-caballeria-espiritual-por-carlos-x-blanco/

[1] Recomendamos la lectura de la obra de Eduard Alcántara “El Hombre de la Tradición”; 2ª edición, editorial EAS, 2016 (Alicante).

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lundi, 01 avril 2019

Qu'est-ce que le pagano-christianisme?

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Qu'est-ce que le pagano-christianisme?

par Eugène Guyenne

Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com

Même si ces deux religions, paganisme et christianisme, ont été durant l'histoire antagonistes, rivales, il serait plutôt utile de réaliser un syncrétisme entre elles à l'heure actuelle. Sera évoquée, non pas une opposition, mais par la démonstration selon laquelle des faits chrétiens n'étaient souvent qu'une façade cachant autre chose, la continuité de l'esprit pagano-chrétien en Europe. Le pagano-christianisme, c'est l'union du paganisme et du christianisme, c'est tirer le meilleur de ces deux spiritualités.

Si le paganisme apparaît comme la religion originelle de l'Europe, avec tout un tas de rites, pratiques différents selon les peuples indo-européens (celtes, slaves, germaniques, latins essentiellement), marqués par des traditions orales et imaginaires, les christianismes qui ont existé en Europe (catholicisme, protestantisme, orthodoxie) ont souvent "emprunté" voire récupéré le paganisme, pour se faire accepter par les peuples (même s'il y a eu beaucoup de résistances entrainant des violences) et ainsi sublimer le paganisme par la perpétuation de l'Europe aussi bien dans sa spiritualité que dans son imaginaire et son esprit. Par les guerres victorieuses du Moyen-Âge à l'époque moderne, soit quatorze siècles, contre le monde non-européen (Sarrasins, Arabes, Perses, Ottomans, Turco-mongols), par l'imaginaire, par le génie dans les constructions d'édifices religieux.

Cette "paganité" sera abordée dans son aspect populaire chrétien médiéval, la légende arthurienne et le caractère historique du "paganisme" dans les constructions chrétiennes.

1. Dans la tradition populaire

Si l'évêque Adalbéron de Laon (947/1030) classifiait la société en 3 ordres (Laboratores, Bellatores, Oratores), une d'entre elle, celle des Laboratores, était associée au pagus durant l'Antiquité, signifiant "pays" en latin, donnant "paganus", c'est-à-dire "païen", où le "paysan" était "l'homme du pays". Les paysans, dans l'Antiquité, étaient donc "païens". Comme l'aristocratie et les prêtres. Mais le resteront encore un peu plus durant le Moyen-Âge. Notamment avec un vernis chrétien dans les paroisses rurales, où l'on avait une très bonne connaissance de l'environnement immédiat (en plantes, animaux, observation du ciel...) et l'instauration de rites visant à apaiser les forces invisibles qui régnaient dans un  univers hostile, pour rationaliser la vie, où le mythe en était un moyen.

2. La légende arthurienne

L'exemple le plus parlant de "pagano-christianisme" est peut-être la légende arthurienne. De religion chrétienne factuellement, mais qui s'insère dans la géographie des langues brittoniques avec des phénomènes "païens" (logique du chef, lien de la proximité avec la nature, incarnation en un animal, etc...). Les chefs, représentés comme chevaliers, sont Uther Pendragon (apparaissant dans le texte des Triades galloises, sources celtes, "païennes" et dont le nom veut dire "tête de dragon") et les douze chevaliers de la Table-Ronde (Arthur, Lancelot, Galahad, Sagremor, Tristan, Bedwere, Perceval, Hector, Urien, Bohort, Gauvain, Kay). Lancelot, et son lien dès sa naissance avec un lac (délaissé par sa mère après ses larmes à la mort de son mari), qui serait l'habitat de la fée Viviane.

La forêt de Brocéliande (qui est peut-être l'actuelle forêt de Paimpont en Bretagne), met en avant des personnages tels que Merlin, Morgane, Viviane et des liens surnaturels (existence de fées qui sont des êtres légendaires, l'épée magiquement sortie de pierre, etc) où Morgane, mère d'Yvain, serait l'incarnation de Morrigan (déesse celtique incarnant l'Aurore), qui paradoxalement va finir comme ennemie d'Arthur et Viviane.

Merlin, magicien, "enchanteur", pouvant paraître comme merle, existait dans la mythologie celtique galloise, "païenne". Le Graal, objet censé être conquis par les Chevaliers de la Table-Ronde, a une signification non seulement chrétienne (comme  accomplissement des efforts faits et de la supériorité du spirituel sur le temporel), mais aussi païenne, où sont assimilées magie et sorcellerie, finissant sur la naissance de la civilisation chrétienne.

La Table-Ronde, où on en retrouve une aujourd'hui au château de Wincheter en Angleterre, a une forme qui rappelle la fraternité, où les membres qui s'y trouvent le sont par mérite. Donc aspects d'égalité et de fraternité.

3. Édifices & reliques chrétiennes

Chose assez peu connue, beaucoup d'édifices chrétiens ont souvent été "païens" avant l'heure chrétienne: En France, les cathédrales Notre-Dame de Reims (401/1345), Strasbourg (VIIe/1439), Chartes (1145/1220) et Paris (1163/1345), qui abritaient autrefois respectivement des thermes gallo-romains, un sanctuaire pour Mars, une grotte pour les druides carnutes et un temple gallo-romain pour Jupiter. Les basiliques de Constantin a Trèves (IIIe/IVe), Saint-Denis (450/475), de Notre-Dame-du-Port de Clermont-Ferrand (XIIe) et de Montmartre (1875/1923), abritaient autrefois respectivement le trône de l'empereur Constantin, une chapelle gallo-romaine, une source gallo-romaine et des temples pour Mercure et Mars. Même chose pour les saints: Brigitte de Kildare, sainte d'Irlande, est assimilée à la déesse celte Brigit, associée à l'Aurore et la fertilité. Ou encore Ursule de Cologne (IXe siècle), sainte légendaire qui fait partie des 11.000 vierges.

Aujourd'hui, malgré les querelles médiévales entre païens et chrétiens, malgré les divergences de spiritualité (le monothéisme n'est pas le polythéisme et inversement), le christianisme a "complété" le paganisme, l'a sublimé. Il y a eu continuité d'un imaginaire "pagano-chrétien", fondamentalement européen. Essentiellement, le catholicisme a emprunté au paganisme romain, le protestantisme au paganisme germanique et l'orthodoxie au paganisme slave.

L'Europe s'est perpétuée grâce à l'influence intellectuelle gréco-romaine, grâce à la chevalerie "barbare" (celte, germanique, slave) et spirituellement grâce au pagano-christianisme (puisque le Christianisme a emprunté de nombreux éléments au paganisme). Ainsi, se sont perpétués le génie (matériel et littéraire), l'idéal et l'esprit européen.

En ces temps de vide spirituel, malgré ces siècles bien remplis, le chemin du réenracinement est un devoir pour tout Européen non renié et cela passe par cette voie, spirituelle, en retrouvant la voie du "pagano-christianisme", qui suscite le syncrétisme en chacun de nous, en dépassant ces querelles entre païens et chrétiens, en retrouvant la complémentarité des premiers temps du Moyen-Âge, marquée par le lien entre l'Européen et son environnement, donc enraciné dans sa terre, et inviter, comme certains le font, à considérer le pape comme un "antipape" comme ce fut le cas lors du Concile de Constance (1414/1418, où les antipapes étaient Jean XXIII et Grégoire XII).

Se rappeler ainsi de la querelle au XIIIe siècle entre les Guelfes (partisans du pape) et les Gibelins (partisans de l'empereur du Saint-Empire, Frédéric II de Hohenstaufen 1220/1250), refuser le cosmopolitisme de jadis des tyrans et des empereurs décadents, et assumer l'exclusivité citoyenne (mais au niveau européen) comme l'avait fait le stratège Périclès pour les Athéniens.

Eugène Guyenne (Le Parti des Européens)

Julius Evola pour tous (les hommes différenciés)

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Julius Evola pour tous (les hommes différenciés)

par Thierry DUROLLE

L’un des plus célèbres penseurs de la Droite radicale européenne fait toujours parler de lui, quarante-quatre ans après sa disparition. Ce penseur est Julius Evola. Nous préférons le qualifier de penseur plutôt que d’intellectuel, terme originellement péjoratif et qui d’ailleurs ferait bien de recouvrir sa définition initiale. Gianfranco de Turris, président de la Fondation Evola en Italie et auteur d’un magistral Elogio e difesa di Julius Evola, nous rappelle qu’Evola fut « peintre et philosophe, poète et hermétiste, morphologue de l’histoire et politologue, critique des mœurs et sexologue, orientaliste et mythologue, spécialiste des religions et de la Tradition. Mais ce fut aussi un alpiniste chevronné,il fut journaliste, conférencier et universitaire (p. 6) ».

Julius Evola est-il toujours actuel ? N’a-t-il pas été relégué dans la poubelle de l’Histoire par les forces de la subversion ? Et, est-ce que ses idées demeurent pertinentes encore aujourd’hui ? « Au début de l’année 2018, le 12 février, le principal quotidien italien de gauche, La Repubblica, publia en première page un article au titre exceptionnel et extravagant : “ Evola et le fascisme inspirent Bannon, le cerveau de Trump. ” […] Le philosophe et politologue russe Alexandre Douguine admit dans plusieurs interviews que sa pensée avait été profondément influencée par celle de Julius Evola […]. Or, le fait est que Douguine est assez proche du président russe, et fut même présenté comme son “ conseiller ” (p. 8). »

Deux exemples plutôt maladroits pour tenter de justifier de l’actualité de la pensée du Baron. Deux éminences grises déchues, l’un publiciste, l’autre « Raspoutine de sous-préfecture », pour reprendre l’amusante expression d’un traducteur à l’ego hypertrophié. Deux agents de l’anti-Europe, l’un national-libérale (sioniste ?) et l’autre néo-eurasiste pan-russe, deux formes de soumission politiques et spirituelles. Bref, rien d’évolien là-dedans. À noter qu’un certain Jason Horowitz s’émut, dès février 2017, de la possible influence d’Evola sur Bannon dans un article intitulé « Steven Bannon cited Italian thinker who inspired fascists ». La pensée de Julius Evola représente toujours un danger pour l’ennemi.

Il est évident que l’œuvre de Julius Evola reste d’actualité, puisqu’elle met en exergue notre européanité d’une part (sur les plans mythologiques, culturels, spirituels, et politiques) et la Tradition d’autre part. « Ses » idées sont d’actualité aussi car il fut un temps où elles furent la norme, l’évidence même. Ceux qui connaissent bien les différents écrits d’Evola peuvent témoigner de la présence constante de la Tradition comme principe ordonnateur et, en ce sens, cosmique. La pensée de Julius Evola est authentiquement de Droite, d’une Droite métaphysique, éternelle, verticale, ordonnée du haut vers le bas. La cohérence entre le verbe et l’action chez Evola suscite le respect et l’admiration : rares sont ceux qui unirent les deux à un tel niveau.

Pénétrer la pensée protéiforme du penseur italien n’est pas forcément chose aisée. Cela peut demander une certaine persévérance mais aussi une entrée adéquate. Par où commencer ? En ce qui nous concerne, nous avons toujours conseillé, dans la mesure du possible, de lire en premier Révolte contre le monde moderne pour avoir, au minimum, le « décor » de la pensée évolienne. Puis Orientations et Les hommes au milieu des ruines nous semblaient être deux ouvrages politiques fondamentaux à lire à la suite du maître-ouvrage mentionné. Mais il s’agit là d’une première approche au caractère politique. Elle ne permet pas d’avoir une vue d’ensemble des thèmes évoliens.

C’est là que toute la pertinence du Petit livre noir s’offre aux néophytes. Et nous ne pouvons que nous réjouir de la réédition augmenté de ce vade mecum grâce à la toute jeune maison d’édition helvète Lohengrin ! Clin d’œil anti-marxiste-maoïste au malheureusement célèbre Petit livre rouge, ce recueil de citations représente probablement l’une des meilleures façons d’aborder l’œuvre d’Evola dans son intégralité. Les extraits – qui furent soumis en leur temps à l’auteur – sont classés dans onze catégories distinctes et sont issus de quasiment tous les ouvrages d’Evola, dont certains toujours en attente d’une traduction française (!) en plus d’articles et de divers entretiens.

La préface de Gianfranco de Turris se veut aussi synthétique que le contenu de l’ouvrage. Turris fait une présentation de l’homme et ses idées qui, ici aussi, sera idéale pour les nouveaux venus. Enfin, la couverture bien que de noire vêtue, arbore dorénavant un magnifique portrait de Julius Evola signé Jacques Terpant, illustrateur et peintre de grand talent. En quatrième de couverture cette citation d’Evola fait figure de programme : « Seule un retour à l’esprit traditionnel dans une nouvelle conscience unitaire européenne pourra sauver l’Occident. » Gageons que la lecture du Petit livre noir éveille une nouvelle génération d’Européens à un tel impératif.

Thierry Durolle

• Julius Evola, Le petit livre noir, édition augmentée, Éditions Lohengrin, 2019, 175 p., 18 €.

lundi, 11 mars 2019

Lumière de la Tradition

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Lumière de la Tradition

par Alastair Crooke
Ex: https://echelledejacob.blogspot.com
 
Nous présentons rapidement un texte d’Alastair Crooke avant de revenir sur certaines réflexions qu’il suscite nécessairement, certes par son contenu, mais encore plus par sa chronologie qui renvoie à d’autres réflexions sur le même thème. Ce thème, c’est celui de l’interrogation fondamentale sur ce qu’on nomme la Tradition, comme orientation majeure qui pourrait nous suggérer des élans, des conceptions, des perceptions permettant d’aborder l’immense question du véritable “Grand Remplacement” qui devrait nous importer : qu’est-ce qui remplacera cette immense et infâme Système qui entend conduire la civilisation, la terre et tout le reste à un destin catastrophique anthropisation, et qui ne peut que s’effondrer lui-même, qui est d’ores et déjà en cours d’effondrement comme un s’affaisse un immense concentré de pourriture.

Alastair Crooke, qui introduit sa réflexion en faisant explicitement allusion à la Tradition et à l’un des philosophes du XXème siècle qui a illustré ce courant de pensée (Julius Evola), expose un aspect de la situation américaine (cette fois, nous écartons le qualificatif “américaniste”) où se développe une réflexion autour de cette référence qui est par définition “primordiale” et “principielle”. On voit que des esprits et des plumes sont au travail dans ce sens, éclairant une intuition qui éclaire notre temps parcouru des “Signes de la Fin des Temps”.

D’autre part, à partir de cette introduction avec ses données fondamentales, Crooke décrit, à partir d’auteurs essentiels, leurs interférences opérationnelles dans la situation politique actuelle aux USA, dans la “guerre civile en cours”. En même temps, on comprend bien la précision qui est faite selon laquelle cette interprétation essentielle de la situation US, notre “Rome postmoderne”, peut évidemment être étendue à d’autres territoires, d’autres ensembles, d’autres communautés et d’autres nations, parce qu’il s’agit du destin commun de l’effondrement d’une civilisation universelle et absolument perverse et de son remplacement. Tout cela fait une excellente illustration de l’évolution accélérée des dimensions catastrophiques de l’époque eschatologique que nous vivons.

Le titre original de Alastair Crooke sur Strategic-Culture.org du 4 mars 2019 était « US Conservatives Pursue a ‘Ben Option’ of Global Ramification ». Nous lui avons substitué la première phrase du texte.
dde.org
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« Sommes-nous Rome ? »

Sommes-nous ‘Rome’? La question prend aujourd’hui une place considérable dans l'esprit des conservateurs, des libertaires et des catholiques américains lors de leurs diverses conférences. L’Amérique suit-elle le destin de l’empire romain ? Décadence bureaucratique, dette publique massive, armée surchargée, système politique apparemment incapable de relever les défis ; « l’empire romain sur sa fin a souffert de ces maladies, et certains craignent que ce soit également le cas de l'Amérique contemporaine », note The American Conservative, une publication qui poursuit cette “ligne” éditoriale avec constance et avec un lectorat en constante augmentation depuis plusieurs années. (Notez que ce n’est pas la conception du vice-président Pence, qui argumente avec insistance à propos de ce qui est littéralement une Rédemption évangélique imminente, avec la politique dite de Rapture.)

The American Conservative choisit de façon très différente de sonner l’alarme :

« Si les libertaires de droite s'inquiètent de l’effondrement structurel, les conservateurs culturels et religieux ajoutent une dimension morale et spirituelle au débat. La montée de l'hédonisme, le déclin de l'observance religieuse, la séparation continue de la famille et la perte générale de cohérence culturelle, – pour les traditionalistes, ce sont les signes annonciateurs d’un âge des ténèbres. »

Et voici leur narrative en réponse à ces craintes : Vers l’an 500, une génération après la déposition du dernier empereur romain par les Francs, un jeune homme ombrien (originaire de la province de l’Ombrie, en Italie), fut envoyée à Rome par ses riches parents pour terminer ses études. Dégoûté par la décadence de Rome, il s’enfuit dans la forêt pour se faire ermite et choisir un destin de prière et de méditation.

Il s'appelait Benoît. Il fonda ensuite une douzaine de communautés monastiques et écrivit ses fameuses “règles” auxquelles on attribue le mérite d'avoir aidé la culture menacée et ses valeurs à survivre dans ces temps difficiles. Le professeur Russell Hittinger a résumé la leçon de Benoît dans l’âge des ténèbres : « Comment vivre la vie pleinement et complètement ? En écartant la recherche du succès dans le monde, au profit de la recherche du succès humain. »

Comment l’exemple d’un moine médiéval pourrait-il être pertinent pour notre époque laïque ? Parce que, dit le philosophe de la morale Alasdair MacIntyre, cette référence démontre qu'il est possible de construire « de nouvelles formes de communauté au sein desquelles la vie morale pourrait se maintenir » pendant un âge des ténèbres, – y compris, peut-être, un âge comme le nôtre.

MacIntyre propose la « suggestion inquiétante » selon laquelle la teneur du débat moral d'aujourd'hui (sa stridence et son interminabilité) est le résultat direct d'une catastrophe par rapport à notre passé ; une catastrophe si grande que son examen critique moral a été presque effacée de notre culture et de notre vocabulaire, exorcisé dans notre langue. Il fait référence aux “Lumières européennes”. Ce que nous possédons aujourd'hui, soutient-il, ne sont que des fragments d'une tradition plus ancienne. En conséquence, notre discours moral, qui utilise des termes tels que “bien”, “justice” et “devoir”, a été dépouillé du contexte qui le rend intelligible.

« Pour MacIntyre », écrit Rod Dreher, auteur de The Benedict Option, « Nous vivons une catastrophe semblable à celle de la chute de Rome, dissimulée par notre liberté et notre prospérité ». Dreher poursuit: « Dans son livre capital, ‘After Virtue’, publié en 1981, MacIntyre affirmait que le projet des Lumières avait coupé l’homme occidental de ses racines dans la tradition, mais il n’était pas parvenu à produire une morale contraignante fondée sur la seule raison. De plus, les Lumières vantaient l'individu autonome. Par conséquent, nous vivons dans une culture de chaos moral et de fragmentation dans laquelle de nombreuses questions sont tout simplement impossibles à régler. MacIntyre dit que notre monde contemporain est une forêt plongée dans l’obscurité et que, pour retrouver notre juste chemin, il faudrait créer de nouvelles formes de communauté ».

« L’‘option Benedict’ [‘option Benoît’] fait donc référence à [ceux] qui, dans l’Amérique contemporaine cessent d’identifier la continuation de la civilité et de la communauté morale avec le maintien de l’Empire américain et qui, par conséquent, souhaitent construire des formes de communauté locales en tant que lieux de résistance chrétienne contre ce que représente l'empire. En d’autres termes, l’option Benedict, – ‘BenOp’ – est un terme générique pour les chrétiens [et les conservateurs américains], qui acceptent la critique de MacIntyre sur la modernité ».

Le BenOp n’appelle pas le monachisme. Il est envisagé, en quelque sorte, comme un moyen plus pratique pour les Américains qui ont cette perception fondamentale de gérer la modernité d’aujourd’hui. Et… Où avons-nous entendu quelque chose comme ça auparavant ? Eh bien, dans les réflexions du philosophe politique italien Julius Evola, dans ses réflexions d’un traditionalisme radical de l’après-guerre, – L’homme au milieu des ruines, – dans lequel il plaide pour une défense et une résistance contre le désordre de notre époque. Ce sont les écrits d’Evola et d’autres auteurs du même genre [de défenseurs de la Tradition primordiale] qui ont soutenu les intellectuels russes tout au long de leur période sombre du communisme tardif, puis du néolibéralisme sauvage. Des impulsions largement similaires ont contribué à faire avancer le concept d'eurasianisme (bien que ses racines remontent aux années 1920 en Russie).

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Alastair Crooke
 
Ce dernier point reflète la tendance contemporaine, manifestée plus particulièrement par la Russie, mais allant bien au-delà de la Russie, au soutien du pluralisme (l’axe principal du “populisme” contemporain) ; autrement dit, la “diversité” qui privilégie précisément la culture, les récits nationaux, la religiosité et les liens de sang, de terre et de langue. Cette idée est tout à fait conforme à l'argument de MacIntyre, à savoir que seule la tradition culturelle donne un sens à des termes tels que “bien”, “justice”, etc. « En l'absence de traditions, le débat moral est dissocié et devient un théâtre d'illusions dans lequel la simple indignation et la simple protestation occupent le devant de la scène. »

L’idée est qu’il s'agit plutôt d'un groupe de “nations” et de “communautés”, chacune renouant avec ses cultures et ses identités primordiales, – c'est-à-dire que l'Amérique est “américaine” dans sa propre “voie culturelle” américaine (ou russe, dans sa propre voie), – et se refusant d’être absorbée et dissoute en succombant à la coercition d’un ensemble où les diversités se dissolvent, d’un empire cosmopolite.

Il est clair que cela ne va pas du tout dans le sens de la tendance générale américaine d’un ordre globaliste conforme aux règles de cette dynamique. C’est aussi un rejet catégorique de l’idée que le cosmopolitisme du “melting pot” puisse créer toute identité véritable ou tout fondement moral. En effet, « sans la notion de telos (directionnalité et détermination de la vie humaine) servant de moyen de triangulation morale, les jugements de valeur morale perdent leur caractère factuel. Et, bien sûr, si les valeurs sont privées de “faits” pour les substantiver, aucun appel à des faits ne pourra jamais régler un désaccord sur une valeur ».

Dreher est explicite à propos de cette opposition radicale. Il dit de BenOp : « Vous pourriez même dire que c’est une appréciation des possibilités progressives de la tradition et un retour aux racines, – contre une époque sans racines. »

Et pour ne laisser planer aucune ambiguïté, il est noté que les conservateurs américains qui pensent avoir trouvé un allié “facile” dans MacIntyre montrent qu’« ne parviennent pas à comprendre le type de politique nécessaire pour préserver les vertus [toute qualité requise pour se frayer un chemin dans la vie]. »

« MacIntyre précise que son problème avec la plupart des formes de conservatisme contemporain est que les conservateurs reflètent les caractéristiques fondamentales du libéralisme. L'engagement conservateur envers un mode de vie structuré par un marché libre aboutit à un individualisme, et en particulier à une psychologie morale, aussi antithétique à la tradition des vertus que le libéralisme. En outre, conservateurs et libéraux tentent tous deux d’utiliser le pouvoir de l’État moderne pour soutenir leurs positions d’une manière qui est totalement étrangère à la conception de MacIntyre des pratiques sociales nécessaires au bien commun ».

Ce qui est très intéressant pour un étranger, c’est la façon dont l'auteur de BenOp, Dreher, le situe dans le contexte politique américain :

« Beaucoup d’entre nous de droite qui avons été consternés par le Trumpening(sic) et qui ont été durement frappés par la débâcle de Kavanaugh ont conclu [néanmoins] que nous n’avions d’autre choix que de voter républicain en novembre [2018] par réflexe d’auto défense. »

benedict.jpgMais permettez-moi de citer deux passages de The Benedict Option :

« La gauche culturelle, – c'est-à-dire le courant dominant américain, – n'a pas l'intention de vivre dans la paix d’un après-guerre. Elle entend exercer une pression continue comme si elle exerçait une occupation dure et implacable du pays, aidée en cela par l’inconscience des chrétiens [i.e. ceux qui reflètent le libéralisme], qui ne comprennent rien à ce qui se passe. Ne vous laissez pas berner: la victoire à la présidentielle de Donald Trump nous a au mieux laissé un peu plus de temps pour nous préparer à l’inévitable » [souligné ajouté].

« [Ceux] qui croient que la politique seule suffira ne seront pas préparés à ce qui va se passer lorsque les républicains perdront la Maison Blanche et / ou le Congrès, ce qui est inévitable. Notre politique est devenue si furieuse qu’il y aura une surenchère vicieuse et méchante, et cette surenchère s’exercera principalement contre les conservateurs sociaux et religieux. Lorsque les démocrates reprendront le pouvoir, les chrétiens conservateurs vont connaître des temps extrêmement durs. ».

BenOp, en d’autres termes, est une autre façon de décrire de ce que le professeur Mike Vlahos a décrit comme “un regroupement” pour un prochain chapitre de la “guerre civile” non résolue de l’Amérique : « L’Amérique aujourd’hui est divisée en deux visions du mode de vie futur de la nation : le “Rouge”, dont la vertu est constituée de la continuité de famille et de la communauté au sein d'une communauté nationale affirmée publiquement. La vertu du “Bleu” envisage des communautés choisies individuellement et régies par des médiations déterminées par les relations entre l’individu et l’État. Certes, ces deux visions antagonistes de l'Amérique s’opposent depuis des décennies et contrôlent jusqu'à présent plus ou moins la violence potentielle de cette opposition mais il existe désormais [aujourd’hui] le sentiment de la nécessité de se rassembler de chaque côté pour la lutte finale ».

« Aujourd’hui, deux chemins qui se jugent également vertueux sont enchaînés dans une opposition irréversible… Rouge et Bleu représentent déjà un schisme religieux irréparable, plus profond en termes doctrinaux même que le schisme catholique-protestant du XVIe siècle. Ici, la guerre porte sur la faction qui réussit à conquérir l’étendard des médias sociaux, pour se proclamer comme le véritable héritier de la vertu américaine. Tous deux se considèrent comme des champions du renouveau national, de la purification des idéaux corrompus et de la réalisation de la promesse de l’Amérique. Tous deux croient fermement qu'ils sont les seuls à posséder la vertu. »

Nous pourrions en conclure que cette formule du BenOp n’est qu’une manifestation exclusivement américaine, d’un intérêt réduit pour le reste du monde. Nous aurions tort. Tout d'abord, MacIntyre identifie l’origine de la tradition morale dans la littérature Traditionaliste Homérique (c'est-à-dire jusqu'à ses racines présocratiques) et dans cette “société héroïque” comme dépositaire des appréciations morales liées aux valeurs éternelles. Il s’agit de Grands Récits avec la singulière vertu de s’incarner dans la vie de la communauté qui les chérit, et faisant de cette communauté “un personnage” dans un récit moral historiquement étendu.

En d'autres termes, BenOp n'est pas du tout rattaché exclusivement au christianisme. MacIntyre suggère plutôt que le récit fournit une meilleure explication de l’unité d’une vie humaine particulière. Le moi a une continuité parce qu'il a tenu le rôle du personnage unique et central dans une histoire particulière : c’est le récit de la vie d’une personne. MacIntyre exprime cela de cette façon : « En assumant ces rôles, nous devenons simultanément des sous-parcelles dans les histoires de la vie des autres, tout comme ils deviennent des sous-parcelles dans la nôtre. De cette manière, les histoires de la vie des membres d’une communauté sont enchevêtrées et imbriquées. L’enchevêtrement de nos histoires est le tissu de la vie en commun… Car l’histoire de ma vie est toujours enracinée dans l’histoire de ces communautés dont je tire mon identité. » Ici, nous sommes directement renvoyés à Homère.

Mais deuxièmement, si nous faisions de l’ethnicité et du genre un choix personnel (et par conséquent jamais définitif) il nous manquerait quelque chose d’essentiel qui lie l’impulsion de BenOp à la résistance plus large contre les globalistes millénaires d’aujourd’hui qui fondent leur “rédemption” dans un processus téléologique consistant à “dissoudre” leur identité culturelle.

Cette critique, émanant d’un importante groupe conservateur américain qui vote Trump mais qui est conscient de ses inconvénients, est susceptible de s’étendre plus largement vers d’autres groupes non américains. Comme le note Rod Dreher, qui a lancé cette campagne dès 2006, des membres de ses groupes différents comprennent déjà sa portée plus large. Dreher observe :

« Au fait, je ne suis pas catholique non plus. Et alors? Nous, les orthodoxes, réclamons [Benoît] comme l'un des nôtres, comme le sont tous les saints du pré-schisme. Mais peu importe. [Les chrétiens] doivent approfondir l'histoire de l'Église pour trouver les ressources nécessaires pour résister aux pressions de la modernité. Saint Benoît est l’un d’entre eux. En raison de la diversité de nos ecclésiologies, un BenOp catholique serait différent d'un protestant et un orthodoxe serait également différent. Cela n’importe pas. En fonction de telos de chaque interprétation du BenOp, nous devrions pouvoir travailler ensemble de manière œcuménique. » 

Alastair Crooke

mardi, 05 mars 2019

Edelweiss De Archeo-Futuristische Europese Rijksgedachte aan de hand van Robert Steuckers’ Europa I. Valeurs et racines profondes de l’Europe

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Edelweiss

De Archeo-Futuristische Europese Rijksgedachte aan de hand van Robert Steuckers’ Europa I. Valeurs et racines profondes de l’Europe

(Madrid: BIOS, 2017)

door Alexander Wolfheze

Voorwoord: Slangtong in Zürich

RS-trilogievol1.jpgDe aanstaande Europese verkiezingen, waarmee het globalistisch-eurocratisch regime in Brussels zich nogmaals vier jaar een ‘democratische’ dekmantel wil aanmeten, biedt een goede gelegenheid tot een gedegen heroverweging van het ‘EU project’. De democratische camouflagekleding van het EU keizerrijk is inmiddels echter zodanig afgedragen dat zelfs troonopvolger kandidaat Mark Rutte zich afvraagt of het niet tijd is om het gewoon maar om te kleden in onverhuld totalitaire ‘uniform’ stijl. De titel van zijn op 13 februari 2019 in Zürich uitgesproken - en door analisten als ‘sollicitatiebrief’ nummer zoveel geïnterpreteerde[1] - ‘Churchill Lezing’ spreekt in dit opzicht boekdelen: The EU: from the power of principles towards principles and power.[2] Ofwel: ‘De EU: van de macht van principes naar principes en macht’. ‘Naar machtsprincipe’ zegt hij nog net niet, maar de inhoud windt er geen doekjes om: ‘het gaat in de wereld om macht en macht is geen vies woord’ (lees: de EU heeft machtsmiddelen die onvoldoende worden gebruikt), ‘de EU moet minder naïef zijn en meer realisme tonen’ (lees: het is tijd voor de EU het idealistisch masker laat vallen) en ‘we moeten besluiten over sancties tegen landen voortaan met een gekwalificeerde meerderheid nemen’ (lees: de resterende staatssoevereiniteit van de lidstaten moet nog verder worden verkleind). En inderdaad ontwikkelt de EU zich steeds meer in de richting van een ‘superstaat’: de gestage accumulatie van censuurmaatregelen in de mediale en digitale sfeer met hate speech codes,[3] fake news taskforces[4] en copyright directives[5] neemt inmiddels Orwelliaanse vormen aan. Met de totalitaire finish lijn van het EU project in zicht, is het goed de historische ontwikkeling en ideologische grondslagen ervan nog eens de revue te laten passeren.

Het Verdrag van Maastricht dat de formele grondslag legde voor de huidige Europese Unie werd getekend op 7 februari 1992, zes weken na de formele opheffing van de Sovjet Unie: zo begon de opbouw van het nieuwe cultuurmarxistische Westblok direct na de afbraak van het oude reaalsocialistische Oostblok. Sindsdien heeft de EU zich niet alleen naar buiten toe sterk uitgebreid (met name door de haastige inlijving van de net uit het Oostblok ontsnapte Centraal-Europese natiestaten), maar zij heeft zich ook in rap tempo als proto-totalitair ‘superstaat’ project naar binnen toe ontwikkeld tot een waardige opvolger van de Sovjet Unie. De overeenkomsten zijn in toenemende mate frappant: dezelfde sociale ‘deconstructie’ (Oostblok: hyper-proletarisch collectivisme / Westblok: neo-matriarchale nivellering), dezelfde economische ‘deconstructie’ (Oostblok: ‘dwangcollectivisatie’ / Westblok: ‘rampen kapitalisme’) en dezelfde etnische ‘deconstructie’ (Oostblok: ‘groepsdeportatie’ / Westblok: ‘omvolking’). De tegenstelling tussen het theoretisch discours van het liberaal-normativisme (‘vrijheid’, ‘gelijkheid’, ‘democratie’, ‘rechtsstaat’, ‘mensenrechten’) en de praktische leefrealiteit van maatschappelijke degradatie (sociaal-darwinistische economische tweedeling, sociale implosie, institutionele corruptie, endemische criminaliteit, etnische vervanging) neemt in het huidige Westblok even groteske vormen aan als in het voormalige Oostblok. In zeker opzichten is het Westblok zelfs verder doorgeschoten in de richting van een ‘superstaat’: zo staat de EU vlag in alle lidstaten obligaat naast de nationale vlag - een directe degradatie van nationale waardigheid die zelfs de formeel onafhankelijke Sovjet satellietstaten bespaard bleef.

AFut-1.pngMet deze escalerende discrepantie tussen theorie en praktijk is de heersende klasse van het Westblok - een globalistisch-eurocratisch opererende coalitie tussen het neoliberale grootkapitaal en de cultuurmarxistische intelligentsia - inmiddels verworden tot een regelrecht vijandelijke elite. Haar EU project heeft ontpopt zich tot een voor allen zichtbaar globalistisch anti-Europa project. Voor het overleven van de Europese beschaving en van de Europese inheemse volkeren die deze beschaving dragen is de verwijdering van de vijandelijke elite absolute noodzaak. Daarbij is een fundamentele (cultuurhistorische, politiekfilosofische) kritiek op haar ideologie van essentieel belang. Een belangrijke bijdrage tot deze kritiek is recent geleverd door Belgisch Traditionalistisch publicist Robert Steuckers - een passender ‘verkiezingswijzer’ voor de ‘Europese verkiezingen’ van mei 2019 dan zijn grote trilogie Europa is nauwelijks denkbaar. Dit essay beoogt Steuckers’ analyse van de echte kernwaarden en identitaire wortels van Europa, zoals vervat in het eerste deel van zijn nog niet uit het Frans vertaalde trilogie, onder de aandacht van het Nederlandstalige publiek te brengen. Steuckers’ Europa I biedt meer dan een grondige tegen-analyse van de postmoderne ‘deconstructie’ van Europa’s authentieke waarden en identiteiten: het biedt een heldere formule van een levensvatbaar alternatief: een Archeo-Futuristisch geïnspireerd ‘Europa van de volkeren’ gebaseerd op de complementaire principes van autonome volksgemeenschappen, consistente politieke subsidiariteit en pragmatische confederatieve structuren. Het moet nogmaals gezegd zijn: de patriottisch-identitaire beweging van de Lage Landen is Robert Steuckers grote dank verschuldigd - en een hartelijke felicitatie met een werk dat de gewoonlijk nogal bescheiden intellectuele begrenzingen van onze gewesten verre te boven gaat.

(*) Zoals de voorafgaande ‘Steuckers recensies’[6] is dit essay niet alleen bedoeld als boekbespreking, maar ook als metapolitieke analyse - een bijdrage tot de patriottisch-identitaire tegen-deconstructie van het door de Westerse vijandelijke elite gehanteerde postmoderne deconstructie discours. De kern van dit essay is een samenvatting door Steuckers’ Traditionalistisch geleide exploratie van de Europese identiteit. Die exploratie zet een definitieve punt achter de postmoderne deconstructie van die identiteit en het aldus bewerkstelligde cultuurhistorische tabula rasa stelt de patriottisch-identitaire beweging in staat een revolutionair nieuwe invulling te geven aan het idee ‘Europa’. Een Archeo-Futuristisch Europa ligt daarmee feitelijk binnen intellectueel handbereik.

(**) Dit essay belicht ‘casus Europa’ in drie stappen: het eerste drietal paragraven beoogt diagnostische ‘nulmetingen’, het tweede drietal paragraven geeft therapeutische ‘referentiepunten’ en de zevende paragraaf indiceert een concreet ‘behandelplan’. In eerste en laatste paragraven schetst de recensent het grotere Archeo-Futuristische kader weer waarbinnen Steuckers’ exploratie van de Europese identiteit relevant is voor de patriottisch-identitaire beweging - de eigenlijke ‘recensie’ van Steuckers’ Europa I vindt de lezer in paragraven 2 t/m 6.

(***) Voor een toelichting op de gekozen (ver)taal(vorm) en (voet)noten(last) wordt verwezen naar het voorwoord van de voorafgaande ‘Steuckers recensies’.

1.

Het rode onkruid

(psycho-historische diagnose)

‘Over Your Cities Grass Will Grow’[7]

wells.jpgH.G. Wells’ eeuwig groene meesterwerk The War of the Worlds blijft tot op de dag van vandaag niet alleen een van de grootste werken van het hele literaire science fiction genre: het behoudt ook tot op de dag van vandaag een directe - veelal alleen onderbewust, instinctief erkende - relevantie voor de existentiële conditie van de Westerse beschaving.[8] Wells’ magistrale sfeerimpressie van de Earth under the Martians schetst een wereld waarin de mens alle herkenning- en referentiepunten verliest: de menselijke beschaving wordt weggevaagd door superieure buitenaardse technologie, de mensheid zelf wordt gereduceerd tot slachtvee voor een buitenaardse bezettingsmacht en zelfs de aardse natuur wordt verdrongen door buitenaardse vegetatie. Een griezelig ‘rood onkruid’ - in verwijzing naar de rode kleur van de oorlogsplaneet Mars - overwoekert de ruïnes van de menselijke beschaving en verstikt de restanten van de aardse vegetatie.[9] Literaire analyses van The War of the Worlds erkennen dat Wells’ meesterwerk op aannemelijk wijze kan worden geïnterpreteerd als een serie retrospectieve en contextuele psycho-historische ‘bespiegelingen’. Zo projecteert Wells de in zijn tijd recent afgeronde en sociaaldarwinistisch geïnterpreteerde genocide van ‘primitieve volkeren’ (zoals de inheemse bevolking van Tasmanië)[10] door het ‘blanke meesterras’ op een hypothetische uitroeiing van de mensheid door superieur buitenaards ras. Ook projecteert hij de mensonterende horreur van de in zijn tijd opkomende bio-industrie op een hypothetische ‘slachtvee status’ van de mensheid na een buitenaardse invasie. Waar de meeste literaire analyses zich echter niet mee bezig houden is de voorspellende waarde van Wells’ werk, een waarde die het ontleent aan de voorwaartse projectie van meerdere - en gelijktijdige - technologische en sociologische ontwikkelingstrajecten. Wells’ geniale literaire verpakking van deze projecties geeft zijn ‘wetenschappelijke fictie’ een kwaliteit die in eerdere eeuwen als ‘profetisch’ zou hebben gegolden.

De existentiële breuklijnen die de Moderniteit heeft veroorzaakt in de Westerse beschaving kunnen worden geanalyseerd - en deels ook vooruit geprojecteerd - met verschillende moderne wetenschappelijk modellen: economisch als Entfremdung (Karl Marx), sociologisch als anomie (Emile Durkheim), psychologisch als cognitive dissonance (Leon Festinger) en filosofisch als Seinsvergessenheit (Martin Heidegger). De metapolitieke relevantie van deze analyses voor de Westerse patriottisch-identitaire bewegung ligt niet zozeer in hun - al dan niet ideologisch negatieve - ‘deconstructieve’ capaciteit, als wel in hun simpele diagnostische waarde. Hierin ligt een belangrijke overeenkomst tussen deze moderne wetenschappelijke modellen en moderne artistieke ‘modellen’ zoals Wells’ meesterwerk The War of the Worlds: door ‘maatschappelijke signalen’ te interpreteren dienen ze als metapolitieke ‘verkeersborden’ - en als waarschuwingen. Inmiddels is de accumulatieve impact van de Moderniteit op de Westerse samenlevingen echter zó groot geworden, dat de existentiële conditie van de Westerse volkeren niet langer in termen van authentieke beschavingscontinuïteiten en historische standaardmodellen kan worden beschreven. Wanneer afwijking, aberratie en ontsporing een existentiële conditie volledig bepalen, dan is er immers niet langer sprake van een historische herkenbare ‘standaard’. Wanneer wetenschappelijke ‘waarschuwingsborden’ worden genegeerd, dan komen artistiek ‘voorspelde’ dystopische eindbestemmingen in zicht. Niet voor niets wordt deze fase van de (ex-)Westerse beschavingsgeschiedenis getypeerd als ‘post-modern’: de (ex-)Westerse samenlevingen van nu hebben authentieke beschavingscontinuïteit grotendeels achter zich gelaten en bewegen zich versneld in de richting van existentiële condities die overeenkomsten vertonen die van Wells’ Earth under the Martians.

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De nieuwe ‘globalistische’ heersersklasse van het Westen staat nu in effectief boven en los van de Westerse volkeren, zij is alleen nog ‘verbonden’ met deze volkeren in de uitwerking van haar macht. De vijandelijke elite acht zichzelf nu niet alleen ethisch en esthetisch, maar ook en vooral evolutionair verheven boven de ‘massa’ die zij is ‘ontgroeit’.[11] De consistent negatieve effecten van haar machtsuitoefening - hoofdrichtingen: neo-liberale uitbuiting, industriële ecocide, bio-industriële dierkwellerij, cultuur-marxistische deconstructie, sociale implosie, etnische vervangingsstrategieën - maken haar herkenbaar als een letterlijk vijandelijke elite. Zij kent geen sympathieën – niet voor haar autochtone vijanden, niet voor haar allochtonen dienaren en niet voor haar aardse thuis.  The globalists are at war with humanity as a whole. They seek to eliminate or enslave at will. They care about themselves and themselves alone. They are committed to concentrating all wealth in their hideous hands. In their evil eyes, our only purpose is to serve them and enrich them. Hence, there is no room for racism, prejudice, and discrimination in this struggle. It is not a race war but a war for the human race, all included, a socio-political and economic war of planetary proportions (Jean-François Paradis).[12]

De globalistische en dus anti-Europese geopolitieke strategie van de vijandelijke elite (gericht op industriële delokalisatie, sociale atomisering en culturele ontworteling, verg. Steuckers 223ff.) mag als zodanig - als sociaaleconomische en psychosociale oorlogsvoering - worden erkend door een handjevol patriottisch-identitaire denkers, maar zij wordt door de Westerse volksmassa alleen begrepen in haar uitwerkingen: economische marginalisatie (arbeidsmarktverdringing, kunstmatige werkeloosheid, interetnische tribuutplicht), sociale malaise (matriarchale anti-rechtstaat, gezinsontwrichting, digitale pornificatie) en culturele decadentie (onderwijs ‘idiocratie’, academische ‘commercialisering, ‘politiekcorrecte’ mediaconsensus). Deze economische, sociale en culturele ‘deconstructie’ programma’s worden door de vijandelijke elite kracht bijgezet en onomkeerbaar gemaakt door een zorgvuldig gedoseerd, maar inmiddels kritieke proporties aannemend proces van massa-immigratie. Het proces van etnische vervanging heeft tot doel de Westerse volkeren als etnisch, historisch en cultureel herkenbare eenheden te elimineren door ze als geatomiseerde déracinés ‘op te lossen’ in la boue,[13] de ‘modder’ van identiteitsloze, karakterloze en willoze massamens. Dit proces van etno-culturele, sociaal-economische en psycho-sociale totaal-nivellering beoogt - prioritair richting Europa - de ultieme Endlösung van het kernprobleem van de Nieuwe Wereld Orde, dat wil zeggen van het automatisch anti-globalistisch voortbestaan van authentieke identiteiten op collectief niveau. Concreet wordt deze Endlösung gerealiseerd in totalitair geïmplementeerde etnocidale ‘multiculturaliteit’ en anti-identitaire ‘mobocratie’.

De motivaties en doelstellingen van de vijandelijke elite onttrekken zich feitelijk aan het voorstellingsvermogen van de Westerse volksmassa - ze gaan in zekere opzichten het gewone menselijk verstand ‘te boven’. Hun ‘niet-aardse’ en ‘diabolische’ kwaliteit wordt echter in toenemende mate waarneembaar in hun concrete uitwerkingen.[14] Elders werd de ideologie van de vijandelijke elite gedefinieerd als ‘Cultuur Nihilisme’: een geïmproviseerde ideeëncocktail die zich kenmerkt door militant secularisme, sociaal-darwinistisch hyper-individualisme, collectief geïnternaliseerd narcisme en doctrinair cultuur- relativisme die uitmondt in de vernietiging van alle authentieke Westerse beschavingsvormen.[15] Het feit dat de volksmassa niet in staat het Cultuur Nihilisme als ideologie en programma te begrijpen heeft veel te maken met de opzettelijke ‘ongrijpbaarheid’ ervan: de expliciete motivaties en doelstellingen van de vijandelijke elite zijn intentioneel on-logisch en anti-rationeel. Het enige wat voor de vijandelijke elite telt is haar macht - haar zogenaamde ‘ideeën’ zijn slechts manoeuvres om de macht te krijgen, te behouden en te vergroten: ze dienen te worden begrepen in het kader van cognitieve oorlogsvoering.

Een goed voorbeeld van deze cognitieve oorlogsvoering is het huidige ‘klimaatdebat’: de door de vijandelijke elite uitgestippelde ‘partijkartel lijn’ beroept zich op Gutmensch eco-bewustzijn, maar het op basis van deze lijn via nieuwe ‘klimaatbelastingen’ aan de volksmassa opgelegde ‘straftarief’ wordt exclusief aangewend voor het ‘investeren’ in het commerciële ‘klimaat bedrijf’ – en het subsidiëren van politiek-correcte ‘klimaat clubs’. Het onvermijdbare verzet van de volksmassa wordt vervolgens cognitief ‘weggesluisd’ naar een subrationeel ‘klimaatontkenning’ discours dat wordt toegeschreven aan – en zelfs opportunistisch wordt opgeëist door – de ‘populisten’, activistisch (Frankrijk’s ‘gele hesjes’) dan wel parlementair (Baudet’s ‘0,00007 graden’). De daarbij succesvol bewerkstelligde opgelegde cognitieve dissonantie inzake ‘klimaat’ gaat zover dat men in de volksmassa het verdwijnen van winterijs en het toeslaan van februarilentes instinctief wegredeneert. De balanceerakte van de vijandelijke elite is feilloos: de ‘populistische oppositie’ is blij met een paar extra zeteltjes maar verspeelt haar échte moreel aanzien, de volksmassa is blij nog een paar jaartjes ‘dansen op de vulkaan’ met vakantievliegen en autorijden en de vijandelijke elite is blij dat haar ‘economische groei’ ongestoord oploopt – en met de extra ‘klimaatbelastingen’ die kunnen worden aangewend voor ‘commerciële aanbestedingen’ en, natuurlijk, ‘klimaat vluchtelingen’. Ondertussen loopt de ecocidale klok van antropogene aardopwarming en meteorologische catastrofes gewoon door - naar de final countdown.

wwow.jpgDe Westerse volksmassa erkent per saldo wel instinctief de globalistische grootheidswaanzin van de vijandelijke elite - deze instinctieve erkenning wordt door de elitaire intelligentsia veelal neerbuigend afgedaan als ‘onderbuikgevoel’ en de politieke vertaling ervan wordt al even neerbuigend betiteld als ‘populisme’. Deze ultiem demofobe arrogantie mag lang werken, maar er zal uiteindelijk wel een hoge prijs op staan: de Westerse volkeren ervaren het globalistische regime van de vijandelijke elite nu al in toenemende mate als een regelrechte ‘bezettingsmacht’. Men begint de alles verstikkende macht van de vijandelijke elite te zien voor wat zij is: een wezensvreemd ‘rood onkruid’ dat de Westerse beschaving en het Westerse thuisland versmoort.

