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jeudi, 08 février 2018

Né di destra né di sinistra: Corto Maltese come l’Anarca di Jünger

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Né di destra né di sinistra: Corto Maltese come l’Anarca di Jünger
Gianluca Donati
Ex: http://www.nazionefutura.it
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“Camerata Corto Maltese”, così titolava un’incontro culturale svoltasi in un circolo di CasaPound qualche anno fa, scatenando le reazioni più disordinate e l’indignazione della famiglia dell’autore delle opere di Corto Maltese, il maestro Hugo Pratt. Lo sconcerto fu argomentato dal fatto che storicamente, il Maltese è stato considerato nell’immaginario collettivo come appartenente alla “cultura della sinistra”, per esempio, Corto è figlio di una prostituta zingara, è un vero e proprio nomade (senza casa né famiglia), libertino nei modi, quindi tendenzialmente “anarchico” o “anarcoide” (e i due termini non collimano). L’intento della discussione di CasaPound era invece quello di analizzare le possibili “attitudini fasciste”, come il fatto che il marinaio creda nell’amicizia cameratesca, è un antieroe scorbutico, individualista ma pronto a schierarsi con chi ha subito dei torti, pronto a gettarsi dentro le cause perse; inoltre, Maltese è un romantico, amante dell’avventura. Queste opere di “letteratura disegnata” (come amava definirla Pratt), uscirono in un periodo, quello degli anni 70, dove l’avventura era osteggiata dalla politica e dalla critica, perché considerata, politicamente “non impegnata”.

corto_maltese_by_machkamotte-d55yqaq.jpgNaturalmente alle tesi di CasaPound, si rispose facendo notare che Maltese (quindi Pratt) non sia nazionalista, non crede nei Paesi, non è razzista. Tutto vero. Ma prima di affermare che Pratt-Maltese siano “di sinistra”, inviterei a una riflessione più approfondita, perché negli anni 70, non tutti nell’ambiente politico-culturale di sinistra erano poi così tanto convinti dell’identità progressista del personaggio del maestro. Lo stesso Pratt in quegli anni dichiarò: “Bisognava rispolverare Marx ed Engels, autori che dovetti frequentare e che mi annoiarono immediatamente. Visitai anche Marcuse e qualche altro e ritornai ai classici dell’avventura. Venni subito accusato di infantilismo, di edonismo e di fascismo”. Successivamente poi, Pratt fu licenziato dalla rivista per cui lavorava, perché l’editore, politicamente vicino al Partito Comunista Francese, lo tacciava di libertarismo. Perciò, le insinuazioni di un Pratt “non di sinistra”, non sono invenzione recente di CasaPound. Che poi questo non significhi “fascista”, è un altro discorso. Tralasciamo che Pratt abbia combattuto nella Decima Flottiglia Mas.

Già più rilevante sembra essere l’indizio che anni fa ci procurò il Giornale, quando pubblicò una dedica che Pratt avrebbe fatto a un suo editore francese, nella quale, con la sua inconfondibile calligrafia, il maestro scriveva “De votre fasciste Hugo Pratt” (dal tuo fascista Hugo Pratt). E questa lettera non è del 1944, bensì del 1988. Tutti rimasero spiazzati e cercarono d’irridere la tesi, ma nessuno ha saputo dare una spiegazione credibile. Ma a prescindere da queste considerazioni, e al di la della nota passione di Pratt per le divise, le decorazioni e i codici d’onore, più precisamente, dovremmo dire, che se è vero che Maltese è principalmente un “anarchico”, lo è in senso “individualista”; Maltese è insofferente ai nazionalismi, ma anche al social – comunismo, allo statalismo e al collettivismo di massa. È un uomo che crede nell’onore e ama l’azione avventurosa, e soprattutto, il viaggio, che per lui è un modo per viaggiare dentro se stesso, alla ricerca della sua Essenza (e qui l’appartenenza di Pratt alla massoneria si fa sentire); è un anarco-individualista, e quindi, un anarchico di destra. Questo filone del pensiero anarchico, discende dal filosofo Max Stirner, per il quale, dietro il diritto e la politica non c’è la legge o il consenso, ma la forza e l’irrazionale arrivando a dire: «Che io abbia o no un legittimo potere-diritto non mi interessa affatto, se sono potente, ho l’autorità, non ho bisogno di altra autorizzazione e legittimazione».

È una concezione della vita che ha reminiscenze vagamente nietzschiane. Più che anarchico – dicevamo sopra – Maltese sembra essere “anarcoide”, si atteggia ad anarchico per velleità o per posa, perché è un “esteta” che da più importanza alla forma che al contenuto (o la forma coincide con il contenuto), e tende ad avere confusi atteggiamenti ribellistici, standogli stretta anche l’etichetta di anarchico. Individualista, ma non egoista, egli decide di intervenire in difesa di qualcuno o di una causa, unicamente seguendo la sua coscienza e non perché costretto da una legge o un’istituzione. Questo però richiede una superiorità di spirito che non è comune, e che solo poche persone possiedono. Ecco perché Maltese, si accosta alla figura “dell’Anarca” di Ernst Jünger, dove il concetto anarchico di libertà, s’intreccia con quello di una spiritualità aristocratica. E se l’Anarca-ribelle Jungeriano, “passava al bosco”, Maltese cerca e trova il suo equilibrio tra libertà e altruismo, nell’immensità dell’oceano dove le leggi “sociali”, sono diverse e non assoggettate alla civiltà organizzata e alienante della modernità industriale e urbanizzata, dalla quale Maltese fugge attraverso il viaggio e l’avventura. E l’Anarca Maltese, rimanda anche al Superuomo di Nietzsche; infatti, a coloro che per dimostrare l’antifascismo “di sinistra” di Maltese, ricordano la famosa tavola nella quale il marinaio, da un calcio nelle parti basse di uno squadrista, stranamente nessuno ha fatto notare che nella medesima avventura “Favola di Venezia” Maltese incontra anche un personaggio realmente esistito, il celebre poeta-soldato Gabriele d’Annunzio, il quale differentemente dallo squadrista, viene rappresentato positivamente.

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Che d’Annunzio fosse un “nazionalista di destra”, un anarchico-individualista e decadente, e abbia civettato, pur riottoso, col fascismo, è cosa risaputa. Il fumetto in questione fu pubblicato nel 1976, e quelli erano anni nei quali mostrare benevolmente d’Annunzio, era sufficiente per essere bollati come fascisti o reazionari. Concludendo: “Camerata Maltese” fu una provocazione tipica di quei mattacchioni di CasaPound, una forzatura, ma se dovessi scegliere se collocare il personaggio di Corto Maltese, a destra o a sinistra, non avrei dubbi nel collocarlo a destra, una destra anarcoide e libertaria, e in una visione di “destra inclusiva e larga”, come io la intendo, una destra di sintesi tra diverse culture, il marinaio dall’orecchio forato può essere considerato, parte di quel patrimonio artistico – culturale, a prescindere dalle reali convinzioni politiche del grande Pratt.

Gianluca Donati

Fascism, Futurism, & Aviation

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Fascism, Futurism, & Aviation

Review:

Fernando Esposito,
Fascism, Aviation and Mythical Modernity,
Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2015.

The British political theorist Roger Griffin has argued that the defining characteristic of fascist movements is a central myth of national rebirth, or palingenetic ultranationalism. His study of fascism (The Nature of Fascism) sparked controversy upon its publication because it diverged from the consensus at the time that fascist movements were purely reactionary and conservative in character; rather he located fascism within modernism and defined it as a revolutionary, future-oriented ideology that represented not a revolt against modernity but a quest to create an alternative modernity.

Esposito likewise begins from this premise in Fascism, Aviation and Mythical Modernity. He defines fascism as an attempt to generate order and national renewal through myth in the face of the crisis of modernity. Citing Mircea Eliade’s description of the need of archaic societies “to regenerate themselves periodically through the annulment of time,” he interprets interwar fascism as an attempt to destroy the old order and regenerate history itself, a “reconnection forwards” (Wiederanknüpfung nach Vorwärts). The quest to create an order that stood outside time and history required the use of myth as a suprahistorical reference point. Fascism thus represented a synthesis of modernity and myth.

The ultimate symbol of this synthesis was aviation. The interwar period, often known as the Golden Age of Aviation, witnessed great advances in aircraft technology. Aeronautical science was a cutting-edge field of study and represented the pinnacle of technological innovation at the time. Simultaneously aviation was cast as a symbol of the fascist myth of national rebirth and the birth of a new man.

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The foremost prophet of the cult of aviation in Italian Fascism was Gabriele D’Annunzio. D’Annunzio was himself an aviator whose interest in flight began in 1908 after flying with Wilbur Wright and attending the Brescia air show the following year. He volunteered as a fighter pilot during the First World War (then over the age of 50) and in 1917 participated in the Italian air raid on the harbor of Bakar in Austrian Croatia. In 1918, he famously led an air raid of eight aircraft over Vienna in which thousands of propaganda leaflets were scattered over the city.

Flight was a prominent theme throughout his work. In the third book of his Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi [In Praise of the Heavens, the Sea, the Earth and Heroes], for instance, he invokes Icarus’ flight: “Who shall gather them? / Who with stronger bonds will know / How to unite the strewn feathers / And try again the mad flight?” To the Fascists, Icarus was a symbol of the Promethean, Faustian spirit of mankind (particularly European man) and man’s quest for glory. D’Annunzio again invokes Greek mythology in an article entitled “Faith in Italian Aviation”: “Nike flies as in the myth, only not with two wings but with a thousand, with thousands upon thousands.”

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D’Annunzio also conceived of the aviator-hero (Esposito’s term) as a religious martyr. The self-sacrificing heroism of the aviator who died fighting for his country became linked with quasi-religious redemption. He likened the sight of a plane spattered with blood to that of a crucifix and in his eulogy for the Italian aviator Gino Allegri, whom he hailed as a “mystic,” likened the droning of a plane’s engine to “the matinal ringing that announces the call to the divine service.”

During the First World War, aviators were also likened to medieval knights in the popular imagination. The air war was distinguished from the mass warfare of the ground war in that it consisted primarily of man-to-man combat; planes were thought of as “flying swords” in knightly duels. The aviator-hero thus symbolized the advent of a new martial elite that would merge the ideal of the aristocratic cavalryman with the modern “technological combatant,” bridging the gap between past and future. In this way the aviator also combined heroic individualism with a willingness to serve the collective.

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Pulp fiction centered around aviation and tales of heroism in the air was enormously popular during the war. Aviators like Manfred von Richthofen (the “Red Baron”), Max Ritter von Müller, and Francesco Baracca were revered as national heroes. One poem in honor of Oswald Boelcke reads: “Hail, Boelcke, hardy seasoned aviator. / Hail, awesome crusher of the foe! / […] Hail, Boelcke, hail! To you as just reward / Does the Volk raise the crown of life / That will ever deck your hero’s deeds / And honor you with immortality!”

The Italians set many aviation records during the interwar years. Italy also built several new airports, pioneered research in aeronautical science, and made advances in civilian travel and airmail during this time. Exhibitions such as the 1934 air exhibition (Esposizione dell’aeronautica italiana), which drew more than one million people, instilled Italians with a sense of national pride by celebrating Italian aviation. Notable Italians in aviation included Francesco de Pinedo, who was the first pilot to fly a foreign plane to America and embarked upon a series of flying boat flights across the globe over the course of the 1920s; Umberto Nobile, who designed the polar airships Norge (the first aircraft to fly over the North Pole) and Italia and piloted them on Arctic expeditions; and Italo Balbo, who built up the Italian Royal Air Force under Mussolini and embarked on a few transatlantic flights, most notably in 1933 with his famed “Italian Air Armada.” Balbo was also a prominent Fascist and one of the four leaders who organized Mussolini’s March on Rome in October 1922.

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Aviation was a central motif in Italian Futurism, particularly during the 1930s, and the airplane represented the ultimate symbol of Futurist ideals: speed, machinery, adventure, heroism, etc. Futurist artists (a number of whom were also aviators) were also fascinated by how the aerial perspective represented an “absolutely new reality, one that has nothing in common with the reality traditionally constituted by earthbound perspectives.” They launched the school of aeropittura (aeropainting) in 1929, giving rise to iconic works such as Tullio Crali’s Nose Dive on the City and Before the Parachute Opens and Tato’s Flying over the Coliseum in a Spiral (Spiraling). Aeropainting, like Italian Futurism in general, was closely associated with Fascism; Marinetti declared that it was a product of the same “revolutionary, aggressive, fervid spirit” behind Fascist aviation. Some aeropaintings were explicitly fascistic, such as Thayaht’s The Great Helmsman, which depicts a muscular Mussolini at the helm of an aircraft with several Savoia-Marchetti S.55 seaplanes (the same planes flown on Balbo’s transatlantic flights) behind him. Apart from aeropittura, the Futurists also devised other “aeroplane” arts: aeropoesia, aeroscultura, aeroachitettura, aeromusica, aerodanza, and even aeropranzo (Futurist meals).

Flight also figures in Marinetti’s Futurist novel Mafarka the Futurist. Mafarka (the protagonist) creates a giant winged cyborg superman, Gazurmah, a symbol of the ultimate fascist new man. Gazurmah eventually kills his creator, representing the destruction of the old order. Mafarka’s death (and rebirth in the form of Gazurmah) enables Gazurmah to soar to greater heights.

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Naturally not all aviators were fascists, and aviation-related tropes and rhetoric were utilized by both fascists and liberals. The German-Jewish art historian Aby Warburg, a bourgeois cosmopolitan who championed liberal modernity, notably designed a postage stamp bearing the motto “Idea vincit” scrawled across the wings of a plane as a symbol of his commitment to the Weimar Republic, which Esposito contrasts with D’Annunzio’s proto-fascist ideals. Nonetheless, although there were liberal contributions to aviation discourse, the cult of aviation was most compatible with Fascism and found its highest expression in Fascist Italy.

The relationship between fascism and aviation was summarized by one Italian journalist who remarked in 1934, “You cannot be a Fascist without feeling a little like a flier; you cannot be a flier without feeling yourself a Fascist.” A writer in L’Ala d’Italia similarly stated:

Fascism has created a new world. Mussolini has brought about a new era of history. […] It is an ancient, rejuvenated race that sets itself against the old age of the world, a new faith that rises up against old habits, decrepit beliefs and ideologies: it is a new destiny. […] Flying is at the pinnacle of this new power.

Esposito also quotes Ernst Jünger’s preface to Luftfahrt ist not! [Aviation Is Necessary], a volume he edited in 1928:

. . . the airman is perhaps the sharpest manifestation of a new manhood. He represents the type that was already showing signs of itself in the war. […] Here, under the aegis of war, was combined every element of energy, distinction, and technical intelligence that characterizes modern civilization, as well as the secret categorical imperative that lends the final hardness to the alloyed metal of machines […]. […] Perhaps he illustrates most clearly the profound link between the soldier’s and the worker’s condition. For although they have remained the same, the forms of the soldier and the worker are here mingled with each other. […] The path that led across the heroic landscapes of war continues through the more sober fields of labor, and in both cases it is the flier’s heart that gives the activity its real value.

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To Jünger, the rise of technology heralded a social revolution in which all human activity would be converted into labor in the form of large-scale industrial processes, which he termed “total mobilization.” Although Jünger was strongly critical of the calculative, utilitarian mass deployment of technology, he predicted that total mobilization would give rise to a new breed of man (the “worker”) characterized by heroism and sacrifice who could save technology from itself: “The phase of destruction is replaced by a real and visible order when that race accedes to dominion that knows how to speak the new language, and not in terms of mere intellect, of progress, of utility, or of convenience, but as an elemental language.” The worker would seek not to wield technology as a means of obtaining total control and security, in contrast to bourgeois man, but rather to achieve unity with it, dissolving the “tension between nature and civilization, organic and mechanical world.” The aviator thus embodied the ideal of the new man.

Article printed from Counter-Currents Publishing: https://www.counter-currents.com

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mercredi, 07 février 2018

Néo-totalitarisme: Huxley fait le point en 1957

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Néo-totalitarisme: Huxley fait le point en 1957

Les carnets de Nicolas Bonnal

Nota : ce texte est long et dûment référencé. Il apparaîtra pessimiste à certains.

On est en 1957. Sputnik fait rêver les plus conditionnés, mais Aldous Huxley rappelle :

« En 1931, alors que j'écrivais Le Meilleur des Mondes, j'étais convaincu que le temps ne pressait pas encore. La société intégralement organisée, le système scientifique des castes, l'abolition du libre arbitre par conditionnement méthodique, la servitude rendue tolérable par des doses régulières de bonheur chimiquement provoqué, les dogmes orthodoxes enfoncés dans les cervelles pendant le -sommeil au moyen des cours de nuit, tout cela approchait; se réaliserait bien sûr, mais ni de mon vivant, ni même du vivant de mes petits-enfants. »

Il fait un constat après la guerre, comme Bertrand de Jouvenel :

« Vingt-sept ans plus tard, dans ce troisième quart du vingtième siècle après J-C. et bien longtemps avant la fin du premier siècle après F., je suis beaucoup moins optimiste que je l'étais en écrivant Le Meilleur des Mondes. Les prophéties faites en 1931 se réalisent bien plus tôt que je le pensais. L'intervalle béni entre trop de désordre et trop d'ordre n'a pas commencé et rien n'indique qu'il le fera jamais. En Occident, il est vrai, hommes et femmes jouissent encore dans une appréciable mesure de la liberté individuelle, mais même dans les pays qui ont une longue tradition de gouvernement démocratique cette liberté, voire le désir de la posséder, paraissent en déclin. Dans le reste du monde, elle a déjà disparu, ou elle est sur le point de le faire. Le cauchemar de l'organisation intégrale que j'avais situé dans le septième siècle après F. a surgi de lointains dont l'éloignement rassurait et nous guette maintenant au premier tournant. »

AH-MdM1.jpgLe communisme a facilement chuté partout finalement mais il a été remplacé parce que Debord nomme le spectaculaire intégré. Tocqueville déjà disait « qu’en démocratie on laisse le corps pour s’attaquer à l’âme. »

Le futur c’est la carotte plutôt que le bâton (cf. mes textes sur Tocqueville, Nietzsche ou le film Network) :

« A la lumière de ce que nous avons récemment appris sur le comportement animal en général et sur le comportement humain en particulier, il est devenu évident que le contrôle par répression des attitudes non conformes est moins efficace, au bout du compte, que le contrôle par renforcement des attitudes satisfaisantes au moyen de récompenses et que, dans l'ensemble, la terreur en tant que procédé de gouvernement rend moins bien que la manipulation non violente du milieu, des pensées et des sentiments de l'individu. »

La manipulation est donc à l’ordre du jour :

« Pendant ce temps, des forces impersonnelles sur lesquelles nous n'avons presque aucun contrôle semblent nous pousser tous dans la direction du cauchemar de mon anticipation et cette impulsion déshumanisée est sciemment accélérée par les représentants d'organisations commerciales et politiques qui ont mis au point nombre de nouvelles techniques pour manipuler, dans l'intérêt de quelque minorité, les pensées et les sentiments des masses. »

La clé du système est son renforcement par la démographie explosive :

« De plus, l'accroissement annuel lui-même s'accroît : régulièrement, selon la règle des intérêts composés et irrégulièrement aussi, à chaque application, par une société technologiquement retardataire, des principes de la Santé publique. A l'heure présente, cet excédent atteint 43 millions environ pour l'ensemble du globe, ce qui signifie que tous les quatre ans l'humanité ajoute à ses effectifs l'équivalent de la population actuelle des Etats-Unis - tous les huit ans et demi l'équivalent de la population actuelle des Indes. »

Huxley remet à sa place les blablas sur la pseudo-conquête spatiale :

« Une nouvelle ère est censée avoir commencé le 4 octobre 1957, mais en réalité, dans l'état présent du monde, tout notre exubérant bavardage post-spoutnik est hors de propos, voire même absurde. En ce qui concerne les masses de l'humanité, l'âge qui vient ne sera pas celui de l'Espace cosmique, mais celui de la surpopulation. »

Conséquence ? Les « trous à merde » de Donald :

« Les faits contrôlables semblent indiquer assez nettement que dans la plupart des pays sous-développés, le sort de l'individu s'est détérioré de façon appréciable au cours du dernier demi-siècle. Les habitants sont plus mal nourris; il existe moins de biens de consommation disponibles par tête et pratiquement tous les efforts faits pour améliorer la situation ont été annulés par l'impitoyable pression d'un accroissement continu de la population. »

Le « plus froid des monstres froids » (Nietzsche) va se développer. Une remarque digne de Jouvenel :

« Ainsi, des pouvoirs de plus en plus grands sont concentrés entre les mains de l'exécutif et de ses bureaucrates. Or, la nature du pouvoir est telle que même ceux qui ne l'ont pas recherché mais à qui il a été imposé, ont tendance à y prendre goût… »

Le Deep State (le « minotaure » de Jouvenel) est condamné à croître avec le totalitarisme dans les pays en voie de surpeuplement :

« Insécurité et agitation mènent à un contrôle accru exercé par les gouvernements centraux et à une extension de leurs pouvoirs. En l'absence d'une tradition constitutionnelle, ces pouvoirs accrus seront probablement exercés de manière dictatoriale. »

AH-TF2.jpgLa surpopulation américaine menacera la démocratie américaine (triplement en un siècle ! La France a crû de 40% en cinquante ans) :

« Pour le moment, la surpopulation ne constitue pas pour la liberté individuelle des Américains un danger direct, mais déjà la menace d'une menace. »

Eugéniste, proche de Carrel ici, Huxley annonce un déclin qualitatif de notre population et de notre intelligence, fait aujourd’hui reconnu :

« Malgré les nouvelles drogues-miracle et des traitements plus efficaces (on peut même dire en un certain sens, grâce à eux), la santé physique de la masse ne s'améliorera pas, au contraire, et un déclin de l'intelligence moyenne pourrait bien accompagner cette détérioration. »

Huxley critique froidement les progrès de la médecine (ou leur mauvaise gestion) :

« La mort rapide due à la malaria a été supprimée, mais une existence rendue misérable par la sous-alimentation et le surpeuplement est main- tenant la règle et une mort lente, par inanition, guette un nombre de plus en plus grand d'habitants. »

Huxley ici reprend Bernays sur la montée des élites :

« Nous voyons donc que la technique moderne a conduit à la concentration du pouvoir économique et politique ainsi qu'au développement d'une société contrôlée (avec férocité dans les Etats totalitaires, courtoisie et discrétion dans les démocraties) par les Grosses Affaires et les Gros Gouvernements. »

Notre auteur cite Fromm :

« …Notre société tend à faire de lui un automate qui paie son échec sur le plan humain par des maladies mentales toujours plus fréquentes et un désespoir qui se dissimule sous une frénésie de travail et de prétendu plaisir. »

Puis Huxley évalue la nullité des hommes modernes et par là se rapproche de René Guénon (voyez l’anonymat dans le règne de la quantité) :

« Ces millions d'anormalement normaux vivent sans histoires dans une société dont ils ne s'accommoderaient pas s'ils étaient pleinement humains et s'accrochent encore à « l'illusion de l'individualité », mais en fait, ils ont été dans une large mesure dépersonnalisés. Leur conformité évolue vers l'uniformité. »

Le futur est à la termitière :

« La civilisation este entre autres choses, le processus par lequel les bandes primitives sont transformées en un équivalent, grossier et mécanique, des communautés organiques d'insectes sociaux. A l'heure présente, les pressions du surpeuplement et de l'évolution technique accélèrent ce mouvement. La termitière en est arrivée à représenter un idéal réalisable et même, aux yeux de certains, souhaitable. »

Termitière ? Plus effrayant encore ce passage – car tous les mots sont rentrés dans notre lexique :

« Ainsi que l'a montré Mr. William Whyte dans son remarquable ouvrage, The Organization man, une nouvelle Morale Sociale est en train de remplacer notre système traditionnel qui donne la première place à l'individu. Les mots clefs en sont : « ajustement », « adaptation », « comportement social ou antisocial », « intégration », « acquisition de techniques sociales », « travail d'équipe », « vie communautaire », « loyalisme communautaire », « dynamique communautaire », « pensée communautaire », « activités créatrices communautaires »…

Car l’ingénierie sociale c’est la fin du christianisme et même du Christ :

« Selon la Morale Sociale, Jésus avait complètement tort quand il affirmait que le sabbat a été fait pour l'homme pour l'homme; au contraire, c'est l'homme qui. a été fait pour le sabbat, qui doit sacrifier ses particularités natives et faire semblant d'être la sorte de bon garçon invariablement liant que les organisateurs d'activités collectives considèrent comme le plus propre à leurs fins. »

En bon patricien britannique (voyez mon livre sur Tolkien, mes essais sur Chesterton), Huxley refuse cet assemblage :

« Un gouffre immense sépare l'insecte social du mammifère avec son gros cerveau, son instinct grégaire très mitigé et ce gouffre demeurerait, même si l'éléphant s'efforçait d'imiter la fourmi. Malgré tous leurs efforts, les hommes ne peuvent que créer une organisation et non pas un organisme social. En s'acharnant à réaliser ce dernier, ils parviendront tout juste à un despotisme totalitaire. »

Le futur indolore de la domination est programmé :

« Dans les dictatures plus efficaces de demain, il y aura sans doute beaucoup moins de force déployée. Les sujets des tyrans à venir seront enrégimentés sans douleur par un corps d'ingénieurs sociaux hautement qualifiés. »

AH-RMdM3.jpgDix ans avant Umberto Eco (voyez mon livre sur Internet), Huxley annonce un nouveau moyen âge, pas celui de Guénon bien sûr, celui de Le Goff plutôt :

« Les forces impersonnelles du surpeuplement et de l'excès d'organisation jointes aux ingénieurs sociologues qui essaient de les diriger, nous poussent vers un nouveau système médiéval. »

Huxley annonce la propagande à venir en occident :

« La propagande pour une action dictée par des impulsions plus basses que l'intérêt présente des preuves forgées, falsifiées, ou tronquées, évite les arguments logiques et cherche à influencer ses victimes par la simple répétition de slogans, la furieuse dénonciation de boucs émissaires étrangers ou nationaux, et l'association machiavélique des passions les plus viles aux idéaux les plus élevés… »

Huxley méprise la liberté de la presse en rappelant ce simple fait :

« En ce qui concerne la propagande, les premiers partisans de l'instruction obligatoire et d'une presse libre ne l'envisageaient que sous deux aspects : vraie ou fausse. Ils ne prévoyaient pas ce qui, en fait, s'est produit- le développement d'une immense industrie de l'information, ne s'occupant dans l'ensemble ni du vrai, ni du faux, mais de l'irréel et de l'inconséquent à tous les degrés. En un mot, ils n'avaient pas tenu compte de la fringale de distraction éprouvée par les hommes. »

On retombe dans le pain et les jeux de Juvénal :

« Pour trouver une situation comparable, fût-ce de loin, à celle qui existe actuellement, il nous faut remonter jusqu'à la Rome impériale, où la populace était maintenue dans la bonne humeur grâce à des doses fréquentes et gratuites des distractions les plus variées, allant des drames en vers aux combats de gladiateurs, des récitations de Virgile aux séances de pugilat, des concerts aux revues militaires et aux exécutions publiques. Mais même à Rome, il n'existait rien de semblable aux distractions ininterrompues fournies par les journaux, les revues, la radio, la télévision et le cinéma. »

Une prédiction (prédiction ou constatation ?) terrible :

« Une société dont la plupart des membres passent une grande partie de leur temps, non pas dans l'immédiat et l'avenir prévisible, mais quelque part dans les autres mondes inconséquents du sport, des feuilletons, de la mythologie et de la fantaisie métaphysique, aura bien du mal à résister aux empiétements de ceux qui voudraient la manipuler et la dominer. »

Le futur est à la « distraction ininterrompue » qui se mêlera à la propagande.

