Sebastian J. Lorenz
[Publicado en "ElManifiesto.com"]
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00:14 Publié dans Actualité, Affaires européennes, anthropologie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : inde, europe, affaires européennes, anthropologie, ethnologie, gitans, roms, romanichels, tziganes, actualité | |
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Il giovane De Man è ancora fedele al marxismo ortodosso, in linea con la Seconda Internazionale, ma già si delineano alcuni temi che saranno centrali nel suo pensiero. In particolare, in “L’era della democrazia” (1907) emergono tre punti fondamentali. In primo luogo, il suo socialismo ha una base volontaristica, secondo cui lotta di classe e istinto di sopravvivenza – “volontà di potenza” per usare un termine nietzscheano” – coincidono. In secondo luogo – e qui viene ribadita la sua linea radicale e non riformista –, il proletariato dovrà essere attento a non cedere agli inganni della borghesia, bensì mantenersi puro e intransigente per conquistare il potere. Egli, infatti, riconosce il carattere precedentemente rivoluzionario della borghesia, ma ammonisce a non confondere la rivoluzione borghese con quella proletaria.
1. La crescita parallela dei movimenti socialisti dei lavoratori e del movimento democratico di parte della borghesia, come abbiamo visto negli ultimi anni, in particolare da noi in Francia, Inghilterra, Olanda e Belgio, ha portato molti membri del nostro partito alla conclusione che, siccome entrambi i fenomeni sono portati avanti dalla medesima causa e per lo stesso scopo (la “democrazia” che infine diverrà “socialista”), così il progresso della democrazia e quello del movimento dei lavoratori sarà simile, combinato, inseparabile. Bene, questa conclusione è erronea, questa conclusione è falsa, questa conclusione è pericolosa.
In terzo luogo, però, il proletariato, man mano che acquisterà coscienza di classe, sarà in grado di vincere la borghesia con le proprie forze, sfruttando le stesse condizioni della democrazia borghese.
2. Sarebbe il peggior tipo di pessimismo concludere che non dobbiamo aspettarci immediati miglioramenti politici, che dobbiamo fermarci e riporre tutta la nostra speranza nel sovvertimento rivoluzionario della società capitalista. No; la democrazia politica – cioè, un minimo di diritti politici e legalità – è la condizione assolutamente indispensabile per il successo della rivoluzione sociale […]. Ma il proletariato sarà sempre più l’unica forza a sostenere tutte le battaglie per la democrazia e dovrà dipendere sulle sue risorse per la realizzazione della democrazia. Man mano che la democrazia diventa più indispensabile per il proletariato, diviene più pericolosa per la borghesia, e man mano che la lotta per ogni frammento di libertà e legalità diventa più difficile, sempre più s’avvicina a quella lotta finale in cui non ci sarà quartiere, dove la posta sarà il controllo del potere politico, la stessa esistenza dello sfruttamento capitalistico e della democrazia a uno e a un medesimo tempo.
Fin dall’inizio, quindi, il rapporto con la democrazia borghese, in quanto sistema politico reale e quotidiano in cui ci si trova ad operare e che occorre affrontare, risulta fondamentale nell’opera di De Man, il quale però ammonisce che la democrazia può spianare la strada al proletariato ma non è in sé una condizione sufficiente, tale da condurre automaticamente al socialismo.
3. Dunque, nella nostra lotta, non lasciamo che illusioni sulla misericordia della borghesia, né fiducia nella sincerità delle loro convinzioni democratiche, confondano la consapevolezza di classe del proletariato. La posta della battaglia è ben maggiore che un po’ di legalità o solo una riforma, ben più grande di quanto una rivoluzione borghese abbia mai tentato. E il proletariato ha un’arma molto più forte e formidabile di quanto la borghesia ne abbia mai usate. Non l’ha forgiata a partire dall’idea democratica – e dal fraseggio di un impotente classe in declino. Come il giovane eroe nel Sigfrido di Wagner, vede ciò con distacco […]. E forgerà la sua spada per salvare il mondo a partire dalla forte organizzazione di classe e con eroica coscienza di classe.
Infatti, approfondendo la sua preparazione teoretica e la sua conoscenza della democrazia liberale, De Man sarà sempre più cauto e guardingo relativamente all’attrazione del liberalismo e del riformismo sul proletariato. Particolarmente interessanti sono le sue lettere da London, pubblicate nel 1910 sul “Leipziger Vokszeitung” come “Lettere di viaggio socialiste”, laddove egli descrive come il partito laburista sia del tutto integrato in quello liberale e, perciò, funzionale agli stessi interessi borghesi, mentre invece quelli dei proletari sono ignorati o calpestati.
4. È del tutto ovvio che la natura della competizione elettorale tra i due grandi partiti borghesi, che almeno a Londra monopolizza quasi il campo di battaglia, è una competizione per catturare i voti del lavoratore attraverso trucchi pubblicitari da poco, così che il partito che ha meno scrupoli e più denaro vincerà. Perché alla fine, l’essenza del senso politico nel sistema elettorale inglese è questo: trasformare il potere finanziario delle classi proprietarie in potere politico in modo che il diritto di voto dei lavoratori sia reso un modo di preservare la loro dipendenza intellettuale e politica dai partiti borghesi.
L’analisi e la critica del sistema democratico inglese prosegue toccando altri punti fondamentali, quali la legge elettorale in sé, la quale esclude il voto femminile, riduce l’elettorato ai soli possidenti o affittuari benestanti, garantisce il voto plurale a laureati e proprietari terrieri, ed è basata su un sistema maggioritario, per cui in ogni collegio è eletto solo il singolo candidato che ottiene la maggioranza relativa. Inoltre, egli descrive la conduzione della campagna elettorale presso i lavoratori con distribuzione gratuita di alcoolici, propaganda di massa e addirittura l’organizzazione delle masse stesse al voto. Il termine che meglio descrive l’atteggiamento delle classi dominanti verso la classe operaia è “condiscendenza”.
5. Il movimento socialista operaio è trattato dalla classe dominante in Inghilterra in completo contrasto con il socialismo e con il movimento operaio. Mi esprimerò più chiaramente: il socialismo come teoria sociale e filosofica non appare come minaccioso per il corpo della borghesia, finché esso non trova sostenitori nei circoli intellettuali borghesi […]. In breve, il socialismo qui è ancora socialmente accettabile, come non lo è stato per lungo tempo in Germania. La borghesia inglese molto tempo fa ha fatto pace con il movimento dei lavoratori a patto che non fosse socialista, cioè, con il movimento sindacale di vecchio stampo.
Tuttavia, come fa notare De Man, alla “carota” viene affiancato il “bastone”: i metodi repressivi non sono meno assenti nella democrazia liberale, semplicemente essi sono usati con maggiore parsimonia e oculatezza. Questo è particolarmente evidente nel modus operandi della polizia inglese, in realtà non molto dissimile da quella prussiana, nonostante la differenza di regime, in linea teorica.
6. Alla fine il parallelo tra i “bobbies” e i “Bleus” riflette fondamentalmente quello tra le due forme di governo, il borghese liberale e lo Junker reazionario, in generale. Queste sono le due forme democratiche di oppressione politica del proletariato nell’era capitalista; la prima è la più ragionevole, la seconda la più brutale. Questo non significa che la polizia di Londra non possa e non si sia comportata in modo brutale. Ma questo ha luogo non regolarmente ma solo in circostanze straordinarie, cioè, quando è considerato davvero indispensabile.
In sintesi, il giovane De Man prende una posizione molto dura verso la democrazia borghese, liberale o autoritaria che sia. Se da una parte, infatti, riconosce che all’interno di essa è possibile trovare gli strumenti per portare avanti la lotta di classe, pure è consapevole che a un certo punto sarebbe risultata inevitabile la rivoluzione.
Nel 1914, con l’invasione del Belgio da parte tedesca, questa visione secondo cui non c’era differenza tra i vari regimi borghesi e imperialisti doveva cambiare radicalmente. Le democrazie occidentali parevano, infatti, garantire maggiori possibilità ai movimenti operai rispetto agli imperi centrali. Altrettanto importanti furono le sue esperienze di viaggio in Unione Sovietica e negli Stati Uniti, che lo convinsero della necessità di un ordinamento democratico come tappa intermedia tra il capitalismo e il socialismo. In quest’ottica egli arrivò a contrapporre all’URSS, che egli accusava di eccessiva furia nel tentare d’imporre le conquiste del socialismo a un proletariato ancora impreparato, gli Stati Uniti, dove invece vedeva quasi compiute le basi democratiche del socialismo.
Henri De Man, ne traccia una sintesi nell’articolo “La lezione della guerra”, comparso su “Le Peuple” nel 1919. Egli è però attento a sottolineare come la sua posizione non fosse stata immediatamente interventista come molti altri socialdemocratici e socialisti europei, bensì meditata alla luce degli eventi da lui vissuti tra il 1915 e il 1918, e frutto di una coscienza tormentata dalla consapevolezza delle contraddizioni.
7. Al fine di evitare ogni incomprensione, devo dichiarare che, anche se io ero un ufficiale associato all’azione del governo durante la guerra con due missioni ufficiali all’estero – in Russia nel 1917 e negli Stati Uniti nel 1918 – non sono mai stato tra quelli che hanno perso la loro autonomia morale per l’intossicazione del patriottismo ufficiale e dello sciovinismo militarista. Io ero un socialista antimilitarista e internazionalista prima della guerra. Credo di esserlo ancora di più ora. Forse lo sono in modo differente, ma certamente non in misura meno profonda o meno sentita. È precisamente perché io considero il socialismo una realtà urgente e ancora più ineluttabile che mai che esso mi appare da una prospettiva differente dalle mie opinioni del 1914. La revisione delle mie idee è dovuta soprattutto al fatto che per tre anni sono state letteralmente sottoposte alla prova del fuoco.
De Man propone in queste pagine però una svolta di entità non indifferente, anzi una vera e propria revisione del marxismo, dovuta ad esperienze che traspaiono come traumatiche. Egli trasvaluta tutti i valori, alla ricerca di una dottrina politica che gli consenta di comprendere davvero gli eventi.
8. Non penso più che possiamo capire i nuovi fatti della vita sociale con l’aiuto di una dottrina stabilita sulla base di fatti precedenti e differenti. Non penso più che la toeria che vede le guerre contemporanee unicamente come il risultato di conflitti economici tra governi imperialisti sia giusta. Non penso più che i soli fenomeni economici possano fornirci la trama di tutta l’evoluzione storica. Non penso più che il socialismo possa essere realizzato indipendentemente dallo sviluppo della democrazia politica. Non penso più che al socialismo basti fare appello agli interessi di classe del proletariato industriale, disdegnando il supporto che certi interessi e ideali comuni all’intera nazione o a tutta l’umanità possono darci. Non penso più che la lotta di classe proletaria, che rimane il mezzo principale per la realizzazione del socialismo, possa condurre ad esso senza ammettere certe forme di collaborazione di classe e di partito. Non credo più che il socialismo possa consistere semplicemente nell’esproprio dei mezzi di produzione di base da parte dello Stato, senza una profonda trasformazione dei processi amministrativi per portare allo sviluppo illimitato della produttività sociale. Non penso più che una società socialista possa essere sostenuta domani se rinuncia allo stimolante che oggi è fornito dalla competizione d’imprese private e di un ineguale frutto del lavoro, proporzionato alla sua produttività sociale. Credo in un socialismo più a portata di mano, più pragmatico, più organico – in una parola, più umano.
Egli spiega poi le sue motivazioni di contro al marxismo internazionalista, adducendo come tappa necessaria sul cammino verso il socialismo l’autonomia nazionale e la democrazia politica, entrambe ancora da raggiungere nelle due grandi nazioni europee dove era stata tentata la rivoluzione bolscevica, ovvero Russia e Germania, in quanto nazioni ancora rette da una monarchia di diritto divino. In quest’ottica, la guerra delle potenze dell’Intesa era giustificata anche da un punto di vista socialista proprio perché portava a termine quella rivoluzione borghese di cui parlava Marx. De Man continua a fare riferimento al filosofo di Treviri, anche se ne critica l’economicismo.
9. Il metodo del materialismo storico fondato da Marx ci ha abituati troppo a vedere solo il lato economico dei fatti della vita sociale. D’altra parte, il marxismo è stato represso troppo fortemente dal socialismo di Germania e Russia, due Paesi dove la mancanza d’istituzioni democratiche e, quel che è peggio, di tradizioni democratiche ha necessariamente avuto ripercussioni sul punto di vista dei lavoratori.
Egli ha ben presente che non è stata una guerra rivoluzionaria socialista, ma nondimeno è stata una guerra rivoluzionaria democratica. Passando poi a confrontare Stati Uniti e Russia, sottolinea le migliori condizioni del primo Paese, in confronto al secondo dove il proletariato, mancando di un’educazione democratica, non è stato in grado di gestire il potere conquistato.
10. In Russia, ho visto socialismo senza democrazia. In America, ho visto democrazia senza socialismo. La mia conclusione è che, per parte mia, preferirei, se dovessi scegliere, vivere in una democrazia senza socialismo che in un regime socialista senza democrazia. Questo non significa che io sia più democratico che socialista. Molto semplicemente significa che la democrazia senza socialismo è pur sempre democrazia, mentre il socialismo senza democrazia non è nemmeno socialismo. La democrazia, essendo il governo della maggioranza, può condurre al socialismo, se la maggioranza è a favore di esso; il socialismo, se non è basato sul governo della maggioranza, è un regime dispotico, il che significa o guerra civile o stagnazione.
Per risolvere questo problema, il proletariato dovrebbe includere non solamente gli operai, ma anche i tecnici e gli intellettuali, i quali vendono anch’essi la loro forza lavoro, sia pure più specializzata, il che fa di loro dei proletari.
11. Non sarei un socialista se non credessi che questa capacità si può trovare in nuce nel proletariato – a condizione che l’espressione includa oltre ai lavoratori manuali coloro, come i tecnici, i colletti bianchi, gli ingegneri, gli studiosi e gli artisti, che oggi vendono la loro forza lavoro intellettuale sul mercato del mondo capitalista. Ma poiché questo nucleo possa svilupparsi e rendere più che non solo vantaggi temporanei, un lungo periodo di adattamento della classe lavoratrice ai nuovi compiti di gestione sociale deve aver luogo.
Questa collaborazione tra le classi inferiori, sostiene De Man, ha già in realtà visto in parte la luce nelle trincee, laddove la maggioranza dei combattenti erano appunto proletari (in questo senso allargato). Qui sono state poste le basi sociali per un socialismo democratico, del tutto differente dal socialismo dittatoriale del bolscevismo sovietico.
Riguardo agli Stati Uniti, troviamo interesse nella “Lettera d’America” comparsa, sempre su “Le Peuple”, l’anno successivo. Ciò che l’autore sottolinea, sono le ottime condizioni materiali dei lavoratori americani, in particolare i contadini, rispetto a quelli europei. E a queste si accompagna una superiore istruzione e dunque una vera e propria coscienza di classe, che porrebbe le basi per un movimento socialista di successo.
12. Questo è un Paese che dimostra che non è la povertà che crea la più vigorosa coscienza di classe, e che un regime di sfruttamento capitalistico è più minacciato dove la gente comune ha acquisito il più alto grado di benessere materiale ed istruzione, come nel Far West americano. Tutto questo Paese è proprio ora lo sfondo di una grande rinascita della coscienza di classe, sia tra la popolazione rurale, sia tra i lavoratori urbani. È un fenomeno sorprendente, specialmente per un periodo immediatamente successivo a una guerra. La sua espressione più caratteristica è l’alleanza dei sindacati e delle organizzazioni agrarie per sostenere un programma esplicitamente collettivista.
Il successivo percorso di studio di De Man lo portò a toccare e ad approfondire ben altri argomenti, in particolare relativamente alla critica e al superamento del marxismo da un punto di vista psicologico, come espresso in “Psicologia del socialismo” (1926). La sua critica del marxismo è funzionale però a una radicalizzazione del movimento socialista. Secondo l’autore, infatti, è nella dottrina di Marx che devono essere rintracciati quei tratti filosofici positivisti come il meccanicismo, il razionalismo, l’edonismo materialista, che favoriscono l’imborghesimento dei movimenti marxisti. Un altro problema è la tendenza alla divisione, specie nei partiti di stampo bolscevico, tra dirigenti attivi e masse passive (“Masse e capi”, 1932). Il lato più propriamente psicologico è poi approfondito in “La lotta per la gioia del lavoro” (1927), laddove esamina i moventi psicologici che influenzano positivamente il lavoratore, ovvero principalmente l’utilità sociale, l’interesse personale, e il senso dell’obbligazione sociale; e quelli che lo influenzano negativamente, come l’insicurezza e la precarietà delle condizioni di vita e di lavoro o l’impossibilità di promozione sociale.
Con “L’idea socialistica” (1933) viene finalmente approfondito un altro tema cruciale, quello dell’imborghesimento del proletario. De Man ricostruisce prima storicamente il passaggio da una borghesia lavoratrice a una borghesia proprietaria e sfruttatrice e poi osserva il processo analogo nel proletariato contemporaneo. Secondo lui, indubbiamente, ha un forte peso il miglioramento delle condizioni di vita, ma il fattore cruciale, che mina a suo parere il marxismo alla base, è il materialismo: la classe operaia lotta non per il bene dell’umanità, ma egoisticamente per il proprio benessere, mirando essenzialmente a rovesciare il dominio borghese e sostituirvisi. In questo senso, riprendendo il pensiero di Spengler e Sombart, il marxismo non è tanto un movimento opposto al capitalismo, quanto interno ad esso. Il socialismo invece doveva prescindere dagli interessi specifici della classe operaia, che a suo parere avrebbero potuto anche essere soddisfatti dal capitalismo, come negli Stati Uniti.
È proprio su queste premesse, che De Man scriverà il “Piano del lavoro” nel 1933, come programma pragmatico di riforma dello Stato dal punto di vista tanto sociale quanto economico.
13. L’obiettivo di questo piano è una trasformazione economica e politica del Paese, consistente in: 1) L’istituzione di un sistema economico misto che includa, oltre a un settore privato, un settore nazionalizzato che comprenda il controllo del credito e delle principali industrie che sono già monopolizzate di fatto; 2) La sottomissione dell’economia nazionale così riorganizzata a lle direttive del benessere comune mirante all’allargamento del mercato interno così da ridurre la disoccupazione e da creare condizioni che portino a un’accresciuta prosperità economica; 3) La realizzazione all’interno della sfera politica di una riforma dello Stato e del sistema parlamentare tale da creare le basi per una vera democrazia sociale ed economica.
Scendendo in maggiori dettagli riguardanti quest’ultimo punto, che delineino come sia mutata la concezione della democrazia propugnata da De Man, occorre consultare la settima e ultima parte del piano.
14. Per rinforzare le basi della democrazia e per preparare istituzioni parlamentari per la realizzazione delle trasformazioni economiche che sono delineate, la riforma dello Stato e del sistema parlamentare deve soddisfare le seguenti condizioni: 1) Tutti i poteri derivano dal suffragio universale non adulterato; 2) L’esercizio delle libertà costituzionali è pienamente garantito a tutti i cittadini; 3) Il sistema politico ed economico assicurerà l’indipendenza e l’autorità dello Stato e del potere pubblico rispetto al potere finanziario; 4) il potere legislativo sarà esercitato da una singola camera, di cui tutti i membri siano eletti con suffragio universale; 5) questa camera, i cui metodi di lavoro saranno semplificati e adattati alle necessità della moderna organizzazione sociale, saranno assistiti nell’elaborare leggi da consigli consultativi, i cui membri saranno scelti in parte fuori dal Parlamento, sulla base della loro riconosciuta competenza; 6) per evitare i pericoli dello statalismo, il Parlamento darà alle agenzie responsabili per legge della gestione dell’economia quei poteri d’implementazione indispensabili alla rapidità d’azione e alla focalizzazione delle responsabilità.
Nelle successive tesi di Pontigny del 1934, stabilirà il ruolo del partito all’interno della pianificazione qui delineata, ovvero la piena partecipazione, all’interno del sistema legale e politico democratico alla riforma dello Stato. Questo interventismo, unito alla delusione per l’inerzia del regime borghese e democratico sarà alla base della sua scelta, nel 1940, di appoggiare il fascismo, sperando che potesse compiere quella riorganizzazione dello Stato che né il socialismo né la democrazia erano stati in grado di intraprendere.
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In deze tekst trachten wij een inleiding te geven tot de onderliggende filosofie van het solidarisme en de veruiterlijking van het solidarisme als Derde Weg tussen kapitalisme en socialisme.
Begin van de analyse: de morele crisis in de hedendaagse samenleving.
De hedendaagse samenleving heeft te kampen met een morele crisis. In tijden waar de technologische en wetenschappelijke ontwikkeling een blijvende groei kent en de materiële levensstandaard van de mensen zichtbaar vooruit gaat, heeft men de indruk in het quasi hoogste stadium van menselijke en sociale ontwikkeling te leven. Echter, men vergeet men de gigantische crisis van deze moderniteit doormaakt: een morele- en geloofscrisis van nooit geziene omvang.
Terwijl materiële toestand van de mens verbeterde, kon men een omgekeerd evenredig verband vaststelling met de morele identiteit van de mens. De traditionele katholieke waarden werden de laatste decennia vernietigd, maar ze werden niet vervangen door een nieuwe morele ordening. De nieuwe orde is onder invloed van het liberalisme en individualisme de orde van het individu geworden. Het gevolg is een gigantisch moreel vacuüm, leidende tot een moreel verval dat we vandaag de dag welig zien tieren. Fundamentele menselijke en christelijke waarden – zoals liefde, gezin en solidariteit – werden gedevalueerd tot uitwendige verschijnselen zonder innerlijke basis. Deze uitwendige verschijnselen worden nu zelfs door sommigen in vraag gesteld. Zo staat de rol van het traditionele gezin als hoeksteen van de samenleving en de solidariteit met volksgenoten onder een steeds groeiende druk. Seksualiteit werd losgemaakt van liefde. Men gelooft enkel nog in zichzelf, in het eigen individu. De groep, het volk en de maatschappij waartoe men behoort lijkt niet meer van belang.
Wat zijn de oorzaken van deze crisis? Wat is de basis waarop de politieke, economische en sociale structuren steunen die ons volk naar deze afgrond geleid hebben? Waarom is ons volk niet in staat om materiële ontwikkeling te koppelen aan morele en geestelijke ontwikkeling?
In reactie op deze vragen trachten wij de fundamentele oorzaken bloot te leggen. Vervolgens trachten wij een antwoord te bieden op deze crisis. Wij trachten de socio-economische en politieke denkwijze bloot te leggen die ervoor moet zorgen dat ons volk de brug kan maken naar een samenvallende materiële, morele en geestelijke ontwikkeling. Het antwoord op deze vraag zal steunen op de Derde weg van het solidarisme.
Op weg naar een Derde Weg …
De belangrijkste oorzaak van de crisis in de hedendaagse samenleving is het ontbreken van harmonie tussen het individuele en maatschappelijke niveau. In de volgende alinea’s verklaren wij waarom.
Economisch werd de mens gereduceerd tot een consument en productie-eenheid binnen het kapitalisme. In dit systeem ontstaat aldus een maatschappelijke dualiteit tussen werknemer en werkgever. Deze dualiteit vormt de perfecte basis voor menselijke vervreemding van het volk en de medemens: men consumeert en produceert als individu. Volk en medemens worden van ondergeschikt belang in de economische logica. Dit terwijl economische vooruitgang toch het hele volk zou moeten dienen en niet enkel de zakken van de aandeelhouders en werkgever moet vullen, is het niet?
Zij die zich bewust zijn van deze maatschappelijke dualiteit volgen vaak de algemeen geldende paden, echter deze zijn ziek in hetzelfde bedje. Enerzijds zijn er zij die zich terugplooien op (vaak reactionair) nationalisme, maar nationalisme blijft een containerbegrip dat door alle ideologieën aangewend kan worden. Wat zien wij? Quasi alle hedendaagse en zelfverklaarde nationalisten blijven het kapitalisme verdedigen als economisch systeem, alsook de liberale en individualistische vrijheid-blijheid denkwijze. Anderzijds zijn er zij die zich terugplooien op socialisme en communisme, maar zij verdedigen het volks-euthanaserende multiculturalisme en kijken vaak vol bewondering naar massamoordenaars en totalitairen zoals Ché Guevara.
Allen verdedigen de demo-liberale chaos van het parlementarisme en partijpolitiek. Dit zijn systemen die menselijk en maatschappelijk egoïsme in de hand werken en kortetermijnbelangen nastreven. Een langetermijnvisie bereik je niet tijdens een regeerperiode van vier jaar. Een langetermijnbeleid bereik je niet door partijbelangen te verdedigen en te streven naar behoud van het eigen postje.
Geen van allen blijkt in staat de brug te maken naar de morele verloedering van onze samenleving en geen van allen blijkt aldus een permanente morele en intellectuele basis te kunnen leggen voor een samenvallende organische groei van zowel mens, volk en maatschappij.