I had not realised what had been happening to the world, had not anticipated this startling vision of unfamiliar things. I had expected to see... ruins - I found about me the landscape, weird and lurid, of another planet. For that moment I touched an emotion beyond the common range of men, yet one that the poor brutes we dominate know only too well. I felt as a rabbit might feel returning to his burrow and suddenly confronted by the work of a dozen busy navvies digging the foundations of a house. I felt the first inkling of a thing that presently grew quite clear in my mind, that oppressed me for many days, a sense of dethronement, a persuasion that I was no longer a master, but an animal among the animals, under [alien rule]. With us it would be as with them, to lurk and watch, to run and hide; the fear and empire of man had passed away. - Herbert George Wells, The War of the Worlds

2.

De Europese kata-morfose

(politiek-filosofische diagnose)

Impia tortorum long[o]s hic turba furores sanguinis innocui, non satiata, aluit.

Sospite nunc patria, fracto nunc funeris antro, mors ubi dira fuit,

vita salusque patent.

[Hier voedde een goddeloze en onverzadigbare meute beulsknechten

hun lange waanwoedes met het bloed der onschuldigen.

Pas nu het vaderland veilig is, nu deze moordkelder opengebroken is,

zijn leven en gezondheid weer mogelijk.][16]

Na een halve eeuw systematische sloop van staatsstructuren en volksidentiteiten is het Europese politieke, economische, sociale en culturele landschap nagenoeg onherkenbaar veranderd. Decennialange neoliberale woeker en cultuurmarxistische wildgroei hebben als Europa als een ‘rood onkruid’ in hun greep en vroeger onvoorstelbare ‘maatschappelijke vormen’ zijn ontstaan. Hypermobiel ‘flitskapitaal’ levert kortstondige economische bubbels op waarin zich architecturale, artistieke en modieuze monstruositeiten nestelen, met name in central business districts, leisure time resorts en academic campus environments. Etnische ‘diversiteit’ resulteert in sociaaleconomische netwerken die als ‘invasieve exoten’ de Westerse publieke sfeer overwoekeren: diaspora economieën, drugsmaffia’s, polycriminele subculturen. Deze netwerken worden aangevuld door on-Westerse ‘levensovertuigelijke’ instituties: de door Midden-Oosters oliekapitaal aangestuurde awqāf,[17] de uit belastingtribuut bekostigde ‘asielindustrie’ en de door globalistisch kapitaal aangestuurde systeemmedia. Wat deze door de vijandelijke elite effectief gedoogde en gefaciliteerde netwerken en instituties met elkaar verbindt is hun gemeenschappelijke functionaliteit: hun rol als vervangingsmechanismen ter bewerkstelligen van de Nieuwe Wereld Orde. Hierbij valt een cruciale voortrekkersrol toe aan die schwebende Intelligenz: de cultuur-marxistische intelligentsia die zich opwerpt als globalistische avant-garde. Deze intelligentsia is belast met de bovenruimtelijke en im-materiële deconstructie die voorafgaat aan de ruimtelijke en materiële deconstructie van de Westerse beschaving. Deze ‘spirituele’ en ‘intellectuele’ voorsprekers van het globalistische bezettingsregime ...se nichent dans [l]es trois milieux-clefs - média, économie, enseignement - et participent à la élimination graduelle mais certaines des assises idéologiques, des fondements spirituels et éthiques de notre civilisation. Les uns oblitèrent les résidus désormais épars de ces fondements en diffusant une culture de variétés sans profondeur aucune, les autres en décentrant l’économie et en l’éclatant littéralement par les pratiques de la spéculation et de la délocalisation, les troisièmes, en refusant l’idéal pédagogique de la transmission, laquelle est désormais interprétée comme une pratique anachronique et autoritaire, ce qu’elle n’est certainement pas au sens péjoratif que ces termes ont acquis dans le sillage de Mai 68. [...hebben zich genesteld in [de] drie sleutelposities [van de globalistische macht] - de media, de economie [en] het onderwijs - en zij werken van daar uit aan de langzame maar zekere eliminatie van de ideologische, spirituele en ethische fundamenten van onze beschaving. Sommigen van hen werken aan het wegwissen van de toch al uiteengevallen fundament restanten door een oppervlakkige ‘culturele diversiteit’ te verspreiden. Anderen [werken aan] de ‘decentralisatie’ van de economie door haar letterlijk op te blazen door middel van speculatie en dislokalisatie. Weer anderen [werken aan] de sabotage van het pedagogische ideaal van [culturele] transmissie door [dat ideaal] af te doen als een ‘verouderde’ en ‘autoritaire’ praktijk door [gebruik te maken van] de negatieve betekenis waarmee deze termen zijn belast in de nasleep van mei ’68.] (p. 262-3)

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De globalistische intelligentsia coördineert middels geraffineerde alien audience propaganda strategieën de cognitieve oorlogsvoering van de vijandelijke elite tegen de Westerse volkeren: zij bewerkstelligt de liberaal-normativistische habitus van exclusief ‘economisch denken’ dat de fysieke deconstructie van Westerse beschavingsvormen rechtvaardigt. ...[U]ne économie ne peut pas, sans danger, refuser par principe de tenir compte des autres domaines de l’activité humaine. L’héritage culturel, l’organisation de la médecine et de l’enseignement doivent toujours recevoir une priorité par rapport aux facteurs purement économiques, parce qu’ils procurent ordre et stabilité au sein d’une société donnée ou d’une aire civilisationnelle, garantissant du même coup l’avenir des peuples qui vivent dans cet espace de civilisation. Sans une telle stabilité, les peuples périssent littéralement d’un excès de libéralisme, ou d’économicisme ou de ‘commercialité’... [Een economi[sch model] kan niet ongestraft weigeren rekening te houden met de andere domeinen van menselijke activiteit. De culturele nalatenschap, het medische zorgsysteem en de onderwijstechnische organisatie moeten altijd prioriteit krijgen boven puur economische factoren want zij verschaffen orde en stabiliteit aan een gegeven gemeenschap of beschavingssfeer: zij garanderen namelijk de toekomst van de volkeren die leven binnen die beschavingssfeer. Zonder die stabiliteit sterven d[ie] volkeren letterlijk aan een overdosis van ‘liberalisme’, ‘economisme’ en ‘commercialisme’...] (p. 216-7)

In de Europese context wordt de dubbel neoliberale en cultuurmarxistische deconstructie van de Westerse beschaving en volkeren geïmplementeerd door het in Brussel gebaseerde ‘EU project’. Dit project wordt gekenmerkt door een radicale omkering van alle traditionele noties van pan-Europese samenwerking: in metahistorische zin staat het postmoderne ‘EU project’ in structurele tegenstelling tot de klassieke Europese rijksgedachte. L’Europe actuelle, qui a pris la forme de l’eurocratie bruxelloise, n’est évidemment pas un empire, mais, au contraire, un super-état en devenir. La notion d’‘état’ n’a rien  à voir avec la notion d’‘empire’, car un ‘état’ est ‘statique’ et ne se meut pas, tandis que, par définition, un empire englobe en son sein toutes les formes organiques de l’aire civilisationnelle qu’il organise, les transforme et les adapte sur les plans spirituel et politique, ce qui implique qu’il est en permanence en effervescence et en mouvement. L’eurocratie bruxelloise conduira, si elle persiste dans ses errements, à une rigidification totale. L’actuelle eurocratie bruxelloise n’a pas de mémoire, refuse d’en avoir une, a perdu toute assise historique, se pose comme sans racines. L’idéologie de cette construction de type ‘machine’ relève du pur bricolage idéologique, d’un bricolage qui refuse de tirer des leçons des expériences du passé. Cela implique une négation de la dimension historique des systèmes économiques réellement existants, qui ont effectivement émergé et se sont développés sur le sol européen. [Het huidige ‘Europa’, zoals het vorm wordt gegeven door de Brusselse ‘eurocratie’, is duidelijk geen rijk - het is het omgekeerde: een superstaat-in-wording. De notie van een ‘staat’ staat volledig los van de notie van een ‘rijk’, want een ‘staat’ is [letterlijk] ‘statisch’ en [in zijn essentie] onbewegelijk, terwijl een rijk nu juist alle binnen de erdoor beheerste beschavingssfeer organische vormen incorporeert, omvormt en aanpast aan zijn spirituele en politieke grondslagen: [een rijk] is daardoor nu juist permanent in een staat van gisting en beweging. Als de Brusselse eurocratie voortgaat op de door haar ingeslagen [tegengestelde en] doodlopende weg, dan zal zij uitlopen op een totale ‘verstening’. De Brusselse eurocratie van vandaag ontbeert - en weigert - [elk soort historisch] geheugen, heeft elk [soort] historisch fundament verloren en zet zich af tegen [elk soort historische] worteling. [Haar radicaal] constructivistische en mechanische zelfbegrip berust op een ideologische improvisatie die weigert om uit de lessen en ervaringen van de [Europese] geschiedenis te leren. Dit behelst een ontkenning van de historische dimensie van de [specifieke en volkseigen - althans tot voor kort -] echt bestaande economische systemen die [organisch] zijn voortgekomen en zich hebben ontwikkeld uit de Europese bodem.] (p. 215-6)

In politiek-filosofisch perspectief vertegenwoordigt het essentieel anti-Europese ‘EU project’ niets meer en minder dan een globalistische Machtergreifung. Neo-Jacobijnse radicalen hebben de macht overgenomen en historische precedenten met betrekking tot Jacobijnse machtsexperimenten[18] - met name de Franse en Russische revolutionaire terreur - geven aanleiding tot zorg. Kennis van de Europese historische context van het ‘EU project’ is echter onvoldoende voor een echt begrip van de ogenschijnlijk tegenstrijdige - want zelfdestructieve - anti-Europese doelstellingen van dat project. Zulk begrip vergt inzicht in de grotere doelstellingen van het globalisme - dat inzicht wordt nu in hapklare brokken aangeleverd in Steuckers’ Europa.

3.

Het globalistische anti-Europa

(geo-politieke diagnose)

Soms is de misdaad die men wil begaan zo groot,

dat het niet volstaat haar te begaan namens een volk:

dan moet men haar begaan namens de mensheid.

- Nicolás Gómez Dávila

Steuckers’ panoramische overzicht van de hedendaagse mondiale geopolitiek herleidt de oorsprong van het anti-Europese ‘EU project’ tot het einde van de Tweede Wereld Oorlog. Dit conflict bracht een einde aan de grootmacht status en imperiale hegemonie van de Europese natie-staten: de militaire nederlagen van Frankrijk in 1940, Italië in 1943 en Duitsland in 1945 werden gevolgd door de liquidatie van alle Europese koloniale rijken (Brits Indië in 1947, Nederlands Indië in 1949, Belgisch Congo in 1960, Frans Algerije in 1962 en Portugees Afrika in 1975). De wereldheerschappij werd in kort tijdbestek overgenomen door twee supermachten die beide op een universalistische ideologie en een mondiale geopolitiek inzetten: de Verenigde Staten als voorvechter van het Liberalisme en de Sovjet Unie als voorvechter van het Socialisme. Het fysieke (geografische, demografische, industriële) restbestand ‘Europa’ werd met militaire verdragen (NAVO, Warschau Pact) en economische samenwerkingsverbanden (EEG, Comecon) vervolgens tussen de overwinnaars verdeeld. Het is belangrijk de brute realiteiten van militaire nederlaag, koloniale liquidatie en politieke ontvoogding voor ogen te houden. La Seconde Guerre mondiale avait pour objectif principal, selon Roosevelt et Churchill, d’empêcher l’unification européenne sous la férule des puissances de l'Axe, afin d’éviter l’émergence d’une économie ‘impénétrée’ et ‘impénétrable’, capable de s’affirmer sur la scène mondiale. La Seconde Guerre mondiale n’avait donc pas pour but de ‘libérer’ l’Europe mais de précipiter définitivement l’économie de notre continent dans un état de dépendance et de l’y maintenir. Je n’énonce donc pas un jugement ‘moral’ sur les responsabilités de la guerre, mais je juge son déclenchement au départ de critères matériels et économiques objectifs. Nos médias omettent de citer encore quelques buts de guerre, pourtant clairement affirmés à l’époque, ce qui ne doit surtout pas nous induire à penser qu’ils étaient insignifiants. [Volgens Roosevelt en Churchill was het hoofddoel van de Tweede Wereld Oorlog te verhinderen dat Europa zich verenigde onder leiding van de As mogendheden, om zo te voorkomen dat er een [Europese] economie zou ontstaan die zich op het wereldtoneel als ‘ondoordringbaar’ en ‘onverslaanbaar’ zou kunnen handhaven. [Hun] Tweede Wereld Oorlog had dus niet ten doel om Europa te ‘bevrijden’, maar om de economie van ons continent te doel vervallen tot een staat van afhankelijkheid - en daarin te houden. Daarmee doe ik dus geen uitspraak over de ‘morele’ verantwoordelijkheid voor die oorlog - ik beoordeel [slechts] zijn uitbreken vanuit objectieve materiële en economische doelen. Het feit dat onze media [ook] de vermelding van een aantal andere oorlogsdoelen vermijden die toentertijd duidelijk werden verkondigd moet ons er niet toe brengen te denken dat die [doelen] onbelangrijk waren.] (p.220)

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Na veertig jaar Koude Oorlog beginnen zich midden jaren ’80 de eerste tekenen stressfracturen af te tekenen in de globaal opererende machtsmachines van de twee supermachten. De rampen met de Challenger en Chernobyl (28 januari en 26 april 1986) laten duidelijk zien dat de symptomen van imperial overstretch niet langer te verbergen zijn. Escalerende economische chaos en toenemend politieke gezagsverlies dwingen beide supermachten tot ingrijpende binnenlandse maatregelen: Reaganomics en Perestrojka markeren de geopolitieke vloedlijn van de supermachten. Na de implosie van de Sovjet Unie is de Verenigde Staten de officiële winnaar van de Koude Oorlog maar de Pyrrus-kwaliteit van de formele overwinning blijkt uit het feit dat Amerika onvoorwaardelijk berust in de sensationele opkomst van de Chinese economische supermacht en zich effectief terugtrekt uit de eerder felomstreden Derde Wereld. Na de Amerikaanse nederlaag in Somalië (Black Hawk Down, 1993) vervalt Afrika in failed states en neo-tribale chaos. Na de Amerikaanse evacuatie uit Panama (Canal Zone Handover, 1999) wordt Latijns Amerika overgelaten aan Bolivarianismo en Marea Rosa.[19] De imperiale rat race tussen de soevereine natiestaten die begon met de Zevenjarige ‘Wereld Oorlog Nul’ (1756-63) mag dan zijn geëindigd met Amerika als last man standing, maar het opleggen van een authentiek-imperiale Pax Americana ligt ver buiten het bereik van Amerika’s geopolitieke intenties, ambities en capaciteiten. De met Wilsoniaanse retoriek ingeklede interventies van Bush Senior en Bush Junior in Irak in 1991 en 2003 waren geen exercities in principiële global governance, maar in pragmatische resource control. Na de zelfopheffing van de Sovjet Unie als supermacht concurrent en de afkondiging van de ‘nieuwe wereld orde’ (Bush Senior, 1991) besloot de Amerikaanse heersende klasse dat het ‘einde van de geschiedenis’ (Francis Fukuyama, 1992) gekomen is: zij schakelde over van Amerikanisme naar globalisme. Er ontstond zo een ‘wereld elite’, toegankelijk voor iedereen met heel veel geld en heel weinig moraliteit. Deze elite acht zich ontheven aan alle geopolitieke regels en wetmatigheden: staatsrechterlijke soevereiniteit, culturele eigenheid en etnische identiteit zijn in die optiek definitief achterhaalde fenomenen, obstakels op de door haar ingeslagen snelweg naar een Brave New World. Als geheel definieert zich deze nieuwe ‘globalistische’ elite los van alle etnische religieuze en culturele wortels: vanuit deze zelfgewilde ontworteling keert zij zich meteen tegen de rest van de nog wel gewortelde mensheid - tegen staten die nog soevereiniteit hebben, tegen culturen die nog essentie hebben en tegen volken die nog identiteit hebben. De globalistische vijandelijke elite is geboren.

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Onder de dubbele banieren van neoliberalisme en cultuurmarxisme beschouwt de vijandelijke elite beschouwt het ‘achtergebleven’ menselijke ‘residu’ als weinig meer dan een oneindig ‘maakbare’ massa ‘mensenmateriaal’ dat kan worden gebruikt voor het aanvullen van banksaldi, het invullen van seksuele perversiteiten en het opvullen van existentiële leemtes. [La superclasse... domine à l’ère idéologique du néoliberalisme. Il n’est pas aisé de la définir : elle comporte évidemment les managers des grandes entreprises mondiales, les directeurs des grandes banques, de cheiks du pétrole ou des décideurs politiques voire quelques vedettes du cinéma ou de la littérature ou encore, en coulisses, des leaders religieux et des narcotrafiquants, qui alimentent le secteur bancaire en argent sale. Cette superclasse n’est pas stable : on y appartient pendant quelques années ou pendant une ou deux décennies puis on en sort, avec, un bon ‘parachute doré’. ...[N]umériquement insignifiante mais bien plus puissante que les anciennes aristocraties ou partitocraties, elle est totalement coupée des masses, dont elle détermine le destin. En dépit de tous les discours démocratiques, qui annoncent à cor et à cri l’avènement d’une liberté et d’une équité inégalées, le poids politique/économique des masses, ou des peuples, n’a jamais été aussi réduit. Son projet ‘globalitaire’ ne peut donc pas recevoir le label de ‘démocratique’. [De ‘superklasse’... domineert het tijdperk van de neoliberale ideologie. Het is niet gemakkelijk haar te definiëren: zij bestaat het duidelijkst uit de managers van de gro[ots]te multinationals, de directeuren van de gro[ots]te banken, de oliesjeiken [en bepaalde] politieke leiders, maar ook uit enkele filmsterren, intellectuelen en ‘spirituele leiders’ - en daarnaast uit een schimmiger personeelsbestand van [maffiabazen en] drugsbaronnen die de bankensector voeden met zwart geld. Deze ‘superklasse’ is verre van stabiel: men kan er enkele jaren of decennia toe behoren voordat men er weer uit valt - meestal met een ‘gouden parachute’. ...[N]umeriek is zij zeer klein, maar zij is machtiger dan alle voorafgaande aristocratieën en partitocratieën uit de menselijke geschiedenis. Zij is volledig afgesneden van de [volks]massa’s, waarvan zij het lot bepaalt. Ondanks het [publieke] discours dat continu spreekt over het aanbreken van weergaloze vrijheid en gelijkheid is het politieke [en] economische gewicht van de [volks]massa’s nog nooit [eerder in de geschiedenis] zo klein geweest. Het globalistische project [dat wordt nagestreefd door de ‘superklasse’] kan daarom in geen enkel opzicht ‘democratisch’ worden genoemd.] (p. 291)

De globalistische vijandelijke elite instrumentaliseert de militaire macht en politieke invloed van Amerika: zij wendt Amerikaanse macht en invloed aan voor globalistische doelen en wensen. Zij misbruikt het Amerikaans prestige, het Amerikaans vermogen en het Amerikaanse volk - dit is de diepste reden voor de anti-globalistische en nationalistische reactie die Donald Trump in het Witte Huis brachten. De vijandelijke elite opereert echter boven en achter Amerikaanse instituten als het presidentschap: in Amerika onttrekt de echte macht zich grotendeels aan institutionele controle en democratische correctie. De Washington swamp, de lying press en de deep state bepalen het beleid - het is voor de strijd tegen deze monsters dat het Amerikaanse volk Donald Trump tot president koos. De monsterlijke macht van de vijandelijke elite is echter zo groot dat ook twee jaar na Trump’s verkiezingsoverwinning de publieke sfeer nog steeds wordt gedomineerd door zijn vijanden. De onfatsoenlijke woede en openlijke sabotage waarmee de vijandelijke elite reageert op Trump is begrijpelijk: de globalistische vijandelijke elite valt en staat met haar grip op haar Amerikaanse instrumentarium. Alleen met controle over de Amerikaanse geldschepping, de Amerikaanse krijgsmacht en de Amerikaanse diplomatie is zij in staat de internationale geopolitieke chaos te handhaven waarin haar financiële belangen en ideologische waandenkbeelden gedijen.

Controle over Amerika is voor de globalistische vijandelijke elite vooral van belang voor het blijvend onderdrukken van haar potentieel machtigste vijand: Europa. Europa is een potentieel dodelijk gevaar voor het nihilistische en ontwortelde globalisme omdat het een ongeëvenaarde technologisch-industriële en sociaal-economische capaciteit combineert met authentieke cultuurhistorische en etnische worteling. Met het wegvallen van de Sovjet Unie eindigde de tweehoofdige ‘bewindvoering’ die aan het einde van de Tweede Wereld Oorlog werd opgelegd aan Europa. De geopolitieke opgave om Europa ‘klein te houden’ valt vervolgens toe aan Amerika alleen: de permanente verdragsmatige verzwakking van het verenigde Duitsland (vooral via monetaire convergentie met Frankrijk) en de Amerikaanse militaire expansie naar het oosten (vooral via uitbreiding van de NAVO) zijn basale ingrediënten van deze globalistische strategie. Toch blijkt deze strategie niet waterdicht: militaire aanwezigheid in Europa vergt een aanzienlijke en constante inspanning van een economisch en politiek mondiaal overbelast Amerika en zelfs de via de Europese eenheidsmunt (2002) afgedwongen tribuutplicht blijkt onvoldoende in staat de Duitse sociaaleconomische motor af te remmen. De EU expansie naar het voormalige Oostblok (2004) laat bovendien het gevaar herleven van een door Duitsland geleid semi-autarkisch geopolitiek blok - het tegenwerken van een dergelijk Mitteleuropa project was de hoofdreden van de Balkan ‘dwarsboom’ politiek waarmee de Triple Entente in 1914 de Eerste Wereld Oorlog provoceerde. Dit grotere geopolitieke perspectief geeft een heel andere duiding aan de in Amerika bedachte ‘Financiële Crisis’ van 2008, die leidde tot de economisch desastreuze en politiek destabiliserende ‘Europese Schuldencrisis’ van 2009, en aan de door Amerika geïnstigeerde ‘Arabische Lente’ van 2011, die leidde tot de Europese ‘Migratie Crisis’ van 2015.

NMst.jpgDeze duiding wordt het best verwoordt door Steuckers zelf: La globalisation, c’est... le maintien de l’Europe, et de l’Europe seule, en état de faiblesse structurelle permanente. Et cette faiblesse structurelle est due, à la base, à un déficit éthique entretenu, à un déficit politique et culturel. Il n’y a pas d’éthique collective, de politique viable ou de culture féconde sans ce que Machiavel et les anciens Romains, auxquels le Florentin se référait, appelaient des ‘vertus politiques’, le terme ‘vertu’ n’ayant pas le sens stupidement moraliste qu’il a acquis, mais celui, latin, de ‘force agissante’, de ‘force intérieure agissante’... [De globalisatie betekent dit: ...het gijzelen van Europa - en alleen van Europa - in een staat van permanente [en] structurele zwakte. En die zwakte is in essentie te wijten aan een doorlopend ‘ethisch tekort’ [dat zich vertaalt in] een politiek en cultureel tekortschieten. Een collectieve ethiek, een levensvatbare politiek [en] een vruchtbare cultuur zijn onmogelijk zonder wat Machiavelli, en de oude Romeinen waarop de Florentijn zi[jn denken] baseerde, de ‘politieke deugden’ noemden - waarbij de term ‘deugd’ niet de kortzichtige moralistische lading heeft die hij nu heeft, maar de [oorspronkelijk] Latijnse [betekenis] van ‘acterende kracht’ [en] ‘innerlijk sturende kracht’.] (p. 279-80) Terecht wijst Steuckers op de door globalistische cognitieve oorlogsvoering bewerkstelligde ‘ethisch tekort’ van Europa: het is dit tekort aan politieke deugd, doelbewustheid en daadkracht dat Europa verlamt. Dit tekort maakt psycho-historische catharsis, geopolitieke assertiviteit en decisionistische zelfverdediging onmogelijk: het maakt Europa machteloos tegen de acute existentiële bedreigingen van opzettelijk gestuurde sociale implosie, massa-immigratie en jihadistische terreur. Dit globalistisch ‘anti-European’ Europa verwezenlijkt zich door de verinnerlijking van het cognitieve-dissonante globalistische mainstream media discours van zelfdestructief geïnterpreteerde ‘mensenrechten’, ‘multiculturaliteit’ en ‘diversiteit’. L’arme principale qui est dirigée contre l’Europe est donc un ‘écran moralisateur’, à sens unique, légal et moral, composé d’images positives, de valeurs dites occidentales et d’innocences prétendues menacées, pour justifier des campagnes de violence politique illimitée. [Het voornaamste wapen dat gericht is tegen Europa is een uniek ‘moralistisch [televisie- en beeld]scherm’ dat [specifieke] juridische en morele ‘waarden’ [afdwingt via] het positieve ‘frame’ van zogenaamde ‘westerse waarden’ en gepretendeerde ‘bedreigde onschuld’ voor het goedpraten van een [systematische] campagne van eindeloze politieke terreur.] (p.281)

In Europa wordt dit globalistische discours exemplarisch geïnternaliseerd en prioritair vertegenwoordigd door de soixante-huitard generatie die zich na haar ‘lange mars door de instituties’ het monopolie op de politieke macht heeft toegeëigend. Pendant les années de leur traversée du désert, ...les [utopistes]de [la] génération soixante-huitard] feront... un ‘compromis historique’ qui repose, ...premièrement, sur un abandon du corpus gauchiste, libertaire et émancipateur, au profit des thèses néolibérales, deuxièmement, sur une instrumentalisation de l’idée freudo-sartienne de la ‘culpabilité’ des peuples européens, responsables de toutes les horreurs commises dans l’histoire, et troisièmement, sur un pari pour toutes les démarches ‘mondialisatrices’, même émanant d’instances capitalistes non légitimées démocratiquement ou d’institution comme la Commission Européenne, championne de la ‘néolibéralisation’ de l’Europe, dont le pouvoir n’est jamais sanctionné par une élection. [Gedurende hun jaren in de woestijn... maakten de [utopisten] van de [‘achtenzestig’] generatie... een ‘historisch compromis’ dat berust... op [drie complementaire strategieën:] (1) een verraad van hun linkse [kern]gedachtegoed [van] bevrijding en emancipatie ten gunste van het neoliberalisme, (2) een [politieke] toepassing van het Freudiaans-Sartriaanse idee van de ‘schuld’ van de Europese volkeren, [die zo] verantwoordelijk [worden gehouden] voor alle misdaden van de geschiedenis en (3) een inzet op ‘globaliserende’ processen - zelfs [als die processen] worden gedreven door [on]democratische [en] illegitieme kapitalistische machten of door institutie[s] als de Europese Commissie, die [zich heeft opgeworpen] als kampioen van de ‘neoliberalisatie’ van Europe en waarvan de macht nog nooit door een verkiezing is goedgekeurd.[20]] (p.293) Dit ideologische verraad en globalistische deze collaboratie, de standaard modaliteiten van de Europese vijandelijke elite, hebben de Europese beschaving aan de rand van de afgrond gebracht.

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Steuckers wijst op de functionaliteit van het verraad van de Europese soixante-huitards ten aanzien van de globalistische geopolitiek: dit verraad levert Europa over aan het de facto monsterverbond tussen twee essentieel anti-Europese globalistische krachten: het liberaal-normativisme, gesymboliseerd in het Amerikaanse ‘Puritanisme’, en het islamisme, gesymboliseerd in het Saoedische ‘Wahhabisme’. Aujourd’hui, nous faisons face à l’alliance calamiteuse de deux fanatismes religieux : le wahhabisme, visibilisé par les médias, chargé de tous les péchés, et le puritanisme américain, camouflé derrière une façade ‘rationnelle’ et ‘économiste’ et campé comme matrice de la ‘démocratie’ et de toute ‘bonne gouvernance’. Que nous ayons affaire à un fanatisme salafiste ou hanbaliste qui rejette toutes les synthèses fécondes, génératrice et façonneuses d’empires, qu’elles soient byzantino-islamiques ou irano-islamisées ou qu’elles se présentent sous les formes multiples de pouvoir militaire équilibrant dans les pays musulmans, ou que nous ayons affaire à un fanatisme puritain rationalisé qui entend semer le désordre dans tous ces états de la planète, que ces états soient ennemis ou alliés, parce que ces états soumis à subversion ne procèdent pas de la même matrice mentale, nous constatons que toutes nos propres traditions européennes... sont considérées par ces fanatismes contemporains d’au-delà de l’Atlantique ou d’au-delà de la Méditerranée comme émanations du Mal, comme des filons culturels à éradiquer pour retrouver une très hypothétique pureté, incarnée jadis par les pèlerins du ‘Mayflower’ ou par les naturels de l’Arabie du VIIIe siècle. [In het huidige tijdsbestek hebben we te maken met een rampspoedig [globalistisch, anti-Europees] bondgenootschap tussen twee religieuze fanatismes: het Wahhabisme,[21] zoals gevisualiseerd en als ‘zondig’ bestempeld door de [mainstream] media, en het Amerikaanse puritanisme, gecamoufleerd achter een ‘rationele’ en ‘economische’ façade en voorgesteld als vast referentie ‘frame’ voor ‘democratie’ en ‘behoorlijk bestuur’. Of we nu te maken hebben met vormen van ‘Salafistisch’ of ‘Hanbalitisch’ fanatisme[22] dat een punt zet achter de vruchtbare, creatieve en imperium-scheppende byzantijns-islamitische of iraans-islamitische syntheses, of met vormen van puriteins-gerationaliseerd en militair-hegemoniaal fanatisme dat over de hele wereld chaos schept (bij bevriende zowel als vijandelijke staten, want alle aan die hegemonie onderworpen staten vertegenwoordigen andersoortige mentale werelden): wij moeten constateren dat onze eigen Europese tradities... onverenigbaar zijn die fanatismes van de overzijde van de Atlantische Oceaan en Middellandse Zee. Die hedendaagse fanatismes beschouwen [onze tradities] als incarnaties van het [pure] Kwaad [en] als cultuuruitingen die moeten worden bestreden met het - overigens zeer hypothetische - puurheid die wordt belichaamt in de Pilgrim Fathers van de ‘Mayflower’[23] en de bons sauvages[24] van de 8e eeuwse Arabische binnenlanden]. (p. 261-2)

De totalitair-regressieve fanatismes van het ‘Puristisch’ liberaal-normativisme en het ‘Wahhabistisch’ islamisme zullen emotioneel, intellectueel en spiritueel moeten worden overwonnen als de Europese beschaving en de Europese volkeren de Crisis van het Moderne Westen willen overleven. De therapie die op dit kritieke punt vanuit Traditionalistisch oogpunt momenteel de grootste kans van slagen biedt is een politiek-filosofische ‘noodgreep’: de nooduitgang van het Archeo-Futuristisme. 

4.

Het Archeo-Futuristisch alternatief

(politiek-filosofische therapie)

Lo, all our pomp of yesterday
Is one with Nineveh and Tyre!
Judge of the Nations, spare us yet.
Lest we forget - lest we forget!

- Rudyard Kipling

Het Archeo-Futuristische alternatief voor het globalistische anti-Europese ‘EU project’ is een gelijktijdig teruggrijpen en vooruitprojecten van een Traditionalistisch concept dat lang een vitale rol heeft gespeeld in de Europese geschiedenis en dat weer kan doen: de Europese Rijksgedachte. Het gaat hierbij om een concept dat strikt genomen boven-historisch is daarom te allen tijde kan herleven. Het ideologisch misbruik en de historiografische misinterpretatie van de Europese Rijksgedachte door het 19e en 20e eeuwse (hyper-)nationalisme - meest recent in het ‘Derde Rijk’ - doet niets af aan de boven-historische vitaliteit ervan. Steuckers wijst in dat verband op het essentieel belang van een juist begrip van het Traditionalistische gedachtegoed waarvan de Rijksgedachte deel uitmaakt. Het Traditionalisme stelt namelijk dat alle collectieve (taalkundige, religieuze, etnische, nationale) identiteiten, en de horizontaal (werelds, fysiek) ervaren verschillen daartussen, organisch onderdeel (kunnen, moeten, zullen) zijn van grotere, synergetisch unieke entiteiten met een hogere verticale, transcendent (spiritueel, psychologisch) ervaren, functionaliteit. Deze entiteit kan worden betiteld als Imperium, ofwel ‘Rijk’ - in het Avondland als het ‘Europese Rijk’. Het numineuze karakter ervan is onmiddellijk aantoonbaar in het feit dat het ontzag inspireert in degenen die er zich op natuurlijke wijze deel van voelen - en dat het angst inspireert in degenen die het onwaardig zijn.

Pour résumer brièvement la position traditional[iste],... disons que les horizontalités modernes ne permettent pas le respect de l’Autre, de l’être-autre. Si l’Autre est jugé dérangeant, inopportun dans son altérité, il peut être purement et simplement éliminé ou mis au pas, sans le moindre respect de son altérité, car l’horizontalité fait de tous des ‘riens ontologiques’, privés de valeur intrinsèque. Tel est l’aboutissement de la logique égalitaire, propre des idéologies et des systèmes qui ont voulu usurper et éradiquer la tradition ‘reichique’ : si tout vaut tout dans l’intériorité de l’homme, ou même dans sa constitution physique, cela signifie, finalement, que plus rien n’a de valeur spécifique, et si une valeur spécifique cherche à pointer envers et contre tout, elle sera vite considérée comme une anomalie qui appelle l’extermination. L’intervention fanatique et sanglante de ‘colonnes infernales’. La verticalité, en revanche, implique le devoir de protection et de respect, un devoir de servir les supérieurs et un devoir des supérieurs de protéger les inférieurs, dans un rapport comparable à celui qui existe, dans les sociétés et les familles traditionnelles, entre parents et enfants. La verticalité respecte les différences ontologiques et culturelles ; elle ne les considère pas comme des ‘riens’ qui ne méritent ni considération ni respect. [Om het tradition[alistische] standpunt samen te vatten... kan men stellen dat de modern[istische] horizontaliteit een [waarachtig] respect van de Ander en het anders-zijn onmogelijk maakt. Wanneer de Ander in zijn anders-zijn [slechts] als storend [en] inopportuun wordt beoordeeld, dan kan hij simpelweg worden geëlimineerd of worden weggezet zonder het minste respect voor zijn anders-zijn: de [modernistische] horizontaliteit reduceert immers alle [vormen van authentieke] identiteit tot een ‘ontologisch nulwaarde’ zonder intrinsieke waarde. Dat is het [onvermijdelijke] eindresultaat van de egalitaire logica die ligt achter de ideologieën en systemen die de rijkstraditie willen vervangen en uitwissen. Als alles alleen maar afhangt van het innerlijk van de mens, of zelfs alleen maar van zijn fysieke constitutie, dan blijft er uiteindelijk niets van specifieke waarde over. Wanneer een specifieke waarde in de tegenovergestelde [niet-egalitaire] richting wijst tegen het [‘algemene belang’ in], dan wordt zij al snel gezien als een ‘afwijking’ die moet worden geëlimineerd. Dit [resulteert] in de fanatieke en bloedige interventie van de ‘helse colonnes’[25] [van het modernistische collectivisme]. Daartegenover staat de [Traditionalistische] verticaliteit die uitgaat van de verplichting tot bescherming van en respect voor [de Ander]. [Dat is] de verplichting [van lager gestelden] om hoger gestelden te dienen en de verplichting van hoger gestelden om lager gestelden te beschermen in een verhouding die vergeleken kan worden met die tussen ouders en kinderen in traditionele gemeenschappen en families. Deze verticaliteit respecteert ontologische verschillen en de culturele [uitdrukkingen daarvan]: zij reduceert ze niet tot ‘[ontologische] nulwaarden’ die geen consideratie en respect verdienen.] (p. 157)

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De Traditionalistische Rijksgedachte behelst dus een holistische visie waarin alle collectieve en individuele [authentieke] identiteiten op organische wijze worden ingepast in een groter geheel van synergetische meerwaarde. Il faut enfin... que chaque communauté et chaque individu aient conscience qu’ils gagnent à demeurer dans l’ensemble impéria[ux]au lieu de vivre séparément. Tâche éminemment difficile qui souligne la fragilité des édifices impériaux : Rome a su maintenir un tel équilibre pendant les siècles, d’où la nostalgie de cet ordre jusqu’à nos jours. ...[L]a civitas de l’origine... de l’Urbs, la Ville initiale de l’histoire impériale, ...s’est étendue à l’Orbis romanus. Le citoyen romain dans l’empire signale son appartenance à cet Orbis, tout en conservant sa natio et sa patria, appartenance à telle nation ou telle ville de l’ensemble constitué par l’Orbis. [Het is uiteindelijk noodzakelijk... dat elke gemeenschap en ieder individu zich ervan bewust zijn dat zij er meer bij gebaat zijn vast te houden aan het imperiale geheel dan afzonderlijk te leven. [Dit is] een zeer ingewikkelde opgave die de kwetsbaarheid van [alle] imperiale projecten onderstreept: Rome wist eeuwenlang een dergelijke balans te handhaven - vandaar de nostalgie naar de [Romeinse] orde die voortduurt tot op de dag van vandaag. ...[D]e originele civitas... van de Urbs waaruit [men] stamt, [dat wil zeggen] de Stad vanwaaruit de imperiale geschiedenis zich ontplooide... breidde zich [met het Romeinse rijk] uit tot een Orbis romanus. Onder het [Romeinse] keizerrijk duidde het Romeins burgerschap op een identificatie met die Orbis, met behoud van de eigen natio en het eigen patria, [dat wil zeggen] met een [blijvend] toebehoren aan een bepaalde natie of vaderland binnen het geheel van die Orbis.] (p.129-31) D’abord, il faut préciser que le ‘Reich’ n’est pas une nation, même s’il est porté, en théorie, par un populus (le populus romanus) ou une ‘nation’ (la deutsche Nation) : ...[c’est] n’est pas [une chose] nationaliste, [c’est] même [une chose] anti-nationaliste. [I]l n’a rien contre les sentiments d’appartenance nationale, contre la fierté d’appartenir à une nation. De tels sentiments sont positifs... mais doivent être transcendés par une idée. Cette transcendance conduit à une verticalité, qui oppose à toutes les formes modernes d’horizontalité, ce qui est, par ailleurs, le noyau idéel, de toutes les traditions... [Vooraf moet worden vastgesteld dat een ‘Rijk’ geen natie is, zelfs als het in theorie door een populus ([een ‘volk’ zoals] het populus romanus) of door een natie ([een natie zoals] de deutsche Nation) wordt gedragen: ...[het Rijk] is niet nationalistisch, [het is] zelfs anti-nationalistisch. [H]et heeft niets tegen het identiteit bepalende [collectieve] nationalistisch sentiment [of] tegen de [individuele] trots op het behoren tot een natie. Zulke sentimenten zijn positief... maar dienen te worden overstegen door het [nog hogere imperiale] idee. Deze transcendentie leidt tot een verticaliteit die zich afzet tegen alle moderne vormen van horizontaliteit - deze [verticaliteit] is uiteindelijk de ideële kern van alle [authentieke T]radities.] (p. 156-7)

Het praktische samengaan van collectieve en individuele identiteiten wordt gerealiseerd in de politieke toepassing van het Traditionalistische beginsel van subsidiariteit (een laatste spoor daarvan is in de Nederlandse Traditie terug te vinden in het anti-revolutionaire principe van ‘soevereiniteit in eigen kring’). ...[L]e principe de ‘subsidiarité’, tant évoqué dans l’Europe actuelle mais si peu mis en pratique, renoue avec un respect impérial des entités locales, des spécificités multiples que recèle le monde vaste et diversifié. [...Het beginsel van ‘subsidiariteit’, waaraan men vaak refereert in het hedendaagse Europe maar dat men zelden in de praktijk brengt, kan [nieuw] imperiaal [ondersteund] respect geven aan de lokale gemeenschappen [en] specifieke identiteiten die horen bij de echte wereld van enorme [authentiek-gewortelde] diversiteit.] (p. 139)

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In relatie tot de Rijksgedachte zijn ‘identiteitspolitiek’, ‘multiculturaliteit’ en ‘diversiteit’ non-issues: ze worden organisch ‘opgelost’ door sublimatie in de hogere functionaliteit van het Rijk. L’empire est donc fait de multiplicités, de différences, qui n’ont rien de commun avec la fausse multiculturalité vantée par les médias d’aujourd’hui. Cette multiculturalité, escroquerie idéologique, relève justement de cette horizontalité qui vise à vider tous les hommes, autochtones et allochtones, de leur substance ontologique. Cette multiculturalité tue l’essentiel qui vit en l’homme. Toute politique qui cherche à la promouvoir est une politique criminelle, exterministe... [Een Rijk behelst dus [altijd complexe] meervoudigheden [en] diversiteiten die niets gemeen hebben met de valse ‘multiculturaliteit’ die wordt aangeprezen door de [mainstream] media van vandaag. Deze [namaak-] multiculturaliteit is een ideologisch bedrog dat voortvloeit uit de [modernistische] horizontaliteit die bedoeld is om alle mensen - autochtoon zowel als allochtoon - the ontdoen van hun ontologische substantie. Deze multiculturaliteit doodt de essentie die leeft in de mens. Alle politiek die haar wil bevorderen is een criminele - en etnocidale - politiek...] (p.158) Het is een ironisch feit dat de Traditionalistische Rijksgedachte en Rijksgemeenschap effectief veel meer tolerantie en vrijheid bieden dan de modernistische ‘diversiteit’ en ‘democratie’ dat ooit zouden kunnen.

5.

Sacrum Imperium

(neo-imperiale therapie)

Hier die Manen hehrer Krieger
Seien euch ein Musterbild
Führen euch vom Kampf als Sieger

- Joseph Hartmann Stuntz[26]

De Westerse beschaving is gebaseerd op een kwetsbare balans tussen elkaar aanvullende authentieke identiteiten die samen synergische meerwaarde krijgen via historische interacties. Deze meerwaarde kan worden uitgedrukt in de ‘hyper-boreale’ archetypen van Techne (technische bevrijding), Nomos (juridische bevrijding) en Evangelion (spirituele bevrijding).[27] Maar deze meerwaarde en de beschaving waarop zij is gebaseerd vergen constante bescherming en bewaking - dit is de basis van de Traditionalistisch Europese Rijksgedachte. En Europe, les structures de type impérial sont... une nécessité, afin de maintenir la cohérence de l’aire civilisationnelle européenne, dont la culture a jailli du sol européen, afin que tous les peuples au sein de cette aire civilisationnelle, organisée selon les principes impériaux, puissent avoir un avenir. [In Europa zijn structuren van het imperiale type... onontbeerlijk om de cohesie te beschermen van de Europese beschavingssfeer die is ontsproten aan de Europese grond - en om aan de binnen die beschavingssfeer inheemse volkeren een toekomst[perspectief] te bieden door een haar te [re]organiseren volgens imperiale principes.] (p. 214) Een dubbel idealistische en realistische - Archeo-Futuristische - heroverweging van de Rijksgedachte is van essentieel belang ter bescherming van de Europese volkeren en van hun gezamenlijke beschaving. De uitbreiding van de Europese Rijksgedachte tot de overzeese Europees-stammige volkeren is daarbij een logische volgende stap: deze stap is reeds Archeo-Futuristisch uitgewerkt in het concept van de ‘Boreale Alliantie’. Op globale schaal zou een dergelijke alliantie natuurlijke bondgenoten vinden in de twee andere Indo-Europese Rijksgedachten: de Perzische en Indische: een Archeo-Futuristische exploratie van dit thema is te vinden in Jason Jorjani’s concept van de World State of Emergency. De alternatieve geopolitiek die past bij deze Archeo-Futuristische heroverwegingen wordt al concreet onderzocht in de anti-globalistische Neo-Eurazianistische beweging.[28]

aigle2t.jpgHet is de taak van het Traditionalisme om de gezamenlijke ‘Hogere Roeping’ van de Europese volkeren in herinnering te brengen wanneer deze bedreigd wordt.[29] Steuckers voldoet hieraan door de Traditionalistische visie van Europa eenduidig te neer te zetten: L’Europe, c’est une perception de la nature comme épiphanie du divin... L’Europe, c’est également une mystique du devenir et de l’action... L’Europe, c’est une vision du cosmos où l’on constate l’inégalité factuelle de ce qui est égal en dignité ainsi qu’une pluralité de centres... [C’est] une nouvelle vision de l’homme, impliquant la responsabilité pour l’autre, pour l’écosystème, parce que, ... sur [c]es bases philosophiques, ...l’homme... est un collaborateur de Dieu et un miles imperii, un soldat de l’empire. Le travail n’est plus malédiction ou aliénation mais bénédiction et octroi d’un surplus de sens au monde. La technique est service à l’homme, à autrui... La construction de l’Europe... nécessite de revitaliser une ‘citoyenneté d’action’, où l’on retrouve la notion de l’homme coauteur de la création divine et l’idée de responsabilité. [Het [Traditionalistisch] ‘Europa’ is een visioen waarin de natuurlijke wereld als Goddelijke Epifanie geldt... [Dit] Europa is een mysterie in wording en werking... [Dit] Europa is een kosmisch visioen dat de feitelijke ongelijkheid erkent van alles dat gelijk is in waardigheid en daarmee ook van [cultuurhistorische en geopolitieke] multipolariteit... [Dit] nieuwe visioen van mens-zijn impliceert verantwoordelijkheid voor [alles dat] anders [en] voor het [hele natuurlijke en menselijke] ecosysteem omdat... op de filosofische basis [van dit visioen]... de mens een medewerker is van God - een miles imperii, een soldaat van het [goddelijk ingestelde] Rijk. Hier is werk niet langer vloek of vervreemding,[30] maar een zegen en een octrooi voor [een hoger] verantwoordelijkheidsbesef voor de [hele schepping]. [Hierbij] staat de techniek ten dienste van de mens - [en] van de ander...[31] De constructie van Europa... vereist een herleven van ‘activistisch burgerschap’ waarin men het idee terugvindt van de mens als medewerker aan de Goddelijke Schepping - en het idee van [zijn uit zijn authentieke identiteit voortvloeiende kosmische] verantwoordelijkheid.] (p. 138-9) Het is duidelijk dat de Hogere Roeping van de Europese volkeren niet stopt aan de geografische grenzen van het Europese subcontinent: zij geldt ook voor de Europees-stammige volkeren die zich over deze grenzen heen hebben begeven en zich overzees hebben gevestigd in boreale en australe regionen.

