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samedi, 13 mars 2010

Ugo Spirito, il padre della "Corporazione Proprietaria"

Ugo Spirito il padre della "Corporazione Proprietaria"

di Luigi Carlo Schiavone - http://ginosalvi.blogspot.com/ 

Ugo Spirito nacque ad Arezzo il 9 settembre 1896 dall’ingegnere Prospero e da Rosa Leone. Iscrittosi a giurisprudenza, fu allievo del socialista Enrico Ferri, da cui trasse la sua formazione positivista. Nel 1918, anno della laurea, avrà il primo incontro, nel corso di una lezione all’università di Roma, con il suo futuro mentore, Giovanni Gentile. Nel 1920, dopo aver conseguito anche la laurea in filosofia, venne chiamato da Gentile a collaborare a “Il giornale critico della filosofia italiana” di cui divenne successivamente direttore. Nel 1922 conobbe Benedetto Croce, con cui entrò successivamente in polemica. Nel 1923 fondò con Carmelo Licitra e Arnoldo Volpicelli “Nuova politica liberale”, rivista che cambiò successivamente il nome in “Educazione politica” prima e “Educazione Fascista” poi. Nel 1924 fu chiamato da Giuseppe Bottai a collaborare per “Critica Fascista”. In questi anni pubblicò, inoltre, “Il pragmatismo della filosofia contemporanea”(1921), “Storia del diritto penale italiano” (1925), “Nuovo diritto penale” (1929), “Scienza e filosofia” (1933).

ugo public%5Cimg_prod%5C2471.jpgChiamato a vivere il periodo magico del neo-idealismo sorto all’indomani del primo dopoguerra, Spirito aderì giovanissimo all’attualismo gentiliano, corrente di pensiero dalla quale si distaccò nel corso degli anni Trenta, senza però rinnegare alcuni dei suoi principi di fondo. Dopo essere stato considerato un “divulgatore entusiasta ed un apologeta instancabile dell’attualismo” col suo “Scienza e filosofia”, infatti, delineò quella che è considerata, non a torto, una posizione originale ed autonoma rispetto al pensiero gentiliano, collocandosi, con Guido Calogero, sul fronte della cosiddetta “sinistra attualistica”. Spirito mantenne nella sua analisi il principio gentiliano del “fare” (dell’atto) col chiaro intento di “demetafisicizzarlo” legandolo all’agire fattuale degli uomini che si ha nell’ambito del concreto orizzonte mondano. Spirito, impegnandosi nell’ambito della problematica gnoseologica, giunse a risultati differenti da Gentile e Croce, distanziandosi anche dalla tesi sostenuta dal suo amico Calogero, che sviluppò questo programma in senso etico. Spirito, infatti, grazie ai suoi studi riuscì ad affermare una serie di precetti, tra cui la non inferiorità della conoscenza scientifica rispetto alla conoscenza filosofica; l’impossibilità di sopprimere la scienza nella filosofia e la necessità di stabilire tra loro un’organica collaborazione. Questa sua concezione, che egli stesso definì “attualismo costruttore”, insomma, aveva come scopo di fare “sul serio scienza che sia filosofia e filosofia che sia scienza” in un costante nesso dialettico.

Nel 1937, con la pubblicazione edita da Sansoni di “Vita come ricerca”, Spirito lanciò le tesi del “problematicismo” con le quali capovolse progressivamente le posizioni dell’attualismo, consumando la rottura definitiva con Gentile, il quale si scagliò duramente contro questa opera. Il disgelo avverrà solo nel 1941, in seguito alla pubblicazione del volume del filosofo aretino “Vita come arte” che Gentile commenterà all’interno di una conferenza promossa dal ministero dell’Educazione facendo riferimento ad uno “Spirito non più mio”.
Gli anni Trenta, però, sono anche gli anni di gestazione della teoria della “corporazione proprietaria”. Dopo aver riunito, nel 1930, nel libro “Il Corporativismo” i tre testi precedentemente redatti sull’argomento, “Dall’economia liberale al corporativismo”, “I fondamenti dell’economia corporativa” e “Capitalismo e Corporativismo”, partecipò nel maggio 1932 al secondo Convegno di Studi sindacali e corporativi, tenutosi a Ferrara. Qui, dopo aver criticato il dualismo di classe presente nel capitalismo, Ugo Spirito lanciò la sua innovativa teoria. Ne “La corporazione proprietaria”, anche detta “corporazione comunista” il filosofo paventò la possibilità che la proprietà dei i mezzi di produzione fosse affidata non più ai privati bensì alla corporazione stessa. Tale teoria si contrapponeva all’ “anarchia produttiva” e al “dirigismo statale” permettendo che la grande società anonima si trasformasse in corporazione; favorendo la fusione tra capitale e lavoro, Spirito, inoltre, propugnava il superamento dell’antagonismo fra datori di lavoro e lavoratori che da realizzarsi grazie al passaggio del capitale dagli azionisti ai lavoratori, che divenivano così proprietari della parte loro spettante. Questa teoria, che prevedeva la risoluzione del sindacalismo nel corporativismo integrale e che rendeva inutile la presenza delle associazioni di categoria, favorendo la piena identificazione fra individuo e Stato, affermando così il superiore valore etico della rivoluzione fascista, fu duramente avversata sia dalla “destra” fascista, rappresentante dell’industria e della borghesia conservatrice e nazionalista, che la tacciò di “bolscevismo” e la bollò come teoria “eretica”, sia dalla sinistra sindacale che, dopo aver accusato Spirito d’essere dotato di scarsa sensibilità sociale, passò al vaglio la sua tesi evidenziandone i tratti utopici. A queste critiche seguì una polemica di carattere accademico fra il filosofo e il quadriumviro De Vecchi. Con la redazione del codice civile del 1942, inoltre, s’affermò una concezione borghese ed individualistica della proprietà privata contro la quale lo stesso Mussolini espresse una certa insoddisfazione. Nonostante ciò, i rapporti tra il filosofo ed il regime continuarono ad essere solidi.

Ma nell’animo di Ugo Spirito la volontà di ravvivare gli studi corporativi non si spense; egli, infatti, nonostante tutto, proseguì nella sua opera. Nel 1941 redasse a tal proposito il volume “Guerra rivoluzionaria”, nel quale tracciò un quadro senza compiacenze dei rapporti di forze esistenti fra gli Alleati e l’Asse, e non nascose un certo rammarico per la mancata alleanza delle tre potenze totalitarie: Italia, Germania e Urss contro le demoplutocrazie internazionali. Un volume, quest’ultimo, la cui stampa sarà bloccata dallo stesso Mussolini perché considerato troppo filo-tedesco. In questo periodo, inoltre, si consumò anche il suo allontanamento da Bottai, a causa della conversione al cattolicesimo di quest’ultimo, portando Spirito a individuare in Camillo Pellizzi, presidente dell’Istituto Nazionale di Cultura fascista, il suo nuovo referente politico e culturale.
Nel giugno del 1944 il fervore giustizialista seguito al crollo del regime vide Ugo Spirito al centro di un processo d’epurazione che gli costerà la sospensione dall’insegnamento; prosciolto dall’accusa di apologia del fascismo, riuscirà a ritornare alle sue mansioni di docente.
Nel 1948, quindi, pubblicò “Il problematicismo” seguito, nel 1953, da “Vita come amore. Tramonto della civiltà cristiana”, opera con cui si evidenzia il distacco definitivo del problematicismo dal cristianesimo in generale e dal cattolicesimo in particolare, generando ampie discussioni e polemiche.

Nel 1956 compì un delicato viaggio in Unione Sovietica, dove avrà un colloquio molto interessante con Kruscev. I suoi viaggi nei paesi del socialismo reale però non si fermano qui. Nel 1961 si recò in Cina dove soggiornerà per un periodo abbastanza lungo nel quale riuscirà ad incontrare le più alte cariche del Paese, tra cui lo stesso Mao, che lo colpirà favorevolmente aldilà di ogni più rosea aspettativa.
Di questi due viaggi è, inoltre, interessante riportare quanto affermato dal filosofo in “Memorie di un incosciente”, edito nel 1977: “Negli occhi di Kruscev e in quelli di Mao ho visto la luce del vero comunismo. Era il comunismo trionfante, con la sicurezza del trionfo. Quel comunismo fu il solo comunismo che il mondo ha visto, e che non vedrà mai più. È lo spettacolo di una conquista assoluta che non potrà più ripetersi. Si tratta di un miliardo di uomini che hanno creduto alla nascita della verità. Aver visto quella realtà è uno dei tanto privilegi che la fortuna mi ha riservato”.
Il 1967 è l’anno della polemica con Papa Paolo VI. Il 2 dicembre di quell’anno, infatti, Spirito riceve dal segretariato pro non credentibus il messaggio del Papa per la celebrazione di una “Giornata della Pace”, seguito da una lettera di accompagnamento in cui il filosofo viene inserito tra “coloro che non riconoscono la dimensione religiosa dell’esistenza e della Storia”. Irritato, Spirito rispose affermando di non accettare la qualifica di “non credente”, figlia a suo dire di “regole procedurali arbitrarie e temerarie” ed aggiungendo, inoltre, che le sue opere non erano mai state poste all’indice. Nel 1972 partecipò, quindi, all’inaugurazione dell’Istituto degli Studi Corporativi a Roma; nel 1975, in qualità di presidente della Fondazione Giovanni Gentile promosse, giovandosi della collaborazione della Scuola Normale Superiore di Pisa e dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, un importante convegno internazionale sul pensiero di Giovanni Gentile. Pubblicò nello stesso anno il libro “Cattolicesimo e comunismo”.

Negli anni finali della sua esistenza, al pari dei grandi saggi del passato, la sua casa divenne meta e cenacolo di giovani intelligenze giunte lì per ascoltare dalla diretta voce del Maestro gli insegnamenti dettati da un’esperienza di vita, oltre che intellettuale, intensa. Una voce che cesserà d’essere udita il 28 aprile del 1979, quando la morte sopraggiunse improvvisa ad interrompere l’esistenza di una delle figure indubbiamente più interessanti ed ecclettiche del recente passato italiano.

Fonte: RINASCITA

Marc. Eemans ou l'autre versant du surréalisme

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1989

Marc. Eemans ou l'autre versant du surréalisme

 

La conversion de Marc. Eemans au Surréalisme est contemporaine de celle de René Magritte et de ses amis. Elle s'est faite entre 1925 et 1926. A cette époque Marc. Eemans avait à peine dix-huit ans, alors que Magritte était son aîné de quelque neuf à dix ans.

 

eemanspipe.jpgC'est grâce à la rencontre de Geert Van Bruaene, alors directeur du Cabinet Maldoror en l'Hôtel Ravenstein, que le jeune Marc Eemans a été intié à la poésie présurréaliste des «Chants de Maldoror» et c'est également alors qu'il entra en contact avec Camille Goemans et E.L.T. Mesens qui allaient bientôt devenir ses compagnons de  route avec Paul Nougé, René Magritte, André Souris, paul Hooremans et Marcel Lecomte, dans l'aventure du premier groupe surréaliste belge, groupe où ils furent bientôt rejoints par Louis Scutenaire qui, à l'époque, se prénommait encore Jean.

 

Certains historiens du Surréalisme en Belgique ont estimé qu'à ses débuts, Marc Eemans, en tant que peintre, n'était qu'un épigone, un imitateur de René Magritte, mais, qu'il n'y a pas eu imitation, tout au plus chemin parallèle, ce qui s'explique aisément, car il fut une époque où le Surréalisme vivait dans l'osmose de l'air du temps».

 

Pour s'en convaicnre, il suffit d'ailleurs de consulter la petite revue «Distances», éditée à Paris par Camille Goemans en 1928, à laquelle collabora Marc. Eemans (x). Ajoutons-y au même titre ses dessins à la plume dans le mensuel «Variétés», paraissant à la même époque à Bruxelles.

 

D'ailleurs, Marc. Eemans alla bien vite prendre définitivement un chemin tout autre que celui de René Magritte et de ses compagnons de route, à l'exception de Camille Goemans et de Marcel Lecomte. Nous en trouvons un témoignage irréfutable dans un album paru en 1930 aux Editions Hermès, fondées par Goemans et lui-même et au titre bien significatif! Eemans s'y révèle comme un adepte moderne de ce que Paul Hadermann, professeur à l'Université Libre de Bruxelles, a appelé le »trobar clus de Marc. Eemans» d'après le terme provençal propre aux troubadours et minnesänger qui pratiquaient jadis une poésie hermétique «close», accessibles aux seuls initiés. Cet album intitulé «Vergeten te worden» (Oublié de devenir) compte «dix formes linéaires influencées par dix formes verbales». Il est paru initialement en langue néerlandaise, mais une réédition, avec traduction française et une introduction du prof. Hadermann, à laquelle nous venons de faire allusion, en est parue en 1983.

 

La coloration du Surréalisme propre à Marc. Eemans est dès lors nettement affirmée. Ce Surréalisme s'est fortement éloigné de celui de René magritte que Salvador Dali a qualifié un jour d'«A.B.C. du Surréalisme».

 

Tandis que les options des membres de ce que Patrick Waldberg a appelé plus tard la «Société du Mystère» se sont trop souvent orientées vers les facilités d'un certain «néo-dadaïsme» au dogmatisme sectaire à la fois «cartésien» et «gauchisant» en lequel la contrepèterie se le dispute à l'humour noir et rose, voire au «prosaïsme» petit-bourgeois (le chapeau melon et la pipe, de Magritte!), Marc. Eemans, lui, accompagné en cela par Camille Goemans et Marcel Lecomte, s'est orienté derechef vers un autre versant du Surréalisme fort proche de l'Idéalisme magique d'un Novalis et du Symbolisme de la fin du siècle dernier.

 

Ce Surréalisme, que les historiens du Surréalisme en Belgique semblent ignorer ou plutôt passer sous silence, répond en quelque sorte à l'appel à l'«occultation» lancé par André Breton dans son «Second manifeste du Surréalisme». Rappelons d'ailleurs à ce propos à quel point Breton a été profondément touché par le Symbolisme, au point que Paul Valéry a été son témoin lors de son premier mariage et qu'en 1925, voire plus tard encore, lui-même ainsi qu'Eluard et Antonin Artaud se sont révélés comme des admirateurs inconditionnels du poète symboliste Saint-Pol-Roux.

 

La filiation du Romantisme au Surréalisme via le Symbolisme est d'ailleurs évidente, aussi Alain Viray a-t-il pu écrire qu'«il y a des liens entre Maeterlinck et Breton», à quoi nous pourrions ajouter qu'il y en a également entre Max Elskamp et Paul Eluard, tandis que l'ex néo-symboliste Jean De Bosschère a viré étrangement, vers la fin de sa vie, vers le Surréalisme, un certain Surréalisme il est vrai.

 

Quoi qu'il en soit, l'art que Marc. Eemans a pratiqué, dès sa vingtième année, est ce que l'on pourrait appeler un «Surréalisme ouvert», détaché de tout sectarisme et de cet esprit de chapelle cher aux surréalistes qui se considèrent  de «stricte obédience». Dès lors la question se pose: Marc. Eemans est-il encore surréaliste? Mais en fait qu'est-ce qu'une étiquette? What is a name? En tout cas, Eemans a déclaré un jour, lors d'une enquête de la revue «Temps Mêlés» qu'il ne serait pas ce qu'il est sans le Surréalisme…

 

Parlons plutôt de la revue «Hermès» que Marc. Eemans fonda en 1933 avec ses amis René Baert et Camille Goemans (c'est ce dernier qui en rédigea toutes les «Notes des éditeurs»). C'était une revue d'études comparées en laquelle poésie, philosophie et mystique furent à l'honneur. Y collaborèrent activement e.a. Roland de Reneville (un transfuge du «Grand jeu» et auteur d'un «Rimbaud le Voyant»), le philosophe Bernard Groethuysen, l'arabisant Henri Corbin ainsi que le poète Henri Michaux qui en devint le secrétaire de rédaction. Revue surréaliste? Oui ou non, et nous croyons même que le mot «surréalisme» n'y a jamais figuré… Par contre y furent publiées les premières traductions en langue française de textes des philosophes Martin Heidegger et Karl Jaspers. Y collabora également le philosophe franças Jean Wahl tandis qu'y figurèrent des traductions de textes poétiques ou mystiques flamnds, allemands, anglais, tibétains, arabes et chinois, sans oublier l'intérêt porté à des poètes symbolistes, pré-symbolistes ou post-symbolistes.