Huxley cite Albert Speer. Après Hitler on n’a pas arrêté le progrès.

« Depuis l'époque de Hitler, l'arsenal des moyens techniques à la disposition de l'aspirant-dictateur a été considérablement développé! En plus de la radio, du haut-parleur, de la caméra de cinéma et de la presse rotative, le propagandiste contemporain peut faire usage de la télévision pour transmettre non seulement la voix, mais l'image de son client et enregistrer le tout sur des bandes magnétiques. Grâce aux progrès techniques, le Grand Frère peut maintenant être omniprésent presque autant que Dieu. D'ailleurs, il n'y a pas que dans ce domaine que des atouts nouveaux ont été apportés au jeu du dictateur. Depuis Hitler, des travaux considérables ont été faits en psychologie et neurologie appliquées, domaines d'élection du propagandiste, de l'endoctrineur, et du laveur de cerveaux. »

Puis Huxley compare Hitler à Bernays, l’inventeur de la cigarette pour les femmes :

« C'est par la manipulation de « forces cachées » que les experts en publicité vous incitent à acheter leurs produits - une pâte dentifrice, une marque de cigarettes, un candidat politique - et c'est en faisant appel aux mêmes, ainsi qu'à d'autres trop dangereuses pour que s'y frotte Madison Avenue, que Hitler a incité les masses allemandes à s'acheter un Führer, une philosophie insane et une Deuxième Guerre mondiale. »

Après Hitler, la publicité commerciale. Huxley cite Vance Packard et ajoute :

« Nous n'achetons plus des oranges, mais de la vitalité. Nous n'achetons plus une voiture, mais du prestige. » Il en est de même pour tout le reste. Avec un dentifrice, nous achetons non plus un simple détersif antiseptique, mais la libération d'une angoisse : celle d'être sexuellement repoussant. Avec la vodka et le whisky, nous n'achetons pas un poison protoplasmique qui, à doses faibles, peut déprimer le système nerveux de manière utile au point de vue psychologique, nous achetons de l'amabilité, du liant, la chaleur… Avec l'ouvrage à succès du mois, nous acquérons de la culture, l'envie de nos voisins moins intellectuels et le respect des raffinés. »

AH-PP4.jpgHuxley n’est pas très optimise non plus sur l’avenir des enfants mués en de la chair à télé :

« Comme on pouvait s'y attendre, les jeunes sont extrêmement sensibles à la propagande. Ignorants du monde et de ses usages, ils sont absolument sans méfiance, leur esprit critique n'est pas encore développé, les plus petits n'ont pas atteint l'âge de raison et les plus âgés n'ont pas acquis l'expérience sur laquelle leur faculté de raisonnement nouvellement découverte pourrait s'exercer. En Europe, les conscrits étaient désignés sous le nom badin de « chair à canon ». Leurs petits frères et leurs petites sœurs sont maintenant devenus de la chair à radio et à télévision. Dans mon enfance, on nous apprenait à chanter de petites rengaines sans grand sens ou, dans les familles pieuses, des cantiques. Aujourd'hui, les petits gazouillent de la publicité chantée. »

Pas d’illusions sur les élections et la politique :

« Les partis mettent leurs candidats et leurs programmes sur le marché en utilisant les mêmes méthodes que le monde des affaires pour vendre ses produits… Les services de ventes politiques ne font appel qu'aux faiblesses de leurs électeurs, jamais à leur force latente. Ils se gardent bien d'éduquer les masses et de les mettre en mesure de se gouverner elles-mêmes, jugeant très suffisant de les manipuler et de les exploiter. »

Sur le lavage de cerveau pratiqué dans notre planète-prison, Huxley rappelle :

« Si le système nerveux central du chien peut être brisé, celui d'un prisonnier politique aussi. Il s'agit seulement d'appliquer les doses de tension voulues pendant le temps voulu. A la fin du traitement, l'interné sera dans un état de névrose ou d'hystérie tel qu'il avouera ce que ses geôliers voudront. »

Huxley explique pourquoi notre système de suggestibilité encourage le somnambulisme puis il rappelle tristement :

« L'efficacité de la propagande politique et religieuse dépend des méthodes employées et non pas des doctrines enseignées. Ces dernières peuvent être vraies ou fausses, saines ou pernicieuses, peu importe. Si l'endoctrinement est bien fait au stade voulu de l'épuisement nerveux, il réussira. »

Opiomanie ou toxicomanie ? Huxley rappelle ici le fameux soma de son roman :

« La ration de soma quotidienne était une garantie contre l'inquiétude personnelle, l'agitation sociale et la propagation d'idées subversives. Karl Marx déclarait que la religion était l'opium du peuple, mais dans le Meilleur des Mondes la situation se trouvait renversée : l'opium, ou plutôt le soma, était la religion du peuple. »

Huxley rappelle nos progrès en chimie du cerveau et il prophétise l’addiction américaine responsable aujourd’hui de dizaines de milliers de morts :

« …prenez le cas des barbituriques et des tranquillisants. Aux U.S.A., ces remèdes peuvent être obtenus avec une simple ordonnance de docteur, mais l'avidité du public américain pour quelque chose qui rendra un peu plus supportable la vie dans le milieu urbain et industriel est si grande, que les médecins ordonnent actuellement de ces spécialités au rythme de 48 millions de prescriptions par an. »

On contrôlera donc l’opposition politique par les tranquillisants !

« Les masses ne risqueront pas de créer la moindre difficulté à leur maître. Seulement, dans l'état actuel des choses, les tranquillisants peuvent empêcher certaines personnes de créer assez de difficulté, non seulement à leurs dirigeants, mais à elles-mêmes. »

On peut même gagner la guerre par les tranquillisants !

« Lors d'une récente conférence sur le méprobamate, à laquelle je participais, un éminent biochimiste proposa en riant que le gouvernement des U.S.A. envoyât gratuitement au peuple soviétique 50 milliards de doses du plus populaire des tranquillisants. La plaisanterie avait son côté inquiétant. »

Chez Huxley comme chez La Boétie le fond du problème n’est pas la malignité de la science ou des élites sinon la médiocrité de la nature humaine démontrée ici par la science...

« Les idéaux de la démocratie et de la liberté se heurtent au fait brutal de la suggestibilité humaine. Un cinquième de tous les électeurs peut être hypnotisé presque en un clin d'œil, un septième soulagé de ses souffrances par des piqûres d'eau, un quart suggestionné avec rapidité et dans l'enthousiasme par I'hypnopédie. A toutes ces minorités trop promptes à coopérer, on doit ajouter les majorités aux réactions moins rapides dont la suggestibilité plus modérée peut être exploitée par n'importe quel manipulateur connaissant son affaire, prêt à y consacrer le temps et les efforts nécessaires. »

AH-J5.jpgQuant au futur, no comment :

« La liberté individuelle est-elle compatible avec un degré élevé de suggestibilité? Les institutions démocratiques peuvent-elles survivre à la subversion exercée du dedans par des spécialistes habiles dans la science et l'art d'exploiter la suggestibilité à la fois des individus et des foules? »

Il reste que le futur, en 1957, c’est aussi, c’est surtout cent millions de couillonnes sur Instagram admirant et imitant Kylie Jenner. Huxley :

« Et l'uniformisation des êtres était encore parachevée après la naissance par le conditionnement infantile, l'hypnopédie et l'euphorie chimique destinée à remplacer la satisfaction de se sentir libre et créateur. Dans le monde où nous vivons, ainsi qu'il a été indiqué dans des chapitres précédents, d'immenses forces impersonnelles tendent vers l'établissement d'un pouvoir centralisé et d'une société enrégimentée. La standardisation génétique est encore impossible, mais les Gros Gouvernements et les Grosses Affaires possèdent déjà, ou posséderont bientôt, tous les procédés pour la manipulation des esprits décrits dans Le Meilleur des Mondes, avec bien d'autres que mon manque d'imagination m'a empêché d'inventer. »

Le monde une prison, conclue Hamlet avec Rosencrantz et Guildenstern.

Huxley poursuit cruellement par les banalités d’usage sur l’éducation qui nous rendrait résistant :

« Si nous voulons éviter ce genre de tyrannie, il faut que nous commencions sans délai notre éducation et celle de nos enfants pour nous rendre aptes à être libres et à nous gouverner nous-mêmes. »

Cette éducation (cf. la chasse aux fake news) peut aisément être recyclée en ce que l’on sait !

Il rappelle ce truisme :

« Les effets d'une propagande mensongère et pernicieuse ne peuvent être neutralisés que par une solide préparation à l'art d'analyser ses méthodes et de percer à jour ses sophismes. »

Huxley rappelle à temps que personne ne veut de contre-propagande !

« Et pourtant, nulle part on n'enseigne aux enfants une méthode systématique pour faire le départ entre le vrai et le faux, une affirmation sensée et une autre qui ne l'est pas. Pourquoi? Parce que leurs aînés, même dans les pays démocratiques, ne veulent pas qu'ils reçoivent ce genre d'instruction. Dans ce contexte, la brève et triste histoire de l'Institute for Propaganda Analysis est terriblement révélatrice. Il avait été fondé en 1937, alors que la propagande nazie faisait le plus de bruit et de ravages, par Mr. Filene, philanthrope de la Nouvelle-Angleterre. Sous ses auspices, on pratiqua la dissection des méthodes de propagande non rationnelle et l'on prépara plusieurs textes pour l'instruction des lycéens et des étudiants. Puis vint la guerre, une guerre totale, sur tous les fronts, celui des idées au moins autant que celui des corps. Alors que tous les gouvernements alliés se lançaient dans “la guerre psychologique”, cette insistance sur la nécessité de disséquer la propagande sembla quelque peu dépourvue de tact. L'Institut fut fermé en 1941. »

Huxley rappelle les raisons de cette timidité :

« L'examen trop critique par trop de citoyens moyens de ce que disent leurs pasteurs et maîtres pourrait s'avérer profondément subversif. Dans sa forme actuelle, l'ordre social dépend, pour continuer d'exister, de l'acceptation, sans trop de questions embarrassantes, de la propagande mise en circulation par les autorités et de celle qui est consacrée par les traditions locales. »

AH-Dm6.jpgDans son maigre énoncé des solutions (il n’en a pas), Huxley évoque alors la prison sans barreau (the painless concentration camp, expression mise en doute par certains pro-systèmes !) :

« Il est parfaitement possible qu'un homme soit hors de prison sans être libre, à l'abri de toute contrainte matérielle et pourtant captif psychologiquement, obligé de penser, de sentir et d'agir comme le veulent les représentants de l'Etat ou de quelque intérêt privé à l'intérieur de la nation. »

Huxley recommande de protéger les lieux publics et la télévision. Or on ne peut protéger les lieux publics et la télévision qui ne sont là que pour vendre et pour puer : il faut donc les éviter. Si ton œil t’est objet de tentation…

Il note justement que « les formes libérales serviront simplement à masquer et à enjoliver un fond situé aux antipodes du libéralisme », et que le futur n’est guère plus joyeux que le présent de Bernays : « Entre-temps, l'oligarchie au pouvoir et son élite hautement qualifiée de soldats, de policiers, de fabricants de pensée, de manipulateurs mentaux mènera tout et tout le monde comme bon lui semblera. »

Sur notre futur monopolistique, Huxley ne se fait guère d’illusions (qui s’en fait encore ?) :

« Mais c'est un fait historique aujourd'hui que les moyens de production sont rapidement centralisés et monopolisés par les Grosses Affaires et les Gros Gouvernements. Par conséquent, si vous avez foi en la démocratie, prenez des mesures pour distribuer les biens aussi largement que possible. »

Huxley, beaucoup moins méchant que ce que pensent pas mal d’antisystèmes, propose une solution de révolution médiévale digne de Chesterton et Belloc :

« Par conséquent, si vous souhaitez éviter l'appauvrissement spirituel des individus et de sociétés entières, quittez les grands centres et faites revivre les petites agglomérations rurales, ou encore humanisez la ville en créant à l'intérieur du réseau de son organisation mécanique, les équivalents urbains des petits centres ruraux où les individus peuvent se rencontrer et coopérer en qualité de personnalités complètes, et non pas comme de simples incarnations de fonctions spécialisées. »

Mais rien n’y fait (on est à l’époque du génial Mumford) :

« Nous savons que, pour la plupart de nos semblables, la vie dans une gigantesque ville moderne est anonyme, atomique, au-dessous du niveau humain, néanmoins les villes deviennent de plus en plus démesurées et le mode de vie urbano-industriel demeure inchangé. »

Huxley, qui finit par citer Dostoïevski et son grand inquisiteur, ne se fait guère d’illusions, sondages à l’appui :

« Aux U.S.A. - et l'Amérique est l'image prophétique de ce que sera le reste du monde urbano-industriel dans quelques années d'ici - des sondages récents de l'opinion publique ont révélé que la majorité des adolescents au-dessous de vingt ans, les votants de demain, ne croient pas aux institutions démocratiques, ne voient pas d'inconvénient à la censure des idées impopulaires, ne jugent pas possible le gouvernement du peuple par le peuple et s'estimeraient parfaitement satisfaits d'être gouvernés d'en haut par une oligarchie d'experts assortis, s'ils pouvaient continuer à vivre dans les conditions auxquelles une période de grande prospérité les a habitués. »

Les jeunes sont soumis, les ados sont pires que les autres, comme je l’ai constaté dans ma jeunesse et comme  le montrera le succès mondial de culture sexe, drogue, rock. Huxley :

« Que tant de jeunes spectateurs bien nourris de la télévision, dans la plus puissante démocratie du monde, soient si totalement indifférents à l'idée de se gouverner eux-mêmes, s'intéressent si peu à la liberté d'esprit et au droit d'opposition est navrant, mais assez peu surprenant. »

Il évoque les oiseaux (La Boétie évoquait les chiens) …

« Tout oiseau qui a appris à gratter une bonne pitance d'insectes et de vers sans être obligé de se servir de ses ailes renonce bien vite au privilège du vol et reste définitivement à terre. »

La suite est lyrique !

« Le cri de « Donnez-moi la télévision et des saucisses chaudes, mais ne m'assommez pas avec les responsabilités de l'indépendance », fera peut-être place, dans des circonstances différentes à celui de « La liberté ou la mort ».

Et le maître de conclure :

« Il semble qu'il n'y ait aucune raison valable pour qu'une dictature parfaitement scientifique soit jamais renversée. »

Demandez à Zuckerberg, à la NSA et à Monsanto ce qu’ils en pensent.

Sources complémentaires

Huxley – Le meilleur des mondes ; retour au meilleur des mondes (1957), sur archive.org

Nicolas Bonnal – Comment les peuples sont devenus jetables ; comment les Français sont morts ; la culture comme arme de destruction massive (Amazon.fr)

Umberto Eco – Vers un nouveau moyen âge (1972)

Bertrand de Jouvenel – Du Pouvoir (Pluriel)

Vince Packard – Hidden persuaders

Armand Mattelart – Histoire de l’utopie planétaire (la Découverte)

Chesterton – What I saw in America (Gutenberg.org)

Shakespeare – Mesure pour mesure ; Hamlet ; La tempête (inlibroveritas.net)

La Boétie – Sur la servitude volontaire (Wikisource)

Tocqueville – De la démocratie en Amérique (classiques.Uqac.ca)

Debord – Commentaires

Les valeurs populistes comme résistance au narcissisme

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Les valeurs populistes comme résistance au narcissisme

par Renaud Garcia

Ex: http://www.oragesdacier.info

On le pressent, une fois ce diagnostic établi, la solution proposée par Lasch n’a rien de bien « transgressif », en apparence du moins. Lasch propose simplement de retrouver le sens des limites. Sur ce point, il convient cependant de ne pas se méprendre. Que l’individu doive retrouver le sens des limites n’a jamais signifié pour Lasch l’impératif de rétablir par la force l’autorité qui châtie et punit aveuglément. C’est ici que des « conservateurs droitiers » tels qu’Alain Finkielkraut ou Pascal Bruckner cessent de de pouvoir se référer sans mauvaise foi à Lasch. La permissivité et la peur du conflit d’une part, l’autorité qui ne sait qu’interdire d’autre part, forment pour Lasch deux faces d’une même médaille. A moins que les normes éthiques, suggère-t-il dans Le Moi assiégé, ne s’enracinent dans une identification émotionnelle avec les autorités qui les font respecter, elles n’inspireront rien de plus qu’une obéissance servile. 
 
     En réalité, aux yeux de Lasch, un ordre humain conforme aux idéaux révolutionnaires d’égalité, de liberté et de décence ne semble possible que si les individus cultivent la modestie face à la vie, la loyauté dans leurs rapports et un esprit général de gratitude. Or, cette culture-là, Lasch pense la trouve dans le fonds de valeurs du populisme américain, dont il recompose les origines et les luttes du XIXe au XXe siècle dans Le Seul et Vrai Paradis. Alors que sous l’impulsion d’intellectuels experts en politologie tels que Dominique Reynié le « populisme » en est venu aujourd’hui à incarner une sorte de peste politique, remettant prétendument en question par son appel racoleur au peuple les fondements de la démocratie parlementaire, l’insigne mérite de l’ouvrage Le Seul et Vrai Paradis est de rendre au populisme sa vigueur critique et révolutionnaire face aux promesses du progrès capitaliste. 
 
laschCN.jpg     Dans une enquête de grande ampleur, qui évoque notamment le radicalisme chrétien d’Orestes Brownson (1803-1876), le transcendantalisme de Ralph Waldo Emerson (1803-1882), le mouvement de résistance non violente de Martin Luther King (1929-1968), en passant par le socialisme de guilde de George Douglas Howard Cole (1889-1959), Lasch met en évidence tout un gisement de valeurs relatives à l’humanisme civique, dont les Etats-Unis et plus largement le monde anglo-saxon ont été porteurs en résistance à l’idéologie libérale du progrès. Il retrouve, par-delà les divergences entre ces œuvres, certains constances : l’habitude de la responsabilité associée à la possession de la propriété ; l’oubli volontaire de soi dans un travail astreignant ; l’idéal de la vie bonne, enracinée dans une communauté d’appartenance, face à la promesse de l’abondance matérielle ; l’idée que le bonheur réside avant tout dans la reconnaissance que les hommes ne sont pas faits pour le bonheur. Le regard historique de Lasch, en revenant vers cette tradition, n’incite pas à la nostalgie passéiste pour un temps révolu. A la nostalgie, Lasch va ainsi opposer la mémoire. La nostalgie n’est que l’autre face de l’idéologie progressiste, vers laquelle on se tourne lorsque cette dernière n’assure plus ses promesses. La mémoire quant à elle vivifie le lien entre le passé et le présent en préparant à faire face avec courage à ce qui arrive. Au terme du parcours qu’il raconte dans Le Seul et Vrai Paradis, le lecteur garde donc en mémoire le fait historique suivant : il a existé un courant radical très fortement opposé à l’aliénation capitaliste, au délabrement des conditions de travail, ainsi qu’à l’idée selon laquelle la productivité doit augmenter à la mesure des désirs potentiellement illimités de la nature humaine, mais pourtant tout aussi méfiant à l’égard de la conception marxiste du progrès historique. Volontiers raillée par la doxa marxiste pour sa défense « petite bourgeoise » de la petite propriété, tenue pour un bastion de l’indépendance et du contrôle sur le travail et les conditions de vie, la pensée populiste visait surtout l’idole commune des libéraux et des marxistes, révélant par là même l’obsolescence du clivage droite/gauche : le progrès technique et économique, ainsi que l’optimisme historique qu’il recommande. Selon Lasch qui, dans le débat entre Marx et Proudhon, opte pour les analyses du second, l’éthique populiste des petits producteurs était « anticapitaliste, mais ni socialiste, ni social-démocrate, à la fois radicale, révolutionnaire même, et profondément conservatrice ». 
 