Naar binnen toe vereist dit visioen een individuele zelfdiscipline, een individuele arbeidsethos en een individuele acceptatie van hiërarchische orde - en dus een omkering van de narcistische, hedonistische en collectivistische levenshouding die wordt bevorderd en bestendigd in het liberaal-normativisme dat nu dominant is in het postmoderne Westen. Dit betekent een overgang naar een nieuwe existentiële realiteit die wordt beheerst door authentieke normen en waarden - en door een legitieme Autoriteit. In de Europese Traditie draagt die Autoriteit, in navolging van zijn Romeinse archetype, de titel ‘keizer’.[32] Dans la conception [traditionaliste] hiérarchique des êtres et des fins terrestres... l’empire constituait le sommet, l’exemple impassable pour tous les autres ordres inférieurs de la nature. De même, l’empereur, également au sommet de cette hiérarchie par la vertu de sa titulaire, doit être un exemple pour tours les princes du monde, non pas en vertu de son hérédité, mais de supériorité intellectuelle, de son connaissance ou des ses connaissances. Les vertus impériales sont justice, vérité, miséricorde et constance... [In de [Traditionalistische] hiërarchische opvatting van wereldse wezens en wensen... vertegenwoordigt het Rijk het hoogste doel, het onevenaarbare voorbeeld voor alle lagere natuurlijke ordeningen. Dit betekent dat de keizer, die op grond van zijn titel aan de top van deze hiërarchie staat, een voorbeeld stelt voor alle [overige] prinsen van de wereld - niet op grond van zijn afstamming, maar [op grond] van zijn intellectuele superioriteit en van zijn kundigheid en inzichten. [In hem worden de] imperiale [‘politieke] deugden’ van rechtvaardigheid, waarheid, mededogen en standvastigheid verwezenlijkt]. (p. 136) Vanzelfsprekend is een als zodanig herkenbare legitieme Autoriteit bijna onvoorstelbaar in de huidige Europese context, maar toch is dit ideaalbeeld van deze Autoriteit onontbeerlijk als vast referentiepunt. Ditzelfde geldt tot op zekere hoogte voor de Rijksgedachte zelf: in het huidige politiek-filosofisch discours is deze gedachte eerst en vooral een experiment waarmee een bestemming en een koers kunnen worden bepaald voor de patriottisch-identitaire beweging. Op dezelfde manier dat het ‘Koninkrijk der Hemelen’ als referentiepunt dient voor de Hogere Roeping van het Christendom, zo dient de Europese Rijksgedachte als referentiepunt voor de Europese beschaving – ook als het ideaal nog niet is verwezenlijkt in het hier en nu. De oude Traditionalistische Rijksgedachte dient hierbij als voorbeeld voor een nieuwe Archeo-Futuristische Rijksgedachte. De hiërarchische politieke filosofie van het Neo-Eurazianisme kan ook hierbij een brugfunctie vervullen.

geants1.jpgNaar buiten toe vereist de Traditionalistische Rijksgedachte collectief zelfbewustzijn, collectieve trots en collectieve opofferingsbereidheid. Het is daarbij belangrijk te benadrukken dat de Rijksgedachte, zoals die wordt gehandhaafd door de hoogste bevelsautoriteit, zich positief - als letterlijke meerwaarde - verhoudt tot de verschillende authentieke identiteiten die met subsidiaire waarborgen worden bewaard binnen het Rijk. Een Traditionalistisch gedefinieerd Europees - of groter: Westers - Rijk doet niets af aan de specifieke taalkundige, godsdienstige, culturele en etnische identiteiten die erbinnen blijven bestaan: het voegt een identiteit toe, namelijk een Europese - of zelfs Westerse. Deze identiteit is dan niet dominant naar binnen (in de individuele voorstelling), maar wel naar buiten: naar buiten vertegenwoordigt zij een collectieve wil. Dat wil zeggen: het Rijk vertegenwoordigt naar buiten een absolute standaard, uitgedrukt in fysieke grenzen. De liberaal-normativistische illusie van globalistische ‘universele waarden’ en de ‘open grenzen’ zijn onverenigbaar met de effectieve handhaving van de klassieke beschavingsnormen die worden belichaamd in Traditionalistische Rijksgedachte. L’empire se conçoit comme un ordre, entouré d’un chaos menaçant, niant par là même que les autres puissent posséder eux-mêmes leur ordre ou qu’il ait quelque valeur. Chaque empire s’affirme plus ou moins comme le monde essentiel, entouré de mondes périphériques réduits à des quantités négligeables. L’hégémonie universelle concerne seulement “l’univers qui vaut quelque chose”. Rejeté dans les ténèbres extérieures, le reste est une menace dont il faut se protéger. [Het Rijk concipieert zichzelf als een orde die wordt omgeven door een dreigende chaos - [de Rijksgedachte] ontkent daarmee feitelijk dat andere [beschavingen] zelf een eigen orde met zelfstandige waarde kunnen hebben. Ieder Rijk ziet zichzelf min of meer als een ‘wereld op zich’, omgeven door tot op verwaarloosbare eenheden teruggebrachte ‘perifere werelden’.[33] Universele hegemonie wordt alleen gezocht binnen de sfeer van het als [exclusief] waardevol erkende [eigen] universum. De resterende [realiteit wordt] verstoten naar de Buitenste Duisternis en is niet anders dan een dreiging waartegen men zich moet beschermen.[34]] (p. 129)

6.

Ex oriente lux

(psycho-historische therapie)

 

Wees gegroet, Hoge Prins!

Op de noordwesten wind hebben wij naar u gezocht

Aan u offeren wij nu onze sterfelijkheid

U bent onze Eedhouder!

- vrij vertaald uit Hereditary

Een effectieve Archeo-Futuristische therapie voor de psycho-historische zelfverminking van de Westerse beschaving ligt in de herontdekking en reactivering van haar archetypes.[35] Vanuit meta-historisch perspectief vertegenwoordigt het politieke experiment van het nationalistisch-enggeestige en hyper-biodeterministische ‘Derde Rijk’ een geïmproviseerde poging tot een reactivering van deze archetypes. Door de - feitelijk zeer ver gezochte - associatie van de Traditionalistische Rijksgedachte met het ‘Derde Rijk’ en door de Europese Götterdämmerung van 1945 werden deze archetypes verdrongen uit het Westerse publieke discours. De bij deze archetypes horende idealistische, ridderlijke en ascetische levenshouding - belichaamt in de oude roepingen van Academie, Adel en Kerk - verloor hiermee haar bestaansgrond: het rampzalige verval van de Westerse geesteswetenschappelijke, militaire en kerkelijke instituties vormen hiervan het tastbare bewijs. Deze psycho-historische Untergang is recentelijk zover doorgeschoten dat nu alles wat zelfs maar enigszins verwijst naar ‘aristocratische’, ‘arische’ en ‘mannelijke’ kwaliteit in de publieke sfeer ‘verdacht’ is. Een diep ingezonken conditionering van matriarchale oikofobie en rancuneuze feminisatie hebben de oude Westerse instituten van Academie, Leger en Kerk vernietigd.

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Toch is deze ontwikkeling niet onomkeerbaar - ze kan zelfs worden opgevat als een noodzakelijke fase in een zuiverend ‘dialectisch proces’.[36] Een extreem negatieve polariteit is immers een noodzakelijke voorwaarde voor een extreem positieve energielading. De deconstructie van de geïmproviseerde en oppervlakkige ‘hyper-nationalistische’ en ‘hyper-biodeterministische’ ideologie van het Derde Rijk vormen zo een noodzakelijke voorwaarde voor een her-ontdekking en her-activering van de diepst liggende archetypes van de Indo-Europese Traditie. De Archeo-Futuristische exploratie van deze diepst gelegen archetypes is pas begonnen, maar de richting waarin de nieuwe Gouden Dageraad van het Westen moet worden gezocht ligt al vast - ex oriente lux. Jason Jorjani, de filosofisch pionier van de Archeo-Futuristische Revolutie in de Nieuwe Wereld, is de event horizon van de Westerse Moderniteit reeds overgestoken en hij heeft reeds gerapporteerd welke beschavingscontouren zichtbaar worden in wat als een nieuwe ‘Gouden Dageraad’ kan worden aangeduid. Het kan geen toeval zijn dat Robert Steuckers, de voorman van het Traditionalisme in de Lage Landen, in dezelfde richting wijst. Beiden laten de oudste Indo-Europese archetypes, zoals behouden in de Perzische Traditie, terugkeren naar het Avondland.

La catégorie d’hommes capables d’incarner un ‘Reich’ est née de la tradition persane, laquelle a été longtemps un ‘Orient’ (in modèle sur lequel on s’‘orientait’)... Dans la tradition persane, il est question d’un ‘hiver éternel’, allusion plus que probable au début d’une ère glaciaire particulièrement rude, qui a surpris les premiers peuples européens dans leur habitat premier. Au moment où survient cet ‘hiver éternel’, un roi-héros, Rama, rassemble les tribus et les clans et se dirige, à leur tête, vers le sud, vers le Caucase, la Bactriane et la Perse (les hauts plateaux iraniens). Ce roi-héros fonde les castes, ou, plus exactement, les fonctions que George Dumézil étudiera ultérieurement. Après avoir mené son peuple à bonne destination, pour échapper aux rigueurs de cet ‘hiver éternel’, Rama se retire dans les montagnes. Cette figure héroïque et royale se retrouve dans les traditions avestique et védique où il s’appelle Yama ou Yima. Pour mener cette expédition et cette migration, Rama-Yama-Yima s’est servi de chevaux et de chars et a jeté ainsi les premiers principes d’organisation d’une cavalerie... Plus tard, Zarathoustra codifie les règles qui doit suivre chaque cavalier... La troupe de Zarathoustra, qui doit faire respecter son enseignement pratique, est armée de massues (la ‘Clave’ dans l’œuvre de Julius Evola). Au départ de la troupe des adeptes de Zarathoustra se forme la caste des guerriers, les Kshatriyas de la tradition indienne, une caste opérative ancrée dans le réel politique et géographique, qui domine la caste de prêtres, contemplative et moins encline à exercer sur elle-même une discipline rigoureuse. ...La figure iranienne de Sraosha, qui donnera le Saint-Michel de la tradition médiévale, évolue entre le ciel et la terre, c’est-à-dire entre l’idéal de la tradition et la réalité, va-et-vient qui postule une formation rigoureuse, à l’instar des disciples de Zarathoustra. Ceux-ci, au fur et à mesure que se consolide la tradition iranienne, sont formés à rendre claire leur pensée, à purifier leurs sentiments, à prendre conscience de leur devoir. Armés de ces trois principes cardinaux d’orientation, le disciple de Zarathoustra lutte contre Ahriman, incarnation du mal, c’est-à-dire de la déliquescence des sentiments, qui rend inapte à œuvrer constructivement et durablement dans le réel. Seul les chevaliers capables d’incarner cet idéal simple mais rigoureux se donneront un charisme, un rayonnement, une lumière, la kwarnah. Ils sont liés entre eux par un serment. [De categorie van mensen die in staat zijn een Rijk te personificeren is ontstaan in de Perzische [T]raditie, die [voor het Westen] eeuwenland een Oriëntaals referentiepunt was in de eigenlijke zin van existentiële oriëntatie. In de Perzische [T]raditie is sprake van een ‘eeuwige winter’, een begrip dat waarschijnlijk teruggaat op het begin van een zeer harde IJstijd die de eerste Europese volkeren trof in hun eerste leefgebied. Toen de ‘eeuwige winter’ intrad, bracht een heroïsche koning [genaamd] Rama de[ze] volkeren en stammen bijeen en leidde hen naar het zuiden, naar de Kaukasus, Baktrië en Perzië (de Iraanse hoogvlakten). Deze heroïsche koning was de stichter van [hun] kasten, of preciezer gezegd: van de [sociaalhiërarchische] functionaliteiten die uiteindelijk door Georges Dumézil zijn gereconstrueerd.[37] Na zijn volk uit de ontberingen van de ‘eeuwige winter’ in veiligheid te hebben gebracht, trok Rama zich terug in de bergen. Deze heroïsche en koninklijke persoonlijkheid vinden we [vervolgens] terug in de Avestische en Vedische [T]radities, waar hij Yama of Yima genoemd wordt.[38] Om deze onderneming en deze migratie te volbrengen organiseerde Rama-Yama-Yima paarden en wagens, waarmee hij de fundamenten van een cavalerie organisatie legde... Later werden de regels die elke bereden krijger, [ofwel ‘ridder’,] te volgen heeft vastgelegd door Zarathoestra... De krijgsmacht van Zarathoestra die zich onderwerpt aan zijn praktische onderwijs is bewapend met knotsen (als clava betiteld in het werk van Julius Evola).[39] Uit deze ‘school’ van Zarathoestra ontstaat [vervolgens] de kaste van de krijgers - de Kshatriya’s van de Indische Traditie - die zich in politieke [instituties] en geografische [machtsbereiken] vastlegt en die komt te heersen over de kaste van de priesters, die contemplatief zijn ingesteld en zich niet aan een [dergelijk] rigoureuze discipline wil onderwerpen. ...De Iraanse figuur Sraosja,[40] die in de middeleeuwse [Westerse] Traditie naar voren komt als de Heilige Michaël, neemt [voortdurend opnieuw] gestalte aan tussen hemel en aarde, dat wil zeggen tussen het Traditie ideaal en de [wereldse] realiteit - een ontstaan en vergaan dat [voor aspirant-ridders] een [constant vastgehouden] rigoureuze scholing veronderstelt, net zoals bij de leerlingen van Zarathoestra. [Het gaat daarbij om] diegenen die, naarmate de Iraanse Traditie zich verwezenlijkt, worden opgeleid om hun gedachte[n] en gevoelens te zuiveren en zich bewust te worden van hun [levens]opgave. Bewapend met deze drie hoofdprincipes van [levens]oriëntatie strijdt de leerling van Zarathoestra tegen Ahriman,[41] de personificatie van het kwaad, dat wil zeggen [primair] tegen de gevoelszwakte die het [hem] onmogelijk maakt constructief en duurzaam op de realiteit in te werken. Alleen ‘ridders’ die in staat zijn dit simpele maar rigoureuze ideaal te belichamen verkrijgen het charisma, de stralenglans, het licht[wezen] - de khvarenah.[42]]  (p. 159-60)

ksch.jpgHet Indo-Europese archetype dat het nieuwe Rijk moet vestigen is bovenal de ‘ridder’. Zoals gezegd, wordt oudste uitdrukking daarvan bewaard in de Perzische Traditie: ...le modèle de la chevalerie perse... constitue... pour l’Europe un mode opératif sans égal, de type ‘kshatriyaque’... [que] ne peut être pensé en dehors du projet de ‘nouvelle chancellerie impériale européenne’, énoncé par Carl Schmitt. Celui-ci a évoqué la nécessité de former une instance de ce type, après les catastrophes qui ont frappé l’Europe dans la première moitié du XXe siècle et pour préparer la renaissance qui suivra l’assujettissement de notre sous-continent. ...[het model van de Perzische ridderstand... vertegenwoordigt... voor Europa een kwalitatief ongeëvenaarde modus van het ‘kshatriyaanse’ type... waarzonder men zich geen voorstelling kan maken van het project dat Carl Schmitt voor ogen stond: de ‘nieuwe Europese rijkskanselarij’. [Schmitt] wees op de noodzaak een dergelijke instantie te vormen in de nasleep van de catastrofes die Europa gedurende de eerste helft van de 20e eeuw heeft ondergaan ten einde de wedergeboorte voor te bereiden die zal volgen op de onderwerping van ons subcontinent.[43]] (p. 163) De kroniek van de Perzische Traditie kan de volkeren van Europa hoop geven: zij laat zien hoe de oudste Indo-Europese archetypes zelfs de catastrofe van barbaarse bezetting, etnische vervanging en culturele regressie kunnen overleven. ...[Le] philosophe perse islamisé Sohrawardi, ...dépositaire de la sagesse iranienne originelle, s’insurge, avant la destruction de son pays par les Mongols, contre la bigoterie, le rationalisme étrique qui est son corollaire, et réclame le retour à une attitude noble, lumineuse, archangélique et michaëlienne, qui n’est rien de autre que la tradition perse/avestique des origines les plus lointaines. Sohrawardi réclame une révolte contre la caste des prêtres étriques, et, partant, contre toutes pensées et démarches impliquant des limitations stérilisantes. Cette attitude a toujours paru suspecte aux vastes de prêtres ou d’intellectuels, soucieux d’imposer des corpus figés aux populations qui leur étaient soumises, en Occident comme en Orient. Arthur de Gobineau... a été le premier... à attirer l’attention des Européens... sur le passé lumineux de la Perse antique, modèle plus fécond, à ses yeux, que la Grèce, trop intellectuelle et trop spéculative. Le modèle chevaleresque, dont les traces premières remontent à Rama et à Zarathoustra, induit une pratique de le maîtrise de soi, supérieure, pour Gobineau, à la spéculation intellectuelle des Athéniens. Et, de fait, quand la Perse a été laminée par les Mongols, l’islam tout entier a commencé à sombrer dans le déclin. Le fondamentalisme wahhabite est l’expression de cette décadence, dans la mesure où il est une réaction outrée, caricaturale, au déclin de l’islam, désormais privé de la grande Lumière de la Perse. Les pauvres simagrées wahhabites ne pouvant bien entendu jamais servir d’‘Orient’. [...De geïslamiseerd-Perzische filosoof Sohrawardi,[44] ...drager van de oorspronkelijke Iraanse wijsheid, stond nog voor de Mongoolse verwoesting van zijn land[45] op tegen religieuze kwezelarij en het oppervlakkige rationalisme... - hij eiste een terugkeer naar de adellijke, verlichte, engelachtige en michaëlitische [existentiële] houding die hoort bij de oorspronkelijke Perzische [T]raditie zoals teruggaande op haar oudste historische Avestische [bronnen].[46] Sohrawardi staat voor een opstand tegen de [intellectueel en spiritueel] oppervlakkig priesterkaste en daarmee tegen alle denk[stroming]en en activismen die zich onderwerpen aan steriliserende begrenzingen. Deze houding schijnt altijd verdacht toe aan het priesterlijke en intellectuele establishment dat zowel in het Westen als het Oosten bedacht is op het handhaven van een dogmatische consensus. Arthur de Gobineau[47]... was de eerste die... de aandacht van Europa... vestigde op het lumineuze verleden van het Oude Perzië: [hij achtte het] een veel vruchtbaarder model dan het [Klassieke] Griekenland dat in zijn optiek te intellectueel en te speculatief [was ingesteld]. Het ridderlijke model dat teruggaat op Rama en Zarathoestra bewerkstelligde een zelfdisciplinaire praktijk die voor de Gobineau superieur was aan die van het speculatieve intellectualisme van Athene. Het is inderdaad waar dat de hele Islam[itische wereld] in [culturele] neergang verzonk nadat Perzië door de Mongolen in de as was gelegd. Het Wahhabitische fundamentalisme is de [ultieme] uitdrukking van deze decadentie: het is een uiterste - karikaturale - reactie op het verval van de Islam na het uitdoven van zijn grootse Perzische Licht. De armzalige verwaandheid van de Wahhabieten kan [noch voor het Westen noch voor het Oosten] ter existentiële ‘oriëntatie’ dienen.] (p. 162)

De Indo-Europese archetypes die worden bewaard in de Perzische Traditie zijn via een eeuwenlange wisselwerking doorgegeven aan Avondland: via het [Helleense] Rijk dat werd gesticht door Alexander de Grote, via de Romeinse cavalerietraditie, via de kruisvaarders, via de Oosterse Letteren - en via de filosofie van de Traditionele School (Steuckers, p. 161ff.). Hun kracht berust in hun essentie - een essentie waarop noch pseudo-islamische cultuurbarbarij, noch pseudo-christelijke psychologische regressie, noch cultuur-nihilistische intellectuele deconstructie vat kunnen krijgen. Nietzsche overkwam het moderne Europese nihilisme in een authentieke herbeleving van het Indo-Europese archetype dat vervat ligt in de Perzische profeet Zarathoestra. Hij zocht niet alleen fysieke gezondheid in de hoge Alpen maar ook spirituele gezondheid op deze ijlste top van de Indo-Europese Traditie - daar vond hij zijn geneesmiddel voor het nihilisme.

...wirf den Helden in deiner Seele nicht weg! Halte heilig deine höchste Hoffnung!

- Also Sprach Zarathustra

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7.

Edelweiss-heid

(Archeo-Futuristische medicatie)

Save a spot for me

Among the Edelweiss

- Danielle White

Elke queeste naar het hoogste begint echter bij het laagste: de fundering van de Europese Rijksgedachte kan niet anders dan liggen in de Europese aarde - het grotere Europese Huis kan niet anders dan beginnen bij de kleinste Europese huisjes.

‘Een beter Nederland begint in Kleine Huisjes!’ - zo sprak Koning Willem Alexander ter gelegenheid van het Kerstfeest van 2018. [48] Veel wijsheid ligt in deze eenvoudige woorden: de Vorst wijst op het feit dat het grote begint met het kleine en dat zelfs de grootste reis aanvangt met een eerste kleine stap. Aan een Nieuw Europa gaat dus een Nieuw Nederland vooraf. Het begint zelfs nog dichter bij huis: bij een nieuwe stad, een nieuw dorp, een nieuwe straat - en dan ook nog bij een nieuw zelf. Een Nieuw Europa begint met de basale kwaliteiten die horen bij het Europese mens-zijn: zelfdiscipline, arbeidsethos, natuurlijke hiërarchie en toekomstplanning. Bij eenvoudige zaken als gezinstoewijding en huwelijkstrouw, bij bescheiden looneisen en gewetensvolle arbeid, bij kansen voor jongeren en respect voor ouderen, bij passend ontzag voor hoge geboorte en aangeboren talent, bij maatschappelijke ruimte voor artistieke gave en wetenschappelijke verdienste, bij solidariteit met de minder fortuinlijke volksgenoot en bij ecologisch verantwoordingsbesef. De karakteristieke eigenschappen van het huidige Europa en haar liberaal-normativistische postmoderniteit - collectief narcisme, consumptief hedonisme en kunstmatige klassenstrijd - horen hier dus pertinent niet bij. Ook niet in reactieve zin: een Nieuw Europa is onhaalbaar voor reactief-onwaardige ‘boze witte mannen’. Het is haalbaar wanneer het positief begint bij - en wordt gedragen door - blije blanke mensen. Dus alleen wanneer de Europese - inheems-fenotypisch niet anders dan blank definieerbare - bevolking blij is met zichzelf: de slagzin it’s ok to be white is in dat opzicht niet meer dan een minimaal beginpunt. Dus ook pas wanneer de Europese vrouw blij is met haar specifieke vorm van mens-zijn als Europees en als vrouw - en zich afkeert van de kunstmatige oikofobe en feministische ‘klassenstrijd’ tegen de Europese beschaving en de man. In het Nieuwe Europa - dat een universele beschavingsstandaard herstelt - moet expliciet een plaatsje worden opengehouden voor - een beperkt aantal - goedwillende, hardwerkende en nette (ex-koloniale, aangetrouwde, geassimileerde) niet-Europeanen die zich vereenzelvigen met de Europeaanse Leitkultur. Ook dat hoort bij de Archeo-Futuristische Europese Rijksgedachte: de ‘magnetische’ inwerking van de authentieke Europese Traditie waarvan een existentieel ordenende - dus innerlijk transformatieve - aantrekkingskracht kan uitgaan voor speciaal getalenteerde individuen uit andere culturen. Deze inwerking is echter geen automatisch gegeven: alleen een absoluut dominante Leitkultur garandeert de voor die innerlijke transformatie vereiste polaire hoogspanning. In het falen van deze dominantie ligt meest catastrofale weeffout van het liberaal-normativistisch ‘multiculturalisme’.

Steuckers wijst op het belang van ‘micro-herterritorialisaties’, dat wil zeggen een Reconquista van Europa door middel van een stapsgewijs geplande en minutieus uitgewerkte herovering van de Europese erfenis. Het grotere ‘Europese Huis’ van de Archeo-Futuristische Rijksgedachte begint dus ook voor hem bij ‘Kleine Huisjes’: een Nieuwe Europa begint bij geleefde, beleefde en doorleefde lokale traditie, regionale cohesie en nationale identiteit. Een Nieuwe Europa is onbereikbaar via een nationalistische Einzelgang: de val van Napoleon en Hitler bewijzen het. Wat wel erkend moet worden is dat de Archeo-Futuristische Rijksgedachte in Europa in de eerste plaats zal moeten worden gedragen door het volk - of: de paar volkeren - die een centrale plaats innemen in Europa. Enkele hoofdlijnen in de verwezenlijking van de Archeo-Futuristische Rijksgedachte zijn al duidelijk. De centrale positie van het Duitse volk, het dragende volk van het oude Heilige Roomse Rijk, is een natuurlijk uitgangspunt - een pragmatische anti-globalistische alliantie op de Frans-Duits-Russische as al evenzeer. Gegeven het feit dat de globalistische vijandelijke elite prioritair, via de Macron-Merkel strategie van Umvolkung à l’outrance, inzet op de ‘pyropolitieke’ verwoesting van de Frans-Duitse ruimte zal de herovering van Europa moeten beginnen bij ‘terugvalbasis’ Rusland. De door President Putin begonnen anti-globalistische bevrijding van Rusland is de natuurlijke uitvalsbasis voor een oost-naar-west metapolitiek tegenoffensief. Het door Aleksandr Doegin geformuleerde - confederatieve, multipolaire - Eurazianisme geeft hiertoe een eerste aanzet - ook hier geldt: ex oriente lux.[49]

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Ter afsluiting van dit essay lijkt het passend Steuckers’ pleidooi voor micro-herterritorialisatie te ondersteunen door zijn argument verder uit te werken. Het is namelijk verre van denkbeeldig dat het globalistische ‘EU project’ binnen een aantal jaren implodeert. Het is dan aan de kleinere staten van Europa om direct hun eigen plaats te bepalen in een post-globalistisch Nieuw Europa - zij zullen zich dan direct opnieuw moeten uitvinden en positioneren. Ook voor staten van bescheiden omvang en gering gewicht, zoals de huidige staten van de Lage Landen, is er dan een wereld te winnen. Een Nieuw Europa biedt immers kansen voor het herwinnen van sinds de Tweede Wereld Oorlog verloren en verkwanselde zelfstandigheid: staatssoevereiniteit, volksidentiteit, valuta en welvaartsstaat. Het falen van het globalistische ‘EU project’ en het wegvallen van globalistische controlemechanismen zal de kleinere staten van Europa de vrijheid geven om zich op hun eigen unieke wijze te ontwikkelen.

Op het kleinste niveau wordt dit potentieel geïllustreerd door de nog kleinere Europese microstaten: de ministaatjes San Marino, Andorra, Monaco en Liechtenstein zijn in vele opzichten tussen de mazen van het globalistische net heen geglipt. Zij hebben zich in hun eigen biotoopjes optimaal kunnen ontwikkelen zonder hun eigenheid op te geven. Anders dan in de kleinere EU lidstaten blijft de inheemse bevolking van de microstaten - grosso modo - juridisch geprivilegieerd, economisch beschermd, sociaal dominant en cultureel behouden.[50] Daar krijgt niet zomaar iedere willekeurige ‘arbeidsmigrant’ verblijfsstatus en staatsburgerschap. Daar worden sociale voorzieningen en huisvesting niet zomaar uitgedeeld aan de eerste de beste ‘asielzoeker’. Daar wordt van de inheemse bevolking niet verwacht dat zij berust in de modegrillen van identiteitsondermijnende ‘diversiteit’. Daar is het blijkbaar wél mogelijk moderne technologie en economische welvaart te combineren met een dominante etniciteit en een dwingend cultuurmodel. Zonder de specifieke omstandigheden van deze microstaten te negeren en zonder hun specifieke problemen te vergoelijken kan wel worden gesteld dat de Archeo-Futuristische Revolutie daar in bepaalde opzichten al is begonnen. Met name het Vorstendom Liechtenstein, door Prins Hans-Adam II sinds de democratisch goedgekeurde constitutionele hervorming van 2003 direct en persoonlijk bestuurd, bewijst dat een combinatie van semi-decissionistisch bestuur en beschermde etnische identiteit met een vrije markt mechanisme, grote welvaart en hoge sociaaleconomische ontwikkeling heel goed mogelijk is. Het is misschien geen toeval dat Liechtenstein als laatste legitiem bestuurd overblijfsel van het Heilige Roomse Rijk een eerste beeld laat zien van hoe een Archeo-Futuristisch Europa er uit zou kunnen zien. Het is dit hoog in de Alpen verscholen ‘Edelweiss model’ dat de kleine en middelgrote EU lidstaten kan inspireren tot het verwerpen van het ‘Calimero argument’: het globalistische argument dat ze ‘te klein’ zouden zijn om op eigen benen te staan.

Feitelijk is de situatie van de Europese microstaten vanuit mondiaal perspectief niet essentieel anders dan die van de kleinere EU lidstaten. De veel evenwichtiger sociaaleconomische en etnische politiek van de kleinere en middelgrote staten van de welvarende Pacific Rim - Maleisië, Singapore, Brunei, Taiwan, Zuid-Korea - bewijzen dat het ‘Edelweiss model’ ook op grotere schaal voor herhaling vatbaar is.[51] Het behoud van de Monarchie in een deel van de kleinere EU lidstaten - in Scandinavië en de Lage Landen - geeft hierbij een gunstige uitgangsbasis voor overschakeling naar het Leichtensteiner ‘Edelweiss model’: de Monarchie biedt hier een ‘reserve soevereiniteit’ die een decissionistische reactie mogelijk maakt op het liberaal-normativistische globalisme. Het Nieuwe Europa kan ook beginnen met een ‘Edelweiss positionering’ van het Kleine Huisje geheten Nederland. De afgelopen decennia van neo-liberale kaalslag en cultuur-marxistische deconstructie hebben geleid tot sociale implosie en etnische vervanging: de ‘puinhopen van vijftig jaar paars’[52] bewijzen dat het Kleine Huisje geheten Nederland op de slooplijst staat van het globalistische ‘EU project’. Voor de Lage Landen - België, Nederland, Luxemburg - is het tijd voor beraad op een levensvatbaar alternatief: een subsidiair gedefinieerde en geborgen plaats in een Nieuw Europa, een Europa dat is zich kan inspireren op de Archeo-Futuristische Rijksgedachte en het confederatieve Eurazianisme. Dit is wat de Lage Landen verdienen: een eigen plaats tussen de Edelweiss.

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Nawoord: de Koning als Katechon

De Nederlandse patriottisch-identitaire beweging erkent de Koning als Katechon - als door de Goddelijke Voorzienigheid aangestelde Beschermer van de Nederlandse staat en het Nederlandse volk. Meer dan dat: de Vorst belichaamt de Nederlandse staat in meest letterlijke zin: het feit dat zijn macht door constitutionele scherpslijperij in de loop van de laatste anderhalve eeuw stukje bij beetje is weggesneden door een jaloerse regentenklasse en een wannabe ‘schijnelite van valsemunters’[53] doet daar niets aan af. Door de eeuwen heen heeft het Huis van Oranje, wanneer puntje bij paaltje kwam, altijd voor de belangen van het Nederlandse volk en de gewone man gestaan. De patriottisch-identitaire beweging dient de diepe eerbied en aanhankelijkheid van het Nederlandse volk naar het Huis van Oranje en de Monarchie als institutie te respecteren - en te integreren in haar doen en laten.

Uiteindelijk is het aan de Vorst om te bepalen wat het beste is voor zijn land en zijn volk - het land is immers zijn erfdeel en hij is vader van zijn volk. Het is niet redelijk te denken dat de Vorst ook maar enigszins geneigd zou zijn erfdeel te verkwanselen en zijn volk te verraden - basaal vertrouwen in zijn oordeel hoort bij de eeuwenoude band tussen het Vorst en volk. Zijn woord en zijn wil moeten daarom, binnen de grenzen van wat redelijk is, zeer zwaar wegen - ook als hij de tijd en manier om op te treden tegen het globalisme wellicht (nog) anders inschat dan de meeste van zijn onderdanen. Ook zulk respectvol inschikken in de natuurlijke hiërarchie en de wettelijke orde hoort, binnen de grenzen van wat redelijk is, bij goed burgerschap. Net zoals de wettelijke orde en het politiek proces - hoe onredelijk en onbehoorlijk ze ook feitelijk worden ingevuld - moeten worden gerespecteerd zolang dat nog enigszins mogelijk is. Natuurlijk kan er, gegeven de globalistische ramkoers met de soevereiniteit van de Nederlandse staat en de identiteit op het Nederlandse volk, op den duur een situatie ontstaan waarin dit niet langer mogelijk is, maar die ultieme afweging komt alleen toe aan het volk als geheel - en aan de Vorst, als vader van het volk. Wat de Nederlandse patriottisch-identitaire beweging tot die tijd betaamt, is respectvol in te schikken - en volk en Vorst respectvol te dienen, door een redelijk alternatief aan te dragen voor globalistische deconstructie en door in metapolitieke zin de vervanging voor te bereiden van de vijandelijke elite. De beweging dient, omwille van het volk, ook de Vorst: waar en wanneer nodig, en waar en wanneer gevraagd, moet de Vorst de patriottisch-identitaire beweging aan zijn zijde weten - ook tegen de vijandelijke elite. Diep in het verradershart van de vijandelijke elite - het ziekelijk monsterverbond tussen de crypto-republikeinse ‘regenten klasse’ en de eeuwig-rancuneuze soixante-huitard ‘intelligentsia’ - zit namelijk niet alleen haat voor het volk, maar ook haat voor de Vorst.

De kersttoespraak van de Koning biedt hoop aan alle Nederlanders: zij biedt een veilige afstand tot ‘verre tafels’ en een tijdige herinnering aan de tachtigjarige vrijheidsstrijd van het Nederlandse volk. Niets past de patriottisch-identitaire beweging echter minder dan woorden te leggen in de mond van de Vorst. Dit essay sluit daarom af met diens eigen woorden - woorden van welgemeende zorg en eenvoudige troost, gericht tot ons arme volk:

Tegenover de sterke en brute krachten in de wereld staan gewone mensen machteloos… zo voelt het vaak. Maar zou het niet kunnen dat we onze eigen rol onderschatten? ...U denkt misschien: ‘Wat moeten we met zo’n verklaring? Het klinkt zo ver weg allemaal’. Maar de drijvende kracht erachter - Eleanor Roosevelt dacht daar heel anders over. Zij zei: ‘Waar beginnen mensenrechten? Op plekken dicht bij huis, zó dichtbij en zó klein dat ze op geen enkele kaart zichtbaar zijn.’ Ze legt hiermee een direct verband tussen de straat waarin we wonen en de grote wereld. Vrijheid, gelijkheid en eerlijke kansen voor iedereen zijn óók afhankelijk van de manier waarop wij dagelijks met elkaar omgaan. Een leven zonder angst en onverschilligheid wordt niet alleen bepaald aan verre vergadertafels, hoe onmisbaar die ook zijn. Daar gaan we gelukkig ook zelf over. We zijn minder machteloos dan we denken. Verreweg de meeste Nederlanders voelen zich thuis in een omgeving waarin tegenstellingen niet op de spits worden gedreven en waarin conflicten zo goed mogelijk samen worden opgelost. Vergelijking met andere landen is vaak een bron van troost, zo niet van trots. De bereidheid om rekening met elkaar te houden en samen te werken heeft ons vèr gebracht. Dit was de basis onder ons land, 450 jaar geleden, toen een klein groepje Nederlandse gewesten tegen de verdrukking in de krachten bundelde en met succes zijn eigen weg ging. Zoiets was nog nooit eerder vertoond.... Een beter Nederland begint in Kleine Huisjes! We onderschatten vaak de positieve invloed die we met onze bescheiden mogelijkheden als mens kunnen hebben. Juist dicht bij huis wordt de wereld gewonnen. We kunnen samen niet alles. Maar wel veel... Een mooie toekomst is mogelijk. Mits we het geloof in onszelf en in elkaar vasthouden! [54] - Zijne Majesteit Willem-Alexander, Koning der Nederlanden

Mon Dieu, ayez pitié de ce pauvre peuple

 

Glossarium

 

banlieusard

Frans: ‘buitenwijk bewoner’, speciaal verwijzend naar de overwegend door etnische minderheden bewoonde sociaal huisvesting hoogbouw wijken rond Parijs;

decisionisme

francofoon-anglofone term, neologistisch vertaalbaar als ‘beslisme’:

doctrine van direct-concrete en fysiek-belichaamde beslissingsbevoegdheid, het tegengestelde van indirect-abstract en psychologisch-manipulatie Normativisme (Rex vs. Lex);

éditocratie

ook: mediacratie, intellocratie; heerschappij van de main stream media plus politiek-correcte academisch publicisten;

éristique

Grieks εριστικός: ‘strijdlustig’, ‘strijdvaardig’ ;

mobocratie

ook: ochlocratie;[55] heerschappij van de ‘meute’, de ‘massa’;

partitocratie

politieke kaping van parlementaire instituties door partijbelangen en partijkartels; het mechanisme achter politicide, d.w.z. vernietiging van politieke pluraliteit en invoering van dogmatische politieke-correcte consensus (‘1984’);

pyropolitiek

geopolitieke ‘verschroeide aarde’ strategie waarvan de globalistische vijandelijke elite zich bedient voor het ‘wegbranden’ van multipolaire verzetshaarden tegen haar Nieuwe Wereld Orde;

soixante-huitard

Frans: ‘68-er’; verwijzing naar de Parijse ‘culturele revolutie’ van mei 1968 en naar de door geïnspireerde ‘hippie tot yuppie’ babyboomer generatie die het globalistisme belichaamt in de dubbele na/uitleving van cultuur-marxistische theorie en neo-liberale praktijk, nu voortgezet in een vervolg generatie: de nieuwe feministisch-allochtone machtselite;

 

Noten

[1] https://www.nrc.nl/nieuws/2019/02/13/rutte-eu-moet-meer-v...

[2] https://www.government.nl/documents/speeches/2019/02/13/c...

[3] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/counte...

[4] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/fake-news-d...

[5] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/modernisati... - let op de expliciet vermelde invulling van deze maatregelen aan de hand van het op versnelde etnische vervanging gerichte ‘Marrakesh Pact’.

[6] https://www.erkenbrand.eu/artikelen/le-rouge-et-le-noir-i... en http://www.erkenbrand.eu/artikelen/uit-het-arsenaal-van-h...

[7] Een (double entendre) verwijzing naar de titel van de post-modern - en ‘pre-apocalyptische’ - kunst documentaire van Sophie Fiennes (2010).

[8] Voor een beknopte Traditionalistische interpretatie van het science fiction genre - als hierofanie en cryptomnesie - verg. Alexander Wolfheze, The Sunset of Tradition and the Origins of the Great War (Newcastle upon Tyne: Cambridge Scholars, 2018 - https://www.cambridgescholars.com/the-sunset-of-tradition... ) 240ff. Voor een psycho-historische update bij dit thema verg. Alexander Wolfheze, Alba Rosa. Ten Traditionalist Essays about the Crisis in the Modern West (London: Arktos, 2019 - https://arktos.com/product/alba-rosa/ ) 35ff.

[9] Verg. de magistrale illustraties bij Jeff Wayne’s op Wells’ boek gebaseerd musical versie: http://www.thewaroftheworlds.com/

[10] Truganini wordt in de pre-postmoderne wetenschappelijke literatuur beschreven als de laatste volbloed Tasmaniër en de laatste Tasmanische moedertaal spreker. Zij werd rond 1812 geboren als de dochter van het opperhoofd van de inheemse bevolking van het voor de Tasmaanse zuidkust gelegen Bruny Eiland, overleefde de moordpartijen, verkrachting en ‘hervestiging’ van de Britse koloniale ‘omvolking’ van haar moederland en stierf in ballingschap in 1876 - na haar dood werd haar skelet tentoon gesteld als ‘wetenschappelijk curiosum’. Verg. Wolfheze, Sunset, 318ff. 

[11] Voor de ‘techno-filosofische’ uitwerking van deze ‘evolutionaire’ ontwikkeling verg. Jason Jorjani, World State of Emergency (Londen: Arktos, 2017) 69ff.

[12] https://www.geopolitica.ru/en/article/what-white-genocide

[13] Een term uit het anti-multiculturele discours van Frans politiek filosoof Charles Maurras (1868-1952), bekend als voorstander van ‘nationaal integralisme’ en ideoloog van de monarchistische en anti-revolutionaire beweging Action française.

[14] Wolfheze, Alba Rosa, 147ff.

[15] Voor een beknopte weergave van de filosofische en cultuur-historische context van het Cultuur Nihilisme: https://www.erkenbrand.eu/artikelen/de-identitaire-beelde...

[16] Het naar de (proto-globalistische) Franse revolutionaire terreur verwijzende ‘epitaaf’ ontwerp voor de Jacobijnse Club in Parijs, aangehaald in Edgar Allen Poe’s The Pit and the Pendulum.

[17] ‘Afgeschermd bezit’ - een liefdadigheidsinstelling voor publiek gebruik onder Islamitisch Recht (bijv. een moskee, een school, een badhuis).

[18] De Jacobijnse Club, gebaseerd op het Jacobijnen klooster in de Parijse Rue Saint-Honoré, was gedurende de Franse Revolutie een extreem-links georiënteerde partijpolitieke organisatie van vrijmetselaars radicalen, gesticht en aangevoerd door Maximilien Robespierre. Zij beoogde seculiere republiek en sociale revolutie af te dwingen door middel van justitiële moord en staatsterreur. Lenin’s politieke methodiek na de Russische Oktober Revolutie werd direct geïnspireerd door het Jacobijnse experiment.

[19] Verwijzingen naar, resp., de naar de 19e Zuid-Amerikaanse vrijheidsstrijder Simón Bolívar genoemde pan-Hispaans-Amerikaanse, anti-imperialistische en semi-socialistische staatsopvatting zoals geformuleerd door de Venezuelaanse President Hugo Chávez (1954-2013) en het ‘Roze Getij’ van (semi-)anti-globalistische en progressieve politieke hervormingen dat grote delen van Latijns-Amerika domineerde, ongeveer tussen de verkiezing van de Venezuelaanse President Hugo Chávez (1999) en de afzetting van de Braziliaanse Presidente Dilma Roussef (2016).

[20] De Europese Commissie bestaat (na de ‘Brexit’) uit 27 ongekozen ‘Commissarissen’ (let op de nomenclatuur die is overgenomen uit het oude Sovjet systeem) die worden voorgedragen door de regeringen van de lidstaten en die gezamenlijk de uitvoerende macht monopoliseren - naast hun exclusief recht op wetsvoorstellen en hun sterke controle op de wetsuitvoering. De Europese Commissie, sinds 2014 voorgezeten door de Luxemburger Jean-Claude Juncker, heeft daarmee feitelijk dictatoriale macht, ook als zij deze macht vrijwel uitsluitend in negatieve zin uitoefent door haar institutionele begunstiging van laissez faire neo-liberalisme en ‘open grenzen’ cultuur-marxisme. Theoretisch gesproken moet het Europees Parlement de benoemingen goedkeuren en heeft het Parlement het recht de Commissie naar het huis te sturen, maar in de praktijk zijn de benoemingen vrijwel altijd exercities in consensuspolitiek en wordt het afzettingsrecht door parlementaire sabotage gereduceerd tot een dode letter. Een verder democratic deficit ligt natuurlijk in het feit dat de opkomst voor de verkiezingen van het zogenaamd ‘controlerende’ Europese Parlement structureel onder de 50% ligt.

[21] Het Wahhabisme, vernoemd naar Soenni-Islamitisch religieus leider en hervormer Mohammed al-Wahhad (1703-92), is een fundamentalistische en iconoclastische doctrinaire stroming binnen de Hanbali School. De aanduiding ‘Wahhabi’ voor een aanhanger van deze stroming wordt voornamelijk gebruikt door haar tegenstanders: zelf geven aanhangers ervan de voorkeur aan termen als muwahhīd (‘monotheïst’) of Salafist. Het Wahhabisme wordt gekenmerkt door een militant en zelfs agressief purisme dat zich uit in regressieve sociale praktijken naar binnen en institutionele intolerantie naar buiten. Het historisch pragmatische bondgenootschap tussen de Wahhabitische geestelijkheid en het Saoedische koningshuis vertaalt zich in contemporaine geopolitieke realiteiten als ‘Al-Qaida’ en de ‘Islamitische Staat’.

[22] Het Salafisme (salaf, ‘voorgangers, voorvaderen’, concreet: de eerste drie generaties religieuze autoriteiten in Islam) is een door het 18e eeuwse Wahhabisme geïnspireerde Soenni-Islamitische religieuze hervormingsbeweging die ontstond in het 19e eeuwse Egypte ontwikkelde in verzet tegen de maatschappelijke effecten van het Westerse imperialisme. Hoewel deze hele beweging zich verzet tegen secularisme en democratie naar Westers model, is slechts een kleine minderheid van haar aanhangers (de zgn. ‘Jihadisten’) voorstander van de gewapende ‘heilige oorlog’ ter implementatie van de Salafistische maatschappelijke hervorming. De Hanbali maḏab (‘gedragscode’, concreet: doctrinaire ‘school’), gesticht door Ahmad ibn-Hanbal (780-855), is de kleinste van de vier traditionele jurisprudenties van de Soenni-Islam en als dominante leer beperkt tot het Arabische Schiereiland (waar die leer tot wet is verheven in het publieke domein in Saoedi-Arabië en Qatar). De Hanbali School wordt gekenmerkt door een effectieve verwerping van ijmā‘ (‘specialistische consensus’) en ijtihād (‘mentale inspanning’) en een beperkte inzet van qiyās (‘deductieve analogie’) in Islamitische jurisprudentie. Het maatschappelijk conservatisme en financiële slagkracht van de Golfstaten maken de Hanbali School aantrekkelijk als ideologisch basismodel voor islamistische extremisten.

[23] De ‘pelgrim vaderen’ waren de Engelse (grotendeels radicaal-Calvinistische) religieuze dissidenten die in 1609 eerst uitweken naar de Nederlandse Republiek, maar vervolgens met het schip de ‘Mayflower’ emigreerden naar Noord-Amerika, waar zij de Plymouth Colony stichtten (later territoriaal opgenomen in de Massachusetts Bay Colony). Zij worden beschouwd als de grondleggers van de Amerikaanse natie (hier ‘klassiek’ gedefinieerd als White Anglo-Saxon Protestant) en zij worden vaak gezien als de initiators van de Amerikaanse feestdag Thanksgiving Day, ‘Dankzeggingsdag’ (naar verluidt beïnvloed door hun herinnering aan het Leidse Oktoberfeest).

[24] Het concept van de ‘edele wilde’, nog niet ‘gecorrumpeerd’ door de globaal-imperialistisch expansieve maar ‘tegen-natuurlijke’ Westerse beschaving, was een integraal onderdeel van het 18e eeuwse Verlichtingsdenken. De term wordt ten onterechte toegeschreven aan de antropologisch-optimistisch (op een utopische ‘natuur staat’) georiënteerde Frans filosoof Jean-Jacques Rousseau (1712-78). Rousseau’s werk gaf echter wel een ‘proto-oikofobische’ invulling aan de voorliggende archetypische notie van ‘romantisch primitivisme’ (een archetype dat al is terug te vinden in the ‘Enkidoe’ karakter van het Gilgamesj Epos). Voor een Archeo-Futuristische herinterpretatie van het Verlichtingsmotief van de ‘edele wilde’, verg. Wolfheze, Sunset, 318ff.

[25] Een verwijzing naar de semi-genocidale pacificatie campagne van de eerste maanden van 1794 die door het Jacobijnse regime werd gevoerd in de nasleep van de Opstand in de Vendée - deze campagne combineerde de strategieën van verschroeide aarde en ethnic cleansing en kostte tot 40.000 burgers het leven.

[26] Tekst ter gelegenheid van de opening van de Beierse Walhalla Gedenkhal (1842).

[27] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 112ff.

[28] Voor een inleiding op het Eurazianistisch gedachtegoed verg. https://www.erkenbrand.eu/artikelen/le-rouge-et-le-noir-i...