 

En somme «Hermès» pratiqua un «Surréalisme occulté» qui a retenu l'attention d'André Breton, mais aussi l'indifférence, si pas l'hostilité de certains membres de la «Société du Mystère». Notons à ce propos que Breton a toujours préféré le «merveilleux» au «mystère», en prônant surtout le recours à la magie, sans toutefois pouvoir se soustraire à la tentation d'une magie de pacotille, celles des voyantes et des médiums. Du côté d'«Hermès», au contraire, il y eut toujours le souci d'un hermétisme davantage tourné vers l'austère éthique propre à tout ce qui relève de la «Tradition primordiale». Mais ne l'oublions pas:: le Surréalisme d'André Breton et de ses amis n'a jamais pu se défaire d'un certain «avant-gardisme» très parisien en lequel le goût de l'étrange, du bizarre à tout prix, de burlesque provocateur et de l'exotimse forment un amalgame des plus pittoresques fort éloigné des préoccupations profondes de Marc. Eemans et de ses amis de la revue «Hermès». Chez lui surtout prévaut avant tout la soumission à des mythes intérieurs nés de ses fantasmes. Il y a chez lui une gravité qui l'a conduit à une incessante quête de l'Absolu. En témoignent aussi bien ses peintures que ses écrits poétiques. Comme l'a écrit Paul Caso («Le Soir, 26-28.XII.1980): «On doit reconnaître l'existence de Marc. Eemans et la singularité d'un métier qui a choisi de n'être ni claironnant, ni racoleur. Il y a là un poids d'angoisse et de sensibilité».

 

Jean d'Urcq

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vendredi, 12 mars 2010

Les "dégagements" de Régis Debray

regis_debray_1.jpgLes dégagements de Régis Debray

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com/

Dégagements est le titre du nouvel essai de Régis Debray qui doit sortir en librairie dans les prochains jours. Il a rassemblé dans ce volume, en particulier, ses carnets publiés dans la revue Médium.

L’essentiel, qui est un certain style, se niche dans les détails. C’est le ton de l’écrivain, celui qui vivifie les mots et stylise la vie.

Régis Debray joue aux quatre coins avec les accidents de la vie. Entre figures tutélaires (Julien Gracq ou Daniel Cordier), et artistes redécouverts (Andy Warhol ou Marcel Proust), entre cinéma et théâtre, expos et concerts, le médiologue se promène en roue libre, sans apprêt ni a priori. Rêveries et aphorismes cruels se mêlent aux exercices d’admiration. Les angles sont vifs, la lumière crue, mais souvent, à la fin, tamisée par l’humour.

Ainsi l’exige la démarche médiologique, tout en zigzags et transgressions, selon la définition un rien farceuse qu’en donne l’auteur : « Un mauvais esprit assez particulier qui consiste, quand un sage montre la lune, à regarder son doigt, tel l’idiot du conte. »

Essayiste, romancier, journaliste et mémorialiste, Régis Debray a notamment publié aux Éditions Gallimard de nombreux essais : Ce que nous voile le voile. La République et le sacré (Hors Série Connaissance, 2004), Le plan vermeil (Hors Série Connaissance, 2004), Supplique aux nouveaux progressistes du XXIe siècle (Hors Série Connaissance, 2006), une pièce de théâtre : Julien le fidèle (collection blanche, 2005), des mémoires : Aveuglantes lumières (collection blanche, 2006). Derniers ouvrages parus : Un candide en Terre Sainte (collection blanche, 2008, Folio n° 4968) et Le moment fraternité (collection blanche, 2009).

 

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Dixit Debray

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Dixit Debray

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com/

A l'occasion de la sortie de Dégagements, son dernier ouvrage publié aux éditions Gallimard, Régis Debray a donné un entretien au magazine Le Point dont voici quelques extraits.

  « Être, à présent, c'est être vu. C'est la caméra qui donne la visibilité sociale, après quoi on est bon pour l'influence, et même pour un ministère. Le système création-édition-critique-médias est devenu un mécanisme d'autocongratulations qui fonctionne en circuit fermé. Quant à nos acteurs, sportifs, chansonniers, animateurs, ils ont la légitimité. Quand Sarkozy pose à côté de son pote Johnny, le patron, c'est Johnny. Il met négligemment la main sur l'épaule de Nicolas. La politique est devenue une filiale parmi d'autres du show-biz. Comme la philosophie, ou ce qui passe pour tel, et le football. Ils font la paire en public et se mettent en ménage dans le privé. Mauvais temps pour les mots. "Casse-toi, pauvre con !" Ceux qui aiment déguster des mots plutôt que déglutir de l'info vont survivre, loin des best-sellers, hors marché, dans des îlots ou des monastères, peut-être dans quelques grandes écoles si celles-ci ne disparaissent pas entre-temps. Mais les Voltaire et les Victor Hugo, dans l'Occident postindustriel, sont technologiquement condamnés. L'intello classique n'est plus fonctionnel. »

 « Les nouveaux philosophes produisent de l'indignation au rythme de l'actualité en désignant au bon bourgeois le méchant du jour - le totalitaire, le franchouillard, l'islamo-fasciste, etc. »

 « J'estime avoir fait mon travail lorsque j'ai éclairé des zones d'ombre, comme la religion, raccordé des champs, proposé des outils de compréhension, en général pour expliquer pourquoi ça ne marche pas et pourquoi ça ne marchera pas beaucoup mieux demain. Mais je n'appelle personne à la conversion. Entre la tour d'ivoire et la course de vitesse avec l'actu, j'espère trouver une troisième voie, que j'appelle le dégagement ou le regard en biais. Je n'ai plus le virus politique, mais je garde un penchant pour les collectifs : j'aime la bande, la revue, la conspiration, le commando. C'est un trait de gauche. On ne se refait pas. »

 «  Le grand retour indigéniste auquel nous assistons à travers quelqu'un comme Evo Morales est bien une revanche de la mémoire sur les tables rases du futurisme occidental. Toutes les révolutions socialistes sont des nationalismes. Mao commence pour de bon avec l'attaque du Japon. Pourquoi les talibans sont-ils forts ? Parce qu'ils sont chez eux envahis par des étrangers, infidèles de surcroît. On ne gagne pas contre une civilisation. »

 «  Le problème, c'est l'évanouissement de l'Europe comme alternative. Voyez l'obamania de nos provinces. Faire d'un patriote américain juste milieu un bon Européen de gauche relève d'une incroyable perte de sens historique. Et géographique. Nous n'avons même plus la force de produire nos propres champions. On s'enamoure en midinette. On dirait qu'en vieillissant l'Europe n'est plus que fleur bleue. Elle regarde l'Oncle d'Amérique en prince charmant, lequel regarde ailleurs, là où les choses se passent : Asie et Pacifique. »

 « Le clivage [droite-gauche] reste, mais il est sociologique ou folklorique, au bon sens du mot. Quant aux idées et aux valeurs, allez vous y reconnaître. [...] Qui eût dit que le patron du FMI, installé à New York, serait un jour la vedette de la gauche française ? Il y a vingt ans, on pouvait reconnaître un homme de droite à sa cravate, à sa boutonnière et à sa coupe bien nette. Aujourd'hui, le casual wear et la barbe de trois jours font uniforme commun. En face de quoi vous pouvez me définir comme un conservateur de gauche, tiers-mondiste vieux jeu, voire gaulliste d'extrême gauche. Cela m'indiffère. »

 « Le handicap de la gauche, en matière d'art, c'est la morale. Le surmoi est assez peu créatif. La droite doit à un certain cynisme d'avoir les coudées franches. Il m'arrive d'avoir plus de plaisir à lire le Journal de Morand, politiquement immonde, que celui de Leiris, moralement impeccable. »

 « Pour sauvegarder votre capacité à être vous-même, faites de l'histoire, sortez de vos frontières et lisez des livres : plus vous maîtriserez les mots, plus vous jouirez des images. »

Is de oorlog om de olie en gas uitgebroken?

Is de oorlog om olie en gas uitgebroken?

Ex: Nieuwsbrief Deltastichting - n°33 (maart 2010)
Het is duidelijk dat we ons al een tijdje in een overgangsfase bevinden, een interregnum: de oude zekerheden van vorige eeuw zijn weggevallen, de opdeling van de wereld in ‘goeden’ – de NAVO, het vrije Westen, West-Europa, Amerika – en de ‘slechten’ – de communistische staten rond de USSR en China – is ongedaan gemaakt, en in de plaats daarvan is een ingewikkelde wereld met veel en tegenstrijdige krachten. China botst met Rusland, Amerika botst met iedereen, China eist een stuk van de markt in Afrika, Rusland zoekt toenadering met Europa, dat nochtans een veilige afstand wil bewaren. De globalisering van de economie – waarvan het einde nu ook al voorspeld wordt door Chinakenner Jacques Martain in De Tijd (06.03.2010) – zorgt ervoor dat nog meer dan vroeger de controle over de energiebronnen een, zoniet dé inzet wordt van de strijd tussen de grote spelers op de wereldmarkt.
 
Het mag dan al zo zijn, dat we in snel tempo aan het afstevenen zijn naar het einde van het tijdperk van de fossiele brandstoffen, feit is nochtans dat de strijd ook en nog steeds gaat om de controle van onder andere olie. Maar ook in toenemende mate gas. Daarover willen we het hier hebben.
 
Rusland was in de jaren 80 van vorige eeuw de grootste producent van petroleum, maar met het ineenstorten van de Sovjet-Unie zakte ook de productie in elkaar. Met Poetin aan de macht in het Kremlin werd hieraan grotendeels verholpen en moet men vaststellen dat Rusland opnieuw is opgeklommen tot de tweede producent van petroleum, na Saoedi-Arabië. Rusland is goed voor ongeveer 6% van ontdekte wereldreserves, maar gelet op het feit dat nog heel wat grondgebied niet volledig is onderzocht, zou dit aandeel wel eens kunnen stijgen in de komende jaren. Maar Rusland speelt vooral een grote rol op het vlak van de gasproductie, haar reserves zijn goed voor 30% van de wereldvoorraad. Daarnaast bevinden zich 25% van de steenkoolreserves op het Russische grondgebied. Zij is dus een hoofdspeler op de wereldenergiemarkt.
 
Op dat vlak is ze de perfecte tegenspeler op het vlak van energievoorziening: het islamitische deel van het Midden-Oosten (Saoedi-Arabië, Irak, Iran, de Golfemiraten). Dit politiek en economisch belangrijke stuk van het Midden-Oosten controleert 2/3de van de wereldreserves van aardolie en meer dan een derde van alle gasvoorraden.

 

Wie doet beroep op en is afhankelijk van de Russische energievoorziening? De Europese Unie eerst en vooral (ze koopt er de helft van haar gas en zo’n 20 van haar petroleum), Japan, China, India, Korea. Tegen 2020 zal een belangrijk deel van de energie-export van Rusland in de richting van Zuid-Oost-Azië gaan, rekenen economische commentatoren ons voor.
 
Zo bekeken was het voor Poetin al heel lang overduidelijk dat de energievoorziening de joker wordt van de Russische heropstanding. Met dit onderwerp heeft de Russische politicus zijn doctoraat aan de universiteit van Sint-Petersburg gehaald, en met dezelfde vaststellingen bouwt hij zijn politiek verder uit. Niet alleen zal de export van energie Rusland de middelen verschaffen om haar dominante militaire, economische en politieke rol in de wereld te vestigen, de staten die voor hun energievoorziening afhankelijk zijn van de toevoer vanuit Rusland, zullen dit ook politiek vertaald zien.

Aan de andere kant van het geografische spectrum blijven de VSA natuurlijk ook op een zeer prominente manier aanwezig. Niet alleen hebben zij sinds de oorlog tegen Irak hun controle op de petroleum in het Midden-Oosten versterkt, maar daarenboven domineren zij met hun enorme oorlogsvloot zowat alle grote zeevaartroutes ter wereld. Terwijl Amerika dus met haar oorlogsvloot Rusland wil verzwakken door haar te omsingelen, gebeurt eigenlijk hetzelfde door Rusland, dat Amerika wil verzwakken door continentale aanvoerroutes op te zetten van aardolie en gas. Op die manier wil Rusland haar positie van wereldspeler veilig zetten, terwijl Amerika er alles aan doet om haar eerste rangsrol te verdedigen. De oorlog om het gas en de olie is dus inderdaad losgebroken. De Europeanen zitten in deze ‘vreedzame’ oorlog op een uitermate ongemakkelijke plaats: ze hebben een militaire alliantie met de VSA, maar zij economisch sterk afhankelijk van de olie- en gastoevoer vanuit Rusland.
 
Misschien als uitsmijter het volgende meegeven: de strijd van Poetin om de energiemarkt is een strijd op twee fronten. Hierboven hebben we al een kleine inkijk gegeven op de strijd buiten de grenzen van Rusland. Maar de strijd werd eerst intern gevoerd, en die strijd heeft Poetin grotendeels gewonnen. Ik heb het dan over de strijd tegen de grote olie-oligarchen op het Russische grondgebied. Een aantal namen zijn wellicht bij onze lezers blijven hangen: Gazprom en Rosneft, maar vooral Joekos en Michaël Khodorchovski. Sommigen hebben het in dat verband zelfs over petroleumnationalisme. 

(Peter Logghe)

Sindacalismo rivoluzionario - Dottrina comunitaria di lotta

Sindacalismo rivoluzionario.
Dottrina comunitaria di lotta

di Luca Leonello Rimbotti - Ex: http://www.ariannaeditrice.it/

ugo-spirito_fondo-magazine-336x450.jpgNella tradizione politica italiana la coniugazione dei termini popolo e nazione è stata un’eterna costante. La speciale idea di democrazia che si era fatta largo in epoca moderna non aveva nulla dell’oligarchismo parlamentarista di provenienza anglosassone e puritana. E neppure aveva nulla a che spartire con il millenarismo classista di Marx e con il suo elogio del progresso cosmopolita. Al contrario, almeno da Mazzini in poi, si ha da noi il convincimento che per democrazia debba intendersi la mobilitazione di tutto il popolo, oltre le classi e gli interessi, e il suo inserimento nel circuito decisionista attraverso il meccanismo delle appartenenze sociali entro la cornice nazionale. Come dire: il lavoro e la sua possibilità di uscire dalla gestione economica per entrare in quella politica. Il che significava la guida del popolo affidata alle sue aristocrazie politiche espresse dalla competenza tecnica. E in questo noi vediamo facilmente l’anticipazione di molto corporativismo, ad esempio nel senso di un Ugo Spirito. Il Sindacalismo Rivoluzionario nacque in questa prospettiva. E la storia del socialismo non marxista ne è la conferma. La mobilitazione morale, la promozione di una cultura politica popolare e la lotta contro il classismo furono tappe essenziali di quel movimento di liberazione delle energie davvero democratiche e davvero popolari che si presentò al crocevia storico del 1914 come il più vitale e il più attivo. Bloccato il socialismo riformista nelle sue derive fatalistiche, screditato quello massimalista e marxista dalla sua impotenza anche solo a concepire una via rivoluzionaria, in Italia gli unici versanti mobilitatori e innovativi, capaci di intendere la politica mondiale e le possibilità della storia, furono il Nazionalismo imperialista e il Sindacalismo Rivoluzionario.