Onze oplossing bestaat erin te streven naar een harmonische en organische ordening der dingen. Sociale conflicten – van alle aard – kunnen niet opgelost worden door de heersende wij-zij mentaliteit die liberalisme, kapitalisme, socialisme, communisme, parlementarisme en partijpolitiek ons voorschotelen. Zij streven allen naar macht over de andere, maar zij ontbreken de harmonie om tot gemeenschappelijke doelstellingen te komen gekaderd binnen een hogere morele ordening in de samenleving. Indien er wel een schijnbaar gemeenschappelijk doel is kijken de deelnemers aan een akkoord enkel naar hun eigen doelstelling en de mate waarin deze verwezenlijkt kan worden. Dit zien wij onder andere terug in het sociaal overleg binnen ondernemingen. Van een echte sociale overlegcultuur tussen de sociale partners is al lang geen sprake meer. De vakbonden zijn er alleen maar voor hun eigen werknemers en dienen enkel de individuele belangen van deze werknemers. Dienen zij het volk en dienen zij economische groei die ten dienste moet staan van mens, staat, volk en maatschappij? Neen.
Enkel door de hogere morele ordening te herinstalleren kan een organisch gemeenschapsideaal en permanente sociale vrede bewerkstelligd worden. Alles begint immers met de morele waarden die men uitdraagt, bewust én onbewust. De noodzakelijkheid van een Derde Weg te midden van deze chaos komt duidelijk naar voor …
De grondslag van het solidarisme
Het solidarisme bepleit de noodzakelijke organische ordening van de samenleving. In zijn filosofische grondslag beschouwt het solidarisme de wereld als een verticale structuur: het materiële, bio-organische, psychische, het sociale en het geestelijke. In tegenstelling tot de materialistische filosofie, die eigen is aan het liberalisme en kapitalisme, kunnen de hogere niveaus niet afgeleid worden van de lagere niveaus. Alle niveaus vormen in de solidaristische filosofie een organisch geheel. Ook in horizontale zin verschaft het solidarisme een organische visie waarbij het principe ‘eenheid in verscheidenheid’ heerst.
Individu en collectiviteit versus solidarisme
Het solidarisme beschouwt de verhoudingen tussen mensen onderling, de mens en de groep, en groepen onderling. Conflicten worden opgelost door solidariteit en harmonisch evenwicht.
Deze visie staat rechtlijnig tegenover het vandaag heersende individualisme. Dit individualisme vormt de grondslag van het liberalisme en de liberale democratie, en het rechtvaardigt kapitalisme en egoïsme op individueel en groepsniveau. Het individu staat in deze visie boven het maatschappelijke. In de individualistische filosofie is er geen basis voor individuele diensten ten bate van de gemeenschap, enkel ten dienste van zichzelf als individu. De uitspraak ‘de vrijheid van het ene individu stopt waar die van de andere begint’ symboliseert de negatieve opvatting van vrijheid in het individualisme. Deze filosofie gaat aldus rechtlijnig in tegen de organische basisfilosofie van het solidarisme. Helaas groeit deze visie dag per dag verder in Europa.
De solidaristische visie staat eveneens rechtlijnig tegenover het collectivisme, zoals gepropageerd door socialisme en communisme. Ontstaan uit reactie tegen de tekortkomingen van het individualisme beschouwt het collectivisme iedereen als deel van de collectieve gemeenschap waarbij het collectieve voorop staat op het individuele. In het collectivisme worden persoonlijk initiatief en creativiteit onderdrukt ten voordele van het collectieve doel, en dit in een allesomvattende conformistische maatschappijvisie. Ook hier zien we dus het rechtlijnig conflict met de solidaristische filosofie.
Tegenover deze twee verwerpelijke systemen staat onze Derde Weg: het solidarisme. Deze visie erkent de basiswaarden van het individu en het recht op individuele vrijheid. Dit is een positieve geïnterpreteerde vrijheid ten dienst van hogere waarden zoals waarheid, goedheid, schoonheid, het absolute. Persoonlijk egoïsme is echter volledig ondergeschikt aan deze hogere waarden. Individu en gemeenschap dienen samen te werken ter verwezenlijking van deze hogere waarden, en dit complementair. Individu en gemeenschap zijn aldus niet tegengesteld aan elkaar, maar wederzijds versterkend! De gemeenschap zorgt voor de materiële en morele middelen om de individuele vrijheid uit te oefenen. Dit is het principe van personalisme, een begrip dat volledig los staat van individualisme en een noodzakelijke uiting is van een visie op basis van de solidaristische filosofie. Het begrip personalisme impliceert verder dat een individu een volk dient vanuit zijn sociale bewustzijn tot de volksgemeenschap te horen. Naast het bewustzijn van het ‘ik’ bestaat er dus ook een bewustzijn van het ‘wij’ in de solidaristische visie!
Zoals ondertussen duidelijk zal is: zowel het volledig egoïstische individu (liberalisme), alsook het individu opgelost in de collectiviteit (socialisme), is vreemd aan de solidaristische filosofie. Verder vergelijkt men solidarisme vaak met nationaalsocialisme. Uit bovenstaande beschouwingen is het duidelijk dat dit een volledig onterechte begripsverwarring is: het collectivisme dat aan de grondslag ligt van het socialisme staat immers rechtlijnig tegenover het solidarisme op basis van personalisme. De extra toevoeging van een nationaal element verandert hier maar weinig aan.
Solidarisme, volk en gemeenschap
In de solidaristische visie bestaat het doel van sociale inzet door het individu in o.a. culturele en politieke verenigingen er niet in het collectief te dienen, maar wel het individu zelf. Dit individu, dat zich door zijn sociale inzet individueel verrijkt, stelt zich vervolgens ten dienste stelt van de organische gegroeide groep waartoe bij behoort: familie, regio en volk. In het solidarisme dient dus een duidelijk conceptueel onderscheid gemaakt worden tussen een vereniging met collectief doel en een groep. Een groep en volksgemeenschap waartoe iemand behoort worden gedetermineerd door geboorte. Men zal niet geboren worden in een vereniging met collectief doel, bijvoorbeeld een politieke partij.
Verder zien we dat de volksgemeenschap het individu determineert, maar dat het omgekeerde niet volledig waar is. Hoewel de som van individuen hoe dan ook een belangrijk gedeelte van de karakteristieken van de volksgemeenschap bepaalt, is er door de som van individuen geen volledige bepaling van de volksgemeenschap. Haar karakteristieken worden immers ook bepaald door het grotere organische geheel van het Europese Rijk en de Europese culturen. Niet alleen op intra-volksgemeenschappelijke basis is er dus een organisch geheel, maar ook op Europees niveau bestaat dit geheel.
Deze visie heeft enkele duidelijke implicaties. De eerste stap in het verwezenlijken van de solidaristische visie is het nastreven van het solidarisme in de eigen omgeving en volksgemeenschap: de aloude Nederlanden. Op een volgend niveau beschouwen wij de Europese volkeren als een organische volkerenfamilie, waarbinnen cultuur en welvaart de noodzakelijke voorwaarden vormen die elke volksgemeenschap toekomen.
Integrale mensontwikkeling
Het solidarisme streeft tevens een integrale mensontwikkeling na. In de personalistische visie (zie supra) werd het belang van de mens in het solidarisme al duidelijk gemaakt. De integrale mensontwikkeling bepaalt dat de mens niet eenzijdig ontwikkeld dient te worden richting een consument en productie-eenheid in de kapitalistische consumptiemaatschappij, of tot wezen zonder creativiteit en eigenbelang in een socialistische/communistische maatschappij.
Het uitsluitend naleven van materiële welvaart, zoals vandaag de standaard, is niet organisch en streeft absoluut geen integrale mensontwikkeling na. Laat staan ontwikkeling van een volk op langere termijn. In de solidaristische filosofie dient de mens alle waarden op de sociale ladder na te streven: naast materiële welvaart dient er dus ook geestelijke, sociale en maatschappelijke ontwikkeling nagestreefd te worden. Zoals eerder werd geïllustreerd dienen deze verschillende niveaus op een gelijkwaardige manier nagestreefd te worden.
Noodzakelijke band tussen katholicisme en solidarisme
Het solidarisme wordt al eens vlug afgedaan als ‘de katholieke sociale leer’. Dit is deels correct. Het solidarisme stroomt rechtstreeks voort uit de Pauselijk encycliek Rerum Novarum. Anderzijds is deze visie deels niet correct, gezien de katholieke sociale leer verder ontwikkeld werd in opvolgende encyclieken, en vanaf de hervorming van Vaticanum II ook delen van liberalisme omarmt. Dit is een spijtige vaststelling, maar een vaststelling die niet aan de basis van de solidaristische filosofie raakt.
Het solidarisme is geïnspireerd is op de Katholieke moraal, op het begrip van het hoogst te dienen ideaal. Dit ideaal projecteert men langs de Derde Weg van het solidarisme op het sociale leven. Het solidarisme vormt het sociale minimum van christendom op aarde. Wie gelooft in God, maar anderzijds meezeult met sociale systemen die onverschilligheid, vijandschap, onrechtvaardigheid en a-socialiteit bevorderen, werkt niet mee aan het verwezenlijken van het Rijk Gods op aarde. Het principe Christus Rex (Christus Koning) dient geen dood principe te zijn. Bijgevolg is enkel de katholieke sociale leer, in overeenstemming met de solidaristische filosofie, een sociale leer.
Conclusie
Het solidarisme propageert geen dualiteit en tegenstelling zoals kapitalisme en communisme dat doen. Het solidarisme propageert samenwerking en solidariteit tussen volksgenoten en volkeren onderling. Het solidarisme is een vrijheidsidee, waarin personele vrijheid en maatschappelijke vrijheid in organisch verband en zonder onderlinge hiërarchie nagestreefd worden. Het solidarisme is noch links, noch rechts. Economisch links (socialisme) en rechts (liberalisme) propageren elkaar te bestrijden, maar in werkelijkheid bestrijden zij de mens en de maatschappij. Het solidarisme vormt de Derde Weg, een noodzakelijk weg, een uitweg uit de chaos en het moreel verval in onze samenleving.
Thomas B.
Dit artikel verscheen in Confiteor!, Zomer 2010
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Par Frédéric Laurent - Ex: http://fortune.fdesouche.com/
Encore une fois, drôle de semaine sur les marchés financiers. La volatilité fait rage, dans des volumes peu importants. Pas de déclaration tonitruante, pas de gros titre en apparence… pourtant je m’étonne. Je m’étonne qu’aucun journal n’ait repris l’annonce de la démission d’Herbert Allison, sous-secrétaire adjoint à la stabilité financière aux Etats-Unis.
Donc, la personne qui était chargée de suivre le plan à 700 milliards de dollars lâche l’éponge.
Caricature américaine, septembre 2010 Certes, ce n'est pas la première fois que quelqu’un de haut placé démissionne. Toutefois, quand on sait que ces hauts responsables émargent à plusieurs centaines de milliers de dollars par an, avec tous les « à côté » agréables (secrétariat, chauffeur, voyages d’affaires, logement, pas mal d’avantages en nature), on peut se dire qu’il doit y avoir une bonne raison à ce départ.
Or là, la raison invoquée serait de pouvoir retrouver son épouse, qui vit dans un autre Etat. Est-ce une raison valable pour lâcher cette fonction ? L’ennui, c’est que cette démission fait suite à trois autres du même calibre, en deux mois. La semaine dernière, il s’agissait de Larry Summers, principal conseiller économique du Président Obama ; et il y a quelques semaines, Christina Romer, une autre conseillère de M. Obama, et Peter Orszag, président du Bureau du budget de la Maison Blanche, quittaient le navire.
Que se passe-t-il dans les hautes sphères du gouvernement et des finances américains ? Certes, les prochaines élections législatives américaines [à mi-mandat, en novembre prochain] paraissent mal engagées pour l’actuelle majorité démocrate. Mais ce type de haut fonctionnaire ne part pas sans une raison majeure. Pas qu’un simple désaccord sur la stratégie voulue par le président. Comment se fait-il que les journalistes du Washington Post ou du New York Times n’aient pas creusé les raisons de ces départs ?
Je vous ai déjà parlé des problèmes financiers majeurs des municipal bonds, qui s’ajoutent à l’endettement intenable de nombreux Etats américains en situation de faillite virtuelle. L’Amérique toute entière serait-elle dans la même situation ?
Cela amène plusieurs suppositions : si les élections sont perdues par les démocrates, les situations politique, sociale et bien entendu économique risquent de devenir ingérables. Devant cette éventuelle défaite, la Fed risque d’être perdue quant à la stratégie à mener. Ces démissions en cascade en sont peut être des preuves avant l’heure.
Ces élections vont être le prélude des revendications d’une Amérique qui s’appauvrit. La population découvre peu à peu que le pays est toujours en dépression et que celle-ci s’aggrave, retombant certainement en récession lors du premier semestre 2011. Est-ce que la Fed tentera une nouvelle mesure désespérée ? Nouvelle manoeuvre à laquelle nos démissionnaires ne veulent pas être impliqués ?
La lecture du dernier rapport du Congrès américain sur l’efficacité du TARP ne peut que confirmer ces doutes. L’introduction au rapport précise que « de graves faiblesses économiques persistent. Depuis la mise en oeuvre du plan, en octobre 2008, 7,1 millions de personnes ont reçues un avis d’expulsion. Depuis les sommets d’avant crise la valeur des maisons a baissé de 28%, et les marchés actions — dans lesquels une grande partie des Américains ont placé leur capital pour leur retraite ou pour l’université de leurs enfants — de 30%. » Ce même rapport reconnaît que si le TARP a fourni un appui pour redonner confiance aux marchés financiers, la question demeure quant à son efficacité réelle sur la relance.
Le dollar va certainement poursuivre son mouvement baissier. La Chine achète du yen et pourrait commencer à vendre ses actifs en dollars — ou tout du moins, à ne plus en acheter. Continuer à monétiser la dette ? Inévitablement l’inflation va repartir aux Etats-Unis. Sans doute interviendra alors un vaste programme d’austérité. Les marchés financiers, qui ont été très soft jusque-là, pourraient le prendre très mal, et la chute n’en serait que plus violente. Et pour valider ce scénario, l’or continue à monter pour le moment en dollars, en ayant dépassé pour la première fois les 1 300 $ l’once.
00:20 Publié dans Actualité, Economie, Politique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : etats-unis, politique internationale, politique, économie, finances | |
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PRESSESCHAU
Oktober 2010 (1)
Liebe Angemailte, großer Kreis. Da die infokreis-Presseschau derzeit wohl nicht erscheint, sie aber offenbar so beliebt ist und ich ja auch im September eifrig Links gesammelt habe, heute ein kleines Trostpflaster. Ich habe mir mal die Mühe gemacht, sämtliche meiner September-Links zusammenzustellen und zu ordnen. So geht diese (ehrenamtliche) Arbeit wenigstens nicht völlig verloren. Ich hoffe, daß alle Links noch funktionieren. Sollte die infokreis-Presseschau dennoch in den nächsten Tagen mal wieder erscheinen, könnte es sein, daß einige Links doppelt sind, aber das ist ja kein Beinbruch.
Bei Weiterleitungen bitte Absender löschen.
Viel Spaß bei der Lektüre.
C.W.
###Bayern spricht sich für Verbleib amerikanischer Truppen aus
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
(Skurrile Kollaboration im Jahr 2010)
Schweinfurt
Höchste Pentagon-Ehren für die Ex-OB
http://www.kanal8.de/default.aspx?ID=11430&showNews=8...
Lieberman glaubt nicht an einen Frieden
Der israelische Außenminister nennt Nahost-Gespräche gefährlich / Nächstes Treffen in Ägypten
http://www.badische-zeitung.de/nachrichten/deutschland/li...
Grüne: Nach Höhenflug droht harte Landung
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/gruene-nach-h...
(Castro mittlerweile senil?...)
Castro ungewohnt selbstkritisch
http://www.welt.de/die-welt/debatte/article9519495/Castro...
http://www.dw-world.de/dw/function/0,,12356_cid_5995117,0...
(Erstaunlich wie viele Freunde auf einmal die Zigeuner in der ganzen Welt haben...)
Fidel Castro wirft Paris wegen Roma-Politik "Rassen-Holocaust" vor
http://www.stern.de/news2/aktuell/fidel-castro-wirft-pari...
„Versailles mit friedlichen Mitteln“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Greuelmord an afghanischen Zivilisten: US-Soldaten vor Militärgericht
http://www.weltexpress.info/cms/index.php?id=6&tx_ttn...
Afghanistan
US-Soldaten sollen Finger abgeschnitten haben
http://www.focus.de/politik/ausland/afghanistan/afghanist...
Afghanistan-Prozess
US-Soldat: Mord an Zivilisten von Offizier befohlen
http://www.krone.at/Nachrichten/US-Soldat_Mord_an_Zivilis...
Computerattacke im Iran
Ein Hauch von Cyber-Krieg
http://www.focus.de/politik/ausland/computerattacke-im-ir...
(Zur Abschiedsfeier von Roland Koch...)
Flipsig, flapsig, Militärmusik
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Hier ein Filmausschnitt von Kochs Abschied
http://www.youtube.com/watch?v=1W1C67t7eTg
Steinbach bescheinigt Bartoszewski „schlechten Charakter”
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
(Der Pfälzer sondert mal wieder Altbekanntes ab...)
Kurt Beck rückt Steinbach in die Nähe von Rechtsradikalen
http://www.pnp.de/nachrichten/artikel.php?cid=29-29519239...
Erika Steinbach ist schlicht revanchistisch
Mut zur Lücke
http://www.taz.de/1/debatte/kommentar/artikel/1/mut-zur-l...
Erika Steinbach entschuldigt sich
http://www.bz-berlin.de/archiv/erika-steinbach-entschuldi...
(Merkel verarscht mal wieder...)
Merkel: Konservative haben politische Heimat in der CDU
http://de.reuters.com/article/domesticNews/idDEBEE68I06F2...
Wulff übt sich in Geographie...
http://nibelungen-kurier.de/?t=news&s=Aus%20aller%20W...
Begriffsmanscherei
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Nacktschnecken und Rosenkränze
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Hannelore Kraft überzieht das Konto
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Nation24.de - unabhängiges Magazin Pro Deutschland
http://nation24.de/
NPD sorgt für Eklat bei Wulff-Besuch im sächsischen Landtag
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/sorgt-eklat-w...
Volkmar Weiss: Rezension: Thilo Sarrazin: Deutschland schafft sich ab.Die bisher unveröffentliche öffentliche Meinung?
http://knol.google.com/k/volkmar-weiss/volkmar-weiss-reze...
Sarrazin
„Er fühlt sich wie Hitler“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Die Bielefelder Heitmeyerei...
Forscher: Hohe Zustimmung zu Sarrazin-Thesen
Berlin - Jeder zweite Bundesbürger stimmt der Aussage von Thilo Sarrazin zu, dass es zu viele Ausländer in Deutschland gebe. Das ergab eine Langzeitstudie zu “Gruppenbezogener Menschenfeindlichkeit“.
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/forscher-hohe...
Sozialforscher Zick
„Da kommt Hass zum Vorschein“
Der Sozialforscher Zick spricht im FR-Interview über Sarrazins Fangemeinde und die bedrohte Norm vom gleichen Wert der Menschen.
http://www.fr-online.de/politik/-da-kommt-hass-zum-vorsch...
Zukunft gewinnen statt abschaffen! - Das ARD-"Wort zum Sonntag" zur Sarrazin-Debatte
http://anonymouse.org/cgi-bin/anon-www_de.cgi/http://www....
Linke attackiert CDU-Landtagsabgeordneten Ismail Tipi nach EXTRA-TIPP-Interview über Thilo Sarrazin
Linke attackiert Tipi: „Scheinbar völlig entrückt“
http://www.extratipp.com/nachrichten/regionales/lokalpoli...
Bertelsmann-Stiftung widerspricht Sarrazin
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Die radikale Linke/"Antifa" hetzt gegen Sarrazin
http://de.indymedia.org/2010/08/288844.shtml
http://de.indymedia.org/2010/08/288926.shtml
http://de.indymedia.org/2010/09/289107.shtml
http://www.luzi-m.org/nachrichten/artikel/datum/2010/08/3...
http://www.antifa.vvn-bda.de/201003/0501.php
http://www.antifa-gaming.de/portal/forum/index.php?action...
http://direkteaktion.over-blog.de/article-sarrazin-der-he...
Die Verfemung und Entlassung Dr. Sarrazins ist die hilflose Rache der Realitätsverweigerer
http://www.freie-waehler-im-roemer.de/index.php?id=44&...
Baal Müller zu Sarrazin und parteipolitischen Konsequenzen...
Sarrazin und die Zyklopen
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Deutsche Perestroika
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Sarrazin und die Parteien
Kommentar: Politisches Gespenst
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/politisches-g...
(Dani gibt sich mal wieder ganz großzügig...)
Fall Sarrazin
Cohn-Bendit: „Ich war dagegen, dass er rausfliegt“
http://beta.journal-frankfurt.de/?src=journal_news_einzel...
Ein im Vergleich zu zahlreichen Kollegen, u.a. der HNA, differenzierter Kommentar zum Fall Sarrazin vom Politikredaktionschef der Offenbach-Post
In schiefem Licht
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/schiefem-lich...
Theater, Theater (nach Sarrazin)
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Volksverhetzung
Landesausländerbeirat Hessen zeigt Sarrazin an
http://rhein-main.business-on.de/sarrazin-menschen-debatt...
(Statt Sarrazin "Aktionsprogramm gegen Ausländerfeindlichkeit und Antisemitismus")
Ausländerbeirat nimmt Regierung in die Pflicht
http://www.echo-online.de/nachrichten/hessenundrhein-main...
Im Antinazikonsensland
In Mecklenburg-Vorpommern müssen Erzieherinnen und Tagesmütter Verfassungstreue erklären. Mit Gesinnungstests Rechtsradikalismus bekämpfen, ist das eine gute Idee?
http://www.freitag.de/politik/1034-im-antinazikonsensland
DFB zeichnet Engagement im „Kampf gegen Rechts“ aus
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Demokratieland Mecklenburg-Vorpommern
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Die totalitäre Gesellschaft und ihre Feinde
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
(Weniger das Outfit als die politischen Ziele - "sich für gerechtere Verhältnisse einsetzen" - lassen diesen Herrn als pädagogisch suspekt erscheinen)
Lübecker Punk-Schulleiter löst Medien-Hype aus
http://www.focus.de/panorama/welt/leute-luebecker-punk-sc...
Straßenfest in Hamburg
Wieder Krawalle beim Schanzenfest
http://www.fr-online.de/politik/wieder-krawalle-beim-scha...
Torten-Attacke
Trittin verzichtet auf Anzeige
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,719238,0...
Ehrenmal "Panzergraben" in Memprechtshofen geschändet!
http://www.regiotrends.de/de/polizeiberichte/index.news.1...
http://s144731316.online.de/wp-land/ov-kehl/?p=244 (scheinheiliges Pack!)
http://www.regiotrends.de/de/polizeiberichte/index.news.1...
http://www.news-aus-baden.de/?id=42357
Zur Geschichte der Gedenkstätte "Panzergraben" in Rheinau - Memprechtshofen:
http://de.wikipedia.org/wiki/Ehrenmal_Panzergraben
http://www.lexikon-der-wehrmacht.de/Kasernen/Wehrkreis05/...
Dortmunder gegen RechtsTausende protestieren gegen Nazi-Aufmarsch - 160 Demonstranten festgenommen
http://www.welt.de/die-welt/regionales/article9426199/Dor...
Dortmund weist Neonazis in die Schranken
http://www.fr-online.de/politik/dortmund-weist-neonazis-i...
Neonazi-Aufmarsch und Gegenproteste in Dortmund
http://nachrichten.rp-online.de/politik/neonazi-aufmarsch...
Frankfurt
Autonome greifen NPD an
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/autonome-greifen-npd...
Frankfurt
Linksextremisten verletzen NPD-Mitglieder
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
„Neofaschismus“-Ausstellung in Weimar: Stadt kooperiert mit Linksextremisten
http://www.blauenarzisse.de/v3/index.php/anstoss/1913-neo...
Innenministerium geht gegen Gefangenenhilfsorganisation vor
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Österreich verbietet Minarett-Ballerspiel
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/oesterreich-v...
Imam will Wilders köpfen
http://diepresse.com/home/politik/aussenpolitik/592237/in...
(Landesausländerbeirat: Sarrazin hat schuld)
Kirchhain: Männer greifen Autofahrerin an, weil sie Türkin ist
http://www.welt.de/vermischtes/weltgeschehen/article94991...
Schleuserjagd an der Kabinentür
Dokumentensichtung: 33 000 Flugzeuge wurden im vergangenen Jagd in Frankfurt kontrolliert
Dank der EU fehlen Grenzkontrollen in Deutschland fast überall. Doch die Flughäfen bleiben Einfallstore für Schleuser und Geschleuste. In Frankfurt machen Polizisten alle 15 Minuten an einer Flugzeugtür Jagd auf Illegale. Total übertrieben, meint der Flüchtlingsrat.
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/schleuserjagd-an-der...
Hessen
Großrazzia
Polizei verhaftet Schleuser
http://www.hr-online.de/website/rubriken/nachrichten/inde...
Sachsens Ministerpräsident Tillich fordert mehr Einwanderung
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Migration als Erziehungsinstrument
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Integration ist machbar
Das SOS-Team als Chance
http://www.derwesten.de/nachrichten/politik/Das-SOS-Team-...