[29] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 200ff.

[30] Verwijzingen naar, resp., de Bijbelse zondeval (specifiek Gen. 3:17), en Karl Marx’ theorie van Entfremdung.

[31] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 55.

[32] Latijn: Caesar, in de Europese Traditie de eretitel van de Imperator, de hoogste bevelsautoriteit, afgeleid van de bijnaam van de Romeinse dictator Gajus Julius (100-44 v. Chr.). Eén van de historisch overgeleverde etymologieën herleidt de bijnaam tot een Noord-Afrikaans woord voor ‘olifant’ (Caesar liet opvallend veel munten slaan met de afbeelding een olifant).

[33] Dit ‘begrenzing’ principe kan worden teruggevonden in de Dasein hermeneutiek van de Duitse filosoof Martin Heidegger (1889-1976) en is recentelijk Archeo-Futuristisch uitgewerkt door de Amerikaans-Perzische filosoof Jason Jorjani (geboren 1981) - verg. Wolfheze, Alba Rosa, 228ff.

[34] Een verwijzing naar de metafysische dimensie van het Traditionalistische begrip ‘Wachter op de Drempel’ zoals recent gereactiveerd door de Russische filosoof Aleksandr Doegin - verg. https://www.erkenbrand.eu/artikelen/de-gebroken-pijl-2/

[35] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 209ff.

[36] Een verwijzing naar de moderne dialectische methode (‘these-antithese-synthese’) ontwikkelt door de Duitse filosoof Friedrich Hegel (1770-1831) en ‘geoperationaliseerd’ door de Duits-Joodse politiek filosoof Karl Marx (1818-83).

[37] Een verwijzing naar de Franse vergelijkende taalwetenschapper Georges Dumézil (1898-1986) die pionerend onderzoek deed naar archaïsche Indo-Europese mythen en sociale structuren, bekend om zijn ‘Trias These’ m.b.t. het oorspronkelijke Indo-Europese kastensysteem.

[38] In latere Perzische taalvarianten en in de Sjāhnāmeh (het nationale epos van Iran, getiteld ‘Het Boek der Koningen’, geschreven door dichter Firdawsī aan het einde van de 10e eeuw AD) wordt deze koning aangeduid als Jamšīd (ofwel ‘Schitterende Yama’), een mythische priester-koning met bovennatuurlijke gaven en de charismatische roeping van de hoogste Katechon.

[39] De Indo-Europese knots wordt als - vaak met goud foelie overtrokken - ceremoniële staf overgenomen als machtssymbool van hoogwaardigheidsbekleders binnen alle Tradities van de Oude Nabije Oosten en de Klassieke Wereld. De symbolische betekenis van de knots is (via cultureel-antropologisch herleidbare structurele opposities) gerelateerd aan die van de scepter (politiek gezag), de toverstaf (spiritueel gezag) en de baton (militair gezag).

[40] De Avestaanse aanduiding voor een van de Zoroastrische Yazata’s (‘vererenswaardige’, vergoddelijkte principes - de term is etymologisch verwant aan het Griekse woord ἅγιος ‘heilig’): het gaat hier om het principe van het ‘Geweten’ dat functioneert als een ‘aartsengel’ en is toegerust met de knots van wereldse macht - in latere Perzische taalvarianten wordt hij aangeduid als Sorūš.

[41] De Middel-Perzische naam Ahriman wordt in het oudere Avestisch weergegeven als Angra Mainyu, ‘Kwade Geest’, de kosmische tegenstrever van de opper- en scheppergodheid Ahura Mazda. Zoals in het Christendom God (Licht, Waarheid, Orde) en de duivel (duisternis, leugen, chaos) tegenover elkaar staan, zo staan in het Zoroastrianisme  Ahura Mazda en Angra Mainyu tegenover elkaar.

[42] Dit charisma wordt in de Christelijke Traditie symbolisch uitgebeeld door middel van een aureool, een halo-effect toegeschreven aan engelen en heiligen. De moderne wetenschap beschrijft dit fenomeen in neurologische termen (bijv. in relatie tot liminele verschijnselen als epilepsie, synesthesie en hallucinatie). Voor de historische context van het concept van de khvarenah verg. Jason Jorjani, World State of Emergency (Londen: Arktos, 2017) 153-92.

[43] Voor Steuckers’ visie van Europa als subcontinentaal deel van de totale Euraziatische ruimte verg. https://www.erkenbrand.eu/artikelen/le-rouge-et-le-noir-i... .

[44] Šihāb ad-Dīn Yahya Sohrawardi (1154-91), bijgenaamd ‘Meester der Verlichting’, baseerde zijn Illuminationisme op de notie van prisca theologia en was zo in staat pre-Islamitische (filosofische concepten en) kennis te integreren in zijn werk. Esoterische symboliek en intellectuele intuïtie zijn essentiële elementen in Sohrawardi’s werk, dat invloed kreeg op het Westerse Traditionalisme door de vertalingen en interpretaties van Henri Corbin (1903-78) en Seyyed Hossein Nasr (geboren 1933).

[45] Een verwijzing naar de verovering van het Chorasmidische Rijk (grosso modo het toenmalige ‘Perzië’) door Dzjengis Khan, beginnend in 1219.

[46] In de Iraanse context kan deze spirituele houding zonder voorbehoud worden omschreven als ‘Arisch’ - het is deze Arische existentiële conditie die door Jason Jorjani wordt onderzocht in zijn werken Prometheus and Atlas en The World State of Emergency.

[47] Joseph Arthur Graaf de Gobineau (1816-82) was een paleo-conservatief Frans denker - vaak genoemd als grondlegger van het laat-19e en vroeg-20e eeuwse ‘wetenschappelijk racisme’ - die tijdens zijn diplomatieke dienst in Perzië een levenslange filosofische, geschiedkundige en mystieke fascinatie voor de Perzische Traditie ontwikkelde.

[48] https://www.koninklijkhuis.nl/documenten/toespraken/2018/...

[49] https://www.geopolitica.ru/en/article/problems-european-s...

[50] Na ‘Brexit’ heeft zelfs in de mainstream media voorzichtige interesse getoond voor de niet-globalistische immigratie politiek van de Europese microstaten. bijv. https://www.theguardian.com/politics/2016/oct/09/liechten...

[51] Modellen die waardevolle elementen bevatten zijn o.a. de etnisch-gebaseerde Community Funds van Singapore en de Bumiputra privileges van Maleisië.

[52] Een schuine verwijzing naar de titel van het boek van Pim Fortuyn, De puinhopen van acht jaar paars (2002).

[53] Een verwijzing naar de titel van het Martin Bosma’ politieke traktaat De schijn-élite van de valse munters (2010), door Bosma zelf vrij toegankelijk gemaakt via https://gratis-boek.nl/martin-bosma-de-schijn-elite-van-d...

[54] https://www.koninklijkhuis.nl/documenten/toespraken/2018/...

[55] Een term die in de Nederlandse publieke sfeer werd geïntroduceerd door de politieke leider van het CDA, Sybrand van Haersma Buma.

Edelweiss De Archeo-Futuristische Europese Rijksgedachte aan de hand van Robert Steuckers’ Europa I. Valeurs et racines profondes de l’Europe

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Edelweiss

De Archeo-Futuristische Europese Rijksgedachte aan de hand van Robert Steuckers’ Europa I. Valeurs et racines profondes de l’Europe

(Madrid: BIOS, 2017)

door Alexander Wolfheze

Voorwoord: Slangtong in Zürich

RS-trilogievol1.jpgDe aanstaande Europese verkiezingen, waarmee het globalistisch-eurocratisch regime in Brussels zich nogmaals vier jaar een ‘democratische’ dekmantel wil aanmeten, biedt een goede gelegenheid tot een gedegen heroverweging van het ‘EU project’. De democratische camouflagekleding van het EU keizerrijk is inmiddels echter zodanig afgedragen dat zelfs troonopvolger kandidaat Mark Rutte zich afvraagt of het niet tijd is om het gewoon maar om te kleden in onverhuld totalitaire ‘uniform’ stijl. De titel van zijn op 13 februari 2019 in Zürich uitgesproken - en door analisten als ‘sollicitatiebrief’ nummer zoveel geïnterpreteerde[1] - ‘Churchill Lezing’ spreekt in dit opzicht boekdelen: The EU: from the power of principles towards principles and power.[2] Ofwel: ‘De EU: van de macht van principes naar principes en macht’. ‘Naar machtsprincipe’ zegt hij nog net niet, maar de inhoud windt er geen doekjes om: ‘het gaat in de wereld om macht en macht is geen vies woord’ (lees: de EU heeft machtsmiddelen die onvoldoende worden gebruikt), ‘de EU moet minder naïef zijn en meer realisme tonen’ (lees: het is tijd voor de EU het idealistisch masker laat vallen) en ‘we moeten besluiten over sancties tegen landen voortaan met een gekwalificeerde meerderheid nemen’ (lees: de resterende staatssoevereiniteit van de lidstaten moet nog verder worden verkleind). En inderdaad ontwikkelt de EU zich steeds meer in de richting van een ‘superstaat’: de gestage accumulatie van censuurmaatregelen in de mediale en digitale sfeer met hate speech codes,[3] fake news taskforces[4] en copyright directives[5] neemt inmiddels Orwelliaanse vormen aan. Met de totalitaire finish lijn van het EU project in zicht, is het goed de historische ontwikkeling en ideologische grondslagen ervan nog eens de revue te laten passeren.

Het Verdrag van Maastricht dat de formele grondslag legde voor de huidige Europese Unie werd getekend op 7 februari 1992, zes weken na de formele opheffing van de Sovjet Unie: zo begon de opbouw van het nieuwe cultuurmarxistische Westblok direct na de afbraak van het oude reaalsocialistische Oostblok. Sindsdien heeft de EU zich niet alleen naar buiten toe sterk uitgebreid (met name door de haastige inlijving van de net uit het Oostblok ontsnapte Centraal-Europese natiestaten), maar zij heeft zich ook in rap tempo als proto-totalitair ‘superstaat’ project naar binnen toe ontwikkeld tot een waardige opvolger van de Sovjet Unie. De overeenkomsten zijn in toenemende mate frappant: dezelfde sociale ‘deconstructie’ (Oostblok: hyper-proletarisch collectivisme / Westblok: neo-matriarchale nivellering), dezelfde economische ‘deconstructie’ (Oostblok: ‘dwangcollectivisatie’ / Westblok: ‘rampen kapitalisme’) en dezelfde etnische ‘deconstructie’ (Oostblok: ‘groepsdeportatie’ / Westblok: ‘omvolking’). De tegenstelling tussen het theoretisch discours van het liberaal-normativisme (‘vrijheid’, ‘gelijkheid’, ‘democratie’, ‘rechtsstaat’, ‘mensenrechten’) en de praktische leefrealiteit van maatschappelijke degradatie (sociaal-darwinistische economische tweedeling, sociale implosie, institutionele corruptie, endemische criminaliteit, etnische vervanging) neemt in het huidige Westblok even groteske vormen aan als in het voormalige Oostblok. In zeker opzichten is het Westblok zelfs verder doorgeschoten in de richting van een ‘superstaat’: zo staat de EU vlag in alle lidstaten obligaat naast de nationale vlag - een directe degradatie van nationale waardigheid die zelfs de formeel onafhankelijke Sovjet satellietstaten bespaard bleef.

AFut-1.pngMet deze escalerende discrepantie tussen theorie en praktijk is de heersende klasse van het Westblok - een globalistisch-eurocratisch opererende coalitie tussen het neoliberale grootkapitaal en de cultuurmarxistische intelligentsia - inmiddels verworden tot een regelrecht vijandelijke elite. Haar EU project heeft ontpopt zich tot een voor allen zichtbaar globalistisch anti-Europa project. Voor het overleven van de Europese beschaving en van de Europese inheemse volkeren die deze beschaving dragen is de verwijdering van de vijandelijke elite absolute noodzaak. Daarbij is een fundamentele (cultuurhistorische, politiekfilosofische) kritiek op haar ideologie van essentieel belang. Een belangrijke bijdrage tot deze kritiek is recent geleverd door Belgisch Traditionalistisch publicist Robert Steuckers - een passender ‘verkiezingswijzer’ voor de ‘Europese verkiezingen’ van mei 2019 dan zijn grote trilogie Europa is nauwelijks denkbaar. Dit essay beoogt Steuckers’ analyse van de echte kernwaarden en identitaire wortels van Europa, zoals vervat in het eerste deel van zijn nog niet uit het Frans vertaalde trilogie, onder de aandacht van het Nederlandstalige publiek te brengen. Steuckers’ Europa I biedt meer dan een grondige tegen-analyse van de postmoderne ‘deconstructie’ van Europa’s authentieke waarden en identiteiten: het biedt een heldere formule van een levensvatbaar alternatief: een Archeo-Futuristisch geïnspireerd ‘Europa van de volkeren’ gebaseerd op de complementaire principes van autonome volksgemeenschappen, consistente politieke subsidiariteit en pragmatische confederatieve structuren. Het moet nogmaals gezegd zijn: de patriottisch-identitaire beweging van de Lage Landen is Robert Steuckers grote dank verschuldigd - en een hartelijke felicitatie met een werk dat de gewoonlijk nogal bescheiden intellectuele begrenzingen van onze gewesten verre te boven gaat.

(*) Zoals de voorafgaande ‘Steuckers recensies’[6] is dit essay niet alleen bedoeld als boekbespreking, maar ook als metapolitieke analyse - een bijdrage tot de patriottisch-identitaire tegen-deconstructie van het door de Westerse vijandelijke elite gehanteerde postmoderne deconstructie discours. De kern van dit essay is een samenvatting door Steuckers’ Traditionalistisch geleide exploratie van de Europese identiteit. Die exploratie zet een definitieve punt achter de postmoderne deconstructie van die identiteit en het aldus bewerkstelligde cultuurhistorische tabula rasa stelt de patriottisch-identitaire beweging in staat een revolutionair nieuwe invulling te geven aan het idee ‘Europa’. Een Archeo-Futuristisch Europa ligt daarmee feitelijk binnen intellectueel handbereik.

(**) Dit essay belicht ‘casus Europa’ in drie stappen: het eerste drietal paragraven beoogt diagnostische ‘nulmetingen’, het tweede drietal paragraven geeft therapeutische ‘referentiepunten’ en de zevende paragraaf indiceert een concreet ‘behandelplan’. In eerste en laatste paragraven schetst de recensent het grotere Archeo-Futuristische kader weer waarbinnen Steuckers’ exploratie van de Europese identiteit relevant is voor de patriottisch-identitaire beweging - de eigenlijke ‘recensie’ van Steuckers’ Europa I vindt de lezer in paragraven 2 t/m 6.

(***) Voor een toelichting op de gekozen (ver)taal(vorm) en (voet)noten(last) wordt verwezen naar het voorwoord van de voorafgaande ‘Steuckers recensies’.

1.

Het rode onkruid

(psycho-historische diagnose)

‘Over Your Cities Grass Will Grow’[7]

wells.jpgH.G. Wells’ eeuwig groene meesterwerk The War of the Worlds blijft tot op de dag van vandaag niet alleen een van de grootste werken van het hele literaire science fiction genre: het behoudt ook tot op de dag van vandaag een directe - veelal alleen onderbewust, instinctief erkende - relevantie voor de existentiële conditie van de Westerse beschaving.[8] Wells’ magistrale sfeerimpressie van de Earth under the Martians schetst een wereld waarin de mens alle herkenning- en referentiepunten verliest: de menselijke beschaving wordt weggevaagd door superieure buitenaardse technologie, de mensheid zelf wordt gereduceerd tot slachtvee voor een buitenaardse bezettingsmacht en zelfs de aardse natuur wordt verdrongen door buitenaardse vegetatie. Een griezelig ‘rood onkruid’ - in verwijzing naar de rode kleur van de oorlogsplaneet Mars - overwoekert de ruïnes van de menselijke beschaving en verstikt de restanten van de aardse vegetatie.[9] Literaire analyses van The War of the Worlds erkennen dat Wells’ meesterwerk op aannemelijk wijze kan worden geïnterpreteerd als een serie retrospectieve en contextuele psycho-historische ‘bespiegelingen’. Zo projecteert Wells de in zijn tijd recent afgeronde en sociaaldarwinistisch geïnterpreteerde genocide van ‘primitieve volkeren’ (zoals de inheemse bevolking van Tasmanië)[10] door het ‘blanke meesterras’ op een hypothetische uitroeiing van de mensheid door superieur buitenaards ras. Ook projecteert hij de mensonterende horreur van de in zijn tijd opkomende bio-industrie op een hypothetische ‘slachtvee status’ van de mensheid na een buitenaardse invasie. Waar de meeste literaire analyses zich echter niet mee bezig houden is de voorspellende waarde van Wells’ werk, een waarde die het ontleent aan de voorwaartse projectie van meerdere - en gelijktijdige - technologische en sociologische ontwikkelingstrajecten. Wells’ geniale literaire verpakking van deze projecties geeft zijn ‘wetenschappelijke fictie’ een kwaliteit die in eerdere eeuwen als ‘profetisch’ zou hebben gegolden.

De existentiële breuklijnen die de Moderniteit heeft veroorzaakt in de Westerse beschaving kunnen worden geanalyseerd - en deels ook vooruit geprojecteerd - met verschillende moderne wetenschappelijk modellen: economisch als Entfremdung (Karl Marx), sociologisch als anomie (Emile Durkheim), psychologisch als cognitive dissonance (Leon Festinger) en filosofisch als Seinsvergessenheit (Martin Heidegger). De metapolitieke relevantie van deze analyses voor de Westerse patriottisch-identitaire bewegung ligt niet zozeer in hun - al dan niet ideologisch negatieve - ‘deconstructieve’ capaciteit, als wel in hun simpele diagnostische waarde. Hierin ligt een belangrijke overeenkomst tussen deze moderne wetenschappelijke modellen en moderne artistieke ‘modellen’ zoals Wells’ meesterwerk The War of the Worlds: door ‘maatschappelijke signalen’ te interpreteren dienen ze als metapolitieke ‘verkeersborden’ - en als waarschuwingen. Inmiddels is de accumulatieve impact van de Moderniteit op de Westerse samenlevingen echter zó groot geworden, dat de existentiële conditie van de Westerse volkeren niet langer in termen van authentieke beschavingscontinuïteiten en historische standaardmodellen kan worden beschreven. Wanneer afwijking, aberratie en ontsporing een existentiële conditie volledig bepalen, dan is er immers niet langer sprake van een historische herkenbare ‘standaard’. Wanneer wetenschappelijke ‘waarschuwingsborden’ worden genegeerd, dan komen artistiek ‘voorspelde’ dystopische eindbestemmingen in zicht. Niet voor niets wordt deze fase van de (ex-)Westerse beschavingsgeschiedenis getypeerd als ‘post-modern’: de (ex-)Westerse samenlevingen van nu hebben authentieke beschavingscontinuïteit grotendeels achter zich gelaten en bewegen zich versneld in de richting van existentiële condities die overeenkomsten vertonen die van Wells’ Earth under the Martians.

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De nieuwe ‘globalistische’ heersersklasse van het Westen staat nu in effectief boven en los van de Westerse volkeren, zij is alleen nog ‘verbonden’ met deze volkeren in de uitwerking van haar macht. De vijandelijke elite acht zichzelf nu niet alleen ethisch en esthetisch, maar ook en vooral evolutionair verheven boven de ‘massa’ die zij is ‘ontgroeit’.[11] De consistent negatieve effecten van haar machtsuitoefening - hoofdrichtingen: neo-liberale uitbuiting, industriële ecocide, bio-industriële dierkwellerij, cultuur-marxistische deconstructie, sociale implosie, etnische vervangingsstrategieën - maken haar herkenbaar als een letterlijk vijandelijke elite. Zij kent geen sympathieën – niet voor haar autochtone vijanden, niet voor haar allochtonen dienaren en niet voor haar aardse thuis.  The globalists are at war with humanity as a whole. They seek to eliminate or enslave at will. They care about themselves and themselves alone. They are committed to concentrating all wealth in their hideous hands. In their evil eyes, our only purpose is to serve them and enrich them. Hence, there is no room for racism, prejudice, and discrimination in this struggle. It is not a race war but a war for the human race, all included, a socio-political and economic war of planetary proportions (Jean-François Paradis).[12]

De globalistische en dus anti-Europese geopolitieke strategie van de vijandelijke elite (gericht op industriële delokalisatie, sociale atomisering en culturele ontworteling, verg. Steuckers 223ff.) mag als zodanig - als sociaaleconomische en psychosociale oorlogsvoering - worden erkend door een handjevol patriottisch-identitaire denkers, maar zij wordt door de Westerse volksmassa alleen begrepen in haar uitwerkingen: economische marginalisatie (arbeidsmarktverdringing, kunstmatige werkeloosheid, interetnische tribuutplicht), sociale malaise (matriarchale anti-rechtstaat, gezinsontwrichting, digitale pornificatie) en culturele decadentie (onderwijs ‘idiocratie’, academische ‘commercialisering, ‘politiekcorrecte’ mediaconsensus). Deze economische, sociale en culturele ‘deconstructie’ programma’s worden door de vijandelijke elite kracht bijgezet en onomkeerbaar gemaakt door een zorgvuldig gedoseerd, maar inmiddels kritieke proporties aannemend proces van massa-immigratie. Het proces van etnische vervanging heeft tot doel de Westerse volkeren als etnisch, historisch en cultureel herkenbare eenheden te elimineren door ze als geatomiseerde déracinés ‘op te lossen’ in la boue,[13] de ‘modder’ van identiteitsloze, karakterloze en willoze massamens. Dit proces van etno-culturele, sociaal-economische en psycho-sociale totaal-nivellering beoogt - prioritair richting Europa - de ultieme Endlösung van het kernprobleem van de Nieuwe Wereld Orde, dat wil zeggen van het automatisch anti-globalistisch voortbestaan van authentieke identiteiten op collectief niveau. Concreet wordt deze Endlösung gerealiseerd in totalitair geïmplementeerde etnocidale ‘multiculturaliteit’ en anti-identitaire ‘mobocratie’.

De motivaties en doelstellingen van de vijandelijke elite onttrekken zich feitelijk aan het voorstellingsvermogen van de Westerse volksmassa - ze gaan in zekere opzichten het gewone menselijk verstand ‘te boven’. Hun ‘niet-aardse’ en ‘diabolische’ kwaliteit wordt echter in toenemende mate waarneembaar in hun concrete uitwerkingen.[14] Elders werd de ideologie van de vijandelijke elite gedefinieerd als ‘Cultuur Nihilisme’: een geïmproviseerde ideeëncocktail die zich kenmerkt door militant secularisme, sociaal-darwinistisch hyper-individualisme, collectief geïnternaliseerd narcisme en doctrinair cultuur- relativisme die uitmondt in de vernietiging van alle authentieke Westerse beschavingsvormen.[15] Het feit dat de volksmassa niet in staat het Cultuur Nihilisme als ideologie en programma te begrijpen heeft veel te maken met de opzettelijke ‘ongrijpbaarheid’ ervan: de expliciete motivaties en doelstellingen van de vijandelijke elite zijn intentioneel on-logisch en anti-rationeel. Het enige wat voor de vijandelijke elite telt is haar macht - haar zogenaamde ‘ideeën’ zijn slechts manoeuvres om de macht te krijgen, te behouden en te vergroten: ze dienen te worden begrepen in het kader van cognitieve oorlogsvoering.

Een goed voorbeeld van deze cognitieve oorlogsvoering is het huidige ‘klimaatdebat’: de door de vijandelijke elite uitgestippelde ‘partijkartel lijn’ beroept zich op Gutmensch eco-bewustzijn, maar het op basis van deze lijn via nieuwe ‘klimaatbelastingen’ aan de volksmassa opgelegde ‘straftarief’ wordt exclusief aangewend voor het ‘investeren’ in het commerciële ‘klimaat bedrijf’ – en het subsidiëren van politiek-correcte ‘klimaat clubs’. Het onvermijdbare verzet van de volksmassa wordt vervolgens cognitief ‘weggesluisd’ naar een subrationeel ‘klimaatontkenning’ discours dat wordt toegeschreven aan – en zelfs opportunistisch wordt opgeëist door – de ‘populisten’, activistisch (Frankrijk’s ‘gele hesjes’) dan wel parlementair (Baudet’s ‘0,00007 graden’). De daarbij succesvol bewerkstelligde opgelegde cognitieve dissonantie inzake ‘klimaat’ gaat zover dat men in de volksmassa het verdwijnen van winterijs en het toeslaan van februarilentes instinctief wegredeneert. De balanceerakte van de vijandelijke elite is feilloos: de ‘populistische oppositie’ is blij met een paar extra zeteltjes maar verspeelt haar échte moreel aanzien, de volksmassa is blij nog een paar jaartjes ‘dansen op de vulkaan’ met vakantievliegen en autorijden en de vijandelijke elite is blij dat haar ‘economische groei’ ongestoord oploopt – en met de extra ‘klimaatbelastingen’ die kunnen worden aangewend voor ‘commerciële aanbestedingen’ en, natuurlijk, ‘klimaat vluchtelingen’. Ondertussen loopt de ecocidale klok van antropogene aardopwarming en meteorologische catastrofes gewoon door - naar de final countdown.

wwow.jpgDe Westerse volksmassa erkent per saldo wel instinctief de globalistische grootheidswaanzin van de vijandelijke elite - deze instinctieve erkenning wordt door de elitaire intelligentsia veelal neerbuigend afgedaan als ‘onderbuikgevoel’ en de politieke vertaling ervan wordt al even neerbuigend betiteld als ‘populisme’. Deze ultiem demofobe arrogantie mag lang werken, maar er zal uiteindelijk wel een hoge prijs op staan: de Westerse volkeren ervaren het globalistische regime van de vijandelijke elite nu al in toenemende mate als een regelrechte ‘bezettingsmacht’. Men begint de alles verstikkende macht van de vijandelijke elite te zien voor wat zij is: een wezensvreemd ‘rood onkruid’ dat de Westerse beschaving en het Westerse thuisland versmoort.

I had not realised what had been happening to the world, had not anticipated this startling vision of unfamiliar things. I had expected to see... ruins - I found about me the landscape, weird and lurid, of another planet. For that moment I touched an emotion beyond the common range of men, yet one that the poor brutes we dominate know only too well. I felt as a rabbit might feel returning to his burrow and suddenly confronted by the work of a dozen busy navvies digging the foundations of a house. I felt the first inkling of a thing that presently grew quite clear in my mind, that oppressed me for many days, a sense of dethronement, a persuasion that I was no longer a master, but an animal among the animals, under [alien rule]. With us it would be as with them, to lurk and watch, to run and hide; the fear and empire of man had passed away. - Herbert George Wells, The War of the Worlds

2.

De Europese kata-morfose

(politiek-filosofische diagnose)

Impia tortorum long[o]s hic turba furores sanguinis innocui, non satiata, aluit.

Sospite nunc patria, fracto nunc funeris antro, mors ubi dira fuit,

vita salusque patent.

[Hier voedde een goddeloze en onverzadigbare meute beulsknechten

hun lange waanwoedes met het bloed der onschuldigen.

Pas nu het vaderland veilig is, nu deze moordkelder opengebroken is,

zijn leven en gezondheid weer mogelijk.][16]

Na een halve eeuw systematische sloop van staatsstructuren en volksidentiteiten is het Europese politieke, economische, sociale en culturele landschap nagenoeg onherkenbaar veranderd. Decennialange neoliberale woeker en cultuurmarxistische wildgroei hebben als Europa als een ‘rood onkruid’ in hun greep en vroeger onvoorstelbare ‘maatschappelijke vormen’ zijn ontstaan. Hypermobiel ‘flitskapitaal’ levert kortstondige economische bubbels op waarin zich architecturale, artistieke en modieuze monstruositeiten nestelen, met name in central business districts, leisure time resorts en academic campus environments. Etnische ‘diversiteit’ resulteert in sociaaleconomische netwerken die als ‘invasieve exoten’ de Westerse publieke sfeer overwoekeren: diaspora economieën, drugsmaffia’s, polycriminele subculturen. Deze netwerken worden aangevuld door on-Westerse ‘levensovertuigelijke’ instituties: de door Midden-Oosters oliekapitaal aangestuurde awqāf,[17] de uit belastingtribuut bekostigde ‘asielindustrie’ en de door globalistisch kapitaal aangestuurde systeemmedia. Wat deze door de vijandelijke elite effectief gedoogde en gefaciliteerde netwerken en instituties met elkaar verbindt is hun gemeenschappelijke functionaliteit: hun rol als vervangingsmechanismen ter bewerkstelligen van de Nieuwe Wereld Orde. Hierbij valt een cruciale voortrekkersrol toe aan die schwebende Intelligenz: de cultuur-marxistische intelligentsia die zich opwerpt als globalistische avant-garde. Deze intelligentsia is belast met de bovenruimtelijke en im-materiële deconstructie die voorafgaat aan de ruimtelijke en materiële deconstructie van de Westerse beschaving. Deze ‘spirituele’ en ‘intellectuele’ voorsprekers van het globalistische bezettingsregime ...se nichent dans [l]es trois milieux-clefs - média, économie, enseignement - et participent à la élimination graduelle mais certaines des assises idéologiques, des fondements spirituels et éthiques de notre civilisation. Les uns oblitèrent les résidus désormais épars de ces fondements en diffusant une culture de variétés sans profondeur aucune, les autres en décentrant l’économie et en l’éclatant littéralement par les pratiques de la spéculation et de la délocalisation, les troisièmes, en refusant l’idéal pédagogique de la transmission, laquelle est désormais interprétée comme une pratique anachronique et autoritaire, ce qu’elle n’est certainement pas au sens péjoratif que ces termes ont acquis dans le sillage de Mai 68. [...hebben zich genesteld in [de] drie sleutelposities [van de globalistische macht] - de media, de economie [en] het onderwijs - en zij werken van daar uit aan de langzame maar zekere eliminatie van de ideologische, spirituele en ethische fundamenten van onze beschaving. Sommigen van hen werken aan het wegwissen van de toch al uiteengevallen fundament restanten door een oppervlakkige ‘culturele diversiteit’ te verspreiden. Anderen [werken aan] de ‘decentralisatie’ van de economie door haar letterlijk op te blazen door middel van speculatie en dislokalisatie. Weer anderen [werken aan] de sabotage van het pedagogische ideaal van [culturele] transmissie door [dat ideaal] af te doen als een ‘verouderde’ en ‘autoritaire’ praktijk door [gebruik te maken van] de negatieve betekenis waarmee deze termen zijn belast in de nasleep van mei ’68.] (p. 262-3)

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De globalistische intelligentsia coördineert middels geraffineerde alien audience propaganda strategieën de cognitieve oorlogsvoering van de vijandelijke elite tegen de Westerse volkeren: zij bewerkstelligt de liberaal-normativistische habitus van exclusief ‘economisch denken’ dat de fysieke deconstructie van Westerse beschavingsvormen rechtvaardigt. ...[U]ne économie ne peut pas, sans danger, refuser par principe de tenir compte des autres domaines de l’activité humaine. L’héritage culturel, l’organisation de la médecine et de l’enseignement doivent toujours recevoir une priorité par rapport aux facteurs purement économiques, parce qu’ils procurent ordre et stabilité au sein d’une société donnée ou d’une aire civilisationnelle, garantissant du même coup l’avenir des peuples qui vivent dans cet espace de civilisation. Sans une telle stabilité, les peuples périssent littéralement d’un excès de libéralisme, ou d’économicisme ou de ‘commercialité’... [Een economi[sch model] kan niet ongestraft weigeren rekening te houden met de andere domeinen van menselijke activiteit. De culturele nalatenschap, het medische zorgsysteem en de onderwijstechnische organisatie moeten altijd prioriteit krijgen boven puur economische factoren want zij verschaffen orde en stabiliteit aan een gegeven gemeenschap of beschavingssfeer: zij garanderen namelijk de toekomst van de volkeren die leven binnen die beschavingssfeer. Zonder die stabiliteit sterven d[ie] volkeren letterlijk aan een overdosis van ‘liberalisme’, ‘economisme’ en ‘commercialisme’...] (p. 216-7)

In de Europese context wordt de dubbel neoliberale en cultuurmarxistische deconstructie van de Westerse beschaving en volkeren geïmplementeerd door het in Brussel gebaseerde ‘EU project’. Dit project wordt gekenmerkt door een radicale omkering van alle traditionele noties van pan-Europese samenwerking: in metahistorische zin staat het postmoderne ‘EU project’ in structurele tegenstelling tot de klassieke Europese rijksgedachte. L’Europe actuelle, qui a pris la forme de l’eurocratie bruxelloise, n’est évidemment pas un empire, mais, au contraire, un super-état en devenir. La notion d’‘état’ n’a rien  à voir avec la notion d’‘empire’, car un ‘état’ est ‘statique’ et ne se meut pas, tandis que, par définition, un empire englobe en son sein toutes les formes organiques de l’aire civilisationnelle qu’il organise, les transforme et les adapte sur les plans spirituel et politique, ce qui implique qu’il est en permanence en effervescence et en mouvement. L’eurocratie bruxelloise conduira, si elle persiste dans ses errements, à une rigidification totale. L’actuelle eurocratie bruxelloise n’a pas de mémoire, refuse d’en avoir une, a perdu toute assise historique, se pose comme sans racines. L’idéologie de cette construction de type ‘machine’ relève du pur bricolage idéologique, d’un bricolage qui refuse de tirer des leçons des expériences du passé. Cela implique une négation de la dimension historique des systèmes économiques réellement existants, qui ont effectivement émergé et se sont développés sur le sol européen. [Het huidige ‘Europa’, zoals het vorm wordt gegeven door de Brusselse ‘eurocratie’, is duidelijk geen rijk - het is het omgekeerde: een superstaat-in-wording. De notie van een ‘staat’ staat volledig los van de notie van een ‘rijk’, want een ‘staat’ is [letterlijk] ‘statisch’ en [in zijn essentie] onbewegelijk, terwijl een rijk nu juist alle binnen de erdoor beheerste beschavingssfeer organische vormen incorporeert, omvormt en aanpast aan zijn spirituele en politieke grondslagen: [een rijk] is daardoor nu juist permanent in een staat van gisting en beweging. Als de Brusselse eurocratie voortgaat op de door haar ingeslagen [tegengestelde en] doodlopende weg, dan zal zij uitlopen op een totale ‘verstening’. De Brusselse eurocratie van vandaag ontbeert - en weigert - [elk soort historisch] geheugen, heeft elk [soort] historisch fundament verloren en zet zich af tegen [elk soort historische] worteling. [Haar radicaal] constructivistische en mechanische zelfbegrip berust op een ideologische improvisatie die weigert om uit de lessen en ervaringen van de [Europese] geschiedenis te leren. Dit behelst een ontkenning van de historische dimensie van de [specifieke en volkseigen - althans tot voor kort -] echt bestaande economische systemen die [organisch] zijn voortgekomen en zich hebben ontwikkeld uit de Europese bodem.] (p. 215-6)

In politiek-filosofisch perspectief vertegenwoordigt het essentieel anti-Europese ‘EU project’ niets meer en minder dan een globalistische Machtergreifung. Neo-Jacobijnse radicalen hebben de macht overgenomen en historische precedenten met betrekking tot Jacobijnse machtsexperimenten[18] - met name de Franse en Russische revolutionaire terreur - geven aanleiding tot zorg. Kennis van de Europese historische context van het ‘EU project’ is echter onvoldoende voor een echt begrip van de ogenschijnlijk tegenstrijdige - want zelfdestructieve - anti-Europese doelstellingen van dat project. Zulk begrip vergt inzicht in de grotere doelstellingen van het globalisme - dat inzicht wordt nu in hapklare brokken aangeleverd in Steuckers’ Europa.

3.

Het globalistische anti-Europa

(geo-politieke diagnose)

Soms is de misdaad die men wil begaan zo groot,

dat het niet volstaat haar te begaan namens een volk:

dan moet men haar begaan namens de mensheid.

- Nicolás Gómez Dávila

Steuckers’ panoramische overzicht van de hedendaagse mondiale geopolitiek herleidt de oorsprong van het anti-Europese ‘EU project’ tot het einde van de Tweede Wereld Oorlog. Dit conflict bracht een einde aan de grootmacht status en imperiale hegemonie van de Europese natie-staten: de militaire nederlagen van Frankrijk in 1940, Italië in 1943 en Duitsland in 1945 werden gevolgd door de liquidatie van alle Europese koloniale rijken (Brits Indië in 1947, Nederlands Indië in 1949, Belgisch Congo in 1960, Frans Algerije in 1962 en Portugees Afrika in 1975). De wereldheerschappij werd in kort tijdbestek overgenomen door twee supermachten die beide op een universalistische ideologie en een mondiale geopolitiek inzetten: de Verenigde Staten als voorvechter van het Liberalisme en de Sovjet Unie als voorvechter van het Socialisme. Het fysieke (geografische, demografische, industriële) restbestand ‘Europa’ werd met militaire verdragen (NAVO, Warschau Pact) en economische samenwerkingsverbanden (EEG, Comecon) vervolgens tussen de overwinnaars verdeeld. Het is belangrijk de brute realiteiten van militaire nederlaag, koloniale liquidatie en politieke ontvoogding voor ogen te houden. La Seconde Guerre mondiale avait pour objectif principal, selon Roosevelt et Churchill, d’empêcher l’unification européenne sous la férule des puissances de l'Axe, afin d’éviter l’émergence d’une économie ‘impénétrée’ et ‘impénétrable’, capable de s’affirmer sur la scène mondiale. La Seconde Guerre mondiale n’avait donc pas pour but de ‘libérer’ l’Europe mais de précipiter définitivement l’économie de notre continent dans un état de dépendance et de l’y maintenir. Je n’énonce donc pas un jugement ‘moral’ sur les responsabilités de la guerre, mais je juge son déclenchement au départ de critères matériels et économiques objectifs. Nos médias omettent de citer encore quelques buts de guerre, pourtant clairement affirmés à l’époque, ce qui ne doit surtout pas nous induire à penser qu’ils étaient insignifiants. [Volgens Roosevelt en Churchill was het hoofddoel van de Tweede Wereld Oorlog te verhinderen dat Europa zich verenigde onder leiding van de As mogendheden, om zo te voorkomen dat er een [Europese] economie zou ontstaan die zich op het wereldtoneel als ‘ondoordringbaar’ en ‘onverslaanbaar’ zou kunnen handhaven. [Hun] Tweede Wereld Oorlog had dus niet ten doel om Europa te ‘bevrijden’, maar om de economie van ons continent te doel vervallen tot een staat van afhankelijkheid - en daarin te houden. Daarmee doe ik dus geen uitspraak over de ‘morele’ verantwoordelijkheid voor die oorlog - ik beoordeel [slechts] zijn uitbreken vanuit objectieve materiële en economische doelen. Het feit dat onze media [ook] de vermelding van een aantal andere oorlogsdoelen vermijden die toentertijd duidelijk werden verkondigd moet ons er niet toe brengen te denken dat die [doelen] onbelangrijk waren.] (p.220)

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Na veertig jaar Koude Oorlog beginnen zich midden jaren ’80 de eerste tekenen stressfracturen af te tekenen in de globaal opererende machtsmachines van de twee supermachten. De rampen met de Challenger en Chernobyl (28 januari en 26 april 1986) laten duidelijk zien dat de symptomen van imperial overstretch niet langer te verbergen zijn. Escalerende economische chaos en toenemend politieke gezagsverlies dwingen beide supermachten tot ingrijpende binnenlandse maatregelen: Reaganomics en Perestrojka markeren de geopolitieke vloedlijn van de supermachten. Na de implosie van de Sovjet Unie is de Verenigde Staten de officiële winnaar van de Koude Oorlog maar de Pyrrus-kwaliteit van de formele overwinning blijkt uit het feit dat Amerika onvoorwaardelijk berust in de sensationele opkomst van de Chinese economische supermacht en zich effectief terugtrekt uit de eerder felomstreden Derde Wereld. Na de Amerikaanse nederlaag in Somalië (Black Hawk Down, 1993) vervalt Afrika in failed states en neo-tribale chaos. Na de Amerikaanse evacuatie uit Panama (Canal Zone Handover, 1999) wordt Latijns Amerika overgelaten aan Bolivarianismo en Marea Rosa.[19] De imperiale rat race tussen de soevereine natiestaten die begon met de Zevenjarige ‘Wereld Oorlog Nul’ (1756-63) mag dan zijn geëindigd met Amerika als last man standing, maar het opleggen van een authentiek-imperiale Pax Americana ligt ver buiten het bereik van Amerika’s geopolitieke intenties, ambities en capaciteiten. De met Wilsoniaanse retoriek ingeklede interventies van Bush Senior en Bush Junior in Irak in 1991 en 2003 waren geen exercities in principiële global governance, maar in pragmatische resource control. Na de zelfopheffing van de Sovjet Unie als supermacht concurrent en de afkondiging van de ‘nieuwe wereld orde’ (Bush Senior, 1991) besloot de Amerikaanse heersende klasse dat het ‘einde van de geschiedenis’ (Francis Fukuyama, 1992) gekomen is: zij schakelde over van Amerikanisme naar globalisme. Er ontstond zo een ‘wereld elite’, toegankelijk voor iedereen met heel veel geld en heel weinig moraliteit. Deze elite acht zich ontheven aan alle geopolitieke regels en wetmatigheden: staatsrechterlijke soevereiniteit, culturele eigenheid en etnische identiteit zijn in die optiek definitief achterhaalde fenomenen, obstakels op de door haar ingeslagen snelweg naar een Brave New World. Als geheel definieert zich deze nieuwe ‘globalistische’ elite los van alle etnische religieuze en culturele wortels: vanuit deze zelfgewilde ontworteling keert zij zich meteen tegen de rest van de nog wel gewortelde mensheid - tegen staten die nog soevereiniteit hebben, tegen culturen die nog essentie hebben en tegen volken die nog identiteit hebben. De globalistische vijandelijke elite is geboren.

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Onder de dubbele banieren van neoliberalisme en cultuurmarxisme beschouwt de vijandelijke elite beschouwt het ‘achtergebleven’ menselijke ‘residu’ als weinig meer dan een oneindig ‘maakbare’ massa ‘mensenmateriaal’ dat kan worden gebruikt voor het aanvullen van banksaldi, het invullen van seksuele perversiteiten en het opvullen van existentiële leemtes. [La superclasse... domine à l’ère idéologique du néoliberalisme. Il n’est pas aisé de la définir : elle comporte évidemment les managers des grandes entreprises mondiales, les directeurs des grandes banques, de cheiks du pétrole ou des décideurs politiques voire quelques vedettes du cinéma ou de la littérature ou encore, en coulisses, des leaders religieux et des narcotrafiquants, qui alimentent le secteur bancaire en argent sale. Cette superclasse n’est pas stable : on y appartient pendant quelques années ou pendant une ou deux décennies puis on en sort, avec, un bon ‘parachute doré’. ...[N]umériquement insignifiante mais bien plus puissante que les anciennes aristocraties ou partitocraties, elle est totalement coupée des masses, dont elle détermine le destin. En dépit de tous les discours démocratiques, qui annoncent à cor et à cri l’avènement d’une liberté et d’une équité inégalées, le poids politique/économique des masses, ou des peuples, n’a jamais été aussi réduit. Son projet ‘globalitaire’ ne peut donc pas recevoir le label de ‘démocratique’. [De ‘superklasse’... domineert het tijdperk van de neoliberale ideologie. Het is niet gemakkelijk haar te definiëren: zij bestaat het duidelijkst uit de managers van de gro[ots]te multinationals, de directeuren van de gro[ots]te banken, de oliesjeiken [en bepaalde] politieke leiders, maar ook uit enkele filmsterren, intellectuelen en ‘spirituele leiders’ - en daarnaast uit een schimmiger personeelsbestand van [maffiabazen en] drugsbaronnen die de bankensector voeden met zwart geld. Deze ‘superklasse’ is verre van stabiel: men kan er enkele jaren of decennia toe behoren voordat men er weer uit valt - meestal met een ‘gouden parachute’. ...[N]umeriek is zij zeer klein, maar zij is machtiger dan alle voorafgaande aristocratieën en partitocratieën uit de menselijke geschiedenis. Zij is volledig afgesneden van de [volks]massa’s, waarvan zij het lot bepaalt. Ondanks het [publieke] discours dat continu spreekt over het aanbreken van weergaloze vrijheid en gelijkheid is het politieke [en] economische gewicht van de [volks]massa’s nog nooit [eerder in de geschiedenis] zo klein geweest. Het globalistische project [dat wordt nagestreefd door de ‘superklasse’] kan daarom in geen enkel opzicht ‘democratisch’ worden genoemd.] (p. 291)

De globalistische vijandelijke elite instrumentaliseert de militaire macht en politieke invloed van Amerika: zij wendt Amerikaanse macht en invloed aan voor globalistische doelen en wensen. Zij misbruikt het Amerikaans prestige, het Amerikaans vermogen en het Amerikaanse volk - dit is de diepste reden voor de anti-globalistische en nationalistische reactie die Donald Trump in het Witte Huis brachten. De vijandelijke elite opereert echter boven en achter Amerikaanse instituten als het presidentschap: in Amerika onttrekt de echte macht zich grotendeels aan institutionele controle en democratische correctie. De Washington swamp, de lying press en de deep state bepalen het beleid - het is voor de strijd tegen deze monsters dat het Amerikaanse volk Donald Trump tot president koos. De monsterlijke macht van de vijandelijke elite is echter zo groot dat ook twee jaar na Trump’s verkiezingsoverwinning de publieke sfeer nog steeds wordt gedomineerd door zijn vijanden. De onfatsoenlijke woede en openlijke sabotage waarmee de vijandelijke elite reageert op Trump is begrijpelijk: de globalistische vijandelijke elite valt en staat met haar grip op haar Amerikaanse instrumentarium. Alleen met controle over de Amerikaanse geldschepping, de Amerikaanse krijgsmacht en de Amerikaanse diplomatie is zij in staat de internationale geopolitieke chaos te handhaven waarin haar financiële belangen en ideologische waandenkbeelden gedijen.

Controle over Amerika is voor de globalistische vijandelijke elite vooral van belang voor het blijvend onderdrukken van haar potentieel machtigste vijand: Europa. Europa is een potentieel dodelijk gevaar voor het nihilistische en ontwortelde globalisme omdat het een ongeëvenaarde technologisch-industriële en sociaal-economische capaciteit combineert met authentieke cultuurhistorische en etnische worteling. Met het wegvallen van de Sovjet Unie eindigde de tweehoofdige ‘bewindvoering’ die aan het einde van de Tweede Wereld Oorlog werd opgelegd aan Europa. De geopolitieke opgave om Europa ‘klein te houden’ valt vervolgens toe aan Amerika alleen: de permanente verdragsmatige verzwakking van het verenigde Duitsland (vooral via monetaire convergentie met Frankrijk) en de Amerikaanse militaire expansie naar het oosten (vooral via uitbreiding van de NAVO) zijn basale ingrediënten van deze globalistische strategie. Toch blijkt deze strategie niet waterdicht: militaire aanwezigheid in Europa vergt een aanzienlijke en constante inspanning van een economisch en politiek mondiaal overbelast Amerika en zelfs de via de Europese eenheidsmunt (2002) afgedwongen tribuutplicht blijkt onvoldoende in staat de Duitse sociaaleconomische motor af te remmen. De EU expansie naar het voormalige Oostblok (2004) laat bovendien het gevaar herleven van een door Duitsland geleid semi-autarkisch geopolitiek blok - het tegenwerken van een dergelijk Mitteleuropa project was de hoofdreden van de Balkan ‘dwarsboom’ politiek waarmee de Triple Entente in 1914 de Eerste Wereld Oorlog provoceerde. Dit grotere geopolitieke perspectief geeft een heel andere duiding aan de in Amerika bedachte ‘Financiële Crisis’ van 2008, die leidde tot de economisch desastreuze en politiek destabiliserende ‘Europese Schuldencrisis’ van 2009, en aan de door Amerika geïnstigeerde ‘Arabische Lente’ van 2011, die leidde tot de Europese ‘Migratie Crisis’ van 2015.