Possiamo dire che quando, intorno al 1911, Angelo Oliviero Olivetti affermava che sindacalismo e nazionalismo si presentavano come “dottrine di energia e di volontà”, essendo le due uniche “tendenze aristocratiche” in un mondo già livellatore, e che insieme esprimevano “il culto dell’eroico che vogliono far rivivere in mezzo a una società di borsisti e di droghieri”, le fondamenta di un diverso modo di concepire la politica erano già gettate. Questa via politica, in realtà, più che nuova, era proprio rivoluzionaria rispetto alla tradizione ottocentesca legata agli schieramenti di classe, e lo era anche nei confronti della politica del Novecento, tutta di nuovo incentrata - dal marxismo al liberalismo - sulla concezione antagonista tra i ceti e gli interessi, che era tipica del classismo tanto di vertice (liberale) quanto di base (marxista). La percezione che il criterio dell’appartenenza è dato dal valore di legame culturale e bio-storico, anziché dal profitto e dal salario, fu un rovesciamento delle categorie mentali del borghesismo, rifiutate nel loro insieme, come brutale negazione dell’identità profonda, quella geo-storica. Ben più significante di quella superficiale, occasionale e mutevole che deriva dalla mera collocazione sociale.


L’aver scoperto che tra le masse e le oligarchie esiste uno spazio destinale che entrambe le ricomprende sotto il nome di popolo è il maggior titolo ideologico del Sindacalismo Rivoluzionario italiano.

Di fronte ai ricorrenti tentativi di sottrarre il Sindacalismo Rivoluzionario a questo suo destino ideologico - tentativi intesi soprattutto a sganciarlo dall’eredità fascista, presentata ogni volta come incongrua e manipolatoria, secondo le note mistificazioni di certa storiografia contemporanea - noi non possiamo che far parlare gli ideali, i progetti e le intuizioni di una classe dirigente sindacalrivoluzionaria che procedette diritto lungo un unico crinale: concezione organicistica della società, precedenza del fattore comunitario su quello individualistico e settario, sindacato come aggregazione più politica che economica, messa in valore della lotta e persino della guerra esterna come essenziali momenti di potenziamento del popolo, in quanto blocco unitario di volontà e più precisamente di volontà politica. E, non da ultimo, netta presa di coscienza che il rivoluzionamento degli assetti sociali liberali e conservatori lo si poteva ottenere non con rivendicazioni settorialistiche vetero-sindacali, ma con drammaturgie popolari ad alta intensità coinvolgente. In altre parole, con una cultura politica fortemente mobilitante, alla maniera del “mito” soreliano. Ciò che ai sindacalisti rivoluzionari fece riconoscere la Prima guerra mondiale per quello che era: l’occasione storica per abbattere l’oligarchia liberale e per dare avvìo alla coscienza popolare di massa, attivata attraverso la tragica compartecipazione al dramma collettivo di una crescita “spengleriana”, per così dire. Ottenuta cioè per mutazioni traumatiche, per scatti rivoluzionari: la guerra nazionale come azione rivoluzionaria di massa, appunto. Qualcosa di molto diverso dai blandi riformismi, che in regime liberale sono facilmente gestibili, al solito, dalle caste borghesi paternaliste.

Una concezione del mondo fondata sul riconoscimento del trauma epocale come punto di rottura e apertura degli spazi del rovesciamento: questa la virtù rivoluzionaria dei sindacalisti rivoluzionari, che nel riconoscere la Nazione in altro modo rispetto al patriottismo conservatore borghese, in modo popolare e sociale, riconobbero il valore politico del Novecento, cioè la comunità di popolo mobilitata attorno a simboli e traguardi di valore sociale, politico e metapolitico, non occasionali ma macrostorici.

La macrostoria è difatti lo scenario del Sindacalismo Rivoluzionario, più di quanto la rivendicazione salariale contrattata coi potentati industriali non fosse invece l’umile terreno del sindacalismo socialista, microstorico a dispetto dei suoi sogni palingenetici, e incapace, al momento buono, di interpretare i segni del cambiamento epocale. Come accadde puntualmente nel 1914, quando i gestori socialisti del “risentimento di classe” proletario consegnarono alla sconfitta storica proprio quelle masse operaie che avrebbero inteso condurre al riscatto, contrattando scaglie di paternalismo con il padronato, anziché verificare la possibilità di liquidare la casta al potere costruendo un’avanguardia aristocratica aperta non al popolo, ma a tutto il popolo.

Sia Georges Sorel che Arturo Labriola Labriola ebbero modo di notare che il sindacalismo socialista aveva una scarsa propensione alla lotta e che quasi quasi la borghesia, o per lo meno certi suoi settori, dimostravano negli anni precedenti la Prima guerra mondiale una capacità dinamica maggiore, un decisionismo più libero. La storia del sindacalismo socialista prima e socialcomunista poi è una storia di sottomissione al padronato capitalistico e di rassegnazione alla subalternità, di assenza di strategia e di semplice tattica di retroguardia. In questo ambito, il Sindacalismo Rivoluzionario presentava una ben maggiore capacità di verificare le possibilità della storia. E sua fu l’unica volontà massimalista davvero all’opera allora in Italia. Quando poi si attuò la saldatura tra coscienza di popolo e coscienza di nazione, l’Italia si trovò all’avanguardia europea di tutte le rivendicazioni: politiche, sociali e storiche. Fu in questo modo dimostrato che la vera politica sociale era quella della nazione e non quella della classe.

Come hanno dimostrato gli storici, c’erano settori dominanti del Sindacalismo Rivoluzionario in cui il nazionalismo non solo era distinto dal patriottismo di classe del borghesismo, ma era giudicato come lo strumento migliore per creare, con i vincoli di un’appartenenza ribadita come identità di rilievo mondiale, le condizioni per scuotere le oligarchie plutocratiche e per ottenere il risveglio delle masse: non secondo principi universali astratti, ma secondo principi territoriali realistici. Un popolo e il suo territorio, un popolo e i suoi diritti alla vita, un popolo e la sua determinazione a imporsi nella lotta mondiale: questa la scena della maggiore rivendicazione possibile. In uno scritto apparso sul foglio “L’internazionale” del luglio 1911, in occasione della polemica circa la guerra di Libia, ad esempio, troviamo sanciti in maniera straordinariamente chiara i contorni di una maturazione politica che allora e ancor più in seguito mancò del tutto sia al socialismo sia al socialcomunismo: il valore-nazione come strumento di liberazione dalla prigione della classe. Il parere di un operaio intellettualizzato, Agostino Gregori, era il seguente: il nazionalismo è il “fatto nuovo”, destinato a segnare una fase storica nel movimento politico ed economico del nostro paese. Potrebbe anche darsi che il proletariato debba a questo movimento lo scatto violento di tutte le sue energie che lo porterebbero alla conquista della propria emancipazione, alla rivendicazione di tutti i suoi diritti prima ancora di quanto noi pensiamo e speriamo.

Si faccia attenzione a come qui si parli di “tutti i diritti” del popolo lavoratore, e non solo di quelli sindacali o retributivi. “Tutti i diritti” significa che tramite il nazionalismo il proletariato accede anche alla “cultura borghese”, alla nazione, alla patria e alla guerra di classe internazionale: l’imperialismo. Affermazioni come questa sono tipiche di un sostrato rivoluzionario antimarxista e veramente popolare, cioè nazionale, ben vivo nel sottotraccia politico dell’epoca che incubò il Fascismo, e bene in grado di comprendere che una politica popolare di vertice era possibile svolgerla unicamente impossessandosi dei diritti del popolo usurpati dalla borghesia. Togliere dalle mani della borghesia la nazione e lo stesso imperialismo - come ad esempio faceva Corradini - significava sostituire alle oligarchie del denaro le aristocrazie di comando della politica, attinte dall’intero bacino del popolo. E queste, a differenza di quelle, provenivano da tutto il popolo, erano tutto il popolo, e non soltanto la sua minoranza capitalista o la sua minoranza operaista: l’una e l’altra, se prese isolatamente, ugualmente dedite all’esclusivo calcolo utilitario di classe.

Questo è il lontano antefatto di accadimenti di solito trascurati dalla storiografia, ma che sono centrali in un’analisi del valore storico dell’idea italiana di democrazia di popolo. Questo è il lontano antecedente, per fare un esempio, del fatto che durante la Repubblica Sociale si poté avere un ministro direttamente espresso non dalla cultura sindacalista, non dall’intellettualità borghese di nominale militanza filo-proletaria, non dalla nomenclatura di questo o quel partito, ma dalla fabbrica e dalla militanza di base: l’operaio Giuseppe Spinelli, ultimo Ministro del Lavoro della RSI.

Il passaggio dal Sindacalismo Rivoluzionario al sindacalismo nazionale non fu che la sintesi storica di un procedimento naturale e spontaneo. Una volta che si era riconosciuta la contiguità tra lotta di popolo e guerra rivoluzionaria, si erano anche stabilite le coordinate dell’organicismo. Se pensiamo ad esempio al comunalismo di un Alceste De Ambris, incentrato sulle identità ancestrali della territorialità locale, sulla tradizione e sulla consuetudine della comunità di villaggio, noi vediamo che è su questo punto che avverranno le più larghe convergenze proprio tra il Fascismo e questa ideologia della tradizione rivoluzionaria. Fu infatti proprio il Fascismo, per altri versi accentratore e “prefettizio”, il Fascismo “liberticida”, totalitario e politicamente “assolutista” che favorì, senza alcuna contraddizione nel far convivere l’assoluto del Centro con il relativo della periferia, quella straordinaria operazione di recupero della cultura popolare in epoca moderna che fu la rinascita fascista delle piccole patrie. Regioni, borghi, feste e associazionismi paesani, ataviche memorie condivise e realtà locali di antico prestigio sociale ebbero sanzione di sovrana autorità identitaria, convivendo entro la cornice della Nazione, che tutto questo comprendeva armonicamente. Questa singolare inquadratura di eguale sincronismo tra arcaismo e modernità seppe conferire alle identità locali quel respiro di integrazione nel più ampio quadro dell’identità nazionale, che non è mai esistito né nel comunismo - che è stato sempre violentemente ostile al tradizionalismo rurale e urbano - né nel liberalismo, per natura nemico dei radicamenti e favorevole agli universalismi.

Il Sindacalismo Rivoluzionario italiano, oltre che terreno di lotta sociale e politica nel nome del popolo emarginato, da ricondurre entro l’alveo nazionale con nuovi titoli di nobiltà sociale, è stato infatti anche e soprattutto strumento rivoluzionario-conservatore dell’identità. In esso, la modernità della società sviluppata e massificata veniva coniugata al riconoscimento che il nesso radicale tra uomo e suolo, tra lavoratore e identità geo-storica, tra ceppo ancestrale e luogo fisico della convivenza, è ineliminabile, è anzi da rafforzare contro ogni cosmopolitismo.
La risoluzione di riconoscere prima nella guerra coloniale del 1911-12 e poi in quella nazionale del 1915-18 una rivoluzionaria guerra di popolo di portata politica, sociale e identitaria decisiva, mostra che il Sindacalismo Rivoluzionario, affiancando il Nazionalismo nella lotta interventista, non ebbe nulla a che spartire con le logiche classiste liberali e marxiste, ma ne costituì l’esatto contraltare.

Quando, nel 1935, Arturo Labriola riconobbe nella guerra d’Africa davvero l’attesa pagina di riscatto popolare attraverso l’imperialismo contadino di un’intera nazione, mise un chiaro sigillo ideologico sull’intero movimento del sindacalismo politico. Questa sua finale ammissione dei titoli storici del Fascismo a interpretare i diritti del lavoro, fu una ben più centrata analisi che non quella operata dal “famoso” sindacalismo rivoluzionario parmense che, pur interventista nel 1914, volle nel 1922 sbagliare la sua diagnosi storica: volle vedere nello squadrismo non l’insurrezione armata del popolo, ma il braccio dell’Agraria, indotto in questo errore da coincidenze locali, da propagande reazionarie, da miopie di piccoli capi, mancando di coglierne il più vasto significato storico: che per la prima volta, in Italia, il popolo della campagna, quello del bracciantato, quello del sobborgo, quello dell’artigianato impoverito, quello minuto degli antichi centri storici urbani - insomma, proprio il popolo deambrisiano del comunalismo - prendeva le armi contro un’autorità massonica, oligarchica e reazionaria e portava al potere un suo capo. Prevalse dunque in quel caso un malconcepito afflato “libertarista” che non fu mai patrimonio del vero Sindacalismo Rivoluzionario, ma cascame anarco-repubblicano, “azionista” ante-litteram. Ma quella di Parma sindacalista che fece le barricate contro l’insurrezione squadristica - modesto episodio ostentato dalla storiografia di parte come l’unico trofeo antifascista del Sindacalismo Rivoluzionario, e che invece fu un chiaro attestato della retroguardia in cui si dibatteva tanta “sinistra” italiana dell’epoca - fu scheggia a sé, in nulla rappresentativa dell’intero movimento. Basti dire che il Sindacalismo Rivoluzionario fornì al Fascismo l’ossatura storica del suo sindacalismo e del suo corporativismo: Michele Bianchi, Edmondo Rossoni, Cesare Rossi, Massimo Rocca, Umberto Pasella, Ottavio Dinale, Paolo Orano, Agostino Lanzillo…e può bastare così. E che inoltre fornì, attraverso l’elaborazione del socialismo giuridico, la pietra d’angolo del regime sociale di massa gerarchico e popolare.

Ma il senso storico centrale del Sindacalismo Rivoluzionario è ancora un altro. E’ l’idea propriamente corporativa che l’associazionismo di popolo è la trama sociale su cui una nazione si regge, è il basamento su cui viene eretto un sistema aperto all’accesso dei migliori al potere, è l’organo vivo le cui cellule dinamiche sono attivate dalla partecipazione, dalla mobilità verso l’alto, dal decisionismo politico e da un solidarismo doppiamente efficace: quello di ordine sociale e quello di identità nazionale. Senza il Sindacalismo Rivoluzionario, il pensiero politico italiano non avrebbe conosciuto, ad esempio, il fenomeno del sindacalismo nazionale. Che può essere ben espresso da quanto Sergio Panunzio affermava circa l’organicismo sindacalista, anima di una “socializzazione dell’uomo” che avrebbe definitivamente desertificato il terreno su cui vigoreggiano i liberismi del profitto privato.

Il sindacato operaio può essere la risposta al solidarismo borghese solo in regime di spaccature liberali. Il sindacalismo operaio, in uno Stato organicista, svolge invece, come qualunque altro rango sociale o Stand - intellettuale, di mestiere, di professione, di servizio -, il ruolo di elemento politico di selezione dei migliori, attingendo da una base popolare che né il liberalismo né lo stesso bolscevismo considerarono mai come effettivo bacino dell’élite di comando: l’intera popolazione nazionale. Lo Stato sindacale non è, in questo senso, che il bastione di una conservazione rivoluzionaria, all’interno della quale la raccolta del lavoratore in associazione non solo economica, ma soprattutto politica, ha lo stesso arcaico sapore delle antiche corporazioni, delle antiche compagnie dei mestieri, delle fraglie artigiane, dei sodalizi di artieri. Storicamente, tutti questi momenti dell’ordinamento per ranghi di onore sociale sono luoghi in cui il solidarismo non è propaganda umanitaria e mondialista, né organismo di protezione economica di settori più o meno privilegiati, ma vita vissuta quotidianamente accanto a chi condivide il proprio spazio geo-storico e lotta per un medesimo destino.