     Après avoir exposé avec le narcissisme et le populisme deux registres de valeurs et deux visions de la société humaine, Lasch en a finalement appelé à la résurgence de la critique sociale, en posant une question fondamentale : « La démocratie mérite-t-elle de survivre ? » 
 
Renaud Garcia, « Christopher Lasch, le culte du narcissisme » in Radicalité, 20 penseurs vraiment critiques

La revue de presse de Pierre Bérard (07 février 2018)

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La revue de presse de Pierre Bérard

(07 février 2018)

Au sommaire :

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

• Le grand remplacement : complot, fantasme ou réalité ? Édouard Chanot répond par un modèle de chronique vidéo. En moins de 10 minutes il fait le tour du problème avec une limpidité et un sens remarquable de la pédagogie :

 
En Belgique comme ailleurs les immigrationnistes qui détiennent tous les leviers de l’information dissimulent à la population les chiffres d’une immigration dont ils chérissent pourtant les effets. Le sénateur de centre-droit 
Alain Destexhe rend compte de cette réalité aussi paradoxale qu'incontestable dans une tribune du Figaro :
 
 

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Du même auteur, Alain Destexhe, cette analyse concernant la Belgique toujours où 70% de la population est opposée à la poursuite de l’immigration. Celle-ci est cependant frénétiquement soutenue par les élites et le parti des médias qui n’hésitent pas à user des totems issus de la période de l’Occupation pour imposer leur point de vue. « Rafle », « armée des ombres », « nouveaux Justes » sont convoqués de manière à assimiler les migrants à de nouveaux juifs, alors que nombre d’entre eux sont depuis l’enfance biberonnés à l’antisémitisme… Le parti des médias, on le voit, ne s’embarrasse pas de subtilités. Jusqu’où ces apprentis-sorciers pousseront-ils la bienveillance vis à vie de leurs protégés ? :
 
 
Troubles dans la sociologie. En effet certains sociologues, très minoritaires, s’inquiètent de ce qui leur apparaît comme un dévoiement de leur discipline par l’irruption dans leur champ d'une « sociologie critique » devenue majoritaire depuis l’époque Bourdieu. Alors qu’auparavant la contestation des conclusions de la sociologie (culture de l’excuse) provenait de philosophes ou de journalistes, désormais elle est issue des rangs mêmes de la discipline. Loin d’être une simple querelle de chapelles cette controverse interroge l’intelligibilité de notre monde. La dernière émission d’Alain Finkielkraut (Répliques) opposait le bourdieusien militant Marc Joly à Nathalie Heinich qui réfute la confusion de la sociologie avec des approches politiques engagées (critique réductrice de la domination et des dominants, toujours coupables, au nom des intérêts des dominés réputés innocents même lorsqu’ils sont coupables) et rappelle l’importance de la culture au sens anthropologique dans l’appréciation des faits sociaux :
 
 
Chronique pleine d’ironie de Philippe Bilger à propos de la ministre de la « culture censurée » qui se rétracte à la première objurgation d’individus regroupés dans des associations de nuisance à prétention antiraciste. Faudra-il pour les satisfaire renoncer à tout un pan de notre héritage culturel qui a le malheur de leur déplaire et faire pénitence ad vitam aeternam pour avoir osé s’en réclamer ? Le cas Maurras, après celui de Céline, est à cet égard symptomatique quoi qu’on puisse penser de ce personnage :
 
 
Journaliste et écrivain Richard Labévière présente un document inédit d’une diplomate russe offrant un point de vue différent de celui auquel nous ont accoutumé les médias de grand chemin sur la crise syrienne et la bataille d’Alep :
 
 

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Bonne analyse de Pierre Brunet à propos de l’offensive lancée par le président turc Recep Tayyip Erdogan sur la zone kurde d’Afrin (Syrie). Sérieux avertissement pour l’OTAN qui voit ses deux principales armées (États-Unis et Turquie) se précipiter dans un face à face qui pourrait conduire à la fragilisation de l’alliance, sinon à sa disparition de fait :
 
 
Pour Gilles Richard auteur chez Perrin de l’ « Histoire des droites en France. De 1815 à nos jours », le centre et l’extrême droite sont de simples fictions. Dans le paysage politique actuel où la question nationale a pris le dessus sur tout autre problématique, l'interrogation est la suivante : « Est-ce que la France demeurera une nation souveraine, ou bien est-ce qu’à terme, elle se fondra dans une entité plus grande, intégré, l’Union européenne ? Le clivage principal est devenu celui-ci… ». Il distingue deux niveaux d’analyse, celle qui concerne les familles politiques (idée) et celle qui s’attache aux partis (organisation) qui ont leur propre logique. Dans la configuration actuelle il discerne deux grandes familles de droite, celle des néo-libéraux et celle des nationalistes attentifs aux spécificités de chaque peuple. L’entente, déclare-t-il, est impossible entre ces deux familles. En réalisant l’unité des néo-libéraux de droite et ceux de gauche Macron devrait obliger Wauquiez à purger son parti des libéraux qui y demeurent encore, mais en a-t-il la volonté ? Il conclue en soulignant que ni les libéraux ni les nationaliste n’ont de réponses à ce qui taraude notre devenir : la question écologique :
 
 
Les propos de l’homme d'affaires Robert Bourgi (qui a fait fortune dans le marigot de la France-Afrique) dans l’émission de BFM intitulée « Qui a tué François Fillon ? » donnent un aperçu des pires maux de la vie politique française : un cocktail de batailles d’ego, de rancoeurs et de vengeance personnelles dans lesquels s’anéantit toute idée de bien commun et d’intérêt général. Selon Maxime Tandonnet le déclin de la culture et de l’intelligence politique, autrement dit l’impolitique, est au centre du grand malaise touchant en premier lieu les élites dirigeantes et médiatiques :
 
 

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Contrairement à ce que proclame la propagande macronienne la France n’est pas « back », mais « out » selon Richard Millet qui excipe toutes sortes de raisons dont la principale est la médiocrité, voire le grotesque de son 
personnel politique. Selon lui « Ce qui reste de la France relève donc de la muséification et de la disneylandisation ». Ce bilan n’est-il pas un brin trop doloriste ? :
 
 
En quelques minutes Éric Zemmour démonte les mécanismes de la mondialisation. Plus de 80% de la richesse crée en 2017 ne profite qu’à une très mince oligarchie, et cela dure depuis des décennies. Le processus est simple : exploiter les pauvres des pays pauvres pour fabriquer des produits bas de gamme qu’achètent les pauvres des pays riches en le payant de leurs emplois. Et pour les emplois non délocalisables (bâtiment, restauration, entretien) des pays riches, ces mêmes oligarchies alimentent une immigration pléthorique qui a l’avantage de maintenir un taux de chômage élevé et de faire ainsi pression à la baisse sur les salaires, 
avec le soutien paradoxal des syndicats et des « humanistes compassionnels », dont l’action est guidée par ce qu’il leur reste d’internationalisme. On le voit : la plus value fait quelques heureux et des masses de miséreux : 
 
 
Entretien captivant, en deux parties, du romancier Patrice Jean avec la revue Philitt à propos de son roman paru en 2017 « L’Homme surnuméraire ». Dans ce récit de mise en abyme, il met en scène un père de famille banal et sans histoire brimé par sa femme, sorte de Mme Bovary féministe et un personnage plus jeune travaillant à nettoyer la littérature de ses passages offensant le politiquement correct dans une maison d’édition qui affiche bien haut ses prétentions « humanistes ». 
 
 
 
La dernière émission I-Média animée par Jean-Yves Le Gallou et Hervé Grandchamp revient largement sur l’affaire Théo et démonte les nombreux bobards auxquels elle donna lieu. Comme trop souvent, le rétablissement 
des faits intervient tardivement lorsque l’effet de sidération des lecteurs, auditeurs et téléspectateurs a opéré. Remarquable séquence de résistance au formatage ambiant qui veut nous faire prendre des vessies pour des lanternes, les bandes de racailles pour des saints et les flics pour d’affreux voyous :
 
 

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En Russie orthodoxe les rituels d’origine païennes des Sviatki rendent compte de l’origine commune à tous les européens des sources de la spiritualité. Sources bien antérieures à la christianisation (période des 12 nuits de Noël, déguisements, visites etc…):
 
 
Philippe Marlière qui cosignait en juin dernier une tribune de soutien à Houria Bouteldja et anime un blog sur le site web de Mediapart crie son indignation sur Tweeter. Le motif lui en est fourni par l’ouverture du débat démocratique à de nouveaux intervenants. Si l’on en croit Marlière les seuls débats licites doivent donc être organisés entre interlocuteurs s'entendant tacitement sur leurs conclusions. Toute opinion critique étant soustraite à la discussion. Le pluralisme ainsi jeté aux orties, explique dans un large mesure l’épuisement de la doxa contemporaine dénuée de curiosité et son psittacisme désespérant. Aux dernières nouvelles les vigilants l’ont encore emporté et la Fondation Feltrinelli annule ses invitations. Nous vivons une époque formidable :
 

The Frankfurt School and the New Left: Sorcerer's Apprentices and Hobgoblins

The Frankfurt School and the New Left:
Sorcerer's Apprentices and Hobgoblins

Ex: https://equityandfreedom.com

And the 'terrible waters' they have wrought since 1968.

The activities of the Frankfurt School, the group of intellectuals which spawned the New Left, the movement that from 1968 onwards captured the cultural hegemony in the West, can be likened to the story of the ‘Sorcerer’s Apprentice’.

This famous ballad by Johann Wolfgang von Goethe is known in the English-speaking world primarily due to the cinematic rendering of it in Walt Disney’s ‘Fantasia’, with Mickey Mouse in the title role. The creators of the ten-minute cartoon episode remained fairly true to the original, with these exceptions: Goethe’s apprentice does not fall asleep, and he hacks the bewitched broom in two only, not in innumerable splinters. A third deviation comes right at the end: In the original, the sorcerer doesn’t whack his wayward assistant with the broom. Instead, the returning senior wizard simply puts everything back in order. There is no mention of any sanction at all. Prompted maybe by Paul Dukas’ compelling and in parts spooky music (a symphonic poem composed 1897 specifically with Goethe’s ballad in mind), Disney’s filmmakers may simply have assumed the punishment and the other changes.

In the German-speaking world, one line of the poem is often cited when describing a development over which the instigator has lost control: ‘Die ich rief, die Geister, werd’ ich nun nicht los.’ Which translates into: The spirits which I summoned, I now cannot get rid of.

What’s interesting in this context is that Goethe wrote the ballad in the year 1797, according to Wikipedia as a warning to his contemporaries in view of developments in France after the revolution.

Disney’s Fantasia makes no mention of Goethe, although their version is quite obviously based on his poem. Possibly because, by the time the film was being made in 1940, talk of looming war made it inexpedient to mention the great German. Instead, the introduction simply says it is an ‘ancient tale.’

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So, how does this ballad relate to the Frankfurt School and their doings in the real world? It is now half a century since the pivotal year of 1968, when people – mostly young and impressionable – across the whole West, inspired by the Frankfurt School, started their infamous ‘long march through the institutions.’ These ‘68ers’ can be divided into two groups: Sorcerer’s apprentices and hobgoblins.

The sorcerer’s apprentices are those who with their words change – not a broom, but – other humans into the equivalent of hobgoblins and set them in motion. The latter become the water carriers for the former, until a few of the apprentices (by far not all), appalled at the ‘terrible waters’ (‘entsetzliches Gewässer’) thus rendered, desperately try to dispel the new evil.

The representatives of the Frankfurt School, the intellectuals of the so-called ‘critical theory,’ are, or were, real life sorcerer’s apprentices. ‘Critical theory’ is not actually a theory but a school of thought, or rather a project. According to its leading theorist, Max Horkheimer (1895 – 1973), critical theory seeks “to liberate human beings from the circumstances that enslave them.” According to the German Wikipedia page on the subject, the aim of critical theory is to “reveal the ideologies of the mechanisms of power and oppression” and to achieve a “rational society of responsible human beings.”

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On the face of it, this all sounds well and good. However, if those really are the aims, why do we never hear anything from that group about our monetary system? Maybe I’ve overlooked something, but I don’t think any representative of the Frankfurt School has ever seriously grappled with, say, the Austrian business cycle theory. Indeed, the words ‘rational society’ indicate a very different tradition from that of the Austrians, namely that of Plato and his notion of philosopher kings, who were permitted unethical means, such as the ‘noble lie,’ to attain the overarching aim.

The only person who was in any way close to the attitudes of the Frankfurt School and who had seriously dealt with economics, was of a slightly earlier generation, namely John Maynard Keynes (1883 – 1946). Leading Austrian School economist Ludwig von Mises once wrote an article titled ‘Stones into Bread: The Keynesian Miracle,’ in which he charges the British mathematician turned economist with exactly that: bragging to be able to perform an economic miracle akin to one of the demands with which Satan tempted Jesus Christ.

In other words, Keynes too was a sorcerer’s apprentice of the kind Goethe described. Ethically and morally too, he was of the same corrosive substance as the Frankfurt School thinkers. He was a serial philanderer and described himself as an ‘immoralist.’ As such, the Platonist Keynes anticipated what leading Frankfurt School representative Herbert Marcuse (1898 – 1979) propagated in his book ‘Eros and Civilization.’ Marcuse claimed that liberation of the ‘non-procreative Eros’ would lead to new, paradisiacal conditions, where alienated labor would disappear and be replaced by non-alienated libidinal work.

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As Keynes despised principles, among others the principle of solid financing, he was an early representative of the present relativism and the modern sorcerer’s apprentice of magical money proliferation. Without this – today pervasive – deliberate inflation, there would be much less money illusion, much less loitering, much less financing of unproductive, dreamy, or even destructive activities and organizations. His cynical adage, in the long run we are all dead, is virtually the paragon of willful present-orientation and dismissal of the future, which is characteristic of the basic attitude to life among today’s representatives of the New Left, and of their followers, conscious or otherwise.

Marcuse, in turn, was the creator of the term ‘repressive tolerance.’ What he meant was that normal tolerance actually serves to marginalise and suppress the truth about our immiseration (or impoverishment) in the ruling system. Contrary to that, Marcuse established the term ‘liberating tolerance.’ He simply claimed that revolutionary minorities are in possession of the truth and that it is therefore their duty to liberate the majority from their fallacious views. Thus the revolutionary minorities have the right to suppress rival and supposedly harmful opinions. In addition, Marcuse also permitted the use of violence by this revolutionary minority. He legitimised this use of force as ‘defensive.’ It isn’t the beginning of a new chain of violence, he claimed, but the attempt to break an existing one.

This kind of misuse of language was typical of the Frankfurt School. Another example is immiseration. Because the Marxist theory of immiseration had been refuted by reality, the thinkers of the New Left switched from economics to psychology. Now they claimed that while capitalism had lead to material wealth, it had caused psychological and intellectual immiseration.

What is also striking, apart from the distortion of words and meanings, is the predominance of negativity. As the name indicates, ‘critical theory’ was always keen to criticise. Their utopia always remained very woolly. The reason for this is simple: Otherwise they would have had to admit that their vision was that of communism. Nevertheless, clear-sighted contemporaries realised this even in 1968. In that year, Erwin K. Scheuch edited a book about the ‘68ers and gave it the title ‘Die Wiedertäufer der Wohlstandsgesellschaft,’ meaning ‘The Anabaptists of the Affluent Society.’ In this book he wrote that the New Left wanted an ‘undifferentiated society,’ without division of labor. It seems that Marx’s vision that in future people would hunt in the morning, fish in the afternoon, farm livestock in the evening and criticise after dinner, is still the vision of the New Left even today.

lukacs.jpgHowever, the Frankfurt School suggested a different road to the communist paradise than that chosen by Lenin and Stalin in Soviet Russia. The direct intellectual precursors of the Frankfurt School, the Italian Antonio Gramsci (1891 – 1937) and the Hungarian Georg Lukács (1885 – 1971) (photo), had recognized that further west in Europe there was an obstacle on this path which could not be eliminated by physical violence and terror: the private, middle class, classical liberal bourgeois culture based on Christian values. These, they concluded, needed to be destroyed by infiltration of the institutions. Their followers have succeeded in doing so. The sorcerer's apprentices of the Frankfurt School conjured up an army of hobgoblins who empty their buckets over us every day. Instead of water, the buckets are filled with what Lukács had approvingly labelled ‘cultural terrorism.’

The hobgoblins of 1968 and the following years, mostly students, later became lecturers, teachers, media employees, civil servants and of course politicians. They and their later progeny are endowed with a sense of mission and the illusion of being on the side of moral righteousness. In thousands of more or less important, but always influential, positions of authority, they succeed in injecting entire generations with a disgust for their own culture and history, and a selective inability to think. With their allegedly liberating tolerance, they have torn down natural or culturally nurtured inhibitions and replaced them with state enforced prohibitions on thinking and acting. These in turn have almost completely destroyed the natural workings and defense mechanisms of a healthy society.

How could they have been so successful in such a short space of time? The sorcerer's apprentices apparently managed to fill a psycho-spiritual gap in the market; they supplied a demand keenly felt by those they turned into hobgoblins. The market niche to fill was an apparent shortcut to paradise. The sorcerer's apprentice in Goethe's ballad transforms the broom into a hobgoblin, so that it can do the hard work of carrying water for him. Likewise, we are always tempted to find a shortcut to paradise. Just as Keynes did with his monetary policy, which would allegedly turn proverbial stones into bread.

eroscivpostcard400pxh-198x300.jpgThe sorcerer's apprentices of the Frankfurt School dreamt of a communist paradise on earth. Initially, among the hard left they were the only ones aware of the fact that this brutal path to paradise would fail. With the construction of the Berlin Wall in 1961, however, this failure was obvious to all. This was the New Left’s moment. It was only then that they got any traction and noticeable response. At least in Western Europe. In the US, this moment of truth may have come a little later. Gary North contends in his book ‘Unholy Spirits’ that John F. Kennedy’s death was “the death rattle of the older rationalism.” A few weeks later, Beatlemania came to America. However, the appearance of the book ‘Silent Spring’ by Rachel Carson in September 1962, which heralded the start of environmentalism, points to the Berlin Wall as the more fundamental game changer in the West. A few years later, the spellbound hobgoblins began their long march through the institutions.

Half a century after 1968, we see the catastrophic effects of this magic: a desire for instant gratification and a loss of meaning of life. The desire for instant gratification can be seen in the destruction of established institutions, especially the family, and in the countless number of abortions. Or in unbounded sexuality and the supremacy of the pleasure principle. Loss of meaning of life can be recognized in drug abuse, for example. Other effects are the dulling of the mind, a lack of general, all-round education, uncritical acceptance of claims that cannot be falsified, such as that of a supposedly man-made climate change, the acceptance of violence as a means of political debate and, of course, the cultural bursting of the dam concerning migration.

The sorcerer’s apprentices have become very quiet lately. Maybe some of them are shocked by what they have wrought. At least two of them could see what was happening even in 1968 and tried to stop the unfolding catastrophe. One of them was Theodor W. Adorno (1903 – 1969). The other was his student Jürgen Habermas (b. 1929). In the face of disrupted lectures and rising violence in general, they accused the radicals of ‘left-wing fascism.’ Like Goethe’s apprentice, they realised they had created a ‘spawn on hell’ (‘Ausgeburt der Hölle’). They tried to stop the hobgoblins with a new spell, but failed.

Currently, some people are trying to turn things around with other spells. The spells of these new sorcerer’s apprentices use magic words such as ‘nation’ and ‘the people.’ Like their predecessors, they believe that they can use the state as a magic wand, e.g. to force children into schools to learn certain world views, and everything will be all right again.

So far, none of them, neither the older nor the younger apprentices, are calling for the ‘master’ to return, as Goethe’s apprentice does in desperation near the end. However, the ‘cultural terrorism’ keeps flowing, and the ‘terrible waters’ are rising alarmingly. The legacy of the revolt of 1968 is a complete catastrophe for western civilization. This civilization had already been suffering from the disease of statism, but nevertheless had survived two world wars and one depression. Now, the culture war is finishing it off. The result is a society that still harbours some civilizing elements, but is no longer a civilization. It is merely a shaky structure that has not yet collapsed completely, but only because the hobgoblins have not yet managed to create a strong enough wave.

What can be done? First, we need to stop using the state like a magic wand. We have to urgently defund the hobgoblins. That means defunding, i.e. withdrawing the state from, the universities, schools and media that keep them on the move. However, there is something more fundamental we must do. We have to recognise that there’s no short cut to paradise. We have to call the ‘master.’ In Goethe’s ballad, this is a master sorcerer. Goethe himself seems to have been an agnostic. Nevertheless, I interpret this figure as the Creator. Disney’s film makers seem to have had a similar idea, consciously or not. The way they depict the master removing the water, accompanied by Dukas’ dramatic music, reminds the viewer of Moses parting the sea.

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In his ‘The Lion, the Witch and the Wardrobe,’ C.S. Lewis has Aslan, the Christ-like lion, talk of ‘deeper magic’ that is more powerful than that of the White Witch. Mises’ Student Murray Rothbard spoke of ‘Egalitarianism as a Revolt Against Nature.’ For those who believe, state-funded, forced egalitarianism is a revolt against God. To successfully combat this illusory magic, we ultimately need God’s ‘deeper magic.’

Soviet dissident Alexander Solzhenitsyn once said, in a speech entitled ‘Godlessness: the first step to the Gulag’: ‘If I were called upon to identify briefly the principal trait of the entire twentieth century, ... I would be unable to find anything more precise and pithy than to repeat once again: Men have forgotten God.’

In the face of the atrocities of the French Revolution, Goethe predicted in his ballad that, in the end, only the ‘master’ would be able to finally stop the march of the hobgoblins and make everything right again. We would do well to remember that when we attempt to put a stop to the New Left’s evil game.

The above is a translation and adaptation of a speech given by Robert Grözinger at the “eigentümlich frei” conference in Zinnowitz, Germany, on January 14, 2018.

mardi, 06 février 2018

Robert Steuckers à la Diffusion du Lore

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Robert Steuckers,

La révolution conservatrice allemande,

28 euros.

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Robert Steuckers,

Pages celtiques,

15 euros.

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Armin Mohler / Robert Steuckers,

Généalogie du fascisme français,

12 euros.

Ces trois titres sont disponibles auprès de la "Diffusion du Lore":

www.ladiffusiondulore.fr

 

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Lévi-Strauss et l'imperméabilité des cultures

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Lévi-Strauss et l'imperméabilité des cultures

Ex: Arrêt sur Images : WWW.ARRETSURIMAGES.NET

Claude Lévi-Strauss, "dernier géant de la pensée française", mort la semaine dernière, toute la presse, et la Nation entière, ont rendu un hommage justifié. Mais sous les brassées de fleurs, sont apparues (sur Internet, évidemment) quelques disgracieuses mauvaises herbes : en l'occurence, d'étranges phrases sur l'Islam dans "Tristes tropiques", phrases pouvant passer pour islamophobes.

Ecrites aujourd'hui, ces phrases le désigneraient aussitôt à la vindicte. Alors? Quelle mouche a piqué Lévi-Strauss en 1955 ? Est-ce parce qu'il a rédigé son livre-culte, de son aveu même, en état de "fureur", le considérant comme un livre mineur? Ces phrases sont-elles à replacer dans le contexte général d'une aversion de l'ethnologue à l'égard de toutes les religions monothéistes? Et à propos, pourquoi donc l'observateur pionnier des cultures dites "primitives" a-t-il accepté, avec gourmandise, les honneurs surannés de l'Académie ? Pour le dire crûment : le progressiste a-t-il viré réac? Questions naïves, que nous avons souhaité poser naïvement.

Ce "best of" vous a plu ? Retrouvez l'intégralité de l'émission sur:
WWW.ARRETSURIMAGES.NET

Du dextrisme et de la révolution conservatrice

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Du dextrisme et de la révolution conservatrice

Ex: http://oragesdacier.info

Philosophie magazine titrait sa dernière revue « De quoi la gauche est-elle malade ? ». On pourrait en dresser une longue liste, mais il faut voir plus clairement une névrose multiple. Elle est amnésique, schizophrène et paranoïaque : menteuse, elle voit des choses qui n’existent pas, se crée des peurs paniques, devient colérique et de mauvaise foi. Certains diront qu’elle n’est pas malade mais simplement bête. Nous aimons à penser que les symptômes et la bêtise peuvent largement se cumuler, comme on a pu malheureusement l’observer depuis trop longtemps. Mais qu’en est-il à droite ?
 
Gaël Brustier (ancien collaborateur d’Arnaud Montebourg) a été le premier à parler de « dextrisme » à propos d’une lame de fond de droite, qui a supplanté dorénavant la gauche culturelle, voire la gauche tout court. Non sans quelques erreurs, il a bien vu que la synergie des mouvements contre le Mariage pour tous a donné pour résultat un « Mai 68 conservateur ». Puis, Guillaume Bernard a pris le pas en parlant de mouvement « dextrogyre » pour évoquer la même direction que prenaient les tournures politiques. Enfin, Patrick Buisson, dans son ouvrage revendicatif et revenchard, a repris la notion de Gaël Brustier en parlant de « dextrisme ».

Ces observateurs de la vie politique ne se sont pas trompés. Depuis quelques années déjà, il y a bel et bien une rupture des digues liée à la désillusion d’une société prospère, mondialisée et ouverte sur l’Europe. Nous n’y voyons que précarité, chômage de masse, insécurité et immigration de masse. Vision peut-être pessimiste mais néanmoins réaliste des circonstances présentes.

Est-ce à dire que le Français est un populiste en puissance ? Pour des journalistes vivant au cœur de Paris, se déplaçant en vélib’ ou en métro, et ne connaissant rien du Français moyen hors une vision phantasmée du beauf de province, oui. Pourtant, par principe, le peuple est doué d’une logique implacable. Certes on peut l’influencer, et les hommes politiques et industriels dépensent des fortunes en publicité et marketing pour cela, mais il est loin d’être bête. On peut dire même qu’il est conservateur. Prenez pour exemple des Corses, dont les élections régionales ont tourné en faveur d’une gauche corse, elle reste nationaliste, réfractaire à l’immigration et à la diversité.

Le problème dans tout cela, c’est d’y voir le terme conservateur seulement en ce qu’il veut conserver des acquis. Le conservatisme se doit d’allier des principes fondateurs, des valeurs, telles que l’autonomie et l’enracinement, qui appellent en effet à des sacrifices ou des consentements pour la France. Acheter français, acheter des produits frais cultivés en France, éviter autant que faire ce peut le « made in China » ou le « Hollywood-Disneyland-Apple ». Plus encore, le conservatisme, même présent comme logique et comme sentiment de bon sens, de « common decency » telle que le formulait George Orwell (un anarchiste-conservateur), doit être aujourd’hui transcrit politiquement. Il est bienheureux que la logique populaire française se mette en marche pour des situations ubuesques où l’idéologie de l’homme politique prend le pas sur l’expérience et sur la cohérence !