NMst.jpgDeze duiding wordt het best verwoordt door Steuckers zelf: La globalisation, c’est... le maintien de l’Europe, et de l’Europe seule, en état de faiblesse structurelle permanente. Et cette faiblesse structurelle est due, à la base, à un déficit éthique entretenu, à un déficit politique et culturel. Il n’y a pas d’éthique collective, de politique viable ou de culture féconde sans ce que Machiavel et les anciens Romains, auxquels le Florentin se référait, appelaient des ‘vertus politiques’, le terme ‘vertu’ n’ayant pas le sens stupidement moraliste qu’il a acquis, mais celui, latin, de ‘force agissante’, de ‘force intérieure agissante’... [De globalisatie betekent dit: ...het gijzelen van Europa - en alleen van Europa - in een staat van permanente [en] structurele zwakte. En die zwakte is in essentie te wijten aan een doorlopend ‘ethisch tekort’ [dat zich vertaalt in] een politiek en cultureel tekortschieten. Een collectieve ethiek, een levensvatbare politiek [en] een vruchtbare cultuur zijn onmogelijk zonder wat Machiavelli, en de oude Romeinen waarop de Florentijn zi[jn denken] baseerde, de ‘politieke deugden’ noemden - waarbij de term ‘deugd’ niet de kortzichtige moralistische lading heeft die hij nu heeft, maar de [oorspronkelijk] Latijnse [betekenis] van ‘acterende kracht’ [en] ‘innerlijk sturende kracht’.] (p. 279-80) Terecht wijst Steuckers op de door globalistische cognitieve oorlogsvoering bewerkstelligde ‘ethisch tekort’ van Europa: het is dit tekort aan politieke deugd, doelbewustheid en daadkracht dat Europa verlamt. Dit tekort maakt psycho-historische catharsis, geopolitieke assertiviteit en decisionistische zelfverdediging onmogelijk: het maakt Europa machteloos tegen de acute existentiële bedreigingen van opzettelijk gestuurde sociale implosie, massa-immigratie en jihadistische terreur. Dit globalistisch ‘anti-European’ Europa verwezenlijkt zich door de verinnerlijking van het cognitieve-dissonante globalistische mainstream media discours van zelfdestructief geïnterpreteerde ‘mensenrechten’, ‘multiculturaliteit’ en ‘diversiteit’. L’arme principale qui est dirigée contre l’Europe est donc un ‘écran moralisateur’, à sens unique, légal et moral, composé d’images positives, de valeurs dites occidentales et d’innocences prétendues menacées, pour justifier des campagnes de violence politique illimitée. [Het voornaamste wapen dat gericht is tegen Europa is een uniek ‘moralistisch [televisie- en beeld]scherm’ dat [specifieke] juridische en morele ‘waarden’ [afdwingt via] het positieve ‘frame’ van zogenaamde ‘westerse waarden’ en gepretendeerde ‘bedreigde onschuld’ voor het goedpraten van een [systematische] campagne van eindeloze politieke terreur.] (p.281)

In Europa wordt dit globalistische discours exemplarisch geïnternaliseerd en prioritair vertegenwoordigd door de soixante-huitard generatie die zich na haar ‘lange mars door de instituties’ het monopolie op de politieke macht heeft toegeëigend. Pendant les années de leur traversée du désert, ...les [utopistes]de [la] génération soixante-huitard] feront... un ‘compromis historique’ qui repose, ...premièrement, sur un abandon du corpus gauchiste, libertaire et émancipateur, au profit des thèses néolibérales, deuxièmement, sur une instrumentalisation de l’idée freudo-sartienne de la ‘culpabilité’ des peuples européens, responsables de toutes les horreurs commises dans l’histoire, et troisièmement, sur un pari pour toutes les démarches ‘mondialisatrices’, même émanant d’instances capitalistes non légitimées démocratiquement ou d’institution comme la Commission Européenne, championne de la ‘néolibéralisation’ de l’Europe, dont le pouvoir n’est jamais sanctionné par une élection. [Gedurende hun jaren in de woestijn... maakten de [utopisten] van de [‘achtenzestig’] generatie... een ‘historisch compromis’ dat berust... op [drie complementaire strategieën:] (1) een verraad van hun linkse [kern]gedachtegoed [van] bevrijding en emancipatie ten gunste van het neoliberalisme, (2) een [politieke] toepassing van het Freudiaans-Sartriaanse idee van de ‘schuld’ van de Europese volkeren, [die zo] verantwoordelijk [worden gehouden] voor alle misdaden van de geschiedenis en (3) een inzet op ‘globaliserende’ processen - zelfs [als die processen] worden gedreven door [on]democratische [en] illegitieme kapitalistische machten of door institutie[s] als de Europese Commissie, die [zich heeft opgeworpen] als kampioen van de ‘neoliberalisatie’ van Europe en waarvan de macht nog nooit door een verkiezing is goedgekeurd.[20]] (p.293) Dit ideologische verraad en globalistische deze collaboratie, de standaard modaliteiten van de Europese vijandelijke elite, hebben de Europese beschaving aan de rand van de afgrond gebracht.

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Steuckers wijst op de functionaliteit van het verraad van de Europese soixante-huitards ten aanzien van de globalistische geopolitiek: dit verraad levert Europa over aan het de facto monsterverbond tussen twee essentieel anti-Europese globalistische krachten: het liberaal-normativisme, gesymboliseerd in het Amerikaanse ‘Puritanisme’, en het islamisme, gesymboliseerd in het Saoedische ‘Wahhabisme’. Aujourd’hui, nous faisons face à l’alliance calamiteuse de deux fanatismes religieux : le wahhabisme, visibilisé par les médias, chargé de tous les péchés, et le puritanisme américain, camouflé derrière une façade ‘rationnelle’ et ‘économiste’ et campé comme matrice de la ‘démocratie’ et de toute ‘bonne gouvernance’. Que nous ayons affaire à un fanatisme salafiste ou hanbaliste qui rejette toutes les synthèses fécondes, génératrice et façonneuses d’empires, qu’elles soient byzantino-islamiques ou irano-islamisées ou qu’elles se présentent sous les formes multiples de pouvoir militaire équilibrant dans les pays musulmans, ou que nous ayons affaire à un fanatisme puritain rationalisé qui entend semer le désordre dans tous ces états de la planète, que ces états soient ennemis ou alliés, parce que ces états soumis à subversion ne procèdent pas de la même matrice mentale, nous constatons que toutes nos propres traditions européennes... sont considérées par ces fanatismes contemporains d’au-delà de l’Atlantique ou d’au-delà de la Méditerranée comme émanations du Mal, comme des filons culturels à éradiquer pour retrouver une très hypothétique pureté, incarnée jadis par les pèlerins du ‘Mayflower’ ou par les naturels de l’Arabie du VIIIe siècle. [In het huidige tijdsbestek hebben we te maken met een rampspoedig [globalistisch, anti-Europees] bondgenootschap tussen twee religieuze fanatismes: het Wahhabisme,[21] zoals gevisualiseerd en als ‘zondig’ bestempeld door de [mainstream] media, en het Amerikaanse puritanisme, gecamoufleerd achter een ‘rationele’ en ‘economische’ façade en voorgesteld als vast referentie ‘frame’ voor ‘democratie’ en ‘behoorlijk bestuur’. Of we nu te maken hebben met vormen van ‘Salafistisch’ of ‘Hanbalitisch’ fanatisme[22] dat een punt zet achter de vruchtbare, creatieve en imperium-scheppende byzantijns-islamitische of iraans-islamitische syntheses, of met vormen van puriteins-gerationaliseerd en militair-hegemoniaal fanatisme dat over de hele wereld chaos schept (bij bevriende zowel als vijandelijke staten, want alle aan die hegemonie onderworpen staten vertegenwoordigen andersoortige mentale werelden): wij moeten constateren dat onze eigen Europese tradities... onverenigbaar zijn die fanatismes van de overzijde van de Atlantische Oceaan en Middellandse Zee. Die hedendaagse fanatismes beschouwen [onze tradities] als incarnaties van het [pure] Kwaad [en] als cultuuruitingen die moeten worden bestreden met het - overigens zeer hypothetische - puurheid die wordt belichaamt in de Pilgrim Fathers van de ‘Mayflower’[23] en de bons sauvages[24] van de 8e eeuwse Arabische binnenlanden]. (p. 261-2)

De totalitair-regressieve fanatismes van het ‘Puristisch’ liberaal-normativisme en het ‘Wahhabistisch’ islamisme zullen emotioneel, intellectueel en spiritueel moeten worden overwonnen als de Europese beschaving en de Europese volkeren de Crisis van het Moderne Westen willen overleven. De therapie die op dit kritieke punt vanuit Traditionalistisch oogpunt momenteel de grootste kans van slagen biedt is een politiek-filosofische ‘noodgreep’: de nooduitgang van het Archeo-Futuristisme. 

4.

Het Archeo-Futuristisch alternatief

(politiek-filosofische therapie)

Lo, all our pomp of yesterday
Is one with Nineveh and Tyre!
Judge of the Nations, spare us yet.
Lest we forget - lest we forget!

- Rudyard Kipling

Het Archeo-Futuristische alternatief voor het globalistische anti-Europese ‘EU project’ is een gelijktijdig teruggrijpen en vooruitprojecten van een Traditionalistisch concept dat lang een vitale rol heeft gespeeld in de Europese geschiedenis en dat weer kan doen: de Europese Rijksgedachte. Het gaat hierbij om een concept dat strikt genomen boven-historisch is daarom te allen tijde kan herleven. Het ideologisch misbruik en de historiografische misinterpretatie van de Europese Rijksgedachte door het 19e en 20e eeuwse (hyper-)nationalisme - meest recent in het ‘Derde Rijk’ - doet niets af aan de boven-historische vitaliteit ervan. Steuckers wijst in dat verband op het essentieel belang van een juist begrip van het Traditionalistische gedachtegoed waarvan de Rijksgedachte deel uitmaakt. Het Traditionalisme stelt namelijk dat alle collectieve (taalkundige, religieuze, etnische, nationale) identiteiten, en de horizontaal (werelds, fysiek) ervaren verschillen daartussen, organisch onderdeel (kunnen, moeten, zullen) zijn van grotere, synergetisch unieke entiteiten met een hogere verticale, transcendent (spiritueel, psychologisch) ervaren, functionaliteit. Deze entiteit kan worden betiteld als Imperium, ofwel ‘Rijk’ - in het Avondland als het ‘Europese Rijk’. Het numineuze karakter ervan is onmiddellijk aantoonbaar in het feit dat het ontzag inspireert in degenen die er zich op natuurlijke wijze deel van voelen - en dat het angst inspireert in degenen die het onwaardig zijn.

Pour résumer brièvement la position traditional[iste],... disons que les horizontalités modernes ne permettent pas le respect de l’Autre, de l’être-autre. Si l’Autre est jugé dérangeant, inopportun dans son altérité, il peut être purement et simplement éliminé ou mis au pas, sans le moindre respect de son altérité, car l’horizontalité fait de tous des ‘riens ontologiques’, privés de valeur intrinsèque. Tel est l’aboutissement de la logique égalitaire, propre des idéologies et des systèmes qui ont voulu usurper et éradiquer la tradition ‘reichique’ : si tout vaut tout dans l’intériorité de l’homme, ou même dans sa constitution physique, cela signifie, finalement, que plus rien n’a de valeur spécifique, et si une valeur spécifique cherche à pointer envers et contre tout, elle sera vite considérée comme une anomalie qui appelle l’extermination. L’intervention fanatique et sanglante de ‘colonnes infernales’. La verticalité, en revanche, implique le devoir de protection et de respect, un devoir de servir les supérieurs et un devoir des supérieurs de protéger les inférieurs, dans un rapport comparable à celui qui existe, dans les sociétés et les familles traditionnelles, entre parents et enfants. La verticalité respecte les différences ontologiques et culturelles ; elle ne les considère pas comme des ‘riens’ qui ne méritent ni considération ni respect. [Om het tradition[alistische] standpunt samen te vatten... kan men stellen dat de modern[istische] horizontaliteit een [waarachtig] respect van de Ander en het anders-zijn onmogelijk maakt. Wanneer de Ander in zijn anders-zijn [slechts] als storend [en] inopportuun wordt beoordeeld, dan kan hij simpelweg worden geëlimineerd of worden weggezet zonder het minste respect voor zijn anders-zijn: de [modernistische] horizontaliteit reduceert immers alle [vormen van authentieke] identiteit tot een ‘ontologisch nulwaarde’ zonder intrinsieke waarde. Dat is het [onvermijdelijke] eindresultaat van de egalitaire logica die ligt achter de ideologieën en systemen die de rijkstraditie willen vervangen en uitwissen. Als alles alleen maar afhangt van het innerlijk van de mens, of zelfs alleen maar van zijn fysieke constitutie, dan blijft er uiteindelijk niets van specifieke waarde over. Wanneer een specifieke waarde in de tegenovergestelde [niet-egalitaire] richting wijst tegen het [‘algemene belang’ in], dan wordt zij al snel gezien als een ‘afwijking’ die moet worden geëlimineerd. Dit [resulteert] in de fanatieke en bloedige interventie van de ‘helse colonnes’[25] [van het modernistische collectivisme]. Daartegenover staat de [Traditionalistische] verticaliteit die uitgaat van de verplichting tot bescherming van en respect voor [de Ander]. [Dat is] de verplichting [van lager gestelden] om hoger gestelden te dienen en de verplichting van hoger gestelden om lager gestelden te beschermen in een verhouding die vergeleken kan worden met die tussen ouders en kinderen in traditionele gemeenschappen en families. Deze verticaliteit respecteert ontologische verschillen en de culturele [uitdrukkingen daarvan]: zij reduceert ze niet tot ‘[ontologische] nulwaarden’ die geen consideratie en respect verdienen.] (p. 157)

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De Traditionalistische Rijksgedachte behelst dus een holistische visie waarin alle collectieve en individuele [authentieke] identiteiten op organische wijze worden ingepast in een groter geheel van synergetische meerwaarde. Il faut enfin... que chaque communauté et chaque individu aient conscience qu’ils gagnent à demeurer dans l’ensemble impéria[ux]au lieu de vivre séparément. Tâche éminemment difficile qui souligne la fragilité des édifices impériaux : Rome a su maintenir un tel équilibre pendant les siècles, d’où la nostalgie de cet ordre jusqu’à nos jours. ...[L]a civitas de l’origine... de l’Urbs, la Ville initiale de l’histoire impériale, ...s’est étendue à l’Orbis romanus. Le citoyen romain dans l’empire signale son appartenance à cet Orbis, tout en conservant sa natio et sa patria, appartenance à telle nation ou telle ville de l’ensemble constitué par l’Orbis. [Het is uiteindelijk noodzakelijk... dat elke gemeenschap en ieder individu zich ervan bewust zijn dat zij er meer bij gebaat zijn vast te houden aan het imperiale geheel dan afzonderlijk te leven. [Dit is] een zeer ingewikkelde opgave die de kwetsbaarheid van [alle] imperiale projecten onderstreept: Rome wist eeuwenlang een dergelijke balans te handhaven - vandaar de nostalgie naar de [Romeinse] orde die voortduurt tot op de dag van vandaag. ...[D]e originele civitas... van de Urbs waaruit [men] stamt, [dat wil zeggen] de Stad vanwaaruit de imperiale geschiedenis zich ontplooide... breidde zich [met het Romeinse rijk] uit tot een Orbis romanus. Onder het [Romeinse] keizerrijk duidde het Romeins burgerschap op een identificatie met die Orbis, met behoud van de eigen natio en het eigen patria, [dat wil zeggen] met een [blijvend] toebehoren aan een bepaalde natie of vaderland binnen het geheel van die Orbis.] (p.129-31) D’abord, il faut préciser que le ‘Reich’ n’est pas une nation, même s’il est porté, en théorie, par un populus (le populus romanus) ou une ‘nation’ (la deutsche Nation) : ...[c’est] n’est pas [une chose] nationaliste, [c’est] même [une chose] anti-nationaliste. [I]l n’a rien contre les sentiments d’appartenance nationale, contre la fierté d’appartenir à une nation. De tels sentiments sont positifs... mais doivent être transcendés par une idée. Cette transcendance conduit à une verticalité, qui oppose à toutes les formes modernes d’horizontalité, ce qui est, par ailleurs, le noyau idéel, de toutes les traditions... [Vooraf moet worden vastgesteld dat een ‘Rijk’ geen natie is, zelfs als het in theorie door een populus ([een ‘volk’ zoals] het populus romanus) of door een natie ([een natie zoals] de deutsche Nation) wordt gedragen: ...[het Rijk] is niet nationalistisch, [het is] zelfs anti-nationalistisch. [H]et heeft niets tegen het identiteit bepalende [collectieve] nationalistisch sentiment [of] tegen de [individuele] trots op het behoren tot een natie. Zulke sentimenten zijn positief... maar dienen te worden overstegen door het [nog hogere imperiale] idee. Deze transcendentie leidt tot een verticaliteit die zich afzet tegen alle moderne vormen van horizontaliteit - deze [verticaliteit] is uiteindelijk de ideële kern van alle [authentieke T]radities.] (p. 156-7)

Het praktische samengaan van collectieve en individuele identiteiten wordt gerealiseerd in de politieke toepassing van het Traditionalistische beginsel van subsidiariteit (een laatste spoor daarvan is in de Nederlandse Traditie terug te vinden in het anti-revolutionaire principe van ‘soevereiniteit in eigen kring’). ...[L]e principe de ‘subsidiarité’, tant évoqué dans l’Europe actuelle mais si peu mis en pratique, renoue avec un respect impérial des entités locales, des spécificités multiples que recèle le monde vaste et diversifié. [...Het beginsel van ‘subsidiariteit’, waaraan men vaak refereert in het hedendaagse Europe maar dat men zelden in de praktijk brengt, kan [nieuw] imperiaal [ondersteund] respect geven aan de lokale gemeenschappen [en] specifieke identiteiten die horen bij de echte wereld van enorme [authentiek-gewortelde] diversiteit.] (p. 139)

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In relatie tot de Rijksgedachte zijn ‘identiteitspolitiek’, ‘multiculturaliteit’ en ‘diversiteit’ non-issues: ze worden organisch ‘opgelost’ door sublimatie in de hogere functionaliteit van het Rijk. L’empire est donc fait de multiplicités, de différences, qui n’ont rien de commun avec la fausse multiculturalité vantée par les médias d’aujourd’hui. Cette multiculturalité, escroquerie idéologique, relève justement de cette horizontalité qui vise à vider tous les hommes, autochtones et allochtones, de leur substance ontologique. Cette multiculturalité tue l’essentiel qui vit en l’homme. Toute politique qui cherche à la promouvoir est une politique criminelle, exterministe... [Een Rijk behelst dus [altijd complexe] meervoudigheden [en] diversiteiten die niets gemeen hebben met de valse ‘multiculturaliteit’ die wordt aangeprezen door de [mainstream] media van vandaag. Deze [namaak-] multiculturaliteit is een ideologisch bedrog dat voortvloeit uit de [modernistische] horizontaliteit die bedoeld is om alle mensen - autochtoon zowel als allochtoon - the ontdoen van hun ontologische substantie. Deze multiculturaliteit doodt de essentie die leeft in de mens. Alle politiek die haar wil bevorderen is een criminele - en etnocidale - politiek...] (p.158) Het is een ironisch feit dat de Traditionalistische Rijksgedachte en Rijksgemeenschap effectief veel meer tolerantie en vrijheid bieden dan de modernistische ‘diversiteit’ en ‘democratie’ dat ooit zouden kunnen.

5.

Sacrum Imperium

(neo-imperiale therapie)

Hier die Manen hehrer Krieger
Seien euch ein Musterbild
Führen euch vom Kampf als Sieger

- Joseph Hartmann Stuntz[26]

De Westerse beschaving is gebaseerd op een kwetsbare balans tussen elkaar aanvullende authentieke identiteiten die samen synergische meerwaarde krijgen via historische interacties. Deze meerwaarde kan worden uitgedrukt in de ‘hyper-boreale’ archetypen van Techne (technische bevrijding), Nomos (juridische bevrijding) en Evangelion (spirituele bevrijding).[27] Maar deze meerwaarde en de beschaving waarop zij is gebaseerd vergen constante bescherming en bewaking - dit is de basis van de Traditionalistisch Europese Rijksgedachte. En Europe, les structures de type impérial sont... une nécessité, afin de maintenir la cohérence de l’aire civilisationnelle européenne, dont la culture a jailli du sol européen, afin que tous les peuples au sein de cette aire civilisationnelle, organisée selon les principes impériaux, puissent avoir un avenir. [In Europa zijn structuren van het imperiale type... onontbeerlijk om de cohesie te beschermen van de Europese beschavingssfeer die is ontsproten aan de Europese grond - en om aan de binnen die beschavingssfeer inheemse volkeren een toekomst[perspectief] te bieden door een haar te [re]organiseren volgens imperiale principes.] (p. 214) Een dubbel idealistische en realistische - Archeo-Futuristische - heroverweging van de Rijksgedachte is van essentieel belang ter bescherming van de Europese volkeren en van hun gezamenlijke beschaving. De uitbreiding van de Europese Rijksgedachte tot de overzeese Europees-stammige volkeren is daarbij een logische volgende stap: deze stap is reeds Archeo-Futuristisch uitgewerkt in het concept van de ‘Boreale Alliantie’. Op globale schaal zou een dergelijke alliantie natuurlijke bondgenoten vinden in de twee andere Indo-Europese Rijksgedachten: de Perzische en Indische: een Archeo-Futuristische exploratie van dit thema is te vinden in Jason Jorjani’s concept van de World State of Emergency. De alternatieve geopolitiek die past bij deze Archeo-Futuristische heroverwegingen wordt al concreet onderzocht in de anti-globalistische Neo-Eurazianistische beweging.[28]

aigle2t.jpgHet is de taak van het Traditionalisme om de gezamenlijke ‘Hogere Roeping’ van de Europese volkeren in herinnering te brengen wanneer deze bedreigd wordt.[29] Steuckers voldoet hieraan door de Traditionalistische visie van Europa eenduidig te neer te zetten: L’Europe, c’est une perception de la nature comme épiphanie du divin... L’Europe, c’est également une mystique du devenir et de l’action... L’Europe, c’est une vision du cosmos où l’on constate l’inégalité factuelle de ce qui est égal en dignité ainsi qu’une pluralité de centres... [C’est] une nouvelle vision de l’homme, impliquant la responsabilité pour l’autre, pour l’écosystème, parce que, ... sur [c]es bases philosophiques, ...l’homme... est un collaborateur de Dieu et un miles imperii, un soldat de l’empire. Le travail n’est plus malédiction ou aliénation mais bénédiction et octroi d’un surplus de sens au monde. La technique est service à l’homme, à autrui... La construction de l’Europe... nécessite de revitaliser une ‘citoyenneté d’action’, où l’on retrouve la notion de l’homme coauteur de la création divine et l’idée de responsabilité. [Het [Traditionalistisch] ‘Europa’ is een visioen waarin de natuurlijke wereld als Goddelijke Epifanie geldt... [Dit] Europa is een mysterie in wording en werking... [Dit] Europa is een kosmisch visioen dat de feitelijke ongelijkheid erkent van alles dat gelijk is in waardigheid en daarmee ook van [cultuurhistorische en geopolitieke] multipolariteit... [Dit] nieuwe visioen van mens-zijn impliceert verantwoordelijkheid voor [alles dat] anders [en] voor het [hele natuurlijke en menselijke] ecosysteem omdat... op de filosofische basis [van dit visioen]... de mens een medewerker is van God - een miles imperii, een soldaat van het [goddelijk ingestelde] Rijk. Hier is werk niet langer vloek of vervreemding,[30] maar een zegen en een octrooi voor [een hoger] verantwoordelijkheidsbesef voor de [hele schepping]. [Hierbij] staat de techniek ten dienste van de mens - [en] van de ander...[31] De constructie van Europa... vereist een herleven van ‘activistisch burgerschap’ waarin men het idee terugvindt van de mens als medewerker aan de Goddelijke Schepping - en het idee van [zijn uit zijn authentieke identiteit voortvloeiende kosmische] verantwoordelijkheid.] (p. 138-9) Het is duidelijk dat de Hogere Roeping van de Europese volkeren niet stopt aan de geografische grenzen van het Europese subcontinent: zij geldt ook voor de Europees-stammige volkeren die zich over deze grenzen heen hebben begeven en zich overzees hebben gevestigd in boreale en australe regionen.

Naar binnen toe vereist dit visioen een individuele zelfdiscipline, een individuele arbeidsethos en een individuele acceptatie van hiërarchische orde - en dus een omkering van de narcistische, hedonistische en collectivistische levenshouding die wordt bevorderd en bestendigd in het liberaal-normativisme dat nu dominant is in het postmoderne Westen. Dit betekent een overgang naar een nieuwe existentiële realiteit die wordt beheerst door authentieke normen en waarden - en door een legitieme Autoriteit. In de Europese Traditie draagt die Autoriteit, in navolging van zijn Romeinse archetype, de titel ‘keizer’.[32] Dans la conception [traditionaliste] hiérarchique des êtres et des fins terrestres... l’empire constituait le sommet, l’exemple impassable pour tous les autres ordres inférieurs de la nature. De même, l’empereur, également au sommet de cette hiérarchie par la vertu de sa titulaire, doit être un exemple pour tours les princes du monde, non pas en vertu de son hérédité, mais de supériorité intellectuelle, de son connaissance ou des ses connaissances. Les vertus impériales sont justice, vérité, miséricorde et constance... [In de [Traditionalistische] hiërarchische opvatting van wereldse wezens en wensen... vertegenwoordigt het Rijk het hoogste doel, het onevenaarbare voorbeeld voor alle lagere natuurlijke ordeningen. Dit betekent dat de keizer, die op grond van zijn titel aan de top van deze hiërarchie staat, een voorbeeld stelt voor alle [overige] prinsen van de wereld - niet op grond van zijn afstamming, maar [op grond] van zijn intellectuele superioriteit en van zijn kundigheid en inzichten. [In hem worden de] imperiale [‘politieke] deugden’ van rechtvaardigheid, waarheid, mededogen en standvastigheid verwezenlijkt]. (p. 136) Vanzelfsprekend is een als zodanig herkenbare legitieme Autoriteit bijna onvoorstelbaar in de huidige Europese context, maar toch is dit ideaalbeeld van deze Autoriteit onontbeerlijk als vast referentiepunt. Ditzelfde geldt tot op zekere hoogte voor de Rijksgedachte zelf: in het huidige politiek-filosofisch discours is deze gedachte eerst en vooral een experiment waarmee een bestemming en een koers kunnen worden bepaald voor de patriottisch-identitaire beweging. Op dezelfde manier dat het ‘Koninkrijk der Hemelen’ als referentiepunt dient voor de Hogere Roeping van het Christendom, zo dient de Europese Rijksgedachte als referentiepunt voor de Europese beschaving – ook als het ideaal nog niet is verwezenlijkt in het hier en nu. De oude Traditionalistische Rijksgedachte dient hierbij als voorbeeld voor een nieuwe Archeo-Futuristische Rijksgedachte. De hiërarchische politieke filosofie van het Neo-Eurazianisme kan ook hierbij een brugfunctie vervullen.

geants1.jpgNaar buiten toe vereist de Traditionalistische Rijksgedachte collectief zelfbewustzijn, collectieve trots en collectieve opofferingsbereidheid. Het is daarbij belangrijk te benadrukken dat de Rijksgedachte, zoals die wordt gehandhaafd door de hoogste bevelsautoriteit, zich positief - als letterlijke meerwaarde - verhoudt tot de verschillende authentieke identiteiten die met subsidiaire waarborgen worden bewaard binnen het Rijk. Een Traditionalistisch gedefinieerd Europees - of groter: Westers - Rijk doet niets af aan de specifieke taalkundige, godsdienstige, culturele en etnische identiteiten die erbinnen blijven bestaan: het voegt een identiteit toe, namelijk een Europese - of zelfs Westerse. Deze identiteit is dan niet dominant naar binnen (in de individuele voorstelling), maar wel naar buiten: naar buiten vertegenwoordigt zij een collectieve wil. Dat wil zeggen: het Rijk vertegenwoordigt naar buiten een absolute standaard, uitgedrukt in fysieke grenzen. De liberaal-normativistische illusie van globalistische ‘universele waarden’ en de ‘open grenzen’ zijn onverenigbaar met de effectieve handhaving van de klassieke beschavingsnormen die worden belichaamd in Traditionalistische Rijksgedachte. L’empire se conçoit comme un ordre, entouré d’un chaos menaçant, niant par là même que les autres puissent posséder eux-mêmes leur ordre ou qu’il ait quelque valeur. Chaque empire s’affirme plus ou moins comme le monde essentiel, entouré de mondes périphériques réduits à des quantités négligeables. L’hégémonie universelle concerne seulement “l’univers qui vaut quelque chose”. Rejeté dans les ténèbres extérieures, le reste est une menace dont il faut se protéger. [Het Rijk concipieert zichzelf als een orde die wordt omgeven door een dreigende chaos - [de Rijksgedachte] ontkent daarmee feitelijk dat andere [beschavingen] zelf een eigen orde met zelfstandige waarde kunnen hebben. Ieder Rijk ziet zichzelf min of meer als een ‘wereld op zich’, omgeven door tot op verwaarloosbare eenheden teruggebrachte ‘perifere werelden’.[33] Universele hegemonie wordt alleen gezocht binnen de sfeer van het als [exclusief] waardevol erkende [eigen] universum. De resterende [realiteit wordt] verstoten naar de Buitenste Duisternis en is niet anders dan een dreiging waartegen men zich moet beschermen.[34]] (p. 129)

6.

Ex oriente lux

(psycho-historische therapie)

 

Wees gegroet, Hoge Prins!

Op de noordwesten wind hebben wij naar u gezocht

Aan u offeren wij nu onze sterfelijkheid

U bent onze Eedhouder!

- vrij vertaald uit Hereditary

Een effectieve Archeo-Futuristische therapie voor de psycho-historische zelfverminking van de Westerse beschaving ligt in de herontdekking en reactivering van haar archetypes.[35] Vanuit meta-historisch perspectief vertegenwoordigt het politieke experiment van het nationalistisch-enggeestige en hyper-biodeterministische ‘Derde Rijk’ een geïmproviseerde poging tot een reactivering van deze archetypes. Door de - feitelijk zeer ver gezochte - associatie van de Traditionalistische Rijksgedachte met het ‘Derde Rijk’ en door de Europese Götterdämmerung van 1945 werden deze archetypes verdrongen uit het Westerse publieke discours. De bij deze archetypes horende idealistische, ridderlijke en ascetische levenshouding - belichaamt in de oude roepingen van Academie, Adel en Kerk - verloor hiermee haar bestaansgrond: het rampzalige verval van de Westerse geesteswetenschappelijke, militaire en kerkelijke instituties vormen hiervan het tastbare bewijs. Deze psycho-historische Untergang is recentelijk zover doorgeschoten dat nu alles wat zelfs maar enigszins verwijst naar ‘aristocratische’, ‘arische’ en ‘mannelijke’ kwaliteit in de publieke sfeer ‘verdacht’ is. Een diep ingezonken conditionering van matriarchale oikofobie en rancuneuze feminisatie hebben de oude Westerse instituten van Academie, Leger en Kerk vernietigd.

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Toch is deze ontwikkeling niet onomkeerbaar - ze kan zelfs worden opgevat als een noodzakelijke fase in een zuiverend ‘dialectisch proces’.[36] Een extreem negatieve polariteit is immers een noodzakelijke voorwaarde voor een extreem positieve energielading. De deconstructie van de geïmproviseerde en oppervlakkige ‘hyper-nationalistische’ en ‘hyper-biodeterministische’ ideologie van het Derde Rijk vormen zo een noodzakelijke voorwaarde voor een her-ontdekking en her-activering van de diepst liggende archetypes van de Indo-Europese Traditie. De Archeo-Futuristische exploratie van deze diepst gelegen archetypes is pas begonnen, maar de richting waarin de nieuwe Gouden Dageraad van het Westen moet worden gezocht ligt al vast - ex oriente lux. Jason Jorjani, de filosofisch pionier van de Archeo-Futuristische Revolutie in de Nieuwe Wereld, is de event horizon van de Westerse Moderniteit reeds overgestoken en hij heeft reeds gerapporteerd welke beschavingscontouren zichtbaar worden in wat als een nieuwe ‘Gouden Dageraad’ kan worden aangeduid. Het kan geen toeval zijn dat Robert Steuckers, de voorman van het Traditionalisme in de Lage Landen, in dezelfde richting wijst. Beiden laten de oudste Indo-Europese archetypes, zoals behouden in de Perzische Traditie, terugkeren naar het Avondland.

La catégorie d’hommes capables d’incarner un ‘Reich’ est née de la tradition persane, laquelle a été longtemps un ‘Orient’ (in modèle sur lequel on s’‘orientait’)... Dans la tradition persane, il est question d’un ‘hiver éternel’, allusion plus que probable au début d’une ère glaciaire particulièrement rude, qui a surpris les premiers peuples européens dans leur habitat premier. Au moment où survient cet ‘hiver éternel’, un roi-héros, Rama, rassemble les tribus et les clans et se dirige, à leur tête, vers le sud, vers le Caucase, la Bactriane et la Perse (les hauts plateaux iraniens). Ce roi-héros fonde les castes, ou, plus exactement, les fonctions que George Dumézil étudiera ultérieurement. Après avoir mené son peuple à bonne destination, pour échapper aux rigueurs de cet ‘hiver éternel’, Rama se retire dans les montagnes. Cette figure héroïque et royale se retrouve dans les traditions avestique et védique où il s’appelle Yama ou Yima. Pour mener cette expédition et cette migration, Rama-Yama-Yima s’est servi de chevaux et de chars et a jeté ainsi les premiers principes d’organisation d’une cavalerie... Plus tard, Zarathoustra codifie les règles qui doit suivre chaque cavalier... La troupe de Zarathoustra, qui doit faire respecter son enseignement pratique, est armée de massues (la ‘Clave’ dans l’œuvre de Julius Evola). Au départ de la troupe des adeptes de Zarathoustra se forme la caste des guerriers, les Kshatriyas de la tradition indienne, une caste opérative ancrée dans le réel politique et géographique, qui domine la caste de prêtres, contemplative et moins encline à exercer sur elle-même une discipline rigoureuse. ...La figure iranienne de Sraosha, qui donnera le Saint-Michel de la tradition médiévale, évolue entre le ciel et la terre, c’est-à-dire entre l’idéal de la tradition et la réalité, va-et-vient qui postule une formation rigoureuse, à l’instar des disciples de Zarathoustra. Ceux-ci, au fur et à mesure que se consolide la tradition iranienne, sont formés à rendre claire leur pensée, à purifier leurs sentiments, à prendre conscience de leur devoir. Armés de ces trois principes cardinaux d’orientation, le disciple de Zarathoustra lutte contre Ahriman, incarnation du mal, c’est-à-dire de la déliquescence des sentiments, qui rend inapte à œuvrer constructivement et durablement dans le réel. Seul les chevaliers capables d’incarner cet idéal simple mais rigoureux se donneront un charisme, un rayonnement, une lumière, la kwarnah. Ils sont liés entre eux par un serment. [De categorie van mensen die in staat zijn een Rijk te personificeren is ontstaan in de Perzische [T]raditie, die [voor het Westen] eeuwenland een Oriëntaals referentiepunt was in de eigenlijke zin van existentiële oriëntatie. In de Perzische [T]raditie is sprake van een ‘eeuwige winter’, een begrip dat waarschijnlijk teruggaat op het begin van een zeer harde IJstijd die de eerste Europese volkeren trof in hun eerste leefgebied. Toen de ‘eeuwige winter’ intrad, bracht een heroïsche koning [genaamd] Rama de[ze] volkeren en stammen bijeen en leidde hen naar het zuiden, naar de Kaukasus, Baktrië en Perzië (de Iraanse hoogvlakten). Deze heroïsche koning was de stichter van [hun] kasten, of preciezer gezegd: van de [sociaalhiërarchische] functionaliteiten die uiteindelijk door Georges Dumézil zijn gereconstrueerd.[37] Na zijn volk uit de ontberingen van de ‘eeuwige winter’ in veiligheid te hebben gebracht, trok Rama zich terug in de bergen. Deze heroïsche en koninklijke persoonlijkheid vinden we [vervolgens] terug in de Avestische en Vedische [T]radities, waar hij Yama of Yima genoemd wordt.[38] Om deze onderneming en deze migratie te volbrengen organiseerde Rama-Yama-Yima paarden en wagens, waarmee hij de fundamenten van een cavalerie organisatie legde... Later werden de regels die elke bereden krijger, [ofwel ‘ridder’,] te volgen heeft vastgelegd door Zarathoestra... De krijgsmacht van Zarathoestra die zich onderwerpt aan zijn praktische onderwijs is bewapend met knotsen (als clava betiteld in het werk van Julius Evola).[39] Uit deze ‘school’ van Zarathoestra ontstaat [vervolgens] de kaste van de krijgers - de Kshatriya’s van de Indische Traditie - die zich in politieke [instituties] en geografische [machtsbereiken] vastlegt en die komt te heersen over de kaste van de priesters, die contemplatief zijn ingesteld en zich niet aan een [dergelijk] rigoureuze discipline wil onderwerpen. ...De Iraanse figuur Sraosja,[40] die in de middeleeuwse [Westerse] Traditie naar voren komt als de Heilige Michaël, neemt [voortdurend opnieuw] gestalte aan tussen hemel en aarde, dat wil zeggen tussen het Traditie ideaal en de [wereldse] realiteit - een ontstaan en vergaan dat [voor aspirant-ridders] een [constant vastgehouden] rigoureuze scholing veronderstelt, net zoals bij de leerlingen van Zarathoestra. [Het gaat daarbij om] diegenen die, naarmate de Iraanse Traditie zich verwezenlijkt, worden opgeleid om hun gedachte[n] en gevoelens te zuiveren en zich bewust te worden van hun [levens]opgave. Bewapend met deze drie hoofdprincipes van [levens]oriëntatie strijdt de leerling van Zarathoestra tegen Ahriman,[41] de personificatie van het kwaad, dat wil zeggen [primair] tegen de gevoelszwakte die het [hem] onmogelijk maakt constructief en duurzaam op de realiteit in te werken. Alleen ‘ridders’ die in staat zijn dit simpele maar rigoureuze ideaal te belichamen verkrijgen het charisma, de stralenglans, het licht[wezen] - de khvarenah.[42]]  (p. 159-60)

ksch.jpgHet Indo-Europese archetype dat het nieuwe Rijk moet vestigen is bovenal de ‘ridder’. Zoals gezegd, wordt oudste uitdrukking daarvan bewaard in de Perzische Traditie: ...le modèle de la chevalerie perse... constitue... pour l’Europe un mode opératif sans égal, de type ‘kshatriyaque’... [que] ne peut être pensé en dehors du projet de ‘nouvelle chancellerie impériale européenne’, énoncé par Carl Schmitt. Celui-ci a évoqué la nécessité de former une instance de ce type, après les catastrophes qui ont frappé l’Europe dans la première moitié du XXe siècle et pour préparer la renaissance qui suivra l’assujettissement de notre sous-continent. ...[het model van de Perzische ridderstand... vertegenwoordigt... voor Europa een kwalitatief ongeëvenaarde modus van het ‘kshatriyaanse’ type... waarzonder men zich geen voorstelling kan maken van het project dat Carl Schmitt voor ogen stond: de ‘nieuwe Europese rijkskanselarij’. [Schmitt] wees op de noodzaak een dergelijke instantie te vormen in de nasleep van de catastrofes die Europa gedurende de eerste helft van de 20e eeuw heeft ondergaan ten einde de wedergeboorte voor te bereiden die zal volgen op de onderwerping van ons subcontinent.[43]] (p. 163) De kroniek van de Perzische Traditie kan de volkeren van Europa hoop geven: zij laat zien hoe de oudste Indo-Europese archetypes zelfs de catastrofe van barbaarse bezetting, etnische vervanging en culturele regressie kunnen overleven. ...[Le] philosophe perse islamisé Sohrawardi, ...dépositaire de la sagesse iranienne originelle, s’insurge, avant la destruction de son pays par les Mongols, contre la bigoterie, le rationalisme étrique qui est son corollaire, et réclame le retour à une attitude noble, lumineuse, archangélique et michaëlienne, qui n’est rien de autre que la tradition perse/avestique des origines les plus lointaines. Sohrawardi réclame une révolte contre la caste des prêtres étriques, et, partant, contre toutes pensées et démarches impliquant des limitations stérilisantes. Cette attitude a toujours paru suspecte aux vastes de prêtres ou d’intellectuels, soucieux d’imposer des corpus figés aux populations qui leur étaient soumises, en Occident comme en Orient. Arthur de Gobineau... a été le premier... à attirer l’attention des Européens... sur le passé lumineux de la Perse antique, modèle plus fécond, à ses yeux, que la Grèce, trop intellectuelle et trop spéculative. Le modèle chevaleresque, dont les traces premières remontent à Rama et à Zarathoustra, induit une pratique de le maîtrise de soi, supérieure, pour Gobineau, à la spéculation intellectuelle des Athéniens. Et, de fait, quand la Perse a été laminée par les Mongols, l’islam tout entier a commencé à sombrer dans le déclin. Le fondamentalisme wahhabite est l’expression de cette décadence, dans la mesure où il est une réaction outrée, caricaturale, au déclin de l’islam, désormais privé de la grande Lumière de la Perse. Les pauvres simagrées wahhabites ne pouvant bien entendu jamais servir d’‘Orient’. [...De geïslamiseerd-Perzische filosoof Sohrawardi,[44] ...drager van de oorspronkelijke Iraanse wijsheid, stond nog voor de Mongoolse verwoesting van zijn land[45] op tegen religieuze kwezelarij en het oppervlakkige rationalisme... - hij eiste een terugkeer naar de adellijke, verlichte, engelachtige en michaëlitische [existentiële] houding die hoort bij de oorspronkelijke Perzische [T]raditie zoals teruggaande op haar oudste historische Avestische [bronnen].[46] Sohrawardi staat voor een opstand tegen de [intellectueel en spiritueel] oppervlakkig priesterkaste en daarmee tegen alle denk[stroming]en en activismen die zich onderwerpen aan steriliserende begrenzingen. Deze houding schijnt altijd verdacht toe aan het priesterlijke en intellectuele establishment dat zowel in het Westen als het Oosten bedacht is op het handhaven van een dogmatische consensus. Arthur de Gobineau[47]... was de eerste die... de aandacht van Europa... vestigde op het lumineuze verleden van het Oude Perzië: [hij achtte het] een veel vruchtbaarder model dan het [Klassieke] Griekenland dat in zijn optiek te intellectueel en te speculatief [was ingesteld]. Het ridderlijke model dat teruggaat op Rama en Zarathoestra bewerkstelligde een zelfdisciplinaire praktijk die voor de Gobineau superieur was aan die van het speculatieve intellectualisme van Athene. Het is inderdaad waar dat de hele Islam[itische wereld] in [culturele] neergang verzonk nadat Perzië door de Mongolen in de as was gelegd. Het Wahhabitische fundamentalisme is de [ultieme] uitdrukking van deze decadentie: het is een uiterste - karikaturale - reactie op het verval van de Islam na het uitdoven van zijn grootse Perzische Licht. De armzalige verwaandheid van de Wahhabieten kan [noch voor het Westen noch voor het Oosten] ter existentiële ‘oriëntatie’ dienen.] (p. 162)

De Indo-Europese archetypes die worden bewaard in de Perzische Traditie zijn via een eeuwenlange wisselwerking doorgegeven aan Avondland: via het [Helleense] Rijk dat werd gesticht door Alexander de Grote, via de Romeinse cavalerietraditie, via de kruisvaarders, via de Oosterse Letteren - en via de filosofie van de Traditionele School (Steuckers, p. 161ff.). Hun kracht berust in hun essentie - een essentie waarop noch pseudo-islamische cultuurbarbarij, noch pseudo-christelijke psychologische regressie, noch cultuur-nihilistische intellectuele deconstructie vat kunnen krijgen. Nietzsche overkwam het moderne Europese nihilisme in een authentieke herbeleving van het Indo-Europese archetype dat vervat ligt in de Perzische profeet Zarathoestra. Hij zocht niet alleen fysieke gezondheid in de hoge Alpen maar ook spirituele gezondheid op deze ijlste top van de Indo-Europese Traditie - daar vond hij zijn geneesmiddel voor het nihilisme.

...wirf den Helden in deiner Seele nicht weg! Halte heilig deine höchste Hoffnung!

- Also Sprach Zarathustra

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7.

Edelweiss-heid

(Archeo-Futuristische medicatie)

Save a spot for me

Among the Edelweiss

- Danielle White

Elke queeste naar het hoogste begint echter bij het laagste: de fundering van de Europese Rijksgedachte kan niet anders dan liggen in de Europese aarde - het grotere Europese Huis kan niet anders dan beginnen bij de kleinste Europese huisjes.

‘Een beter Nederland begint in Kleine Huisjes!’ - zo sprak Koning Willem Alexander ter gelegenheid van het Kerstfeest van 2018. [48] Veel wijsheid ligt in deze eenvoudige woorden: de Vorst wijst op het feit dat het grote begint met het kleine en dat zelfs de grootste reis aanvangt met een eerste kleine stap. Aan een Nieuw Europa gaat dus een Nieuw Nederland vooraf. Het begint zelfs nog dichter bij huis: bij een nieuwe stad, een nieuw dorp, een nieuwe straat - en dan ook nog bij een nieuw zelf. Een Nieuw Europa begint met de basale kwaliteiten die horen bij het Europese mens-zijn: zelfdiscipline, arbeidsethos, natuurlijke hiërarchie en toekomstplanning. Bij eenvoudige zaken als gezinstoewijding en huwelijkstrouw, bij bescheiden looneisen en gewetensvolle arbeid, bij kansen voor jongeren en respect voor ouderen, bij passend ontzag voor hoge geboorte en aangeboren talent, bij maatschappelijke ruimte voor artistieke gave en wetenschappelijke verdienste, bij solidariteit met de minder fortuinlijke volksgenoot en bij ecologisch verantwoordingsbesef. De karakteristieke eigenschappen van het huidige Europa en haar liberaal-normativistische postmoderniteit - collectief narcisme, consumptief hedonisme en kunstmatige klassenstrijd - horen hier dus pertinent niet bij. Ook niet in reactieve zin: een Nieuw Europa is onhaalbaar voor reactief-onwaardige ‘boze witte mannen’. Het is haalbaar wanneer het positief begint bij - en wordt gedragen door - blije blanke mensen. Dus alleen wanneer de Europese - inheems-fenotypisch niet anders dan blank definieerbare - bevolking blij is met zichzelf: de slagzin it’s ok to be white is in dat opzicht niet meer dan een minimaal beginpunt. Dus ook pas wanneer de Europese vrouw blij is met haar specifieke vorm van mens-zijn als Europees en als vrouw - en zich afkeert van de kunstmatige oikofobe en feministische ‘klassenstrijd’ tegen de Europese beschaving en de man. In het Nieuwe Europa - dat een universele beschavingsstandaard herstelt - moet expliciet een plaatsje worden opengehouden voor - een beperkt aantal - goedwillende, hardwerkende en nette (ex-koloniale, aangetrouwde, geassimileerde) niet-Europeanen die zich vereenzelvigen met de Europeaanse Leitkultur. Ook dat hoort bij de Archeo-Futuristische Europese Rijksgedachte: de ‘magnetische’ inwerking van de authentieke Europese Traditie waarvan een existentieel ordenende - dus innerlijk transformatieve - aantrekkingskracht kan uitgaan voor speciaal getalenteerde individuen uit andere culturen. Deze inwerking is echter geen automatisch gegeven: alleen een absoluut dominante Leitkultur garandeert de voor die innerlijke transformatie vereiste polaire hoogspanning. In het falen van deze dominantie ligt meest catastrofale weeffout van het liberaal-normativistisch ‘multiculturalisme’.