Zadruga: un groupe nationaliste et païen en Pologne

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1989

Zadruga: un groupe nationaliste et païen en Pologne

 

Explications de Jaroslaw Tomasiewicz et réponses d'Antoni Wacyk

 

zadruga.jpgFondé en 1937 par Jan Stachniuk, la revue et le mouvement Zadruga ont voulu, dans la Pologne catholique, exprimé et illustré une sensibilité païenne, ont perçu l'essentiel dans l'enraciment dynamique et évolutif dans une terre, dans la localisation précise des hommes et des peuples, localisation d'où s'élance un déploiement harmonieux et créatif. Cet enracinement/localisation constitue la culture proprement dite: les théories, idées, systèmes, principes qui ne reposent pas sur ce locus primordial relèvent de la non-culture, dont le père spirituel est Socrate. Les idéaux du socratisme sont vidés de toute concrétude et brisent l'élan de l'homo creans enraciné. Les grands systèmes religieux et/ou philosophiques (bouddhisme, islam, christianismes) relèvent de la non-culture.

Pour une approche complète des idées de Zadruga, on lira avec profit l'ouvrage de

Stanislaw Potrzebowski,

Zadruga. Eine völkische Bewegung in Polen,

Institut für angewandte Sozialgeschichte, Bonn, 1982, 325 S., DM 66,90, ISBN-3-923428-00-6.

Malgré les vicissitudes de l'histoire polonaise, l'occupation allemande et le régime communiste, Zadruga existe toujours. Ce n'est plus qu'un cercle très réduit, nous explique Jaroslaw Tomasiewicz, regroupant cinq à sept intellectuels adultes et beaucoup de jeunes sympathisants. Il rencontre des difficultés énormes d'ordre financier et technique et appelle les mouvements d'inspiration païenne et néo-droitiste à l'aider à se diffuser. Notamment par le biais de photocopies. Les anciens membres de Zadruga continuent sans répit à écrire articles, poèmes, manifestes, lettres, etc. mais sans pouvoir rien publier à grande échelle. Jaroslaw Tomasiewicz tente de faire passer le message dans les masses en militant dans des mouvements politiques et dans des associations culturelles, notamment sur la scène de la pop-culture. Celles-ci font notamment paraître une revue Kolomir, (le nom slave de la croix irlandaise), destinée à la jeunesse et consacrée à la musique et aux idées politiques. Elles organisent entre autres choses des soirées de danses populaires traditionnelles et diffusent des cassettes audio, de musique engagée rock'n'roll et folk. Tomasiewicz songe à créer un magazine de littérature fantastique et un journal sportif. Au niveau de la «culture des élites», J. Tomasiewicz entretient d'excellents contacts avec les grands peintres nationalistes et païens comme Konarski et Fraczek et un écrivain comme Nienacki. Par son intermédiaire, nous avons pu transmettre dix questions à Antoni Waczyk, le principal collaborateur de Stachniuk aux débuts de l'histoire de Zadruga.

 

1. Qu'en est-il de votre mouvement Zadruga aujourd'hui?

 

AW: Fondé par Jan Stachniuk (1905-1963), Zadruga est un mouvement culturel et non politique. Le terme Zadruga signifie «communauté» (au sens holiste). Aujourd'hui nous existons à l'état embryonnaire. Notre objectif est de déclencher une révolution culturelle, assise sur une conception de l'homme et de l'humanité diamétralement opposée à celle du christianisme, de l'hindouisme, du bouddhisme et des autres idéologies décadentistes, le communisme y compris.

 

2. Quelles sont les sources d'inspiration de Zadruga? Herder? Nietzsche?

 

Notre inspiration ne nous vient ni de Nietzsche ni de Herder. Dans l'histoire des idées en Pologne, nous nous référons dans une certaine mesure à Stanislaw Brzozowski (1878-1911). Mais pour l'essentiel nous nous inspirons des écrits de Stachniuk lui-même.

 

3. Le groupe Zadruga défend-il un principe ethniste? Si oui, quel type d'institutions suggéreriez-vous pour votre peuple?

 

Oui, Zadruga défend le principe ethnique. Quant aux institutions, je crois qu'il est encore trop tôt pour y penser. C'est un problème qui est encore fort éloigné...

 

4. Comment le groupe Zadruga explique-t-il l'émergence des peuples slaves en Europe orientale?

 

Les peuples slaves sont d'origine indo-européenne et leur foyer préhistorique initial s'étendait entre l'Oder et la Vistule.

 

5. Comment le groupe Zadruga explique-t-il la christianisation de la Pologne?

 

La christianisation de la Pologne était inévitable puisque le catholicisme en expansion avait pour lui la gloire de feu l'Empire Romain et la puissance militaire des Allemands récemment convertis.

 

6. Comment jugez-vous le phénomène politique qu'est Solidarnosc?

 

Solidarnosc est un facteur politique traditionnel en Pologne, animé qu'il est par des prêtres. C'est une garantie de stagnation assurée pour le peuple polonais.

 

7. La Pologne est coincée entre deux géants, l'Allemagne et la Russie. En tenant compte de ce fait géographique, comment voyez-vous l'avenir de votre pays?

 

C'est difficile à dire. Cela dépend du temps que mettront ces deux géants, nos voisins, à résoudre leurs propres problèmes. Mais une chose est sûre, si une nouvelle agression venait de l'Est, il y aurait appaisement à l'Ouest.

 

8. Les frontières de la Pologne sont à nouveau objet de discussion dans le monde? Quelle est votre position?

 

Les frontières de la Pologne sont inviolables.

 

9. Comment jugez-vous les événements d'URSS (la perestroïka), de Tchécoslovaquie (l'accession de Vaclav Havel à la Présidence), en Hongrie et en Allemagne de l'Est?

 

Nous saluons la perestroïka russe comme un phénomène positif. Mais nous avons des doutes quant à son succès final... Vaclav Havel? He is the right man in his place. C'est l'homme de la situation. Les Hongrois retourneront à l'Europe bien avant nous. Quant aux Est-Allemands, ils ont droit à la réunification.

 

10. La presse occidentale, ignorant la plupart du temps les réflexes profonds des peuples slaves, parle abondamment d'un mouvement russe appelé Pamyat et le décrit comme «populiste»? Qu'en pensez-vous?

 

Pamyat est un mouvement ethno-nationaliste russe et, en tant que tel, ne peut qu'être populiste.

jeudi, 11 mars 2010

België voert Turkse agenda uit

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België voert Turkse agenda uit

Ex: http://yvespernet.wordpress.com/

Een paar dagen geleden viel de Belgische politie binnen bij Koerdische organisaties die al dan niet banden zouden hebben met de PKK, onder andere in mijn eigen geliefde Borgerhout. Tijdens 28 huiszoekingen werden 22 mensen opgepakt, waaronder 2 ex-parlementairen van een pro-Koerdische partij die momenteel verboden is in Turkije wegens het pro-Koerdische karakter van die partij. Ook de Koerdische zender ROJ TV, die al jaren perfect in orde is qua wetgeving e.d., zag hoe hun lokalen overhoop werden gehaald door de politie. Volgens Amed Dilce, directeur van ROJ TV, waren er zelfs Turkse agenten aanwezig bij deze huiszoekingen.

Het is duidelijk dat België hiermee een charmeoffensief voert naar Turkije. In de Turkse pers werden dan ook in de dagen na de huiszoekingen triomfantelijke berichten geplaatst over hoe “die vuile Koerden” eindelijk eens aangepakt werden door de Belgische politie. Dat België geen democratie is en geen bal geeft om vrijheid en vrije meningsuiting wordt hier nu nogmaals bewezen. Het is heus niet zo dat België hier de prachtige Turkse democratie verdedigt, laten we immers eens in herinnering brengen waar Turkije zoal voor staat:

De DTP, de grootste Koerdische partij van Turkije, is door de hoogste rechtbank van Turkije verboden. De partij wordt ervan beschuldigd banden te hebben hebben met de PKK, de separatistische gewapende groepering die opkomt voor de politieke rechten van Koerden in het land. [...] De Europese Unie, waar Turkije maar al te graag lid van zou worden, had eerder al laten weten dat een verbod van de DTP de rechten van de Koerdische minderheid zou schenden. Gevreesd wordt dat de uitspraak tot nieuwe spanningen tussen Turken en Koerden zal leiden.

Bron: http://www.gva.be/nieuws/buitenland/aid886329/turkse-rechtbank-verbiedt-grootste-koerdische-partij.aspx

En laten we ook niet vergeten:

Terwijl de Turkse regering haar programma van “democratische opening” verder zet en bepaalde rechten toekent aan etnische Koerden in Turkije, drijft ze de druk en de censuur op ten opzichte van pro-Koerdische kranten. Minder dan een maand nadat de overheid de krant Günlüksloot, ziet ook Demokratik Açilim zich vandaag gedwongen om de publicatie te stoppen.

Bron: http://www.gva.be/nieuws/buitenland/aid865699/turkse-censuur-tegen-pro-koerdische-kranten.aspx

Elke pro-Koerdische organisatie of partij zal in Turkije vroeger of later geconfronteerd worden met de beschuldiging dat zij banden heeft met de PKK. Het is een feit dat de PKK een gewapende organisatie is die aanslagen pleegt, maar welk alternatief hebben de Koerden nog? Elke keer als zij hun rechten op een parlementair-democratische manier willen verdedigen, dan worden ze in de cel gesmeten of gebombardeerd met rechtszaken. Dat daarna de Koerdische gemeenschap zich met geweld weert tegen de politie is dan ook 100% begrijpbaar. Het is dan ook de Belgische politie die de agenda uitvoert van Turkije en zo een wapen is in de handen van de volksonderdrukkers waar ook ter wereld.

De antifascistische dwazen zouden zich beter eens bezig houden met de rol van de Grijze Wolven en de Turkse politieke druk in de onderdrukking van de Koerdische diaspora. Daar zitten immers de echte fascisten en onderdrukkers. Maar dan zouden ze misschien wel ruzie kunnen krijgen met de allochtone Turkse gemeenschap en het zou niet lang duren of zij ook worden racisten.

Voor wie interesse heeft in de Koerdische strijd en wilt weten hoe de situatie daar momenteel is, kan ik de volgende lezing van de Vlaams-Socialistische Beweging aanraden: “Wanneer komt de Koerdische lente?“. Zelf zal ik helaas wel niet aanwezig zijn wegens andere verplichtingen.

Vlaanderen & Koerdistan: één strijd!

New Article on Dugin

duginssssxxx.jpgNew article on Dugin

Ex: http://traditionalistblog.blogspot.com/
Anton Shekhovtsov, "Aleksandr Dugin’s Neo-Eurasianism: The New Right à la Russe," Religion Compass 3/4 (2009): 697–716

Abstract:
Russian political thinker and, by his own words, geopolitician, Aleksandr Dugin, represents a comparatively new trend in the radical Russian nationalist thought. In the course of the 1990s, he introduced his own doctrine that was called Neo-Eurasianism. Despite the supposed reference to the interwar political movement of Eurasianists, Dugin’s Neo-Eurasian nationalism was rooted in the political and cultural philosophy of the European New Right. Neo-Eurasianism is based on a quasi-geopolitical theory that juxtaposes the ‘Atlanticist New World Order’ (principally the US and the UK) against the Russia-oriented ‘New Eurasian Order’. According to Dugin, the ‘Atlanticist Order’ is a homogenizing force that dilutes national and cultural diversity that is a core value for Eurasia. Taken for granted, Eurasia is perceived to suffer from a ‘severe ethnic, biological and spiritual’ crisis and is to undergo an ‘organic cultural-ethnic process’ under the leadership of Russia that will secure the preservation of Eurasian nations and their cultural traditions. Neo-Eurasianism, sacralized by Dugin and his followers in the form of a political religion, provides a clear break from narrow nationalism toward the New Right ethopluralist model. Many Neo-Eurasian themes find a broad response among Russian high-ranking politicians, philosophers, scores of university students, as well as numerous avant-garde artists and musicians. Already by the end of the 1990s, Neo-Eurasianism took on a respectable, academic guise and was drawn in to ‘scientifically’ support some anti-American and anti-British rhetoric of the Russian government.

Terre & Peuple/Lorraine: Rompre avec le système

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Carrefour: "We maken winst, dus we gaan mensen ontslaan!"

Carrefour: “We maken winst, dus we gaan mensen ontslaan!”

Het is volop in het nieuws momenteel. Carrefour zal in België 1.672 banen schrappen. Blijkbaar zou Carrefour zoveel verlies maken dat ze niet anders kunnen. Maar een artikel in Trends doet wel anders vermoeden:

De winkelketen Carrefour maakte in ons land eind 2008 nog 66 miljoen euro nettowinst. Ook het bedrijfsresultaat klokte dat jaar nog af op 46 miljoen euro. De 1,6 miljard aan geldbeleggingen maakten de situatie van Carrefour België helemaal minder zwartgallig dan de berichten de afgelopen week deden vermoeden.

Bron: http://trends.rnews.be/nl/economie/nieuws/bedrijven/de-nettowinsten-van-carrefour-belgie/article-1194668433895.htm

Wat is hier aan de hand? Heel simpel, Carrefour doet zoals zovele bedrijven, namelijk aan winstmaximalisatie. An sich is dat geen probleem zolang de bedrijven verankerd zijn in de lokale gemeenschap, en dan spreek ik meer dan over een economisch belang (zijnde winst maken en jobs maken). Het gaat ook over het besef van de beheerders van een bedrijf wat de rol en impact van hun bedrijf is op de maatschappij. Iets dat bij multinationals maar zéér zelden aanwezig is, want men nu ook vandaag de dag bij Carrefour ziet. Werk in eigen streek is belangrijk, werk voor en door eigen volk is de logische én noodzakelijke aanvulling daarop.

Wanneer men enkel aan (nog meer) winst denkt, dan krijgt men dit soort toestanden. Het walgelijkste voorbeeld hiervan is bij momenten het pleidooi voor lagere lonen, etc… van bepaalde organisaties met het dreigement dat ze anders naar China gaan. Wel, dat ze dan maar vertrekken. Wij moeten niet gaan denken dat wij op enig moment kunnen gaan werken voor de Chinese lonen zonder enig moment zeer zwaar in te boeten op levenskwaliteit.

Hermann Wirth e Julius Evola, un profondo rapporto culturale

Tratto da CentroStudilaRuna di Silvio degli Aurelli:

Continuando una serie di pubblicazioni brevi, ma estremamente interessanti, le benemerite Edizioni del Veltro di Parma hanno appena stampato il libro di Arthur Branwen, Ultima Thule. Herman Wirth e Julius Evola (coll. “I Quaderni del Veltro”, pp. 110, € 13,00). Si tratta in assoluto del primo ed unico studio che intende delineare i rapporti fra lo studioso tedesco-olandese e l’esoterista italiano. Herman Wirth è poco conosciuto in Italia. Di origini olandesi, nel 1910 ottenne la cittadinanza tedesca e nel primo dopoguerra si dedicò allo studio delle tracce dei popoli preistorici europei. La conoscenza di una cospicua quantità di diversificate lingue antiche e moderne, e una straordinaria preparazione sulla preistoria, gli consentì di avvicinarsi ai reperti che man mano studiava con una mentalità molto lontana dalle usuali prospettive accademiche. Non solo, ma per dirla con Evola, “il Wirth ha preteso di ricostruire non solo la storia della razza nordico-atlantica, ma altresì la sua religione. Sarebbe stata una religione già superiore, monoteistica, assai distinta dall’animismo e dal demonismo degli aborigeni negreidi o finno-asiatici, senza dogmi, di una grande purezza e potenzialmente universale”.
Utilizzando tutta una serie di dati e di testimonianze tratte dalla storia delle religioni, dal folklore, dalla paletnologia e dalla linguistica il Wirth pensò di poter dimostrare che alle origini dell’attuale umanità si trovasse un continente artico abitato da un popolo che incentrava la propria vita religiosa sul percorso solare e sui significati cosmico-spirituali che il tracciato dell’astro diurno disegna ogni anno. Il Wirth giunse ad enucleare una serie di segni primordiali che chiamò “serie sacra”, servita a questo popolo preistorico non solo come strumento espressivo, ma anche come un sistema di simboli e di notazioni astrali che articolavano il percorso del sole, i ritmi rituali, le forme espressive e probabilmente anche un sistema arcaico di scrittura derivato da questi segni cosmico-sacrali.
Herman Wirth

Julius Evola ha ammesso in molte occasioni la profonda influenza che l’opera del Wirth esercitò sul suo sistema speculativo,wirth.jpg ma nessuno aveva osato tentare di chiarire fin dove era arrivata questa influenza. Anzi, la quasi totalità dei biografi, degli estimatori o dei denigratori di Evola, ha solamente utilizzato quanto lo stesso Evola ha detto a questo proposito, non riuscendo neanche a leggere le opere dello studioso tedesco-olandese e restando paghi di quanto ha scritto lo stesso Evola.