Im Gespräch: Wolfgang Hübner
„Integration ist die Pflicht jedes einzelnen Zuwanderers“
http://www.faz.net/s/RubFAE83B7DDEFD4F2882ED5B3C15AC43E2/...
(wie viele Freunde die Roma auf einmal bei unseren Eliten haben, deren Vertreter sicherlich noch nie neben einer Sippe gewohnt haben...)
Kommentare: Frankreich steht wegen seiner Abschiebungen in der Kritik
http://www.welt.de/die-welt/debatte/article9692580/Die-Ro...
Bibel in Deutschland verbrannt: Der große Protest blieb aus
http://www.ovb-online.de/nachrichten/deutschland/bibel-de...
Obamas Doppelzüngigkeit: Amerikanische Soldaten müssen christliche Bibeln verbrennen
Udo Ulfkotte
http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/enthuellungen/ud...
Neue Studie: Migranten-Jungen haben mehr Sex als gleichaltrige Deutsche
http://www.blauenarzisse.de/v3/index.php/aktuelles/1907-n...
Der neue Mann - brutaler Macho?
Debatte auf ARTE mit
-Malika Sorel, französische Autorin, Mitglied im nationalen Haut Conseil à
l'intégration ("Integrationsrat") der französischen Regierung
-Serap Çileli, deutsche Autorin und Menschenrechtlerin türkisch-alevitischer
Abstammung
http://videos.arte.tv/de/videos/debatte-3393752.html
Gewalt in Berlin-Schöneberg
"Die Deutschen sind Verlierer"
http://www.spiegel.de/schulspiegel/0,1518,415547,00.html
Wächtersbach
Kopftücher und Großfamilien in Arztpraxis verboten
http://www.focus.de/politik/deutschland/migration-kopftue...
http://newsticker.sueddeutsche.de/list/id/1034999
Kritik an Kopftuchverbot in Arztpraxis
http://www.heilpraxisnet.de/naturheilpraxis/kritik-an-kop...
http://www.faz.net/s/Rub8D05117E1AC946F5BB438374CCC294CC/...
Frankfurt
Streit am Imbiss - Serben vs. Türken
Pommesdiebe schlagen Gäste zusammen
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/0,1518,717278,00.html
Offenbach: 23-Jähriger muss sich für Unfall verantworten, bei dem zwei Mädchen im Main ertranken
http://www.op-online.de/nachrichten/offenbach/prozess-tod...
Im Prozess um Unfall am Offenbacher Mainufer zeigt Angeklagter weiter keinerlei Schuldbewusstsein
Autorennen in den Tod
http://www.op-online.de/nachrichten/offenbach/autorennen-...
Material DDR III: Unrechtsstaat
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Bundeswehr: Totalverweigerung: Aus Überzeugung in die Zelle http://www.spiegel.de/schulspiegel/leben/0,1518,710895,00...
Germanisten fürchten keine Anglizismen
http://www.focus.de/kultur/diverses/wissenschaft-germanis...
Die Lieblingsbücher der Deutschen im Dritten Reich
http://www.welt.de/kultur/article9090884/Die-Lieblingsbue...
Leseland Drittes Reich: Bestseller in Nazideutschland
http://www.welt.de/die-welt/kultur/article9101583/Leselan...
Auf dem Planeten nur beurlaubt
Zwölf Jahre nach Ernst Jünger starb seine zweite Ehefrau Liselotte. Heimo
Schwilk besuchte die Trauerfeier in Wilflingen
Von Heimo Schwilk
http://www.welt.de/die-welt/kultur/article9427030/Auf-dem...
Frankfurt
Entkrampfung für die Altstadtdebatte
http://www.faz.net/s/RubFAE83B7DDEFD4F2882ED5B3C15AC43E2/...
Mecklenburg-Vorpommern
Herrenhäuser vor dem Verfall
http://www.svz.de/nachrichten/mecklenburg-u-vorpommern/ar...
Hunderte Herrenhäuser verfallen
http://www.ostsee-zeitung.de/nachrichten/kultur/index_art...
Immer noch ist man in Deutschland schnell mit der Abrissbirne dabei, wenn´s um historische "Schandflecke" geht...)
Reutlingen
Schandfleck war ein Juwel
http://www.gea.de/region+reutlingen/reutlingen/schandflec...
Reutlingen
Eine bauhistorische Sensation
Mit der Metzgerstraße 24 wurde eines der ältesten Fachwerkhäuser abgerissen
http://www.tagblatt.de/Home/nachrichten/reutlingen_artike...
Geschichte
Todesstreifen interaktiv mit neuem Computerspiel
http://www.focus.de/digital/computer/geschichte-todesstre...
Die Römerschlacht an der Autobahn
http://www.tagesspiegel.de/politik/geschichte/die-roemers...
Spielzeugfreier Kindergarten
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
Erschreckend: Antifeministische Grimm-Märchen
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....
UEFA verhängt ein Vuvuzela-Verbot
Die Trompeten sollen aus den Stadien verbannt werden, um die "europäische Fußballkultur" zu schützen.
http://kurier.at/sport/fussball/2028384.php
http://www.goal.com/de/news/954/europa/2010/09/01/2098120...
http://www.11freunde.de/bundesligen/132279/ein_appell_an_...
00:19 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : presse, médias, journaux, actualité, allemagne, europe, affaires européennes, politique, politique internationale | |
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di Francesco Perfetti
Fonte: il giornale [scheda fonte]
In occasione del conferimento della laurea honoris causa rilasciatagli dall’Università di Aix-en-Provence, il grande poeta inglese Thomas Stearns Eliot pronunciò una commossa allocuzione dedicata a Charles Maurras, il fondatore dell’Action Française, ricordando l’impressione che gli aveva fatto la lettura del saggio su L’avenir de l’Intelligence, che egli aveva intrapreso nel 1911, allorché si trovava, studente poco più che ventenne, a Parigi.
Il rapporto del maurrassismo con il mondo degli intellettuali è stato analizzato nel corso di un convegno internazionale tenutosi a Parigi, al Centre d’Histoire de Science po., i cui atti sono stati oggi pubblicati col titolo Le maurrasisme et la culture (Presses Universitaires du Septentrion, pagg. 370, euro 26) a cura di Olivier Dard, Michel Leymarie e Neil McWilliam. Ne emerge un quadro mosso, articolato, pieno di sfumature che fa comprendere il fascino che, nel bene o nel male, lo scrittore francese ha esercitato sugli intellettuali del suo tempo.
00:10 Publié dans Politique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique, france, action française, conservatisme, droite, nationalisme, nationalisme intégral, maurras, années 20, années 30, belle époque, 20ème siècle | |
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Citations et Sagesses latines
A bove ante, ab asino retro, a stulto undique caveto : Prends garde au bœuf par devant, à l'âne par derrière, à l'imbécile par tous les côtés
Absentem lædit, qui cum ebrio litigat : Celui qui se querelle avec un ivrogne frappe un absent
Abusus non tollit usum : L'abus n'exclut pas l'usage
Abyssus abyssum invocat : L'abîme appelle l'abîme (Psaume de David)
Ad augusta per angusta : Vers les sommets par des chemins étroits (La gloire ne s'acquiert pas facilement)
Ad impossibilia nemo tenetur : À l'impossible nul n'est tenu
Ægroto dum anima est, spes est : Tant que le malade a un souffle, il y a de l'espoir
Amicus certus in re incerta cernitur : C'est dans le malheur qu'on reconnaît ses amis
Aquila non capit muscas : L'aigle ne prend pas les mouches
Audaces fortuna juvat : La fortune sourit à ceux qui osent
Audi, vide, tace, si tu vis vivere : Écoute, observe, et tais-toi, si tu veux vivre
Avaro omnia desunt, inopi pauca, sapienti nihil : À l'avare, tout manque, au pauvre, peu, au sage, rien
Barba non facit philosophum : La barbe ne fait pas le philosophe (l'habit ne fait pas le moine)
Beati pauperes spiritu : Bienheureux les pauvres d'esprit (citation extraite du Sermon sur la montagne)
Beatus qui prodest quibus potest : Heureux qui vient se rendre utile à ceux qu'il peut aider
Bis dat, qui cito dat : Donner rapidement, c'est donner deux fois
Bis repetita placent : Ce qui est répété séduit Bis repetita non placent : Ce qui est répété deux fois ne séduit plus
Bene diagnoscitur, bene curatur : Bien diagnostiquer, c'est bien soigner
Bona valetudo melior est quam maximæ divitiæ : Une bonne santé vaut mieux que les plus grandes richesses
Canis sine dentibus vehementius latrat : Un chien sans dents aboie plus vigoureusement (chien qui aboie ne mord pas)
Carpe diem : Cueille le jour (mets à profit le jour présent ; Horace)
Caveat emptor : Que l'acheteur soit vigilant
Cave ne cadas : Prends garde à la chute
Cibi condimentum est fames : La faim est l'épice de tout plat
Citius, Altius, Fortius : Plus vite, plus haut, plus fort ! (il s'agit de la devise olympique)
Cogito ergo sum : Je pense donc je suis (Descartes)
Consuetudinis vis magna est : La force de l'habitude est grande
Consuetudo altera natura est : L'habitude est une seconde nature
Contra vim mortis non est medicamen in hortis : Il n'y a dans le jardin aucun remède à la puissance de la mort
Contraria contrariis curantur : Les contraires se guérissent par les contraires
Cuiusvis hominis est errare : Il appartient à tout homme de se tromper
Dat veniam corvis, vexat censura columbas : La censure pardonne aux corbeaux et poursuit les colombes (Juvénal)
De gustibus et coloribus, non disputandum : Des goûts et des couleurs, il ne faut pas discuter
De mortuis nihil nisi bene : Des morts, on ne doit parler qu'en bien
Divide et impera : Divise pour régner
Dolus an virtus quis in hoste requirat ? : Ruse ou courage, qu'importe contre l'ennemi ?
Ducunt volentem fata, nolentem trahunt : Le destin porte ceux qui l'acceptent et lynchent ceux qui le refusent
Dulce et decorum est pro patria mori : Il est doux et beau de mourir pour la patrie (Horace)
Dum spiro, spero : Tant que je respire, j'espère
Dura lex, sed lex : La loi est dure, mais c'est la loi
E fructu arbor cognoscitur : On connaît l'arbre par les fruits
Errare humanum est : L'erreur est humaine (Sénèque le Jeune)
Errare humanum est, sed perseverare diabolicum : Il est humain (dans la nature de l'homme) de se tromper, mais persévérer (dans l'erreur) est diabolique
Felix qui potuit rerum cognoscere causas : Heureux celui qui a pu pénétrer le fond des choses (Virgile)
Finis coronat opus : La fin justifie les moyens
Fortes fortuna juvat ou Audaces fortuna juvat : La fortune favorise les audacieux
Furor arma ministrat : La fureur fournit des armes
Gutta cavat lapidem non vi, sed sæpe cadendo : La goutte fait un trou dans la pierre, pas par la force, mais en tombant souvent
Habent sua fata libelli : Les livres ont leur propre destin
Hodie mihi, cras tibi : Aujourd'hui pour moi, demain pour toi
Homines quod volunt credunt : Les hommes croient ce qu'ils veulent croire
Homo homini lupus est : L'homme est un loup pour l'homme
Homo sum, humani nihil a me alienum puto : Je suis un homme ; rien de ce qui est humain ne m'est étranger (Térence)
Horas non numero nisi serenas : Je ne compte les heures que si elles sont sereines
Ignorantia iuris nocet : L'ignorance du droit porte préjudice
Ignorantia legis non excusat : L'ignorance de la loi n'est pas une excuse
Ignoti nulla cupido : On ne désire pas ce qu'on ne connaît pas (vers d'Ovide)
In cauda venenum : Dans la queue le venin
In dubio pro reo : Le doute profite à l'accusé (en cas de doute, on acquitte)
In medio stat virtus : La vertu se tient au milieu... et non aux extrêmes
Inter arma silent leges : En temps de guerre, les lois sont muettes
Ira furor brevis est : La colère est une courte folie
Iurare in verba magistri : Jurer par les paroles du maître
Iuventus stultorum magister : La jeunesse est le professeur des fous
Labor omnia vincit improbus : Le travail opiniâtre vient à bout de tout
Laborare est orare : Travailler, c'est prier (devise bénédictine)
Lacrimis struit insidias cum femina plorat : Lorsque la femme pleure, elle tend un piège avec ses larmes (Caton)
Macte animo ! Generose puer, sic itur ad astra : Courage noble enfant ! C'est ainsi que l'on s'élève vers les étoiles.
Major e longinquo reverentia : De loin, l'admiration est plus grande
Medicus curat, natura sanat : Le médecin soigne, la nature guérit
Memento mori : Souviens-toi que tu es mortel ou souviens-toi que tu mourras
Memento audere semper : Souviens toi de toujours essayer/oser
Memento quia pulvis es : Souviens-toi que tu es poussière
Mens sana in corpore sano : Un esprit sain dans un corps sain (Juvénal)
Multi sunt vocati, pauci vero electi : Beaucoup d'appelés, mais peu d'élus
Mutatis mutandis : En changeant ce qui doit être changé ou en faisant les changements nécessaires
Natura abhorret a vacuo : La nature a horreur du vide
Nemo auditur propriam turpidudinem allegans : Nul ne peut se prévaloir de sa propre turpitude
Nemo censetur ignorare legem : Nul n'est censé ignorer la loi
Nemo judex in causa sua : Nul ne peut être à la fois juge et partie
Neque ignorare medicum oportet quæ sit ægri natura : Il ne faut pas que le médecin ignore quelle est la nature de la maladie
Nihil lacrima citius arescit : Rien ne sèche plus vite qu'une larme
Nil novi sub sole : Rien de nouveau sous le soleil
Nil sine numini : Il n'y a rien sans la volonté des dieux
Nomen est omen : Le nom est un présage
Non nobis domine, non nobis nomine sed tuo da gloriam : Non pour nous Seigneur, non pour nous, mais en votre nom et pour votre gloire
Non omnia possumus omnes : Tous ne peuvent pas tout
Non scholæ, sed vitæ discimus : Nous n'apprenons pas pour l'école mais pour la vie
Non ut edam vivo, sed ut vivam edo : Je ne vis pas pour manger, mais je mange pour vivre
Non vestimentum virum ornat, sed vir vestimentum : Ce n'est pas l'habit qui embellit l'homme, mais l'homme qui embellit l'habit
Non vini vi no, sed vi no aquæ : Je ne nage pas grâce au vin, je nage grâce à l'eau (Jeu de mots)
Nondum amabam, et amare amabam : Je n'aimais pas encore, pourtant je brûlais d'envie d'aimer
Nosce te ipsum : Connais toi toi-même !
Nulla poena sine lege : Nulle peine sans loi
Nulla regula sine exceptione : Pas de règle sans exception
O tempora, o mores ! Ô temps, ô mœurs ! (Cicéron) : Autres temps, autres mœurs
Oculi plus vident quam oculus : Plusieurs yeux voient mieux qu'un seul
Oculos habent et non videbunt : Ils ont des yeux mais ne voient pas
Omne ignotum pro terribili : Tout danger inconnu est terrible
Omnes homines sibi sanitatem cupiunt, sæpe autem omnia, quæ valetudini contraria sunt, faciunt : Tous les hommes désirent leur propre santé mais ils agissent souvent contre elle
Omnes vulnerant, ultima necat : Les heures blessent toutes, mais la dernière tue
Omnia mea mecum porto : Je transporte avec moi tous mes biens
Omnia vincit amor : L'amour triomphe de tout Omnibus viis Romam pervenitur : Tous les chemins mènent à Rome
Omnis homo mendax : Tout homme est menteur
Omnium artium medicina nobilissima est : De tout les arts, la médecine est le plus noble
Optimum medicamentum quies est : Le meilleur médicament est le repos
Pax melior est quam iustissimum bellum : La paix est meilleure que la plus juste des guerres
Pecunia non olet : L'argent n'a pas d'odeur (Vespasien)
Plenus venter non studet libenter : À plein ventre l'étude n'entre
Plures crapula quam gladius perdidit : L'ivresse a causé la perte de plus de gens que le glaive
Post cenam non stare sed mille passus meare : Après dîner ne reste pas, mais va flâner mille pas
Præsente medico nihil nocet : Quand le médecin est là, pas de danger
Prævenire melius est quam præveniri : Précéder vaut mieux que d'être précédé
Primus inter pares : Le premier parmi ses pairs
Qualis pater, talis filius : Tel père, tel fils
Qui nescit dissimulare, nescit regnare : Qui ne sait dissimuler, ne sait régner
Qui rogat, non errat : Poser des questions n'est pas une erreur
Qui scribit, bis legit : Celui qui écrit lit deux fois
Qui tacet, consentire videtur : Qui ne dit mot semble consentir
Quia pulvis es et in pulverem reverteris : Parce que tu es poussière et que tu retourneras à la poussière
Quidquid agis, prudenter agas, et respice finem ! : Quoi que tu fasses, fais-le avec prudence, sans perdre de vue la fin
Quidquid discis, tibi discis : Quoi que tu apprennes, tu l'apprends pour toi-même
Quis custodiet ipsos custodes ? : Qui gardera les gardiens ? (Juvénal)
Quo fata ferunt : Là où les destins l'emportent
Quod erat demonstrandum (Q.E.D.) : Ce qu'il fallait démontrer (CQFD) (Ponctue la fin d'une démonstration.)
Quod licet Iovis, non licet bovis : Ce qui est permis à Jupiter n'est pas permis au bœuf
Quod medicina aliis, aliis est acre venenum : Ce qui est un remède pour certains est poison violent pour d'autres
Quot capita, tot sententiæ : Autant d'avis différents que d'hommes
Reddite ergo quæ Cæsaris sunt Cæsari et quæ Dei sunt Deo : Rendez donc à César ce qui est à César et à Dieu ce qui est à Dieu
Repetitio est mater studiorum : La répétition est la mère des études
Requiescat in pace (R.I.P.) : Qu'il repose en paix
Sæpe morborum gravium exitus incerti sunt : Souvent, l'issue des maladies graves est incertaine
Salus ægroti suprema lex : Le bien-être du malade, voilà la loi suprême
Sapientia est potentia : La sagesse est pouvoir
Si napo leo viveret, hominem non esset : Si le lion vivait de navets il ne mangerait pas l'homme
Si tacuisses, philosophus mansisses : Si tu t'étais tu, tu serais resté un philosophe
Si vis pacem, para bellum : Si tu veux la paix, prépare la guerre
Si vis pacem, para iustitiam : Si tu veux la paix, prépare la justice
Sine labore non erit panis in ore : Sans travail il n'y aura pas de pain dans ta bouche, ou pour conserver le jeu de mots : Sans boulot, pas de fricot
Solem lucerna non ostenderent : On ne montre pas le soleil avec une lanterne (pour montrer l'évidence d'une chose)
Spoliatis arma supersunt : À ceux qui ont été dépouillés, une ressource reste : les armes
Tarde venientibus ossa : Pour les retardataires, des os. (se dit en parlant de ceux qui arrivent en retard à un repas)
Tempora mutantur et nos mutamur in illis : Le temps bouge, nous bougeons avec lui
Testis unus, testis nullus : Un seul témoin, pas de témoin
Ubi bene, ibi patria : La patrie est là où l'on se sent bien
Ubi concordia, ibi victoria : Là où il y a concorde, il y a victoire
Ubi lex non distinguit, non distinguere debemus : Là où la loi ne distingue pas, il ne faut pas distinguer
Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia : Là où tu seras Gaïus, je serai Gaïa (formule de fidélité dite par les époux romains lors du mariage)
Ultima ratio regum : Le dernier argument des rois (devise inscrite sur les canons par ordre du Cardinal de Richelieu)
Ultra posse nemo obligatur : À l'impossible nul n'est tenu
Unum castigabis, centum emendabis : Si tu réprimes une erreur, tu en corrigeras cent
Usus magister est optimus : L'expérience [ou la pratique] est le meilleur maître
Ut ameris, amabilis esto : Pour être aimé, sois aimable
Ut sis nocte levis, sit cena brevis : Si tu veux passer une bonne nuit, ne dîne pas longuement
Vade retro satana : Retire-toi, Satan !
Vanitas vanitatum et omnia vanitas : Vanité des vanités, tout est vanité (Cri de l'Écclésiaste)
Veni vidi vici : Je suis venu, j'ai vu, j'ai vaincu (Phrase de Jules César)
Verba docent, exempla trahunt : Les mots enseignent, les exemples entraînent
Verba volant, scripta manent : Les paroles s'envolent, les écrits restent
Veritas odium parit : La franchise engendre la haine (équivaut à l'actuel « Toute vérité n'est pas bonne à dire »)
Veritas odium parit, obsequium amicos : La franchise crée des ennemis, la flatterie des amis
Victrix causa diis placuit, sed victa Catoni : La cause du vainqueur a séduit les dieux, mais celle du vaincu a séduit Caton (Lucain, Pharsale, I, 128)
Vide supra : Voir plus haut
Video meliora proboque deteriora sequor : Je vois le bien, je l'aime et je fais le mal
Vinum aqua miscere : Mettre de l'eau dans son vin
Virtus post nummos : La vertu après l'argent Vox populi vox dei : La voix du peuple est la voix de Dieu
V.S.L.M abréviation de « Votum Solvit Libens Merito » : Il s'est acquité de son vœu, de bon gré, comme il se doit.
Vulnerant omnes, ultima necat : Toutes blessent, la dernière tue (adage sur les cadrans solaires)"
Proverbes latins
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Der 26. September 1996 war ein bedeutender Tag – auch wenn dies die Öffentlichkeit erst mehr als ein Jahr später erfahren sollte. An diesem Tag wurde Ernst Jünger in die katholische Kirche aufgenommen. Beim Gottesdienst zu diesem Anlaß wurde nach Jüngers Wunsch der Psalm 73 gebetet, in dem er die oft verschlungenen Pfade seines Lebens widergespiegelt sah:
„Lauter Güte ist Gott für Israel, für alle Menschen mit reinem Herzen. Ich aber – fast wären meine Füße gestrauchelt, beinahe wäre ich gefallen. Denn ich habe mich über die Prahler ereifert, als ich sah, daß es diesen Frevlern so gut ging. Sie leiden ja keine Qualen, ihr Leib ist gesund und wohlgenährt. (…) Sie sehen kaum aus den Augen vor Fett, ihr Herz läuft über von bösen Plänen (…) Sie reißen ihr Maul bis zum Himmel auf und lassen auf Erden ihrer Zunge freien Lauf. Darum wendet sich das Volk ihnen zu und schlürft ihre Worte in vollen Zügen. (…) Also hielt ich umsonst mein Herz rein und wusch meine Hände in Unschuld.
Und doch war ich alle Tage geplagt und wurde jeden Morgen gezüchtigt. Mein Herz war verbittert, mir bohrte der Schmerz in den Nieren. (…) Da sann ich nach, um das zu begreifen; es war eine Qual für mich, bis ich dann eintrat ins Heiligtum Gottes und begriff, wie sie enden. (…) Sie werden plötzlich zunichte, werden dahingerafft und nehmen ein schreckliches Ende. (…) Ich aber – Gott nahe zu sein ist mein Glück. Ich setze auf Gott, den Herrn, mein Vertrauen. Ich will all deine Taten verkünden.“
„Sie reißen ihr Maul bis zum Himmel auf“
Jünger konnte diesen Bibeltext auf seine lange religiöse Suche beziehen. Die Nationalsozialisten haben oftmals versucht, ihn für ihre Ideologie zu gewinnen und so wäre Jünger beinahe gestrauchelt. Doch Jünger erkannte ihre „bösen Pläne“ immer deutlicher, was schließlich 1933 zu seinem Ausschluss aus der Dichterakademie führte.
Wer vor dem Hintergrund der Biographie Ernst Jüngers den Psalm 73 liest, sieht vor seinem geistigen Auge Hermann Göring und Joseph Goebbels, wenn die Frevler beschrieben werden „sie sehen kaum aus ihren Augen vor Fett“ und „sie reißen ihr Maul bis zum Himmel auf.“
Wenn im Psalm von der Verbitterung des Herzens die Rede ist, denkt der Jünger-Freund unwillkürlich an die letzten Kriegsjahre in Paris, wo Jünger die „Pariser Tagebücher“ verfaßte, die später in seine „Strahlungen“ aufgenommen wurden.
Das Unsichtbare läßt sich für Jünger nur in Gleichnissen fassen
Doch der Psalm endet mit der Hinwendung zu Gott – ganz so wie das lange Leben Ernst Jüngers selbst. In seinem Alterswerk „Die Schere“ schreibt Jünger von der „Welt, die außerhalb unserer Erfahrung liegt.“ Er unterscheidet „zwischen dem Sichtbaren, dem Unsichtbaren und dem Nicht-Vorhandenen.“ Dieses Unsichtbare läßt sich für Jünger nur in Gleichnissen fassen.
Daher schreibt er „Gott“ immer in Anführungszeichen. Seine Begründung: „Die Wirklichkeit des Göttlichen ist für mich unleugbar, aber sie ist auch schwer zu definieren und zu benennen.“ Wie seine Konversion zeigt, war er allerdings der Meinung, daß der katholische Glaube der unfassbaren göttlichen Wahrheit wohl am nächsten kommt.