Steuckers wijst op het belang van ‘micro-herterritorialisaties’, dat wil zeggen een Reconquista van Europa door middel van een stapsgewijs geplande en minutieus uitgewerkte herovering van de Europese erfenis. Het grotere ‘Europese Huis’ van de Archeo-Futuristische Rijksgedachte begint dus ook voor hem bij ‘Kleine Huisjes’: een Nieuwe Europa begint bij geleefde, beleefde en doorleefde lokale traditie, regionale cohesie en nationale identiteit. Een Nieuwe Europa is onbereikbaar via een nationalistische Einzelgang: de val van Napoleon en Hitler bewijzen het. Wat wel erkend moet worden is dat de Archeo-Futuristische Rijksgedachte in Europa in de eerste plaats zal moeten worden gedragen door het volk - of: de paar volkeren - die een centrale plaats innemen in Europa. Enkele hoofdlijnen in de verwezenlijking van de Archeo-Futuristische Rijksgedachte zijn al duidelijk. De centrale positie van het Duitse volk, het dragende volk van het oude Heilige Roomse Rijk, is een natuurlijk uitgangspunt - een pragmatische anti-globalistische alliantie op de Frans-Duits-Russische as al evenzeer. Gegeven het feit dat de globalistische vijandelijke elite prioritair, via de Macron-Merkel strategie van Umvolkung à l’outrance, inzet op de ‘pyropolitieke’ verwoesting van de Frans-Duitse ruimte zal de herovering van Europa moeten beginnen bij ‘terugvalbasis’ Rusland. De door President Putin begonnen anti-globalistische bevrijding van Rusland is de natuurlijke uitvalsbasis voor een oost-naar-west metapolitiek tegenoffensief. Het door Aleksandr Doegin geformuleerde - confederatieve, multipolaire - Eurazianisme geeft hiertoe een eerste aanzet - ook hier geldt: ex oriente lux.[49]

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Ter afsluiting van dit essay lijkt het passend Steuckers’ pleidooi voor micro-herterritorialisatie te ondersteunen door zijn argument verder uit te werken. Het is namelijk verre van denkbeeldig dat het globalistische ‘EU project’ binnen een aantal jaren implodeert. Het is dan aan de kleinere staten van Europa om direct hun eigen plaats te bepalen in een post-globalistisch Nieuw Europa - zij zullen zich dan direct opnieuw moeten uitvinden en positioneren. Ook voor staten van bescheiden omvang en gering gewicht, zoals de huidige staten van de Lage Landen, is er dan een wereld te winnen. Een Nieuw Europa biedt immers kansen voor het herwinnen van sinds de Tweede Wereld Oorlog verloren en verkwanselde zelfstandigheid: staatssoevereiniteit, volksidentiteit, valuta en welvaartsstaat. Het falen van het globalistische ‘EU project’ en het wegvallen van globalistische controlemechanismen zal de kleinere staten van Europa de vrijheid geven om zich op hun eigen unieke wijze te ontwikkelen.

Op het kleinste niveau wordt dit potentieel geïllustreerd door de nog kleinere Europese microstaten: de ministaatjes San Marino, Andorra, Monaco en Liechtenstein zijn in vele opzichten tussen de mazen van het globalistische net heen geglipt. Zij hebben zich in hun eigen biotoopjes optimaal kunnen ontwikkelen zonder hun eigenheid op te geven. Anders dan in de kleinere EU lidstaten blijft de inheemse bevolking van de microstaten - grosso modo - juridisch geprivilegieerd, economisch beschermd, sociaal dominant en cultureel behouden.[50] Daar krijgt niet zomaar iedere willekeurige ‘arbeidsmigrant’ verblijfsstatus en staatsburgerschap. Daar worden sociale voorzieningen en huisvesting niet zomaar uitgedeeld aan de eerste de beste ‘asielzoeker’. Daar wordt van de inheemse bevolking niet verwacht dat zij berust in de modegrillen van identiteitsondermijnende ‘diversiteit’. Daar is het blijkbaar wél mogelijk moderne technologie en economische welvaart te combineren met een dominante etniciteit en een dwingend cultuurmodel. Zonder de specifieke omstandigheden van deze microstaten te negeren en zonder hun specifieke problemen te vergoelijken kan wel worden gesteld dat de Archeo-Futuristische Revolutie daar in bepaalde opzichten al is begonnen. Met name het Vorstendom Liechtenstein, door Prins Hans-Adam II sinds de democratisch goedgekeurde constitutionele hervorming van 2003 direct en persoonlijk bestuurd, bewijst dat een combinatie van semi-decissionistisch bestuur en beschermde etnische identiteit met een vrije markt mechanisme, grote welvaart en hoge sociaaleconomische ontwikkeling heel goed mogelijk is. Het is misschien geen toeval dat Liechtenstein als laatste legitiem bestuurd overblijfsel van het Heilige Roomse Rijk een eerste beeld laat zien van hoe een Archeo-Futuristisch Europa er uit zou kunnen zien. Het is dit hoog in de Alpen verscholen ‘Edelweiss model’ dat de kleine en middelgrote EU lidstaten kan inspireren tot het verwerpen van het ‘Calimero argument’: het globalistische argument dat ze ‘te klein’ zouden zijn om op eigen benen te staan.

Feitelijk is de situatie van de Europese microstaten vanuit mondiaal perspectief niet essentieel anders dan die van de kleinere EU lidstaten. De veel evenwichtiger sociaaleconomische en etnische politiek van de kleinere en middelgrote staten van de welvarende Pacific Rim - Maleisië, Singapore, Brunei, Taiwan, Zuid-Korea - bewijzen dat het ‘Edelweiss model’ ook op grotere schaal voor herhaling vatbaar is.[51] Het behoud van de Monarchie in een deel van de kleinere EU lidstaten - in Scandinavië en de Lage Landen - geeft hierbij een gunstige uitgangsbasis voor overschakeling naar het Leichtensteiner ‘Edelweiss model’: de Monarchie biedt hier een ‘reserve soevereiniteit’ die een decissionistische reactie mogelijk maakt op het liberaal-normativistische globalisme. Het Nieuwe Europa kan ook beginnen met een ‘Edelweiss positionering’ van het Kleine Huisje geheten Nederland. De afgelopen decennia van neo-liberale kaalslag en cultuur-marxistische deconstructie hebben geleid tot sociale implosie en etnische vervanging: de ‘puinhopen van vijftig jaar paars’[52] bewijzen dat het Kleine Huisje geheten Nederland op de slooplijst staat van het globalistische ‘EU project’. Voor de Lage Landen - België, Nederland, Luxemburg - is het tijd voor beraad op een levensvatbaar alternatief: een subsidiair gedefinieerde en geborgen plaats in een Nieuw Europa, een Europa dat is zich kan inspireren op de Archeo-Futuristische Rijksgedachte en het confederatieve Eurazianisme. Dit is wat de Lage Landen verdienen: een eigen plaats tussen de Edelweiss.

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Nawoord: de Koning als Katechon

De Nederlandse patriottisch-identitaire beweging erkent de Koning als Katechon - als door de Goddelijke Voorzienigheid aangestelde Beschermer van de Nederlandse staat en het Nederlandse volk. Meer dan dat: de Vorst belichaamt de Nederlandse staat in meest letterlijke zin: het feit dat zijn macht door constitutionele scherpslijperij in de loop van de laatste anderhalve eeuw stukje bij beetje is weggesneden door een jaloerse regentenklasse en een wannabe ‘schijnelite van valsemunters’[53] doet daar niets aan af. Door de eeuwen heen heeft het Huis van Oranje, wanneer puntje bij paaltje kwam, altijd voor de belangen van het Nederlandse volk en de gewone man gestaan. De patriottisch-identitaire beweging dient de diepe eerbied en aanhankelijkheid van het Nederlandse volk naar het Huis van Oranje en de Monarchie als institutie te respecteren - en te integreren in haar doen en laten.

Uiteindelijk is het aan de Vorst om te bepalen wat het beste is voor zijn land en zijn volk - het land is immers zijn erfdeel en hij is vader van zijn volk. Het is niet redelijk te denken dat de Vorst ook maar enigszins geneigd zou zijn erfdeel te verkwanselen en zijn volk te verraden - basaal vertrouwen in zijn oordeel hoort bij de eeuwenoude band tussen het Vorst en volk. Zijn woord en zijn wil moeten daarom, binnen de grenzen van wat redelijk is, zeer zwaar wegen - ook als hij de tijd en manier om op te treden tegen het globalisme wellicht (nog) anders inschat dan de meeste van zijn onderdanen. Ook zulk respectvol inschikken in de natuurlijke hiërarchie en de wettelijke orde hoort, binnen de grenzen van wat redelijk is, bij goed burgerschap. Net zoals de wettelijke orde en het politiek proces - hoe onredelijk en onbehoorlijk ze ook feitelijk worden ingevuld - moeten worden gerespecteerd zolang dat nog enigszins mogelijk is. Natuurlijk kan er, gegeven de globalistische ramkoers met de soevereiniteit van de Nederlandse staat en de identiteit op het Nederlandse volk, op den duur een situatie ontstaan waarin dit niet langer mogelijk is, maar die ultieme afweging komt alleen toe aan het volk als geheel - en aan de Vorst, als vader van het volk. Wat de Nederlandse patriottisch-identitaire beweging tot die tijd betaamt, is respectvol in te schikken - en volk en Vorst respectvol te dienen, door een redelijk alternatief aan te dragen voor globalistische deconstructie en door in metapolitieke zin de vervanging voor te bereiden van de vijandelijke elite. De beweging dient, omwille van het volk, ook de Vorst: waar en wanneer nodig, en waar en wanneer gevraagd, moet de Vorst de patriottisch-identitaire beweging aan zijn zijde weten - ook tegen de vijandelijke elite. Diep in het verradershart van de vijandelijke elite - het ziekelijk monsterverbond tussen de crypto-republikeinse ‘regenten klasse’ en de eeuwig-rancuneuze soixante-huitard ‘intelligentsia’ - zit namelijk niet alleen haat voor het volk, maar ook haat voor de Vorst.

De kersttoespraak van de Koning biedt hoop aan alle Nederlanders: zij biedt een veilige afstand tot ‘verre tafels’ en een tijdige herinnering aan de tachtigjarige vrijheidsstrijd van het Nederlandse volk. Niets past de patriottisch-identitaire beweging echter minder dan woorden te leggen in de mond van de Vorst. Dit essay sluit daarom af met diens eigen woorden - woorden van welgemeende zorg en eenvoudige troost, gericht tot ons arme volk:

Tegenover de sterke en brute krachten in de wereld staan gewone mensen machteloos… zo voelt het vaak. Maar zou het niet kunnen dat we onze eigen rol onderschatten? ...U denkt misschien: ‘Wat moeten we met zo’n verklaring? Het klinkt zo ver weg allemaal’. Maar de drijvende kracht erachter - Eleanor Roosevelt dacht daar heel anders over. Zij zei: ‘Waar beginnen mensenrechten? Op plekken dicht bij huis, zó dichtbij en zó klein dat ze op geen enkele kaart zichtbaar zijn.’ Ze legt hiermee een direct verband tussen de straat waarin we wonen en de grote wereld. Vrijheid, gelijkheid en eerlijke kansen voor iedereen zijn óók afhankelijk van de manier waarop wij dagelijks met elkaar omgaan. Een leven zonder angst en onverschilligheid wordt niet alleen bepaald aan verre vergadertafels, hoe onmisbaar die ook zijn. Daar gaan we gelukkig ook zelf over. We zijn minder machteloos dan we denken. Verreweg de meeste Nederlanders voelen zich thuis in een omgeving waarin tegenstellingen niet op de spits worden gedreven en waarin conflicten zo goed mogelijk samen worden opgelost. Vergelijking met andere landen is vaak een bron van troost, zo niet van trots. De bereidheid om rekening met elkaar te houden en samen te werken heeft ons vèr gebracht. Dit was de basis onder ons land, 450 jaar geleden, toen een klein groepje Nederlandse gewesten tegen de verdrukking in de krachten bundelde en met succes zijn eigen weg ging. Zoiets was nog nooit eerder vertoond.... Een beter Nederland begint in Kleine Huisjes! We onderschatten vaak de positieve invloed die we met onze bescheiden mogelijkheden als mens kunnen hebben. Juist dicht bij huis wordt de wereld gewonnen. We kunnen samen niet alles. Maar wel veel... Een mooie toekomst is mogelijk. Mits we het geloof in onszelf en in elkaar vasthouden! [54] - Zijne Majesteit Willem-Alexander, Koning der Nederlanden

Mon Dieu, ayez pitié de ce pauvre peuple

 

Glossarium

 

banlieusard

Frans: ‘buitenwijk bewoner’, speciaal verwijzend naar de overwegend door etnische minderheden bewoonde sociaal huisvesting hoogbouw wijken rond Parijs;

decisionisme

francofoon-anglofone term, neologistisch vertaalbaar als ‘beslisme’:

doctrine van direct-concrete en fysiek-belichaamde beslissingsbevoegdheid, het tegengestelde van indirect-abstract en psychologisch-manipulatie Normativisme (Rex vs. Lex);

éditocratie

ook: mediacratie, intellocratie; heerschappij van de main stream media plus politiek-correcte academisch publicisten;

éristique

Grieks εριστικός: ‘strijdlustig’, ‘strijdvaardig’ ;

mobocratie

ook: ochlocratie;[55] heerschappij van de ‘meute’, de ‘massa’;

partitocratie

politieke kaping van parlementaire instituties door partijbelangen en partijkartels; het mechanisme achter politicide, d.w.z. vernietiging van politieke pluraliteit en invoering van dogmatische politieke-correcte consensus (‘1984’);

pyropolitiek

geopolitieke ‘verschroeide aarde’ strategie waarvan de globalistische vijandelijke elite zich bedient voor het ‘wegbranden’ van multipolaire verzetshaarden tegen haar Nieuwe Wereld Orde;

soixante-huitard

Frans: ‘68-er’; verwijzing naar de Parijse ‘culturele revolutie’ van mei 1968 en naar de door geïnspireerde ‘hippie tot yuppie’ babyboomer generatie die het globalistisme belichaamt in de dubbele na/uitleving van cultuur-marxistische theorie en neo-liberale praktijk, nu voortgezet in een vervolg generatie: de nieuwe feministisch-allochtone machtselite;

 

Noten

[1] https://www.nrc.nl/nieuws/2019/02/13/rutte-eu-moet-meer-v...

[2] https://www.government.nl/documents/speeches/2019/02/13/c...

[3] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/counte...

[4] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/fake-news-d...

[5] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/modernisati... - let op de expliciet vermelde invulling van deze maatregelen aan de hand van het op versnelde etnische vervanging gerichte ‘Marrakesh Pact’.

[6] https://www.erkenbrand.eu/artikelen/le-rouge-et-le-noir-i... en http://www.erkenbrand.eu/artikelen/uit-het-arsenaal-van-h...

[7] Een (double entendre) verwijzing naar de titel van de post-modern - en ‘pre-apocalyptische’ - kunst documentaire van Sophie Fiennes (2010).

[8] Voor een beknopte Traditionalistische interpretatie van het science fiction genre - als hierofanie en cryptomnesie - verg. Alexander Wolfheze, The Sunset of Tradition and the Origins of the Great War (Newcastle upon Tyne: Cambridge Scholars, 2018 - https://www.cambridgescholars.com/the-sunset-of-tradition... ) 240ff. Voor een psycho-historische update bij dit thema verg. Alexander Wolfheze, Alba Rosa. Ten Traditionalist Essays about the Crisis in the Modern West (London: Arktos, 2019 - https://arktos.com/product/alba-rosa/ ) 35ff.

[9] Verg. de magistrale illustraties bij Jeff Wayne’s op Wells’ boek gebaseerd musical versie: http://www.thewaroftheworlds.com/

[10] Truganini wordt in de pre-postmoderne wetenschappelijke literatuur beschreven als de laatste volbloed Tasmaniër en de laatste Tasmanische moedertaal spreker. Zij werd rond 1812 geboren als de dochter van het opperhoofd van de inheemse bevolking van het voor de Tasmaanse zuidkust gelegen Bruny Eiland, overleefde de moordpartijen, verkrachting en ‘hervestiging’ van de Britse koloniale ‘omvolking’ van haar moederland en stierf in ballingschap in 1876 - na haar dood werd haar skelet tentoon gesteld als ‘wetenschappelijk curiosum’. Verg. Wolfheze, Sunset, 318ff. 

[11] Voor de ‘techno-filosofische’ uitwerking van deze ‘evolutionaire’ ontwikkeling verg. Jason Jorjani, World State of Emergency (Londen: Arktos, 2017) 69ff.

[12] https://www.geopolitica.ru/en/article/what-white-genocide

[13] Een term uit het anti-multiculturele discours van Frans politiek filosoof Charles Maurras (1868-1952), bekend als voorstander van ‘nationaal integralisme’ en ideoloog van de monarchistische en anti-revolutionaire beweging Action française.

[14] Wolfheze, Alba Rosa, 147ff.

[15] Voor een beknopte weergave van de filosofische en cultuur-historische context van het Cultuur Nihilisme: https://www.erkenbrand.eu/artikelen/de-identitaire-beelde...

[16] Het naar de (proto-globalistische) Franse revolutionaire terreur verwijzende ‘epitaaf’ ontwerp voor de Jacobijnse Club in Parijs, aangehaald in Edgar Allen Poe’s The Pit and the Pendulum.

[17] ‘Afgeschermd bezit’ - een liefdadigheidsinstelling voor publiek gebruik onder Islamitisch Recht (bijv. een moskee, een school, een badhuis).

[18] De Jacobijnse Club, gebaseerd op het Jacobijnen klooster in de Parijse Rue Saint-Honoré, was gedurende de Franse Revolutie een extreem-links georiënteerde partijpolitieke organisatie van vrijmetselaars radicalen, gesticht en aangevoerd door Maximilien Robespierre. Zij beoogde seculiere republiek en sociale revolutie af te dwingen door middel van justitiële moord en staatsterreur. Lenin’s politieke methodiek na de Russische Oktober Revolutie werd direct geïnspireerd door het Jacobijnse experiment.

[19] Verwijzingen naar, resp., de naar de 19e Zuid-Amerikaanse vrijheidsstrijder Simón Bolívar genoemde pan-Hispaans-Amerikaanse, anti-imperialistische en semi-socialistische staatsopvatting zoals geformuleerd door de Venezuelaanse President Hugo Chávez (1954-2013) en het ‘Roze Getij’ van (semi-)anti-globalistische en progressieve politieke hervormingen dat grote delen van Latijns-Amerika domineerde, ongeveer tussen de verkiezing van de Venezuelaanse President Hugo Chávez (1999) en de afzetting van de Braziliaanse Presidente Dilma Roussef (2016).

[20] De Europese Commissie bestaat (na de ‘Brexit’) uit 27 ongekozen ‘Commissarissen’ (let op de nomenclatuur die is overgenomen uit het oude Sovjet systeem) die worden voorgedragen door de regeringen van de lidstaten en die gezamenlijk de uitvoerende macht monopoliseren - naast hun exclusief recht op wetsvoorstellen en hun sterke controle op de wetsuitvoering. De Europese Commissie, sinds 2014 voorgezeten door de Luxemburger Jean-Claude Juncker, heeft daarmee feitelijk dictatoriale macht, ook als zij deze macht vrijwel uitsluitend in negatieve zin uitoefent door haar institutionele begunstiging van laissez faire neo-liberalisme en ‘open grenzen’ cultuur-marxisme. Theoretisch gesproken moet het Europees Parlement de benoemingen goedkeuren en heeft het Parlement het recht de Commissie naar het huis te sturen, maar in de praktijk zijn de benoemingen vrijwel altijd exercities in consensuspolitiek en wordt het afzettingsrecht door parlementaire sabotage gereduceerd tot een dode letter. Een verder democratic deficit ligt natuurlijk in het feit dat de opkomst voor de verkiezingen van het zogenaamd ‘controlerende’ Europese Parlement structureel onder de 50% ligt.

[21] Het Wahhabisme, vernoemd naar Soenni-Islamitisch religieus leider en hervormer Mohammed al-Wahhad (1703-92), is een fundamentalistische en iconoclastische doctrinaire stroming binnen de Hanbali School. De aanduiding ‘Wahhabi’ voor een aanhanger van deze stroming wordt voornamelijk gebruikt door haar tegenstanders: zelf geven aanhangers ervan de voorkeur aan termen als muwahhīd (‘monotheïst’) of Salafist. Het Wahhabisme wordt gekenmerkt door een militant en zelfs agressief purisme dat zich uit in regressieve sociale praktijken naar binnen en institutionele intolerantie naar buiten. Het historisch pragmatische bondgenootschap tussen de Wahhabitische geestelijkheid en het Saoedische koningshuis vertaalt zich in contemporaine geopolitieke realiteiten als ‘Al-Qaida’ en de ‘Islamitische Staat’.

[22] Het Salafisme (salaf, ‘voorgangers, voorvaderen’, concreet: de eerste drie generaties religieuze autoriteiten in Islam) is een door het 18e eeuwse Wahhabisme geïnspireerde Soenni-Islamitische religieuze hervormingsbeweging die ontstond in het 19e eeuwse Egypte ontwikkelde in verzet tegen de maatschappelijke effecten van het Westerse imperialisme. Hoewel deze hele beweging zich verzet tegen secularisme en democratie naar Westers model, is slechts een kleine minderheid van haar aanhangers (de zgn. ‘Jihadisten’) voorstander van de gewapende ‘heilige oorlog’ ter implementatie van de Salafistische maatschappelijke hervorming. De Hanbali maḏab (‘gedragscode’, concreet: doctrinaire ‘school’), gesticht door Ahmad ibn-Hanbal (780-855), is de kleinste van de vier traditionele jurisprudenties van de Soenni-Islam en als dominante leer beperkt tot het Arabische Schiereiland (waar die leer tot wet is verheven in het publieke domein in Saoedi-Arabië en Qatar). De Hanbali School wordt gekenmerkt door een effectieve verwerping van ijmā‘ (‘specialistische consensus’) en ijtihād (‘mentale inspanning’) en een beperkte inzet van qiyās (‘deductieve analogie’) in Islamitische jurisprudentie. Het maatschappelijk conservatisme en financiële slagkracht van de Golfstaten maken de Hanbali School aantrekkelijk als ideologisch basismodel voor islamistische extremisten.

[23] De ‘pelgrim vaderen’ waren de Engelse (grotendeels radicaal-Calvinistische) religieuze dissidenten die in 1609 eerst uitweken naar de Nederlandse Republiek, maar vervolgens met het schip de ‘Mayflower’ emigreerden naar Noord-Amerika, waar zij de Plymouth Colony stichtten (later territoriaal opgenomen in de Massachusetts Bay Colony). Zij worden beschouwd als de grondleggers van de Amerikaanse natie (hier ‘klassiek’ gedefinieerd als White Anglo-Saxon Protestant) en zij worden vaak gezien als de initiators van de Amerikaanse feestdag Thanksgiving Day, ‘Dankzeggingsdag’ (naar verluidt beïnvloed door hun herinnering aan het Leidse Oktoberfeest).

[24] Het concept van de ‘edele wilde’, nog niet ‘gecorrumpeerd’ door de globaal-imperialistisch expansieve maar ‘tegen-natuurlijke’ Westerse beschaving, was een integraal onderdeel van het 18e eeuwse Verlichtingsdenken. De term wordt ten onterechte toegeschreven aan de antropologisch-optimistisch (op een utopische ‘natuur staat’) georiënteerde Frans filosoof Jean-Jacques Rousseau (1712-78). Rousseau’s werk gaf echter wel een ‘proto-oikofobische’ invulling aan de voorliggende archetypische notie van ‘romantisch primitivisme’ (een archetype dat al is terug te vinden in the ‘Enkidoe’ karakter van het Gilgamesj Epos). Voor een Archeo-Futuristische herinterpretatie van het Verlichtingsmotief van de ‘edele wilde’, verg. Wolfheze, Sunset, 318ff.

[25] Een verwijzing naar de semi-genocidale pacificatie campagne van de eerste maanden van 1794 die door het Jacobijnse regime werd gevoerd in de nasleep van de Opstand in de Vendée - deze campagne combineerde de strategieën van verschroeide aarde en ethnic cleansing en kostte tot 40.000 burgers het leven.

[26] Tekst ter gelegenheid van de opening van de Beierse Walhalla Gedenkhal (1842).

[27] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 112ff.

[28] Voor een inleiding op het Eurazianistisch gedachtegoed verg. https://www.erkenbrand.eu/artikelen/le-rouge-et-le-noir-i...

[29] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 200ff.

[30] Verwijzingen naar, resp., de Bijbelse zondeval (specifiek Gen. 3:17), en Karl Marx’ theorie van Entfremdung.

[31] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 55.

[32] Latijn: Caesar, in de Europese Traditie de eretitel van de Imperator, de hoogste bevelsautoriteit, afgeleid van de bijnaam van de Romeinse dictator Gajus Julius (100-44 v. Chr.). Eén van de historisch overgeleverde etymologieën herleidt de bijnaam tot een Noord-Afrikaans woord voor ‘olifant’ (Caesar liet opvallend veel munten slaan met de afbeelding een olifant).

[33] Dit ‘begrenzing’ principe kan worden teruggevonden in de Dasein hermeneutiek van de Duitse filosoof Martin Heidegger (1889-1976) en is recentelijk Archeo-Futuristisch uitgewerkt door de Amerikaans-Perzische filosoof Jason Jorjani (geboren 1981) - verg. Wolfheze, Alba Rosa, 228ff.

[34] Een verwijzing naar de metafysische dimensie van het Traditionalistische begrip ‘Wachter op de Drempel’ zoals recent gereactiveerd door de Russische filosoof Aleksandr Doegin - verg. https://www.erkenbrand.eu/artikelen/de-gebroken-pijl-2/

[35] Verg. Wolfheze, Alba Rosa, 209ff.

[36] Een verwijzing naar de moderne dialectische methode (‘these-antithese-synthese’) ontwikkelt door de Duitse filosoof Friedrich Hegel (1770-1831) en ‘geoperationaliseerd’ door de Duits-Joodse politiek filosoof Karl Marx (1818-83).

[37] Een verwijzing naar de Franse vergelijkende taalwetenschapper Georges Dumézil (1898-1986) die pionerend onderzoek deed naar archaïsche Indo-Europese mythen en sociale structuren, bekend om zijn ‘Trias These’ m.b.t. het oorspronkelijke Indo-Europese kastensysteem.

[38] In latere Perzische taalvarianten en in de Sjāhnāmeh (het nationale epos van Iran, getiteld ‘Het Boek der Koningen’, geschreven door dichter Firdawsī aan het einde van de 10e eeuw AD) wordt deze koning aangeduid als Jamšīd (ofwel ‘Schitterende Yama’), een mythische priester-koning met bovennatuurlijke gaven en de charismatische roeping van de hoogste Katechon.

[39] De Indo-Europese knots wordt als - vaak met goud foelie overtrokken - ceremoniële staf overgenomen als machtssymbool van hoogwaardigheidsbekleders binnen alle Tradities van de Oude Nabije Oosten en de Klassieke Wereld. De symbolische betekenis van de knots is (via cultureel-antropologisch herleidbare structurele opposities) gerelateerd aan die van de scepter (politiek gezag), de toverstaf (spiritueel gezag) en de baton (militair gezag).

[40] De Avestaanse aanduiding voor een van de Zoroastrische Yazata’s (‘vererenswaardige’, vergoddelijkte principes - de term is etymologisch verwant aan het Griekse woord ἅγιος ‘heilig’): het gaat hier om het principe van het ‘Geweten’ dat functioneert als een ‘aartsengel’ en is toegerust met de knots van wereldse macht - in latere Perzische taalvarianten wordt hij aangeduid als Sorūš.

[41] De Middel-Perzische naam Ahriman wordt in het oudere Avestisch weergegeven als Angra Mainyu, ‘Kwade Geest’, de kosmische tegenstrever van de opper- en scheppergodheid Ahura Mazda. Zoals in het Christendom God (Licht, Waarheid, Orde) en de duivel (duisternis, leugen, chaos) tegenover elkaar staan, zo staan in het Zoroastrianisme  Ahura Mazda en Angra Mainyu tegenover elkaar.

[42] Dit charisma wordt in de Christelijke Traditie symbolisch uitgebeeld door middel van een aureool, een halo-effect toegeschreven aan engelen en heiligen. De moderne wetenschap beschrijft dit fenomeen in neurologische termen (bijv. in relatie tot liminele verschijnselen als epilepsie, synesthesie en hallucinatie). Voor de historische context van het concept van de khvarenah verg. Jason Jorjani, World State of Emergency (Londen: Arktos, 2017) 153-92.

[43] Voor Steuckers’ visie van Europa als subcontinentaal deel van de totale Euraziatische ruimte verg. https://www.erkenbrand.eu/artikelen/le-rouge-et-le-noir-i... .

[44] Šihāb ad-Dīn Yahya Sohrawardi (1154-91), bijgenaamd ‘Meester der Verlichting’, baseerde zijn Illuminationisme op de notie van prisca theologia en was zo in staat pre-Islamitische (filosofische concepten en) kennis te integreren in zijn werk. Esoterische symboliek en intellectuele intuïtie zijn essentiële elementen in Sohrawardi’s werk, dat invloed kreeg op het Westerse Traditionalisme door de vertalingen en interpretaties van Henri Corbin (1903-78) en Seyyed Hossein Nasr (geboren 1933).

[45] Een verwijzing naar de verovering van het Chorasmidische Rijk (grosso modo het toenmalige ‘Perzië’) door Dzjengis Khan, beginnend in 1219.

[46] In de Iraanse context kan deze spirituele houding zonder voorbehoud worden omschreven als ‘Arisch’ - het is deze Arische existentiële conditie die door Jason Jorjani wordt onderzocht in zijn werken Prometheus and Atlas en The World State of Emergency.

[47] Joseph Arthur Graaf de Gobineau (1816-82) was een paleo-conservatief Frans denker - vaak genoemd als grondlegger van het laat-19e en vroeg-20e eeuwse ‘wetenschappelijk racisme’ - die tijdens zijn diplomatieke dienst in Perzië een levenslange filosofische, geschiedkundige en mystieke fascinatie voor de Perzische Traditie ontwikkelde.

[48] https://www.koninklijkhuis.nl/documenten/toespraken/2018/...

[49] https://www.geopolitica.ru/en/article/problems-european-s...

[50] Na ‘Brexit’ heeft zelfs in de mainstream media voorzichtige interesse getoond voor de niet-globalistische immigratie politiek van de Europese microstaten. bijv. https://www.theguardian.com/politics/2016/oct/09/liechten...

[51] Modellen die waardevolle elementen bevatten zijn o.a. de etnisch-gebaseerde Community Funds van Singapore en de Bumiputra privileges van Maleisië.

[52] Een schuine verwijzing naar de titel van het boek van Pim Fortuyn, De puinhopen van acht jaar paars (2002).

[53] Een verwijzing naar de titel van het Martin Bosma’ politieke traktaat De schijn-élite van de valse munters (2010), door Bosma zelf vrij toegankelijk gemaakt via https://gratis-boek.nl/martin-bosma-de-schijn-elite-van-d...

[54] https://www.koninklijkhuis.nl/documenten/toespraken/2018/...

[55] Een term die in de Nederlandse publieke sfeer werd geïntroduceerd door de politieke leider van het CDA, Sybrand van Haersma Buma.

dimanche, 24 février 2019

Nouveau numéro de SOLARIA !

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Nouveau numéro de SOLARIA !

 

Au sommaire:

Mythologies indo-européennes : DANS L'HISTOIRE DE LA TRIFONCTIONNALITÉ,

LA TROISIÈME EST À LA UNE

Tradition : BALDR ET L'ÂGE D'OR

Poème : SOUS LE SOLEIL AZTÈQUE

Tradition : LES ÉPICLÈSES D'APOLLON (IV)

Plus nos rubriques habituelles: Héliothèque (Livres, Revues, CD, DVD), Vents Solaires, Plumes Solaires, Cadeaux...

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samedi, 26 janvier 2019

Le patriarcat : le fondement naturel de la société eurasienne

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Le patriarcat : le fondement naturel de la société eurasienne

Pisarenko

Les rôles sociétal et familial différents accomplis par les hommes et les femmes se rapprochent des différences physiques évidentes qui existent entre eux – les deux moitiés masculine et féminine également importantes de l’espèce humaine. Loin d’être arbitraires, les rôles spécialisés spécifiques au genre accomplis par les hommes et les femmes dans les sociétés eurasiennes traditionnelles furent développés à partir de la nécessité patriarcale – c’est-à-dire organique – et maintenus pendant des millénaires remontant très loin dans le passé, jusqu’à l’époque obscure de la préhistoire, c’est-à-dire les débuts de l’histoire de l’Homo Sapiens.

Un simple survol des grandes cultures eurasiennes passées et présentes qui ont adopté des formes strictes de patriarcat inclut : les Indo-Aryens, les Perses, les Chinois, les Grecs, les Romains, les Arabes, les Turcs, et les Russes. Si nous laissons l’Histoire être notre guide, c’est tout à fait clair : le patriarcat est la seule forme structurelle de hiérarchie suffisamment forte pour maintenir les cultures eurasiennes traditionnelles à tous les niveaux (socialement, culturellement, politiquement, etc.).

Pour que le système patriarcal fonctionne convenablement, comme un développement de la loi organique, il doit être fermement enraciné dans la société, depuis la cellule familiale de base jusqu’aux échelons supérieurs de la direction politique d’une société. L’ancienne institution romaine du Pater Familias résume le paradigme patriarcal dans toute sa splendeur. Bien sûr, les sociétés générées par les grandes cultures eurasiennes du passé sont en forte opposition avec la « société globale » a-historique postmoderne que nous voyons se déployer tout autour de nous – d’Hollywood à Hong Kong.

En seulement quelques générations, les gens de l’Occident (c’est-à-dire ceux qui habitent l« épicentre » de toute la décadence mondiale) ont pu voir les effets néfastes des normes anti-patriarcales, c’est-à-dire la féminisation forcée, dans presque tous les aspects de leur existence collective. Dans l’éducation, la politique, le commerce, la culture, l’art, l’armée, et même dans l’apparence physique et la manière de parler de plus en plus efféminées de leurs jeunes hommes. Sur tous les fronts, les hommes occidentaux sont en train d’être transformés en simples femmes avec un appareil génital mâle, au point où ils doivent continuellement se sentir coupables et s’excuser d’être des hommes. Est-ce vraiment étonnant que tant de lanceurs de mode culturelle américains (les dénommées « célébrités ») se pressent comme des moutons pour devenir des curiosités de la nature ?

jupiter_vatican.jpgInutile de le dire, cette féminisation forcée a infligé une énorme quantité de dégâts mentaux, émotionnels et culturels aux Occidentaux dans leur ensemble – aux hommes tout comme aux femmes. De plus, le « totalitarisme soft » de l’Etat démocratique libéral n’a fait qu’envenimer ce problème, puisque c’est la démocratie libérale elle-même qui est si attirante pour le beau sexe, et pour le « coté féminin » des hommes aussi. Des actions comme les élections (un concours de popularité), les manifestations et le boycott (comportement agressif-passif), le lobbying, les avis d’experts (c’est-à-dire le bavardage) – tous ces comportements sont essentiellement féminins.

Maintenant, il faut le souligner, le néo-eurasisme (ou ce qui est désigné simplement sous le nom d’eurasisme) n’est pas contre la féminité lorsqu’elle est convenablement équilibrée par sa contrepartie masculine. En effet, nous les eurasistes pensons fondamentalement qu’une femme est égale à un homme en dignité humaine, de même que nous rejetons catégoriquement la misogynie. Et tout comme les hommes, les femmes ont leurs propres droits uniques ainsi que des devoirs à accomplir. Les femmes sont les grandes éducatrices de l’espèce humaine. Ce n’est pas un idéal abstrait qui a besoin d’être inscrit dans la loi, mais un fait de la Nature tout comme de l’Histoire. Les eurasistes s’opposent seulement à l’émasculation complète d’un peuple qui se produit inévitablement quand le concept anti-patriarcal corrompu du féminisme est autorisé à infecter une société saine. Nous croyons que le féminisme est à égalité dans son pouvoir destructeur avec l’agenda homosexuel, et c’est par conséquent l’un des plus grands crimes qui puisse être commis contre un peuple.

Ainsi, le concept – ou plutôt, l’idéologie ! – du dénommé féminisme est totalement étranger à notre propre moralité eurasienne et incompatible avec elle. De plus, les racines libérales du féminisme sont faciles à découvrir quand on étudie un peu le sujet. En tant qu’idée, le féminisme (comme son progéniteur libéral) est totalement antithétique aux lois de la Nature. Car où exactement peut-on voir dans le royaume animal que la femelle est égale au mâle en termes de force physique et de simple solidité ? Peut-être qu’une meilleure question serait : où dans toute la Nature, et parmi toutes les espèces, trouvez-vous des animaux femelles accomplissant les mêmes rôles exacts que leurs contreparties masculines ? La réponse : parmi les êtres humains, dans le stupide Monde Occidental. C’est-à-dire dans le Monde Occidental politiquement libéral, économiquement capitaliste, culturellement dégénéré, et sous contrôle américain.

Comme Francis P. Yockey l’a souligné il y a bien des années dans son magnum opus Imperium, le libéralisme « lui met [à la femme] un uniforme et l’appelle un ‘soldat’ ». Une telle absurdité ne fait que confirmer, poursuit Yockey, que « les réalités fondamentales ne peuvent être niées, même par les constructions idéologiques les plus élaborées ». Tout à fait illogiquement, par conséquent, les féministes promeuvent leur agenda comme une sorte d’image-miroir déformée de la masculinité, au détriment de la vraie féminité. Julius Evola décrivit ce développement, qui réapparaît d’une manière cyclique à travers l’histoire, sous le nom d’amazonisme – un terme approprié s’il en est !

Au cours du dernier siècle, les Occidentaux ont ardemment tenté de se convaincre que les femmes sont : (1) les égales physiques des hommes, et (2) bien adaptées pour accomplir des rôles traditionnellement masculins. Loin d’améliorer vraiment la stabilité émotionnelle et la qualité de vie des « femmes de carrière », ces mensonges évidents ont conduit à l’un des plus grands crimes dans l’histoire connue : la rupture de la cellule familiale. Les statistiques ont montré qu’à mesure que le nombre de femmes s’accroissait dans le monde du travail, le nombre de divorces s’accroissait aussi, ce qui conduisait ensuite à un accroissement du nombre des enfants négligés, maltraités et délinquants.

Véritablement, depuis les années 1960, quand les super-féministes comme Gloria Steinem, Betty Friedan et Bella Abzug faisaient campagne pour leur version déformée des « droits des femmes » (ce qui signifiait donner aux femmes tout ce qui est masculin, sauf l’anatomie mâle), le nombre des foyers brisés et d’enfants psychotiques a explosé ! Les masses crédules ont été trompées par l’agenda féministe et d’autres dogmes matérialistes sinistres. En fait, les masses occidentales ont été tellement déboussolées qu’à de nombreux égards, elles sont elles-mêmes à blâmer. Bien qu’une énorme quantité de propagande ennemie ait été diffusée continuellement pendant les dernières décennies, la simple vérité est que les gens ne sont pas obligés de la croire. La triste vérité est que de nombreuses familles ont volontairement renoncé à transmettre à leurs enfants ne serait-ce qu’un semblant de valeurs traditionnelles et patriarcales. En faisant cela, ils font volontairement honte à chacun de leurs ancêtres.

Les fruits bien trop mûrs de l’égocentrisme extrême, d’abord semés à l’époque des Lumières, ont finalement éclaté pour que tout le monde puisse les voir, et quelle affreuse et vraiment tragique vision est-ce là ! Aujourd’hui aux Etats-Unis, presque tous les enfants sont affligés d’un « désordre de déficit d’attention » et d’autisme, entre autres maladies. Bien sûr l’usage de drogues est aussi répandu parmi la jeunesse américaine, ainsi que la violence des gangs et toutes les autres formes de dégénérescence. Pendant ce temps les vrais parents – c’est-à-dire les mères et les pères qui ont transmis des valeurs traditionnelles à leurs enfants – deviennent de moins en moins nombreux.

Maintenant tournons notre attention vers le jumeau idéologique du féminisme : l’agenda homosexuel et la part qu’il joue dans la destruction de la famille hétérosexuelle traditionnelle. Ce n’est certainement pas un hasard si cette forme spécifique de perversion sexuelle a, pendant de nombreuses décennies, été systématiquement imposée aux hétéros dans tout le Monde Occidental. Ce royaume psychotique de dégénérescence pornographique, avec le féminisme et le libéralisme, est l’un des fronts américains les plus visibles de la contre-culture et de l’anti-Tradition.

Quand on examine le sujet de l’activisme homosexuel, on trouvera une surabondance d’Américains libéraux parmi les plus fanatiques défenseurs du « style de vie alternatif ». Les noms qui suivent ne sont que quelques-uns de ceux qu’on peut rencontrer : Harvey Milk, Mark Segal, Mary Bernstein, Brenda Howard, Paul Goodman, Andy Thayer, Larry Kramer et d’autres trop nombreux pour être cités ici. En gros, les Américains libéraux de gauche ont « conquis le marché » (pour ainsi dire) avec l’agenda homosexuel dans leur effort pour pervertir les esprits des masses avides de pop-culture et à la mentalité de troupeau, dans leur propre pays et dans les autres pays. Naturellement, les « icônes » de la pop-culture américaine qui soutiennent les soi-disant « droits des gays » sont alors indispensables à la promotion de l’agenda homosexuel dans le monde entier.

Cependant, dans ces temps de dégénérescence abjecte, dans ces temps de Kali Yuga (comme disent les hindous), peu importe si tel ou tel homosexuel ou féministe déclaré est américain ou pas. Il y a une quantité d’autres activistes homosexuels et féministes dans le monde. Ce qui est important, c’est qu’une écrasante majorité de ces activistes sont des libéraux. En fait, il semblerait qu’ontologiquement, pour devenir un homosexuel ou un féministe, il faille d’abord être un libéral effronté !

Que cette dernière observation de l’auteur soit vraie ou pas, c’est un fait absolu que ces trois dégénérés moraux – l’homosexuel, la féministe et le libéral – sont identiques lorsqu’on en arrive au sens de l’honneur. De même que l’homosexuel trahit l’honneur de la nature, la féministe trahit l’honneur de son genre. Quant au libéral, il ou elle trahit l’honneur de tous les êtres humains. En tant que déformateurs-de-culture, cette anti-Trinité dépravée se révèle dans sa défense commune de l’anarchie érotique totale. En tant que destructeurs-de-culture, l’anti-Trinité est conduite par un sentiment de haine profonde pour tous les aspects du patriarcat et toutes les formes de traditionalisme socioculturel. D’où les facéties dépravées des groupes pro-homosexuels et pro-féministes comme les Femen et les « Pussy Riot ».

Zeus_(Hermitage).jpgSpécialement concernant l’homosexualité, le concept d’honneur n’a même pas un semblant d’existence dans le cerveau d’un homosexuel. L’homosexuel est quelqu’un qui est défini par le sexe ; son désir de sexe est incorporé dans l’être même de l’homosexuel. Cela est facilement constatable dès qu’on a le malheur de croiser le chemin du mâle « ouvertement gay ». Cette pauvre âme perdue, qui a souvent son « boyfriend » en train de glapir joyeusement à coté de lui, ne cessera jamais de tenter d’avoir un contact visuel clair avec chaque mâle assez attirant qui passe dans la rue. Cette pathétique créature n’est manifestement jamais satisfaite sexuellement, et donc il tente d’établir un « contact » avec autant d’hommes que possible, et même au grand plaisir de son partenaire ! Un tel comportement ouvertement « libéré » de la part d’un mâle hétérosexuel conduirait rapidement sa femme ou sa petite amie à le quitter. Mais pas pour l’homosexuel ; car il (ou elle) a une vie de vampirisme – une quête incessante et infatigable pour convertir autant d’autres dégénérés à la perversion gay. Souvent la conversion est faite en échange d’un gain monétaire, comme à Hollywood où des « jeunes talents » sont continuellement « découverts » et ensuite promptement « lancés », simplement pour satisfaire les besoins momentanés des directeurs de studios sodomites.

Le désir pour le même sexe est le coté visible de l’agenda homosexuel. Cependant, il y a aussi un motif caché derrière cela et c’est la destruction de la famille. Plus spécifiquement : la destruction de la famille traditionnelle. Pour chaque personne qui est gay ou lesbienne, c’est la fin de sa lignée familiale. Dans certains cas les lesbiennes portent des enfants par insémination artificielle, mais l’adoption est beaucoup plus fréquente. Et bien sûr tous les groupes d’intérêts spéciaux féministes soutiennent ardemment l’avortement et les styles de vie alternatifs – spécialement pour les femmes seules.

Avant de conclure, disons quelques mots sur l’avortement. Du fait des taux de plus en plus élevés de cette erreur de la Justice Naturelle parmi les parents biologiquement sains, le nombre d’enfants sains décline rapidement. En même temps, et en conséquence, le nombre d’enfants physiquement maltraités et émotionnellement instables augmente. C’est la mission  de l’avortement : convaincre les parents potentiels et sains (spécialement les femmes) qu’il est naturel et même nécessaire de s’engager dans l’activité sexuelle sans le désir de produire des enfants. Et ainsi la mission libérale d’avortement est l’extinction totale de la race humaine – un processus totalement anti-Naturel qui mise sur l’auto-annihilation consciente et volontaire d’une espèce entière. Encore une fois, si l’on regarde le royaume animal, où trouvera-t-on quelque chose de comparable ? Où voit-on un massacre intentionnel de la progéniture ? Quand a-t-on vu une louve frottant intentionnellement son ventre contre un arbre pour tuer l’embryon ? Réponse : jamais. Cela n’arrive pas. Pourtant c’est exactement ce qui se produit aujourd’hui en masse parmi l’espèce humaine.

Par conséquent, la vision-du-monde eurasiste s’oppose résolument à l’horreur de l’avortement – au génocide inspiré par Steinem-Friedan-Abzug et qui se produit en ce moment même. L’eurasiste comprend mieux que quiconque que son enfant représente le futur sacré et le plus précieux de son peuple. Il comprend que ses enfants ont le droit de grandir physiquement, mentalement et émotionnellement pour eux-mêmes, ainsi que pour leur famille, leur culture et leur peuple. En effet, les enfants sont le plus grand investissement que tout être humain peut faire ou fera.

Donc le futur Etat Eurasien devra être fermement opposé au crime de l’avortement dans tous les cas sauf si le fœtus est le produit du viol, de l’inceste, ou si on peut médicalement prouver qu’il est une menace pour la propre survie de la mère ou qu’il est défectueux, c’est-à-dire déformé. Permettre à la vie de naître après ces derniers crimes est en soi criminel et irrationnel pour des humains civilisés (soit dit au passage, c’est un parfait exemple de la manière dont la philosophie morale eurasiste est en opposition avec les valeurs hypocrites de  la religion organisé).