Un’attenta comparazione dei testi permette ad Arthur Branwen di chiarire fin dove è arrivata questa influenza, cosa ha diviso i due studiosi, i limiti delle interpretazioni wirthiane, quelle che Evola riterrà confuse e farraginose. D’altronde, il punto di vista di Evola si era arricchito della lettura degli scritti di René Guénon che in quel tempo mostravano un diverso modo di studiare le dottrine spirituali e addirittura osavano indicare una superiorità dell’Oriente su un Occidente privo di ogni base rituale e religiosa. Persino l’interpretazione evoliana del mondo romano a poco a poco sembra riposizionarsi sulle prospettive wirthiane e l’arrivo dei Latini nel Lazio diventa un prolungamento delle invasioni nordico-atlantiche che cambieranno la stessa struttura morfologica dei popoli e delle tante tradizioni spirituali che ne deriveranno.

Il testo di Arthur Branwen è ben documentato, contiene una serie di dottissime note che da sole avrebbero avuto bisogno di ampliamenti dottrinali ed esplicativi capaci di trasformarle in altrettanti capitoli. La documentazione è abbondante, precisa, attenta e l’autore non si fa sfuggire l’occasione di puntualizzare la portata di studiosi come Frobenius, Pettazzoni, Altheim, Schmidt, Rasmussen, ecc. L’autore ci ha confidato che sta conducendo uno studio parallelo su Evola e Bachofen, e coloro che intendono capire la portata della cultura fiorita fra le due guerre e le prospettive che ne sono derivate, non possono che plaudire ad un’opera che mostra la superficialità di quegli interpreti evoliani (e sono molti) che in realtà non hanno mai studiato veramente il vasto retroterra sul quale sono state costruite le opere dell’esoterista romano.

Silvio degli Aurelii

Le réveil du Vieux Monde

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1990

Le réveil du Vieux Monde

par Louis SOREL

 

L'édifice diplomatico-stratégique s'écroule et l'Etablissement politique et médiatique n'en finit pas de jouer les prolongations. Ainsi, Thierry de Montbrial, docteur de l'IFRI, prêche le statu quo quand celui-ci n'existe plus, et Jacques Attali, sous couvert de prospective, fait dans le millénarisme soft  (1). C'est donc avec bonheur que nous avons lu le dernier ouvrage de William Pfaff, Le réveil du Vieux Monde. Citoyen américain de souche rhénane, vivant à Paris, William Pfaff développe avec finesse et objectivité ses analyses sur l'ordre international de l'après-guerre. Son diagnostic est sévère et lucide: les héros (Etats-Unis et URSS) sont fatigués et les fissures du monde bipolaire laissent entrevoir un possible retour à la primauté pluriséculaire de l'Europe.

 

indexooooooo.jpgC'est à travers l'analyse de l'évolution conjointe des forces militaires et des ressources économiques des principaux Etats que Paul Kennedy affirme inéluctable le déclin américain (2). Refusant ce primat de l'économique, William Pfaff met en exergue la pluralité des facteurs à l'œuvre dans la genèse de toute configuration historique et l'importance qu'il accorde au substrat culturel l'amène à rejeter l'historicisme linéaire de l'idéologie dominante: «Elles (les sociétés non occidentales) se trouvent ailleurs et sont les héritières d'un passé différent. Et il n'est pas totalement déraisonnable de penser qu'elles puissent avoir un avenir différent». A l'égard de l'histoire la plus immédiate, l'auteur, s'il évoque l'éventuelle responsabilité de l'Allemagne dans le déclenchement de la guerre civile européenne, ne s'en tient pas à la condamnation morale d'un fascisme a-temporel. Le second conflit mondial ne saurait s'expliquer par l'irruption du Malin dans le monde, et si césure il y a, c'est en 1914 que l'Europe, jusqu'alors robe sans coutures, se déchire. En 1917, débarquent les troupes américaines alors que la révolution bolchévique, "traumatisme politique" initial, met fin à l'homogénéité d'une société internationale longtemps eurocentrée. Le système Est-Ouest émerge (dialectique du bolchévisme et de l'anti-bolchévisme), le stalinisme et l'hitlérisme, incarnations de la révolution et de la contre-révolution, recourant aux formes et au symbolisme du système de guerre. Le phénomène totalitaire s'enracinant dans cette époque particulière, anti-fascisme et anti-communisme n'apportent aujourd'hui aucun cadre d'analyse satisfaisant (3).

 

Le «siècle américain» n'a pas

duré cinquante ans...

 

Quarante-cinq années après la clôture de cette guerre de trente ans, la bi-hégémonie américano-soviétique est remise en cause. «Le siècle américain n'aura pas duré cinquante ans» et W. Pfaff fait de l'idéologie américaine la cause majeure des revers extérieurs. De l'isolationnisme de l'Age classique à l'internationalisme de l'après-guerre, la politique extérieure des Etats-Unis se fonde en effet sur la présomption de supériorité morale; qu'il s'agisse de se préserver de ce monde corrompu ou de le convertir, avec pour postulat tacite de Washington à Bush: «L'Amérique ne serait en lieu sûr dans le monde que le jour où le monde lui ressemblerait d'assez près» (4).

 

Ce messianisme à base de calvinisme et de libéralisme n'a cessé de se heurter à la force des choses. L'Amérique s'est enthousiasmée pour les «Etats-Unis d'Europe» mais depuis le guerre commerciale fait rage et l'insipide technocrate qu'est Jacques Delors se surprend à hausser le ton! L'Amérique a cru l'Asie plus docile et ouverte à son influence  mais elle n'en finit pas d'exorciser le spectre du Vietnam!

 

Et pourtant, le vieux vocabulaire de l'exceptionalisme américain persiste, faute d'autre philosophie politique: «Mise au défi de repenser la politique en Amérique centrale, la Commission Kissinger, groupe de réflexion à dominante conservatrice qui remit son rapport en 1984, ne trouva rien de mieux à proposer qu'un ambitieux programme d'assistance pour aider les populations centre-américaines à faire leur la vision de l'avenir que représentent nos idéaux».

 

Parallèlement, les anciennes sociétés culturellement autonomes d'Europe centrale et d'Eurasie auront survécu à la puissance soviétique et démontrent le caractère inéluctablement transitoire du communisme. Cette volonté de faire table rase du passé a généré la situation d'insécurité permanente de l'URSS.

 

Aujourd'hui l'Amérique souffre d'hypertrophie impériale et invoquer les mânes des Founding Fathers  ne conjurera pas le déclin. De même, le retour de Lénine prôné par Gorbatchev ne peut légitimer un système à bout de souffle (5). Ironie de l'histoire, «de cette révolution, il (Gorbatchev) pourrait bien être le Kérenski!». La rétraction des deux protagonistes du jeu politique mondial n'est pas sans risques, mais la fin du «siècle américain» débouche sur un nouveau «siècle européen». De fait, le thème récurrent du Pacifique, Méditerranée du XXIième siècle, a pu dominer l'orée des années 80, la remarquable réussite d'un Japon fondamentalement autre n'a pas valeur paradigmatique, W. Pfaff se montrant circonspect quant à l'éveil de la Chine, tant la vigueur des cultures de frontière fait défaut à la civilisation centrale (6). Demeure donc au centre du monde l'Europe, dont le partage était l'enjeu de la guerre froide, les Etats-Unis ne pouvant s'en abstraire sans renoncer à la puissance.

 

Quelles destinées pour

la Grande Europe...?

 

«Lorsque le maître de la mer dispose d'un pareil atterrage, écrit Georges Buis, il ne le lâche pas». De bon gré, ajouterions-nous. Un temps déclassée mais bénéficiant des plus formidables antécédents historiques, «l'Europe pourrait même à l'avenir compter davantage que les Etats-Unis». Ecrivant ces lignes avant le jeu de domino de l'automne 1989, l'auteur n'envisage alors que le seul sort de la CEE; avec la fermeture de la parenthèse soviétique, les destinées de la Grande Europe sont manifestement autres que celles des Etats-Unis.

 

«Depuis la fin de la guerre, le privilège de l'irresponsabilité a été la qualité saillante de la situation en Europe» et, après quarante années de statu quo, l'espace paneuropéen est à organiser, la question centrale étant l'avenir de l'URSS. Constatant que l'occupation du glacis centre-européen n'a pu assurer la sécurité de l'Etat soviétique, W. Pfaff estime possible et nécessaire un arrangement russo-européen fondé sur la claire conscience du coût prohibitif et de l'irrationalité politique de toute nouvelle guerre en Europe. A cette fin, il réhabilite le statut de la Finlande acquis à la pointe de l'épée et injustement dénigré. «La vieille peur de la Russie, consciente de sa faiblesse et de son arriération, a toujours été la peur de l'encerclement», la neutralisation de l'Europe centrale pourrait l'en affranchir.

 

La guerre froide terminée, W. Pfaff n'entonne pas pour autant un Te Deum.  Au terme d'une aventure politique et morale qui a commencé avec le voyage de Lénine dans un fourgon scellé, les étoiles sont mortes (intitulé du premier chapitre). «L'Amérique fut un empire éphémère» et l'Europe reste «le nœud de l'histoire contemporaine». L'histoire nous offre une page blanche: «L'aventure léniniste est terminée. La question capitale demeure: qu'est-ce qui a commencé?».

 

Louis SOREL.

 

William PFAFF, Le réveil du Vieux Monde. Vers un nouvel ordre international, Calmann-Lévy, 1990, 130 FF.

 

Notes

 

(1) Dans le Figaro  du 5 octobre 1989, Thierry de Montbrial prétend vouloir favoriser leur (les peuples de l'Europe de l'Est) affranchissement de l'impérialisme soviétique, mais «sans bouleverser l'équilibre européen, car nous ne serions certainement pas prêts à en assumer les risques». Jacques Attali, pseudo-futurologue, prédit dans Signes d'horizon  (Fayard, 1989) la fin de la crise par la généralisation de l'ordre marchand, un mode de vie universel, le triomphe de l'individu et du nomadisme...». Voir également John Naisbitt, Méga-tendances - 1990-2000 (éd. First).

(2) Cf. Paul Kennedy, Naissance et déclin des grandes puissances, Payot, Paris, 1989. Cfr. Vouloir  n°50/51. La version originale a suscité un important débat aux Etats-Unis.

(3) cf. Alain de Benoist, «Pensée politique: l'implosion», in Krisis,  n°1, 1989.

(4) Sur la politique extérieure des Etats-Unis, voir Bernard Boëne, «La stratégie générale des Etats-Unis ou le jeu sans fin (?) de l'idéologie et du réalisme», in Stratégique,  n°39/1988. Et l'essai de Michel Jobert, Les Américains  (Albin Michel, 1987).

La prégnance de l'American Creed  depuis deux siècles explique l'aspect "croisade messianique" et les caractères anti-clausewitziens des guerres américaines: les objectifs poursuivis  -la capitulation sans condition de l'adversaire-  et les moyens mis en œuvre sont disproportionnés par rapport aux enjeux initiaux.

(5) Contre la thèse aronienne du projet humanitaire dévoyé par Staline, lire Dominique Colas, Lénine et le léninisme,  PUF, 1987. L'auteur y démontre avec rigueur le caractère intrinsèquement totalitaire du léninisme.

(6) W. Pfaff se réfère à Arnold Toynbee dont l'ouvrage majeur, L'Histoire  (Bordas, 1981) a été recensé par Ange Sampieru dans Vouloir  n°50/51.

mercredi, 10 mars 2010

Nouveautés sur le site "Vouloir"

Nouveautés sur le site

http://vouloir.hautetfort.com/

 

Landsknecht16JH.jpgDossier “Géopolitique”:

 

Robert STEUCKERS:

Rudolf Kjellen (1864-1922)

 

Louis PALLENBORN:

Introduction à la géopolitique (entretien)

 

René-Eric DAGORN:

La géopolitique en mutation

 

Hervé COUTAU-BEGARIE:

Critique de la géopolitique

 

Dossier “Guerillas”:

 

Christian NEKVEDAVICIUS:

Guerilla dans les forêts de Lituanie

 

Arnaud LUTIN:

La longue nuit d’un “Frère de la Forêt”

 

Dag KRIENEN:

Nouvelles études sur la guerre des partisans en Biélorussie (1941-1944)

 

Dossier “Participation”:

 

Robert STEUCKERS:

Participation gaullienne et “ergonisme”: deux corpus d’idées pour la société de demain

 

Ange SAMPIERU:

La participation: une idée neuve?

 

Pascal SIGODA:

Charles De Gaulle, la “révolution conservatrice” et le personnalisme du mouvement l’Ordre Nouveau

 

Jean-Jacques MOURREAU:

De Gaulle, visionnaire de l’Europe

 

Dossier “Synergies Européennes”:

 

Robert STEUCKERS:

Discours pour l’Europe

(Paris, 9 novembre 1988)

 

Robert STEUCKERS:

Réflexions sur le destin et l’actualité de l’Europe

(Paris, mai 1985, colloque “Troisième Voie”)

 

Robert STEUCKERS:

Pour préciser les positions de SYNERGIES EUROPEENNES

(Questions de Pieter Vandamme)

 

Hors dossiers:

 

Thierry MUDRY:

L’itinéraire d’Ernst Niekisch

 

Alois PRESSLER:

Réflexions sur le voyage de Guillaume II en Palestine

 

Robert STEUCKERS:

Herman Wirth (1885-1981)

 

La Russie veut assurer son autosuffisance alimentaire et devenir une grande puissance agricole

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La Russie veut assurer son autosuffisance alimentaire et devenir une grande puissance agricole

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Assurer enfin l’indépendance alimentaire du pays et devenir une grande puissance agricole. Telles sont les ambitions de la Russie, invitée d’honneur du Salon international de l’agriculture, jusqu’au dimanche 7 mars. A la suite de l’explosion de l’URSS, Moscou avait pourtant abandonné ce secteur. La production agricole russe s’était effondrée de moitié entre 1991 et le tournant des années 2000. Au point que l’Union européenne avait dû faire parvenir, fin 1998, une aide alimentaire d’urgence d’un montant de 400 millions d’euros.

 

Le revirement date de 2005, quand Vladimir Poutine, alors président, a fait de l’agriculture un des piliers de l’essor économique du pays. Deux ans plus tard, Moscou a même lancé un plan quinquennal pour le secteur de 551 milliards de roubles (13,7 milliards d’euros). Une somme censée être doublée par les régions.

Mais, malgré les progrès affichés ces dernières années, Moscou reste très dépendant des importations : en 2009, le pays a acheté à l’étranger 30 % de sa consommation de viande et 20 % de ses produits laitiers, selon le ministère russe de l’agriculture. Un chiffre qui atteindrait même, selon un spécialiste local, 70 % pour les fruits.

« L’indépendance alimentaire est une composante de la sécurité d’Etat », explique Elena Borisovna Skrynnik, la ministre de l’agriculture russe. « Notre objectif est d’arriver à produire nous-mêmes, en 2012, 85 % de notre consommation de viande, de produits laitiers ou de sucre. En 2009, nous avons réduit les importations de viande d’un quart. »

Le dossier est supervisé en haut lieu : le plan quinquennal a été placé sous la responsabilité du vice-premier ministre russe, Viktor Zoubkov, un proche de M. Poutine qui fut son premier ministre lors des derniers mois de sa présidence. Et les oligarques ont été invités à s’intéresser à l’agriculture : Vladimir Potanine, le confondateur du géant Norilsk Nickel, est ainsi devenu un acteur de poids du secteur.