Il faut désormais transformer le tir, et tout faire pour que ce conservatisme soit dorénavant un facteur de victoire politique. Et non, Fillon est tout sauf conservateur, hormis si on prend pour lui la définition péjorative de celui qui conserve ses acquis (ou ses émoluments, comme sa femme qui a 500 000 euros de biens mal acquis dans une sorte d’emploi fictif d’assistante parlementaire).

9782081333208FS.gifQu’on puisse avoir des doutes ou des réclamations sur un parti comme le Front National est logique, mais la victoire politique doit s’abstenir d’une réaction similaire à celle qui pourrait avoir lieu à la buvette du coin. D’autant plus dans une situation de fait majoritaire où ce parti doit obtenir 50,1% des voix pour réussir. Et cela, aussi bien pour les présidentielles que pour les législatives.

Les dernières élections, départementales, municipales et régionales ont montré que le vent tournait en sa faveur. Il est temps que pour les deux prochaines élections, ce vent favorable continue de souffler. D’ailleurs, un élément en ce sens s’observe avec les primaires. C’est juridiquement un non-sens que d’avoir des primaires. Cette américanisation des élections est bien la preuve d’une altération de la vie politique française. Il y a des primaires aux Etats-Unis que parce que les Américains ne peuvent pas élire directement leur président et doivent passer par des grands électeurs. En France, depuis 1962, les électeurs choisissent directement leur président en deux tours. Les deux tours de la présidentielle, voilà nos primaires. Effectuer des primaires à la droite libérale et chez les socialistes-libéraux montrent un élément fondateur de l’avancée du conservatisme. C’est la désacralisation totale des hommes politiques dans ces partis qui se ressemblent et l’absence de chef naturel, sans compter la victoire de l’ego. Tout le monde veut devenir le calife à la place du calife. Sans pour autant réussir une quelconque unité, car ils ne sont pas légitimes ni compétents pour devenir des chefs. On peut être capitaine, mais il faut le mériter et le prouver, c’est encore plus difficile dans la reconnaissance de devenir un chef de bataillon.

Autre exemple de désacralisation, c’est l’atteinte physique des hommes politiques (mais justifiée). Il semblait improbable pour un de Gaulle, un Chirac ou un Mitterrand d’être pris à parti. A partir du moment où l’absence d’incarnation en tant que chef, où l’esprit vil et mercantile, méprisant à l’égard du peuple a pris le pas, alors toute forme de respect disparaît logiquement. Mais la justice des puissants prend le pas pour condamner les actes de revendication des faibles, à savoir nous.

A nous donc de ne plus être faibles. En premier lieu en évitant de garder un tropisme d’esprit conservateur en famille, mais bien de le revendiquer, comme par exemple aux élections présidentielles et législatives.

Cela s’accompagne d’un point plus important, accoler le terme révolution à celui de conservateur. Nous ne voulons pas garder des acquis, faire comme si de rien n’était. Bouger dans l’immobilisme, cela a été le quinquennat Hollande, ou les législatures avec Angela Merkel. Il est important de refonder le système. Pas de le réformer : quand les fondations d’une maison sont mauvaises, on ne change pas les portes et fenêtres, on détruit pour rebâtir. Cette opportunité de 2017 est un moyen supplémentaire d’avancer pour faire changer les choses. 2017 ne va pas tout changer, mais au moins, elle permettra de meilleures dispositions pour que notre Nation soit épargnée des dégâts idéologiques du libéralisme mondialisé et de ses conséquences (chômage, précarité, immigration). 
 
Le choix vous appartient donc, mais sachez juste que les préceptes liés au Baby-boom et à Mai 68 sont obsolètes. Pour paraphraser les politiciens repus, il faut changer de paradigme. Macron, Fillon, Valls et consorts représentent les deux faces opposées d’une même pièce. Engagez-vous en politique, formez-vous, lisez, réinformez-vous, adhérez, créez des associations. Tous ces éléments si anodins sont aujourd’hui subversifs, parce qu’ils ne sont pas compris dans la liste de l’acceptable exigée par un système soft-totalitaire qui demande la résignation consolée par la consommation.
 

Tom Wolfe: “Lo ‘políticamente correcto’ es un instrumento de poder de las clases dominantes”

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Ex: www.latribunadelpaisvasco.com
 
Entrevista en Le Figaro

Tom Wolfe: “Lo ‘políticamente correcto’ es un instrumento de poder de las clases dominantes”

A sus 86 años de edad, Tom Wolfe, uno de los mejores escritores norteamericanos contemporáneos y, sin duda, uno de los periodistas más importantes de las últimas décadas, acaba de conceder una entrevista a Le Figaro Magazine en la que el autor de obras excelsas como “La hoguera de las vanidades” o “Lo que hay que tener” habla claramente sobre algunos de los temas más candentes de la actualidad política y cultural, sin dejar de practicar la que es una de sus aficiones más queridas: fustigar sin compasión a lo que, ya en 1970, definió como el “Radical chic” o “la izquierda caviar”.

Alexandre Devecchio, que firma el texto en Le Figaro, recuerda a Wolfe que desde uno de sus primeros textos, titulado precisamente “Radical chic”, ha criticado duramente lo políticamente correcto, el izquierdismo cultural, la tiranía de las minorías…

... “‘Radical chic’ fue un reportaje que publiqué en 1970 en ‘The New York Magazine’, en el que contaba una fiesta organizada por el compositor Leonard Bernstein en su duplex neoyorquino de tres estancias con terreza. La fiesta tenía como objeto recaudar fondos para ‘Los Panteras Negras’ (organización nacionalista negra, socialista, filoterrorista y revolucionaria), activa en Estados Unidos entre 1966 y 1982" (...)

(...) "Los anfitriones tuvieron que contratar camareros blancos para no herir la susceptibilidad de los ‘panteras’. Lo políticamente correcto, que yo también suelo definir como PC (Policía Ciudadana), nace de la idea marxista que afirma que todo aquello que separe socialmente a los seres humanos debe ser prohibido para evitar la dominación de un grupo social sobre otro. Pero, curiosamente, con el paso del tiempo lo políticamente correcto se ha convertido en el instrumento preferido de las ‘clases dominantes’; se trata de explotar la idea de que hay que tener una ‘conducta apropiada’ para mejor asumir su ‘dominación social’ y bañarse en bueba conciencia. Poco a poco, lo políticamente correcto se ha convertido en un marcador de ‘dominación’ y en un instrumento de control social, una manera de distinguirse de las ‘clases bajas’ y de censurarlas deslegitimando su visión del mundo en nombre de la moral. De este modo, la gente, cada vez en mayor medida, debe prestar atención a lo que dice, especialmente en las universidades. El éxito de Donald Trump ha consistido, precisamente, en romper con esto”.

9780312429133-us.jpgEn otro momento de la entrevista, Tom Wolfe explica cómo, en su opinión, parte del voto a Donald Trump se comprende por la desolación de quienes se sienten en una status social inferior o de quienes creen que han descendido de status. “En ‘Radical chic’ describí el nacimiento de lo que hoy yo denominaría como ‘izquierda caviar’ o ‘progresismo de limusina’. Se trata de una izquierda que se ha liberado de cualquier responsabilidad con respecto a la clase obrera norteamericana. Es una izquierda que adora el arte contemporáneo, que se identifica con las causas exóticas y el sufrimiento de las minorías… pero que no quiere saber nada de las clases menos sofisticadas y adineradas de Ohio" (...)

“Los norteamericanos han tenido el sentimiento”, continúa explicando el autor de 'El nuevo periodismo', que el Partido Demócrata solamente tenía interés en seducir a las más diversas minorías, pero que se negaba a prestar atención a una parte muy importante de la nación. Concretamente, al sector obrero de los ciudadanos, que históricamente ha constituido la espina dorsal del Partido Demócrata. Durante las últimas elecciones, la aristocracia del Partido Demócrata ha preferido apoyar a una coalición de minorías y ha excluído de sus preocupaciones a la clase obrera blanca. Donald Trump solamente ha tenido que acercarse ellos para hacerse con todos sus apoyos”.

 

Paul Craig Roberts fulmine contre la Nuclear Posture Review de Washington

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Paul Craig Roberts fulmine contre la Nuclear Posture Review de Washington

par Paul Craig Robert
Ex: http://zejournal.mobi
 
 
 
Le monde ne survivra pas à la doctrine américaine des néoconservateurs de l’hégémonie mondiale des États-Unis

Le gouvernement des États-Unis est clairement entre des mains démoniaques. Nous sommes submergés de preuves. Prenez aujourd’hui (2-2-18) par exemple. Un rapport du House Intelligence Committee a été publié, qui prouve que le Federal Bureau of Investigation, le ministère de la Justice (sic) et le Democratic National Committee sont engagés dans une conspiration contre la démocratie américaine et le président des États-Unis avec le plein appui de la presse.

Comme si cela ne suffisait pas, le Pentagone publie également aujourd’hui sa nouvelle étude sur la posture nucléaire. Un examen de la posture nucléaire précise l’attitude d’un pays à l’égard des armes nucléaires et de leur emploi. Dans le passé, on considérait que les armes nucléaires étaient inutilisables, sauf en représailles à une attaque nucléaire. L’hypothèse était que personne ne s’en servirait. Il y avait toujours la possibilité que de fausses alertes d’ICBMs entrants aient pour conséquence de pousser le bouton nucléaire, déclenchant ainsi l’Armageddon. Il y a eu de nombreuses fausses alertes pendant la guerre froide. Le président Ronald Reagan était très préoccupé par une fausse alerte qui aurait entraîné la mort et la destruction de masse. C’est pourquoi son objectif principal était de mettre fin à la guerre froide, ce qu’il a réussi à faire. Il n’a pas fallu longtemps aux gouvernements qui ont succédé pour ressusciter la guerre froide.

La nouvelle posture nucléaire des États-Unis est une dérive imprudente, irresponsable et déstabilisatrice de l’attitude antérieure à l’égard des armes nucléaires. L’utilisation ne serait-ce que d’une petite partie de l’arsenal américain suffirait à détruire la vie sur terre. Pourtant, l’examen de la posture préconise davantage d’armes, dit que les armes nucléaires sont  » utilisables  » et justifie leur utilisation lors des premières frappes, même contre les pays qui n’en possèdent pas.

C’est une escalade insensée. Il dit à tous les pays que le gouvernement américain croit au premier recours aux armes nucléaires contre tous les pays. Des puissances nucléaires telles que la Russie et la Chine doivent voir cela comme une augmentation massive du niveau de menace venant des États-Unis. Les personnes responsables de ce document devraient être enfermées dans des asiles psychiatriques, et non laissées à des positions politiques où elles peuvent les mettre en pratique.

Le président Trump est accusé pour l’agressivité nucléaire américaine annoncée aujourd’hui. Cependant, le document est un produit néoconservateur. Trump, peut-être, aurait pu empêcher la publication du document, mais sous la pression de l’accusation selon laquelle il aurait comploté avec Poutine pour voler l’élection présidentielle américaine à Hillary, Trump ne peut se permettre de s’opposer au Pentagone néoconisé.

Les néoconservateurs sont un petit groupe de conspirateurs. La plupart sont des Juifs sionistes alliés à Israël. Certains ont la double nationalité. Ils ont créé une idéologie de l’hégémonie mondiale américaine, précisant que l’objectif principal de la politique étrangère américaine est d’empêcher l’ascension de toute autre puissance qui pourrait être une entrave à l’unilatéralisme américain. Comme les néoconservateurs contrôlent la politique étrangère américaine, cela explique l’hostilité des Etats-Unis envers la Russie et la Chine, ainsi que l’utilisation par les néoconservateurs de l’armée américaine pour écarter les gouvernements du Moyen-Orient considérés par Israël comme des obstacles à l’expansion israélienne.

Nuclear-Posture-Review-Trump-400x518.jpgDepuis deux décennies, les États-Unis mènent des guerres pour Israël au Moyen-Orient. Ce fait prouve le pouvoir et l’influence des déments néoconservateurs. Il ne fait aucun doute que des gens aussi fous que les néoconservateurs lanceraient une attaque nucléaire contre la Russie et la Chine. Les gouvernements russe et chinois semblent ignorer totalement la menace que les néoconservateurs font peser sur eux. Je n’ai jamais connu, dans mes entretiens avec les Russes et les Chinois, la moindre conscience de l’idéologie néoconservatrice. Cela leur parait peut-être trop insensé pour le comprendre.

Les idéologues tels que les néoconservateurs ne se basent pas sur des faits. Ils poursuivent leur rêve d’hégémonie mondiale. La Russie et la Chine font obstacle à cette hégémonie. Ayant appris les limites de la puissance militaire conventionnelle américaine – après 16 ans, la « superpuissance » américaine n’a pas été en mesure de vaincre quelques milliers de talibans légèrement armés en Afghanistan – les néoconservateurs savent que les invasions conventionnelles de la Russie ou de la Chine mèneraient à la défaite totale des forces américaines. Par conséquent, ils ont élevé les armes nucléaires au rang d’arsenal de première frappe, que l’on peut utiliser et qui, dans le rêve néoconservateur de l’hégémonie mondiale, peut servir à détruire la Russie et la Chine.

Les idéologues qui se séparent des faits se créent un monde virtuel pour eux-mêmes. Leur croyance en leur idéologie les aveugle avec des risques pour eux-mêmes et pour les autres dans le monde à qui ils l’imposent.

Il est assez clair que sans le ministère de la Justice (sic) et le FBI d’Obama, le Comité national démocrate entièrement corrompu, contrôlé par Clinton, et les médias américains et européens complètement corrompus qui s’emploient à détruire la présidence de Trump en l’accusant d’être  » un agent russe « , le président Trump, sachant que la révision de la posture du Pentagone ne ferait qu’aggraver, et non normaliser, les relations avec la Russie, aurait profondément enfoui le document démoniaque qui menace toute vie sur terre.

Grâce aux libéraux/progressistes/gauchistes américains, l’ensemble du monde est confronté à une mort nucléaire bien plus probable que celle qui nous a menacés pendant la guerre froide avec l’Union Soviétique.

Par sa collaboration avec le complexe militaire/sécuritaire et la DNC corrompue de Hillary, la gauche libérale/progressiste s’est toujours discréditée. Elle est maintenant perçue par tous les penseurs du monde entier comme un ministère de propagande dément à cause du projet des néoconservateurs d’utiliser les armes nucléaires pour éliminer les entraves à l’unilatéralisme américain. Pour la gauche libérale ou progressiste, c’est « l’hégémonie ou la mort ».

Ce sera la mort. Pour nous tous.

Traduction : Avic– Réseau International

La loi sur les Fakes news de Macron: Du terrorisme journalistique ?

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La loi sur les Fakes news de Macron: Du terrorisme journalistique ?

Ex: Suppression rapide des fausses nouvelles durant les périodes électorales, coopération des plateformes avec l’Etat et transparence exigée : la ministre de la Culture a précisé les contours de la nouvelle loi sur «la confiance dans l'information».

Ex: http://zejournal.mobi

Preuve de l’importance qu’Emmanuel Macron semble y consacrer : la loi sur les fausses informations avait été annoncée lors de ses vœux 2018. Françoise Nyssen, ministre de la Culture, a été tout aussi prompte à préciser la teneur de cette loi sur «la confiance dans l’information». Dans un entretien au JDD le 4 février, elle a annoncé la création d’une procédure judiciaire accélérée, une coopération requise des plateformes avec l’Etat et davantage de transparence sur les contenus sponsorisés.

Le ministre a donc défini plusieurs axes transversaux pour permettre au gouvernement de lutter avec rapidité et efficacité contre les informations erronées, particulièrement en période électorale.

Tout d’abord, face à la vitesse de propagation des contenus, et la capacité d’achat d’audience qui en démultiplie la pénétration, Françoise Nyssen a dégainé un dispositif législatif adapté : le référé. «Une procédure de référé judiciaire sera mise en place pour faire cesser rapidement la diffusion d'une fausse nouvelle, lorsque celle-ci est manifeste», a-t-elle déclaré. Le délai de suppression pourrait ne plus dépasser 48 h.

Autre moyen pour lutter contre les fausses informations : obliger les plateformes à rendre des comptes sur leurs contenus. Comment ? «La loi prévoira des obligations nouvelles pour les plateformes, qui devront coopérer avec l'État et être transparentes sur les contenus sponsorisés», a ajouté Françoise Nyssen. «S'il y a manquement aux obligations qu'imposera la loi (devoir de coopération, transparence sur les contenus sponsorisés), il y aura des sanctions», a-t-elle affirmé. 

Parallèlement, le texte empêchera les plateformes de pratiquer leurs propres règles de censures vis-à-vis des «vraies nouvelles», la ministre faisant à cet effet référence au tableau L’Origine du monde de Gustave Courbet censuré par Facebook, une suppression qui avait fait polémique mais rendue possible en l’absence de cadre législatif. L’affaire a été portée devant les tribunaux le 1er février par l’utilisateur de Facebook qui avait vu sa publication du célèbre tableau retirée du réseau social et son compte bloqué.

Selon le quotidien Le Figaro, le texte aurait été l'objet de travaux préparatoires dès novembre 2017. Il serait déjà prêt, et la proposition de loi serait présentée par le groupe LREM à l'Assemblée nationale au printemps 2018, pour qu'elle soit déjà en place pour les élections européennes de 2019.  

Dans sa volonté affichée de lutter contre «le complotisme et le populisme», Emmanuel Macron avait annoncé le 3 janvier à l'occasion de ses vœux à la presse un projet de loi visant à «protéger la vie démocratique». Evoquant «la vérité», ou encore «la liberté d'expression», le président de la République a expliqué que l'Etat souhaitait surveiller la façon dont les informations sont produites et diffusées.


- Source : RT (Russie)

Liban et Israël. Guerre du pétrole en vue ?

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Liban et Israël. Guerre du pétrole en vue?

par Jean-Paul Baquiast

Ex: http://www;europesolidaire.eu

En décembre 2017, le gouvernement libanais a approuvé un projet de décision visant à donner à un consortium pétrolier international le droit d'explorer deux zones maritimes où se trouvent de très importantes réserves de gaz naturel. Elles sont nommées Block 4 et Block 7.

Le consortium comprend le russe Novatek, le français Total et l'italien ENI, déjà actif en Sibérie. Ces réserves pourraient rapporter jusqu'à 2040 plus de 100 milliards de dollars.

Le problème est qu'Israël affirme que ces blocks relèvent de sa propriété. La ministre israélien de la défense Avigdor Lieberman vient d'affirmer qu'ils sont siens sans ambiguïté.

Il faut rappeler que des réserves de gaz naturel à fort potentiel avaient été ces dernières années découvertes dans ce qui est nommé le bassin de Leviathan. En décembre 2010, un accord de délimitation des zones économiques exclusives (ZEE)  a été signé entre Israël et Chypre en vue de « faciliter et de poursuivre les recherches off-shore d'hydrocarbures » dans la partie orientale de la Méditerranée.

Le Liban a mis en place quant à lui en février 2017 une « Administration pétrolière » chargée de gérer les offres des entreprises qui soumissionnerait pour être autorisées à procéder à de premiers sondages sur les blocs contestés. Le Hezbollah et le Liban agissent de concert dans cette affaire. 

Il n'est pas facile de délimiter précisément les frontières des zones maritimes appartenant à Israël et celles appartenant au Liban. L'un et l'autre revendiquent la propriété du bassin du Léviathan, qui doit probablement s'étendre dans les zones économiques des deux pays.

Aujourd'hui, la Russie et sans doute aussi plus discrètement la France soutiennent la position libanaise. Les Etats Unis, bien qu'ils ne soient pas directement concernés, ont pris sans ambiguïté fait et cause pour leur allié de toujours, Israël. On ne voit pas très bien qui pourrait, à défaut d'accord négocié entre les deux parties, arbitrer entre elles, sauf intervention de l'ONU d'ailleurs demandée par le Liban. Faudra-t-il envisager une nouvelle occasion de conflit au Moyen-Orient ?

lundi, 05 février 2018

Spiritualité, Ontologie, Métaphysique et Musique industrielle

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Spiritualité, Ontologie, Métaphysique et Musique industrielle

par Thierry DUROLLE

La Tradition constitue pour beaucoup à la fois un point de départ et un point d’arrivée; elle suscite l’intérêt de personnalités variées dont le point commun réside dans le fait que leur regard est dirigé vers le « plus-que-vie », le « principe suprême », et les questions d’ordre ontologique et métaphysique en général. Jean-Marc Vivenza compte parmi ces chercheurs d’Absolu.

JMV-couv.jpgSa créativité se manifesta dans sa jeunesse, et en parallèle de ses études de philosophie et d’histoire de l’art, dans la musique industrielle, courant singulier, transgressif et atonale que l’on nomme, sans aucune connotation péjorative, « bruitisme ». Précurseur en la matière, le sérieux de la démarche, ainsi que son talent, amenèrent Vivenza à se produire dans toute l’Europe.

L’artiste, fortement influencé par le futurisme, se doublait d’un homme spirituel et spirituellement conscient du monde dans lequel il vit. Ce lecteur d’Evola, puis de Guénon, de Maistre et de beaucoup d’autres abandonna la musique bruitiste pour se développer intérieurement. Son cheminement il le relate dans son dernier ouvrage en date, Entretiens spirituels et écrits métaphysiques.

Dans la première partie de l’ouvrage, le lecteur trouvera plusieurs entretiens, dont le premier est centré justement sur le parcours de l’auteur. Là où la Tradition amenèrent certains à se convertir à l’islam par exemple, elle orienta Jean-Marc Vivenza sur les chemins de ce qu’il considère comme un véritable ésotérisme chrétien, bien que celui-ci soit un ésotérisme chrétien franc-maçon inspiré de Jean-Baptiste Willermoz.

Fortement influencé par ce dernier, mais aussi par Joseph de Maistre, Jean-Marc Vivenza expose ses vues de manière limpide bien que le sujet en lui-même s’adresse avant tout à un public averti, ou plutôt, devrions-nous dire, initié. Cet ouvrage va au-delà de la Tradition où bon nombre de lecteurs de Guénon et consorts l’entendent. D’ailleurs, Vivenza se montre souvent critique envers René Guénon, d’autant plus critique qu’il connaît très bien sa pensée. En dépit d’une évolution bien différente, l’on sent toujours chez lui une sympathie certaine pour Julius Evola. La première annexe du livre lui est d’ailleurs consacrée, plus précisément la période de sa vie où il fut proche de certains futuristes lorgnant justement vers l’ésotérisme et la Tradition.

Nous ne serons pas d’accord avec toutes les vues de Jean-Marc Vivenza, notamment sur sa critique de la doctrine des cycles cosmiques, mais nous ne pouvons que saluer la somme de connaissance, dans son domaine, à savoir l’illuminisme (qu’il ne faut évidemment pas confondre avec les Illuminés de Bavière) et les doctrines ontologiques et métaphysiques.

Ouvrage intéressant mais épineux pour le néophyte, Jean-Marc Vivenza nous plonge dans une facette de l’histoire spirituelle de l’Europe méconnue de certains mais riche à sa manière.

Thierry DUROLLE

• Jean-Marc Vivenza, Entretiens spirituels et écrits métaphysiques, Le Mercure Dauphinois, 2017, 376 p., 21,50 €.

Entrevista a José Javier Esparza autor de "Tercios"

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Entrevista a José Javier Esparza autor de "Tercios"

José Javier Esparza (Valencia, 1963), escritor y periodista, lleva años entregado a la tarea de reconstruir la identidad española a partir de su Historia. De ello son testimonio su exitosa trilogía La Reconquista, vendida por decenas de miles de ejemplares, La cruzada del océano, sobre el descubrimiento y conquista de América, Historia de la Yihad y Tal día como hoy. Almanaque de la Historia de España, En la misma línea abundan sus novelas históricas sobre los primeros tiempos de la Reconquista: El caballero del jabalí blanco, El reino del norte y Los demonios del mar, todas ellas publicadas en la Esfera de los Libros.

En este caso, nos interesamos por su último libro Tercios, en el que se relata con extraordinaria épica la aventura de la infantería española desde los tiempos del Gran Capitán, a principios del siglo XVI, hasta la disolución formal de los tercios dos siglos después.

  • Ha tocado prácticamente todas las épocas de nuestra historia. ¿Cuál le hubiese gustado vivir?

Creo que el siglo IX temprano, el escenario de mis novelas sobre el origen de la Reconquista: es una época que tiene la fascinación de esos “momentos crisálida” en los que todo está naciendo y el futuro se construye hora a hora.

  • ¿Y cuál cree que se parece más a la actual?

A veces tengo la impresión de que lo que más se parece a la hora actual son los primeros decenios del siglo V, cuando el imperio romano se venía abajo entre una mezcla de opulencia material y decadencia espiritual.