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Moins connus qu’Ernst Niekisch, Werner Lass et Karl-Otto Paetel sont deux figures atypiques du national-bolchevisme, décrit par Louis Dupeux comme le courant le plus fascinant de la Révolution Conservatrice.
Au coeur de la jeunesse bundisch
Né à Berlin le 20 mai 1902, Werner Lass appartient aux Wanderwogel de 1916 à 1920. En 1923, il est élu chef du Bund Sturmvolk dont une partie s’unit, en 1926, avec la Schilljugend du célèbre chef de corps-francs Gehrardt Rossbach (1). En 1927, Lass fait scission pour fonder la Freischar Schill, groupe bündisch dont Ernst Jünger devient rapidement le mentor (« Schirmherr ») et qui place au cœur de ses activités le « combat pour les frontières », les randonnées à l’étranger et la formation militaire (2).
D’octobre 1927 à mars 1928, Lass et Jünger s’associent pour éditer la revue Der Vormarsch (« L’Offensive »), créée en juin 1927 par un autre célèbre chef de corps-francs, le capitaine Ehrhardt. Désireux de dépasser les limites étroites du simple mouvement de jeunesse, il fonde le Wehrjugendbewegung ou Mouvement de jeunesse de défense. Il s’agit pour lui de lier la « dureté de l’engagement du soldat du front avec la force de réalisation et la profondeur du mouvement de jeunesse » afin de créer un nouveau type d’homme.
En août 1928, la Freischar Schill participe au Congrès mondial des organisations de jeunesse, à Ommen, en Hollande. Lass fait un coup éclat en protestant contre la « colonisation » de l’Allemagne et la non attribution d’un visa aux délégués russes. La même année il est emprisonné, accusé d’avoir participé à la révolte paysanne de Claus Heim qui secoue alors le Schlewig-Holstein, et son mouvement sera interdit dans plusieurs villes.
En 1929, la Freischar Schill entreprend des négociations avec le NSDAP, qui échouent du fait des prétentions exorbitantes de la Hitlerjugend. En septembre 1929, Lass fonde une ligue regroupant les membres les plus âgés, le Bund der Eidgenossen ou Ligue des Conjurés, qui adopte très vite des positions nationales-bolcheviques.
Die Kommenden et les nationalistes sociaux-révolutionnaires
Quelques mois plus tard, en janvier 1930, Werner Lass et Jünger prennent la direction de l’hebdomadaire Die Kommenden, qui exerce alors une grande influence auprès de toute la jeunesse bündisch. Lass y écrira de rares articles.
C’est à la rédaction de Die Kommenden qu’il croise la route d’une autre figure du national-bolchevisme des années 30 : Karl-Otto Paetel. Celui-ci est également né à Berlin, le 23 novembre 1906. Tout comme Lass, il a commencé à militer dans les rangs de la jeunesse bündisch, à la Deutsche Freishar et au Bund der Köngener. Issu d’un milieu très modeste, il a dû arrêter ses études quand la bourse dont il bénéficiait lui a été retirée après qu’il ai manifesté contre le plan Young. Esprit décidemment rebelle, il sera aussi exclu de la Deutsche Freishar, en 1930, à la suite d’un article jugé insultant envers le maréchal Hindenburg.
Animateur, de 1928 à 1930, du mensuel Das Junge Volk, Karl-Otto Paetel lie dans ses écrits, dès 1929, combat de libération nationale et lutte des classes : « Tout pour la nation !… Le mot d’August Winning, d’après lequel la lutte libératrice de la nation doit être le lutte du travailleur allemand mène ici à la seule conséquence possible : approuver la lutte des classes comme un fait, la pousser dans l’intérêt du peuple tout entier (…) l’emprunter comme une voie pour la victoire du nationalisme ».
En 1930, Paetel se voit proposer par Lass et Jünger la direction de Die Kommenden. Dans un article paru dans le premier numéro de l’année 1930, il appelle à « en faire un porte-parole de toutes les nouvelles impulsions et pensées qui partout sont à l’œuvre dans la jeune Allemagne, pour toutes les tentatives révolutionnaires de renouvellement » et à rejeter les « aboiements du libéralisme et de la réaction, en qui nous reconnaissons nos ennemis mortels » (3). Et d’assigner au journal une ligne résolument révolutionnaire : « Nous reprendrons à l’intérieur et à l’extérieur de l’espace allemand le combat contre le système de l’exploitation capitaliste, qui a toujours empêché l’intégration du prolétariat dans l’ensemble du destin allemand » (4).
Quelques mois plus tard, fin mai 1930, il crée le Gruppe sozialrevolutionarër nationalisten (Groupe des nationalistes sociaux-révolutionnaires). Une série d’articles, publiés dans le numéro du 27 juin 1930 présente la déclaration-programme du GSRN. Pour Paetel, « le sens de toute économie est uniquement la couverture des besoins de la nation et non pas la richesse et le gain » (5). Il en appelle à une « révolution mondiale », considère le bolchevisme comme un mouvement de libération nationale et souhaite l’alliance avec l’URSS pour faire pièce à l’esclavage exercé par les nations occidentales : « Nous nationalistes sociaux-révolutionnaires, nous en exigeons l’alliance avec l’Union soviétique . Nous voyons dans tous les peuples opprimés, à quelques races qu’ils appartiennent, nos alliés naturels »(6).
National-bolchevisme et national-socialisme
Pendant l’été 1930, Paetel est débarqué de Die Kommenden par les tenants d’un nationalisme plus classique. En janvier 1931, il lance le mensuel Die sozialistische Nation, qui se réclame du national-bolchevisme, prône la lutte des classes, la collaboration avec le PC et l’instauration de « l’Allemagne des conseils », et entend alors représenter « le secteur non marxiste, non matérialiste du front socialiste ». De son côté, Lass publie, en septembre 1932, une nouvelle revue, Der Umsturz (La Subversion), qui se veux l’organe « des nationalistes radicaux, des socialistes radicaux, des activistes révolutionnaires de toutes tendances » et se réclame ouvertement du national-bolchevisme. « Bolchevisme est présenté comme la quintessence de tout ce qui est destructeur et décomposant. Alors, c’est vrai, nous sommes nationaux-bolcheviks, car précisément, la voie de la nation ne passe que par cette destruction créatrice » (7) peut-on y lire.
L’orientation NB semble corroborée par les évènements des années 1930-1931, scission de l’aile gauche du NSDAP d’une part, politique « nationale » du KPD d’autre part. En ce qui concerne le NSDAP d’Hitler, les NB estiment qu’il s’est embourgeoisé. En 1931, Lass écrit ainsi : « Aujourd’hui au nationaliste convaincu du NSDAP peut seulement être accordé la tâche de radicaliser la large masse de la bourgeoisie et de contribuer au délitement national »(8). Rien de plus. Le 4 juillet 1930, Otto Strasser quitte le parti pour fonder la Communauté nationale-socialiste révolutionnaire. Mais très vite les NB se montrent critiques vis à vis des thèses strassériennes, stigmatisant son « socialisme à 49 % » et ses hésitations sur la question de l’alliance russe.
Le fossé entre NB et NS de gauche s’élargit encore du fait de l’espoir mis dans l’évolution du KPD. Le 24 août 1930, l’organe central, Die Rote Fahne, publie une « Déclaration programme pour la libération nationale et sociale du peuple allemand », qui accorde une large place à la question nationale. Il s’agit pour les communistes d’enrayer la radicalisation des classes moyennes, en développant une argumentation nationaliste appuyée sur un appel à une « alliance de classes » de tous les travailleurs contre le petit groupe de possédants capitalistes. Cette stratégie parvient à faire passer dans le camp communiste des nationalistes (9). Croyant naïvement qu’une ligne NB est à l’œuvre au KPD, Paetel multiplie les débats avec les communistes, prenant même la parole lors de leurs meetings. En 1932, il appelle même à voter pour le candidat communiste à l’élection présidentielle, Thaelmann . Début 1933, il publie un Manifeste national-bolchevik, dont les premiers exemplaires, imprimés le 29 janvier, sont distribués le soir même de l’arrivée au pouvoir d’Hitler.
Werner Lass sera arrêté, en mars 1933, pour détention d’explosifs et mis en prison. Après une instruction interrompue, la Freischar Schill et le Bund der Eidgenossen ayant été interdits, il intègre la Hitlerjugend, ce qui représente un cas unique parmi tous les chefs NB. Il en sera d’ailleurs exclu en 1934. De son côté, Paetel sera emprisonné à plusieurs reprises après l’arrivée au pouvoir d’Hitler, avant de parvenir à gagner Prague en 1935, puis la Scandinavie.
Edouard Rix
NOTES
(1) Son nom perpétue le souvenir du major Schill, tombé au cours de la lutte de libération contre l’occupation napoléonienne.
(2) Ses jeunes membres subissent une formation paramilitaire selon le « Reibert », manuel de l’infanterie allemande.
(3) K.O. Paetel, « Unser Weg », Die Kommenden, 1930, n°1, p. 2.
(4) Idem.
(5) T. Münzen « Gwendsätzeiches zum sozialistischen Wirtschaftsarfbau », Die Kommenden, 1930, n°26, p. 307.
(6) K. Baumann, « Sozialistische Revolution », Die Kommenden, 1930, n°26, p. 301.
(7) « Wir Nationalbolchewisten », Der Umsturz, n°6-7.
(8) W. Lass, « Vom vormarsch des Nationalismus », Die Kommenden, 1931, n°7, p. 76.
(9) C’est le cas du capitaine Beppo Romer, chef du bund Oberland, du sous-lieutenant Richard Scheringer, directeur de la revue Aufbruch, de Bruno von Salomon, frère d’Ernst et dirigeant du Landvolkbewegung, ou encore d’Harro Schulze-Boyser, animateur du journal Der Gegner.
Source : Réfléchir & Agir, été 2008, n°29, pp. 48-49.
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Ex: http://www.counter-currents.com/
The aim of Counter-Currents Publishing and our journal North American New Right is to create an intellectual movement in North America that is analogous to the European New Right. We aspire to learn from the European New Right’s strengths and limitations and to tailor its approach to the unique situation of European people in North America. Our aim is to lay the intellectual groundwork for a white ethnostate in North America.
To achieve this aim, we must understand the proper relationship of social theory to social change, metapolitics to politics, theory to practice. We must avoid drifting either into inactive intellectualism or unintelligent and therefore pointless and destructive activism.
Guillaume Faye’s visionary new book Archeofuturism, newly translated into English and published by Arktos Media, offers many important lessons for our project. Chapter 1, “An Assessment of the Nouvelle Droite,” is Faye’s settling of accounts with the French New Right. In the late 1970s and early 1980s, Faye was a leading thinker and polemicist of the French New Right before quitting in disillusionment. In 1998, after 12 years, he returned to the battle of ideas with Archeofuturism, which begins with an explanation of his departure and return.
In the 1970s and 1980s, the Nouvelle Droite, led by Alain de Benoist, was a highly visible and influential intellectual movement. The Nouvelle Droite published books and periodicals like Nouvelle École and Éléments; it sponsored lectures, conferences, and debates; it engaged the intellectual and cultural mainstreams. The Nouvelle Droite did more than receive coverage in the mainstream press, it often set the terms of debates to which the mainstream responded.
The Nouvelle Droite was deep; it was highbrow; it was radical; it was relevant; and, above all, it was exciting. It was based on the axiom that ideas shape the world. Bad ideas are destroying it, and only better ideas will save it. It had the right ideas, and it was increasingly influential. Its metapolitical strategy was a “Gramscianism” of the Right, i.e., an attempt to shape the ideas and ultimately the actions of the elites—academics, journalists, businessmen, politicians, etc.—as envisioned in the writings of Italian Marxist Antonio Gramsci.
However, according to Faye, as the 1980s came to a close, the Nouvelle Droite became less influential: “Regrettably, it has turned into an ideological ghetto. It no longer sees itself as a powerhouse for the diffusion of energies with the ultimate aim of acquiring power, but rather as a publishing enterprise that also organizes conferences but has limited ambitions” (pp. 24–25). The causes of this decline were based partly on objective conditions, partly on the movement’s own weaknesses.
Two of Faye’s points seem particularly relevant here. I should note that even if these points do not turn out to be entirely fair to the Nouvelle Droite, they still contain universal truths that are applicable to our project in North America.
1. The rise of the Front National of Jean-Marie Le Pen caused a decline in the visibility and influence of the Nouvelle Droite, whereas one would have thought that the Front National’s good fortunes would have magnified the Nouvelle Droite. After all, the two movements share much in common, and there can be little doubt that the Nouvelle Droite influenced the Front National and brought new people into its orbit.
Faye claims, however, that there are many “airlocks” that seal off the different circles of the French Right. Faye claims that the Nouvelle Droite never really tried to engage the Front National, because its members fundamentally misunderstood Gramsci. Gramsci’s cultural battle was organically connected with the economic and political struggles of the Italian Communist Party. The Nouvelle Droite, however, treated the battle as entirely cultural and intellectual. Thus they were not really Gramscians. They were actually followers of Augustin Cochin’s theory of the role of intellectual salons in paving the way for the French Revolution. Under the autocracy of the old regime, of course, one could ignore party and electoral politics. But after 1789, one cannot.
The North American New Right aims to change the political landscape. To do that, we must influence people who have power, or who can attain it. That means we must engage with organized political parties and movements. No, in the end, white people are not going to vote ourselves out of the present mess. But we are not in the endgame yet, and it may be possible to influence policy through the existing system. Moreover, there are other ways that parties attain power besides voting. Just look at the Bolsheviks.
We know that the present system is unsustainable, and although we cannot predict when and how it will collapse, we know that collapse will come. It is far more likely that whites can turn a collapse to our benefit if we already have functioning political organizations that aim at becoming the nucleus of a new society. Yet we will not have functioning political organizations unless we engage the presently existing political institutions, corrupt, sclerotic, and boring though they may be.
2. Even though the Nouvelle Droite did not engage with organized politics, it was organized according to “an outdated ‘apparatus logic’ of the type to be found in political parties, which was not appropriate for a movement and school of thought, as well as journalistic or editorial policy, and which led cadres to flee on account of ‘problems with the apparatus’” (p. 27). By an “apparatus logic,” Faye seems to mean a hierarchical organization in which an intellectual and editorial “party line” is promulgated.
Although Faye does not say so, the inability of the Nouvelle Droite to interface with the Front National may in fact be based on the fact that they shared the same structure and thus naturally perceived each other as rivals promulgating slightly different “party lines” and competing for the adherence of the same public.
The North American New Right is an intellectual movement with a political agenda, but it is not a political party. We do not have a rigorous and detailed party line, but we do share certain basic premises:
(a) Ideas shape history and politics.
(b) The survival of whites in North America and around the world is threatened by a host of bad ideas and policies: egalitarianism, the denial of biological race and sex differences, feminism, emasculation, racial altruism, ethnomasochism and xenophilia, multiculturalism, liberalism, capitalism, non-white immigration, individualism, consumerism, materialism, hedonism, anti-natalism, etc.
(c) Whites will not save ourselves unless we (i) speak frankly about the role of Jews around the world in promoting ideas and policies that threaten our race’s survival and (ii) work to reduce Jewish power and influence.
(d) Whites will not survive unless we regain political control over a viable national homeland or homelands.
These premises leave a great deal of latitude for interpretation and application. But that is good. As an intellectual movement, we embrace a diversity of opinions and encourage civil debate. We believe that this is the best way to attract talented and creative people who will advance our agenda. We also believe that debating diverse perspectives on these issues is the best way to arrive at the truth, or a workable approximation of it.
The North American New Right, therefore, is not a hierarchical intellectual sect. Instead, it is a network of independent authors and activists who share certain basic principles and aims. We collaborate where collaboration is possible. Where differences exist, we seek to build consensus through dialogue and debate. Where differences persist, we agree to disagree and either change the subject or part ways. Because we are a loose network, we can overlap and interface with any number of hierarchical organizations without competing with them.
Even though the North American New Right is a metapolitical movement, and everything we do bears in some way on politics, there will be times when the connections will seem remote and tenuous. Thus we will surely be mocked as pointy-headed, ivory-tower intellectuals or apolitical dandies, poseurs, and wankers.
That’s fine. A vibrant and effective intellectual movement has to be exciting to intellectuals, and intellectuals get excited by the damnedest things. Besides, I have learned from ample experience that bullet-headed pragmatists who see no value in any ideas that cannot contribute to an immediate change in poll numbers tend to give up or sell out anyway.
What does that mean for the editorial policy of Counter-Currents and the journal North American New Right? It means, first of all, that those of you who might be holding back because you imagine you diverge from the party line around here can relax. There is no party line beyond the basic agenda outlined above. Second, it means that we welcome civil debate and commentary on our articles, interviews, and reviews, including this one (here are the guidelines).
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In der Regel hat es die deutsche Sprache im Osten leichter als im Westen. Die Zahl derjenigen, die Deutsch als Fremdsprache lernen, sinkt in den westlichen Ländern schneller als in den östlichen. Eine Ausnahme bilden offenbar Frankreich und die Tschechische Republik. Im Elsaß zum Beispiel gibt es kräftige sprachpolitische Maßnahmen, das Deutsche zu fördern, während die tschechische Regierung den Einfluß der deutschen Sprache zugunsten von Englisch systematisch eindämmt.
Bemerkenswert ist in beiden Fällen, daß die Frage der Identität eine entscheidende Rolle spielt. Ausgerechnet der fortgeschrittene Verlust des Bewußtseins, daß das Elsaß historisch zum deutschen Sprach- und Kulturraum gehört, ermöglicht eine Wiederbesinnung auf die deutsche Sprache. Denn die wirtschaftliche Anziehungskraft der Bundesrepublik wird nunmehr wichtiger genommen als die kulturelle Absetzbewegung nach Frankreich. In elsässischen Tageszeitungen enthalten siebzig Prozent der Stellenangebote den Hinweis, daß der Arbeitgeber Deutschkenntnisse voraussetzt.
Elsässischer Werbefeldzug für Deutsch
Folglich erklärt Philippe Richert, der Präsident des elsässischen Regionalrats: „Das Beherrschen der deutschen Sprache ist für unsere Region längst nicht mehr nur eine Identitätsfrage. Deutschkenntnisse sind ein ausschlaggebender wirtschaftlicher Trumpf.“ Zwei Drittel der elsässischen Schüler und fast alle Grundschüler der 3. bis 5. Klasse lernen Deutsch. Zehn Prozent der Grundschüler werden sogar in zweisprachigen Klassen unterrichtet. Doch das erscheint vielen noch nicht als genug. Daher werben mittlerweile die Behörden für das Lernen der deutschen Sprache. Die Mittel für den Werbefeldzug wurden von 2009 auf 2010 auf 190.000 Euro verdreifacht. Das Werben für Deutsch wird von den wichtigsten politischen Instanzen gemeinsam mit der Straßburger Schulbehörde getragen.
Ganz anders sieht es in der Tschechischen Republik aus. Die dortige Regierung will sich in ihren sprachpolitischen Entscheidungen offenbar noch weiter von Deutschland entfernen. Anfang August beschloß das Parlament auf Vorschlag des rechtskonservativen Ministerpräsidenten Petr Nečas, daß Deutsch künftig nicht mehr als erste, sondern frühestens als zweite Fremdsprache gelehrt werden darf. Der Koalitionsvertrag legt außerdem fest, daß ab 2012 Englischunterricht ab der dritten Klasse verpflichtend ist. Bereits jetzt lernen schon 618.000 Schüler Englisch, aber nur noch 111.000 Deutsch.
Deutsch als erste Fremdsprache in der Tschechei verboten
Wirtschaftliche Gesichtspunkte haben bei der Entscheidung der Prager Regierung offenbar keine Rolle gespielt, denn Deutschland ist der größte ausländische Investor. Der Handel mit der Bundesrepublik macht fast ein Drittel des gesamten Außenhandels der Tschechischen Republik aus. Die Leiterin der Spracharbeit des Prager Goethe-Instituts befürchtet, daß die tschechischen Schüler im späteren Berufsleben ohne Deutschkenntnisse Schwierigkeiten haben werden. Da erscheint es als wirtschaftlich wenig sinnvoll, die Bürger vom Deutschunterricht abzuhalten.
Es scheint also so zu sein, daß man sich in Prag lieber der Amerikanisierung an den Hals wirft, als die Standortvorteile zu nutzen, zu denen die derzeit noch verbreitete Kenntnis der deutschen Sprache gehört. Ein Leser tadelt auf der Facebook-Seite der Deutschen Sprachwelt die Prager Entscheidung: „Meines Erachtens sollte man überall in Europa Englisch als 1. Fremdsprache verbieten. Wer diese erste Fremdsprache lernt, lernt keine zweite. Es handelt sich nicht um ein Bildungsprogramm, sondern um ein Kulturassimilierungsprogramm.“
00:20 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Langues/Linguistique | Lien permanent | Commentaires (1) | Tags : langues, allemand, langue allemande, alsace, république tchèque, mitteleuropa, europe, affaires européennes, politique internationale, politique, politique linguistique, école, enseignement | |
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di René Naba
Fonte: eurasia [scheda fonte]
L’Arabia Saudita, il nemico più intransigente di Israele, in teoria, aveva effettuato la più grande diversione della lotta araba, sostenendo l’Iraq contro l’Iran nella guerra convenzionale più lunga della storia moderna (1979 – 1988), deviando il colpo dal campo di battaglia principale, la Palestina, dirottando i giovani musulmani e arabi dal campo di battaglia della Palestina all’Afghanistan. A colpi di dollari e di Mujahidin, spesso ex detenuti nel loro paese, combatterà non contro Israele, ma a migliaia di chilometri di distanza, a Kabul, dove migliaia di giovani arabi e musulmani si batteranno per un decennio contro le forze atee comuniste, voltando le spalle, al tempo stesso, di nuovo alla Palestina, con l’incoraggiamento degli intellettuali occidentali, troppo contenti per questa opportunità. Cinquantamila arabi e musulmani si arruolarono sotto la bandiera dell’Islam, sotto la guida di Usama bin Ladin, ufficiale di collegamento dei sauditi e degli statunitensi, combatterono in Afghanistan l’ateismo sovietico in una guerra finanziata, in parte dalle petromonarchie del Golfo, con fino a venti miliardi di dollari, una somma equivalente al bilancio annuale di un quarto dei paesi membri dell’organizzazione panaraba. In confronto, i combattenti di /Hezbollah/ libanese, con un numero di molto inferiore, stimato in duemila combattenti, e con un budget ridotto rispetto a quello impegnato a finanziare gli arabi afghani, ha causato sconvolgimenti psicologici e militare più consistenti della legione islamica, nel rapporto tra le potenze regionali (6).