Ce marché prometteur ainsi que la flambée des cours des matières premières en 2008, depuis retombée, ont attiré de nouveaux investisseurs : « J’ai vu arriver des banquiers ou des vendeurs de 4×4, qui venaient me voir pour mettre de l’argent dans l’agriculture », explique un Français basé à Moscou. « Certains étaient prêts à acheter 10 000 vaches en une commande. »

Une aubaine pour les fournisseurs étrangers de bêtes, de semences ou de matériels, à commencer par les Allemands, les Néerlandais ou les Danois, qui ont été les plus prompts. Si des bovins français – comme la Salers ou l’Aubrac – ont fait leur apparition en Russie, leur présence n’est toutefois pas à la hauteur de la réputation des races de l’Hexagone.

La Russie, qui a pu faire office dans le passé de « grenier à blé » du monde, est aussi redevenue un acteur incontournable sur le marché des céréales. Lors de la campagne 2008-2009, le pays a exporté 17,5 millions de tonnes de blé, juste derrière les Etats-Unis (26,5 millions) et l’Union européenne (21 millions). Et vise à terme 35 à 50 millions de tonnes. Il est vrai que la Russie possède un atout de taille : les tchernozioms, ces fameuses terres noires très grasses et extrêmement fertiles.

« Comme l’Ukraine ou le Kazakhstan, la Russie est devenue un pays redoutable et très agressif », explique François Gatel, directeur de France Export Céréales, un organisme de promotion des produits français. « Avec des coûts de production bien inférieurs et des parités monétaires plus avantageuses, elle a réussi à pénétrer des marchés où nous nous étions fortement développés, comme l’Egypte. »

Et le pays possède un énorme potentiel. D’abord du fait de sa taille : 220 millions d’hectares de surface agricole utile, soit presque 10 % des terres cultivables dans le monde, très loin d’être toutes exploitées. Ensuite en raison de rendements encore faibles : en moyenne 22 quintaux de blé par hectare (70 en France). De quoi devenir, dans dix ans, une puissance agricole incontournable, voire la plus puissante ?

« On fera tout pour y parvenir », glisse Mme Skrynnik. Avant d’ajouter en souriant : « Mais comme vous, les Français. »

Le Monde

De eilandsgroep Palestina

De eilandengroep Palestina

Ex: http://yvespernet.wordpress.com/

Voor u denkt dat ik compleet doorsla door te beweren dat het Nabije Oosten een eilandengroep is, zal ik het even uitleggen. Men denkt vaak dat de Westelijke Jordaanoever helemaal door de Palestijnse overheid wordt bestuurd. Niets is echter minder waar. Israël controleert nog steeds grote belangrijke stukken, vooral de grote verbindingswegen en het gebied daarond, en ook zijn er Joodse kolonies aanwezig op dat gebied.

Deze kaart heeft alle gebieden op de Westelijke Jordaanoever dat niet door de Palestijnen wordt bestuurd als water aangegeven en de effectieve Palestijnse gebieden als land. Een zeer interessante en mooie kaart die helaas een schrijnende werkelijkheid laat zien.

Tot slot nog een woordje uitleg van de maker hiervan:

The Bible contains at least two stories equating the aquatic with the amoral. As Red Sea pedestrians, Moses and the Israelites didn’t even get their sandals moist, while the Lord did some expert smiting on the pursuing Egyptians, by way of the gurgling waters closing in on them. And a few thousand years earlier, Noah kept his binary boatload afloat while all the rest of humanity (and the now extinct species of the animal kingdom) met their watery grave.

Even though this map of L’archipel de Palestine orientale (‘The Archipelago of Eastern Palestine’) is set in the same area and uses a similar theme, the cartographer behind it refutes any allegation that it is meant to reflect the same Biblical dry = good, wet = bad analogy. “The map is not about ‘drowning’ or ‘flooding’ the Israeli population, nor dividing territories along ethnic lines, even less a suggestion of how to resolve the conflict,” gasps Julien Bousac, the Frenchman who created this map.

A small excerpt of the map (focusing on the Greater Jerusalem area) was published a bit earlier on this blog, but the map in its entirety (sent in by Mr Bousac but also earlier by Baptiste Hautdidier) merits a separate entry, not only because “without a legend, it […] gives ground to various misinterpretations, due to the high sensitivity of the subject,” as Mr Boussac relates – but also because it just looks so nice. And strange, of course.

“Maybe posting the full map would help to take it for what it is, i.e. an illustration of the West Bank’s ongoing fragmentation based on the (originally temporary) A/B/C zoning which came out of the Oslo process, still valid until now. To make things clear, areas ‘under water’ strictly reflect C zones, plus the East Jerusalem area, i.e. areas that have officially remained under full Israeli control and occupation following the Agreements. These include all Israeli settlements and outposts as well as Palestinian populated areas.”

Mr Boussac took advantage of the resulting archipelago effect “to use typical tourist maps codes (mainly icons) to sharpen the contrast between the fantasies raised by seemingly paradise-like islands and the Palestinian Territories grim reality.” The map does have a strong vacationy vibe to it – but whether that is because of the archipelago-shaped subject matter, or due to the cheerful colour scheme is a matter for debate.

Those colours, incidentally, denote urban areas (orange), nature reserves (shaded), zones of partial autonomy (dark green) and of total autonomy (light green). Totally fanciful are of course the dotted lines symbolising shipping links, the palm trees signifying protected beachland, and the purple symbols representing various aspects of seaside pleasure. The blue icon, labelled Zone sous surveillance (‘Zone under surveillance’) has some bearing on reality, as the locations of the warships match those of permanent Israeli checkpoints.

Some of the paradisiacally named islands include Ile au Miel (Honey Island), Ile aux Oliviers (Isle of the Olive Trees), Ile Sainte (Holy Island) and Ile aux Moutons (Sheep Island), although the naming of Ile sous le Mur (Island beneath the Wall) constitutes a relapse into the grimness of the area’s reality.

Afghanistan-Offensive der NATO: für Frieden - oder für Opium und Uran...

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Afghanistan-Offensive der NATO: für Frieden – oder für Opium und Uran …

F. William Engdahl / Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Bei der »Operation Moshtarak«, einer vorab angekündigten massiven NATO-Offensive in der Stadt Marjah in der afghanischen Provinz Helmand, ging es offensichtlich nicht in erster Linie darum, die »Taliban« »auszulöschen« oder die versprengten Überreste einer angeblichen »Al Qaida« zu zerschlagen – die ohnehin immer mehr das Fantasieprodukt amerikanischer schwarzer Propaganda zu sein scheint. Welches Ziel hatte dann aber die Tötung so vieler unschuldiger afghanischer Zivilisten, darunter auch Frauen und Kinder?

Die Operation Moshtarak begann damit, dass Ort und mehr oder weniger die genaue Zeit des Angriffs in einer bizarr anmutenden Erklärung bereits vorab bekannt gegeben wurden. Bei ernsthaftem militärischem Vorgehen zeugt es nicht gerade von brillanter Taktik, den Gegner zuvor davon in Kenntnis zu setzen. Die Bombenangriffe umfassten den Einsatz ferngesteuerter amerikanischer Drohnen und anderer Flugzeuge, sie waren begleitet von einer Bodenoffensive von etwa 6.000 US-Marines, britischen und anderen NATO-Soldaten sowie Truppen der afghanischen nationalen Streitkräfte, insgesamt waren in der kleinen Stadt Marjah ca. 15.000 Soldaten im Einsatz. Das Weiße Haus spricht von der größten gemeinsamen US-NATO-afghanischen Militäroperation der Geschichte, die erste Großoffensive von Einheiten, die zu der von Barack Obama angeordneten »Aufstockung« um 30.000 Soldaten gehören.

Wie die New York Times berichtete, sind in den ersten Tagen der Offensive, die von der Propaganda des Pentagon als »humanitäre« Militärmission bezeichnet wird, fünf Kinder beim Einschlag einer Rakete in ein Gelände getötet worden, auf dem sich »afghanische Zivilisten aufhielten«. Insgesamt kamen bei dem Angriff bis zu zwölf Zivilisten ums Leben. Die computergesteuerten Raketen wurden von einer mehr als zehn Meilen entfernten Basis abgeschossen.

»Wir versuchen, dem afghanischen Volk zu vermitteln, dass wir die Sicherheit in ihrem Wohnumfeld erhöhen«, erklärte US-General Stanley McChrystal.

 

»Lächerliche Militärstrategie«

Zunächst einmal wird – wie viele zuverlässige Berichte aus Afghanistan bestätigen – der Begriff »Taliban« von den Militärplanern in Washington als Begründung für jede Form amerikanischer militärischer Besetzung des Landes ins Feld geführt. Viele, die da als Taliban bezeichnet werden, sind in Wirklichkeit lokale Aufständische, die das Land nach über 30-jähriger ausländischer Besetzung endlich von den Besatzern befreien wollen.

Malalai Joya, eine gewählte Abgeordnete des afghanischen Parlaments, hat den jüngsten Militärschlag offen als »lächerliche Militärstrategie« bezeichnet. Im einem Interview mit der Londoner Zeitung Independent erklärte sie: »Einerseits fordern sie Mullah Omar auf, dem Marionettenregime beizutreten. Andererseits führen sie diesen Angriff, dem vor allem schutzlose, arme Menschen zum Opfer fallen. Wie in der Vergangenheit werden sie bei Bombenangriffen der NATO getötet und dienen den Taliban als menschliche Schutzschilde. Die Menschen in Helmand leiden seit Jahren und Tausend von Unschuldigen sind bereits ums Leben gekommen.«  

Joya betont, das Ziel der USA und des McCrystal-Plans seien nicht die Taliban. Es gehe vielmehr um die Sicherung der Kontrolle über die wertvollen Rohstoffe in der Provinz Helmand, nämlich um Uran und Opium.

Die Polizeikräfte in Afghanistan bezeichnet Joya als »die korrupteste Institution in Afghanistan. Bestechung ist an der Tagesordnung, wer das Geld hat, um die Polizei von oben bis unten zu bestechen, der kann praktisch tun, was er will. In weiten Teilen Afghanistans hassen die Menschen die Polizei mehr als die Taliban. So haben beispielsweise die Menschen in Helmand Angst vor der Polizei, die gewaltsam gegen sie vorgeht und Unruhe schürt. Die meisten Polizisten in dieser Provinz sind opium- oder cannabisabhängig.« Zu der jüngsten multinationalen Afghanistan-Konferenz in London war Joya nicht eingeladen, sie gilt als »wandelndes Pulverfass«, weil sie zu offen über die Wirklichkeit in Afghanistan spricht. Berichten zufolge hat sie genau deswegen in Afghanistan sehr viele Anhänger.

Nach Angaben im neuesten Afghanistan-Gutachten der UN ist die Provinz Helmand mit 42 Prozent der Weltproduktion die größte Opium produzierende Region der Welt. Hier wird mehr Opium hergestellt als in ganz Burma, dem zweitgrößten Opiumproduzenten nach Afghanistan. Über 90 Prozent des weltweiten Opium-Angebots stammt aus Afghanistan. Wenn Washington nun einerseits behauptet, die Taliban hätten sich die Kontrolle über die Opiumproduktion in Helmand verschafft, um ihren Aufstand zu finanzieren, oder wenn sich andererseits die Opium-Warlords weigern, mit den amerikanischen und anderen NATO-Geheimdiensten zusammenzuarbeiten, die selbst im Verdacht stehen, den weltweiten Opiumhandel zu kontrollieren, um mit den Einnahmen ihre schwarzen Operationen zu finanzieren, dann geht es bei der derzeitigen Militäroffensive eindeutig nicht darum, Afghanistan dem Frieden näher zu bringen oder die ausländische militärische Besetzung zu beenden.

Dienstag, 02.03.2010

Kategorie: Enthüllungen, Wirtschaft & Finanzen, Politik, Terrorismus

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Il superomismo sociale di D'Annunzio

Il superomismo sociale di D’Annunzio

Autore: Luca Leonello Rimbotti - http://www.centrostudilaruna.it/

GabrieleD.jpgChe le rivoluzioni nazionali europee del XX secolo abbiano regolarmente avuto alle loro spalle il meglio dell’intellettualità dei rispettivi Paesi, e che tale prestigioso palladio non abbia l’eguale in altri contesti ideologici, costituisce una delle maggiori frustrazioni per l’intellighentzia liberalgiacobina. Nel caso del Fascismo italiano, la galleria dei padri nobili più lontani, come quella degli immediati profeti e antesignani, è sterminata. Di qui, l’ingrato lavoro cui si sottopongono da decenni i poligrafi antifascisti: nascondere se possibile, altrimenti mettere in sordina e depistare, al fine di limitare il danno che reca alla credibilità democratica il fatto che il Fascismo possa impunemente godere del prestigio postumo di tanti geni nazionali che lo precorsero. Senza andare più indietro, i casi di un Carducci, di un Oriani, di un Pascoli, di un Pirandello, di un Pareto, di un Marinetti sono conosciuti: qui si concentra sovente lo sforzo dei nuovi “negazionisti”: le assonanze, le precise rispondenze, le plateali coincidenze tra il loro pensiero ideale, sociale e politico e l’ideologia fascista vengono appunto negate o minimizzate, contestando l’incontestabile attraverso la pratica abituale del cavillo cabalistico oppure della semplice deformazione.

D’Annunzio è un caso a sé. Il grande poeta è stato a lungo ridicolizzato dai progressisti come esteta da burla, in virtù del suo “decadentismo borghese”. E a lungo è stato giudicato come nulla più che una manifestazione retorica di interessi di classe. Molti ricorderanno i frasari paramarxisti che per lunghe stagioni relegarono D’Annunzio tra i servi del capitalismo. Un solo esempio a caso: quel libro einaudiano con cui Angelo Jacomuzzi nel 1974 definiva il pensiero del Vate «funzionale all’affermazione dell’ideologia del capitalismo avanzato». Oggi, che il febbrone marxistico è degenerato in pandemìa liberista, sciocchezze del genere non sono più somministrabili. Oggi questo particolare tipo di “negazionismo” viaggia su binari meno rozzi, più sfumati. Eppure, qua e là, vediamo ancora riaffiorare con altri argomenti l’antica tendenza alla mistificazione.

Stavolta, infatti, non si vuole enfatizzare il D’Annunzio reazionario, ma piuttosto fabbricarne addirittura uno antifascista. Si passa, insomma, da una forzatura a un’invenzione di sana pianta. È il caso, ad esempio, di un breve scritto di Vito Salierno, intitolato non a caso Gabriele d’Annunzio: il disprezzo per i fascisti e il rapporto con Mussolini, che compare nel libro a più mani L’Italia e la “grande vigilia”. nella politica italiana prima del fascismo, a cura di Romain H. Rainero e Stefano B. Galli (Franco Angeli editore). Il saggetto in parola, sin da titolo, si picca di voler dimostrare che D’Annunzio e i fascisti non avevano nulla a che spartire. Due mondi diversi. A riprova, si cita la famosa lettera che il Comandante inviò a Mussolini il 16 settembre 1919, rimproverandolo di non aver mobilitato i Fasci a sostegno dell’impresa fiumana. E si cita anche l’ordine dato ai legionari, a Marcia su Roma appena terminata, di «mantenersi assolutamente estranei all’attuale situazione politica». Il fatto che D’Annunzio e Mussolini avessero la medesima ideologia non conta. Contano le occasionali divergenze sulla tattica politica. Poco importa, ad esempio, che D’Annunzio si fosse affacciato al balcone di Palazzo Marino a Milano il 3 agosto 1922 – in piena fase insurrezionale fascista – per arringare una folla nazionalista e avendo a fianco fior di squadristi e neri gagliardetti… e poco importa che in occasione della Marcia, D’Annunzio, se non si sperticò in elogi, neppure si pronunciò contro: si sa infatti che il Vate, quell’ingresso a Roma, avrebbe voluto farlo lui, mancandogli tuttavia i talenti politici per scegliere il come e il quando. Suscettibile com’era, ci rimase male quando la “rivoluzione nazionale” fu portata a compimento da altri, relegandolo ai margini della scena.