Pour conclure, c’est le rôle du Mouvement Eurasien International de corriger et d’inverser l’actuel cours cataclysmique que nous subissons en tant qu’espèce. De plus, c’est le rôle du dit Mouvement de défendre et de promouvoir les normes patriarcales à l’échelle mondiale, et spécialement dans la culture eurasienne.

Quand la Bête Atlantiste Mondiale sera finalement vaincue en même temps que son idéologie libérale décadente, et dès que le Comité Central du Mouvement Eurasien se sera assuré d’un pouvoir politique durable, les normes patriarcales seront renforcées dans la société eurasienne et ainsi le traditionalisme sera (finalement !) sauvegardé. Le renouveau du patriarcat et du traditionalisme sèmera même de nouvelles racines et deviendra un sujet d’inspiration pour les peuples dans le monde entier.

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samedi, 12 janvier 2019

La théophanie : la signification cosmique du baptême du Christ

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Théologie politique:

La théophanie : la signification cosmique du baptême du Christ

Russia

Steve Turley

Traduction française de Chlodomir

Depuis des siècles, l’Eglise Orthodoxe s’est appropriée le 6 janvier comme l’occasion de se souvenir et de commémorer le baptême du Christ par Jean dans le fleuve Jourdain. La célébration est connue sous le nom de « Théophanie », qui vient de l’ancien grec « apparition d’un dieu ». Dans des passages comme Mathieu 3:13-17, Marc 1:9-11, et Luc 3:21-22, le baptême de Jésus marque la première manifestation explicite de la Sainte Trinité : le Père, le Fils et le Saint-Esprit.

Pour l’Eglise des premiers temps, il était hautement significatif qu’une telle manifestation divine soit associée au rite du baptême, car une telle association reliait la vraie nature du Créateur à la vraie nature de la création. En d’autres mots, la révélation de Dieu en tant que Trinité était inextricablement liée à la révélation de Dieu en tant que Créateur et Rédempteur du cosmos.

L’étude de Kilian McDonnell sur les dimensions cosmiques du baptême de Jésus dans la première pensée chrétienne remarque que le témoignage unanime de ces premiers auteurs était que le Christ fut baptisé non pour ses propres péchés mais pour la purification du cosmos [1]. Ignace d’Antioche, qui était un élève de l’Apôtre Jean, écrivit que Jésus fut baptisé pour sanctifier les eaux du monde et accomplir ainsi la parfaite vertu (Eph. 18:2 ; Smyrn. 1:1). Le martyr Justin (100-165 apr. J.C.) dit que l’onction de Jésus par l’Esprit servait à établir l’identité de Jésus en tant que roi messianique et donc l’incarnation du Logos primordial par lequel toutes les choses furent faites (Dial. 88). La Démonstration de la Prédication Apostolique d’Irénée comprend le baptême de Jésus comme l’intermédiaire par lequel le Père accomplit l’onction du cosmos matériel par l’Esprit, un acte qui révélait dans le temps et dans l’espace l’onction pré-temporelle du Christ par le Père avant la création [2].

Le site du fleuve Jourdain amplifiait la signification cosmique du baptême du Christ. Dans des textes extra-canoniques juifs comme la Vie d’Adam et Eve, le fleuve Jourdain était le fleuve qui coulait dans le Jardin d’Eden. Les chrétiens reprirent cette tradition et l’appliquèrent au baptême du Christ. Hippolyte de Rome (170-235 apr. J.C.) identifiait le Jourdain à un fleuve cosmique allant et venant dans le Paradis restauré dans le Christ, et Grégoire de Nysse (335-394 apr. J.C.) voyait toutes les eaux baptismales comme des extensions du Jourdain, englobant le monde entier, et ayant sa source dans le Paradis.

L’iconographie de la Théophanie témoigne de la signification paradisiaque du Jourdain. Dans le texte juif, la Vie d’Adam et Eve, Adam, ayant été expulsé du Paradis, reste plongé jusqu’au cou dans le Jourdain pendant quarante jours comme acte de repentance pour son péché. Dans l’icône, le Christ se tient debout dans le Jourdain, soit nu soit à peine vêtu, s’identifiant ainsi avec la nudité originelle d’Adam dans le Paradis.

Pour ces premiers chrétiens, l’effet sanctifiant que Jésus eut sur les eaux du Jourdain rend toutes les eaux dignes de servir pour le baptême, de sorte que les chrétiens baptisés participent en fait à une manifestation proleptique [*] de la nouvelle création. Clément d’Alexandrie, après avoir déclaré que le Christ était le chef de toute la création, écrivit : « Pour cette raison le Sauveur fut baptisé, bien qu’il n’en ait pas besoin, afin de sanctifier toutes les eaux pour ceux qui seraient régénérés » (Sélection des Ecrits prophétiques, 4, 5) [3]. L’Enseignement Arménien de Saint Grégoire fournit une appropriation particulièrement pertinente du baptême du Christ pour les chrétiens. C’est le rôle de l’Esprit d’ordonner le cosmos, de changer le désordre en ordre. Quand Adam commit le péché, l’Esprit abandonna non seulement Adam mais le cosmos tout entier. Le baptême du Christ, « en marquant les eaux de ses propres pas, (…) les sanctifia et les rendit purifiantes ». La restauration de la création implique donc « la gloire de l’adoption », dans laquelle le baptême de Jésus restaure l’Esprit pour une nouvelle humanité habitant un ordre créé renouvelé. L’identité de l’initié est dérivée de l’identité de Jésus puisque toutes deux sont forgées au moment du rajeunissement de la création.

La Théophanie est donc un jour de fête qui célèbre le fait que la totalité du cosmos a été incorporée dans la vie, la mort et la résurrection transformatives du Christ. Le Créateur trine rédime la créature aussi bien que la création dans sa propre auto-manifestation en tant que Créateur, Rédempteur, et Sanctificateur. La Théophanie est donc une commémoration de l’Un par qui toutes les choses sont faites, et en qui toutes les choses sont renouvelées.

***

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[1] The Baptism of Jesus in the Jordan: The Trinitarian and Cosmic Order of Salvation (Collegeville: The Liturgical Press, 1996), 24.

[2] McDonnell, Baptism of Jesus, 58.

[*] Proleptique : qualifie un événement qui est fixé ou daté d'après une méthode ou une ère chronologique qui n'était pas encore établie au moment où l’événement en question s’est produit. (NDT)

[3] McDonnell, Baptism of Jesus, 55.

mercredi, 09 janvier 2019

I “concetti teologici secolarizzati" della geopolitica

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I “concetti teologici secolarizzati" della geopolitica
 
Ex: https://www.eurasia-rivista.com

“Geopolitica” è uno di quei termini di cui occorre preliminarmente chiarire il significato, perché da diversi anni se ne fa un vero e proprio abuso, attribuendo ad esso contenuti che non ha ed usandolo per lo più come un sinonimo di “geografia politica”, “relazioni internazionali”, “politica estera”, “geostrategia” ecc. In realtà la geopolitica è un’altra cosa.

Pare che il termine compaia per la prima volta in un manoscritto inedito di Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) del 1679, all’epoca in cui il filosofo era consigliere di corte degli Hannover e, incoraggiato dal principe Giovanni Federico nelle sue iniziative culturali e diplomatiche, si adoperava per favorire la pace religiosa. Ma come fondatori della geopolitica vengono generalmente indicati due studiosi: il geografo ed etnologo tedesco Friedrich Ratzel (1844-1904), fondatore della geografia antropica, e il sociologo, politologo e geografo svedese Rudolf Kjellén (1864-1922). 

Quanto a Ratzel, la sua geografia è considerata “una filosofia darwiniana dello spazio, poiché è animata dalle teorie dell’evoluzione della specie e della lotta per la sopravvivenza, filtrate attraverso l’ottica sociale di Herbert Spencer”[1]. Allo Stato, concepito come un organismo biologico e spazializzato costretto ad espandersi, Ratzel assegna una funzione centrale; ma ritiene fondamentale che gli uomini politici, per comprendere il significato spaziale delle loro decisioni, si impadroniscano delle necessarie conoscenze geografiche.

La prospettiva geografico-politica di Ratzel viene integrata da Kjellén in un tipo di studio che nel 1899 riceve da lui per la prima volta la denominazione di geopolitica. Prima nei suoi corsi all’università di Göteborg, poi in un’opera del 1905, Kjellén definisce la geopolitica come “la scienza dello Stato in quanto organismo geografico o entità nello spazio: ossia lo Stato come paese, territorio, dominio o, più particolarmente, come regno. In quanto scienza politica, essa osserva fermamente l’unità statale e vuol contribuire alla comprensione della natura dello Stato”[2].

La geopolitica come “geografia sacra” secolarizzata?

Per quanto grande sia il peso attribuito dalla geopolitica ai fattori geografici, è dunque essenziale il suo rapporto con la dottrina dello Stato, sicché viene spontaneo porsi una questione che finora non risulta abbia impegnato la riflessione degli studiosi.

La questione, che si colloca tra il sacro e il profano, è la seguente: è possibile applicare anche alla geopolitica la celebre affermazione di Carl Schmitt, secondo cui “tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati”[3]?

L’affermazione di Schmitt riprende una riflessione di Proudhon, che nel 1849 scriveva testualmente: “È sorprendente che al fondo della nostra politica noi trovassimo sempre la teologia”. (“Il est surprenant, qu’au fond de notre politique nous trouvions toujours la théologie”)[4].

Riformuliamo la questione in questi termini: è possibile ipotizzare che la geopolitica rappresenti la derivazione secolarizzata di idee collegate con quella che è stata chiamata la “geografia sacra” da René Guénon[5], autore che peraltro attrasse l’attenzione di Carl Schmitt[6]?  

Se così fosse, la geopolitica si troverebbe in una situazione per certi versi analoga non soltanto alla “moderna dottrina dello Stato”, ma anche ad altre scienze moderne (per citare due soli esempi: la chimica e l’astronomia).

Per essere più esplicito, faccio ricorso ad una citazione dello stesso Guénon: “Separando radicalmente le scienze da ogni principio superiore col pretesto di assicurar loro l’indipendenza, la concezione moderna le ha private di ogni significato profondo e perfino di ogni interesse vero dal punto di vista della conoscenza: ed esse son condannate a finire in un vicolo cieco, poiché questa concezione le chiude in un dominio irrimediabilmente limitato”[7].

Per quanto riguarda in particolare la “geografia sacra”, alla quale – secondo l’ipotesi che abbiamo formulata – si ricollegherebbe in qualche modo la geopolitica, è ancora Guénon a fornirci una sintetica indicazione al riguardo.

“Esiste realmente – egli scrive – una ‘geografia sacra’ o tradizionale che i moderni ignorano completamente così come tutte le altre conoscenze dello stesso genere: c’è un simbolismo geografico come c’è un simbolismo storico, ed è il valore simbolico che dà alle cose il loro significato profondo, perché esso è il mezzo che stabilisce la loro corrispondenza con realtà d’ordine superiore; ma, per determinare effettivamente questa corrispondenza, bisogna esser capaci, in una maniera o nell’altra, di percepire nelle cose stesse il riflesso di quelle realtà.

È per questo – prosegue Guénon – che vi sono luoghi particolarmente adatti a servire da ‘supporto’ all’azione delle ‘influenze spirituali’, ed è su ciò che si è sempre basata l’installazione di certi ‘centri’ tradizionali principali o secondari, di cui gli ‘oracoli’ dell’antichità ed i luoghi di pellegrinaggio forniscono gli esempi esteriormente più appariscenti; per contro vi sono altri luoghi che sono non meno particolarmente favorevoli al manifestarsi di ‘influenze’ di carattere del tutto opposto, appartenenti alle più basse regioni del dominio sottile”[8].

Queste ultime considerazioni di Guénon hanno un evidente rapporto con l’antica nozione del “genius loci”.

Oggi con questa espressione intendiamo semplicemente lo spirito che aleggia in un determinato luogo, la sua atmosfera specifica. Ma nella religione romana veniva chiamato genius loci il nume che presiede ad un luogo e lo protegge, tant’è vero che sul territorio dell’Impero esistevano molti altari dedicati ciascuno ad un particolare genius loci.

E questo perché non esiste alcun luogo che non abbia il suo genio: “Nullus locus sine genio”, afferma Servio commentando il passo dell’Eneide in cui Enea – vedendo sbucare dai recessi della terra un serpente che si accosta agli altari, assaggia le sacre offerte e poi scompare – non  capisce se si tratti del genio del luogo o di uno spirito ministro del padre Anchise (incertus geniumne loci famulumne parentis – esse putet)[9].

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Tracce della “geografia sacra” nella geopolitica

Non è detto, dunque, che una traccia di quella che Guénon chiama “geografia sacra” non sia individuabile in alcune caratteristiche nozioni geopolitiche, le quali potrebbero essere perciò considerate, secondo l’indicazione di Schmitt, “concetti teologici secolarizzati”.

Un caso che si può proporre a questo proposito è costituito dal concetto, eminentemente geopolitico, di confine.

Come è noto, la parola latina che significa “confine” è stata acquisita dal lessico geopolitico, tant’è vero che esiste una rivista di geopolitica intitolata proprio con questa parola: limes.

In origine il termine limes indicava una linea divisoria tracciata fra le porzioni di terreno assegnate ai coloni; in seguito “il suo valore si allargò a indicare più precisamente una strada militare, fortificata, anzi l’insieme stesso delle fortificazioni distese ai confini dell’impero (limes imperii), là dove questi non erano segnati dal mare o da un fiume, cioè da una ripa[10].

La dimensione sacrale di questa nozione diventa evidente allorché si considera che supremo tutore del limes era un dio, Terminus, quello che secondo Ovidio segna i confini di popoli e città e grandi regni: “Tu populos urbesque et regna ingentia finis[11].

Terminus è quel dio che, assieme alla dea Juventas, rifiutò di ritirarsi dal Campidoglio quando Tarquinio il Superbo avrebbe voluto sgombrare il colle dagli altri santuari per erigervi un tempio alla Triade Capitolina (Giove, Giunone e Minerva). Dalla resistenza di Terminus e Juventas si dedusse che il popolo romano non sarebbe mai invecchiato e che le sue frontiere non sarebbero mai state violate[12].

Attraverso la comparazione dei materiali indoiranici, Georges Dumézil ha mostrato che il nome Terminus, prima di essere applicato ad una divinità autonoma e particolare, corrispondeva ad una caratteristica qualità del dio sovrano adorato dai popoli indoeuropei: quella di supremo tutore dei limiti territoriali.

Insomma, la funzione di Terminus era analoga a quella che il rito dei Fratres Arvales riconosceva a Marte in quanto protettore delle messi e dell’abitato agricolo, esortandolo a prender posto sulla “soglia” (limen) dell’ager Romanus per proteggerlo dalle calamità.

D’altronde la storia di Roma ha inizio proprio con una drammatica affermazione della santità dei confini: il fondatore della Città punisce con la morte il fratello che ha violato il perimetro della Roma Quadrata.

Questo episodio illustra nel migliore dei modi l’affermazione di Carl Schmitt secondo cui il nómos – “la prima misurazione da cui derivano tutti gli altri criteri di misura”[13] e quindi la regolamentazione, la norma, la legge – “può essere definito come un muro, poiché anche il muro si basa su localizzazioni sacrali”[14], cosicché la terra, “detta nel linguaggio mitico la madre del diritto (…) reca sul proprio saldo suolo recinzioni e delimitazioni, pietre di confine, mura, case e altri edifici. Qui divengono palesi gli ordinamenti e le localizzazioni della convivenza umana”[15].

Anche il concetto di nómos proviene da una teologia, poiché nella religione greca Nomos è il dio che da Eusebeia (la Pietas) ha generato Dike (la Giustizia).

D’altronde l’originaria essenza teologica di questo concetto risulta evidente anche dalla definizione eraclitea del nómos come “divino” (theios), da quella pindarica come “sovrano” (basileús), da quella platonica e stoica come “dio” (theós). 

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Il katéchon

Ma l’episodio più drammatico in cui il muro appare come simbolo del nómos è forse quello che nella ierostoria coranica ha per protagonista il Bicorne (Dhu’l-qarnayn)[16], correntemente identificato con Alessandro Magno.

Per imprigionare le orde devastatrici di Gog e Magog e frenare i loro assalti, Alessandro fa erigere un baluardo di ferro e di rame, che le orde riusciranno ad abbattere solo alla fine dei tempi, nel momento apocalittico che precederà la parusia anticristica.

La muraglia costruita da Alessandro, in quanto trattiene le orde di Gog e Magog, rientra in quel paradigma che reca il nome greco di katéchon, altro termine che è stato acquisito dal vocabolario geopolitico.

Il katéchon è una “figura” eminentemente teologico-escatologica; ma nell’opera di Carl Schmitt, che come scrive lo stesso giurista[17]si spinge “fino alla soglia dell’escatologia”, tale  “figura” ha dato luogo ad una nozione di filosofia politica che presenta evidenti implicazioni geopolitiche.

In origine, la “figura” del katéchon compare nella Seconda Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi.

San Paolo (o chi per lui, poiché l’autenticità della Seconda Lettera ai Tessalonicesi è ancora in  discussione) afferma che il secondo avvento del Cristo non è imminente; infatti prima della gloriosa parusia del Signore dovrà avvenire la grande apostasia e dovrà manifestarsi colui che nella Lettera viene definito come “l’Uomo dell’iniquità” o “l’Uomo del peccato” (ho ánthropos tês anomías; variante: ho ánthropos tês hamartías), “il Figlio della perdizione” (ho hyiòs tês apoleías), “l’Avversario” (ho antikeímenos), colui che si innalza al di sopra d’ogni cosa divina, fino ad insediarsi nel tempio stesso di Dio come se fosse lui Dio[18].

L’autore della Lettera afferma che il “mistero dell’iniquità” (tò mystérion tês anomías) è in atto già adesso; ma l’epifania finale dell’iniquità è frenata e ritardata da qualcosa o qualcuno che viene indicato prima con un participio neutro, tò katéchon, “ciò che trattiene”, poi con un participio maschile, ho katéchon, “colui che trattiene”; alla fine, quando questa enigmatica forza frenante e rallentatrice sarà tolta di mezzo, la potenza dell’empietà si rivelerà compiutamente e il Signore Gesù Cristo la distruggerà “col soffio della sua bocca” (tôi pneúmati toû stómatos autoû)[19].

Nella sua produzione scientifica, Schmitt utilizza per la prima volta il concetto di katéchon in un breve scritto del 1942 apparso in “Das Reich” sotto il titolo Beschleuniger wider Willen [20].

“Tertulliano e altri autori – egli scrive – vedevano nel vecchio imperium romanum di allora il rallentatore, ovvero il fattore che con la sua semplice esistenza ‘tratteneva’ l’eone, determinando un rinvio della fine. Il Medioevo europeo ha ripreso questa credenza, e molti avvenimenti essenziali della storia medioevale sono comprensibili solo in questa prospettiva”[21].

In effetti, nell’esegesi neotestamentaria l’identificazione della figura paolina del katéchon con l’Impero Romano rimase preponderante, dall’epoca patristica in poi.

Per quanto concerne l’opera di Schmitt, il katéchon vi ricorre come la forza frenante che tenta di opporsi alla distruzione di un ordinamento politico, quindi come il lato più propriamente spirituale del nómos della terra.

Ben prima che si parlasse correntemente di “globalizzazione”, Carl Schmitt aveva capito che l’egemonia anglo-americana avrebbe cancellato ogni distinzione e pluralità spaziale, unificando il mondo per mezzo della tecnica e delle strategie economiche e assoggettandolo ad una sorta di “polizia internazionale”.

A questa prospettiva di un mondo spazialmente uniforme e indifferenziato, sradicato dai suoi fondamenti terranei, Schmitt contrappone l’idea che non può esservi Ordnung senza Ortung, ossia che non può esistere un vero ordinamento mondiale senza una localizzazione geografica.

In altri termini, Schmitt sostiene la necessità di un nuovo nómos della terra, ossia di una differenziata suddivisione dello spazio terrestre. Ma dovrà trattarsi di una suddivisione che superi l’angustia territoriale dei vecchi Stati nazionali, ormai inadeguati nell’epoca degli Stati continentali, e realizzi il principio dei “grandi spazi”; al centro dei quali – questa era la speranza di Schmitt fino al 1942 – dovrebbe tornare a porsi l’Europa, autentico katéchon di fronte alla minaccia dell’uniformazione planetaria, che inevitabilmente assume un marchio anticristico.

L’Anticristo, infatti, viene presentato da San Paolo come ho ánomos, “l’iniquo”;

ma il greco anomía, che noi traduciamo correntemente con “iniquità”, è propriamente la negazione del nómos, per cui Schmitt riconosce nella anomía anticristica la radice di quella sinistra parodia dell’Impero che è il globalismo americanocentrico, forma attuale di quello che una volta veniva chiamato “imperialismo americano”, o meglio “statunitense”.

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L’Impero

Il fatto che l’esegesi neotestamentaria sia stata per lo più incline a riconoscere l’Impero romano nell’enigmatica figura paolina del katéchon ci induce a rinnovare in relazione all’idea di Impero l’interrogativo dal quale siamo partiti. Insomma, dobbiamo vedere anche nel concetto geopolitico di Impero il prodotto di un pensiero teologico?

Un glossario geopolitico compilato in ambito accademico definisce l’Impero come uno “Stato dalle grandi dimensioni al cui interno convivono, più o meno liberamente e più o meno paritariamente, diverse nazioni e, conseguentemente, il cui principio costitutivo non sia nazionale. Normalmente si tende a parlare di impero quando questa forma di Stato si è formata [sic] attorno ad una nazione che ne ha il ruolo di guida”[22].  

In maniera più adeguata, forse, l’Impero potrebbe essere definito come “un tipo di unità politica che associa delle etnie, dei popoli e delle nazioni diverse ma imparentate e riunite da un principio spirituale. Rispettoso delle identità, [l’Impero] è animato da una sovranità fondata sulla fedeltà più che sul controllo territoriale diretto”[23].

Infatti ogni manifestazione storica del modello imperiale si è configurata, al di là della sua dimensione geografica e della varietà etnica e confessionale della popolazione corrispondente, come un ordinamento unitario determinato da un principio superiore.

Se ci limitiamo a considerare le forme di Impero che nacquero nell’area del Mediterraneo e del Vicino Oriente, sembra di poter constatare che a creare il modello originario dell’ordinamento imperiale sia stata la civiltà dell’antico Iran, la quale probabilmente attinse tale concezione dal mondo assiro e babilonese.

Se entro i confini della Persia antica il fondamento di tale concezione è la dottrina dell’onnipotenza di Ahura-Mazda, il dio creatore del cielo e della terra che ha assegnato al “Re dei re” la signoria su popoli diversi, in Babilonia e in Egitto i sovrani achemenidi fanno riferimento alle forme religiose locali e in tal modo “assumono il carattere di re nazionali dei diversi paesi, mantenendo in ciascuno di quelli la tradizionale figura di monarca di diritto divino”[24]

Come sappiamo, il modello persiano ispira ad Alessandro un progetto di monarchia sovranazionale che, attraverso i regni ellenistici, si realizza nell’Impero romano, del quale sono noti i fondamenti concreti: il comune ordinamento legale (che convive con una molteplicità di fonti giuridiche), la diffusione della lingua latina (accanto al greco ed alle lingue locali), la difesa militare delle frontiere, l’istituzione di colonie destinate a diventare centri di irradiamento dell’influsso romano nelle province confinarie, una moneta imperiale comune (accanto alle monete provinciali e municipali), un’articolata rete stradale, i trasferimenti di popolazione.

La tradizione romana comporta un concetto teologico di Impero che troviamo enunciato nell’Eneide: Virgilio evidenzia il carattere metastorico dell’idea di Impero, presentandolo come l’archetipo di un ordinamento politico perfetto. 

Nel libro I del poema è Giove stesso che traccia il destino di Roma, dall’arrivo di Enea nel Lazio fino all’instaurazione del principato augusteo. Con una promessa solenne il Padre degli uomini e degli dèi assegna ai discendenti di Enea una potenza illimitata: “His ego nec metas rerum nec tempora pono; – imperium sine fine dedi[25].

Imperium sine fine” è un impero non vincolato dai limiti spaziali e temporali di altre analoghe organizzazioni geopolitiche.

Sine fine”, a mio parere, significa che la possibilità dell’Impero è perenne nella sua universalità e quindi trascende ogni contingenza storica.

Storicamente, ciò è confermato dal fatto che nel Medio Evo l’Impero Romano rinacque, per iniziativa germanica, assumendo la forma del Sacro Romano Impero.

La teologia romana dell’Impero trova il suo culmine nel libro VI dell’Eneide, al termine del lungo discorso con cui l’anima di Anchise indica ad Enea il destino delle anime che si assiepano sulle rive del fiume Lete.

Il lapidario comandamento di Anchise è formulato in questi tre versi celeberrimi: “Tu regere imperio populos, Romane, memento – (hae tibi erunt artes) paci[s]que imponere morem, – parcere subiectis et debellare superbos[26]. “Tu ricorda, o Romano, di governare i popoli – (sarà questa la tua arte) e di imporre costumi di pace, – usar clemenza a chi si arrende, ma abbattere i tracotanti”.

Imperium sine fine”: mezzo millennio dopo Cesare e dopo Augusto, viene deposto l’ultimo imperatore d’Occidente, ma l’Impero romano continua ad esistere per altri mille anni nella sua parte orientale.

Nonostante lo si chiami correntemente “bizantino”, fu un Impero romano, come sottolinea uno dei suoi massimi storici, Georg Ostrogorsky: “Struttura statale romana, cultura greca e religione cristiana sono le fonti principali dello sviluppo dell’impero bizantino. (…) L’impero, eterogeneo dal punto di vista etnico, fu tenuto unito dal concetto romano di stato e la sua posizione nel mondo fu determinata dall’idea romana di universalità. (…) Si forma tutta una complessa gerarchia di stati, al cui vertice è l’imperatore di Bisanzio, imperatore romano e capo dell’ecumene cristiana”[27].

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“Impero Romano turco e musulmano”

In seguito alla conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani, sorgono due nuove e distinte forme imperiali, nelle quali è possibile scorgere l’impronta dell’Impero romano. Sono l’Impero ottomano e l’Impero russo.

Come scrive un altro grande storico, Nicolae Iorga, “Dopo più di mille anni il Sultano turco rifaceva l’opera di Costantino il Grande”[28], cosicché “il dominio ottomano non significava altro che una nuova Bisanzio, con un nuovo carattere religioso per la dinastia e l’esercito”[29]. Perciò nella visione di Iorga[30] l’Impero ottomano costituì – cito ancora una volta le sue parole – “l’ultima ipostasi di Roma, (…) la Roma musulmana dei Turchi”[31].

In modo analogo si esprime Arnold Toynbee: “l’Impero Romano greco e cristiano cade per risorgere nella forma di un Impero Romano turco e musulmano”[32].

In effetti, di fronte all’evento epocale della conquista ottomana di Costantinopoli e al conseguente insediarsi della nuova dinastia nella capitale dell’Impero Romano, i principi dell’Europa cristiana si resero conto di assistere ad un trapasso di autorità e di poteri che trasferiva alla Casa di Osman l’eredità dei Cesari. Lo stesso Papa di Roma, Pio II, proponeva a Mehmed II il Conquistatore di farsi riconoscere come “legittimo imperatore dei Greci e dell’Oriente mediante un pochino d’acqua (aquae pauxillum)”, mostrandosi desideroso di battezzarlo e di accoglierlo nella cerchia dei sovrani cristiani e ammettendo in tal modo, sia pure implicitamente, che il Sultano era già, quanto meno de facto, imperatore romano.

D’altronde, come scriveva testualmente Giorgio Trapezunzio (1395-1484) in una delle due orationes indirizzate al Sultano nel 1466, a Roma “nessuno dubitava ch’egli fosse di diritto imperatore dei Romani”.

Infatti, affermava il filosofo cretese, ripetendo un’argomentazione consueta in quegli anni, “imperatore è colui che a giusto titolo possiede la sede dell’Impero, e la sede dell’Impero Romano è Costantinopoli. Chi dunque possiede di diritto Costantinopoli è imperatore”. E proseguiva: “Ma non dagli uomini, bensì da Dio tu desumi, mediante la tua spada, il possesso del trono suddetto. Quindi tu sei legittimo imperatore dei Romani! Chi dunque continua ad essere imperatore dei Romani, è anche imperatore di tutto l’orbe terracqueo!” Nessuno, concludeva il Trapezunzio, avrebbe potuto meglio di Mehmed fondere in un solo impero, con l’aiuto di Dio, tutte le genti dell’Europa e dell’Oriente[33].

Va poi menzionato il riconoscimento ufficiale ed esplicito proveniente dalla Repubblica di Venezia: Mehmed II era Imperatore di Costantinopoli e quindi gli spettavano di diritto tutti i territori dell’Impero bizantino, tra cui anche le vecchie colonie greche della Puglia: Brindisi, Taranto e Otranto.

Quanto a Firenze, Lorenzo il Magnifico fece coniare una medaglia sulla quale, accanto all’immagine del Sultano Conquistatore, si leggeva: “Mahumet, Asie ac Trapesunzis Magneque Gretie Imperat[or]”. L’espressione Magna Gretia designa qui non l’Italia meridionale, bensì quella che, a paragone di Trebisonda (Trapesus), cioè della “piccola Grecia”, è la “grande Grecia”, vale a dire Bisanzio col suo vasto entroterra.

Altre due medaglie, che parlano anch’esse un linguaggio inequivocabile in ordine al riconoscimento del carattere romano rivestito dall’imperium ottomano, furono fatte coniare nel 1481 da Ferrante d’Aragona. Le rispettive iscrizioni qualificavano Mehmed II “Asie et Gretie imperator” e “Bizantii imperator”. Dunque: imperatore bizantino, imperatore della Grecia e dell’Asia.

Ma il primo ad essere consapevole di questa eredità era lo stesso Mehmed, che sul modesto abito di panno nero portava l’aquila bicefala dei basileis. Oltre ad Alessandro Magno, il modello ideale scelto da Mehmed era Giulio Cesare; “e dice che la sede di Costantino gli è concessa dal cielo e che questa sede sembra esser in verità Roma, non Costantinopoli (hanc vero Romam esse, non Constantinopolim videri), e ciò esser giusto e corrispondere bene, come se, presa la figlia con la forza, possa prendersi anche la madre…”[34].

Insomma, “persino la corte dei sultani, eredi della potenza bizantina (…), prese ad imitare nell’organizzazione e nello splendore quella che Costantino VII Porfirogenito ci ha così efficacemente rappresentato nel suo de coeremoniis. Lo stesso titolo sultaniale di “ombra di Dio sulla terra” riecheggiava la dottrina che era stata esposta nel 527 da Agapito, diacono di Santa Sofia, in occasione dell’incoronazione di Giustiniano. Degno di nota è in particolare il fatto che Solimano il Magnifico “pretese di assumere il titolo di ‘imperatore’ e di negarlo, secondo la politica di Bisanzio nei confronti dell’occidente, a Carlo V”[35]

D’altronde Solimano I (che in turco non è chiamato “il Magnifico”, bensì Qanuni, ossia “Legislatore”, dal greco kanón, che è il “Canone” di Giustiniano, il corpus juris civilis) era solito presentarsi come “Signore dei Signori (…) Signore della Grecia, della Persia e dell’Arabia (…) Signore del Mar Nero e d’ogni altro mare, nonché della città santa della Mecca, fulgente di tutta la luce di Allah, della città di Medina e della santa e casta città di Gerusalemme; Principe di tutta l’Ungheria e sovrano di molti altri regni e territori, sui quali esercito la mia autorità imperiale (…)”[36].

Già nel 1538, dopo il trionfo moldavo, il Magnifico si era proclamato, in una sua poesia, “Scià dell’Iran, imperatore dei Romani, sultano dell’Egitto”. Nei versi di un altro sultano, viene ripetuto il titolo di zar: “Sono zar di Zarigrado (= Istanbul) – e zar di Macedonia, – zar dei greci, dei serbi e dei moldavi, – e zar di Babilonia. – Sono zar di Podolia e di Galizia, – e della nobile Crimea, – zar d’Egitto e d’Arabia – e zar di Gerusalemme”[37].

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La Terza Roma

Intanto Mosca si preparava a diventare, in una nuova metamorfosi dell’Impero, la “Terza Roma”. A coniare questa definizione fu un monaco ortodosso russo, lo starec Filofej, che tra il 1523 e il 1524, in un messaggio inviato al granduca di Moscovia Basilio III, enunciò l’idea di Mosca quale “terza Roma” nei termini seguenti.

“La Chiesa dell’antica Roma è caduta a causa dell’eterodossia dell’eresia apollinarista [che negava l’integrità dell’anima umana del Cristo]. La seconda Roma – la Chiesa di Costantinopoli – è stata fatta a pezzi dalle scuri dei figli di Agar e ora questa Terza Roma del tuo potente regno – la Chiesa santa cattolica e apostolica – illuminerà l’universo intero come fa il sole… Sappi e riconosci, pio Zar, che tutti i regni cristiani si sono compendiati nel tuo; che la prima e la seconda Roma sono cadute; e che ora si erge una terza Roma, alla quale non succederà mai una quarta: il tuo regno cristiano non cadrà in potere di nessun altro”.

Parlando di Roma e di Mosca, Filofej non intendeva indicare le due città come capitali politiche universali. Per lui “Roma” significava la prima capitale religiosa del cristianesimo, che, cadendo nell’eresia, aveva lasciato a Bisanzio, la seconda Roma, il compito di custodire la vera fede. Il crollo della prima Roma era stato un crollo spirituale; quello della seconda era stato anche un crollo politico.

Secondo gli Ortodossi, dunque, Bisanzio era stata annientata e l’Occidente cattolico era preda dell’eresia. Perciò la Russia, che aveva preservato l’indipendenza nazionale, era diventata l’unico baluardo della fede ortodossa.

Filofej non pensava alla Russia come ad una Terza Roma con connotazione politica, ma solo ad una Terza Roma religiosa. Tuttavia nella sua tesi c’era un’implicazione politica e geopolitica: l’idea di Mosca quale Terza Roma comportava l’idea della centralità della Russia.

Heartland

Arriviamo così ad un altro caso in cui un concetto religioso trasmette la sua forza ad un concetto geopolitico.

Alla centralità della Russia nel continente eurasiatico corrispondono infatti i caratteristici termini introdotti nel lessico geopolitico da Sir Halford John Mackinder (1861-1947): Heartland (lett. “territorio cuore”), pivot-state (“Stato perno”) e pivot area (“area perno”)[38].

Secondo Mackinder, che enuncia la sua tesi nel 1904, esiste una gigantesca fortezza naturale, inaccessibile alla potenza marittima: si tratta di quell’area, compresa fra l’Asia centrale e l’Oceano Artico, dalla quale si sono irradiate, fino al XVI secolo, le successive invasioni (di Unni, di Mongoli e Tartari, di Turchi) che hanno interessato la Cina, l’India, il Vicino Oriente e l’Europa. Il dominio di quest’area, che egli chiama inizialmente “area perno” (“pivot area”) e poi “territorio cuore” (“heartland”), garantirebbe il dominio della massa continentale eurasiatica e quindi del mondo. Nel 1919, quando ritiene che il pericolo per l’Inghilterra provenga dalla Germania, Mackinder sposta più ad ovest i confini occidentali dell’area-perno; li colloca più ad est nel 1943, quando giudica più pericolosa la Russia. In ogni caso, per impedire l’unità continentale ed assicurare alle potenze marittime il predominio sul resto del mondo, secondo Mackinder occorre interporre fra la Germania e la Russia, come un diaframma, un’Europa centro-orientale garantita dalla Società delle Nazioni.

Questi termini, che riprendono concetti d’origine orientale circolanti negli ambienti della Phabian Society frequentati dal geografo inglese, richiamano in maniera esplicita il simbolismo del cuore ed il simbolismo assiale e ripropongono in qualche modo quell’idea di “Centro del Mondo” che le culture tradizionali rappresentano attraverso una varietà di simboli, geografici e non geografici.

La storia delle religioni ci insegna che l’homo religiosus “aspira a vivere il più possibile vicino al Centro del Mondo e sa che il suo paese si trova effettivamente nel centro della superficie terrestre”[39]; questa convinzione non è scomparsa insieme con quella che Mircea Eliade chiama la visione “arcaica” del mondo, ma ha lasciato le sue tracce in contesti storico-culturali più recenti.  

Fino all’epoca delle grandi scoperte geografiche, fa notare Carl Schmitt, gli uomini avevano “un’immagine mitica del cielo e della terra”, per cui “ogni popolo potente si considerava il centro della terra e guardava ai propri domini territoriali come alla casa della pace, al di fuori della quale regnavano guerra, barbarie e caos”[40].

In realtà, ciò era vero già molto prima delle grandi scoperte geografiche. Per esempio, secondo la geografia sacra dell’Avesta zoroastriano, la sede originaria degli Ariani, cioè degli Irani, Airyanem Vaejah, si trova al centro di Xvaniratha, che fra i sette cosiddetti “climi” (karshvar) della terra è quello centrale, circondato dagli altri sei. Lì, nel centro della zona centrale, dove nacque Zarathustra, alla fine dei tempi nascerà l’ultimo Saoshyant (l’ultimo Salvatore), che ridurrà all’impotenza Ahriman e porterà a compimento la resurrezione e l’esistenza ventura.

Troviamo una rappresentazione analoga anche in una fase successiva della civiltà persiana. Il Kitâb al-tafhîm di Mohammad al-Birûnî (che visse nei secc. IV e V dell’Egira, ossia tra il X e l’XI dell’era volgare) contiene uno schema geografico in cui l’Iran è rappresentato dal cerchio centrale; intorno a questo cerchio centrale sono raggruppati altri sei cerchi, che a loro volta rappresentano: 1) Turkestan, 2) Cina, 3) India, 4) Arabia e Abissinia, 5) Siria ed Egitto, 6) area bizantina e mondo slavo.

Attualmente l’idea della centralità iraniana si esprime nell’uso del termine heartland in riferimento all’Iran stesso: un uso, questo, che è riscontrabile nei discorsi di alcuni esponenti della classe religioso-politica della Repubblica Islamica. In un’intervista apparsa sulle pagine di “Eurasia”, un hojjatoleslam iraniano dichiara testualmente: “Il movimento religioso e strategico della Rivoluzione Islamica ha assegnato all’Iran una funzione geostrategica. (…) L’Iran si è trasformato nell’heartland geostrategico”[41].

È vero che sono diversi i paesi e le regioni correntemente definiti come “centrali” relativamente all’area geografica alla quale appartengono: l’Europa centrale o Europa di Mezzo (Mitteleuropa, Zwischeneuropa), l’Italia centrale, l’Asia centrale, l’America centrale ed anche la Repubblica Centroafricana.

Ma l’idea di una centralità rispetto alla totalità del mondo terrestre si trova nel nome tradizionalmente usato dagli abitanti della Cina per designare il loro Paese: Chong-kuo, letteralmente “Paese del Centro”.

Il simbolismo islamico dell’Occidente

Mentre la Cina è, ancora oggi, il “Paese del Centro”, l’Europa, in seguito alle due svolte storiche del 1945 e del 1989, è stata inglobata in quella grande area geopolitica che, essendo egemonizzata dagli Stati Uniti d’America, viene chiamata “Occidente”.

Non sarà perciò privo d’interesse vedere qual è il significato che il simbolismo tradizionale assegna a questo punto cardinale.

Nella tradizione indù la distribuzione tradizionale delle caste nello spazio cittadino assegna ai brahmana i quartieri settentrionali, mentre agli kshatriya spetta l’est ed ai vaishya il sud; “per gli shudra rimane soltanto l’ovest, considerato il lato dell’oscurità”[42].

Per quanto concerne l’Islam, il simbolismo geografico si sviluppa a partire dal versetto coranico in cui Allah è chiamato “Signore dei due Orienti e dei due Occidenti” (Rabbu l-mashriqayni wa rabbu l-maghribayni)[43].

Secondo l’esegesi della gnosi sciita, il versetto allude a quattro orizzonti metafisici, quattro realtà archetipiche divine (haqâ’iq mutaassila ilâhîya); due di esse, l’Intelligenza universale e l’Anima universale, si trovano ad oriente della Realtà vera (mashriq al-haqîqat), mentre le altre due si trovano ad occidente, e sono la Natura universale e la Materia universale”[44].

Nella cosmologia di Avicenna, quale essa traspare dal Racconto di Hayy ibn Yaqzân di Ibn Tufayl[45], lo schema del mondo “divide la totalità dell’essere pensabile in un Occidente cosmico e in un Oriente cosmico”[46]. Ma questo Oriente cosmico non coincide con l’est delle nostre carte geografiche; esso è il polo celeste, il centro di ogni orientamento, e deve essere cercato nella direzione del nord cosmico, dove si trova la Terra di Luce.

In questo schema, l’Occidente “rappresenta il mondo materiale sensibile, ed è duplice: vi è il ‘clima’ [ossia la zona] della Materia terrestre sublunare, quello della nostra Terra materiale, soggetto alla generazione e alla dissoluzione; e vi è il ‘clima’ [la zona] della Materia celeste, quello delle Sfere costituite d’una sostanza eterica, diafana e incorruttibile, ma che tuttavia rientra ancora nella fisica”[47].

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Il simbolismo dantesco dell’Occidente

Se la gnosi islamica vede nell’Occidente il simbolo di una Materia che non è solo terrestre, ma acquisisce nel mondo celeste una sua dimensione più “sottile”, il Poema sacro di Dante assegna a questo punto cardinale una valenza che attiene all’aspetto più tenebroso e mortale della materia.

Infatti nel canto XXVI dell’Inferno, mentre viene confermata la santità dei confini collocati da Ercole sul limite occidentale del Mediterraneo “acciò che l’uom più oltre non si metta”[48], l’Ulisse dantesco rievoca così il discorso con cui egli aveva esortato i propri compagni ad affrontare il “folle volo”: “O frati, dissi, che per cento milia – perigli siete giunti all’occidente (…)”[49].

Se ci sforziamo di intravedere qualcosa di quel senso allegorico che, per espressa dichiarazione di Dante, si trova celato dietro il senso letterale “delli versi strani”, possiamo supporre che l’Occidente evocato da Ulisse nella sua “orazion picciola” non si esaurisca nell’accezione spaziale e geografica del termine, ma simboleggi la prossimità a quel limite che l’uomo non deve violare.

Ricordiamo che la parola “Occidente” trae origine dal participio latino del verbo occĭdo, il quale, essendo composto di ob e di cado, significa “cadere”, “morire”. Sol occĭdens è dunque il “Sole che tramonta”, il “Sole che muore”, e designa il luogo in cui ha inizio il regno della tenebra e della morte. Lì termina il cosmo degli uomini e inizia quello che Dante chiama il “mondo sanza gente”.

Non è escluso che l’Occidente dantesco, data la polivalenza semantica del simbolismo, indichi anche una fase temporale, cosicché un senso ulteriore del discorso di Ulisse sarebbe questo: i suoi compagni, in quanto “vecchi e tardi”, sono giunti “a l’occidente” della vita, cioè in prossimità della morte.

E siccome essi rappresentano la nostra umanità, l’umanità europea, in base a questa possibile accezione del simbolo saremmo indotti ad intendere che l’Europa doveva arrivare – e vi sarebbe effettivamente arrivata proprio al tempo di Dante – in prossimità di quella fase della sua esistenza che, secondo René Guénon, “ha rappresentato in realtà la morte di molte cose”.

D’altronde l’Occidente, il luogo della tenebra, è anche un simbolo di quello che Martin Heidegger ha chiamato “l’oscuramento del mondo”. “Mondo” – spiega lo stesso Heidegger – “si deve sempre intendere in senso spirituale”, sicché “l’oscuramento del mondo implica un depotenziamento dello spirito”. E la situazione dell’Europa, prosegue Heidegger, “risulta tanto più fatale e senza rimedio in quanto il depotenziamento dello spirito proviene da lei stessa”.

Secondo Heidegger, l’oscuramento del mondo, “anche se è stato preparato in passato, si è definitivamente verificato a partire dalla condizione spirituale della prima metà del secolo XIX”[50], cioè col trionfo del razionalismo contemporaneo, del materialismo, dell’individualismo liberale. D’altra parte, questo oscuramento del mondo è proceduto di pari passo con quella che Serge Latouche ha chiamata “l’occidentalizzazione del mondo”[51].

L’inferno, nel fondo del quale è finito quell’Ulisse dantesco che lasciò l’Europa per inoltrarsi nella tenebra occidentale, è un Occidente perenne, perché la luce non vi splende mai. Dante può uscire da questa eterna tenebra occidentale e infernale solo perché è guidato da Virgilio, il poeta dell’Impero; il poeta di un Impero che, come è detto esplicitamente in Paradiso, VI, 4-6, è per la sua stessa origine legato allo spazio europeo e mediterraneo: “cento e cent’anni e più l’uccel di Dio – ne lo stremo d’Europa si ritenne, – vicino a’ monti de’ quai prima uscìo”[52].

È infatti il caso di ricordare che, secondo Dante, l’Aquila imperiale (“l’uccel di Dio”) spiccò il suo volo partendo da “lo stremo d’Europa”, cioè dall’odierna Anatolia, là dove sorgeva Troia, patria di Enea, antenato di Romolo.

Della riva orientale del Mediterraneo era originaria la stessa Europa, la fanciulla che fu amata da Zeus e diede il proprio nome al nostro subcontinente (a questa “penisoletta avanzata dell’Asia”, sein vorgeschobenes Halbinselchen Europa[53], per dirla con Nietzsche).

Ciò potrebbe indurci a riflettere sul fatto che per i Greci e per i Romani, e poi ancora per gli uomini del Medioevo, l’Europa si estendeva verso oriente molto più che non nell’età moderna e in quella contemporanea; ma questo sarebbe un altro discorso, che implicherebbe questioni molto attuali e dibattute, come ad esempio quella relativa allo statuto (culturale e geopolitico) della Turchia rispetto all’Europa.


NOTE

[1] Carlo Jean, Geopolitica, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 26.

[2] Stormakterna. Konturer kring samtidens storpolitik, första delen. Ried. Hugo Gebers förlag, Stockholm 1911, p. 95. Trad. fr., Les grandes puissances. Des contours de la grande politique contemporaine, première partie, p. 39.

[3] Carl Schmitt, Teologia politica, in Le categorie del ‘politico’, Il Mulino, Bologna 1972, p. 61.

[4] Pierre-Joseph Proudhon, Les confessions d’un révolutionnaire, pour servir à l’histoire de la révolution de février, “La voix du peuple”, Paris, 1849, p. 61.

[5] René Guénon, Il regno della quantità e i segni dei tempi, Edizioni Studi Tradizionali, Torino 1969, p. 162. Una decina d’anni prima di pubblicare Il regno della quantità, Guénon aveva patrocinato la pubblicazione, su “Études traditionnelles”, di uno studio di Vasile Lovinescu sulla “Dacia iperborea”. L’Autore, che si firmava con lo pseudonimo di “Geticus”, dichiarava esplicitamente la propria intenzione di applicare i criteri della “geografia sacra, (…) fra tutte le scienze tradizionali la più dimenticata in Occidente” (Geticus, La Dacia iperborea, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1984, p. 18.

[6] Cfr. Cristiano Grottanelli, Mircea Eliade, Carl Schmitt, René Guénon, 1942, “Revue de l’histoire des religions”, tome 219, n. 3, 2002, pp. 325-356. La crise du monde moderne è citata da Schmitt in Der Leviathan in der Staatslehre des Thomas Hobbes, Stuttgart 1982, pp. 44-45.