L’Afghanistan ha avuto una funzione trascinante sulla gioventù saudita, e i diplomatici statunitensi non cercarono di nascondere questo aspetto del conflitto. Rispondendo alla rivoluzione islamica iraniana, che minacciava la leadership saudita, la guerra in Afghanistan ha permesso all’Arabia Saudita di deviare il malcontento dei giovani dal problema palestinese, a quello anti-comunista (7), ammise, in seguito, senza mezzi termini l’ambasciatore USA a Riad, Chass Freeman. I finanziamenti per la jihad anti-sovietica sarebbero, di per sé, andati a carico del bilancio saudita, con un importo sostanzialmente pari al finanziamento concesso dall’Arabia Saudita ai “/paesi del campo di battaglia/”, Egitto, Siria e OLP (8), come contributo allo sforzo di guerra arabo. L’Islam wahhabita, che aggregava i leader arabi sunniti in una alleanza filo-statunitense (i principati del Golfo, la Giordania, Egitto, Marocco, Tunisia), indicati dal termine popolare colla definizione sprezzante di “Arabi d’America” (A/rab Amérika/) -l’asse della moderazione per gli occidentali- si lascerà così soppiantare sul proprio terreno, l’islam combattente, dai nazionalisti islamici, il libanese Hezbollah, Hamas e la Jihad palestinesi. Feconda, l’alleanza Arabia-USA nella guerra contro l’Unione Sovietica in Afghanistan (1980-1989), ha certamente accelerato l’implosione del blocco comunista, ma col loro allineamento incondizionato con gli Stati Uniti, sostenendo il miglior alleato strategico del loro nemico principale, Israele, (nonostante l’aggiunta del disprezzo che gli statunitensi hanno mostrato verso le loro aspirazioni, i fautori dell’Islam politico, principalmente l’Arabia Saudita, l’Iran imperiale della dinastia Pahlavi, il Marocco e l’Egitto di Sadat) hanno devastato l’area, evidenziandone la sua dipendenza e il suo ritardo tecnologico. Peggio ancora, la presa statunitense in Iraq, che l’Arabia ha incoraggiato, ha promosso la nascita del potere sciita nella ex capitale dell’impero abasside, facendo planare sull’Arabia Saudita, attraverso la sua affiliazione con l’Iran di Khomeini, il rischio di cadere in una trappola sciita. L’alleanza esclusiva dell’Islam sunnita con gli USA, che ha assicurato la pace del trono wahabita durante un mezzo secolo tumultuoso, finora non ha garantito la sua sopravvivenza futura. L’Arabia Saudita sarebbe riuscita nell’impresa di ottenere il rispetto del mondo musulmano, senza sparare un colpo verso Israele, senza ottenere alcuna concessione da parte degli statunitensi sul problema palestinese, mentre si applicano metodicamente a distruggere le vestigia del nazionalismo arabo. Ma il regno, che aveva lanciato due piani di pace per risolvere il conflitto arabo-israeliano (Piano Fahd, nel 1982, Piano Abdullah, 2002), senza la minima eco sia statunitense, che israeliana, non deviò mai dalla sua linea, nonostante questo rifiuto, probabilmente dovuto al fatto che, a livello subliminale, la dinastia wahhabita è stata la principale beneficiaria del sabotaggio operato per 30 anni dagli statunitensi e dagli israeliani, per ridurre la resistenza del nocciolo duro del mondo arabo-islamico: la neutralizzazione dell’Egitto da parte del trattato di pace con Israele (1979), la distruzione dell’Iraq (2003), lo strangolamento della Siria (2004), la ‘/caramellizzazione/’ della Libia (2005), l’isolamento dell’Iran (2006), al punto che Israele è, in definitiva il migliore alleato oggettivo dei wahhabiti, la rara combinazione di due regimi teocratici in tutto il mondo, no essendo lo Stato ebraico democratico che per la frazione ebraica della sua popolazione. In questo contesto, l’organizzazione clandestina al-Qaida di Usama bin Ladin e la rete transnazionale araba /Al-Jazeera/, appaiono, in retrospettiva, come delle escrescenze ribelli all’egemonia saudita sull’ordine interno Arabo, sia in politica che nei media. L’arma del petrolio che ha brandito durante la guerra di ottobre del 1973, se ha portato un notevole prestigio nel mondo arabo musulmano e ripristinato un equo prezzo del carburante, in cambio ha indebolito le economie in particolare dell’Europa e del Giappone, alleati naturali nel mondo arabo. Il proselitismo religioso che ha schierato in Asia centrale, nelle ex repubbliche sovietiche musulmane, ha tagliato la strada per un’alleanza con la Russia, facendo spazio all’egemonia USA. Un camuffamento supplementare che riflette gli errori della strategia saudita e il suo impatto negativo sullo spazio arabo, il wahhabismo che ha lottato instancabilmente contro l’Unione Sovietica, ridiventata l’eterna Russia, vede profilare, con il pretesto della lotta contro il terrorismo, un pericoloso movimento a tenaglia, che può chiudersi con la tacita alleanza tra la Russia, Israele e gli Stati Uniti, per gli attentati commessi dai seguaci dell’Arabia Saudita, dagli islamisti di Al-Qaida in Occidente e dai separatisti ceceni in Russia e Ossezia. Colmo del cinismo che rivela comunque una grande paura: l’apertura della prima conferenza mondiale sul terrorismo, il 5 e 6 febbraio 2005, a Riad. Che una tale conferenza si tenesse in casa della Jihad Islamica, dove i finanziatori principali a livello mondiale dei movimenti islamici, quattro anni dopo il raid anti-Usa del settembre 2001, hanno ottenuto la cauzione dell’Occidente per una tale operazione di riabilitazione, da la misura della confusione dei leader wahhabiti e dei loro sponsor statunitensi. L’Arabia Saudita è prigioniera e vittima delle sue scelte. Umiliazione suprema è il fatto che il presidente USA George W. Bush, ex dipendente delle società Saudite, è stato il più fermo sostegno del Primo Ministro di Israele più aggressivo, in nome proprio del fondamentalismo religioso, avallando anche il confinamento di Yasser Arafat, il leader legittimo del popolo palestinese, e riconoscendo il diritto di Ariel Sharon di modificare unilateralmente il tracciato dei confini internazionali, in spregio della legalità internazionale. La risposta più lancinante a questa cecità potrebbe essere, simbolicamente, la scelta obbligata di dover rassegnarsi a denominare il proprio nuovo canale televisivo pan-arabo “Al Arabia”, un termine che aveva bandito dal suo lessico diplomatico per mezzo secolo, riprendendolo adesso a malincuore, nella speranza di essere ascoltato di fronte alla concorrenza, con tono meno sottomesso all’ordine statunitense. Questo paese che ha consacrato la maggior parte dei suoi sforzi a combattere, più di ogni altro paese, il nazionalismo arabo, fino a stabilire l’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), una struttura diplomatica parallela e concorrente alla Lega Araba, che evolse, stranamente, a campione dell’arabismo a seguito della sconfitta militare israeliano in Libano, nell’estate del 2006, con grande stupore di quasi tutti gli osservatori internazionali. L’apostolo della fratellanza islamica per mezzo secolo, il paese la cui bandiera mostra il credo cardinale dell’Islam, accusò , senza vergogna, la Siria di aver fatto un patto con l’Iran, l’antica Persia, un paese musulmano ma non arabo, lasciando planare la minaccia di una nuova guerra di religione tra sunniti e sciiti, arabi e musulmani non-arabi, un comportamento che assomiglia a una mistificazione, illustrazione patetico della confusione del Regno. *Tra la dinastia wahhabita e Bin Ladin, la battaglia nell’ordine simbolico di un conflitto di legittimità* Il coinvolgimento di un membro della cerchia familiare del principe Bandar bin Sultan, figlio del ministro della Difesa e presidente del Consiglio nazionale di sicurezza, nella riattivazione dei simpatizzanti di Al-Qaida in Siria e nel Libano del Nord, nella regione del campo palestinese di Nahr el-Bared, ha dimostrato il grado di infiltrazione dei circoli pan-islamisti nella cerchia dei governanti sauditi, mentre mina il Regno nei confronti dei suoi interlocutori sia arabi che statunitensi. Sheikh Maher Hammoud, un muftì sunnita della moschea “/Al Quds/” di Saida (sud del Libano), ha apertamente accusato il principe Bandar, dalla rete /Jazeera/, sabato 26 giugno 2010, di finanziare i disordini in Libano, in particolare contro le aree cristiane, portando gli USA a dichiarare “/persona non grata/” Bandar, l’ex beniamino degli Stati Uniti, il “/Grande Gatsby/” dall’establishment statunitense. Circostanza aggravante, la disgrazia di Bandar sarebbe correlata a informazioni che affermano che egli ha l’intenzione di impegnarsi in un colpo di stato contro l’establishment saudita, per infrangere la legge della primogenitura che disciplina le regole alla successione dinastica in Arabia. Ciò prevede l’accesso al potere del decano della generazione più anziana. Il gruppo dirigente saudita conta molti gerontocrati, compresi alcuni in posizioni chiave, che soffrono di malattie debilitanti: il principe ereditario Sultan, ministro della Difesa, il ministro degli esteri, principe Saud al Faisal e il Governatore di Riyadh, principe Salman, mentre novecento nipoti scalpitano con impazienza per saltare nei posti di responsabilità, in un clima di intensa concorrenza. La congiura, concepita con l’aiuto di alti ufficiali della base aerea di Riyadh, sarebbe stata alimentata dai servizi segreti russi. L’operazione doveva avvenire a fine 2008, durante la guerra di Gaza, durante la transizione di poteri tra George Bush jr e il democratico Barack Obama. Con il sostegno di neo-conservatori statunitensi, di cui il principe saudita era un amico stretto, la transizione doveva, nello spirito dei suoi promotori, ridurre il divario generazionale del paese, in cui il 75 per cento della popolazione ha meno di 25 anni anni, mentre la classe dirigente ha un numero significativo di ottantenni. Il fatto che gli Stati Uniti, che controllano il regno con una rete di circa 36 posizioni dell’FBI e della CIA, non avesse avvisato il potere, da la misura della cautela statunitense. Yemen e Iraq, due paesi confinanti con l’Arabia Saudita, avrebbero costituito i due baluardi della difesa strategica del Regno, il primo nel sud, il secondo a nord dell’Arabia Saudita. E’ in questi due paesi che l’Arabia Saudita ha cominciato la lotta per garantire la continuità della dinastia, in due occasioni negli ultimi decenni, Lo Yemen che è servito da campo dello scontro tra repubblicani e monarchici arabi, al tempo della rivalità Faisal-Nasser negli anni ’60, e l’Iraq, teatro dello scontro tra sciiti rivoluzionari e sunniti conservatori, al tempo della rivalità Saddam Hussein- Khomeini negli anni ’80. Questi due paesi costituiscono, ormai, una fonte di pericolo, con l’eliminazione della leadership sunnita in Iraq, e con la reintroduzione di al-Qaida, nello Yemen, nel gioco regionale. L’inserimento di al-Qaida nella penisola arabica dallo Yemen, in questo contesto è una sfida di grande importanza. L’ancoraggio di una organizzazione principalmente sunnita, l’escrescenza del rigorismo wahhabita, sul fianco meridionale dell’Arabia Saudita, porta il segno di una sfida personale di bin Ladin agli ex padroni, poiché porta sul posto stesso della loro antica alleanza, la lite sulla legittimità tra la monarchia e il suo ex agente. Potrebbe avere un effetto destabilizzante sul regno, dove vive quasi un milione di lavoratori yemeniti. L’allarme è stato ritenuto abbastanza serio da condurre il re Abdullah ad impegnare le sue forze nei combattimenti in Yemen, nell’autunno del 2009, accanto alle forze governative, e ad attenuare la disputa con la Siria, incitando il suo uomo ligio in Libano, il nuovo primo ministro libanese Saad Hariri, a riprendere il cammino per Damasco. In tutti gli aspetti, la strategia saudita, sia nei confronti del mondo musulmano che dell’Iraq è un caso esemplare di suicidio politico. La partecipazione di quindici sauditi su 19 all’incursione di al-Qaida contro gli Stati Uniti, l’11 settembre 2001, come negli attacchi mortali che hanno colpito Riyadh il 12 maggio 2003, un mese dopo la caduta di Baghdad, uccidendo 20 morti, tra cui 10 statunitensi, hanno suonato un campanello d’allarme come forma di avvertimento. Adulato all’eccesso, il regno è ora oggetto di sospetti quasi universale da parte dell’opinione pubblica occidentale, e la sua strategia è criticata in tutta l’arabo. *Il re dell’Arabia Saudita, un pompiere incendiario * Sponsor originale dei taliban in Afghanistan, l’Arabia Saudita si dice sia stata la finanziatrice principale del programma nucleare pakistano, in cambio dell’assistenza fornita dal Pakistan nella supervisione della forza aerea saudita, che ha fornito per 20 anni l’addestramento ai suoi piloti e la protezione del suo spazio aereo. Un buon affare, simbolicamente materializzato dal nome della terza città di Faisalabad, in Pakistan, l’ex Lyallpur, in omaggio al contributo di Re Faisal di Arabia nella composizione delle controversie tra il Pakistan, secondo più grande paese musulmano dopo l’Indonesia, e il Bangladesh, durante la secessione della sua ex provincia, sotto la guida dello sceicco Mujibur Rahman, leader della /Lega Awami/ (10). Nonostante queste forti analogie, in particolare il patrocinio congiunto del regno saudita al miliardario saudita libanese e al Pakistan, come i loro posizionamenti simili in termini di geopolitica degli Stati Uniti; Rafik Hariri avrà diritto ad un tribunale internazionale speciale, per giudicare i suoi presunti assassini, ma non Benazir Bhutto, di cui è stata decimata tutta la dinastia. In questa prospettiva, il destino di Benazir Bhutto è stranamente simile a quello dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri e a quello dell’ex presidente egiziano Anwar Sadat, assassinato nel 1981, e all’effimero presidente del Libano Bashir Gemayel, leader delle milizie cristiane, assassinato nel 1982. I leader più utili alla diplomazia israeliano-statunitensi, più da morti che da vivi. Al culmine della diplomazia saudita, in seguito all’invasione dell’Iraq nel 2003, i due leader arabi, Hariri (Libano) e Ghazi al Yaour (Iraq) che si sono trovati contemporaneamente al potere nei rispettivi paesi, erano titolari della nazionalità saudita. In questo contesto, non è irrilevante notare che Rafik Hariri è stato assassinato nei quindici giorni che seguirono l’elezione di un curdo, Jalal Talabani, a capo dell’Iraq, e l’attribuzione a un sciita della presidenza del Consiglio dei Ministri, scartando un sunnita dal governo della ex capitale abasside, su cui sventolava, d’altronde, all’epoca, il nuovo emblema iracheno disegnato dal proconsole Paul Bremer, dai colori curdo-israeliani (blu-bianco e giallo-bianco). Cosa che, inoltre, innescò un’ondata senza precedenti di attacchi contro i simboli dell’invasione statunitense dell’Iraq e dei suoi alleati regionali. Pompiere piromane, il monarca ottuagenario (86 anni), al potere da quindici anni, si trova all’epicentro di un conflitto che ha continuato ad alimentare, e con cui potè avallare l’invasione statunitense dell’Iraq, con ripercussione l’eliminazione dei sunniti del potere centrale, con il ruolo pioniere del falso testimone siriano presso gli investigatori internazionali, Zuhair Siddiq, un factotum del generale Rifa’at al-Assad, zio e rivale del presidente siriano Bashar al_Assad, e soprattutto cognato del re dell’Arabia Saudita, per destabilizzare il presidente libanese Emile Lahoud e sostituirlo con il secondo cognato del re, il deputato libanese Nassib Lahoud. Sfidato sul fianco meridionale, nello Yemen, dalla principale organizzazione fondamentalista sunnita del mondo musulmano, dalle dimensioni planetarie, al-Qaida, escrescenza ribelle del modello wahabita, il re Abdullah è contestato dall’equazione rappresentata dalla gloriosa storia militare di /Hezbollah/, la principale organizzazione paramilitare del Terzo Mondo, di osservanza sciita. Abdullah appare come l’apprendista stregone di una questione che lo trascende, il demiurgo di questioni che lo sovrastano sia in Iraq che in Libano, prima che in Afghanistan. In questa prospettiva, l’affare del secolo concluso nel settembre 2010 tra Arabia Saudita e Stati Uniti, di circa 90 miliardi di dollari in armi, tra cui quasi trecento aerei e missili, mira ufficialmente a rafforzare il Regno nei confronti dell’Iran, non d’Israele, potenza nucleare che occupa Gerusalemme, il 3° luogo santo dell’Islam, ma anche e soprattutto a consolidare la dinastia nel suo ruolo di gendarme regionale, mentre i due paesi baluardo dell’Arabia (Yemen e Iraq) sono destabilizzati e l’arco dell’Islam, che va dalla Somalia all’Indonesia attraverso l’Asia Centrale e il Golfo, diviene il nuovo centro di gravità strategico del pianeta, con l’emergere di Cina e India e il loro accerchiamento dell’Occidente dall’Africa. Indice complementare del suo vassallaggio, il nuovo contratto militare da 90 miliardi di dollari, firmato tra Stati Uniti e Arabia Saudita. Il più grande affare d’armi nella storia mira a “rafforzare la capacità combattiva del Regno contro l’Iran”, senza porre rischi su Israele. Gli aerei sauditi saranno privati delle armi a lungo raggio, per garantire lo spazio aereo israeliano e le loro prestazioni, sia in termini di attrezzature come di maneggevolezza, saranno in ogni caso, meno potenti del nuovo velivolo che gli Stati Uniti prevedono di vendere a Israele, i 20 caccia-bombardieri F-35 /Lightning II/ (JSF-35), il super-bombardiere da superiorità tecnologica, il cui enorme costo unitario ammonta a 113.000.000 di dollari ciascuno. Così, con un sotterfugio che gli scienziati politici statunitensi definiscono nella voce “Politica della paura”, la politica dell’intimidazione, che consiste nel presentare l’Iran come uno spauracchio, per cui l’Arabia Saudita è costretta a creare, non una difesa a tutto tondo, ma una posizione di difesa contro l’Iran, che rafforzi il regno “/contro l’Iran/”, potenza sulla soglia nucleare, e non Israele, una potenza nucleare completa e, inoltre, potenza occupante di Gerusalemme, il terzo luogo santo dell’Islam. In totale, l’ammontare degli accordi militari tra le monarchie petrolifere del Golfo e gli Stati Uniti, nel 2010-2011, sarà pari a 123 miliardi di dollari. Il resto sarà diviso tra Emirati Arabi Uniti, Kuwait e il sultanato di Oman, che sbloccheranno, nei quattro, una somma colossale per ridurre la disoccupazione negli Stati Uniti, mantenere un bacino di lavoro di 75.000 posti in cinque anni e giustificare, sotto l’apparenza di un falso equilibrio, una transazione qualitativamente superiore tra gli Stati Uniti e Israele. Settantotto anni dopo l’indipendenza, la triade su cui è stato stabilito il regno (Islam, Petrolio e wahabismo) sembra assumere una nuova configurazione. Se l’Islam, la sua rendita di posizione, è assicurata per sempre, il petrolio è destinato a prosciugare o degradare a causa delle energie alternative, come anche la dinastia wahhabita, a meno di una sfida della sua visione monolitica dell’Islam e del mondo, dalla sua concezione dello Stato e dei suoi rapporti con i cittadini, del suo rapporto con la realtà col mondo arabo, non composto solo da musulmani, o da soli sunniti, o da soli arabi (curdi e cabili), ma anche dagli arabi sciiti spesso patrioti, e da patrioti non sempre musulmani (arabi cristiani), non sempre necessariamente in permanente stato di prostrazione davanti gli Stati Uniti d’America, e ai suoi benefici e danni. La famiglia reale saudita ha seguito un percorso curioso per rimanere al potere, il perfetto contro-esempio negli annali della geopolitica mondiale.* *Avendo troppo manipolato i suoi alleati islamici, si è indebolita, dando loro la possibilità di rivoltarsi contro il loro ex mentore. Strumentalizzando le sue formazioni pan-islamiche in operazioni diversive (Afghanistan) o di destabilizzazione (Siria, Egitto e Algeria), senza mai rinnegarle o controllarle, l’Arabia Saudita si troverà caricata dal peso negativo della distruzione islamista dei Buddha di Bamiyan da parte dei Taliban, degli attacchi anti-USA dell’11 settembre 2001, sottoposta al sospetto dell’opinione pubblica occidentale e alla vendetta dei suoi ex protetti islamisti. Come spiegare un simile comportamento? Che i leader abbiano potuto, in un periodo così lungo, confinarsi nel ruolo di subappaltatori, accettando di correre alla cieca in un combattimento contro dei nemici, assegnatili dai loro tutori, senza accennare a un momento di esitazione, a un lampo di orgoglio nazionale? Amputarsi consapevolmente di alleati naturali, senza sollevare la questione della compatibilità con l’interesse nazionale? Condannare l’avanguardia rivoluzionaria araba, sacrificarla per la soddisfazione degli interessi stranieri, senza entrare nel merito della fondatezza di una tale politica? A quale logica risponde un tale comportamento singolare. Follia o megalomania? Machiavellismo o cinismo servile? Incoscienza o aberrazione mentale? Postura o impostura? Quasi quaranta anni dopo i fatti, la rilevanza di una tale politica non è stata provata, ma si è rivelato un dato di fatto che “/ci sia qualcuno peggio del boia: il suo servo/”(9). Una frase su cui riflettere mentre il Regno, banca centrale del petrolio, pianifica per la prima volta nella sua storia, di mettere fine alla ricerca di idrocarburi nel suo sottosuolo, al fine di salvare la sua ricchezza, in modo da trasmetterla “/alle generazioni future/”(10), mentre la sua ricchezza rischia di prosciugarsi, e di conseguenza la sua impunità, proprio mentre la Cina è pronta a sfidare la leadership globale degli USA. *Riferimenti * 7 – Precisazioni di Chass Freeman, ex ambasciatore statunitense in Arabia Saudita (1989-1993) basato sulla funzione deviante della guerra in Afghanistan verso la gioventù saudita dal problema palestinese, al centro del documentario di Jihane Tahri 8 – “/Una Guerra Empia. La CIA e l’estremismo islamico (1950-2001)/” di John Cooley, un ex corrispondente dal Medio Oriente per il quotidiano di Boston Christian Science Monitor e ABC News. Edizioni Eleuthera, 2001. 9 – Definzione del conte Honoré Gabriel de Mirabeau (1749-1791), uno degli oratori più brillanti della Rivoluzione francese, autore di «/Essai sur les lettres de cachet et les prisons d’état/». 10– Cfr. Le Monde 7 luglio 2010 «/Le roi Abdallah annonce l’arrêt de l’exploration pétrolière en Arabie Saoudite/». Un freno in più (e notevole) per rallentare il declino della produzione mondiale. L’Arabia Saudita, primo produttore mondiale di petrolio, avrebbe messo fine alla esplorazione sul suo suolo, al fine di salvare la sua ricchezza e trasmetterla alle generazioni future, secondo una dichiarazione da re Abdullah in data 1° luglio. L’annuncio è stato dato a Washington davanti a degli studenti sauditi, dice l’agenzia di stampa ufficiale saudita. Pronunciato due giorni dopo un incontro tra il re saudita e il presidente Barack Obama, suona come un avvertimento. L’arresto dello sviluppo di nuovi campi petroliferi in Arabia Saudita, rischia di complicare ulteriormente il futuro della produzione mondiale di petrolio, di fronte all’aumento della domanda. Infatti, l’Arabia Saudita da sola detiene il 20% delle riserve mondiali di oro nero. Temperando il disagio innescato dal bando, un ufficiale del ministero saudita del Petrolio ha detto all’agenzia /Dow Jone/s, che la dichiarazione dell’organismo non significa una decisione definitiva, “/ma in realtà voleva dire che le esplorazioni future dovrebbero essere condotte con saggezza/”, dice il Financial Times. Il quotidiano economico londinese ha detto che la compagnia petrolifera nazionale saudita Aramco, dovrebbe compiere oggi delle prospezioni nel Mar Rosso e nel Golfo Persico. Traduzione di Alessandro Lattanzio
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"Le communisme, pour subsister, supprime tant de mots, tant d'idées, tant de faits, que les sujets formés par ses soins n'auront plus le besoin de parler, de penser, ni d'agir : ce seront des huîtres attachées côte à côte, sans activité ni sentiment, sur le rocher de la fraternité. Quelle philosophie intelligente et progressive que le communisme !"… mais je ne voudrais pas déflorer ce que le livre souligne par ailleurs.
JG Malliarakis
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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2002
Les thèmes de la géopolitique et de l'espace russe dans la vie culturelle berlinoise de 1918 à 1945
Karl Haushofer, Oskar von Niedermayer & Otto Hoetzsch
Intervention de Robert Steuckers à la 10ième Université d'été de «Synergies Européennes», Basse-Saxe, août 2002
Analyse : Karl SCHLÖGEL, Berlin Ostbahnhof Europas - Russen und Deutsche in ihrem Jarhhundert, Siedler, Berlin, 368 S., DM 68, 1998, ISBN 3-88680-600-6.
En 1922, après l'effervescence spartakiste qui venait de secouer Berlin et Munich, un an avant l'occupation franco-belge de la Ruhr, le Général d'artillerie bavarois Karl Haushofer, devenu diplômé en géographie, est considéré, à l'unanimité et à juste titre, comme un spécialiste du Japon et de l'espace océanique du Pacifique. Son expérience d'attaché militaire dans l'Empire du Soleil Levant, avant 1914, et sa thèse universitaire, présentée après 1918, lui permettent de revendiquer cette qualité. Haushofer entre ainsi en contact avec deux personnalités soviétiques de premier plan: l'homme du Komintern à Berlin, Karl Radek, et le Commissaire aux affaires étrangères, Georgi Tchitchérine (qui signera les accords de Rapallo avec Rathenau). Dans quel contexte cette rencontre a-t-elle eu lieu? Le Japon et l'URSS cherchaient à aplanir leurs différends en entamant une série de négociations où les Allemands ont joué le rôle d'arbitres. Ces négociations portent essentiellement sur le contrôle de l'île de Sakhaline. Les Japonais réclament la présence de Haushofer, afin d'avoir, à leurs côtés "une personnalité objective et informée des faits". Les Soviétiques acceptent que cet arbitre soit Karl Haushofer, car ses écrits sur l'espace pacifique —négligés en Allemagne depuis que celle-ci a perdu la Micronésie à la suite du Traité de Versailles— sont lus avec une attention soutenue par la jeune école diplomatique soviétique. Qui plus est, avec la manie hagiographique des révolutionnaires bolcheviques, Haushofer a connu les frères Oulianov (Lénine) à Munich avant la première guerre mondiale; il aimait en parler et relatera plus tard ce fait dans ses souvenirs. L'intérêt soviétique pour la personne du Général Haushofer durera jusqu'en 1938, où, changement brusque d'attitude lors des grandes procès de Moscou, le Procureur réclame la condamnation de Sergueï Bessonov, qu'il accuse d'être un espion allemand, en contact, prétend-il, avec Haushofer, Hess et Niedermayer (cf. infra). Les mêmes accusations avaient été portées contre Radek, qui finira exécuté, lors des grandes purges staliniennes.