E si sa anche che certe sue rampogne a Mussolini erano figlie più di un antagonismo tra caratteri forti che non tra divergenti vedute di fondo. Mussolini aveva la capacità politica che sfuggiva completamente al Comandante, tutto avvolto nelle sue potenti evocazioni simboliche. D’Annunzio, da parte sua, ebbe il talento estetico necessario per fondare la liturgia celebrativa e la mistica comunitaria, poi ereditate dal Fascismo e socializzate su scala nazionale.

Non potendo contestare in toto la coincidenza ideologica tra Mussolini e D’Annunzio, oggi, per confutare il primo e salvare il secondo da una fratellanza ideologica che disturba, si preferisce pestare sul pedale delle marginali divergenze: ad esempio, quelle immaginate tra il corporativismo fascista e il corporativismo della Carta del Carnaro. Che effettivamente, se guardata col microscopio, rigirata in controluce, ai raggi X, proprio volendo, in alcune sfumature è un po’ diversa, che so, dalla Carta del Lavoro… Oppure, come ha fatto Ferdinando Cordova – in un suo vecchio libro recentemente ristampato –, si preferisce cavillare su certe differenze di scelta politica tra alcuni arditi e legionari dannunziani e gli arditi e gli squadristi fascisti… Insomma, una letteratura bizantina che gode ancora buona salute. Gli storici più equilibrati e meno corrivi hanno da tempo liquidato questi tentativi di imbrogliare le carte.

Il pensiero politico dannunziano, presente non solo negli scritti e discorsi politici, ma nella sua intera produzione letteraria, poetica e giornalistica, era quanto mai chiaro. L’Immaginifico possedeva il dono divino, assente nei tardi glossatori democratici, della brutale schiettezza. La sua ideologia? Ce l’ha riassunta anni fa un insospettabile come Paolo Alatri: «il principio della completa libertà d’azione dell’uomo superiore… la polemica antidemocratica e antiparlamentare, la celebrazione delle virtù della razza, l’esaltazione della guerra, l’esaltazione della romanità e la celebrazione del Risorgimento… un socialismo di superuomini…». Cos’altro aggiungere? Questa ideologia dannunziana proprio non fa venire in mente nessuna assonanza, a quanti accarezzano un improbabile D’Annunzio anti-fascista o a-fascista?

I vecchi storici marxisti erano in fondo più onesti degli attuali “revisionisti” democratici. Lo stesso Alatri – ma come lui anche i vari Ernesto Ragionieri o Gabriele De Rosa – rimarcavano per l’appunto che D’Annunzio «preparò il terreno al fascismo», proprio perché, se non fascista (un carattere come quello era maldisposto per natura a inquadrarsi in un partito comandato da un altro…), fu quanto meno protofascista. E, inoltre, proprio quegli storici ricordavano il debito che l’ideologia nazionalpopolare di D’Annunzio aveva col socialismo nazionale di Corradini, col suo imperialismo sociale e con il sindacalismo rivoluzionario: tutti elementi che furono alla base dell’ideologia fascista. Dice: ma nella Carta del Carnaro si parla di libertà, si afferma che tutti i cittadini sono uguali… e poi a capo della Reggenza il Vate mise De Ambris, un libertario antifascista. Sì, ma che dire del fatto che alla prima occasione D’Annunzio se ne sbarazzò a favore di Giuriati, che era fascista e che diventò un gerarca? Ma poi, non si parla nella Dottrina del Fascismo proprio dello “Stato etico” come manifestazione della vera libertà e dell’eguale dignità di tutti gli Italiani? E che dire poi della stragrande maggioranza dei legionari fiumani, che dal 1921 confluirono in blocco nel PNF? Senza contare che, se ci fu, come ci fu, una forte vena “di sinistra” nella Carta del Carnaro, essa fu preceduta e di molto dal programma sansepolcrista dei Fasci di Combattimento.

Per la verità, la leggenda di un D’Annunzio “di sinistra” (ma di una sinistra estrema, non tanto nazionale, quanto addirittura internazionalista e para-comunista) venne malauguratamente diffusa da De Felice e poi rinforzata da qualche suo allievo. In un famoso convegno di storici tenutosi a Pescara nel 1987, De Felice pensò bene di provare questo fantasioso schieramento del poeta, ricordando che D’Annunzio invitò a Fiume sia Gramsci che il commissario sovietico agli esteri Cicerin. Questa presa di posizione di De Felice è alla base dei tentativi della storiografia contemporanea di rinverdire la mitologia di un D’Annunzio estraneo alla politica e ai valori del Fascismo e con l’unico occhio rimastogli volto alla sinistra estrema. Ma, anche qui, si tratta di argomenti facilmente smontabili. Un conto sono le tattiche o gli atti politici contingenti, un altro conto è l’ideologia politica di fondo che sostiene un’azione. Basterà ricordare, per chiarire la faccenda, che, ad esempio, il primo Stato occidentale che riconobbe diplomaticamente l’URSS fu l’Italia, ma nel 1923 e per iniziativa di Mussolini, e senza che per questo diventasse comunista…

Fatto sta che è su mitologie di tale inconsistenza che ancora oggi si lavora. Una volta conosciuta l’opera dannunziana, una volta letta la sua straripante prosa estremistica, se ne riconoscono le tracce che anticiparono il Fascismo fin dai primi scritti giovanili negli anni Ottanta dell’Ottocento. Se il punto di partenza dell’ideologia di D’Annunzio fu il superomismo nietzscheano, a questo il poeta aggiunse col tempo quella sensibilità sociale che già era da un pezzo nell’aria sia nel nazionalismo corradiniano, sia nelle scelte dei sindacalisti rivoluzionari in favore dell’interventismo: confluiti poi l’uno e gli altri nel Fascismo. Il Vate si esprimeva a favore della energia dominatrice che agisce tanto nell’arte quanto nell’arte politica di un capo carismatico; esaltava le glorie italiane e affidava alla nazione una missione da realizzarsi attraverso i trionfi guerrieri; celebrava il destino della stirpe formulando una delle rivendicazioni imperialistiche più radicali del Novecento: a questo aggiunse l’idea di una nobiltà del popolo presente anche nell’umile lavoro quotidiano. Da Giovanni Rizzo, il prefetto che il Duce inviò al Vittoriale per sorvegliare non tanto D’Annunzio quanto la fauna di parassiti che lo circondava, sappiamo che Gardone pullulava di faccendieri e mestatori: «avversari di varia tinta, partigiani, zelatori e gelosi si davan da fare per attizzare il fuoco della discordia». Ma invano: D’Annunzio confermò fino alla fine l’identità di ideali col Fascismo. Dev’essere stata una ben strana inimicizia, quella tra i due, se ad esempio nel 1936 D’Annunzio poté inviare a Mussolini – che chiamava spesso il grande Capo – parole che non lasciano scampo: «Tutta la mia arte migliore si tendeva dal mio profondo nell’ansia di scolpire la tua figura grande, mentre tu solo contro gli intrighi de’ vecchi, contro la falsità degli ipocriti… difendevi la tua patria, la mia patria, l’Italia, l’Italia, l’Italia, tu solo, a viso aperto!…».

* * *

Tratto da Linea del 27 giugno 2008.

Les Germains contre Rome: cinq siècles de lutte ininterrompue

Les Germains contre Rome: cinq siècles de lutte ininterrompue

 

par Konrad HÖFINGER

 

arminius.jpgLes sources écrites majeures du monde antique sont romaines, rédigées en latin. Les textes nous livrent donc une vision romaine des cinq siècles de lutte qui ont opposé le long du Rhin, des limes et du Danube, les tribus germaniques à Rome. Konrad Höfinger, archéologue de l'école de Kossina, interroge les vestiges archéologiques pour tenter de voir l'histoire avec l'oeil de ces Germains, qui ont fini par vaincre. Ses conclusions: les tribus germaniques connaissaient une forme d'unité confédérale et ont toutes participé à la lutte, en fournissant hommes ou matériel. La stratégie de guerilla, de guerre d'usure, le long des frontières était planifiée en bonne et due forme, au départ d'un centre, située au milieu de la partie septentrionale de la Germanie libre. Nous reproduisons ci-dessus une première traduction française des conclusions que tire Konrad Höfinger après son enquête minutieuse.

 

Si nous résumons tous les faits et gestes du temps des Völkerwanderungen (migrations des peuples), nous constatons l'existence, sous des formes spécifiques, d'un Etat germanique, d'une culture germanique, renforcée par une conscience populaire cohérente.

 

1. Dès l'époque de César, c'est-à-dire dès leur première manifestation dans l'histoire, les Germains ont représenté une unité cohérente, opposée aux Romains; ceux-ci connaissaient les frontières germaniques non seulement celles de l'Ouest, le long du Rhin, mais aussi celles de l'Est.

2. La défense organisée par les Germains contre les attaques romaines au temps d'Auguste s'est déployée selon des plans cohérents, demeurés identiques pendant deux générations.

3. Après avoir repoussé les attaques romaines, les Germains ont fortifié la rive droite du Rhin et la rive gauche du Danube selon une stratégie cohérente et une tactique identique en tous points. Les appuis logistiques pour les troupes appelées à défendre cette ligne provenaient de toutes les régions de la Germanie antique.

4. Quand les Daces, sous la conduite de Decebalus, attaquent les Romains en l'an 100 de notre ère, les Quades passent à l'offensive sur le cours moyen du Danube et les Chattes attaquent le long du Rhin.

5. L'assaut lancé par les Quades et la Marcomans vers 160 a été entrepris simultanément aux tentatives des Alamans sur les bords du Rhin et des Goths sur le cours inférieur du Danube. Les troupes qui ont participé à ses manœuvres venaient de l'ensemble des pays germaniques.

6. A l'époque où se déclenche l'invasion gothique dans la région du Danube inférieur vers 250, les Alamans passent également à l'attaque et s'emparent des bastions romains entre Rhin et Danube.

7. A partir des premières années du IVième siècle, Rome s'arme de l'intérieur en vue d'emporter la décision finale contre les Germains. A partir de 350, les fortifications le long du Rhin et du Danube sont remises à neuf et des troupes, venues de tout l'Empire, y sont installées. Simultanément, sur le front germanique, on renforce aussi ses fortifications en tous points: ravitaillement, appuis, matériel et troupes proviennent, une nouvelle fois, de toute la Germanie, ce qu'attestent les sources historiques.

8. Sur aucun point du front, on ne trouve qu'une et une seule «tribu» (Stamm) ou un et un seul peuple (Volk), mais partout des représentants de toutes les régions germaniques.

9. Les attaques lancées par les Germains en 375 et 376 ne se sont pas seulement déclenchées avec une parfaite synchronisation, mais constituaient un ensemble de manœuvres militaires tactiquement justifiées, qui se complétaient les unes les autres, en chaque point du front. Le succès des Alamans en Alsace a ainsi conditionné la victoire gothique en Bessarabie.

10. La grande attaque, le long d'un front de plusieurs milliers de kilomètres, ne s'est pas effectuée en un coup mais à la suite de combats rudes et constants, qui ont parfois duré des années, ce qui implique une logistique et un apport en hommes rigoureusement planifiés.

11. Les combats isolés n'étaient pas engagés sans plan préalable, mais étaient mené avec une grande précision stratégique et avec clairvoyance, tant en ce qui concerne l'avance des troupes, la sécurisation des points enlevés et la chronométrie des manœuvres. Les sources romaines confirment ces faits par ailleurs.

12. Les événements qui se sont déroulés après la bataille d'Andrinople, entre 378 et 400, ont obligé l'Empereur Théodose à accepter un compromis avec l'ensemble des Germains. Ce compromis permettait à toutes les tribus germaniques, et non pas à une seule de ces tribus, d'occuper des territoires ayant été soumis à Rome.

13. La campagne menée par le Roi Alaric en Italie et la prise de Rome en 410, contrairement à l'acception encore courante, ne sont pas pensables comme des entreprises de pillage, perpétrées au gré des circonstances par une horde de barbares, mais bien plutôt comme un mouvement planifié de l'armée d'une grande puissance en territoire ennemi.

14. Ce ne sont pas seulement des Wisigoths qui ont marché sur Rome, mais, sous les ordres du «Général» Alaric, des représentants de toutes les régions de la Germanie.

15. L'occupation de l'Empire d'Occident s'est déroulée selon un plan d'ensemble unitaire; les diverses armées se sont mutuellement aidées au cours de l'opération.

16. L'armement et les manières de combattre de tous les Germains, le long du Rhin à l'Ouest, sur les rives de la Mer Noire à l'extrémité orientale du front, en Bretagne au Nord, ont été similaires et sont demeurées quasi identiques pendant tous les siècles qu'a duré cette longue guerre. Ils sont d'ailleurs restés les mêmes au cours des siècles suivants.

17. Enfin, la guerre qui a opposé Rome aux Germains a duré pendant quatre siècles complets, ce qui ne peut être possible qu'entre deux grandes unités politiques, égales en puissance. Cette longue guerre n'a pas été une suite d'escarmouches fortuites mais a provoqué, lentement, de façon constante, un renversement du jeu des forces: un accroissement de la puissance germanique et un déclin de la puissance romaine. Cette constance n'a été possible que parce qu'il existait une ferme volonté d'emporter la victoire chez les Germains; et cette volonté indique la présence implicite d'une forme d'unité et de conscience politiques.

 

Après la victoire germanique, à la fin du IVième siècle, se créent partout en Europe et en Afrique des Etats germaniques, qui, tous, furent édifiés selon les mêmes principes. Que ce soit en Bretagne avec les Angles, en Espagne avec les Alains, en Afrique avec les Vandales, en Gaule avec les Francs, en Italie avec les Goths ou les Lombards, toutes ces constructions étaient, sur les plans politique, économique et militaire, avec leurs avantages et leurs faiblesses, leur destin heureux ou malheureux, le produit d'une identité qu'on ne saurait méconnaître. Il saute aux yeux qu'il existait une spécificité propre à tous les Germains, comme on en rencontre que chez les peuples qui ont reçu une éducation solide au sein d'une culture bien typée, aux assises fermes et homogènes, si bien que leurs formes d'éducation politique et éthique accèdent à l'état de conscience selon un même mode, ciselé par les siècles. Nous avons toujours admiré, à juste titre d'ailleurs, l'homogénéité intérieure de la spécificité romaine, laquelle, en l'espace d'un millénaire, en tous les points du monde connu de l'époque et malgré les vicissitudes politiques mouvantes, est demeurée inchangée et, même, est restée inébranlable dans le déclin. Le monde germanique n'est pas moins admirable pour ce qui concerne l'unité, l'homogénéité et le caractère inébranlable de sa constance: dès qu'il est apparu sur la scène de l'histoire romaine, au Ier siècle avant notre ère, il est resté fidèle à lui-même et constant jusqu'à la fin de la «longue guerre».

 

Konrad HÖFINGER.

 

Konrad HÖFINGER, Germanen gegen Rom. Ein europäischer Schicksalskampf, Grabert-Verlag, Tübingen, 1986, 352 S., 32 Abb., DM 45.

    

mardi, 09 mars 2010

Manifestation de soutien au peuple grec à Dijon

Le peuple grec refuse de rembourser les usuriers!

Le peuple grec refuse de rembourser les usuriers!

roit-police.jpgComment réagirait le peuple de France si ses "nouvelles élites dirigeantes" lui annonçait le gel des retraites publiques et privées…

Car on veut saigner le peuple Grec, et bientôt tous les autres aussi (l'Islande doit se prononcer le 6 mars par référendum Populaire, pour un remboursement ou pas, de ses dettes à des banques anglaises et néerlandaises...).