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  • ¿Fueron los Tercios el summum de la evolución del guerrero español?

En mi libro “Tercios” he apuntado un poco a eso, sí: son el resultado de muchos siglos de combate. La organización y los escenarios son nuevos, pero el espíritu que mueve al guerrero, y el propio tipo humano que lo encarna, son el producto de una determinada obra histórica.

  • ¿Por qué cree que hoy nos interesan tanto los Tercios?

Quizá precisamente por eso: es como si encontraras de repente un frasquito de esencia destilada con el letrero “España”. Hoy hemos perdido en buena parte la memoria de la propia identidad. Pero abres el frasquito de los tercios, aspiras y la reencuentras. Ahí dentro está todo lo que somos.

  • ¿Qué valores representan los Tercios para la España de hoy?

Honor. Sentido del sacrificio. Orgullo del deber. La primacía de la gloria sobre el dinero. Ese tipo de libertad suprema que consiste en elegir a qué disciplina te sometes, dónde y cómo entregas la vida. También ese tipo de espiritualidad que puede traducirse como la certidumbre de que Dios combate contigo, algo que es fundamental para entender a aquella gente. Y visto desde la circunstancia actual, además, un patriotismo directo y elemental, sin bizantinismos ideológicos.

  • ¿Estamos faltos de héroes como Farnesio o Dávila?

Creo que los héroes no faltan nunca. Lo que falta es un medio apropiado para que se hagan visibles y para reconocer su mérito. Es una cuestión más cultural que personal, más colectiva que individual.

  • De entre todos los héroes qué menciona, ¿con cuál se queda?

Esta es la pregunta más complicada que se puede hacer: ¡son tantos, y en circunstancias tan distintas! Pero, quizá, Julián Romero (1518-1577), que empezó desde lo más bajo, de mozo de tambor, y llegó a lo más alto, maestre de campo. Murió a caballo, en marcha, con 59 años y después de entregar en los campos de batalla un ojo, una pierna, un brazo, tres hermanos y un hijo.

  • Las ilustraciones del libro son magníficas, ¿Cómo es trabajar con José Ferre Clauzel?

Muy fácil. Tiene un sentido innato del espacio, de la escena, y es muy cuidadoso en la recreación de época.

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  • ¿Qué le deben todos los ejércitos de hoy a nuestros Tercios?

Los Tercios, vistos retrospectivamente, son el primer ejército nacional, popular y voluntario de la era moderna. En el siglo XVI y hasta muy entrado el XVII, sólo hacían oficio de las armas los aristócratas y los mercenarios; el resto del contingente era tropa de leva, temporal, frecuentemente forzosa y bastante poco fiable en cuanto a sus fidelidades. Pero los tercios estaban abiertos a cualquiera con independencia de su extracción social, no eran en absoluto mercenarios que cambiaran de patrón, se comportaban como profesionales extremadamente cualificados y, aunque no todos eran españoles, hacían gala de su españolidad. En torno a esos rasgos se construyó una ética del honor y el deber que recogía lo mejor de la tradición guerrera europea y que ha pasado, mal que bien, a la doctrina militar posterior. Es la idea calderoniana de la milicia como “religión de hombres honrados”.

  • ¿Qué hubiese sido de nuestra historia sin el Gran Capitán?

Es curioso que todo el mundo le considere el padre de los Tercios cuando, en realidad, el sistema de organización en tercios no empezó a usarse formalmente hasta veinte años después de la muerte de Gonzalo Fernández de Córdoba. Pero es que él, sí, fue el padre de la infantería española de los Siglos de Oro. Sin su talento, muy probablemente Francia habría acabado quedándose con el Reino de Nápoles y la Historia de toda Europa habría sido enteramente distinta. Y España habría carecido, tal vez, del instrumento militar necesario para sostener el complejísimo imperio de los Austrias.

  • ¿Cree que el éxito de los Tercios se debió a saber conjugar técnicas propias y adaptar lo aprendido del enemigo?

Entre otras cosas. Estamos muy acostumbrados a pensar en los soldados de los Tercios como puro coraje, pero la hegemonía militar española entre los siglos XVI y XVII es fruto sobre todo de la inteligencia aplicada al campo de batalla: flexibilidad para innovar sobre las tácticas propias, adaptación a las tácticas del enemigo, versatilidad para combatir en distintos escenarios, superioridad tecnológica y científica (sobre esto se ha escrito mucho y muy bueno en los últimos años), una capacidad logística fascinante (basta pensar en el Camino Español), etc. En definitiva, inteligencia además de coraje.

  • ¿Cuál es para usted el episodio más destacado de la historia de los Tercios?

Creo que si hubiera que escoger un episodio para ilustrar qué eran los Tercios, podría servirnos la tragedia brutal del asedio de Castelnuovo, precisamente porque fue una derrota. Francisco de Sarmiento con menos de 4.000 hombres encerrado en aquella fortaleza y, enfrente, 50.000 otomanos, nada menos, al mando de Barbarroja. Sucesivas propuestas de rendición y otras tantas negativas. Al final, un asedio de tres semanas. Todos los nuestros, muertos, menos un centenar de heridos que cayeron presos. Y los otomanos, más de 20.000 bajas, casi la mitad del contingente (¡casi la mitad!), caídos bajo las picas, las balas y las espadas españolas. ¿Por qué no se rindieron los nuestros en una batalla en la que no tenían ni una sola oportunidad de vencer? Precisamente por eso: porque era un tercio español. Dice Preveden que “nunca se ha defendido una plaza fuerte con tanto heroísmo”. Es verdad.

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  • En el libro se menciona que nuestro ejército fue invencible en lo material y en lo espiritual. ¿Fue nuestra arma secreta?

Sí. Es lo más importante y hay que tratar de colocarse en la mentalidad del siglo XVI para calibrarlo en toda su dimensión. El infante español de este tiempo es un hombre que lucha antes por honor que por dinero. Por eso podía existir un código de disciplina tan severo como el que describe Londoño. En los ejércitos de los otros países, las consideraciones caballerescas, cuando existían, eran cosa de la nobleza, de la oficialidad, de la casta guerrera. En las tropas españolas, por el contrario, el hecho de formar bajo las banderas confería a todo hijo de vecino un estatuto caballeresco de facto. El poema de Calderón –“Este ejército que ves, vago al yelo y al calor…”- es la mejor definición posible de ese sentimiento. Fue una de las innovaciones más trascendentales del Gran Capitán. Normalmente este aspecto se pasa por alto, y por eso yo he querido subrayarlo en este libro.

  • ¿Qué gobierno se vio más beneficiado por la actividad de los Tercios?

Sin ninguna duda, las provincias católicas de Flandes y sus estados generales, es decir, su autogobierno local: hay que recordar que aquella guerra, entre otras razones, se hizo allí para defenderlos a ellos, y que fue más una guerra civil entre calvinistas y católicos que otra cosa. Pero, además, a los Tercios debieron su corona, en un momento u otro, Nápoles, el Imperio austriaco e incluso el papado. La guerra es la prolongación de la política por otros medios, y los tercios fueron el instrumento de España para mantener el statu quo durante casi dos siglos.

  • ¿Cuál fue, a su juicio, el más eficaz a la hora de mandar y gestionar a los Tercios?

No es lo mismo mandar que gestionar. Como gestor, tal vez Spínola: era un hombre que venía de los negocios, puso su fortuna al servicio de la causa (y de su propia causa) y de hecho se gastó todo lo que tenía. La vida de los tercios siempre fue menesterosa, pero a Spínola hay que reconocerle que siempre procuró que a sus hombres no les faltara lo básico, incluso cuando él ya lo había perdido todo. Añadamos que, como jefe militar, fue impecable. Y estrictamente como jefe militar, yo creo que Alejandro Farnesio es insuperable: inteligente, combativo, astuto, muy buen estratega en la mesa de operaciones y excelente táctico en el campo de batalla, incansable, amado por sus hombres y capaz de coger una lanza y salir al galope cuando se le calentaba la sangre. Añadamos que como político se desempeñó con bastante tino. Un fenómeno.

Muchas gracias por tu tiempo.

Diego Solanas

dimanche, 04 février 2018

Pékin appelle l'Europe à combattre l’unilatéralisme

La Chine a demandé aux pays européens, dont l’Allemagne, de ne pas se contenter de « mots » face à l’unilatéralisme commercial et de prendre des mesures concrètes.

Le porte-parole du ministère chinois du Commerce Gao Feng, cité par l’IRNA, a souligné que les Européens ne devaient pas dresser d’obstacles aux investissements chinois dans leurs pays.

Dans une interview à Pékin, ce responsable chinois a affirmé que l’Allemagne, l’Italie et la France avaient rédigé des règlements qui leur permettraient d’entraver l’accès des sociétés chinoises à leurs marchés ainsi que l’achat par pékin de biens européens.

« Lors du Forum économique de Davos en Suisse, c’étaient les mêmes dirigeants européens, dont les Allemands, qui avaient annoncé que l’unilatéralisme commercial n’était pas le choix du futur et qu’il fallait le combattre », a-t-il ajouté.

« Bien que les investissements chinois en Allemagne aient augmenté tout au long de ces dernières années, ils sont encore dans la phase initiale et les tergiversations de Berlin et d’autres chancelleries européennes bloqueront le développement des relations et des investissements bilatéraux », a précisé le diplomate chinois.

D’après M. Feng, les investissements chinois en Allemagne ont atteint les 2 milliards 270 millions de dollars, un chiffre rudimentaire par rapport à l’ensemble des investissements effectués en Allemagne, ce qui ne constitue pas une menace.

« Pékin encouragera encore les entreprises chinoises à investir dans l’Union européenne, tout en espérant que les Européens leur accordent une attitude juste et équitable », a-t-il affirmé.

Depuis des années, la Chine s’est engagée à faire évoluer son modèle de croissance économique vers un modèle axé sur la consommation, les services et l’innovation. Les chiffres montrent que ces efforts portent leurs fruits.

« La guerre civile froide », une dissection de la post-modernité

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« La guerre civile froide », une dissection de la post-modernité

Recension de Laurent James

Ex: https://www.leretourauxsources.com

« Le monde moderne est une Atlantide submergée dans un dépotoir », écrivait Léon Bloy.

Jean-Michel Vernochet s'est donné ici comme mission de participer à l'impérieux nettoyage des écuries d'Augias qu'est devenu l'Occident, en commençant par mettre au propre les notions politiques, sociales et ontologiques de droite et de gauche, ainsi que les idées qui les soutiennent. Car aujourd'hui, les seules divinités communément acceptées et pratiquées sont - fort malheureusement - les idées, idées-idoles sur l'autel desquelles la réalité est chaque jour sacrifiée de manière encore plus sanglante. Le concept de « théogonie républicaine » est ainsi parfaitement justifié pour décrire l'origine de ces idées résolument meurtrières.

GCF-couv.jpgL'idée contemporaine prend toujours l'apparence d'une utopie bienveillante, fraternelle et égalisatrice, pour redresser les torts d'une société jugée encore trop paternelle ou hiérarchique. L'égalité des genres, le hashtag balance-ton-porc ou la discrimination positive sont avant tout des parodies de parodies, c'est-à-dire à la fois des parodies du principe platonicien ET de l'éthique quichottesque. Car c'est ici qu'il faut être précis : notre civilisation s'est d'abord bâtie sur l'affirmation de mythes spirituels et religieux, la cathédrale littéraire du Graal en constituant la dernière occurrence historique. Puis la modernité s'érigea sur la parodie desdits mythes, parfois somptueuses et emplies d'une belle énergie à l'instar du Quichotte.

Mais la post-modernité, cette guerre civile froide que nous décrit Vernochet avec toute l'attention clinique du chirurgien de haute précision, c'est la guerre menée par les idéaux républicains désincarnés contre l'harmonie primordiale (lutte contre « la droite ») ET contre l'idéal de justice universelle (lutte contre « la gauche ») : car elles visent à établir à la fois la discorde ET l'injustice. La distance entre l'androgyne primordial évoqué par Platon et le LGBTQ contemporain est tout aussi grande que la distance entre la communauté originelle de l'être et la « termitière humaine » du métissage totalitaire, ainsi que la distance entre l'ingénieux Hidalgo de la Manche et les Enfants de Don Quichotte d'Augustin Legrand. Parodie des parodies, tout est parodie.

La post-modernité n'a pas d'autre ambition que la destruction au service du mal. Elle se débarrasse progressivement de ses oripeaux idéologiques pour laisser apparaître son véritable visage, directement modelé par la stratégie des ténèbres. Ainsi, par exemple, si la post-modernité s'emploie d'une part à nomadiser les peuples coutumièrement sédentaires (migrations, délocalisations, etc.), il ne faut pas oublier qu'elle s'attache d'autre part à la sédentarisation des peuples nomades de tous les continents (inuits, nénètses, gitans, hadzas, etc.). Le but de cette guerre civile froide, c'est bien d'instaurer le désordre injuste par tous les moyens, et notamment par le plus puissant d'entre eux : l'inversion systématique des valeurs et de leurs significations, le remplacement de la main gauche par la droite et vice versa. « Les mots cul par-dessus tête ». Renommé « Monsieur Nini » par J.-M. Vernochet, Macron est un nouvel avatar du Monsieur Ouine de Bernanos : une incarnation supplémentaire du promoteur de « l'universalité incantatoire » et du relativisme absolu.

En réalité, le nom de Macron est Légion, car ils sont nombreux.

« Réduit à son universalisme abstrait, que reste-t-il de l'humain dans sa vérité essentielle ? » demande J.-M. Vernochet. La réponse est sombre et froide, implacable comme la mort : il ne reste plus que le mensonge et le froid.

Laurent James
31 janvier 2018
Parousia.

Le Japon réembrigadé par le Pentagone

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Le Japon réembrigadé par le Pentagone

par Jean-Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu

En décembre 2016, la Russie et le Japon s'étaient entendues sur un projet de coopération économique concernant les «Kouriles du Sud», ainsi appelées par les Russes, et que les Japonais nomment «Territoires du Nord». Ces quatre îles font officiellement partie de la région russe de Sakhaline, mais sont revendiquées par le Japon, depuis la fin de la Seconde guerre mondiale. Ce différend territorial n'était toujours pas réglé.

Cependant, au cours d'une visite officielle au Japon, les 15 et 16 décembre 2016, le président russe Vladimir Poutine, dont c'était la 16e rencontre avec le Premier ministre Shinzo Abe, avait estimé qu'«il serait naïf de penser qu'on puisse régler ce problème en une heure. Mais il est sans doute nécessaire de chercher une solution. Il faut un travail méticuleux pour renforcer la confiance bilatérale.»

Shinzo Abe s'était dit d'accord pour, dans ses termes, une «nouvelle approche» axée sur le levier économique. Les deux pays avaient décidé d'«ordonner à des experts d'entamer des consultations afin de se mettre d'accord sur les conditions et les domaines d'exploitation commune» .

Ce rapprochement entre le Japon et la Russie ne pouvait être accepté par Washington. Les consultations ont tourné court à l'annonce du déploiement d'un système américain Aegis de missiles de défense au Japon. Comme nous l'avons souvent indiqué, ces missiles peuvent aussi bien être de défense que d'attaque. De plus ils pourront facilement être dotés des bombes nucléaires d'un format réduit dont le Pentagone vient d'annoncer l'étude. Une version maritime du système Aegis a déjà été mise en place au Japon. En décembre 2017, le gouvernement japonais avait approuvé un budget militaire record de $46 milliards comportant une contribution à l'installation au Japon de deux stations terrestres Aegis. Celles-ci devraient être opérationnelles vers 2023.

Moscou a toujours refusé d'admettre que les missiles Aegis fussent uniquement défensifs. Le 28 décembre la porte-parole du ministère de la défense a déclaré que la décision japonaise causait de graves inquiétudes. Il s'agissait selon elle d'un nouveau pas pour le déploiement dans tout le Pacifique sud d'un système global de missiles susceptibles de frapper la Russie. La Chine avait exprimé la même préoccupation.

Moscou n'a pas tardé à répliquer. Medvedev vient d'annoncer le 30 janvier qu'un aéroport installé dans l'ile Itutop des Kouriles allait être transformé pour recevoir des avions militaires ou des drones ainsi qu'un système adéquat de contrôle aérien. Il s'agit évidemment d'un premier pas pour la militarisation des Kouriles. Ces décisions réciproques, japonaises et russes, semblent enterrer l'espoir d'un traité de pais entre les deux pays. Ce que l'on avait nommé l'offensive de charme de Shinzo Abe est en train de tourner court. Le Japon, de son fait, continue à être considéré par Moscou comme un allié indéfectible des Etats-Unis. Voilà qui devrait rassurer Washington quant à la crainte d'une « trahison » du Japon.

Il y a lieu de craindre que les échanges économiques et touristiques qui commençaient à s'établir entre ce pays et la Sibérie russe ne puissent plus se poursuivre. C'est sans doute ce que veut Donald Trump aujourd'hui, qui multiplie les déclarations agressives envers la Chine et la Russie.

Références

Voir en date du 19/12/2016
http://geopolis.francetvinfo.fr/conflit-des-iles-kouriles...

Ainsi que, daté du 2/02/2018
http://blogs.rediff.com/mkbhadrakumar/author/bhadrakumara...

Oborne Again: The Triumph of the Political Class

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Oborne Again:
The Triumph of the Political Class

triumph-of-the-political-class-9781471142048_hr.jpgReview:

Peter Oborne
The Triumph of the Political Class
London: Simon & Schuster, 2007

Some books are born again. Every book with a political theme aims to be prophetic, and only time can reveal their success or otherwise. Orwell’s 1984, Bloom’s The Closing of the American Mind, Huntington’s The Clash of Civilizations, Faye’s Convergence of Catastrophes are all books whose time has arrived. It is difficult to believe that one such book is a little over a decade old, but Peter Oborne’s The Triumph of the Political Class (TPC) has never been as relevant as it is today.

The book concerns itself solely with the United Kingdom, although its main thesis is relevant to the USA, as well as to the gauleiters of Europe. Oborne is a well-respected British journalist. As what is termed in Britain a lobby correspondent, he has access to the innermost workings of the ‘mother of all parliaments’, as politician John Bright described England’s governmental locus in 1865. TPC, as dazzling as it is, naturally made Oborne enemies within the very elite whose rise and victory he describes in the book. For Oborne gave the game away, like the heckler in the audience who sees and tells his fellow spectators how the magician on the stage is working his wonders, or little Toto pulling back the curtain to reveal that the Wizard of Oz is just an eccentric old man with a set of cogs and levers.

Oborne’s essential theme is that “the real divide in British public life is no longer between the main political parties, but between the Political Class and the rest.’ (p. xvii).

This class, he writes, replaced the old establishment and its standards of governance. Instead of public servants entering parliament from many walks of life, politicians in the UK are now unlikely to have worked outside of journalism, PR, advertising, or the legal profession. Very few have experience outside the world of politics, and the established route is from one of the top universities, Oxford or Cambridge, usually studying Politics, Philosophy and Economics, famously known as PPE. The next step is an internship, working for an established politician. Some may become specials advisers, or SpAds as they are known, to a working politician. This tier of government has largely replaced the function of Britain’s long-established Civil Service, and is illegitimately funded by the British taxpayer. It is also wholly politically orthodox. As Oborne emphasises, any opinions or ideological beliefs outside the accepted protocols will disable a political career before it has even begun.

This incubation of political agency has serious consequences. Politics ceases to be an active, deeply social and communitarian practice and becomes instead occupied by a technocratic cabal convinced that they are best equipped to improve the lot of others. The results of this in the UK is a country well on the way to ruination. Increasingly Sovietised, Britain – and particularly England – is being run by malevolent arch-bureaucrats, a managerial class more concerned with appearance than reality. As Orwell famously wrote, in The Lion and the Unicorn, England is a family with the wrong members in control.

Oborne credits 19th-century Italian lawyer and social theorist Gaetano Mosca with the coinage of what he called the classe politica. Mosca’s major work, Elementi de Scienzi Politica, is now seen by the new establishment as a precursor to Italian fascism under Mussolini, and this is a clear example of the ‘fascist’ or ‘far Right’ tag being applied by the Political Class and their provisional wing in the media to anyone who gives the game away.

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Peter Oborne

Oborne updates Mosca’s 1896 insight, and describes how the modern Political Class – I will follow Oborne’s practice of capitalising the words in this phrase – has devoted itself to the destruction and replacement of the Establishment. Speech, vocabulary, dress, lifestyle; all of these elements serve to identify the new regime, and have been standardized to produce a homogenous tier of operatives who now serve themselves only, and their shadowy backers in the business world.

Oborne stresses that the political class is the result of a toxic amalgam of 1960s student agitation, technocracy and, in particular, Communism. Ostensibly defeated with the fall of the Berlin Wall, Communism in fact merely hibernated and emerged in a different guise. Oborne relegates his comments on Communism to a footnote, but it should not elude us. “Although Communism has enjoyed barely any electoral success in Britain during the last 100 years,” he writes, “its influence has been exceptionally strong among the governing elite…” (p. 47).

Communism, the spectre haunting Europe with which Marx famously opened the Communist Manifesto, is now a revenant. The EU is notoriously staffed, in its upper echelons at the very least, by ex-Communist sympathisers and even members. Angela Merkel’s Communist past is well known. The Red Menace never went anywhere, it just changed its livery. This lingering of Communism explains Oborne’s observation that ‘the Political Class has at all times resented and sought to destroy the free-standing status of British institutions.’ (p. 49).

And it is the destruction or infiltration of the great British institutions that Oborne delineates, as each one is shown to have fallen to this triumphal Political Class, making as it has a long march of its own of which Mao or Gramsci would have been proud. This factional overthrow serves but one purpose, that “the instinctive priority of the Political Class has been to expand the role and powers of the executive and its proxies, sacrificing civil liberties if necessary.” (p. 183).

The inevitable attacks on the British monarchy are highlighted, seen as it is by the new rulers as an archaic irrelevance whose popularity with ordinary people they despise.

Parliament, and its essential function in what was a democratic Britain, has been undermined as a direct result of the journalistic backgrounds not just of MPs, but of advisers to government. “All important announcements”, writes Oborne, “are now made through the media, and only as an afterthought through the [House of] Commons.” (p. 201).

In addition to this sidelining of an ancient democratic process, Oborne shows the way in which the Parliamentary Commissioner for Standards had had his or her role watered down and weakened. The Political Class does not wish for scrutiny, at least not of itself. The people, of course, are another matter. Great Britain has around a quarter of the CCTV cameras in the world, far more per capita than Russia or North Korea.

The section of TPC dealing with the Political Class’s capture of the British media is exemplary of how democracy in Great Britain has been subverted. Oborne writes that the Political Class has “sought to give an almost constitutional role to the British media by building it up as an alternative to existing state institutions.” (p. 234).

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In short, the British government and Her Majesty’s Opposition now use the media as a glorified advertising agency. ‘Client journalists’ now do the work Parliament used to do. This pact is compounded by a sleight of hand which effects to produce the myth of a ‘hostile media’, that is, a fourth estate which still fulfils its original role in speaking truth to power in any meaningful way. It does no such thing, of course, and any journalist who dissents from this arrangement will soon find themselves filing their copy in the backwaters of a provincial newspaper.

The role of the media in the Iraq War is focused on briefly in the book, and as an exemplar of the way in which the UK Political Class now uses the media. This war is still the most disgraceful chapter of Tony Blair’s tenure as Prime Minister, and Oborne lays out clinically the way that the British press, and the BBC, conspired to paint a flattering, Dorian Gray-like picture of Blair as war hero, when in fact it was the lies told by him and his jumped-up press secretary Alastair Campbell – very much a villain of Oborne’s book – that initiated that wholly spurious and ruinous conflict.

The great losers in this Caesarean and triumphalist rise to power are, of course, the British people. They are now treated as a set of consumerist statistics to be manipulated and triangulated. Indeed, as Oborne writes, “Members of the Political Class… regard civil society as a threat because it represents a giant area of the public domain which stands outside its control” (p. 329).

With serious calls from the likes of Tony Blair to have a second and even third Brexit referendum, the contempt that the Political Class has for the ordinary people they are supposed to represent is clear. The EU’s disdain for its citizens is even more apparent, and entire countries have already been made to vote more than once for continued membership of this corrupt bloc, the elites simply recasting the vote until it goes their way.

With British politics currently rudderless, and becoming more impotent by the week, it is tempting to herald the unravelling of Oborne’s Political Class, in the UK at least, and my only disappointment with TPC is that Oborne spends little time on technocracy, the fallacious idea that government is best suited to improve the lot of its citizens by virtue of its collective expertise. Having myself worked and clashed with management companies for the past ten years, I can see the parallels between management and government, and the willful blindness of those who believe they are the experts.