Ces trois faits d'histoire —la présence de Haushofer lors des négociations entre Japonais et Soviétiques, le contact, sans doute fort bref et parfaitement anodin, entre Haushofer et Lénine, les condamnations et exécutions de Radek et de Bessonov— indiquent qu'indépendamment des étiquettes idéologiques de "gauche" ou de "droite", la géopolitique, telle qu'elle est théorisée par Haushofer à Munich et à Berlin dans les années 20, ne s'occupe que du rapport existant entre la géographie et l'histoire; elle est donc considérée comme une démarche scientifique, comme un savoir pratique et non pas comme une spéculation idéologique ou occultiste, véhiculant des fantasmes ou des intérêts. A l'époque, on peut parler d'une véritable "Internationale de la géopolitique", transcendant largement les étiquettes idéologiques, tout comme aujourd'hui, un savoir d'ordre géopolitique, éparpillé dans une multitude d'instituts, commence à se profiler partout dans un monde où les grands enjeux géopolitiques sont revenus à l'ordre du jour : la question des Balkans, celle de l'Afghanistan, remettent à l'avant-plan de l'actualité toutes les grandes thématiques de la géopolitique, notamment celles qu'avaient soulignées Mackinder et Haushofer.
Une démarche factuelle et matérielle, sans dérive occultiste
A partir de 1924, Haushofer publie sa Zeitschrift für Geopolitik (ZfG; "Revue pour la géopolitique"), où il met surtout l'accent sur l'espace du Pacifique, comme l'attestent ses articles et sa chronique, rédigée notamment grâce à des rapports envoyés par des correspondants japonais. La teneur de cette revue est donc politique et géographique pour l'essentiel, contrairement aux bruits qui ont couru pendant des décennies après 1945, et qui commencent heureusement à s'atténuer; ces "bruits" évoquaient une fantasmagorique dimension "ésotérique" de la Zeitschrift für Geopolitik (ZfG); on a raconté que Haushofer appartenait à toutes sortes de sectes ésotériques ou occultes (voire occultistes). Ces allégations sont bien sûr complètement fausses. De plus, l'intérêt porté à Haushofer et à ses thèses sur l'espace du Pacifique par la jeune diplomatie soviétique, par Radek et Tchitchérine, est un indice complémentaire —et de taille!— pour attester de la nature factuelle et matérielle de ses écrits; les sectes étant par définition irrationnelles, comment un homme, que l'on dit plongé dans cet univers en marge de toute rationalité scientifique, aurait pu susciter l'intérêt et la collaboration active de marxistes matérialistes et historicistes? De marxistes qui tentent d'expurger toute irrationalité de leurs démarches intellectuelles? L'accusation d'occultisme portée à l'encontre de Haushofer est donc une contre-vérité propagandiste, répandue par les services et les puissances qui ont intérêt à ce que son œuvre demeure inconnue, ne soit plus consultée dans les chancelleries et les états-majors. Il va de soi qu'il s'agit des puissances qui ont intérêt à ce que le grand continent eurasien ne soit pas organisé ni aménagé territorialement jusqu'en ses régions les plus éloignées de la mer.
Le principal ouvrage géopolitique et scientifique de Haushofer est donc sa Geopolitik des Pazifischen Raumes ("Géopolitique de l'espace pacifique"), livre de référence méticuleux qui se trouvait en permanence sur le bureau de Radek, à Berlin comme à Moscou. Karl Radek jouait le rôle du diplomate du PCUS ("Parti communiste d'Union Soviétique"). Il a cependant plaidé, au moment où les Français condamnent à mort et font fusiller l'activiste nationaliste allemand Albert Leo Schlageter, pour un front commun entre nationaux et communistes contre la puissance occidentale occupante. Plus tard, Radek sera nommé Recteur de l'Université Sun-Yat-Sen à Moscou, centre névralgique de la nouvelle culture politique internationale que les Soviets entendent généraliser sur toute la planète. Radek organisera, au départ de cette université d'un genre nouveau, un échange permanent entre universitaires, dont le savoir est en mesure de forger cette nouvelle culture diplomatique internationale.
Trois figures emblématiques
Dans le cadre de cette Université Sun-Yat-Sen , trois figures emblématiques méritent de capter aujourd'hui encore notre attention, tant leurs démarches peuvent encore avoir une réelle incidence sur toute réflexion actuelle quant au destin de la Russie, de l'Europe, de l'Asie centrale et quant aux théories générales de la géopolitique: Mylius Dostoïevski, Richard Sorge et Alexander Radós.
Mylius Dostoïevski est le petit-fils du grand écrivain russe. Qui, rappelons-le, a jeté les bases d'une révolution conservatrice en Russie, au-delà des limites de la slavophilie du début du 19ième siècle, et a consolidé, par ricochet, la dimension russophile de la révolution conservatrice allemande, par le biais de ses réflexions consignées dans son Journal d'un écrivain, ouvrage capital qui sera traduit en allemand par Arthur Moeller van den Bruck. Mylius Dostoïevski s'était spécialisé en histoire et en géographie du Japon, de la Chine et de l'espace maritime du Pacifique. Il appartiendra à la jeune garde de la diplomatie soviétique et sera un lecteur attentif de la ZfG; pour rendre la politesse à ces jeunes géographes soviétiques, selon sa courtoisie habituelle, Karl Haushofer rendra toujours compte, avec précision, des évolutions diverses de la nouvelle géopolitique soviétique. Il estimait que les Allemands de son temps devaient en connaître les grandes lignes et la dynamique.
Richard Sorge, autre lecteur de la ZfG, était un espion soviétique en Extrême-Orient. On connaît son rôle pendant la seconde guerre mondiale. En 1933, au moment où Hitler prend le pouvoir en Allemagne, Sorge était en contact avec l'école géopolitique de Haushofer. Il le restera, en dépit du changement de régime et en dépit des options anti-communistes officielles, preuve supplémentaire que la géopolitique se situe bien au-delà des clivages idéologiques et politiciens. Au cours des années qui suivirent la "Machtübernahme" de Hitler, il écrivit de nombreux articles substantiels dans la ZfG. Sa connaissance du monde extrême-oriental —et elle seule— justifiait cette collaboration.
Alexander Radós et "Pressgeo"
Indubitablement, le principal disciple soviétique de Karl Haushofer a été l'Israélite hongrois Alexander Radós, un géographe de formation, qui a servi d'espion au profit de la jeune URSS, notamment en Suisse, plaque tournante de nombreux contacts officieux. Radós est l'homme qui a forgé tous les nouveaux concepts de la géographie politique soviétique. Il est, entre autres, celui qui forgea la dénomination même d'«Union des Républiques Socialistes Soviétiques». Radós fut principalement un cartographe, qui a commencé sa carrière en établissant des cartes du trafic aérien, lesquelles constituaient évidemment une innovation à son époque. Il enseignait à l'«Ecole marxiste de formation des Travailleurs» ("Marxistische Arbeiterschulung"). Il fonde ensuite la toute première agence de presse cartographique du monde, qu'il baptise "Pressgeo", où travaillera notamment une future célébrité comme Arthur Koestler. La fondation de cette agence correspond parfaitement aux aspirations de Haushofer, qui voulait vulgariser —et diffuser au maximum au sein de la population— un savoir pragmatique d'ordre géographique, historique et économique, assorti d'un esprit de défense. La carte, esquisse succincte, instrument didactique de premier ordre, sert l'objectif d'instruire rapidement les esprits décisionnaires des armées et de la diplomatie, ainsi que les enseignants en histoire et en science politique qui doivent communiquer vite un savoir essentiel et vital à leurs ouailles.
Haushofer parlait aussi, en ce sens, de "Wehrgeographie", de "géographie défensive", soit de "géographie militaire". L'objectif de cette science pragmatique était de synthétiser en un simple coup d'œil cartographique toute une problématique de nature stratégique, récurrente dans l'histoire. Pédagogie et cartographie formant les deux piliers majeurs de la formation politique des élites et des masses. Yves Lacoste, en France aujourd'hui, suit une même logique, en se référant à Elisée Reclus, géographe dynamique, réclamant une pédagogie de l'espace, dans une perspective qu'il voulait révolutionnaire et "anarchique". Lacoste, comme Haushofer, a parfaitement conscience de la dimension militaire de la géographie (et, a fortiori, de la "Wehrgeographie"), quand il écrit, en faisant référence aux premiers cartographes militaires de la Chine antique: «La géographie, ça sert à faire la guerre!».
De l'utilité pédagogique de la cartographie
Michel Foucher, professeur à Lyon, dirige aujourd'hui un institut géographique et cartographique, dont les cartes, très didactiques, illustrent la majeure partie des organes de presse français, quand ceux-ci évoquent les points chauds de la planète. Dans ce même esprit pluridisciplinaire, à volonté clairement pédagogique, —qui, en France et en Allemagne, va de Haushofer à Lacoste et à Foucher— Alexander Radós, leur précurseur soviétique, publie, en URSS et en Allemagne, en 1930, un Atlas für Politik, Wirtschaft und Arbeiterbewegung ("Atlas de la politique, de l'économie et du mouvement ouvrier"). Radós est ainsi le précurseur d'une manière innovante et intéressante de pratiquer la géographie politique, de mêler, en d'audacieuses synthèses, un éventail de savoirs économiques, géographiques, militaires, topographiques, géologiques, hydrographiques, historiques. Les synthèses, que sont les cartes, doivent servir à saisir d'un seul coup d'œil des problématiques hautement complexes, que le simple texte écrit, trop long à assimiler, ne permet pas de saisir aussi vite, d'exprimer sans détours inutiles. Ce fut là un grand pas en avant dans la pédagogie scientifique et politique, dans le sens inauguré, un siècle auparavant, par le géographe Carl Ritter.
Cette cartographie facilite le travail du militaire, du géographe et de l'homme politique; elle permet, comme le soulignait Karl August Wittfogel, de sortir d'une impasse de la vieille science géographique traditionnelle (et "réactionnaire" pour les marxistes), où, systématiquement, on avait négligé les macro-processus enclenchés par le travail de l'homme et, ainsi, le caractère "historique-plastique" de ce que l'on croyait être des "faits éternels de nature". C'est dans cette position épistémologique fondamentale, qu'au-delà des clivages idéologiques, fruits d'"éthiques de la conviction" aux répercussions calamiteuses, se rejoignent Elisée Reclus, Haushofer, Radós, Wittfogel, Lacoste et Foucher. Wittfogel , qui se pose comme révolutionnaire, reconnaît cette "plasticité historique" dans l'œuvre du "géopolitologue bourgeois" Karl Haushofer. Les deux écoles, l'haushoférienne et la marxiste, veulent inaugurer une géographie dynamique, où l'espace n'est plus posé comme un bloc inerte et immobile, mais s'appréhende comme un réseau dense de relations, de rapports, de mouvements, en perpétuelle effervescence (on songe tout naturellement au "rhizome" de Gilles Deleuze, qui inspire les "géophilosophes" italiens actuels). Au sein de ce réseau toujours agité, le temps peut apporter des époques de repos, de plus grande quiétude, comme il peut injecter du dynamisme, de la violence, des bouleversements, qui contraignent les personnalités politiques de valeur à œuvrer à des redistributions de cartes. Le travail de l'homme, qui domestique certains espaces en les aménageant et en créant des moyens de communication plus rapides, est un travail proprement "révolutionnaire"; les hommes politiques qui refusent d'aménager l'espace, dans un esprit de défense territoriale ou dans l'esprit d'assurer aux générations futures communications et ressources, sont des "réactionnaires", des lâches qui préfèrent de lents pourrissements à la dynamique de transformation. Des capitulards qui font ainsi le jeu pervers des thalassocraties.
Par conséquent, évoquer des hommes comme Mylius Dostoïevski, Richard Sorge, Alexander Radós ou Karl August Wittfogel, nous apparaît très utile, intellectuellement et méthodologiquement, car cela prouve:
◊ que l'intérêt général pour la géopolitique aujourd'hui ne peut plus être mis en équation avec un intérêt malsain pour le passé national-socialiste (contexte dans lequel Haushofer a dû œuvrer);
◊ qu'aucune morbidité d'ordre ésotérique ou occultiste ne se repère dans l'œuvre de Haushofer et de ses disciples allemands ou soviétiques;
◊ que ces écoles ont posé d'important jalons dans le développement de la science politique, de la géographie et de la cartographie;
◊ qu'elles ont laissé en héritage un bagage scientifique de la plus haute importance;
◊ que nous devrions davantage nous intéresser aux développements de la géopolitique soviétique des années 20 et 30 (et analyser l'œuvre de Radós, par exemple).
Oskar von Niedermayer, le "Lawrence allemand"
Outre Haushofer, une approche du savoir géopolitique, tel qu'il sera déployé à Berlin dans les années 20, 30 et 40, ne peut omettre d'étudier la figure du Chevalier Oskar von Niedermayer, celui que l'on avait surnommé, le "Lawrence d'Arabie" allemand. Né en 1885, Oskar von Niedermayer embrasse la carrière d'officier, mais ne se contente pas des simples servitudes militaires. Il étudie à l'université les sciences naturelles physiques, la géographie et les langues iraniennes (ce qui lui permettra d'avoir des contacts suivis avec la Communauté religieuse Ba'hai, qui, à l'époque, était quasiment la seule porte ouverte de l'Iran sur l'Occident). De 1912 à 1914, il effectue un long voyage en Perse et en Inde. Il sera ainsi le premier Européen à traverser de part en part le désert de sable du Lout (Dacht-i-Lout). En 1914, quand éclate la première guerre mondiale, Oskar von Niedermayer, accompagné par Werner Otto von Henting, sillonne les montagnes d'Afghanistan pour inciter les tribus afghanes à se soulever contre les Anglais et les Russes, afin de créer un "abcès de fixation", obligeant les deux puissances ennemies de l'Allemagne à dégarnir partiellement leurs fronts en Europe, dans le Caucase et en Mésopotamie. Cette mission sera un échec. En 1919, Niedermayer se retrouve dans les rangs du Corps Franc du Colonel Chevalier Franz von Epp qui écrase la République des Conseils de Munich. En dépit de son rôle dans l'aventure de ce Corps Franc anti-communiste, Niedermayer est nommé dans la foulée officier de liaison de la Reichswehr auprès de la nouvelle Armée Rouge à Moscou. Dans ce contexte, il est intéressant de noter qu'il était, avant toutes choses, un expert de l'Afghanistan, des idiomes persans et de toute cette zone-clef de la géostratégie mondiale qui va de la rive sud de la Caspienne à l'Indus. C'est donc Niedermayer qui négociera avec Trotski et qui visitera, pour le compte de la Reichswehr, dans la perspective de la future coopération militaire entre les deux pays, les usines d'armement et les chantiers navals de Petrograd (devenue "Leningrad"). Oskar von Niedermayer a donc été l'une des chevilles ouvrières de la coopération militaire et militaro-industrielle germano-russe des années 20. En 1930, il devient professeur de "Wehrgeographie" à Berlin.
Le "marais" et ses éthiques de conviction
La principale leçon qu'il tire de ses activités politiques et diplomatiques est une méfiance à l'endroit des politiciens du "centre", du "marais", incapables de comprendre les grands ressorts de la politique internationale, du "Grand Jeu". Ses critiques s'adressaient surtout aux sociaux-démocrates et aux centristes de tous plumages idéologiques; avec de tels personnages, il est impossible, constate von Niedermayer dans un rapport où il ne cache pas son amertume, d'articuler sur le long terme une politique étrangère durable, rationnelle et constante. Il les accuse de tout critiquer publiquement, par voie de presse; de cette façon, aucune diplomatie secrète n'est encore possible. Pire, estime-t-il, par le comportement délétère de ces bateleurs sans épine dorsale politique solide, aucun ressort habituel de la diplomatie inter-étatique ne fonctionne encore de manière optimale. Car les éthiques de conviction (terminologie de Max Weber: "Gesinnungsethik") qui animent toutes les vaines agitations politiciennes de ces gens-là, altèrent l'esprit de retenue, de sérieux et de service, qui est nécessaire pour faire fonctionner une telle diplomatie traditionnelle. La priorité accordée aux convictions revient à trahir les intérêts fondamentaux de l'Etat et de la nation. L'amertume de Niedermayer est née à la suite d'un incident au Reichstag, où le socialiste Scheidemann, animé par un pacifisme irréaliste et de mauvais aloi, avait dénoncé un accord militaire secret entre l'URSS et le Reich, sous prétexte que le commerce et l'échange d'armements ne sont pas "moraux". Le lendemain, comme par hasard, la presse londonienne à l'unisson, reprend l'information et amorce une propagande contre les deux puissances continentales, qui avaient contourné les clauses de Versailles relatives aux embargos. Cet incident montre aussi que bon nombre de journalistes servent des intérêts étrangers à leur pays. En cela, rien n'a changé aujourd'hui: les Etats-Unis bénéficient de l'appui inconditionnel de la plupart des ténors de la presse parisienne.
Youri Semionov, spécialiste de la Sibérie
Dans les années 30, Niedermayer rencontre Youri Semionov, Russe blanc en exil et spécialiste de l'économie, de la géographie, de la géologie et de l'hydrographie sibériennes. Semionov est l'auteur d'un ouvrage, toujours d'actualité, toujours compulsé en haut lieu, sur les trésors de la géologie sibérienne. Egalement spécialiste de l'empire colonial français, Semionov a compilé ses réflexions successives dans un volume dont la dernière édition allemande date de 1975 (cf. Juri Semjonow, Erdöl aus dem Osten - Die Geschichte der Erdöl- und Erdgasindustrie in der UdSSR, Econ Verlag, Wien/Düsseldorf, 1973 & Sibirien - Schatzkammer des Ostens, Econ Verlag, Wien/Düsseldorf, 1975). Né en 1894 à Vladikavkaz dans le Caucase, Youri Semionov a étudié à l'Université de Moscou, avant d'émigrer en 1922 à Berlin, où il enseignera l'histoire et la géographie de la Russie, et plus particulièrement celles des territoires sibériens. Après la chute du IIIe Reich, il émigre en 1947 en Suède, où il enseignera à Uppsala et finira ses jours. Dans Sibirien - Schatzkammer des Ostens, il retrace toutes les étapes de l'histoire de la conquête russe des territoires situés au-delà de l'ex-capitale des Tatars, Kazan. Il démontre que la conquête de tout le cours de la Volga, de Kazan à Astrakhan, permet à la Russie de spéculer sur une éventuelle conquête des Indes. Semionov replace tous ces faits d'histoire dans une perspective géopolitique, celle de l'organisation du Grand Continent, de la Mer Blanche au Pacifique. Les chapitres sur le 19ième siècle sont particulièrement intéressants, notamment quand il décrit la situation globale après la décision du Tsar Alexandre III de faire financer la construction d'un chemin de fer transsibérien.
Cet extrait du livre de Semionov (pp. 356-357) résume parfaitement cette situation : «Nous savons que toute la politique de "concentration des forces sur le continent", telle celle que l'on avait envisagée en Russie, provoquait une inquiétude faite de jalousie en Angleterre. Tout mouvement de la Russie en Asie y était considéré comme une menace pesant sur l'Inde. L'Amiral Sterling a vu cette menace se concrétiser dès l'installation de la présence russe le long du fleuve Amour. L'écrivain anglais, oublié aujourd'hui, mais très connu à l'époque, Th. T. Meadows, évoquait en 1856, dans un de ses écrits, un "futur Alexandre le Grand" russe, qui s'en irait conquérir la Chine, puis, sans difficulté aucune, détruirait l'empire britannique et soumettrait le monde entier. Ce cri d'alarme pathétique, répercuté par la presse anglaise, est apparu soudain très réaliste, lorsque, dans les années 80 du 19ième siècle, les Russes avancent en Asie centrale et s'approchent de la frontière afghane. En 1884, se déroule le fameux "incident afghan"; un détachement russe s'empare d'un point contesté sur la frontière; ensuite, les Afghans, qui agissaient sur ordre des Anglais, attaquent ce poste, mais sont battus et dispersés par les Russes. Le premier ministre britannique Gladstone déclare, face au Parlement de Londres, que la guerre avec la Russie est désormais inévitable. Seul le refus de Bismarck, de soutenir les Anglais, empêcha, à l'époque, le déclenchement d'une guerre anglo-russe». Toute l'actualité récente semble résumée dans ce bref extrait.
Les chapitres consacrés à l'œuvre de Witte, père du Transsibérien, sont également lumineux. Semionov rappelle que Witte est un disciple de l'économiste Friedrich List, théoricien de l'aménagement des grands espaces. Il existait, avant la première guerre mondiale et avant la guerre russo-japonaise, une véritable idée grande continentale. Elle était partagée en France (Henri de Grossouvre nous a rappelé l'œuvre de Gabriel Hanotaux), en Allemagne (avec le souvenir de Bismarck) et en Chine, avec Li Hung-Tchang, qui négociera avec Witte. L'Angleterre réussira à briser cette unité, ce qui entraînera le cortège sanglant de toutes les guerres du 20ième siècle.
Oskar von Niedermayer rencontre également le Professeur Otto Hoetzsch, dont nous allons retracer l'itinéraire dans la suite de cette intervention. En dépit de leurs itinéraires bien différents et de leurs options idéologiques divergentes, Haushofer, Niedermayer, Semionov et Hoetzsch se complètent utilement et la lecture simultanée de leurs œuvres nous permet de saisir toute la problématique eurasienne, sans la mutiler, sans rien omettre de sa complexité.
Du professorat à la 162ième Division
En 1937, Hitler ordonne la fondation d'un "Institut für allgemeine Wehrlehre" (= "Institut pour les doctrines générales de défense"). Niedermayer, bien que sceptique, servira loyalement cette nouvelle institution d'Etat, dont l'objectif, recentré sur l'ethnologie vu l'intérêt des nationaux-socialistes pour les questions raciales, est d'étudier les rapports mutuels entre peuple(s) et espace(s). Hostile à la "Gesinnungsethik" des nationaux socialistes, comme il avait été hostile à celles des sociaux démocrates ou des centristes, Niedermayer proteste contre les campagnes de diffamation orchestrées contre des professeurs que l'on décrit comme des "intellectuels apolitiques", comportement hitlérien qui trouve parfaitement son pendant dans les campagnes de diffamation orchestrées par un certain journalisme contemporain contre ceux qui demeurent sceptiques face aux projets d'éradiquer l'Irak, la Libye ou la Serbie et d'appuyer des bandes mafieuses comme celles de l'UÇK ou du complexe militaro-mafieux turc. Aujourd'hui, on ne traite pas ceux qui entendent raison garder d'"intellectuels apolitiques", mais d'"anti-démocrates".
De la prison de Torgau à la Loubianka
Comme la plupart des experts ès-questions russes de son temps, Niedermayer déplore la guerre germano-soviétique, déclenchée en juin 1941. En 1942, sur la suggestion de Claus von Stauffenberg, futur auteur de l'attentat du 20 juillet 1944 contre Hitler, Niedermayer est nommé chef de la 162ième Division d'Infanterie de la Wehrmacht, où servent des volontaires et des légionnaires de souche turque (issus des peuples turcophones d'Asie centrale). Cette unité connaît des fortunes diverses, mais l'échec de la politique nationale-socialiste à l'Est, accentue considérablement le scepticisme de Niedermayer. Stationné en Italie avec les restes de sa division, il critique ouvertement la politique menée par Hitler sur le territoire de l'Union Soviétique. Ce qui conduit à son arrestation; il est interné à Torgau sur l'Elbe. Quand les troupes américaines entrent dans la ville, il quitte la prison et est arrêté par des soldats soviétiques qui le font conduire immédiatement à Moscou, où il séjourne dans la fameuse prison de la Loubianka. Il y mourra de tuberculose en 1948.
La mort de Niedermayer ne clôt pas son "dossier", dans l'ex-URSS. En 1964, les autorités soviétiques utilisent les textes de ses dépositions à Moscou en 1945 pour réhabiliter le Maréchal Toukhatchevski. Il faudra attendra 1997 pour que Niedermayer soit lui-même totalement réhabilité. Donc lavé de toutes les accusations incongrues dont on l'avait chargé.
Le pivot indien de l'histoire et la nécessité du "Kontinentalblock"
Nous avons énuméré bon nombre de faits biographiques de Niedermayer, pour faire mieux comprendre le noyau essentiel de sa démarche d'iranologue, d'explorateur du Dacht-i-Lout, d'agitateur allemand en Afghanistan et de commandeur de la Division turcophone de la Wehrmacht. Deux idées de base animaient l'action de Niedermayer: 1) l'idée que l'Inde était le pivot de l'histoire mondiale; 2) la conscience de la nécessité impérieuse de construire un bloc continental (eurasien), le fameux "Kontinentalblock" de Karl Haushofer (projet qu'il a très probablement repris des hommes d'Etats japonais du début du 20ième siècle, tels le Prince Ito, le Comte Goto et le Premier Ministre Katsura, avocats d'une alliance grande continentale germano-russo-japonaise). Si Niedermayer reprend sans doute cette idée de "bloc continental" directement de l'œuvre de Haushofer, sans remonter aux sources japonaises —qu'il devait sûrement ignorer— l'idée de l'Inde comme "pivot de l'histoire" lui vient très probablement du Général Andreï Snessarev, officier tsariste passé aux ordres de Trotski, pour devenir le chef d'état-major de l'Armée Rouge. Ce général, hostile aux thalassocraties anglo-saxonnes, représentant d'un idéal géopolitique grand continental transcendant le clivage blancs/rouges, se plaisait à répéter: «Si nous voulons abattre la tyrannie capitaliste qui pèse sur le monde, alors nous devons chasser les Anglais d'Inde».