[7] René Guénon, La crisi del mondo moderno, Edizioni dell’Ascia, Roma 1953, p. 66.

[8] René Guénon, Il regno della quantità e i segni dei tempi, cit., ibidem.

[9] Virgilio, Eneide, V, 84-96.

[10] W. Kubitschek, Limes, in Enciclopedia Italiana, 1934.

[11] Ovidio, Fasti, II, 659.

[12] Dionigi di Alicarnasso, II, 74. “Juventas Terminusque maximo gaudio patrum vestrorum moveri se non passi” (Livio, V, 54; cfr. I, 55, 3 s.). “nempe deorum – cuncta Jovi cessit turba, locumque dedit. – Terminus, ut veteres memorant, inventus in aede, – Restitit et magno cum Jove templa tenet” (Ovidio, Fasti, II, 667-670).

[13] Carl Schmitt, Il nomos della terra, Adelphi, Milano 1991, p. 54.

[14] Carl Schmitt, Il nomos della terra, cit., p. 59.

[15] Carl Schmitt, op. cit., p. 19.

[16] Corano, XVIII, 82-98.

[17] Carl Schmitt, Lettera a Álvaro d’Ors del 13 settembre 1951, cit. nell’Epilogo di Günther Maschke in: C. Schmitt, Stato, grande spazio, nomos, Adelphi, Milano 2015, p. 492, n. 1.

[18] “Ne quis vos seducat ullo modo; quoniam nisi venerit discessio primum, et revelatus fuerit homo peccati, filius perditionis, qui adversatur et extollitur supra omne, quod dicitur Deus aut quod colitur, ita ut in templo Dei sedeat ostendens se tamquam sit Deus” (Thess. II, 2, 3-4).

[19] “Non retinetis quod, cum adhuc essem apud vos, haec dicebam vobis? Et nunc quid detineat scitis, ut reveletur in suo tempore. Nam mysterium iam operatur iniquitatis; tantum ut qui tenet nunc teneat, donec de medio fiat. Et tunc revelabitur ille iniquus, quem Dominus Iesus interficiet spiritu oris sui” (Thess. II, 2, 5-8).

[20] Trad. it.: Carl Schmitt, Acceleratori involontari, in: Stato, grande spazio, nomos, cit., pp. 199-213.

[21] Carl Schmitt, Acceleratori involontari, in: Stato, grande spazio, nomos, cit., p. 209.

[22] Enrico Squarcina, Glossario di geografia politica e geopolitica, SEB, Milano 1997, p. 82.

[23] Louis Sorel, Ordine o disordine mondiale?, in L. Sorel – R. Steuckers – G. Maschke, Idee per una geopolitica europea, Milano 1998, p. 39.

[24] Pietro de Francisci, Arcana imperii, vol. I, Roma 1970, p. 168.

[25] Verg., Aen. I, 278-279.

[26] Verg., Aen. VI, 851-853.

[27] Georg Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino 1993, pp. 25-26.

[28] Nicolas Iorga, Byzance après Byzance, Paris 1992, p. 48.

[29] Nicolas Iorga, Formes byzantines et réalités balkaniques, Paris-Bucarest 1922, p. 189.

[30] La visione di Iorga coincide con quella di Arnold Toynbee: “The Greek Christian Roman Empire fell to rise again in the shape of a Turkish Muslim Roman Empire” (Arnold Toynbee, A Study of History, 2a ed., London – New York – Toronto 1948, vol. XII, p. 158).

[31] Nicolae Iorga, The Background of Romanian History, Cleveland, 17 febbr. 1930, cit. da Ioan Buga, Calea Regelui, Bucureşti 1998, p. 138.

[32] Arnold Toynbee, A Study of History, vol. XII, 2a ed., London – New York – Toronto 1948, p. 158.

[33] A. Mercati, Le due lettere di Giorgio da Trebisonda a Maometto II, “Orientalia Christiana Periodica”, IX, 1943, pp. 65-99.

[34] Nicola Sagundino, in: AA. VV., La caduta di Costantinopoli, Milano 1976, II, pp. 132-133.

[35] Pietro de Francisci, Arcana Imperii, Roma 1970, III, t. II, p. 239.

[36] Fairfax Downey, Solimano il Magnifico, Milano 1974, p. 307.

[37] Gianroberto Scarcia, Storia della letteratura turca, Milano 1971, p. 68.

[38] Halford John Mackinder, The geographical pivot of history, “The Geographical Journal”, vol. XXIII, n. 4, Aprile 1904, pp. 423-444. È prevista la pubblicazione della traduzione italiana di questo fondamentale testo della geopolitica sul n. 50 di “Eurasia”.

[39] Mircea Eliade, Il sacro e il profano, Boringhieri, Torino 1967, p. 42.

[40] Carl Schmitt, Stato, grande spazio, nomos, Adelphi, Milano 2015, p. 294.  

[41] Intervista all’hojjatolislam Abolfazl Emami Meybodi, a cura di C. Mutti, “Eurasia”, 1/2018, genn.-marzo 2018.

[42] R. Guénon, Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano 1994,p. 96.

[43] Corano, LV, 17.

[44] H. Corbin, L’immagine del Tempio, cit., pp. 89-90.

[45] Ibn Tufayl, Epistola di Hayy ibn Yaqzân, Rusconi, Milano 1982.

[46] H. Corbin, Corpo spirituale e terra celeste, cit., p. 94.

[47] Ibn Tufayl, Epistola di Hayy ibn Yaqzân, Rusconi, Milano 1982.

[48] Inf. XXVI, 109.

[49] Inf. XXVI, 112-113.

[50] Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano 1972, p. 55.

[51] Serge Latouche, L’occidentalisation du monde, La Découverte, Paris 1989.

[52] Par. VI, 4-6.

[53] Friedrich Nietzsche, Jenseits von Gut und Böse, III, 52.

Herman Wirth’s Theory of Civilization

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Herman Wirth’s Theory of Civilization

Ex: http://www.geopolitica.ru

The Cultural Circle of Thule

Bachofen’s idea of a primordial matriarchy and his theory of “cultural circles” were developed by another historian and archaeologist, a specialist in paleo-epigraphy, Herman Wirth (1885-1981).

Wirth’s theories are based on the hypothesis borrowed from the Indian author Bala Gandhara Tilak (1856-1920) [1], that the original Proto-Indo-European civilization was formed in the late Paleolithic (the Aurignacian culture) in the lands of the northern polar circle. This hypothesis was based on the interpretation of the data of Indian astrology, Vedic texts, and the myths of the Hindus, Iranians, and Greeks which speak of the existence in remote antiquity of a populated country lying in the Far North (Hyperborea). This continent was described in the Vedas as the “land of the white boar”, Varahi, and the “island of light”, or Sweta Dvipa. The Zoroastrian tradition speaks of the ancient abode of the first man, the city of Vara, located in the Far North, from which he was forced to descend southwards as the dark deity Angra Mainyu, the enemy of the god of light, Ahura-Mazda, unleashed a “great cold” across these lands. Tilak argues for the existence of this “Nordic” proto-civilization on the basis of Indian astrology, the symbolism of which, according to Tilak, becomes clear only if we accept that the constellations were originally observed in the circumpolar regions, where the day of the gods is equal to the year of men.

wirthboek.jpgWirth adopted this hypothesis and constructed his own theory upon it, the “Hyperborean theory” [2] or theory of the “cultural circle of Thule” [3], which represents the Greek name for the mythical city lying in the country of the Hyperboreans. According to this theory, before the latest wave of global cooling, the circumpolar zone in the North Atlantic Ocean was home to inhabitable lands whose inhabitants were the creators of a primordial cultural code. This culture was formed under conditions when the natural environment of the Arctic was not yet so harsh, and when its climate was similar to the modern temperate Central European climate. There were present all the annual and atmospheric phenomena which can be observed in the Arctic today: the Arctic day and Arctic night. The yearly solar and lunar cycles of the Arctic are structured differently than their counterparts in middle-range latitudes. Thus, the symbolic fixations of the calendar, the trajectory of the sun, the moon, and the constellations of the zodiac necessarily had a different form and different patterns.

On the basis of an enormous swathe of archaeological, paleo-epigraphical (cave paintings, Paleolithic symbols, ancient carvings, etc.), mythological, and philological material, Herman Wirth undertook an attempt to reconstruct the primordial system of this Arctic proto-civilization’s cultural code. At its heart he put the reconstructed proto-calendar, the last traces of which Wirth believed are constituted by the Scandinavian runes, which he attributed to remote antiquity. Wirth proposed to examine this calendar, which records the key moments of the Arctic year, as the key to all later versions of mythological, religious, ritualistic, artistic, and philosophical heritages which continued and developed this primordial algorithm over the course of the wave-like migrations of the bearers of “Thulean culture” into the southern regions. When applied to other climatic conditions, however, many of the symbolic patterns of this calendar, otherwise crystal clear in the Arctic, lost their meaning and rationale. They were partially transferred to new realities, partially frozen as relics, and partially lost their meanings or acquired new ones.

First and foremost, this change entailed a fundamentally new understanding of the basic unit of time: instead of the Hyperborean day, equal to a year, the daily circle, which is much more clearly defined in the regions south of the polar circle, became the measure of events of human life. What is more, the localizing points of the spring and autumn equinoxes changed in relation to southward movement. All of this gradually confused the crystal clarity and simplicity of the primordial matrix.

Wirth believed that his reconstruction of the sacred complex of the culture of Thule lay at the heart of all historical types of writing and language, as well as musical tones, the symbolism of colors, ritual gestures, burials, religious complexes, etc.

Studying this culture formed the basis of Wirth’s attempts at reconstructing what he called the “proto-writing” or “proto-script” of humanity. Wirth published the results of his studies in two monumental works, Der Aufgang der Menschheit (The Emergence of Mankind) [4] and Die Heilige Urschrift der Menschheit (The Sacred Proto-Script of Mankind) [5], both equipped with an enormous lot of synoptic tables, comparative illustrations of archaeological excavations, writing systems, etc.

Nordic matriarchy

Wirth embraced Bachofen’s notion of primordial matriarchy and attributed to the “Thule culture” a matriarchal form of civilization. He suggested that the belief that the female gender is inclined towards materiality, corporeality, chthonicity, and empirical specifics is purely a product of patriarchal censorship, and that matriarchy could be no less, indeed even more of a spiritual phenomenon than patriarchy. Wirth believed that societies dominated by women and female priesthoods, religions, and cults represented the more advanced types of Hyperborean culture, which he termed the “culture of White Ladies” (weisse Frauen).

wirthoera.jpgWirth thus presented an altogether peculiar view on the relationship between matriarchy and patriarchy in the archaic culture of the Mediterranean region. In his point of view, the most ancient forms of culture in the Mediterranean were those established by bearers of the Hyperborean matriarchy, who in several stages descended from the circumpolar regions, from the North Atlantic, by sea (and that ships with shamrocks on the stern were characteristic of them). These were the people mentioned in ancient Near Eastern artifacts as the “sea-peoples”, or am-uru, hence the ethnic name of the Amorites. The name Mo-uru, according to Wirth, once belonged to the very main center of the Hyperboreans, but was transmitted along with the natives of the North in their migration waves to new sacred centers. It is to these waves that we owe the Sumerian, Akkadian, Egyptian (whose pre-dynastic writing was linear), Hittite-Hurrian, Minoan, Mycenaean, and Pelasgian cultures. All of these Hyperborean strata were structured around the figure of the White Priestess.

Patriarchy, according to Wirth, was brought by immigrants from Asia, from the steppe zones of Turan, who distorted the primordial Hyperborean tradition and imposed upon the Mediterranean cultures quite different – rude, violent, aggressive, and utilitarian -values which contrasted (for worse) the pure spiritual forms of the Nordic matriarchy.

Thus, in Wirth we have the following reconstruction: the Hyperborean cultural circle’s primordial, spiritual and highly-developed type of matriarchal culture spread from a circumpolar center, mainly be sea, penetrating the Mediterranean, scraping Africa, and even reaching the southern coast of Asia all the way down to Polynesia, where the Maori culture still retains traces of the ancient Arctic tradition. Another offshoot of the center of Mo-uru in the North Atlantic migrated to North America, where it laid the foundations of the cultural code of many tribes. One of Wirth’s undertakings was to demonstrate a homology between these two branches that dispersed out of the culture of Thule – the European, Mediterranean, and further African and Pacific on the one hand, and the North-American on the other.[6]

Meanwhile, in continental Asia there formed a cultural pole which represented the embryo of proto-patriarchy. Wirth associated this culture with crude naturalism, phallic cults, and a martial, aggressive, and utilitarian type of culture, which Wirth believed to be lower and Asian. We have devoted a whole separate volume to a more detailed outline of Herman Wirth’s views.[7]

The significance of Wirth’s ideas to geosophy

Many aspects of Herman Wirth’s unjustly forgotten works deserve attention in the study of plural anthropology. First of all, his extremely fertile hypothesis of the cultural circle of Thule, which is usually discarded from the outset without any careful analysis of his argumentation, is so rich that it deserves serious attention in itself. If such an hypothesis allows for the resolution of such numerous historical and archaeological problems associated with the history of symbols, signs, myths, rituals, hieroglyphs, the calendar, writing, and the most ancient views of the structure of space and time, then this alone is enough to warrant thorough inquiry. Even though Wirth’s works contain many claims which seem either unequivocally wrong or highly controversial, we can set them aside and try to understand the essence of his theory which, in our opinion, is an extraordinarily constructive version that expands our understanding of the archaic epochs of the ancient history of mankind. The theory of the cultural circle of Thule need not be unconditionally accepted, but an assessment of its interpretive potential is necessary.

wirthdeutsch.jpgSecondly, Wirth’s positive appraisal of matriarchy is extremely interesting and adds weight to sympathy for Bachofen. Indeed, we are dealing with an interpretation of a conditionally reconstructed matriarchal civilization from the position of what is the, in the very least nominal, patriarchy to which our society has become accustomed. Wirth proposes an alternative interpretation of the female Logos, an attempt to view the Logos of the Great Mother through different eyes. This is also an extremely unconventional and fertile proposal.

Thirdly, in Wirth’s theories we can see clear analogues to the reconstructions of both Spengler and Frobenius. If Frobenius and especially Spengler took the side of Indo-European (Turanian, Eurasian) culture, i.e., the side of patriarchy as they interpreted it, then Wirth proposes to look at things from the standpoint of the civilization of the White Ladies, i.e., from the position of the primordial Mediterranean culture that preceded the invasion of the “people on war chariots.”

Footnotes:

[1] Tilak, B.G., Arkticheskaiia rodina v Vedakh (Moscow: FAIR-PRESS, 2001). In English: Tilak, B.G., The Arctic Home in the Vedas: Being Also a New Key to the Interpretation of Many Vedic Texts and Legends (Poona City: Tilak Bros, 1903).

[2] Dugin, A.G., Znaki Velikogo Norda: Giperboreiskaiia Teoriia (Moscow: Veche, 2008). English translation of introduction available here.

[3] Wirth, H., Khronika Ura-Linda. Drevneishaiia istoriia Evropy (Moscow: Veche, 2007). In German: Wirth, Herman. Die Ura-Linda Chronik (Leipzig: Koehler & Amelang, 1933).

[4] Wirth, H., Der Aufgang der Menschheit. Forschungen zur Geschichte der Religion, Symbolik und Schrift der atlantisch-nordischen Rasse (Jena: Diederichs, 1928).

[5] Wirth, H., Die Heilige Urschrift der Menschheit. Symbolgeschichtliche Untersuchungen diesseits und jenseits des Nordatlantik (Leipzig: Koehler & Amelang, 1936).

[6] The full title of Wirth’s Die Heilige Urschrift der Menschheit specifies “on both sides of the North Atlantic.” See footnote 5.

[7] See footnote 2.

Translator: Jafe Arnold

Chapter 22 of Part 2, “Theories of Civilizations: Criteria, Concepts, and Correspondences”, of Noomachy: Wars of the Mind – Geosophy – Horizons and Civilizations (Moscow, Akademicheskii Proekt, 2017).

mardi, 08 janvier 2019

Frithjof Schuon on the Meaning of Race

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Frithjof Schuon on the Meaning of Race

Aside from some of Julius Evola’s writings, there is a dearth of writing on worldly matters from a Traditionalist standpoint. As John Morgan mentioned in a recent review [2], most Traditionalist writers focus solely on spirituality while evading the implications that Tradition has on more practical matters. Considering this, it was refreshing when I first discovered Frithjof Schuon’s two expansive essays, “The Meaning of Race” and “The Meaning of Caste.”[1] [3]

In these two essays, Schuon describes the significance of castes and races in regard to human nature, or more aptly, human being. His view rejects the notion of these categories as being fundamentally socially conditioned, constructed, or accidental, and instead analyzes them as expressions of human nature.

Schuon’s two essays discussing race and caste were published together and are complementary, but here I will only discuss “The Meaning of Race.” However, a quick overview of what the terms “caste” and “race” mean for Schuon is first necessary.

Unlike Evola, who put forward the idea of the “race of the Spirit,” Schuon classifies race in a completely separate category from psychic or spiritual heredity. While Evola and Schuon both believe there is a metaphysical component of the human being, Schuon denotes the “spirit” of a person strictly by the term “caste.” For those unfamiliar, “caste” for Schuon refers primarily to the fundamental character types present throughout all of humanity. The Indo-Aryan caste system, according to Tradition, was merely founded upon these natural distinctions. However, like Evola and the rest of the Traditionalist school, Schuon holds the view that the metaphysical component of a human being is more “absolute,” or more “real,” than the physical. He writes:

Caste takes precedence over race because spirit has priority over form; race is a form while caste is a spirit. Even Hindu castes, which were in origin purely Indo-European, cannot be limited to a single race: there are Tamil, Balinese and Siamese brahmins.

It is not possible, however, to hold that race is something devoid of meaning apart from physical characteristics, for, if it is true that formal constraints have nothing absolute about them, forms must nevertheless have their own sufficient reason . . . (147)

For Schuon, race has no metaphysical component, but rather is a “formal constraint” upon the expression of spirit: race is essentially a “style” through which the formless spirit is expressed, defining the “being,” and by extension the activity, of a people. In the same way that artistic genius has different ways of expressing itself depending on the particular culture it is expressed within, so spirit, which is universal, expresses itself through various racial styles. It could be compared to a single light shining through different colors of glass, the light gaining a different appearance and character depending on the color through which it shines. For Schuon, race is the root of culture, for culture is the creative activity of a race in which its inherent qualities and predispositions are exteriorized and formalized.

Schuon considers “black,” “white,” and “yellow” to be the three principal races. Of course, these are extremely broad categories, but he believes that all peoples fit into these categories, or else fit somewhere between them. The logic behind these three categories lies partly in his understanding of race as correlating to the three gunas, or modes, of Hinduism (tamas [sleep, ignorance], sattva [goodness], and rajas [passion], respectively) and lies partly in his analysis of racial styles. For example, while the Chinese and Japanese have distinct languages and cultures, Schuon would claim that they both exemplify the yellow race because both races exhibit a non-dramatic, “intuitive delicacy” in the field of art, and other qualitative similarities, such as a disdain for eloquence and a penchant for sober, elliptical expression in language. These qualities can be observed in most Asian cultures.

In elaborating on the qualities of the races, Schuon waxes rather poetic, using a method of what I would call “cultural physiognomy.” His descriptions of the qualities of the races attempt to link the physiognomies commonly found in certain peoples with the culture of a people. For example:

The originality of each of the various races is especially apparent in the eyes: those of the white man, generally deep-set, are mobile, piercing and transparent; his soul “goes out” in his look and at the same time shines, in its passivity, through it. The eyes of yellow men are quite different: physically at skin level, they are generally indifferent and impenetrable; their look is dry and light like a brush stroke on silk. As for the black man, his eyes are slightly prominent and heavy, warm and moist . . . it is the deep and latent look of the earth. (149)

schuonlion.jpgIt should be noted that Schuon’s idea of “white” is much broader than is commonly understood by the term. Under the category “white,” Schuon does not only categorize Europeans, but also Semitic whites (Arabs and Jews) and (Aryan-descended) Indians. For Schuon, there is a great diversity of style within the white race: it exemplifies a greater “disequilibrium” than the yellow and black races, which is why it has given birth to such different cultures and civilizations. The mental diversity of white peoples can be evidenced by the diversity of religions (Hinduism, Christianity, Islam, Judaism, Greco-Roman, and Germanic paganism) that have gained predominance in white cultures. However, all the languages of these peoples produce “long, rich, incisive sentences,” and all the white cultures are marked by a dramatic opposition between man and nature, at least compared to black and yellow peoples. Likewise, a higher degree of mental proclivity is present in white peoples. Schuon writes that the element of the white race is “fire.” Fire can either be tame like a burning candle, or wild, consuming, and restless. The former is best represented by the contemplativeness of the Hindus, and the latter is represented by the strong inclination towards action and expansion in Westerners.

As stated earlier, Schuon correlates the three races with the three gunas of Hinduism. According to Schuon, the white race exemplifies sattva through the bright and ascending fire element, the yellow race exemplifies rajas through the mobile and clear water element, and the black race exemplifies tamas through the heavy and inert earth element. He writes:

The precarious nature of the ascending tendency explains both the Greco-Roman and modern deviations: that which is intellectual penetration and contemplativity among Hindus has become mental hypertrophy and inventiveness among Westerners . . . The conquests of the yellow peoples swept along like a tidal wave throwing down everything in their path but not transforming their victims as did the white man’s conquests; the yellow races conserve like water and do not transmute like fire . . . As for the black race, they are, as we have said, “existential” and this explains their passivity and inaptitude for radiating outwards, even within the fold of Islam. (164)

schuoncastes.jpgAs evidenced by the Spanish rule of South America that completely reshaped the people of that continent, and the lasting British influence in India, as well as the Arab conquests, one can understand Schuon’s claim that the territorial expansion of whites completely changes the language and character of a people. English is the current lingua franca across the world. On the other hand, the imperialism of yellow peoples, such as Japan’s half-century rule over Taiwan, often leaves the subject people’s culture comparatively intact. Black peoples are mostly stagnant and self-contained, with no significant or reshaping influence on any non-black people of note in the present day.

According to Schuon, while the elements of the races are unique, they are all, in a way, contained in each other:

It could be said that the white and yellow races, insofar as they correspond to the elements “fire” and “water,” meet in the element “air.” Air has the two qualities of lightness (sattva) and mobility (rajas) . . . But there is also destructiveness (tamas) in fire and transparency (sattva) in water . . . (165-166)

While the predominant character of each race is dominated by different elements, the races are not in watertight compartments, and each race exemplifies the predominant element of another, to a greater or lesser degree, in its own predominant element. As stated above, the luminous, fiery, creative quality of Westerners (sattva) also has a certain destructiveness (tamas) about it. The earth element is heavy (tamas), but also fertile (rajas), and earth, by its nature, contains luminous crystals and minerals (sattva).

On the topic of race-mixing, Schuon has a nuanced view. Like Spengler, he believes that race-mixing can sometimes be positive for a racial stock, albeit the positivity is dependent upon the races being mixed. In his words, if the mix is compatible, race-mixing has the ability to “aerate” a stock that has become too “compact.” However, if the races are too distinct from each other, mixing will corrupt a race with unique qualities. In one of the footnotes, Schuon defends the phenomenon of black Africans mixing with Mediterranean whites in North Africa, claiming that both races have been inhabiting the same climate and environment for thousands of years, rendering a similarity of type. On the other hand, Schuon staunchly opposes race-mixing between blacks and whites in North America, where the whites are predominantly Germanic, going so far as to defend segregation between blacks and whites, if the segregation were truly “unilateral” and “conceived in the interest of both races.”

schuonfeath.jpgWhile Schuon takes a firm stance against the “anti-racists” of his day, he is quick to critique Eurocentrism with regard to the judgment of certain physical traits in other races that have historically been viewed as marks of inferiority. For Schuon, the prognathic jaw line, low forehead, and thick lips, historically referenced by Westerners to compare blacks with apes, are not marks of inferiority, but rather signify a racial type that is less predisposed to thinking, more vital, and more “centered on being” than races in which the orthogonal jawline is more common. These traits are not indicators of barbarism: he cites certain barbarous peoples that are predominantly orthogonal and civilized peoples that are predominantly prognathic. I found this particularly interesting, as it puts forth a fundamental reason for why black peoples typically have lower IQs than whites, since it is due to their consciousness being generally less mental. On the upside, blacks are usually more grounded or “down-to-earth” than whites, which is perhaps why they are underrepresented in fields that require abstract thinking, but otherwise seem less prone to the anxiety, overthinking, and unrest that engulfs many white minds.

Schuon is sure to emphasize that, for the individual of a particular race, the race to which he belongs is of secondary importance to the condition of his soul. He writes:

. . . for us the question is not: “What is our racial heritage?” but rather: “What are we making of that heritage?” To talk about racial value is, for the individual, quite meaningless, for the existence of Christ or of the Vedantic doctrine adds nothing to the value of a white man with a base nature any more than the barbarism of certain African tribes takes anything away from a black man of saintly soul; and as for the effective value, not of a race, but of an ethnic atavism, this is a question of “spiritual alchemy,” not of scientific or racist dogmatism. (168)

If Schuon can be said to be an ethnonationalist, his ethnonationalism is anti-egalitarian. As stated earlier, for Schuon and other Traditionalists, being part of the same race is no justification for disregarding the natural differences between individuals. In fact, since caste takes precedence over race, it logically follows for Schuon – and he explicitly states – that individuals of a different race, but of the same caste, are more fundamentally, or metaphysically, similar to each other than individuals who are of the same race, but of different caste. However, this view should not be confused with the view that sharing the same caste makes two people equal, regardless of race. Rather, Schuon means that they share the same type, and a “vertical” equality of caste is more real than a “horizontal” equality of race.

Schuon’s essay, like his other writings, is rather scattered and spontaneous, so this is just an attempt to lay out the essentials of Schuon’s thoughts on race. As a result, there are many remarks that were not covered here, so I would highly recommend reading the essay itself. Schuon offers an extremely balanced and fair view of the human races, and the love he has for human diversity is strongly apparent in his writing, to the extent that even an honest Leftist would be hesitant to label his views “racist.” I even think that this essay would offer a great entry point for people of a spiritual and intellectual bent to the concepts of ethnonationalism. Schuon offers a very positive view of a diverse, yet unified, humanity, in which all races are different, yet all uniquely aspire to the same divine reality.

Note

[1] [4] Language of the Self (Bloomington, Indiana: World Wisdom Books, 1999), pp. 147-175.

 

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[2] recent review: https://www.counter-currents.com/2018/11/history-through-the-traditionalist-lens/

[3] [1]: #_ftn1

[4] [1]: #_ftnref1

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lundi, 07 janvier 2019

René Guénon sur notre société festive

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René Guénon sur notre société festive
 
par Nicolas Bonnal
 
Ex: https://echelledejacob.blogspot.com
 
Comme prévu la société festive est de plus en plus sinistre, et comme prévu elle est de plus en plus autoritaire et orwellienne, avec un arrière-fond imbibé de satanisme. Voyez Vigilantcitizen.com qui recense le bal illuminé de l’UNICEF. Ici, on passe de la fête de la musique à l’arrestation de Drouet et à l’épuration du web parce qu’on est cool, ludique État-de-droit dans ses bottes....

Philippe Muray a brillamment « tonné contre » la société festive. On l’a rappelé ici-même. Mais on va remonter plus haut et examiner le corps du délit avec notre René Guénon. Qu’était une fête dans le monde traditionnel ? Une subversion momentanée de l’ordre. Guénon, dans ses admirables Symboles de la science sacrée :

« Il n’est pas inutile de citer ici quelques exemples précis, et nous mentionnerons tout d’abord, à cet égard, certaines fêtes d’un caractère vraiment étrange qui se célébraient au moyen âge : la « fête de l’âne », où cet animal, dont le symbolisme proprement « satanique » est bien connu dans toutes les traditions, était introduit jusque dans le chœur même de l’église, où il occupait la place d’honneur et recevait les plus extraordinaires marques de vénération ; et la « fête des fous », où le bas clergé se livrait aux pires inconvenances, parodiant à la fois la hiérarchie ecclésiastique et la liturgie elle-même. Comment est-il possible d’expliquer que de pareilles choses, dont le caractère le plus évident est incontestablement un caractère de parodie et même de sacrilège, aient pu, à une époque comme celle-là, être non seulement tolérées, mais même admise en quelque sorte officiellement ? »

Guénon évoque aussi les saturnales :

« Nous mentionnerons aussi les saturnales des anciens Romains dont le carnaval moderne paraît d’ailleurs être dérivé directement, bien qu’il n’en soit plus, à vrai dire, qu’un vestige très amoindri : pendant ces fêtes, les esclaves commandaient aux maîtres et ceux-ci les servaient ; on avait alors l’image d’un véritable « monde renversé », où tout se faisait au rebours de l’ordre normal… »

La fête a donc pour but de canaliser (aujourd’hui on dirait défouler) les forces inférieures de l’homme déchu. Guénon rappelle :

« …c’est là, en effet, quelque chose qui est très propre, et plus même que quoi que ce soit d’autre, à donner satisfaction aux tendances de l’« homme déchu », en tant que ces tendances le poussent à développer surtout les possibilités les plus inférieures de son être. Or, c’est justement en cela que réside la véritable raison d’être des fêtes en question : il s’agit en somme de « canaliser » en quelque sorte ces tendances et de les rendre aussi inoffensives qu’il se peut, en leur donnant l’occasion de se manifester, mais seulement pendant des périodes très brèves et dans des circonstances bien déterminées, et en assignant ainsi à cette manifestation des limites étroites qu’il ne lui est pas permis de dépasser. S’il n’en était pas ainsi, ces mêmes tendances, faute de recevoir le minimum de satisfaction exigé par l’état actuel de l’humanité, risqueraient de faire explosion, si l’on peut dire et d’étendre leurs effets à l’existence… »

Guénon conclut : « le fait qu’il n’y a là rien d’imprévu « normalise » en quelque sorte le désordre lui-même et l’intègre dans l’ordre total. »

Guénon parle alors des masques (voyez mon livre sur Kubrick et mes analyses symboliques sur les masques dans Eyes Wide Shut calqué de l’admirable Sarabande de Dearden, avec Stewart Granger)). Le masque ne masque pas, il révèle :

« En effet, les masques de carnaval sont généralement hideux et évoquent le plus souvent des formes animales ou démoniaques, de sorte qu’ils sont comme une sorte de « matérialisation » figurative de ces tendances inférieures, voire même

« infernales », auxquelles il est alors permis de s’extérioriser. Du reste, chacun choisira tout naturellement parmi ces masques, sans même en avoir clairement conscience, celui qui lui convient le mieux, c’est-à-dire celui qui représente ce qui est le plus conforme à ses propres tendances de cet ordre, si bien qu’on pourrait dire que le masque, qui est censé cacher le véritable visage de l’individu, fait au contraire apparaître aux yeux de tous ce que celui-ci porte réellement en lui-même, mais qu’il doit habituellement dissimuler. »

Guénon ajoute sur le retournement parodique : « Il est bon de noter, car cela en précise davantage encore le caractère, qu’il y a là comme une parodie du « retournement » qui, ainsi que nous l’avons expliqué ailleurs, se produit à un certain degré du développement initiatique ; parodie, disons-nous, et contrefaçon vraiment « satanique », car ici ce « retournement » est une extériorisation, non plus de la spiritualité, mais, tout au contraire des possibilités inférieures de l’être. »

Ce retournement parodique momentané servait certainement à détourner les attaques du Malin.

Tout se retourne comme toujours au dix-septième qui marque le déclin ou la sanction/récupération des carnavals. Et dans le monde moderne la fête devient permanente pour pousser la consommation-consumation des âmes et des forces : Halloween, Black Friday, Noël, Pride machin, Saint-Valentin toutes les fêtes sont là qui se succèdent et puent. Comme dit Tocqueville, en démocratie on laisse le corps pour aller droit à l’âme (on dira au croyant que la mission est de remplir les enfers).

Guénon sur cette extension du domaine du mal :

« Si les fêtes ne semblent même plus éveiller qu’à peine l’intérêt de la foule, c’est que, dans une époque comme la nôtre, elles ont véritablement perdu leur raison

d’être : comment, en effet, pourrait-il être encore question de « circonscrire » le désordre et de l’enfermer dans des limites rigoureusement définies, alors qu’il est répandu partout et se manifeste constamment dans tous les domaines où s’exerce l’activité humaine ? »


Et le coup de massue final :

« Ainsi, la disparition presque complète de ces fêtes, dont on pourrait, si l’on s’en tenait aux apparences extérieures et à un point de vue simplement « esthétique », être tenté de se féliciter en raison de l’aspect de « laideur » qu’elles revêtent inévitablement, cette disparition, disons-nous, constitue au contraire, quand on va au fond des choses, un symptôme fort peu rassurant, puisqu’elle témoigne que le désordre a fait irruption dans tout le cours de l’existence et s’est généralisé à un tel point que nous vivons en réalité, pourrait-on dire, dans un sinistre « carnaval perpétuel ».
 
Nicolas Bonnal
 

Sources

René Guénon, Symboles de la science sacrée. Chapitre XXI. Sur la signification des fêtes «carnavalesques»

http://classiques.uqac.ca/classiques/guenon_rene/Symboles_science_sacree/symboles_sc_sacree.html

Nicolas Bonnal – Stanley Kubrick, génie du cinéma (Amazon.fr)

http://www.dedefensa.org/article/philippe-muray-face-au-d...

https://en.wikipedia.org/wiki/Saraband_for_Dead_Lovers

https://vigilantcitizen.com/vigilantreport/inside-unicefs...

samedi, 15 décembre 2018

Myth, Satire, and Lucian’s “True History”

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Myth, Satire, and Lucian’s “True History”

Ex: http://www.theimaginativeconservative.org

For the ancient myth-maker, there is something at the heart of all of human events that is worth preserving, something marvelous and worthy of renown, even if the account is not entirely true to life…

The second-century satirist, Lucian of Samosata, makes the following inflammatory statement in his True History:

[Historical accounts] are intended to have an attraction independent of any originality of subject, any happiness of general design, any verisimilitude in the piling up of fictions.…I fall back on falsehood — but falsehood of a more consistent variety; for I now make the only true statement you are to expect — that I am a liar. This confession is, I consider, a full defence against all imputations. My subject is, then, what I have neither seen, experienced, nor been told, what neither exists nor could conceivably do so.

For Lucian, the end of his own peculiar history is to “loosen the mind so that it is in better form for hard study.” While he mentions several “lying” authors by name, and spends a majority of his time in A True History lampooning their accounts; his main argument against these ancient poets, historians, and philosophers is that they “have written many monstrous myths,”[1] following in the tradition of Odysseus, and meant to deceive and overawe the uneducated. Meanwhile, he presents his own narrative as a “new subject, in pleasing style,” with clever references to these same ancient poets, philosophers and historians, “in order that I would not alone lack in the of share myth-making”[2].

Lucianus.jpgLucian, in response to the poet’s fancy, intends to compose an account in which there is no pretense at truth, and which will surpass the work of the poets because he, at least, has openly declared himself a liar. His goal is to provide a pleasant literary spectacle for the entertainment of his highly educated audience, not unlike the various gladiatorial matches that took place in his own day. But, by describing “myth-making” (mythologeo) in this way, he has misunderstood and therefore, unjustly butchered the goal of the poet, the historian, and the philosopher. For the goal of the ancient myth-maker is not to create an entertaining story or a perfectly accurate description, but to explore and explain aspects of the human experience.

Myth in the Ancient World

 

However, before we condemn Lucian too harshly, let us try to understand what he means by “myth.” The troublesome word mythos within its various classical contexts includes definitions ranging from simply “word” (close to the meaning of logos), to the more modern connotation of myth as purely false. Monica Gale, in her work on Myth and Poetry in Lucretius, describes this progression throughout Greek literature: “[Mythos] is frequently employed as a blanket term for anything about which the author is skeptical. Thus Herodotus criticizes the [muthoi] of Homer and the poets only to be reprimanded by Thucydides and Aristotle for his acceptance of [to mythodes] (‘that which resembles mythos’).” Lucian himself follows in this critical tradition, equating the historians’ mythical accounts with those of the ancient rhetoricians, who are concerned with the persuasive power of their accounts, rather than their veracity (puxagogiai). This distinct dilemma, as presented by Lucian and other critics regarding the complete truth or falsity of an account is, according to Gale, misleading at best.

While the term “myth” itself falls into the category of mere falsehood (pseudees) in Lucian’s case, a classical understanding of mythos as its own distinct genre remains. There are two main criticisms that follow the genre as such: that myth is either impious or irrational. These are the basis of Plato’s objection to myth his Republic, saying that it causes confusion within the soul because of its misrepresentation of reality and that it ought not to be recited to any “listeners who do not possess, as an antidote, a knowledge of its real nature,” (Plato X.605c, 595b). However, while Plato and Lucian condemn the myths of Homer, these same myths nevertheless continued to function as the basic source of truth in the education of the Greek world, and even serve to inspire Socrates himself in his allegorical creation of the City in his Republic dialogue.

The Philosopher’s Art of Myth-making

If the purpose of myth-making lies outside of its accuracy, then it must serve some other purpose. We have already seen how Plato condemns the poets in his Republic; however, in excluding the poets from the ideal City, he “put[s] himself to shame and condemn[s] himself when he condemns by word, those who are indeed his fellow-workers and models,” as Carleton L. Brownson argues. Indeed, Strabo, a Roman historian who wrote concerning the study of geography about one hundred years before Lucian, describes the poets themselves as “creative philosopher[s]” (philosophian teen poieetikeen). Strabo goes on to make the distinction between the “fable-making old wife” who invents “whatever she deems suitable for the purposes of entertainment,” and the poet who “’invests’ the hearer with special knowledge.” To illustrate this, he describes Odysseus as a man whose wiliness came not from his skillful rhetoric but from the substance of past experience. In Strabo’s mind, the substance of a poet is not his rhetorical abilities, but the combination of both wisdom and rhetoric; to quote Homer, “’But when he uttered his great voice from his chest, and words like unto snowflakes in winter, then could no mortal man contend with Odysseus.’” Odysseus is so persuasive because he understands a deeper truth that exists in reality and cannot be adequately expressed except in fables.

On the other hand, Lucian views Odysseus as a charlatan,[3] who merely uses his rhetoric to enchant the Phaeacians and gain their favor. His argument is that Odysseus could not have had any experience that would support or add substance to his story and that he was intentionally trying to deceive his audience. Lucian takes this more secular view of myth throughout his works, often referring to it as a pleasing kind of rhetoric, rather than a mode of conveying abstract or abstruse realities. In Lucian’s Lover of Lies, he says that the common people “prefer a lie to the truth simply for its own merits… now what good can they get out of it?” Lucian, again, berates the historians and poets as he did in his introduction to his True History, blaming them for not only deceiving their listeners but using the power of rhetoric to perpetuate ignorance in the people. He offers some defense of the poets, saying that these myths capture the attention of the audience and add luster to the mundane; however, this is the only defense that he gives, and he does not admit any additional substance outside of this rhetorical appeal.

Historians Following in the Poetic Tradition

Herodotus, the historian that Lucian mocks the most in his narrative, begins his own accounts by stating two basic goals: first, “that neither the deeds of men may be forgotten by lapse of time”; and second, that “the works great and marvelous, which have been produced some by Hellenes and some by Barbarians, may [not] lose their renown.” As Lucian and other later historians are so eager to point out, if Herodotus, as a historian, meant to preserve the accuracy of the stories, then he has sadly failed in this respect, because his accounts are either completely fantastic or sadly misinformed. However, that is not what he has told us in the proem. Marc Bloch, in his book on the historical method, describes the element of humanity that is necessary in any historical narrative: “There must be a permanent foundation in human nature and in human society or the very names of man or society become meaningless.” While a perfectly scientific account of any historical event is often considered impossible—even Herodotus admits this in his investigations, quoting the accounts of a variety of sources—he, Herodotus, seems to believe that there is something at the heart of all these human events that is worth preserving, something marvelous and worthy of renown, even if the account is not entirely true to life. Herodotus’ idea of the central meaning of the human existence or the human essence is something that cannot be explained through facts; it is explained in the “great deeds of men.” David Grene elaborates on this point in his introduction to his translation of The Histories: “Herodotus certainly believed in the universal characteristics of the human imagination… He is interested in the eccentricities of men’s beliefs and practices, [for] he is sure of a common core where men think and feel alike.” As Marc Bloch says: “The historian’s job is to make sense of the nearly infinite expanse of historical evidence, just as the poet’s is to make sense of the equally infinite expanse of human experience.”

In that sense, Herodotus, follows the same literary tradition as Homer and Hesiod. The chief difference lies in who controls the actions of history: While Homer and Hesiod focus on the actions of gods, and invoke their aid as they begin their works, Herodotus seeks to understand mankind and his deeds, as we saw in his proem. He, therefore, does not invoke the gods for inspiration but rather calls on his sources for aid in narrating his account, jumping straight from his proem to the varied accounts given by the Persians as to the cause of the Persian war with the Assyrians. Truesdell S. Brown, in his work on The Greek Historians, describes Herodotus’ approach, to history in much the same terms: “Herodotus’ methods cannot be easily reduced to a stylistic formula…[and] he lived well ahead of the formulation of specific rules for prose composition.” The reason why his style is so notoriously hard to track, as many classical critics of Herodotus have observed, is that he is not concerned with the accuracy of his account; indeed, he often casts doubts on his own narrative. His goal is to meditate on and make sense of the “works great and marvelous, which have been produced some by Hellenes and some by Barbarians, [so that they] may [not] lose their renown.” He never makes the pretense at a truly aleethee account, rather, he intends to “publish his findings.”

Modern Defenses of Myth

Within any iteration of truth, the limitations of language, time, and space act as rigorous editors. However, to merely convey accurate factual information is not the same as understanding what it means. The responsibility of the poet, the philosopher, or the historian is to understand and convey a meaning that draws from and explains the significance of the facts. Lucian’s True History serves neither of these ends, for he neither presents anything constructive “[having] nothing true to tell,” nor does he have any experience, “not having any adventures of significance.” In his narrative, he is only critiquing that which is already obvious to his readers, and fostering a kind intellectual pride and chronological snobbery by rejecting the accounts of the ancients. Alexander Pope, a Neo-Classical poet, describes this type of critic in his Essay on Literary Criticism:

The bookful blockhead, ignorantly read,
With loads of learnéd lumber in his head,
With his own tongue still edifies his ears,
and always list’ning to himself appears.

In Pope’s mind, the critic must possess “a knowledge both of books and human kind,” as well as “a soul exempt from pride.” This is in keeping with the classical understanding of education as “encompass[ing] upbringing and cultural training in the widest sense,” with poetry and the poets at the center. The poets in the ancient world not only served as a style guide for other authors but as the foundation for the entire culture, providing an understanding of how to find the answers from the variety of human experience.

C.S. Lewis, another illustrious student in the classical vein, offers a defense of myth along much the same line in his essay “On Stories.” Here Lewis describes the goal of “story” as similar to that of art, by which “we are trying to catch in our net of successive moments something that is not successive…. I think it is sometimes done—or very nearly done—in stories.” Additionally, J.R.R. Tolkien offers his own defense of myth in his essay, “The Monsters and the Critics”“The significance of a myth is not easily to be pinned on paper by analytical reasoning. It is at its best when it is presented by a poet who feels rather than makes explicit what his theme portends; who presents it incarnate in the world of history and geography, as our poet as done.” This idea is in no way limited to the religious sphere, for both Friedrich Nietzsche in his Birth of Tragedy and Albert Camus in his essay “On Sisyphus” have attested to the inimitable power of myth to express that which is inexplicable about the nature of the universe: “Whatever is profound loves masks,” Nietzsche writes. “Every profound spirit needs a mask.”

Conclusion

By reducing these storytellers to this false dichotomy of pure truth and pure falsehood, Lucian has eviscerated philosophy and history, and left mankind with a meaningless string of facts, dates, abstractions, and reflections. In daring to suppose himself above the gods, he has, intentionally or unintentionally, pitched himself from the height of learning into the void of meaningless abstraction. He does not foster an attitude of learning, but rather a callous existentialism that will cauterize the natural affections of the human heart, rotting the core from the center of a society, and leave the human race, in the end, utterly blind, deaf, and dumb.

Lucian has a full understanding of what he was doing when he uses the terms muthos and mythologeomai to describe the efforts of philosophers, poets, and historians. His concern is for those who have taken the mythos for aleethees (accurate truth), and is speaking up on their behalf. However, this does not justify his dismissal of myth as a genre, nor does his satire constructively contribute to the discussion of meaning in poetry, philosophy, or history. Not only that, but Lucian’s criticism is a sign of a deeper and more troubling problem: that is, the great divorce of the intellectuals from a simple understanding of the world and human nature. Lucian thinks that he has seen through the poets to something greater when, in reality, he has destroyed any hope of finding meaning in the culture that surrounds him.

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Notes:

[1 ] “πολλὰ τεράστια καὶ μυθώδη συγγεγραφότωv” (“putting these many lies and myths to paper”)

[2] “ἵνα μὴ μόνος ἄμοιρος ὦ τῆς ἐν τῷ μυθολογεῖν ἐλευθερίας” (“in order that I myself am not left out of this

myth-making”)

[3] “διδάσκαλος τῆς τοιαύτης βωμολοχίας” (“the teacher of these mendicants”)

Works Cited:

Bloch, Marc. The Historian’s Craft. Vintage Book, 1953.

Brown, Truesdell S. Greek Historians. D.C. Heath and Co, 1973.

Gale, Monica. Myth and Poetry in Lucretius. Cambridge University Press, 2007.

Grene, David. “Introduction,” History of Herodotus. University of Chicago Press, 1987.

Herodotus. The History of Herodotus, trans. G. C. Macaulay. 1890 edition.

Lewis, C.S. On Stories and other Essays on Literature. ed. Walter Hooper. Harcourt Brace Jovanovich, Publishers, 1983.

Lucian. A True History. Trans. A.M. Harmon. Loeb Classical Library: Harvard University Press, 1913.

Lucian. “A True History”. The Complete Works of Lucian. Vol III. trans. H.W. Fowler and F.G. Fowler. Oxford University Press, 1949.

Lucian. “The Liar (ΦΙΛΟΨΕΥΔΗΣ Η ΑΠΙΣΤΩΝ)”. The Complete Works of Lucian. Vol III. trans. H.W. Fowler and F.G. Fowler. Oxford University Press, 1949.

The Oxford Classical Dictionary. Eds. Hornblower, Simon, and Antony Spawforth.

Nietzsche, Fredrich. Beyond Good and Evil. trans. Walter Kaufmann. Vintage Books. 1989.

Plato. Republic. Plato, Complete Works. ed. Cooper. Hackett, 1997.

Strabo. The Geography of Strabo. trans. Horace Leonard Jones. Loeb Classical Library: Havard University Press, 1913.

Tolkien, J.R.R. “Beowulf: On the Monsters and The Critics.” On The Monsters and The Critics and Other Essays. ed. Christopher Tolkien. Harper Collins, 2007. pp 103-120.

Twain, Mark. The Adventures of Huckleberry Finn. Penguin Classics, 2005.

Renehan, Robert, and Henry George Liddell. Greek Lexicographical Notes: A Critical Supplement to the Greek-English Lexicon of Liddell-Scott-Jones. Göttingen: Vandenhoeck und Ruprecht. 1975.

Editor’s Note: The featured image is “Sapho embrassant sa lyre” by Jules Elie Delaunay (1828-1891), courtesy of Wikimedia Commons. The image of Lucian is a speculative portrayal taken from a seventeenth-century engraving by William Faithorneis, courtesy of Wikipedia.