Oborne’s book is eerily prophetic, and shows what he calls the architecture of the Political Class. Any tremor which threatens to shake the whole is to be feared and attacked. In the same way that the average Republican is aghast at the victory of Donald Trump, so too the British political class would resist any attempt to alter its fundamental structure and aims, even if its own putative party were in power. Brexit is, of course, the most obvious example of resistance and, in the same way that the deep state is confounding Trump’s attempts to govern, so too the EU, in collusion with Britain’s own deep state, will not allow Brexit to happen without fighting to the last redoubt.

Towards the end of TPC, Oborne writes a paragraph that is a distant echo of Orwell’s famous statement, in his most famous book, that the only hope lies with the proles. It is profoundly to be wished for that these two great visionaries are right.

[It] is almost certain… that the next great political movement will come from outside the Political Class. Just as the Political Class has emerged from the wreckage of the party system, so it is certain to produce its own antithesis. At some stage a British politician may well discover a new language of public discourse and methodology of political engagement which communicates simply and plainly to voters. (p. 331).

Should this language and methodology ever be discovered, Peter Oborne’s prescient book will serve well both as its dictionary and instruction manual.

 

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samedi, 03 février 2018

La Russie, centre de contre-culture

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La Russie, centre de contre-culture

Ex: http://www.dedefensa.org

Des sites russes d’inspiration nettement proche de l’Église chrétienne orthodoxe diffusent les résultats d’une enquête sur l’évolution des opinions concernant des questions sociétales extrêmement présentes aujourd’hui. Les résultats sont évalués sur un temps assez long, sur les vingt années qui nous séparent de 1998, ce qui permet d’avoir une indication de tendance profonde. D’autres précisions, venues d’autres sources complètent le travail avec d’autres précisions dans les mêmes domines. Le chiffre le plus marquant est celui de l’évolution du nombre d’avortements, passant en 25 ans de 5 millions (en 1993) à 600 000 (en 2017), et cela accompagnant une évolution également remarquable dans le jugement des personnes qui ont été interrogées pour l’enquête : le pourcentage des personnes jugeant l’avortement “inacceptable” est passé de 12% en1998 à 35% en 2017, – alors que cette pratique était elle-même institutionnalisée durant la période communiste (sauf pendant la période 1936-1955). Tous les autres résultats sur les questions sociétales vont dans le même sens.

Le fait que cette enquête se fasse sur ce “temps assez long” est d’une réelle importance, surtout pour la Russie. Il permet une comparaison entre la Russie post-URSS “occidentalisée” type-Eltsine des années 1990 et celle d’aujourd’hui. Outre les conditions économiques, son évolution culturelle (et donc psychologique) se déplace exactement à l’inverse de la politique générale suivie dans le bloc-BAO, sous l’impulsion du Système.

C’est le site Orthochristian.com, version anglaise du site en russe Pravoslavie.ru, qui publie le texte (le 12 janvier 2018) sur cette enquête et les divers à-côtés.

« La proportion de citoyens russes qui considèrent l'avortement comme inacceptable a triplé au cours des 20 dernières années, passant de 12% à 35%. La condamnation de l’adultère et des relations homosexuelles a également augmenté de manière significative, selon les données d'un récent sondage sociologique du Levada Center. Selon les experts, le changement dans l'opinion publique atteste du renforcement des valeurs familiales traditionnelles, rapporte Pravoslavie.ru.

» L'enquête nationale réalisée fin décembre 2017 a montré que la majorité des Russes (68%) condamnent les relations sexuelles extra-conjugales, alors que seulement 50% les condamnaient en 1998. Ce pourcentage de 2017 comprend 77% de femmes et 57% d'hommes. Les personnes interrogées qui désapprouvant les relations homosexuelles sont passés de 68 à 83% au cours de la même période, avec seulement 1% de différence entre les hommes et les femmes.

» En ce qui concerne le sondage sur l’avortement (jugé inacceptable par 35% des sondés contre 12% en 1998), le pourcentage des réponses est équivalent selon les situations économiques, y compris st dans le cas des familles à faible revenu. Les femmes ont adopté une position plus stricte, avec 37% condamnant l'avortement dans tous les cas, contre 31% des hommes. Aucune différence n'a été observée en ce qui concerne l'âge de la femme qui répond.

» Karina Pipia, sociologue du Centre Levada, a noté que les chiffres démontrent une tendance générale conservatrice dans la nation, bien que les répondants des petites villes et des villages soient plus fidèles à l'avortement en raison du faible revenu. Le président de la Société russe des obstétriciens-gynécologues, Vladimir Serov, a déclaré au journal Izvestia que les avortements ont diminué de 800% en Russie au cours des 25 dernières années, passant d'environ 5 millions à 600 000 chaque année.

» Cette évolution a été facilitée par un certain nombre de mesures, notamment le soutien économique de l'État aux familles, la création de centres de soutien aux femmes enceintes en difficulté, le développement de la contraception et le développement de l'éducation sur les dangers de l'avortement. Le directeur scientifique de l'Institut indépendant de la famille et de la démographie Igor Beloborodov considère que le changement d’opinion publique sur l’avortement est le résultat de la politique gouvernementale et du travail éducatif de l'Église orthodoxe russe.

» Alors qu'il y a eu une tendance positive à la diminution du nombre d'avortements, cet acte terrible reste légal en Russie, avec environ 2 000 enfants tués chaque jour. L'Église et diverses sociétés orthodoxes organisent régulièrement des manifestations pro-vie à Moscou et dans tout le pays. Le mouvement “Pour La Vie !” a organisé hier (11 janvier 2018) une cérémonie symbolique avec 2 000 bougies allumées durant une moleben dans une église de Moscou, pour symboliser les enfants perdus tous les jours du fait des avortements. En outre, plus d'un million de signatures ont été recueillies dans toute la Russie l'année dernière, appelant à une interdiction législative de l'avortement. »

Le commentaire que nous allons faire écarte absolument tout débat de fond sur les diverses questions qui sont abordées (avortement, homosexualité, concubinage, etc.). Ce qui nous intéresse, c’est la question des tendances profondes qu’illustrent ce sondage et les autres événements cités. Le fait que le site rapportant la chose d’une manière favorable soit chrétien orthodoxe n’est pas indifférent : le poids de l’Église chrétienne orthodoxe russe, autant que la politique familiale et sociétale du gouvernement depuis les premières années-Poutine, jouent un rôle considérable dans l’évolution constatée. Il n’empêche que cette évolution n’apparaît pas forcée, mais bien facilitée par ces politiques institutionnelles. A côté des agitations souvent très médiatisées, – et pour cause, – des minorités pro-occidentalistes toutes suspectes d’“intelligence avec l’ennemi”, il existe aujourd’hui en Russie un accord profond entre la population, sa direction politique et sa hiérarchie religieuse. Cet accord est une affirmation de type néo-conservateur, dans le vrai sens de l’expression exactement contraire au “neoconisme” US qui est un parfait usurpateur du sens des mots et des choses, – rien pour nous étonner, dans cela.

Par conséquent, il nous paraît peu indiqué de monter tel ou tel procès indigné sur ce parti-pris ici ou là, ni d’éditos vengeurs sur “ces populations rétrogrades”, ces “fachos-réacs’” et toute cette saltimbanquerie, – ce néologisme pour exprimer l’épuisement de nos âmes poétiques devant ce traquenard où tombent tant d’esprits aiguisés. Ce qui nous intéresse c’est l’essentiel, savoir les positions et les forces s’exerçant par rapport au Système, pour ou contre. Il faut laisser notre emportement affectiviste courant de croire à la centralité du débat sociétal pour admettre cette évidence que ce débat sociétal fait partie de la stratégie considérablement puissante du Système, et que c’est par conséquent en fonction de ce fait central (la stratégie du Système) et rien d’autre qu’il faut déterminer, affirmer et assurer sa position.

Dès lors, le constat est le suivant : la Russie est devenue, en profondeur d’elle-même et en cela retrouvant sa tradition, un centre de contre-culture face à la postmodernité et le Système. Il est évident que les autorités politiques et religieuses l’y poussent ; avec une direction politique qui est aussi radicale dans les domaines culturel et social, avec effet sur le sociétal, qu’elle est modérée dans le domaine économique par rapport par rapport à l’“offre” pressante du bloc-BAO d’adopter ses références-Système ; avec une hiérarchie religieuse extrêmement pugnace dans la défense des intérêts culturels russes dans le sens de la tradition... Les accusations de corruption que colportent régulièrement les porte-voix de la communication-Système contre ces directions n’ont pas d’effets de rupture dans la mesure où cette corruption, qu’elle apparaisse ou pas du point de vue vénal, ne touche pas le niveau psychologique. (En aucun cas, on ne peut en dire autant des élites-Système du bloc-BAO.)

(De même, les accusations d’“autoritarisme” qui fondent la stratégie antirussistes du bloc-BAO n’ont d’autres effets que de mettre en lumière la position d’agonie accélérée dans le désordre et le nihilisme du “modèle démocratique” du bloc-BAO et du Système. C’est dans ce contexte qu’il faut poser un jugement.)

Cette situation implique effectivement que la Russie constitue non plus un obstacle, mais un véritable “barrage culturel” contre la tentative permanente d’invasion de la culture-Système dont le programme implique l’équation déstructuration-dissolution-entropisation (dd&e). Du fait même de cet antagonisme, et quoi qu’on pense selon la moraline courante de façon parcellaire et cloisonnée de toutes ces positions et options, la situation générale russe est perçue comme s’opposant à la poussée dissolvante du Système et devient de ce fait, par simple logique antagoniste, complètement structurante pour la Russie elle-même. Cette perception du Système ne peut aller qu’en s’amplifiant parce qu’elle se nourrit à l’antirussisme qui lui-même se renforce de la perception qu’il induit : logique fermée parfaite.

Pour autant, il ne faut pas conclure que les Russes offrent un “contre-modèle” : leur contre-culture est uniquement défensive et d’ailleurs ne prétend à rien d’autre, ni ne peut prétendre à rien d’autre car c’est effectivement dans le mode défensif qu’elle est réellement efficace en mettant en évidence les outrances et les vices de l’adversaire. La Russie n’est pas en position d’offrir un “contre-modèle” parce qu’elle n’a pas les instruments pour le faire, ni encore moins la capacité conceptuelle. (Personne n’a d’ailleurs cette capacité conceptuelle ni “les instruments” pour l’opérationnaliser, bien entendu : nous sommes en attente de la chute du Système.) La Russie servant donc de “barrage culturel” a comme véritable fonction opérationnelle de faire s’épuiser le Système dans son hostilité à son encontre, et par conséquent d’accélérer son propre effondrement en cours. Tout cela trace une certaine situation d’équilibre pour la Russie dans laquelle Poutine occupe la place qui convient, – ce qui explique aussi bien sa popularité que les intentions de vote pour l’élection présidentielle (actuellement, 81,1% en faveur de Poutine).

 

Mis en ligne le 24 janvier 2018 à 13H40

Fernando Pessoa

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Fernando Pessoa

Fernando Pessoa was the greatest Portuguese poet of the modern era and arguably one of the most interesting and protean literary figures of the twentieth century. His vast body of work, some of which remains unpublished, includes hundreds of poems as well as essays on philosophy, religion, literature, and politics. His verse combines avant-garde modernism with pagan mysticism and a vision of national rebirth.

Following the death of his father, his family moved to Durban, South Africa, where the young Pessoa spent most of his childhood. Coincidentally Durban was also the hometown of the South African poet Roy Campbell, who hailed Pessoa as a modern Camões.[1] [2] In Durban Pessoa learned to write fluently in English and received a thorough education in English literature. His first major success came at 15, when he won an award for an English-language essay. He returned to Lisbon two years later and enrolled in the University of Lisbon but dropped out two years later and became an autodidact. During this time he spent his days at the National Library of Portugal and read widely. He spent the rest of his life in Lisbon, making a living as a translator of commercial correspondence.

FP-por1.pngOne of his earliest influences was Thomas Carlyle, whose concept of the “hero as poet” as described in Heroes, Hero-Worship, and the Heroic in History made a particular impression on him; from a young age, Pessoa saw his vocation as a poet as an heroic, almost messianic calling.

Although Pessoa was active in Portuguese literary circles, he was mostly unknown outside of Portugal during his lifetime. He achieved posthumous literary fame when it was discovered upon his death that he had left behind a trunk full of several thousand pages of unpublished work. The ordeal of editing and cataloguing his works is still in progress.

Pessoa is best known for his use of numerous literary alter egos, which he termed heteronyms. Behind each heteronym was a meticulously crafted persona possessing a complex biography and a distinct temperament, worldview, and writing style. He used more than 70 heteronyms over the course of his life, beginning with adolescent experiments in creating elaborate fictional newspapers complete with news, poems, jokes, and essays authored under various heteronyms. The three main heteronyms he consistently used were Alberto Caeiro, a man of humble origins and lover of nature; Ricardo Reis, a classics scholar and Stoic; and Álvaro de Campos, a naval engineer, world traveler, and Futurist dandy. His heteronyms frequently engaged in dialogues with each other and criticized each other’s works. Pessoa’s work is rife with seeming contradictions, like the man himself: by turns nostalgic and futuristic, cerebral and impassioned, decadent and ascetic, etc.

Among his heteronyms was one “semi-heteronym,” the quasi-autobiographical Bernardo Soares. Pessoa wrote The Book of Disquiet, his greatest prose work, under Soares’s name. (He ascribed the first part to Vicente Guedes and the second to Soares.) The Book of Disquiet is at once a novel, poem, philosophical essay, character study, and “autobiography without events.”[2] [3] Guedes/Soares is an introspective loner with a melancholy temperament, not unlike Pessoa. An bookkeeping assistant by day, he feels imprisoned by the tedium of modern office life and becomes thoroughly disillusioned with the modern world. He finds refuge in cultivating within himself an attitude of aristocratic detachment and complete disinterest in the outside world and escaping into a dreamlike parallel reality. Much of the text reads like fragmentary recollections of dreams and is suffused with rich lyricism and mystical, surreal imagery.

The second phase of the book opens with a statement on religion in the modern world: “I was born at a time when most young people had lost their belief in God for much the same reason that their elders had kept theirs—without knowing why.”[3] [4] Soares then identifies “the worship of Humanity, with its rituals of Liberty and Equality” as a modern substitute for religion and scorns the hollow ideals of liberalism and egalitarianism.[4] [5] Pessoa in his own writings was likewise a fierce critic of the modern cult of “humanity” on the grounds that internationalism had the effect of erasing natural human differences and believed it did little to fill the spiritual vacuum of modernity. In his view this void could only be filled through the creation of art: instead of seeking to express reality, art must itself become reality.

Soares heaps especial scorn upon liberal reformers and their crudely optimistic faith in humanity. Indeed his political apathy and his detachment from the modern world lead him to condemn political revolutionaries of all stripes. Being self-aware, he recognizes that this stance is a symptom of modern decadence but ultimately remains perpetually suspended in a liminal realm between action and inaction (again much like Pessoa himself). This state of unease and ambiguity characterizes The Book of Disquiet both thematically and in a literal sense, as the work was never completed and consists of disjointed fragments, aphorisms, etc. The novel provides a fascinating mirror into the psychology of modern man and the quest to find meaning amid a decaying society.

Pessoa is best known for The Book of Disquiet among the general public, but in his homeland he is primarily known for his 1934 epic poem Message, one of the few works he published during his lifetime and the only one published in Portuguese. He did not write in standard Portuguese but instead in the orthography used before the First World War, which lends the poem an antiquated feel in the original. It consists of 44 short poems grouped into three parts, representing three stages of Portugal’s history. Message became a Portuguese national epic and soon after its publication won second prize in a contest organized by the propaganda branch of António Oliveira de Salazar’s corporatist regime.

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The first part, “Brasão” (“Coat of Arms”), has in turn five sections: The Fields, The Castles, The Escutcheons, The Crown, and The Crest, each representing a component of the coat of arms of the Kingdom of Portugal. The coat of arms remains a Portuguese national symbol and is thought to date back to the reign of Afonso I (known as “the Conqueror” and “the Founder”), the first king of Portugal. The shield of the coat of arms can be found on the modern Portuguese flag. The first poem, “The Fields of the Castles,” refers to the bordure of castles in Portugal’s coat of arms that represent Moorish castles conquered by the Kingdom of Portugal during the Reconquista. Pessoa begins by invoking Portugal’s role in the Age of Discovery, describing the European continent as a woman whose face—Portugal—stares westward. The second, “The Fields of the Escutcheons,” refers to the escutcheons in the center of the shield. Each escutcheon bears five white dots, thought to represent the five wounds of Christ, or alternatively the five wounds suffered by Afonso Henriques in the Battle of Ourique (in which he defeated the Moorish Almoravids). Here he defends the notion that glory is borne from misfortune and struggle.

The 17 remaining poems in the first part consist of poems in honor of Portuguese heroes. He begins with Ulysses. According to legend, Lisbon was founded by Ulysses on his journey home from Troy, and Roman authors referred to the city as “Ulyssippo”/”Olissippo.” Pessoa believed that the roots of Portuguese culture lay in ancient Greece and was fascinated with classical antiquity. (Indeed, Lusitanian mythology incorporated the influences of both Celtic and Greco-Roman mythology.) He deems Ulysses one of the founders of the Portuguese nation, despite that he exists only in legend:

Myth is the nothing that is everything.
The very sun that breaks through the skies
Is a bright and speechless myth—
God’s dead body,
Naked and alive.

This hero who cast anchor here,
Because he never was, slowly came to exist.
Without ever being, he sufficed us.
Having never come here,
He came to be our founder.

Thus the legend, little by little,
Seeps into reality
And constantly enriches it.
Life down below, half
Of nothing, perishes.[5] [6]

Next is a poem in honor of Viriathus, a military leader who led the revolts of the Lusitanians (an Indo-European tribe of Celtic origin concentrated in modern-day Portugal) against the Romans during the 2nd century B.C. The remaining titles include Afonso Henriques, who became the first king of Portugal; his parents, the Count and Countess of Portugal; King John I; Prince Henry the Navigator; King Sebastian I; Nuno Álvares Pereira; and others.

King Sebastian I was of particular significance for Pessoa. Toward the end of his life, Sebastian embarked upon a crusade against the Kingdom of Morocco. Ignoring the advice of his top advisors, he marched inland with his entire army. In the Battle of Alcácer Quibir in 1578 (dramatized in Donizetti’s Dom Sébastien), the Portuguese army was routed and it was thought that Sebastian perished, although his body was never found. The absence of an heir to the throne following Sebastian’s death ignited the Portuguese succession crisis of 1580, and Portugal was thrown into turmoil. Philip II of Spain gained control of the Portuguese throne in 1581, uniting Spain and Portugal under the Iberian Union. This marked the beginning of Portugal’s decline. Since Sebastian’s death was never confirmed, many Portuguese hoped that one day he would return to save the nation. A cult grew around this “king in the mountain” myth and Sebastian became Portugal’s equivalent of King Arthur. It was prophesied that one day Sebastian would return and lead Portugal into a new era of imperial glory.

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The second part, “Mar Português” (“Portuguese Sea”), is a paean to Portuguese maritime exploration during the Age of Discovery. Here Pessoa eulogizes explorers such as Vasco da Gama, Bartholomeu Dias, and Ferdinand Magellan and describes their journeys at sea. The following short poem describes Vasco da Gama’s ascension following his death, invoking the Titans and the gods of Olympus and comparing da Gama to Jason, leader of the Argonauts:

The Gods of the storm and the giants of Earth
Halt the rage of their war and gape.
In the valley leading up to the skies
A silence falls; then there’s a stirring
And a specter rising in veils of mist.
Fears flank it while it lingers; its vestige
Rumbles in distant clouds and flashes.

On the earth below, the shepherd freezes
And his flute falls as in rapture he sees,
By the light of a thousand thunderbolts,
The sky’s vault open to the Argonaut’s soul.[6] [7]

The title of the third part, “O Encoberto” (“The Hidden One”), refers to a revelation attributed to St. Isidore of Seville, who envisioned that a Messiah would arrive known as “O Encoberto.” This prophecy was popularized during the sixteenth century by a cobbler by the name of Gonçalo Anes (“O Bandarra”); King Sebastian was thought to be “O Encoberto.” In the first two sections, Pessoa invokes the voice of Sebastian and prophesies that he will return, in spirit if not in body, and bring about the Fifth Empire. (He identifies the first four “empires” as Greece, Rome, Christendom, and Europe.) Followers of Sebastianism looked to Daniel 2 in the Bible, in which Daniel interprets the four metals of the statue in Nebuchadnezzar’s dream to signify four great kingdoms that will be followed by a fifth, as a prophecy of the Fifth Empire. In the third section, Pessoa describes the current state of Portugal and states that the hour has come for the prophecy to be fulfilled.

Imperialism deserves criticism from an ethnonationalist point of view. It negates the idea of self-sovereignty and represents the tyranny of commerce and financial greed. Portugal specifically also played a leading role in the Atlantic Slave Trade, which ultimately had disastrous consequences. Nonetheless it is necessary to distinguish the heroism and courage of European explorers during the Age of Discovery from the mercantile greed that was the driving force of colonialist expansion. “Who wants to pass beyond Bojador,” Pessoa writes in “Mar Português” (the Portuguese explorer Gil Eanes was the first to discover a route around Cape Bojador, known for its cold winds and violent storms), “must also pass beyond pain.” Carl Schmitt was highly critical of “thalassocratic” colonial empires but nonetheless admired “the intrepid performance of seamen in their sailing ships, the high art of navigation, the solid training and strict selection of a particular human type fit for it,” which he contrasted with “modern, hazard­-free, and technicized maritime traffic.”[7] [8]

Furthermore Pessoa’s vision of the Fifth Empire does not represent a revanchist imperative to conquer the world and reinstate colonialism and imperialism. Rather he envisioned that Portugal would stand at the forefront of a global literary and artistic renaissance and would regain national dignity through cultural renewal. The Sebastianism of Message represented a symbolic national myth that he believed would unite the Portuguese people.

Message has often been compared to Camões’s Os Lusíadas, an epic poem chronicling Vasco da Gama’s discovery of a sea route to India. Both invoke heroic and nationalistic themes. Both are also reminiscent of ancient epics, particularly Os Lusíadas. The opening lines of Os Lusíadas recalls Virgil’s Aeneid and are followed by an episode in which the Olympian gods and goddesses gather to deliberate over Vasco da Gama’s voyage and split into two parties, one favoring the Portuguese and the other in opposition to them. The gods accompany da Gama throughout his journey and Greco-Roman mythology in general figures prominently throughout the poem.

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Pessoa’s greatest inspiration was ancient Greece. He was an avid Hellenist and dreamed of a renaissance of the ancient gods. This point of view is shared among his heteronyms. He articulated his views on religion most thoroughly through Antonio Mora, a disciple of Caeiros, who wrote some treatises on the subject and argued that paganism was the religion most in harmony with nature. His most interesting argument here involves a discussion of how a Christian, pantheist, materialist, and pagan would perceive any given object. Regarding Christians, he remarks: “Whoever values something because it was created by ‘God’ values it not for what it is but for what it recalls. His eyes behold the object, but his thoughts lie elsewhere.”[8] [9] For the materialist, each object is simply “a screen through which he atomistically peers, just as for the pantheist it is a screen or window for perceiving the Whole, and for the creationist a screen through which to see God.”[9] [10] Only the pagan is capable of perceiving reality to the full. Pessoa under his own name laid out a similar view in his writings on what he termed “sensationism.”

Mora also cites the polytheism and plurality inherent in paganism and argues that this lends it greater objectivity: “Reality, when it first appears to us, is multiple. By referring all received sensations to our individual consciousness, we impose a false unity (false to our experience) on the original multiplicity of things.”[10] [11] Pessoa believed that metaphysical subjectivism lay at the root of modern decadence. His use of heteronyms thus represented an extension of his religious views and an attempt to reflect nature in all its plurality.