Principes thalassocratiques, libéralisme à l'occidentale, permissivité politique et morale, capitalisme dont les ressorts annihilent systématiquement les traditions historiques et culturelles (cf. Dostoïevski et Moeller van den Bruck), logique marchande, étaient synonymes d'abjection pour cet officier traditionnel: peu importe qu'on les combatte sous une étiquette blanche/traditionaliste ou sous une étiquette rouge/révolutionnaire. Les étiquettes sont des "convictions" sans substance: seule importe une action constante visant à réduire et à détruire les forces dissolvantes de la modernité marchande, car elles conduisent le monde au chaos et les peuples à une misère sans issue. Comme nous le constatons encore plus aujourd'hui qu'à l'époque, l'industriel, le négociant et le banquier, avec leur logique d'accumulation monstrueuse, apparaissent comme des êtres aussi abjects qu'inférieurs, foncièrement malfaisants, pour cet officier supérieur russe et soviétique qui ne respecte que les hommes de qualité: les historiens, les prêtres, les soldats et les révolutionnaires. Les impératifs de la géopolitique sont des constantes de l'histoire auquel l'homme de longue mémoire, seul homme valable, seul homme pourvu de qualités indépassables, se doit d'obéir. A la suite de ce Snessarev, qu'il a sans doute rencontré au temps où il servait d'officier de liaison auprès de l'Armée Rouge, Niedermayer, fort également de ses expériences d'iranologue, d'explorateur du Dacht-i-Lout et de spécialiste de l'Afghanistan, clef d'accès aux Indes depuis Alexandre le Grand, savait que le destin de l'Europe en général, de l'Allemagne, son cœur géographique, en particulier, se jouait en Inde (et, partant, en Perse et en Afghanistan). Une leçon que l'actualité a rendue plus vraie que jamais.
Exporter la révolution et absorber le "rimland"
Pour Niedermayer, officier allemand, ce rôle essentiel du territoire indien pose problème car son pays ne possède aucun point d'appui dans la région, ni dans son environnement immédiat. La Russie tsariste, oui, et, à sa suite, l'URSS, aussi. Par conséquent, les positions militaires soviétiques au Tadjikistan et le long de la frontière afghane, sont des atouts absolument nécessaires à l'Europe dans son ensemble, à toute la communauté des peuples de souche européenne. C'est la possession de cet atout stratégique en Asie centrale qui doit justifier, aux yeux de Niedermayer, l'indéfectible alliance germano-russe, seule garante de la survie de la culture européenne dans son ensemble. Pour les tenants du bolchevisme révolutionnaire autour de Trotski et Lénine, la solution, pour faire tomber le capitalisme, c'est-à-dire la puissance planétaire des thalassocraties libérales, réside dans la politique d'"exporter la révolution", d'agiter les populations colonisées et assujetties par un bon dosage de nationalisme et de révolution sociale. Ainsi, les puissances continentales de la "Terre du Milieu" pourront porter leurs énergies en direction du "rimland" indien, persan et arabe, réalisant du même coup les craintes formulées par Mackinder dans son discours de 1904 sur le "pivot" sibérien et centre-asiatique de l'histoire. Propos qu'il réitèrera dans son livre Democratic Ideals and Reality de 1919. Cependant, pour pouvoir libérer l'Inde et y exporter la révolution, il faut déjà un bloc continental bien soudé par l'alliance germano-soviétique, prélude à la libération de toute la masse continentale eurasiatique.
Pour structurer l'Europe: un chemin de fer à voies larges
Pour parfaire l'organisation de cette gigantesque masse continentale, il faut se rappeler et appliquer les recettes préconisées par le Ministre du Tsar, Sergueï Witte, père du Transsibérien. Dans le Berlin des années 20, un projet circule déjà et prendra corps pendant la seconde guerre mondiale: celui de réaliser un chemin de fer à voie large ("Breitspurbahn"), permettant de transporter un maximum de personnes et de marchandises, en un minimum de temps. Cette idée, venue de Witte, n'est pas entièrement morte, constitue toujours un impératif majeur pour qui veut véritablement travailler à la construction européenne: le Plan Delors, esquissé dans les coulisses de l'UE, préconisait naguère des grands travaux publics d'aménagement territorial, y compris un système ferroviaire rapide, désormais inspiré par le TGV français. En 1942, Hitler, en évoquant le Transsibérien de Witte, donne l'ordre à Fritz Todt d'étudier les possibilités de construire une "Breitspurbahn", avec des trains roulant entre 150 et 180 km/h pour le transport des marchandises et entre 200 et 250 km/h pour le transport des personnes. Le projet, confié à Todt, ne concerne pas seulement l'Europe, au sens restreint du terme, n'entend pas seulement relier entre elles les grandes métropoles européennes, mais aussi, via l'Ukraine et le Caucase, les villes d'Europe à celles de la Perse. Ces projets, qui apparaissaient à l'époque comme un peu fantasmagoriques, n'étaient nullement une manie du seul Hitler (et de son ingénieur Todt); en Union Soviétique aussi, via des romans populaires, comme ceux d'Ilf et de Petrov, on envisage la création de chemins de fer ultra-rapides, reliant la Russie à l'Extrême-Orient.
Le destin tragique du Professeur Otto Hoetzsch
Le volet purement scientifique de cet engouement pour le Grand Est sera incarné à Berlin, de 1913 à 1946 par un professeur génial, autant que modeste: Otto Hoetzsch. Il a connu un destin particulièrement tragique. Après avoir accumulé dans son institut personnel une masse de documents et de travaux sur la Russie, pendant des décennies, les bombardements sur Berlin en 1945, à la veille de l'entrée des troupes soviétiques dans la capitale allemande, ont réduit sa colossale bibliothèque à néant. Cette tragédie explique partiellement le sort misérable de tout le savoir sur la Russie et l'Union Soviétique à l'Ouest. La majeure partie des documents les plus intéressants avait été accumulée à Berlin. La misère de la soviétologie occidentale est partiellement le résultat navrant de la destruction de la bibliothèque du Prof. Hoetzsch. En 1945 et en 1946, celui-ci, âgé de 70 ans, erre seul dans Berlin, privé de sa documentation; cet homme, brisé, trouve néanmoins le courage ultime de rédiger une conférence, la dernière qu'il donnera, où il nous lègue un véritable testament politique (titre de cette conférence : "Die Eingliederung des osteuropäischen Geschichte in die Gesamtgeschichte"; = L'inclusion de l'histoire est-européenne dans l'histoire générale).
Slaviste et historien de la Russie, Otto Hoetzsch s'était aperçu très tôt que les Européens de l'Ouest, les Occidentaux en général, ne comprenaient rien de la dynamique de l'histoire et de l'espace russes; ce que les Russes repèrent tout de suite, ce qui les navrent et les fâchent. Cette ignorance, assortie d'une prétention mal placée et d'une irrépressible et agaçante propension à donner des leçons, vaut également pour l'espace balkanique (sauf en Autriche où les instituts spécialisés dans le Sud-Est européen ont réalisé des travaux remarquables, dont les chancelleries occidentales ne tiennent jamais compte). Hoetzsch constate, dès le début de sa brillante carrière, que la presse ne produit que des articles lamentables, quand il s'agit de commenter ou de décrire les situations existantes en Russie ou en Sibérie. Il va vouloir remédier à cette lacune. A partir de 1913, il se met à rassembler une documentation, à étudier et à lire les grands classiques de la pensée politique russe, à lire les historiens russes, ce qui le conduira à fonder en 1925, quelques mois après la sortie du premier numéro de la ZfG de Haushofer, une revue spécialisée dans les questions russes et centre-asiatiques, Osteuropa. Captivé par la figure du Tsar Alexandre II, sur lequel il rédigera un maître-ouvrage, dont le manuscrit sera sauvé in extremis de la destruction à Berlin en 1945; Hoetzsch le transportait dans sa valise en fuyant Berlin en flammes. Pourquoi Alexandre II? Ce Tsar est un réformateur social, il lance la Russie sur la voie de l'industrialisation et de la modernisation, ce que ne peuvent tolérer les thalassocraties. Il périra d'ailleurs assassiné. En dépit du ressac de la Russie sous Nicolas II, de sa lourde défaite subie en 1905 face au Japon, armé par l'Angleterre et les Etats-Unis, en dépit du terrible ressac que constitue la prise du pouvoir par les Bolcheviques, l'œuvre d'Alexandre II doit, aux yeux de Hoetzsch, demeurer le modèle pour tout homme d'Etat russe digne de ce nom.
Ami des Russes blancs et "Républicain de Raison"
Hoetzsch est un libéral de gauche, proche de la sociale démocratie, mais il déteste les Bolcheviques, car, pour lui, ce sont des agents du capitalisme anglais, dans la mesure où ils détruisent l'œuvre des Tsars émancipateurs et modernistes; ils ont comploté contre ceux-ci et contre d'excellents hommes d'Etat comme Witte et Stolypine (qui sera également assassiné). Hoetzsch fréquente l'émigration blanche de Berlin, consolide son institut grâce aux collaborations des savants chassés par les Bolcheviques, mais reste ce que l'on appelait à l'époque, dans l'Allemagne de Weimar, un «Républicain de Raison» ("Vernunftrepublikaner"), ce qui le différencie évidemment d'un Oskar von Niedermayer. Son institut et sa revue connaissent un essor bien mérité au cours des années 20; ce sont des havres de savoir et d'intelligence, où coopèrent Russes et Allemands en toute fraternité. En 1933, avec l'avènement au pouvoir des nationaux socialistes, Hoetzsch cumule les malchances. Pour le nouveau pouvoir, les "Vernunftrepublikaner" sont des émanations du "marais centriste" ou, pire, des "traîtres de novembre" ("Novemberverräter") ou des "bolchevistes de salon" ("Salonbolschewisten"). L'institut de Hoetzsch est dissous. Hoetzsch est "invité" à prendre sa retraite anticipée. La fermeture de cet institut est une tragédie de premier ordre. Le destin de Hoetzsch est pire que celui de l'activiste politique et éditeur de revues nationales révolutionnaires, Ernst Niekisch. Car on peut évidemment, avec le recul, reprocher à Niekisch d'avoir été un passionné et un polémiste outrancier. Ce n'était évidemment pas le cas de Hoetzsch, qui est resté un scientifique sourcilleux.
Pour une approche grande-européenne de l'histoire
Dans la conférence qu'il prépare dès août 1945, et qu'il prononcera peu avant de mourir en 1946, dans sa chère ville de Berlin en ruines, Otto Hoetzsch nous a laissé un message qui reste parfaitement d'actualité. L'objectif de cette conférence-testament est de faire comprendre la nécessité impérieuse, après deux guerres mondiales désastreuses, de développer une vision de l'histoire, valable pour l'Europe entière, celle de l'Ouest, celle de l'Est et la Russie ("gesamteuropäische Geschichte"). Personnellement, nous estimons que les prémisses pratiques d'une telle vision grande européenne de l'histoire se situent déjà toutes en germe dans l'œuvre politique et militaire du Prince Eugène de Savoie, qui parvient à mobiliser et unir les puissances européennes devant le danger ottoman et à faire reculer la Sublime Porte sur tous les fronts, au point qu'elle perdra le contrôle de 400.000 km2 de terres européennes et russes. Le Prince Eugène a définitivement éloigné le danger turc de l'Europe centrale et a préparé la reconquête de la Crimée par Catherine la Grande. Plus jamais, après les coups portés par Eugène de Savoie, les Ottomans n'ont été victorieux en Europe et leurs alliés français n'ont plus été vraiment en mesure de grignoter le territoire impérial des Pays-Bas espagnols puis autrichiens; les Ottomans n'ont même plus été capables de servir de supplétifs à cette autre puissance anti-impériale et anti-européenne qu'était la France avant Louis XVI.
Le testament de Hoetzsch nous interpelle !
Mais le propos de Hoetzsch, dans sa dernière conférence, n'était pas d'évoquer la figure du Prince Eugène, mais de jeter les bases d'une méthodologie historique et sociologique pour l'avenir; elle devait reposer sur les acquis théoriques de Karl Lamprecht, de Gustav Schmoller (inspirateur du gaullisme dans les années 60 du 20ième siècle) et d'Otto Hintze. Il faut, disait Hoetzsch, développer une histoire intégrante et comparative pour les décennies à venir. En affirmant cela, il n'avait aucune chance de se voir exaucer en 1946, encore moins en 1948 quand, après le Coup de Prague, le Rideau de Fer s'abat sur l'Europe pour quatre décennies. En 1989, immédiatement après l'élimination du Mur de Berlin et l'ouverture des frontières austro-hongroises et inter-allemandes, l'Europe et la Russie auraient eu intérêt à remettre les propositions de Hoetzsch sur le tapis. Au niveau scientifique, des études remarquables ont été réalisées effectivement, mais rien ne semble transparaître dans la presse, faute de journalistes professionnels capables d'appliquer les leçons pédagogiques de Haushofer et de Radós. Les journalistes ne sont plus des hommes et des femmes en quête de sujets intéressants, innovateurs, mais bel et bien ceux que Serge Halimi nomme avec grande pertinence les "chiens de garde" du système. Les journaux et les revues constituaient la voie de pénétration vers le grand public dont disposaient jadis les instituts de sciences humaines et les universités; pour tout ce qui est véritablement innovateur, pour tout ce qui va à l'encontre des poncifs répétés ad nauseam, cette voie est désormais bien verrouillée, dans la mesure où les journalistes ne sont plus des hommes libres, animés par la volonté de consolider le Bien public, mais d'ignobles et méprisables mercenaires à la solde du système et des puissances dominantes. Toutefois, le défi que nous a lancé Brzezinski en 1996, en publiant son fameux livre, The Grand Chessboard, où sont étalées sans vergogne toutes les recettes thalassocratiques pour neutraliser l'Europe et la Russie, avec l'aide de cet instrument qu'est le complexe militaro-mafieux turc, —potentiellement étendu à toute la turcophonie d'Asie centrale— montre une nouvelle fois qu'une riposte européenne et russe doit nécessairement passer par une vision claire de l'histoire, vulgarisable pour les masses. Le destin tragique de Hoetzsch, son courage opiniâtre qui force l'admiration, sa modestie de grand savant, nous interpellent directement: notre amicale paneuropéenne a pour devoir de travailler, modestement, dans son créneau, à l'avènement de cette historiographie grande européenne que Hoetzsch a voulu. Au travail!
Robert STEUCKERS.
(Forest-Flotzenberg, Vlotho im Weserbergland, août 2002).
00:05 Publié dans Géopolitique, Histoire | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : histoire, géopolitique, allemagne, russie, berlin, années 20, années 30, weimar, révolution conservatrice | |
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Author | Guillaume Faye |
---|---|
Full Title | Archeofuturism: European Visions of the Post-Catastrophic Age |
Binding | Hardback |
Publisher | Arktos Media (2010) |
Pages | 249 |
ISBN | 978-1-907166-10-5 |
Language | English |
Short Description | This book is the most fundamental work by Guillaume Faye. Faye believes that the future of the Right requires a transcendence of the division between those who wish for a restoration of the traditions of the past, and those who are calling for new social and technological forms - creating a synthesis which will amplify the strengths and restrain the excesses of both: Archeofuturism. Faye also provides a critique of the New Right; an analysis of the continuing damage being done by Western liberalism, political inertia, unrestrained immigration and ethnic self-hatred; and the need to abandon past positions and dare to face the realities of the present in order to realise the ideology of the future. He prophesises a series of catastrophes between 2010 and 2020, brought about by the unsustainability of the present world order, which he asserts will offer an opportunity to rebuild the West and put Archeofuturism into practice on a grand scale. |
Table of Contents | Foreword by Michael O'Meara A Note from the Editor Introduction 1. An Assessment of the Nouvelle Droite 2. A Subversive Idea: Archeofuturism as an Answer to the Catastrophe of Modernity and an Alternative to Traditionalism 3. Ideologically Dissident Statements 4. For a Two-Tier World Economy 5. The Ethnic Question and the European 6. A Day in the Life of Dimitri Leonidovich Oblomov – A Chronicle of Archeofuturist Times |
00:35 Publié dans Livre, Nouvelle Droite, Synergies européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : nouvelle droite, guillaume faye, idéologie, droite, conservatisme, archéofuturisme, théorie politique | |
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Ex: http://fortune.fdesouche.com/
Et si la construction européenne, avec sa souveraineté partagée si délicate à manier entre États-membres, était une idée révolue à l’heure paradoxale du grand métissage mondial et du retour effréné des frontières? L’idée, ces temps-ci, se répand peu à peu. Le sommet Asie-Europe des 4 et 5 octobre à Bruxelles pourrait accentuer le débat.
«L’Europe à 27 est vouée à l’échec!» La formule, cinglante, ne vient pas d’un opposant notoire à la construction européenne mais de l’ancien premier ministre français Edouard Balladur, interrogé récemment par Le Monde. «Quand ça ne va pas, il faut le dire. ajoute-t-il. C’est la passivité et le silence qui peuvent conduire au sentiment anti-européen que vous décrivez et qui se répand dans bien des pays de l’Union.»
Suivent, cités par M. Balladur, les exemples électoraux qui ont défrayé la chronique ces derniers mois: la percée fulgurante du mouvement d’extrême droite «Jobik» en Hongrie, la victoire du populiste anti-islam Geert Wilders aux Pays-Bas, la poussée forte de l’extrême droite en Suède… Exemples auxquels l’on doit ajouter la «déconstruction» en cours de la Belgique sous la pression des nationalistes flamands arrivés en tête des législatives du 13 juin. Car tout en plaidant la cause des régions dans l’Europe unie, ceux-ci, dans la réalité, sapent le modèle communautaire actuel.
La réalité du monde ne peut pas être ignorée. Nous ne sommes plus au vingtième siècle. Nous ne sommes (peut-être) plus dans le siècle de l’Europe.
Ainsi, l’Europe serait en danger de devenir un concept désuet, mal adapté aux réalités du monde global où l’arme suprême de la concurrence est le rapport de forces (et non la norme, chère à Zaki Laidi), la rapidité (et non le compromis forgé avec difficulté) et la capacité des États à se trouver des alliés ponctuels en fonction des défis qu’ils affrontent (au lieu de s’efforcer de présenter un front uni). La thèse, il faut le reconnaître, mérite un examen approfondi. D’autant qu’elle vient de recevoir un autre soutien de poids en la personne de l’ancien ministre français des affaires étrangères Hubert Védrine, dans un article publié par Libération et longuement relayé par le blog du correspondant de ce journal à Bruxelles, Jean Quatremer.
Védrine a souvent dit, y compris à l’auteur de ces lignes dans Le Temps, toute l’inquiétude que suscite chez lui une Union européenne dominée par les naïfs «droits de l’hommiste» et les bureaucrates communautaires prisonniers de leur bulle bruxelloise. Son propos, là, revient à la charge. «Les inspirateurs de la construction européenne, écrit-il, ont fait du rejet absolu du nationalisme leur fil conducteur, […] les intérêts nationaux étant taxés d’égoïsme, aidé en cela par une Allemagne divisée qui faisait de la surenchère européiste. À la recherche d’un être philosophique pur et parfait, ils auraient voulu qu’entre l’individu et l’universel, il n’y ait rien. C’est la négation par des élites abstraitement universalistes du caractère normal de ce besoin qui nourrit les extrêmes». Le piège serait donc en train de se refermer. Le déclin de l’Europe serait annoncé, confirmé par des nombreux dossiers comme ceux, récents, des mensuel «Philosophie Magazine» (Le déclin de l’empire européen) ou «L’histoire» (Comment meurent les empires…?).
Il est évidemment réducteur, dans cette analyse, de ne citer que deux sources hexagonales. Mais la montée en puissance de ce grand doute européen, sur fond de clash récurrent entre Paris et Bruxelles, est très révélatrice car on ne peut oublier la nationalité de Jean Monnet, Robert Schuman ou Jacques Delors… Il y a, et beaucoup de pays-membres s’en lassent et le récusent, beaucoup d’esprit (et de défauts) français dans la construction européenne, si bureaucratique et centralisée autour de la Commission. Notons juste que ces remarques correspondent parfaitement au constat dressé par l’historien britannique Tony Judt, décédé en 2009. Dans son magistral ouvrage «Après-guerre» (Ed. Armand Colin) consacré à l’Europe depuis 1945, celui-ci s’attardait très peu sur la construction européenne. Manière de questionner sa portée historique…
Bruxelles, qui accueille les 4 et 5 octobre le 8ème sommet ASEM (Asie-Europe meeting), regroupant les 27 pays membres de l’UE et 21 pays d’Asie (la Nouvelle-Zélande, l’Australie et la Russie doivent rejoindre cette année le groupe, ce qui compliquera d’ailleurs la donne en Extrême-Orient), ne peut pas ignorer ces critiques de fond. L’Asie, nouveau centre économique du monde, n’a aucun goût pour la souveraineté partagée, bien au contraire. Le choc est par conséquent programmé, et l’appétit des Européens pour les marchés émergents ne fait que renforcer les dissensions de l’UE. On peut bien sûr le regretter car derrière l’éloge des identités nationales asiatiques, souvent tronquées et manipulées par les pouvoirs en place, se terrent des risques évidents d’affrontements et des défis majeurs. Mais la réalité du monde ne peut pas être ignorée. Nous ne sommes plus au vingtième siècle. Nous ne sommes (peut-être) plus dans le siècle de l’Europe.
00:15 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : europe, affaires européennes, déclin européen, union européenne, politique internationale, politique | |
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Rasmus B. Anderson,
Mythologie scandinave, la légende des Eddas
Rasmus Bjorn Anderson est un auteur américano-norvégien né à Albion dans le Wisconsin, le 12 janvier 1846, de parents qui étaient des immigrants de Stavanger dans le Rogaland norvégien. Ses parents appartenaient à un petit groupe de Quakers qui organisèrent la première émigration norvégienne vers l’Amérique au début des années 1820. Il fut professeur d’université et diplomate au Danemark, ainsi qu’éditeur et traducteur de textes consacrés à l’histoire et aux romans de l’Europe du Nord. C’est lui qui a notamment popularisé l’idée que les Vikings furent les premiers découvreurs du Nouveau Monde, réussissant même à imposer une journée Leif Erikson dans plusieurs états américains. Sa connaissance parfaite de l’islandais lui permit d’avoir accès aux textes fondamentaux de la littérature norroise et d’en devenir l’un des grands spécialistes de son époque.
Premier titre de la collection Au Nord du Monde des Editions d’Héligoland, le livre Mythologie scandinave de Rasmus Bjorn Anderson, publié aux éditions Ernest Leroux en 1886, méritait une réédition qui n’a jamais eu lieu jusqu’à présent. Jean Mabire, invétéré chineur de livres, le mentionnait en 1978 comme un ouvrage introuvable « dont il n’existe aucun équivalent contemporain ». Nous avons à notre tour cherché, fouillé, chiné pendant des années, jusqu’à ce qu’un beau jour nous découvrions l’objet de notre assiduité sous la forme d’un vieux bouquin fatigué, relié en percaline brune. Le trésor tant attendu, sous un aspect austère, allait enfin livrer ses secrets !
Certes, la recherche aujourd’hui a progressé vers une meilleure connaissance dans le domaine nordique, mais ses publications en restent souvent difficiles d’accès pour des néophytes qui veulent découvrir le fascinant Royaume du Nord et les mœurs, coutumes, croyances et traditions des hommes qui y ont vécu et fait souche depuis des temps assurément fort reculés. Conjointement, depuis les années quatre-vingt, une littérature foisonnante, côtoyant allègrement ésotérisme « œcuménique » et mode New Age, a pris le contre-pied des études universitaires en mêlant de manière univoque la pratique magique et le chamanisme à l’étude anthropologique, sociologique, culturelle, historique et à l’érudition. Les mondes traditionnels, dans notre époque troublée et chagrine, en perte de repères, noyée dans le relativisme le plus chaotique, passionnent pour leurs sorciers, chamanes, magiciens, mages et autres mystagogues : une nouvelle forme de « quête de pouvoir » sur le monde subtil, presque aussi matérialiste que celle fondée sur le rationalisme s’est emparée d’un public friand de fantastique. Elle ressemble fort à cette forme de « religiosité seconde » dénoncée par Oswald Spengler comme signe de déclin de sociétés aux croyances déjà vacillantes. Il est à craindre qu’irrationalisme, auto-suggestion et fuite hors de la réalité n’en soient les mamelles.
Rien de tel avec cet ouvrage que nous publions et qui se situe en un juste milieu, parce qu’il restaure avant tout la dimension poétique des mythes du Nord, ce qui est peut-être bien l’essence même du sacré dans un domaine où toute tentative de ritualisation se heurte véritablement à un problème de continuité et de légitimité. Laissons la mythologie et ses symboles parler au plus profond de nous de manière franche et directe, laissons-nous séduire par leur beauté et leur simplicité, sachons y voir des tableaux grandioses se dévoiler, une dynamique s’esquisser, une vision du monde et une sagesse se mettre en place, un esprit et une âme s’exprimer. Les mythes parleront en nos tréfonds, exigeant de nous le plus profond respect à défaut d’un culte parfait devenu aujourd’hui problématique et aléatoire.
Du « culte » passons à la « culture » qui est la prolongation du premier terme, et cultivons notre « jardin secret » pour engranger tant de belles images qui s’enracinent sur une terre septentrionale aux contours si attrayants, et dans un psychisme modelé par une nature sauvage et vaste, espace de liberté, de solitude et d’indépendance. Les territoires de l’antique et mythique Thulé qui se confondent géographiquement et sentimentalement avec les pays de « l’arc nordique » aux parages du cercle polaire arctique, au Nord de notre Europe, sont les chemins d’un « recours aux forêts » pour l’homme libre conscient des limites du monde moderne et de sa tolérance à sens unique.
Voilà la raison d’être de notre collection dont la future ligne éditoriale est bien représentée par le beau livre de Rasmus Bjorn Anderson. De la Finlande et des Pays Baltes, à l’extrême Occident des Celtes et de l’Islande en passant par la Scandinavie et la vieille Germanie, notre volonté est de dévoiler une part des « mystères » et de la poésie originelle des mondes nordiques, afin d’accéder à une meilleure connaissance de ces lieux aux paysages romantiques, à cette Europe romanesque et « barbare » d’où sourd véritablement la « Sehnsucht », cette nostalgie qui s’empare de l’homme en quête de sens, en recherche d’idéaux nobles au spectacle de la beauté, de la grandeur du monde et de son immanence.
Honoré de Balzac annonçait fièrement : « J’ai fait de fabuleux voyages, embarqué sur un livre ». En tant que directeur de collection telle est notre volonté d’emmener des lecteurs prêts à entamer de nouvelles traversées où ils découvriront une part d’eux-mêmes, ainsi qu’un héritage ancestral. Cette passion pour le livre, petit objet anodin, qui certes, comme la langue, peut être « la pire et la meilleure des choses », représente encore un formidable espace de liberté qui peut forger des « esprits libres » et permet de se construire soi-même dans un élan basé sur l’amour de la culture authentique et la connaissance des racines de l’âme européenne.
Pierre BAGNULS
Rédacteur en chef de la revue Figures de proues
Directeur de la collection «Au nord du monde»
• Éditions d’Héligoland 2010, ISBN : 978-2-914874-67-0, 1 volume 16 x 24, 268 pages, 25,00 € (vente par correspondance : 29 € franco). À commander chez le diffuseur EDH, BP 2, 27 290 Pont-Authou.
00:10 Publié dans Livre, Traditions | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : eddas, traditions, tradition, traditionalisme, paganisme, scandinavie, paganisme scandinave, mythologie, mythes | |
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Les Hellènes en Mer du Nord
Après bien des tâtonnements, confinant à l’archéologie-fiction, l’itinéraire de l’expédition grecque de Pythéas en Mer du Nord, autour des Iles Britanniques et le long des côtes norvégiennes vient d’être reconstitué par une équipe de chercheurs de la « Technische Universität Berlin ». La tradition des hellénistes rapporte, en effet, que Pythéas a quitté Massalia (Marseille), vers 330 avant J. C., pour cingler vers le nord et atteindre, dit-on, la mystérieuse île de Thulé, que les Anciens considéraient comme l’extrémité septentrionale du monde. C’est ici que les spéculations allaient bon train : cette île de Thulé était-elle l’Islande, la Norvège (prise erronément pour une île), les Shetlands, les Orcades ou les Féroé ?
L’équipe des chercheurs berlinois s’est concentrée sur l’étude des longitudes et latitudes et sur tous les éléments issus des textes antiques et signalant une durée de voyage, une distance évaluée par les marins de Massalia. L’équipe pluridisciplinaire, comptant des mathématiciens, des spécialistes de la géodésie et des historiens de l’antiquité, a pu finalement décrypter, grâce à tout un éventail de technologies modernes, ce que fut le trajet accompli par Pythéas et ses compagnons.
Le résultat est aussi intéressant que révolutionnaire. Après avoir contourné la péninsule ibérique par cabotage, Pythéas a traversé la Manche de Brest aux Cornouailles, pour poursuivre sa route, toujours par cabotage, le long de la face occidentale de la Grande-Bretagne, jusqu’aux Shetlands. De là, il a pris le risque de s’aventurer en haute mer, poussé par les vents, pour arriver en Norvège dans le Fjord de Trondheim. D’après les sources antiques, ce voyage des Shetlands à Trondheim, la Thulé des Grecs anciens, aurait duré six jours (soit 90 km par journée de trajet). Cette durée paraît réaliste, d’autant plus que cela correspond à la journée quasi boréale que décrit Pythéas : « le soleil, là-bas, ne prend que deux à trois heures de repos ». Tel est effectivement le cas, en été, dans la région de Trondheim.
On suppose que Pythéas a entrepris son expédition vers le nord pour le compte des marchands grecs de Massalia, afin de repérer des sites où se procurer de l’étain (Cornouailles) ou de l’ambre (que l’on trouve partout dans la région baltique et le long des côtes danoises de la Mer du Nord), deux matières jugées utiles ou précieuses dans l’antiquité et introuvables dans le bassin méditerranéen.
(source : « Der Spiegel », n°32/2010, p. 109).
Les résultats obtenus par l’équipe berlinoise peuvent se lire dans un ouvrage paru auprès d’un prestigieux éditeur scientifique :
- A. KLEINEBERG, C. MARX, E. KNOBLOCH, D. LELGEMANN, Germania und die Insel Thule, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 176 p., 29,90 euro.
Notice de l'éditeur
Kleineberg, Andreas / Marx, Christian/ Knobloch, Eberhard / Lelgemann, Dieter |
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Germania und die Insel Thule |
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Die Entschlüsselung von Ptolemaios’ ›Atlas der Oikumene‹
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Langtext |
»It is one of the most puzzling riddles of antiquity« galt seit 1952 für den Weltatlas des Klaudios Ptolemaios aus dem zweiten Jh. n. Chr. Doch was ist daran so rätselhaft? Die Schrift des großen Mathematikers und Geographen enthielt mutmaßlich keine Landkarten, wohl aber mehrere Tausend Städtenamen mit Angabe ihrer geographischen Koordinaten, deren heutige Lage bislang nicht entschlüsselt werden konnte. Durch interdisziplinäre Zusammenarbeit zwischen Geodäten und Wissenschaftshistorikern ist es einem Forscherteam der TU Berlin gelungen, die Angaben für ›Germania Magna‹ und der sagenhaften Insel Thule zu decodieren. Das Ergebnis ist nichts weniger als revolutionär, weil sich praktisch Hunderte Verortungen erstmals schlüssig klären lassen. Das Weltbild der Antike muss hierdurch mit völlig neuen Augen betrachtet werden! |
Autoreninfo |
Christian Marx, geb. 1976, ist wissenschaftlicher Mitarbeiter am Institut für Geodäsie und Geoinformationstechnik der TU Berlin. |
00:10 Publié dans Histoire | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : mer du nord, grèce antique, pythéas, marseille, antiquité, exploration, explorateurs, grande-bretagne | |
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Archives - 2003
Dichtersoldat und Künder neuen Lebens
Vor 65 Jahren starb der aristokratische Nationalist Gabriele D’Annunzio
Das 20. Jahrhundert bot geistigen Abenteurern Entfaltungsmöglichkeiten, von denen wir Heutige angesichts einer »verwalteten Welt« nur träumen können. Eine dieser abenteuerlichen Biographien des letzten Jahrhunderts hatte der italienische Dichter, Krieger und Nationalist Gabriele D’Annunzio (1863–1938). Beeinflußt von der Lebensphilosophie Friedrich Nietzsches, eroberte er nach Ende des Ersten Weltkriegs handstreichartig die Adriastadt Fiume und errichtete eine nationalistische Herrschaft des totalen Lebens.
Seit dem 18. Januar 1919 tagte die Pariser Friedenskonferenz unter dem Vorsitz des französischen Deutschenhassers Clemenceau und beriet über das Schicksal der Mittelmächte. Als die Sieger des Weltkrieges am 28. Juni 1919 unter der Drohung einer vollständigen militärischen Besetzung des Reiches und der Aufrechterhaltung der Hungerblockade die deutsche Unterzeichnung des Versailler Vertrages erzwangen, war die Empörung des gedemütigten deutschen Volkes über alle Parteigrenzen hinweg groß. Mit eiserner Hand zeichneten die Mitglieder des »Rates der Vier« völlig willkürlich eine neue Staatenkarte Nachkriegseuropas, die die Volkstumsgrenzen vielfach mißachtete. So sprach man Italien, das im Mai 1915 Österreich den Krieg erklärt hatte, völkerrechtswidrig den Süden Tirols zu.
Obwohl der italienische Regierungschef Orlando dem Vierer-Gremium der Sieger angehörte und eine reiche Kriegsbeute zulasten Deutsch-Österreichs aushandelte, fühlte man sich in Italien um den gerechten Lohn des Krieges betrogen. Der Tradition des sogenannten Irredentismus folgend, der italienische »Heimaterde« an das Mutterland anzuschließen gedachte, warf man auch begehrliche Blicke auf die gegenüberliegende Adriaküste.
So entbrannte zwischen Italien und dem künstlich geschaffenen Königreich der Serben, Kroaten und Slowenen 1919 ein politischer Streit um die in der Nähe Triests liegende Grenz- und Hafenstadt Fiume, das heutige Rijeka. In den Versailler Verhandlungsrunden beschloß man die Entsendung einer alliierten Truppe in die strittige und gemischt-ethnische Stadt. Nun sollte die geschichtliche Stunde des Gabriele D’Annunzio schlagen.
An der Spitze mehrerer hundert Soldaten der italienischen Sturmtruppen, der Arditi, rückte der weltbekannte Dichter und italienische Kriegsheld widerstandslos in die Adriastadt ein. In seiner ersten Rede verkündete er »die Heimkehr Fiumes, das in der tollen und niedrigen Welt der Verworfenheit die einzige Wahrheit, die einzige Liebe, das strahlende Flammenzeichen des italienischen Widerstandes ist.«
Was sich in den nächsten fünfzehn Monaten in dieser Stadt des nietzscheanischen Lebens abspielte, kann politische Romantiker und revolutionäre Enthusiasten noch heute in Begeisterung versetzen. Es war ein die Sinne betörender Reigen aus nationalistischen Reden und Festen, aus Liebe, Rausch und Gesang, aus klirrenden Waffen, wehenden Fahnen und schwarzen Uniformen. In einem Brief fing D’Annunzio diese wohl einmalige Atmosphäre ein: »Gestern abend habe ich eine große Rede gehalten, mitten im brennenden Delirium. Du kannst dir dieses merkwürdige Leben in Fiume nicht vorstellen, wir verbringen die Nächte mit coup de mains, wie Diebe und Piraten.«
Antibürgerliches Traumreich
Die gewöhnlichen Gesetze der Politik waren außer Kraft gesetzt; das Leben spielte sich in einem Traumreich ab. Der Historiker Ernst Nolte bemerkte dazu: »All das war sehr viel mehr als das gigantische Theater eines genialen Regisseurs. Es waren nicht zuletzt englische Gäste, die vom Charme des Kommandanten bezaubert und von dem staatlichen Gegenbild zur alltäglichen Nüchternheit der bürgerlichen Gesellschaft hingerissen waren.«
Neben D’Annunzio prägten vor allem die schwarzuniformierten italienischen Elitesoldaten, die Arditi, das Leben der Stadt. Im Weltkrieg für die gefährlichsten Unternehmen eingesetzt, lebten sie die Nietzsche-Forderung: Lebe gefährlich! Stirb stolz! Ihr Lied, die »Giovinezza«, wurde später die Hymne des italienischen Faschismus; ihr weißer Totenkopf auf schwarzem Hemd symbolisierte die Macht über Leben und Tod. Mit kurzen, glühenden Worten schrieb D’Annunzio:
»Bei den Arditi. Gegen Abend. Das wahre Feuer. Die Rede, die gierigen Gesichter – Die Rasse aus Flammen. Die Chöre – die offenen, klangvollen Lippen – Die Blumen, der Lorbeer. Der Ausgang. Die Dolche nackt in der Faust. Eine ,Grandezza‘, die ganz römisch ist. Alle Dolche hoch. Die Rufe. Der begeisterte Lauf der Kohorte. Das Fleisch auf Holzglut gebraten. Die auflodernde Flamme brennt im Gesicht – Das Delirium des Mutes. Rom: das Ziel!«
Der dichtende Volkstribun schmetterte vom Balkon des Gouverneurspalastes seine mitreißenden Reden und versetzte die Menge in Zustände der Ekstase. D’Annunzio feierte sich, die Jugend, das Leben und das Vaterland. Wenn der »Comandante« die Frage »Wem gehört Italien?« in die Menge seiner Landsleute schleuderte, donnerte es ein »Uns!« zurück. Für den alternden Kriegsheld war Fiume mehr als ein Jungbrunnen, es war die glutvolle Revolte gegen eine rationale, materialistische Bürgerwelt: »Hier bin ich, ecce Homo (…). Ich bitte nur um das Recht, Bürger der Stadt des Lebens zu sein. In dieser närrischen und feigen Welt ist heute Fiume ein Zeichen der Freiheit.«
Fiume wurde mit den Monaten aber auch Zeichen der Dekadenz: Vielfältige sexuelle Ausschweifungen prägten das Nachtleben, Drogen machten die Runde und die zahlreichen Fest- lichkeiten und Kulturveranstaltungen zerrütteten die Stadtfinanzen. Um die Anflüge von nationaler Anarchie einzudämmen und dem gemeinschaftlichen Leben wieder eine feste Form zu geben, erließ der Comandante im August 1920 eine neue Verfassung, die Carta del Canaro, die nationalistische, syndikalistische und aristokratische Elemente in sich vereinigte. Dieser Neuordnung sollte aber keine lange Dauer beschieden sein.
Nachdem sich Rom und Belgrad über den zukünftigen Status von Fiume als »Freistaat« geeinigt hatten, wurde der D’Annunzio zum Verlassen der Stadt aufgefordert. Als er dieser Forderung nicht nachkam, eröffnete das italienische Schlachtschiff »Andrea Doria« Ende Dezember 1920 das Feuer auf die Stadt, dem fast 40 Arditi zum Opfer fielen. Auf diese Weise endete das römische »Gesamtkunstwerk« Fiume. In einer letzten Rede verabschiedete sich D’Annunzio von der Adriaperle mit den Worten: »Wir werfen heute nacht den Trauerruf ,Alala‘ über die ermordete Stadt.«
Ästhetisierung der Politik
Was von dieser Nachkriegsepisode aber blieb, war der dort kreierte »faschistische Stil«, der für die nationalistischen Massenbewegungen bis 1945 bestimmend blieb. Sein Erfolgsgeheimnis war die Ästhetisierung der Politik und nicht die Politisierung der Kunst, wie sie die Kommunisten betrieben.
Das Fiume-Abenteuer mit seinem ungezügelten Leben, den Selbstinszenierungsmöglichkeiten und dem Ausleben eines heroischen Ästhetizismus war dem 1863 als Sohn eines Bürgermeisters geborenen Gabriele auf den Leib geschnitten. Von Eltern und Schwestern umhätschelt und von den Musen geküßt, entwickelte er früh ein außerordentliches Selbstbewußtsein: »Ich bin sechzehn Jahre alt und schon spüre ich in der Seele und im Geist das erste Feuer jener Jugend erglühen, die naht: in meinem Herzen ist tief eingeprägt ein maßloser Wunsch nach Wissen und Ruhm, welcher oft über mich mit einer düsteren und quälenden Melancholie herfällt und mich zum Weinen zwingt: ich dulde kein Joch.«
Schnell machte er sich in Künstlerkreisen einen Namen und lebte seinen heidnischen Schönheits- und Sinnenkult in vollen Zügen aus. Er liebte extravagante Kleidung, Luxus in jeder Form und vor allem die Frauen, denen er in notorischer Untreue verfallen war. Seine großen Bücher »Lust« (1889), »Der Triumph des Todes« (1894) und »Feuer« (1900) drehen sich alle um stürmische Liebschaften und harsche Enttäuschungen großer Ästheten. Im ersten Jahrzehnt des 20. Jahrhunderts erreichte der Dichter bereits den Zenit seines künstlerischen Schaffens. Als der extrovertierte Dandy 1910 wieder einmal in eine finanzielle Krise geriet, siedelte er nach Frankreich über, wo sein politisches Bewußtsein und sein Draufgängertum reifte. Als 1914 der Weltkrieg ausbrach, forderte D’Annunzio den Kriegseintritt Italiens: »Ich hoffe, daß wir in zwei Wochen Österreich den Krieg erklären. Das wäre für mich eine freudige und schöne Gelegenheit, um in die Heimat zurückkehren zu können.«
Als Italien dem deutschen Verbündeten 1915 den Krieg erklärte, wofür auch der damalige Sozialist Benito Mussolini kräftig getrommelt hatte, meldete sich der 52-jährige D’Annunzio freiwillig an die Front. Schnell erwarb er sich legendären Kriegsruhm. Noch nachdem er bei einer Flugzeuglandung ein Auge verloren hatte, steuerte er 1918 ein Flugzeug bis nach Wien, wo er anti-österreichische Flugblätter abwarf und nach der Überlieferung über dem Parlamentsgebäude einen Topf mit Exkrementen entleerte. Zugegebermaßen ein origineller Ausdruck seiner Parlaments- und Habsburgerverachtung.
Das Ende des Krieges und damit der Steigerung aller Lebenskräfte im Waffengang entließ ihn wieder in das fade Leben der westlichen Gesellschaft. »Was soll ich mit dem Frieden anfangen?«, fragte er sich. Doch dann rief ihn Fiume!
D’Annunzios Verhältnis zum seit 1922 regierenden Faschismus war distanzierter als man vielleicht annehmen möchte. Als Mussolini nach dem Tode des Dichtersoldaten vor 65 Jahren dessen Anwesen besuchte und mit ihm Zwiesprache hielt, sagte er: »Nein, Comandante, du bist nicht tot, und du wirst niemals sterben, solange es, eingepflanzt inmitten des Mittelmeeres, eine Halbinsel gibt, die man Italien nennt«
Als Repräsentant eines elitären deutschen Nationalismus wäre Gabriele D’Annunzio mit seinen schweren Anflügen von Dekadenz undenkbar gewesen. Georg L. Mosse stellt deutlich den Unterschied des italienischen »Fascho-Dandys« etwa zum deutschen Dichterkreis um Stefan George und dessen Ideal der Reinheit und Zucht heraus:
»Sie hätten jedwede Bezichtigung der Dekadenz von sich gewiesen, und wirklich hätten die ihnen eigene Harmonie der Form, die Klarheit des Ausdrucks und die Ergebenheit gegenüber dem nationalen Anliegen keinen Platz in der Dekadenzbewegung gefunden. Gabriele D’Annunzios mystische Ekstasen, seine erotische Hemmungslosigkeit waren ihnen fremd. Sein überbordender italienischer Nationalismus steht im Gegensatz zu ihrem ernsthaften und eindringlichen Versuch, das wahre Deutschland zu enthüllen.«
Jürgen W. Gansel
00:05 Publié dans Littérature | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : littérature, lettres, lettres italiennes, littérature italienne, italie, d'annunzio, première guerre mondiale | |
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Dietmar HOLZFEIND :
Les portes de l’UE sont grande ouvertes
Un rapport interne de l’UE le révèle : 900.000 illégaux pénètrent chaque année dans l’Union !
Un document interne de l’Union Européenne révèle sans ambiguïté ce que la classe politique dominante cache à la population européenne. L’immigration vers l’Europe est de plus en plus forte, le débordement menace. Le chiffre des illégaux atteint des proportions vertigineuses. Ainsi, le nombre d’illégaux est estimé à 900.000 personnes par an. Si l’on ajoute à cela le chiffre de l’immigration légale, on peut dire, comme Andreas Mölzer depuis 1991 sur le ton de la sombre prophétie, que l’on assiste carrément à un remplacement accéléré de la population européenne par de nouveaux arrivants (à une « Umvolkung »). Les calculs, qui prévoient qu’en 2050 les immigrants récents seront plus nombreux que la population de souche dans certains pays membres de l’UE, doivent désormais être révisés, sur base des connaissances nouvelles que révèle ce rapport, et la date fatidique de 2050, avancée de quelques années.
L’étude, qui plus est, établit un rapport direct entre cette immigration vers l’Europe et le développement hors proportions de la criminalité organisée et du trafic de stupéfiants. L’UE offre une plateforme attirante pour les criminels, explique le rapport, parce qu’y vivent des citoyens relativement aisés, parce qu’il y règne une économie libre de marché et surtout parce qu’on y trouve une liberté de circulation pour les personnes, inexistante ailleurs. Jadis, tous ces éléments favorables à une immigration débridée étaient freinés sinon annulés par les contrôles frontaliers nationaux. Après la signature des accords de Schengen, la situation a changé radicalement : des plaques tournantes pour les trafics d’êtres humains, pour l’immigration ou pour les négoces illicites se sont aussitôt constituées aux frontières de l’Union.
La crise économique et financière, provoquée par les Etats-Unis et les spéculateurs internationaux, une crise qui est loin d’être terminée, a contribué partiellement à augmenter encore la pression démographique sur l’Europe. L’étude révèle que la Turquie, pays candidat à l’adhésion à l’UE, est devenue le principal pays de transit pour les illégaux. Au départ de la Turquie, en effet, les immigrants arrivent sur le territoire de l’Union par la Grèce, la Bulgarie ou Chypre. 75% de toutes les arrestations d’immigrants illégaux se font en Grèce. Ce fait démontre, plus que tout autre, que la Turquie, qui, depuis des années, perçoit des millions d’euro au titre d’une « aide à l’adéquation », n’est vraiment pas encore mure pour l’adhésion. A l’évidence, ces sommes d’argent ne sont pas utilisées à bon escient. Car, ne l’oublions pas, la Turquie est aussi le principal pays par où transite le trafic d’héroïne vers l’Europe.
Les contrôles effectués aux frontières extérieures de l’UE sont tout, sauf efficaces. On peut encore lire dans le document, dont question, que le nombre d’arrestations d’illégaux a fortement augmenté à l’intérieur des frontières de l’UE et que ces arrestations se font alors que ceux-ci circulent à bord d’automobiles ou de camions, ce qui atteste que les véhicules sont mal contrôlés au moment où ils entrent dans l’UE.
La falsification de documents préoccupent grandement les fonctionnaires qui ont rédigé cette étude sur l’immigration illégale. Ils ont constaté que de plus en plus d’actes de naissance ou de documents similaires sont falsifiés, afin d’obtenir des visa temporaires, aussi via de fausses invitations pour des manifestations sportives ou des séjours d’étude. Conséquence de ces falsifications : les personnes qui utilisent de tels faux en écriture resteront plus longtemps à l’intérieur des frontières de l’UE. D’après les calculs établis par l’agence de protection des frontières, Frontex, ces pratiques entrainent plus de 350.000 séjours illégaux par an.
Ce document interne de l’UE s’en prend très nettement aux escroqueries que permet le droit d’asile. A l’aide de documents falsifiés, bon nombre d’immigrants obtiennent l’asile politique et, par suite, peuvent bénéficier frauduleusement des allocations sociales. Les systèmes sociaux bien structurés de certains pays de l’UE constituent par conséquent un pôle d’attraction pour les illégaux. La liste des fraudes peut être allongée à l’infini et les auteurs du document ne s’en privent pas ; cependant, le regard bref que nous y lançons dans le présent article, devrait suffire à étayer les arguments des partis populistes et patriotiques et à balayer le reproche qu’on leur adresse habituellement, celui de répandre des propos alarmistes ou haineux, alors que, jusqu’ici, avant la rédaction de ce rapport officiel de l’UE, ils ne dénonçaient finalement que la partie émergée de l’iceberg. Il faut pourtant ajouter que la rétention de telles informations et de pareils documents, qui ont été distribués et lus dès le mois de mai de cette année 2010 dans tous les départements de l’UE, constitue le véritable et le seul scandale en la matière : la classe politique dominante s’est une fois de plus discréditée.
Pour lire le document original, dont nous n’évoquons ici que les grandes lignes, on peut se rendre sur le site personnel du député européen de la FPÖ autrichienne, Andreas Mölzer : http://www.andreas-moelzer.at/
Dietmar HOLZFEIND.
(article paru dans « zur Zeit », Vienne, n°39/2010 ; http://www.zuzeit.at/ ).
00:30 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : europe, affaires européennes, politique, politique internationale, immigration, union européennes, frontex, parlement européen, immigration illégale, illégaux | |
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Cold Front: Conflict Ahead in Arctic Waters
The Arctic: land of ice and the six-month day; irresistible goal for explorers and adventurers; enduring source of romance and mystery - and now also a poignant and unavoidable indicator of the impact of climate change. As the ice cap shrinks, the geography of the entire Arctic region changes: clear shipping channels replace immovable ice and inaccessible oil resources become available. What will be the long-term consequences of these cataclysmic changes - not only environmental but also social and political? How will the lives of the many individuals who depend upon the natural resources of the Arctic be changed? And how will the global powers who wish to exploit the region's many assets respond? Cold Front is not just another attempt to predict the outcome of global warming. Instead it offers a clear-sighted and penetrating investigation of the Arctic's pivotal role in international relations, placing the polar region in its historical, political and legal context. The thawing of the ice-cap creates huge opportunities for trade and transport - and therefore also for conflict between the Arctic nations.
This important and timely addition to the literature on the region will be essential reading for anyone interested in humanity's effect on the Arctic - or the Arctic's effect on humanity.
00:20 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Géopolitique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, géopolitique, géostratégie, océans, zone arctique, arctique, océan arctique, srtratégie, europe, affaires européennes | |
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