Mora’s remark on being a pagan in the modern world will resonate with dissidents:

What relationship can an age like this one have with a spiritual heir to the race of constructors, with a soul inspired by paganism’s glorious truths? None, except one of instinctive rejection and automatic scorn. We, the only dissenters from decadence, are thus forced to assume an attitude that, by its nature is likewise decadent. An attitude of indifference is a decadent attitude, and our inability to adapt to the current milieu forces us to just such an attitude. We don’t adapt, because healthy people cannot adapt to a sick milieu, and since we don’t adapt, it is we who are sick. This is the paradox in which those of us who are pagans live.[11] [12]

In 1924 Pessoa founded a short-lived literary journal called Athena in which he published essays, poems, and translations under his three main heteronyms as well as his own name. These included translations from the Greek Anthology, Ricardo Reis’s Horace-inspired classical odes, and selections from Alberto Caeiro’s The Keeper of Sheep. The journal both eulogized pagan antiquity and stood at the vanguard of literary modernism; it represented “a denial of the old querelle des Anciens et des Modernes, and an impressive attempt to find an ancient form of dramatic art in modern times.”[12] [13]

Athena was an attempt to revive the movement surrounding the similarly short-lived journal Orpheu, which dissolved after the publication of two issues in 1915. It was responsible for introducing modernism to Portugal and was named for Orpheus to symbolize its forward-looking orientation. Orpheu represented a wide variety of literary currents ranging from Symbolism to Futurism. The most notable poems in Orpheu were the poems of Pessoa’s Álvaro de Campos. In “Opiario,” written while sailing through the Suez Canal on an eastward voyage, he describes with despair his opium addiction and the tedium of life aboard his ship. Directly following was “Ode Triunfal,” which takes place later in his evolution (although in reality Pessoa wrote it earlier), a Futurist ode to modern technology that extols the “great human tropics of iron and fire and strength.” There was also “Ode Maritima,” in which a man on a deserted quay gazes at a faraway steamer; “a steering wheel begins to turn, slowly” in his imagination, launching a stream-of-consciousness ode to “shipwrecks, far-off voyages, dangerous crossings,” pirate adventures, and so forth.

FP-6.jpgPessoa was also fascinated with the occult and wrote extensively on the subject, largely under his own name. In 1915, he began translating theosophist texts and later claimed to have become a medium with the ability to produce automatic writing. He also claimed to have “sudden flashes of ‘etheric vision'” that enabled him to perceive certain symbols and “auras.”[13] [14] He later came to distance himself from Theosophy, however, objecting to what he saw as its egalitarian premise and the theosophical ideal of a universal brotherhood of humanity, which in his view rendered it scarcely different from Christianity and liberal humanism (which he referred to as Christianity’s secular equivalent).

Pessoa also maintained a correspondence with Aleister Crowley. An avid astrologer, he first made contact with Crowley in 1930 by pointing out an astrological error in his Confessions. Crowley visited Portugal later that year and Pessoa aided him in faking his death. He also translated Crowley’s “Hymn to Pan” into Portuguese.[14] [15]

The glorification of Sebastianism as national myth in Message had an occult component. Pessoa’s vision of the Fifth Empire was a spiritual one and the arc of Message represents a religious quest, both on an individual and national level. The final part of Message alludes to Arthurian legend throughout (the Holy Grail, Excalibur, Sir Galahad). In “O Desejado” (“The Yearned-for One”), the narrator exhorts Sebastian to lift up Excalibur, his “anointed sword.” In “O Encoberto” (the poem that gives the final part its name), Pessoa also links Sebastianism with Rosicrucianism.

Pessoa is frequently compared to W. B. Yeats: in addition to their shared interest in the occult (Yeats was a member of the Hermetic Order of the Golden Dawn) and their use of alternate personae (Yeats’s “masks” and Pessoa’s heteronyms), both were “mystical nationalists” who wrote poetry of a pagan, heroic character through which they sought to bring about a renaissance in their respective nations. Pessoa admired Yeats’s poetry and was influenced by the Irish Literary Revival. The following lists some parallels between the two regarding their shared “underlying mythopoeic goal” and is worth quoting:

Pessoa’s concept of the ‘Portuguese soul’ is analogous to what Yeats calls ‘the permanent character of the race’ in ‘First Principles.’ Not only that, but he also attributes the same characteristics to it as those which Yeats attributed to the Celts in ‘The Celtic Element in Literature,’ namely an adventurous, tragic and mystical nature. The similarities extend to Pessoa’s characterization of the ‘Portuguese soul’ as originating from ancient dreams, which recalls Yeats’s depiction of his ideal of ‘Unity of Culture’ as ‘a nationwide multiform reverie.’ Yeats believed that by drawing on his country’s legends and folklore, a poet could reveal the Anima Mundi, or rather ‘a Great Memory passing on from generation to generation.’ Pessoa also believed that poets should derive their inspiration from ‘o que nas almas há de superindividual’ [that which is supra-individual in souls].[15] [16]

Also like Yeats, Pessoa was a man of the Right who opposed modern liberalism and egalitarianism. He described the ideal state as an “aristocratic republic” governed by an elite based on merit (rather than birth).[16] [17] Although he had reservations about fascism in his later years, he criticized it nonetheless from a right-wing perspective.

As a young man, Pessoa was a staunch opponent of monarchy and the Catholic Church, which he considered to be corrupt, moribund institutions and to which he attributed Portugal’s decline. (Other factors he associated with Portugal’s decline were “foreign influence, the oligarchy of political bosses, and the decline ofWestern civilization itself.”)[17] [18] He initially supported the First Portuguese Republic and was associated with the Portuguese Renaissance, a movement of intellectuals who sought to lend the republic cultural legitimacy, but turned against the new government when it became clear that it had not improved upon the flaws of the recently deposed monarchy. He supported the military coup d’état on May 28, 1926, which he believed would reinvigorate the nation following the failure of the republic. In a pamphlet written in 1928, he argued that military dictatorship was a useful temporary measure through which national consciousness could be strengthened.[18] [19] He also supported Salazar’s Estado Novo for this reason. However, he later began to grow disillusioned with Salazar and criticized the regime’s ban on Freemasonry and what he perceived as Salazar’s lack of interest in cultural affairs.

FP-7.jpgThe theme of decay and the need for national regeneration runs throughout his political writings, particularly his unfinished “History of a Dictatorship,” a survey of modern Portuguese history in which he attempts to outline the causes for Portugal’s decline.[19] [20] Pessoa viewed the state as akin to an organism that, on account of its inherent plurality, possesses a natural tendency toward disintegration. Like the ancients, he held that unity ought to be the principle aim of politics and that achieving national unity would enable the state to resist decline. He writes in “The Portuguese Regicide and the Political Situation in Portugal”:

Let us apply to the organism called the state the general law of life. Which are the elements (composing the cells) of this organism? Obviously the people, that is, the individuals composing the nation. Which is then, in the state, the force that integrates, which is the force that disintegrates? There is an exact analogy—how could there not be, since both are living “bodies”?—with the individual organism. Thus, in the state, obviously, the disintegrating force is that which makes the people many—their number—and the integrating force is that which makes them one, a people—the unification of sentiments, of character brought about by identity of race, of climate, of history, etc.[20] [21]

Pessoa also commented on certain political events outside of Portugal, particularly in his English-language poetry. At 16, he wrote a sonnet on the Second Boer War entitled “Joseph Chamberlain,” a scathing indictment of Chamberlain’s role in causing the war and the brutal treatment of the Boers in South Africa. He also drafted a sonnet in which he excoriated Lord Horatio Herbert Kitchener, the man responsible for the establishment of concentration camps during the war. He commended the Irish volunteers who had sided with the Boers and also lent support to Irish nationalism.[21] [22]

In his short story The Anarchist Banker, Pessoa takes aim at modern capitalism and classical liberalism. It takes the form of a conversation between a cigar-smoking senior banker and a younger interlocutor. The banker is a left-wing anarchist who sets out to argue that his being a banker does not contradict the ideals of liberty and equality that he espouses. Indeed he argues that financial acquisitiveness is the logical culmination of his ideals, and by extension of modern liberalism. In order to obtain true freedom and equality (the two main pillars of modernity), he argues that man must be freed from all existing social structures. But he is averse to any collective attempts to foment revolution due to the fact that social hierarchies will inevitably arise in any group (the banker is realistic about natural disparities in talent and willpower among humans, in spite of his hope that human inequality will eventually be eliminated). Thus he advocates the pursuit of pure self-interest, arguing that “we should all work for the same end, but separately.”[22] [23] Due to the fact that money/commerce is the prevailing “social fiction” in the modern age, the end goal of social liberation is, to his mind, best achieved by simply making as much money as possible; the erosion of this “social fiction” would then pave the way for complete societal upheaval. It is a compelling argument that sheds light on some of the contradictions behind the underlying axioms of modernity.

The best collections of Pessoa’s work in English translation are The Selected Prose of Fernando Pessoa (2001), Fernando Pessoa & Co: Selected Poems (1999), and A Little Larger Than the Entire Universe: Selected Poems (2006).

Notes

[1] [24] George Monteiro, “Fernando Pessoa: an Unfinished Manuscript by Roy Campbell,” Portuguese Studies, vol. 10 (1994): 126. Pessoa and Campbell attended the same high school, although not at the same time. Campbell translated some of Pessoa’s poems and had intended to write a book on him.
[2] [25] Fernando Pessoa, The Book of Disquiet, trans., Margaret Jull Costa (New York: New Directions Books, 2017), 191.
[3] [26] Ibid., 146. Pessoa wrote “opening passage” in the margins of this fragment and Richard Zenith’s translation places it at the beginning of the book.
[4] [27] Ibid., 147.
[5] [28] Zenith’s translation.
[6] [29] Zenith’s translation.
[7] [30] Carl Schmitt, Land and Sea, trans. Simona Draghici (Washington, D.C.: Plutarch Press, 1997), 54.
[8] [31] The Selected Prose of Fernando Pessoa, trans. Richard Zenith (New York: Grove Atlantic, 2001).
[9] [32] Ibid.
[10] [33] Ibid.
[11] [34] Ibid.
[12] [35] Steffen Dix, Portuguese Modernisms: Multiple Perspectives in Literature and the Visual Arts (New York: Routledge, 2011).
[13] [36] The Selected Prose of Fernando Pessoa.
[14] [37] For more information on their correspondence see Marco Pasi and Patricio Ferrari, “Fernando Pessoa and Aleister Crowley: New discoveries and a new analysis of the documents in the Gerald Yorke Collection,” Pessoa Plural, vol. 1 (Spring 2012).
[15] [38] Patricia Silva-McNeill, Yeats and Pessoa: Parallel Poetic Styles (New York: Routledge, 2010), 94.
[16] [39] José Barreto, “‘History of a Dictatorship’: An Unfinished Political Essay by the Young Fernando Pessoa,” trans., Mario Pereira. In Patricio Ferrari & Jerónimo Pizarro, eds., Fernando Pessoa as English Reader and Writer (Dartmouth, MA: Tagus Press, 2015): 132.
[17] [40] Barreto, 139.
[18] [41] The Selected Prose of Fernando Pessoa.
[19] [42] Barreto, 110.
[20] [43] Fernando Pessoa, The Transformation Book, eds., Nuno Ribeiro and Claudia Souza (New York: Contra Mundum Press, 2014), 12-13.
[21] [44] See Carlos Pittella, “Chamberlain, Kitchener, Kropotkine—and the political Pessoa,” Pessoa Plural, vol. 10 (Fall 2016).
[22] [45] The Selected Prose of Fernando Pessoa.

 

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La trilogie EUROPA sur Radio Méridien Zéro !

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La trilogie EUROPA sur Radio Méridien Zéro !

Monsieur PGL vous propose un entretien avec notre ami Robert Steuckers, à l’occasion de la trilogie qu’il publie aux éditions Bios et qui est la somme de ses écrits et réflexions sur le destin de notre continent. Ce sera l’occasion également de revenir sur son parcours.

A la barre PGL, à la technique JLR.

Pour écouter:

https://radiomz.org/emission-n330-europa-eurasia-identite...

 

Le prophète de la grande Europe, Jean Thiriart

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Le prophète de la grande Europe, Jean Thiriart

par Yannick Sauveur

Ex: http://www.leblancetlenoir.com 

En Suède, en Europe de l'Est, en Italie, en Espagne, en Amérique latine, Jean Thiriart est traduit, cité, mentionné favorablement. Des travaux universitaires, des livres sont en cours. La revue d’études géopolitiques Eurasia, dirigée par Claudio Mutti, reproduit très régulièrement des écrits de (ou sur) Thiriart. En France, des chercheurs, bien que ne lui étant pas favorables, reconnaissent, avec une certaine objectivité, l'influence déterminante des idées de Thiriart, c’est le cas de l’historien Nicolas Lebourg. Dans l’ouvrage Europa (trois volumes) que vient de publier Robert Steuckers, deux chapitres sont consacrés à Jean Thiriart.  (https://editionsbios.fr/auteur/robert-steuckers).

Le livre que viennent de publier les éditions Ars Magna, Le prophète de la grande Europe, Jean Thiriart, participe de ce mouvement. Il rassemble un certain nombre de textes devenus introuvables et qui, même en leur temps, avaient eu une diffusion ultra confidentielle. Aussi, faut-il saluer l’heureuse initiative de Christian Bouchet qui, même s’il ne partage, loin de là, toutes les analyses de Thiriart, n’en est pas moins un proche.

Dans une telle entreprise, les erreurs sont inévitables. Il serait bon toutefois qu’une bonne fois pour toutes, les auteurs cessent de répéter tout et n’importe quoi sans opérer la moindre vérification. Il en est ainsi de la rencontre entre Thiriart et Chou-en-Laï, laquelle n’est que pure imagination ainsi que j’ai eu l’occasion de le signaler en citant un courrier de Thiriart adressé à José Cuadrado et à moi-même : « Un livre de dénonciation-chantage vient d’être mis en vente en Belgique [...] On m’y consacre 20 pages de ragots. Pas un mot de mes écrits ou de mes livres. J’y apprends que j’ai rencontré Chou-En-Laï à Bucarest. Pas moins… » (26/02/1983). Certes, à des fins de propagande, Thiriart a exploité le filon, l’a enjolivé, et ce, d’autant mieux que cela flattait son narcissisme exacerbé. Mais à quoi bon aujourd’hui persévérer dans l’entretien de telles légendes ? Il en est de même de sa prétendue rencontre avec Nasser.

Il n’est pas exact de dire (ou redire) que Thiriart a soutenu la création du Parti communautaire national-européen même si, effectivement, il a donné un certain nombre d’articles à la revueConscience Européenne éditée à Charleroi par Luc Michel. Là aussi, je rappelle ce que j’ai eu l’occasion d’écrire en citant une lettre de Thiriart à Manuel Abramowicz, journaliste à Regards, revue juive de Belgique : « Michel a créé tout seul son PCN (Parti Communautaire National-Européen). En utilisant 95 % de mes écrits. Je n'ai jamais mis les pieds à Charleroi. Je n'ai jamais été membre (sic) du PCN ».

Christian Bouchet a rassemblé les textes suivants :

  • L’entretien réalisé avec le général Péron et paru dans le n° 30 et dernier de La Nation européenne (février 1969). On comprend qu’il ne soit pas facile de faire des choix parmi l’ensemble des éditoriaux et divers écrits de Thiriart. Christian Bouchet, avec  l’interview de Péron, a retenu le côté emblématique. Il serait intéressant, par la suite, de rééditer l’ensemble des éditoriaux de La Nation européenne.
  • L’entretien accordé aux Cahiers du CDPU (1976) qui est la première manifestation publique de Thiriart depuis son arrêt de toute politique active en 1968,
  • Et surtout l’entretien avec Bernardo-Gil Mugarza qui a milité dans sa jeunesse à Joven Europa, le réseau espagnol de Jeune Europe. L’entretien avec Mugarza date de 1983 et c’est vraiment le moment fort du livre (300 pages d’un livre qui en compte près de 500 !). Thiriart se livre complètement sur tous les sujets, sans fioritures, sans tabou. L’évolution de la pensée politique est nette  par rapport à celle qu’il développait en 1964. Avec ce texte, les jeunes, ou tout simplement ceux qui ne connaissent pas Thiriart, découvriront tout à la fois un vrai penseur politique et une personnalité charismatique,
  • La Turquie, la Méditerranée et l’Europe, article paru dansConscience Européenne  (juillet 1987) dans lequel Thiriart écrit : « La Turquie, c’est l’Europe obligatoirement. Obligatoirement par la géopolitique et par la stratégie ». À la lecture de cet article, et compte tenu du contexte actuel, il n’est pas sûr que le lecteur partage l’analyse strictement rationnelle de Thiriart,
  • Enfin un article paru dans la revue Nationalisme et République (juin 1992), Europe : L’État-nation politiquecorrespondant aux idées que Thiriart développera à Moscou en août 1992. C’est un texte évidemment très important reflétant une pensée très aboutie mais c’est aussi l’un des derniers écrits de Thiriart qui meurt quelques mois plus tard.

Dans une seconde partie, on trouve des écrits sur Thiriart. C’est une partie plus modeste du volume et de notre point de vue d’une  moindre valeur exception faite de l’excellent article de  Carlo Terracciano paru dans la brochure d’hommage In Memoriam Jean Thiriart (1993), que nous avions réalisée, Luc Michel, Robert Steuckers et moi-même. Carlo Terracciano (1948-2005), qui n’a rencontré Thiriart qu’une fois (à Moscou en 1992), dresse un portrait d’une infinie justesse et il nous restitue l’homme tel qu’il était réellement pour ceux qui l’ont connu en privé.

Dans les témoignages figure un texte d’Ernesto Milá Rodriguez, Le nationalisme européen et ses limites. Quelles que soient les motivations des uns et des autres, il était inévitable de voir fleurir les interprétations les plus diverses. Ernesto Milá Rodriguez a bien le droit d’avoir sa propre vision, son appréciation personnelle de la pensée de Thiriart. Là n’est pas le problème. Nous pensons qu’il eût été pertinent d’accompagner ce texte de celui de José Cuadrado Costa, L’anarchisme mystique ou la paralysie de l’action révolutionnaire (Conscience Européenne, N° 12, mai 1985, p.16-40) qui répond point par point à l’article d’EMR. Le point de vue de JCC est important parce qu’en tant que collaborateur le plus proche de Thiriart, il traduit très précisément la pensée de Thiriart. L’article de Cuadrado est une longue critique argumentée s’insurgeant contre le fait que Jean Thiriart serait, selon EMR, avec Julius Évola, le principal « révisionniste » du fascisme. Cuadrado cite diverses erreurs d’appréciation, dont celle qui se rapporterait, pour Thiriart, à la nécessité de « réviser le nationalisme jacobin » alors qu’il est de notoriété que Thiriart était un grand admirateur de Sièyes et des Jacobins. Les têtes de paragraphes se passent de commentaires : « Une tentative néo-fasciste de récupération de l’œuvre de Thiriart », « une incompréhension totale de la pensée de Thiriart »,... On peut être d’accord ou non avec Thiriart et ne pas partager (ou ne pas comprendre) son évolution, encore convient-il de ne pas travestir voire déformer ses propos. Assurément, l’article de Cuadrado mériterait une réédition.

Que ces quelques réserves ne fassent pas oublier l’essentiel, à savoir l’importance de ce livre, la nécessité de le lire, de le faire circuler.

Yannick Sauveur

Pour mémoire, mon livre QSJ Thiriart, Éditions Pardès, 2016.

sarl.pardes@orange.fr 

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Je signale également mon entretien avec la rédaction de Rivarol, N° 3315 du 31/1/2018.Jean Thiriart, de la Collaboration au mythe de la Grande Europe (le titre est de la rédaction).

 Le prophète de la grande Europe, Jean Thiriart vous est proposé au prix de 32 euros  (franco) à Ars Magna, BP 60426, 44004 Nantes cedex 1 ou commande en direct à www.editions-ars-magna.com

vendredi, 02 février 2018

Histoire du soft power américain

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Histoire du soft power américain

par François-Bernard Huyghe

Ex: http://www.huyghe.fr

1. De la guerre froide à Obama

Aux USA, l’influence est pensée depuis longtemps comme technique à finalité stratégique: une guerre pour désarmer l’hostilité, une guerre à la guerre en somme qui fera du monde « un endroit plus sûr pour les États-Unis » selon la formule de Wilson. Ce dernier partait du principe que les démocraties ne se combattent pas par les armes. Il entrevoyait déjà un apaisement général par propagation des principes politiques américains.

D’où l’idée récurrente d’influencer l’autre pour le rendre un peu moins « autre » et éventuellement un peu plus démocrate, un peu plus amoureux de la liberté à l’américaine, davantage désireux d’en adopter le mode de vie. Cela repose sur une certaine confiance en la valeur universelle du système et sur la conviction que celui qui le combat ne peut être qu’en proie à illusion doctrinale, à une méconnaissance de la réalité ou à une passion contraire à la nature humaine : il s’agit donc de le guérir. Par une contre-offensive idéologique.

Durant la guerre froide, la CIA conçoit un plan de «guerre culturelle» et conduit, notamment à travers le Congrès pour la Liberté Culturelle, une politique de subventions à des journaux, des livres, des conférences, des manifestations artistiques. Tout cela est censé sauver l’intelligentsia du giron du communisme et offrir une alternative culturelle, politique et morale aux populations de l’Est ou des pays tiers. L’affrontement est clairement idéologique.

L’agence s’emploie à diffuser les auteurs antistaliniens, fussent-ils de gauche, mais aussi le jazz, la peinture abstraite, toutes les formes d’une culture distractive, « jeune », antitotalitaire qui font contraste avec le pesant réalisme socialiste : des gens qui lisent Koestler, sifflent l’air de Porgy and Bess ou aiment la peinture abstraite ne seront jamais de vrais Rouges, pense-t-on à l’Agence. De la concurrence des idées on passe à celle des cultures.

Diplomatie publique

L’entreprise eut un prolongement. Eisenhower créa en 1953 l’United States Information Agency qui devait fonctionner jusqu’en 1999 pour mener une politique de vitrine médiatique. Elle lança des publications et manifestations et surtout des radios dont Voice of America émettant en 45 langues et Radio Free Europe, destinée à l’autre côté du rideau de fer. Le but était projeter une « bonne image » des USA, d’offrir à des audiences étrangères des informations auxquelles elles n’avaient pas accès, de promouvoir certaines valeurs en particulier culturelles. L’USIA se chargeait d’entretenir des réseaux d’amis des USA : journalistes et personnalités invités à visiter le pays, boursiers (notamment le programme Fullbright) et contacts avec d’anciens étudiants des universités américaines…

Le tout fut baptisé en 1970 : « diplomatie publique », une diplomatie qui soutient les objectifs politiques en s’adressant directement à l’opinion extérieure. Mais pas au public domestique : l’US Information and Educational Exchange Act de 1948 connu comme Smith-Mundt Act, interdisant de faire de la propagande destinée aux citoyens américains.
Dans la décennie 90, la notion devait tomber en désuétude faute d’ennemi à combattre, l’USIA finit par se « fondre » dans le département d’État).

voice-of-america-labyrinth.jpgPendant un demi siècle, relayée par l’USIS (United State Information Service), la diplomatie publique avait ainsi produit ou exporté des milliers d’heures d’émission, de films, de livres,…, mais aussi établi des contacts avec des milliers de gens pour «raconter au monde l’histoire vue d’Amérique».

Son bilan sera discuté : l’USIA est parfois vue comme un agence de propagande coûteuse qui faisait mal ce que l’autre camp réalisait plus efficacement en sens inverse, relayé par des intellectuels progressistes et profitant du courant de la contre-culture.
Second reproche à la diplomatie publique : était-il vraiment utile de payer des fonctionnaires pour rendre l’Amérique plus populaire alors que James Dean, Marilyn Monroe, Elvis Presley , la MGM, puis CNN y parvenaient de cause de façon plus crédible et en rapportant des devises ? D’autres se demandent pareillement si la chute du Mur de Berlin n’est pas à porter au crédit de la télévision de RFA reçue en RDA : elle propageait une image bien plus positive de l’Occident que tout service officiel.

Dans les années qui séparent la fin de l’URSS du 11 septembre, la politique d’influence US semble se confondre au moins dans l’esprit de ses promoteurs avec un « élargissement » du modèle occidental, pour ne pas dire avec le mouvement de l’Histoire. Il s’agit pour les USA de « contrôler la mondialisation » (shapping the globalization), donc d’encourager une mondialisation qui repose autant sur les droits de l’homme et le marché que sur les technologies de la communication et la mondialisation des cultures.

Cette politique quasi pédagogique prend de multiples formes. Ce peut être l’accompagnement du passage à la démocratie des anciens pays socialistes par ONG ou think tanks interposés, aussi bien que l’apologie des autoroutes de l’information comme « agora planétaire ». Le tout dans un contexte où l’influence US semble sans rivale.

Le contrôle de la globalisation

Pour une part, l’influence se privatise. Elle devient une dimension fondamentale de l’intelligence économique. Elle sert d’abord à la conquête des marchés ; là encore, les Américains comprennent qu’il faut combiner soutien politique, imitation des modes de vie, prépondérance des les standards techniques ou juridiques et un imaginaire culturel rendant désirable le made in USA. D’autres facteurs jouent telle la complexité croissante des normes internationales de production, donc le rôle des instances internationales et partant l’intérêt du lobbying.

Citons aussi le poids de mouvements d’opinion concernés par des dimensions écologiques, sociales ou sécuritaires de l’activité économique donc le rôle des ONG et des « parties prenantes », les facteurs d’image et de réputation dans la compétitivité des firmes… Autant de raisons pour les entreprises de se lancer à dans une politique internationale d’influence positive, voire agressive. Elles sont à la merci d’une rumeur sur Internet, d’une mise au pilori par une ONG, d’une attaque médiatique, d’une offensive informationnelle : elles doivent se préserver d’une influence déstabilisatrice comme une « e-rumeur ».

Parallèlement, une notion prend de l’importance dans les années 90 : celle d’affaire, action ou coopération civilo-militaires (qui donnent toujours le sigle ACM). Elle est liée à des conflits typiques de la fin du XX° siècle : des États disloqués, en proie à des guerres civiles, ou des situations indécises entre guerre et paix où des violences armées sont menés sporadiquement par des groupes ethniques, politiques, criminels voire mêlant les trois. L’intervention des forces occidentales, avec ou sans mandat des Nations Unies appelle une politique de reconstruction de la paix ou de la nation (peace building, nation building) ou, pour le moins, la gestion d’une situation indécise. À rebours de leur fonction traditionnelle (affronter symétriquement une autre troupe en uniforme jusqu’à la victoire politique scellée par le traité de paix), les troupes sont confrontées à des situations où il s’agit de contrôler l’exercice de la violence pour en freiner l’escalade. Il est tout aussi nécessaire de recréer les conditions d’une vie « normale » sur des territoires livrés au chaos.

Surtout dans la période qui mène à la mise en place d’autorités civiles reconnues, les troupes sont de facto chargées de tâches humanitaires, économiques administratives, politiques, bref non militaires. Cela les met au contact de civils, d’ONG, d’organisations internationales, de forces politiques, d’autres armées, d’entreprises… et bien sur des médias . Cette quête pratique n’est pas forcément désintéressée : les ACM peuvent rapporter des dividendes en termes d’image, de contrats de reconstruction pour ses entreprises, d’adoption de normes favorables à ses industries, …. Intérêts publics et privés peuvent se trouver liés comme civils et militaires. Mais l’objectif immédiat est surtout de contribuer à la stabilité du pays par des relations fiables avec les autres acteurs, un mélange entre action d’urgence et relations publiques.

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La quête du soft power

Aux USA et dans la même période que l’influence trouve son nouveau nom : soft power. L’expression lancée par le doyen Joseph S.Nye gagne le statut de concept clé des relations internationales. Elle exprime une attractivit américaine qui repose sur la séduction de sa culture de masses (blockbusters hollywwodiens, séries TV, Mc Donald, basket, etc.), plus excellence scientifique et universitaire, plus les succès de sa technologie surtout numérique (les GAFA et la Silicon Valley), plus médias internationaux, plus influence intellectuelle de ses essayistes et de ses think tanks, plus américanisation des élites mondiales, plus image démocratique du pays, plus popularité de l’american way of life, plus...

Si l’Amérique prédomine dans le domaine du hard power, en particulier militaire, dit en substance Nye, elle doit aussi son statut d’hyperpuissance à sa capacité de séduire et d’attirer. La notion recouvre le rayonnement de l’Amérique, dû à sa technologie, à sa réputation, à ses artistes, à son cinéma, à ses université, … et autres choses où le gouvernement a peu de responsabilité, mais elle repose aussi sur sa diplomatie, sa capacité de convaincre et d’entraîner dans les organisations internationales. Amener les autres à désirer ce que vous voulez « sans carotte ni bâton » : voilà qui est tentant mais résonne un peu comme un vœu pieux.

Ce débat plutôt abstrait avant le 11 septembre prend une tout autre tournure en 2001. L’Amérique découvre alors la haine qu’elle suscite. Pour une part, les néo-conservateurs qui tenaient en réserve leurs plans contre les États voyous, leur guerre « préemptive » voire leur « quatrième guerre mondiale » contre le terrorisme jouent la carte du dur.

Parallèlement le recours à l’influence douce semble redevenir un saint Graal de la géopolitique US ou une ressource mystérieuse que l’Amérique devrait retrouver pour mettre fin à l’animosité.

L’appel à rétablir un soft power submergé par l’antiaméricanisme et décrédibilisé par une guerre contreproductive devient une des constantes du discours critique contre G.W. Bush. Ce slogan résonne souvent comme un pathétique « Aimez nous ». Ainsi, lorsque Francis Fukuyama rompt avec le camp néo conservateur, l’ancien chantre de la fin de l’histoire oppose la mauvaise méthode, la promotion de la démocratie par les armes, à la «bonne», celle qui consisterait à restaurer le soft power. Il ne faudrait pas renoncer au principe wilsonien, mais, parallèlement recommencer à négocier, à rechercher le consensus de ses alliés, à mener une action à travers des ONG et des organisations internationales régionales. Il est tentant de traduire : se rendre aimable, en somme.

Il serait caricatural de faire du soft power un monopole des démocrates, et de croire les républicains forcément partisans du «hard». La nuance entre diplomatie publique, soft power et influence renseigne davantage sur le locuteur que sur le contenu de la politique qu’elle recouvre.

Ainsi, quand Nye déclare que "l'Amérique doit mélanger le pouvoir dur et soft en un "pouvoir intelligent" (smart power), comme elle le faisait du temps de la guerre froide.", pareille nostalgie ne caractérise pas exactement un progressiste. Du reste, dans le camp conservateur, beaucoup en appellent à une grande politique qui tarirait les sources de l’extrémisme religieux et restaurerait une image de leur pays dont les sondages –ils en sont grands consommateurs - montrent la dégradation depuis six ans.

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Une des premières réactions de l’administration Bush en 2001, fut de recréer un sous-secrétariat d’État à la diplomatie publique. Il fut d’abord confié à la publicitaire Charlotte Beers ; elle s’employa à produire des vidéos démontrant la liberté de culte dont jouissent les musulmans aux USA. Au fur et à mesure des guerres d’Afghanistan et d’Irak apparurent des radios arabophones et même une télévision, al Hurrah, censée concurrencer al Jazeera, mais avec un succès modéré dans le monde arabe. Parallèlement, l’administration Bush créa un Bureau d’Influence Stratégique (Office of Strategic Influence): il fallut le dissoudre lorsque la presse révéla qu’il risquait de mener des actions de désinformation qui toucheraient les citoyens américains.

Mais la diplomatie publique n’est pas seulement l’affaire des hauts fonctionnaires : le secteur privé intervient dans la promotion de l’Amérique. Ainsi Walt Disney produisant avec le département d’État des films présentant le pays à ses visiteurs ou les entreprises qui créent des « cercles d’influence » avec des groupes de journalistes ou des chambres de commerce. De la même façon, nombre d’opérations sont sous-traitées à des « agences de communication » ou assimilées qui, suivant le cas, «vendent» l’opposition à Saddam et la thèse des armes de destruction massive (comme le groupe Rendon) avant la guerre d’Irak ou, après, s’assurent de la bonne orientation de la presse locale (comme le Lincoln Group).

On verra aussi l’appareil d’État américain s’engager dans un combat quasi spirituel : il faut contrer « l’extrémisme violent » (comprenez le djihadisme), lancer un contre-discours, montrer que cela n’a rien à voir avec le vrai islam, contrer la propagande mensongère d’al Qaïda puis celle, plus moderne, plus efficace, et plus « Web 2.0 » de Daech.

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La stratégie d’influence américaine comporte aussi un volet « subversif » : l’aide aux mouvements dits de la socité civile qui luttent contre des régimes autoritaires et, comme par hasard, antiaméricains,. Ceci vaudra sous les présidences successives de G.W. Bush et de Obama, mais prend la suite du bons vieux système de regime change consistant à aider l’oppostion dans certains pays. S’inspirant de l’expérience du renversement de Milosevic et des méthodes du groupe OTPOR, il y aura la révolution des roses en Géorgie (2003), orange en Ukraine (2004), des tulipes au Kirghizistan, « en jean » en Biélorussie (2005), du cèdre au Liban (2005). Ne parlons pas de la vague verte d’Iran (2009) ni de l’enthousiasme que déclenchera le printemps arabe de 2011 (ça y était, le monde arabe, évitant le double péril de l’islmamisme et des autocraties, allait se convertir au modèle démocratique occidental). Chaque fois on retrouve des fonds (d’ailleurs pas dut tout occultes- de l’US AID, du département d’État, du National Endowment for Democracy, de l’Institut pour la paix, etc. Des Ong finançant et formant les activistes démocratiques comme l’Albert Einstein Institute et la fondation Soros Open Society soutiennent les révoltes. Nous ne sommes pas en train de dire que les services américains ou quelques ONG renversent les gouvernement à leur guise partout sur la planète, mais qu’il jouent ouvertement la carte du soutien aux forces réputées modernes et ouvertes, donc pro-occidentales.

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Soft Obama

Les années Obama ont-elles changées la pratique de l'influence stratégique d'État ?

La personnalité même du président devenu star internationale avant son élection et nobelisé au seul bénéfice de l'image fut en soi un exemple de "branding". Il "était" la marque USA dans toute sa splendeur, et rendait visible l'idée de soft power, comme s'il lui suffisait d'apparaître pour réconcilier l'Amérique avec le monde. La communication de la Maison Blanche exploita largement l'effet de contraste : elle opposait sa pratique apaisée à la brutalité de G.W. Bush. Très vite Hillary Clinton, au Département d’État, prit le relais, elle qui se réclame de Joseph Nye et de son smart power : la nouvelle Amérique utilisant suivant le cas sa puissance militaire, diplomatique, économique... mais aussi culturelle pour accomplir ses objectifs internationaux ; le moindre n'était pas de lutter contre les djihadistes et de dissiper les fantasmes dont est sensé se nourrir l'antiaméricanisme. Bien entendu, l'enthousiasme des débuts se heurtera aux réalités assez vite.

Si le soft power est un état idéal ou un résultat désiré, l'influence, la lutte idélogique, la présence médiatique, la "com", la mise en valeur de l'image américaine (éventuellement à travers celle de son président) en furent les moyens. Du coup, le terme "diplomatie publique" perdit ses connotations de Guerre foide et d'anti-communisme républicain. On se mit à parler d'une "nouvelle diplomatie publique" qui reposerait moins sur l'utilisation de grands médias émettant vers l'étranger (telle la télévision arabophone al Hurrah) que sur la présence sur les réseaux sociaux, le prestige culturel, la coopération avec les ONG et la société civile pour véhiculer le bon message... La propagande d’État devait passer par les réseaux sociaux et par les organisations de la société civile.

L'administration Obama a joué de ses atouts comme ses bonnes relations avec les entreprises de la Silicon Valley. Sa stratégie devient ostensiblement "2.0". Tandis que l'armée (qui ne fait désormais plus de "psyops" mais des "Military Informations Strategic Operations", ce qui sonne moins redoutable), la diplomatie américaine devient "e-diplomacy". Les représentants des USA, militaires ou diplomates, sont invités à être très présents sur les réseaux sociaux, à y faire du "storytelling" et à délivrer y compris à des audiences étrangères leur message de soutien aux objectifs de leur pays.

hillary-caricature-large.jpgParallèlement l'Amérique affiche sa volonté de soutenir les cyberdissidences et de lutter pour que s'épanouisse en ligne une société civile sans frontières. Hillary Cliton, en particulier, présente le droit de se connecter comme un droit de l'homme et milite pour des "technologies de libération" : l'extension d'Internet, échappant au contrôle des régimes étatiques est sensée apporter à la fois des bénéfices économiques, politiques (favoriser la démocratie pluraliste) aussi favoriser l'épanouissement d'une indispensable société civile. Du coup la cause universelle du Net se confond avec les intérêts des USA, première société de l'information de la planète (comme pendant la Guerre froide, ils se confondaint avec la défense universelle des libertés politiques).

La lutte pour la liberté du Net, se concrétise par le refus de principe de laisser des entreprises américaines vendre des techniques de censure à des gouvernements dictatoriaux mais aussi la volonté de fournir aux "blogueurs démocrates" de la formation ou des outils et logiciels pour échapper à la police. Même si les mauvais esprits font remarquer que les États Unis changent d'attitude lorsqu'il s'agit de lutter contre Wikileaks ou Megaupload... Ou contre Snowden.

Par ailleurs, en 2011, Obama crée le Center for Strategic Counterterrorism Communications qui doit mener la lutte pour la déradicalisation et la réfutation de la propagande djihadiste. Preuve que l’on en revient aux méthodes de guerre froide, ou plutôt d’affrontement idéologique à l’échelle de la planète. En 2016 le CSCC se transforme en Global Engagement Center sensé lutter avec des partenaires (ONG; écoles, leaders religieux...) contre le jihad dans les têtes. Mais, o surprise, juste avant que quitter son bureau ovale, Obama rajoute aux compétences du GEC la lutte contre la propagande et les interférences étrangères : Chine, Corée et surtout Russie.

Counter-speech (la contre-propagande contre le djihad, smart power, "nouvelle" diplomatie publique : le vocabulaire change, mais les fondamentaux restent les mêmes : l'Amérique retrouve spontanément sa tentation de convertir le reste du monde à ses valeurs pour sa propre sécurité (en vertu du vieux principe kantien que les démocraties ne se font pas la guerre), mais aussi pour sa prospérité. Et elle tend facilement à se persuader que les outils de la communication garantissent la liberté et l'harmonie des peuples, ce qui est très exactement la définition de l'idéologie de la communication.

SPFBH-4trump.jpg2. Trumpisme et « sharp power »

Peu de gens nieraient que le soft power américain ait diminué : un président qui traite les autres pays de trous à merde n’incarne pas exactement l’attractivité et la persuasion.

Si l’on s’en réfère à des sources comme le classement annuel des pays « The soft power 30 » du centre de diplomatie publique de Portland - qui range les nations selon leur capacité à « attirer, construire et mobiliser des réseaux d’acteurs pour agir en commun », les États-Unis sont passés en troisième position, dépassés par la France (grâce à l’élection de Macron qui nous aurait sauvés du péril populiste) et le Royaume-Uni (en dépit du Brexit). Les U.S.A. continuant à prédominer dans le domaine de l’excellence universitaire, de l’influence culturelle, de la technologie, etc. souffriraient de la déplorable image (y compris personnelle) et de la rhétorique de Trump qui affirme sans complexe vouloir poursuivre les intérêts de son pays et non des valeurs ou des buts universels. On accordera sans trop chicaner : la perception de la nouvelle présidence est désastreuse. Une fois que nous avons dit cela, nous n’avons pas dit grand chose.
On pourrait aussi analyser la supposée crise du soft power U.S. comme traduisant - au-delà de la perte d’attractivité d’un modèle qui se prenait pour celui de la fin de l’Histoire - la concurrence d’autres pouvoirs nationaux d’influence.

Si l’on parle concurrence, et en mettant de côté des pays qui peuvent avoir une bonne image internationale comme la Suisse ou l’Australie mais ne pèsent guère sur les affaires du monde, on pense immédiatement à la Chine. Qu’il s’agisse de la prolifération des instituts Confucius, de l’accueil d’étudiants étrangers, de l’engagement économique en Afrique, d’opérations de communication spectaculaires comme le thème des Routes de la Soie, de l’image globale de ses performance, la Chine progresse dans l’opinion hors frontière et développe une diplomatie efficace. L’autre grande puissance qui entend développer son soft power (miagkaïa sifa dans sa langue) est la Russie, même si l’idée même que Moscou puisse faire quoi que ce soit de doux semble hérisser beaucoup de commentateurs.

L’influence russe est largement idéologique ; elle passe, en synergie avec sa diplomatie, par l’affirmation d’un pôle « illibéral », contre-modèle à la mondialisation à l’occidentale. Son message préconise les valeurs traditionnelles, les identités et souverainetés ; il prône une alternative multilatérale (on aurait dit autrefois impérialistes) au modèle occidental, atlantiste, unipolaire. L’influence russe se manifeste largement par les médias et les réseaux, réalisant ainsi une performance assez paradoxale dans le domaine de la public diplomacy et du cyberpower où l’Amérique était censée être imbattable. La Russie est en effet présente à travers des médias internationaux (RT qui vient de lancer une chaîne francophone, Spoutnik, etc.) et sur le Web 2.0. D’où un contre-discours accusant la Russie, ses pompes, ses œuvres et sa disinformatsya, d’être derrière les mouvements populistes et à l’origine de la diffusion des fake news, d’asphyxier les médias 2.0 avec des armées de trolls (pour la propagande) et de hackers (pour saboter, voler des données confidentielles et éventuellement les publier comme dans le cas des mail du parti démocrate américain), d’avoir des agents et des réseaux politiques et intellectuels partout, de fausser les élections, ... Ces accusations de subversion, souvent plus violentes que ce que l’on disait pendant la guerre froide de l’influence occulte des agents bolchevik, se ramènent à l’idée d’une sorte de gigantesque sabotage. Poutine tenterait en somme de provoquer le chaos politique et, plutôt que d’attirer en faveur de son modèle idéologique, de saboter les démocraties (on ne dit plus le monde libre) par le chaos électoral, idéologique et politique. Cette influence « alternative » destinée à casser le monopole médiatique et idéologique des sociétés « ouvertes » est donc présentée comme purement négative pour ne pas dire nihiliste. D’où apparition d’un néologisme sharp power, qui désignerait ce pouvoir « aigu » de la Chine et de la Russie ; elles chercheraient à nous blesser : moins à persuader de l’excellence de leurs régimes autoritaires qu’à affaiblir l’adversaire occidental. De The Economist qui dénonce en couverture le sharp power chinois, à Foreign Affairs qui soupçonne Moscou de favoriser toutes les tendances antidémocratiques qui peuvent affaiblir l’Otan, l’UE ou les USA. Ce serait donc une nouvelle façon de désigner une guerre subversive de l’information et même Joseph Nye, l’homme qui a lancé les notions de soft et smart power, se joint au concert contre ces opérations occultes. Profitant de l’asymétrie des forces et de nos faiblesses (donc de la liberté d’informer occidentale, du libéralisme et du pluralisme, comme de notre manque de pugnacité idéologique), deux États seraient donc en train de nous manipuler et de nous diviser.

Le concept-valise de sharp power ne traduit pas seulement le retour d’une rhétorique de guerre froide (les agents de l’étranger s’en prennent à nos valeurs et diffusent de fausses informations subversives), il est la traduit en termes de causalité diabolique (l’action des méchants pervertissant le meilleur des mondes possibles) des faiblesses de l’idéologie. Et la plus grave d’entre elles : être incapable de penser que l’on s’oppose à elle autrement que par méchanceté ou par naïveté.

Avondland en Rijksgedachte

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Avondland en Rijksgedachte

door Jonathan Van Tongeren

Ex: https://www.novini.nl

Er wordt veel gesproken over Europa of het Avondland. Maar wat is Europa? Velen hebben al gewezen op de betekenis van het Romeinse recht en het Griekse denken en sommigen noemen de Europese cultuur daarom zelfs excentrisch. Zij zien echter iets cruciaals over het hoofd. Kenmerkend voor het Avondland is de spanning tussen universaliteit en particulariteit. Dit laat zich het beste illustreren aan de hand van de Rijksgedachte.

Enerzijds is Europa voor een klein continent zeer rijk aan volken en naties, kent het een grote diversiteit aan regionale culturen en levenswijzen, anderzijds leeft nergens het universele denken sterker dan in Europa. Dat universele denken heeft bijvoorbeeld betrekking op het denken in termen van Europa of Avonland; ondanks de niet geringe culturele onderscheiden tussen de volken en regio’s van Europa, bestaat er toch een besef dat de Europeanen iets gemeen hebben, in zekere zin bij elkaar horen. Verder heeft het universele denken ook betrekking op de hele mensheid. Nergens wordt er zo sterk in termen van de gehele mensheid gedacht als in de Europese cultuurkring.

Aanvankelijk was Europa vooral een term die betrekking had op de klassieke beschaving ten westen van de oostkust van de Middellandse Zee. Het Romeinse Rijk breidde zich echter uit naar Gallië, Iberië en Germanië en incorporeerde Galliërs, Germanen en anderen in het Romeinse Rijk, ging ze op enig moment als Romeinse burgers beschouwen. Zo werden deze Germanen en anderen vanuit hun particulariteit opgenomen in de universaliteit van de Pax Romana. Hier werd een belangrijk fundament gelegd voor wat Europa later zou worden.

In de nadagen van het Romeinse Rijk organiseerde zich buiten het bereik van Rome, aan de andere kant van Rijn en Donau een confederatie van Germaanse stammen. Zij noemden zich de Franken, dat wil zeggen de vrijen, vrij van Romeinse overheersing. Deze Franken zouden later net als de Alemannen en anderen het Romeinse Rijk binnenvallen, zich vermengen met de lokale Gallo-Romeinse bevolking en er eigen koninkrijken vormen.

Nog later zou echter juist een Frankische koning de draad van het gevallen West-Romeinse Rijk weer opnemen: Karel de Grote. Dit is het eerste rijk, hier begint de Rijksgedachte. Het Rijk van Karel de Grote stond natuurlijk niet alleen in de universele traditie van het Romeinse Rijk, de Franken namen ook hun particulariteit mee. Hier zien we de typische spanning die kenmerkend is voor Europa. De Franken waren de dragende natie van het nieuwe Rijk, maar voor andere volken was zeer beslist plaats daarbinnen.

Zo hebben we gezien hoe het Romeinse en het Germaanse een rol speelde in de totstandkoming van het Europese. Ook het christendom speelde echter een belangrijke rol, het faciliteerde het samengaan van het Romeinse universele en het Germaanse particuliere. Het christendom kon de samenvloeiing van het Romeinse en het Germaanse faciliteren, doordat het zelf al de spanning tussen het universele en het particuliere in zich draagt. Dit zien we bijvoorbeeld als de apostel Paulus vanuit Klein-Azië naar Europa is gekomen en op de Areopagus in Athene met de mensen spreekt. We lezen hierover in Handelingen 17:15-34. In vers 26 zegt de apostel dan: “Hij [God] heeft uit één enkele [mens]het gehele menselijke geslacht gemaakt om op de ganse oppervlakte van de aarde te wonen en Hij heeft de hun toegemeten tijden en de grenzen van hun woonplaatsen bepaald.” Enerzijds is de hele mensheid dus verwant, anderzijds wil God dat de mensen zich verspreiden op de aarde en volken zich ergens vestigen om eigen particuliere tradities vormen.

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We zien in de geschiedenis ook terug dat dit denken heeft postgevat bij de gekerstende Germanen. Zonder Clovis die zich liet dopen, was er geen Karel de Grote geweest die bij Byzantium erkenning zocht van zijn rijk als opvolger van het West-Romeinse Rijk. Waar het Romeinse Rijk nog uitging van het opnemen van Galliërs en Germanen in het Romeinse Rijk door assimilatie, is deze neiging nauwelijks  aanwezig in het Rijk van Karel de Grote. Waar Rome zijn particulariteit expandeerde tot universele proporties, neemt de universaliteit van het Frankische Rijk andere particulariteiten in zich op zonder die op te heffen.

De Rijksgedachte leeft later voort in het Heilige Roomse Rijk der Duitse Natie. De Duitse natie is daarin dragend, maar andere naties hebben een plaats binnen het rijk dat zich uitstrekt naar Bohemen en Italië. Nog later zien we nog het meeste van de Rijksgedachte terug in de Oostenrijks-Hongaarse Dubbelmonarchie. Dat rijk wordt na de Eerste Wereldoorlog echter onder het mom van Wilsons idee van nationale zelfbeschikking aan stukken gereten. Deze schending van de Rijksgedachte zal grote gevolgen hebben voor Europa. “Dat is nu eenmaal”, zoals Schiller dicht, “de vloek van de euvele daad, dat ze, zich voortplantend, steeds nieuw kwaad baart.”

Hieruit komt dan ook de geperverteerde Rijksgedachte van een door de afloop van de Eerste Wereldoorlog gefrustreerde Oostenrijkse korporaal in Duitse dienst voort. Zijn zogenaamde Derde Rijk heeft niets uit te staan met de oude Rijksgedachte, het gaat hem om Lebensraum voor de Duitse natie en andere volken moeten daarvoor wijken of zelfs uitgeroeid worden. Om deze demonische pervertering van de Rijksgedachte uit te bannen moest alles uit de kast getrokken worden.

Maar na het uitbannen van deze geest, is Europa niet teruggekeerd naar de Rijksgedachte. Zo zitten we nu met een ten diepste on-Europese ‘ever closer union’. De vraag is of een terugkeer naar de Rijksgedachte om die onder de nieuwe omstandigheden opnieuw vorm te geven nog mogelijk is. Een appreciatie van het Europese erfgoed lijkt daarvoor niet toereikend. De Britse Conservatieve politicus, wijlen sir Fred Catherwood bracht het treffend onder woorden: “We have swept our European house clean of fascism and of communism. We now have democracy and  freedom of speech from the Atlantic to the Urals. But we also now have a Europe emptier than before of the Christian faith. In the words of Christ’s parable, Europe is a house swept clean, ready for seven devils worse than the first to come in.”