Mais ne soyons pas dupes, l'Europe, dont les élites ont trahis encore plus qu'ailleurs, est au cœur du cyclone.
Nous sommes tous des Grecs en puissance !

Grâce à l'annonce des mesures d'économies du Gouvernement Grec, les "marchés" rassurés, réagissent positivement : entendez ils achètent massivement une dette Grecque (15 milliards proposés par les marchés pour 5 demandés dans un premier temps par le gouvernement Grec )

Pourquoi cet attrait des marchés sur un pays pourtant peu fiable et qui semble à l'agonie ?

Tout simplement car le fait de répéter massivement (merci les agences de notations, fidèles alliées des banques US) dans les médias que la "note" de fiabilité du pays allait se dégrader, a eu pour conséquence que les taux demandés par les éventuels préteurs ont grimpé sur les marchés !

Il faut bien rémunérer le risque mon bon Monsieur !
Rémunérer le risque oui, quand il est créateur d'emploi, et fait vivre une Communauté de Destin, pas quand il dépouille les Hommes et ne sert que quelques uns.

Conséquences directes, la Grèce emprunte à un taux deux fois plus élevé que celui de l'Allemagne. Rectification :  cela coute le double en intérêts, à ceux qui doivent s'en acquitter (le peuple).

Mais
une dette qui rapporte aussi aux vautours : 6,4 % est le taux pratiqué par les marchés pour prêter à ce pays, contre 3 % pour l'Allemagne.

La cupidité et la capacité de manigance de ces rapaces là est sans limite, et comme toujours, c'est lorsqu'elle devient trop visible que nos peuples confiants comprennent l'arnaque dont ils sont victimes !

Le destin a choisi la Grèce comme première cible, mais le peuple commence à se révolter massivement (succès de la première journée de grève générale, et les hostilités commencent à peine !).

Si ce gouvernement Grec venait à être balayé, les escrocs ont pouvoirs feraient tout pour que leur dette soit honorée, et tenteront une nouvelle fois de mettre des pantins au pouvoir.

A moins que la révolte soit violente, et qu'une sortie du Système Monétaire Européen, par la Grèce, soient envisagée.
 
Je n'ai pas de boule de cristal, alors attendons la suite, mais ce qui est certains, c'est que
dans les sphères économiques, on ne parle plus de sortie de l'Euro pour la Grèce, mais de sortie du SME (Système Monétaire Européen). Nuance...

Quand ces gens jouent avec les mots, c'est qu'ils savent que le vent tourne, et qu'il ne faut pas menacer l'édifice essentiel de leur dispositif d'asservissement des peuples :  l'Euro !

Vidéos et article complet ici :

http://robertofiorini.blog4ever.com/blog/lire-article-84180-1669905-le_peuple_grec_refuse_de_payer_les_usuriers__.html

Ethisch bankieren?

manifgrece.jpgEthisch bankieren?

Ex: http://yvespernet.wordpress.com/

Het spreekwoord “Met zo’n vrienden heb je geen vijanden meer nodig” is wel enorm van toepassing momenteel op de rol van banken als Goldman Sachs in de Griekse financiële crisis. De Griekse overheid is nu volop bezig met extreme besparingen om hun economie, de Euro en hun plaats in de Europese Unie te redden. Bij die laatste waren ze enkel kunnen toetreden omdat zij hun begrotingstekorten konden verdoezelen. Tekorten die ze verdoezelden met de hulp van Goldman Sachs.

Goldman Sachs helped the Greek government to mask the true extent of its deficit with the help of a derivatives deal that legally circumvented the EU Maastricht deficit rules. At some point the so-called cross currency swaps will mature, and swell the country’s already bloated deficit. [...] But in the Greek case the US bankers devised a special kind of swap with fictional exchange rates. That enabled Greece to receive a far higher sum than the actual euro market value of 10 billion dollars or yen. In that way Goldman Sachs secretly arranged additional credit of up to $1 billion for the Greeks.

Bron: http://www.spiegel.de/international/europe/0,1518,676634,00.html

Uiteraard zit Griekenland nu diep in de problemen, met dank aan het hyperkapitalisme van de bankiers. Maar men zou toch denken dat met heel de zaak van de kredietcrisis en de banken die voortaan ethisch zouden gaan bankieren, dat dit soort praktijken tot het verleden zouden horen. Denk maar opnieuw…

De bank Goldman Sachs die Griekenland hielp met het verstoppen van hun enorme begrotingstekorten, waarmee ze een tijdbom onder de Griekse economie plaatsten, is nu weer betrokken in financiële transacties i.v.m. Griekenland. Een tijd geleden werd Golman Sachs nog genoemd als één van de grote redders van de Griekse economie.

A team from Goldman Sachs was in Athens on Thursday shepherding representatives ofPaulson, the US hedge fund, around meetings with local bankers, economists and analysts. The client visit, the second to Athens this month arranged by the US investment bank, highlights a deepening involvement with Greece’s socialist government as it desperately tries to shore up the public finances and avoid default – and comes after the Financial Times reported this week that the bank was mooting a controversial debt deal with China.

Goldman has not been given an official mandate by the government, but it is playing a large role in the rescue effort. Last year it took George Papaconstantinou, the finance minister, on his first roadshow to London and Frankfurt, along with Deutsche Bank.

Bron: http://www.ft.com/cms/s/0/53bbbd40-0c42-11df-8b81-00144feabdc0.html

Maar ondanks deze show die ze opzetten om zichzelf voor te stellen als de grote redders van Griekenland, komt de waarheid uiteindelijk toch aan het licht. Terwijl Goldman Sachs zichzelf aan het publiek wilt tonen als de grote redder in tijden van nood, is de bank achter de schermen actief bezig met te speculeren tegen Griekenland. Dit heeft als effect dat Griekenland véél moeilijker geld zal kunnen lenen, waardoor de crisis erger zal worden en de besparingen ingrijpender. Goldman Sachs zal eraan verdienen, de Grieken zullen de gevolgen dragen…

Bets by some of the same banks that helped Greece shroud its mounting debts may actually now be pushing the nation closer to the brink of financial ruin, Nelson D. Schwartz and Eric Dash report in The New York Times. Echoing the kind of trades that nearly toppled the American International Group, the increasingly popular insurance against the risk of a Greek default is making it harder for Athens to raise the money it needs to pay its bills, according to traders and money managers.

Bron: http://dealbook.blogs.nytimes.com/2010/02/25/banks-bet-greece-defaults-on-debt-they-helped-hide/

Presseschau 02/März 2010

Presseschau

02 / März 2010

Einige Links. Bei Interesse anklicken...

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kranten-digitaal-3834.jpgUnsere EU-„Elite“ (Totengräber Europas) ...
Guy Verhofstadt über die Anbetung der nationalen Identität
Die Zukunft von Europa und der Europäischen Union wird postnational sein, oder sie wird nicht sein.
Mit einem kritischen Beitrag zur Identitätsdebatte in Frankreich hat Guy Verhofstadt heftige Reaktionen ausgelöst. Der liberale Politiker, Mitglied des Europäischen Parlaments und ehemaliger belgischer Ministerpräsident, hält an seiner Ablehnung der französischen Debatte fest und schreibt in der Tageszeitung De Standaard: „‚Identität‘ ist ein Begriff, auf dem unmöglich eine friedliebende und wohlhabende Gesellschaft aufgebaut werden kann. Allgemeiner gesagt, ist ‚Identität‘ ein Symptom unserer Unfähigkeit, die Welt so zu akzeptieren, wie sie ist. Die Zukunft von Europa liegt keineswegs in einer Suche nach nationaler Identität. Und sicherlich liegt sie nicht in der Summe nationaler Identitäten. Das Europa von heute, ‚l'Europe des Nations‘, ist eine Reliquie der Vergangenheit. Es ist ein Europa, das unfähig ist, Probleme zu lösen. Und es ist ein Europa, das kaum noch eine bedeutende Rolle in der multipolaren Welt des 21. Jahrhunderts spielen wird. Kurz: Die Zukunft von Europa und der Europäischen Union wird postnational sein, oder sie wird nicht sein.“
http://www.eurotopics.net/de/archiv/results/archiv_article/ARTICLE66146-Guy-Verhofstadt-ueber-die-Anbetung-der-nationalen-Identitaet
http://www.eurotopics.net/de/presseschau/reflexionen/
http://www.standaard.be/artikel/detail.aspx?artikelid=1B2ML8GN

Presse-Polemik
Griechischer Verband ruft zum Boykott deutscher Waren auf
Die griechische Wut über die Deutschen eskaliert: Ein mächtiger Verbraucherverband in Athen appelliert an die Bevölkerung, deutsche Produkte und Geschäfte zu boykottieren. Griechenlands Staatsspitze bekommt währenddessen offenbar Finanznachhilfe – von Deutsche-Bank-Chef Ackermann.
http://www.spiegel.de/wirtschaft/soziales/0,1518,680534,00.html

Neue EU-Außenbehörde
Deutsche warnen vor britischer Dominanz
Von Matthias Gebauer und Carsten Volkery
Deutschland und Frankreich warnen vor zu großem britischem Einfluß im neuen europäischen Diplomatencorps. Sie werfen der neuen EU-Außenministerin Catherine Ashton vor, ihre Landsleute auf Schlüsselpositionen zu hieven.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,681105,00.html

US-Atomwaffen
Obama plant offenbar Abzug aus Deutschland
http://www.focus.de/politik/ausland/us-atomwaffen-obama-plant-offenbar-abzug-aus-deutschland_aid_485604.html

Neue Atom-Strategie des US-Präsidenten
Obama will Atomwaffenarsenal drastisch reduzieren
http://www.tagesschau.de/ausland/atomwaffenabbau100.html

,,Focus Money‘‘ berichtet über tatsächliche oder vermeintliche ,,Ungereimtheiten‘‘ bzgl. 9/11
http://www.911video.de/news/080110/

Grundsatzurteil
Vorratsdatenspeicherung verstößt gegen Verfassung
Das Verfassungsgericht hat entschieden: Das umstrittene Gesetz zur Vorratsdatenspeicherung verstößt in seiner jetzigen Form gegen das Grundgesetz. Jetzt muß die Bundesregierung nachbessern. Die bislang gespeicherten Daten müssen „unverzüglich“ gelöscht werden.
http://www.spiegel.de/netzwelt/netzpolitik/0,1518,681122,00.html
http://www.welt.de/politik/article6618646/Vorratsdatenspeicherung-ist-verfassungswidrig.html
http://www.computerbase.de/news/wirtschaft/recht_gesetz/2010/maerz/bverfg_vorratsdatenspeicherung/

Hartz-IV-Urteil
Bundesrichter mahnt moderate Steuersätze an
Von Thorsten Jungholt
Das Urteil des Bundesverfassungsgerichts war der Ausgangspunkt der kontroversen Hartz-IV-Debatte. Im Interview mit der „Welt am Sonntag“ spricht der scheidende Präsident über die Folgen des Urteils. Und erklärt, ab welchem Punkt die Belastung durch Steuern und Abgaben zu hoch wird.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6587967/Bundesrichter-mahnt-moderate-Steuersaetze-an.html

Gastkommentar
Ich schäme mich als Bürger für die Regierung
Von Reinhard K. Sprenger
Für viele Deutsche ist der Staat nur noch ein riesiges Finanzamt. Wenn Steuerhinterziehung zunimmt, ist dies aber kein Indiz für eine moralische Krise, sondern für ein marodes System. Doch was ist das für ein Staat, in dem Steuerhinterziehung ein Verbrechen ist, Steuerverschwendung hingegen ein Beruf?
http://www.welt.de/debatte/kommentare/article6252867/Ich-schaeme-mich-als-Buerger-fuer-die-Regierung.html

Niederlande
Jetzt will Wilders die Niederlande „zurückerobern“
Nach dem Scheitern der niederländischen Regierungskoalition hat die Partei von Rechtpopulist Wilders bei der Kommunalwahl sehr gut abgeschnitten. Das gibt Wilders Auftrieb für die Parlamentswahl im Juni: Man werde die Niederlande „zurückerobern von der linken Elite, die immer noch an den Islam glaubt“.
http://www.welt.de/politik/ausland/article6643126/Jetzt-will-Wilders-die-Niederlande-zurueckerobern.html

Kommunalwahl Niederlande
Sieg des Islamkritikers
Nach Wilders-Erfolg fürchten Niederländer Unruhen
http://www.welt.de/politik/ausland/article6652388/Nach-Wilders-Erfolg-fuerchten-Niederlaender-Unruhen.html

Niederlande: Rechtspopulist im Aufwind
Wilders und das Prinzip Angst
http://www.sueddeutsche.de/politik/818/505024/text/

Kommunalwahl in den Niederlanden: Das wilde Männlein Wilders
von André F. Lichtschlag
http://ef-magazin.de/2010/03/03/1905-kommunalwahl-in-den-niederlanden-das-wilde-maennlein-wilders

Interview zum Wahlerfolg der Rechten
„Ein Wahlerfolg mit Sogwirkung“
Der Wahlerfolg des Rechtspopulisten Wilders in den Niederlanden wird auch hierzulande kontrovers diskutiert. Ob das Erstarken der Partei der Freiheit auch auf die Stimmung gegenüber dem Islam in Deutschland Einfluß hat, hat tagesschau.de den Rechtsextremismusforscher Alexander Häusler gefragt.
http://www.tagesschau.de/ausland/wilders114.html

Rechtsparteien-Dilemma
Von Martin Böcker
Die WDR-Sendung Monitor behandelte am Montag die Bürgerbewegung Pro NRW. Feierlich stellte die Moderatorin Sonia Mikich fest, daß es „nicht mehr einfach“ sei, „Rechtskonservative, Rechte, Rechtspopulisten auseinanderzuhalten“. Das glaubt man ihr sofort. Doch die Dramatik ihrer Aufzählung offenbart eine gefühlte Rangordnung: Demnach wären „Rechtskonservative“ zwar erträglich, „Rechtspopulisten“ jedoch böse. Aber weil man sie nicht unterscheiden kann, sind alle miteinander ganz schlimme Finger.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M58a5f7567b4.0.html

Griechenland-Krise
Verfassungsrechtler Kirchhof hält Finanzhilfen für Rechtsbruch
Für Paul Kirchhof ist die Sache klar: Nach Ansicht des Verfassungsrechtlers würden europäische Finanzhilfen für das wirtschaftlich angeschlagene Griechenland die Euro-Verträge verletzen. Im SPIEGEL rät er Parlamentariern, in dem Fall das Verfassungsgericht anzurufen.
http://www.spiegel.de/wirtschaft/soziales/0,1518,680780,00.html

Hilfe für Schuldenstaat
Die griechische Zwickmühle ist für Merkel heikel
Von J. Dams, J. Eigendorf, M. Greive und S. Jost
Mögliche Hilfen Deutschlands für das hoch verschuldete Griechenland werden äußerst kontrovers diskutiert. Bundeskanzlerin Angela Merkel (CDU) ist klar, daß sie den Griechen helfen muß. Das ist die Zwickmühle: Denn die Regierungschefin weiß nicht, wie sie die Notwendigkeit dem Wahlvolk verkaufen soll.
http://www.welt.de/wirtschaft/article6614681/Die-griechische-Zwickmuehle-ist-fuer-Merkel-heikel.html

Transparency-Studie
Griechenland ächzt auch unter der Korruption
Von Florian Hassel
Griechenland hat nicht nur ein Schuldenproblem, auch die Korruption breitet sich immer weiter aus. Ob die Ausstellung eines Führerscheins, Baugenehmigungen oder Steuerprüfungen – pro Jahr zahlt jeder Bürger durchschnittlich 1355 Euro Bestechungsgeld. Laut Transparency Internernational ist das sogar nur die Spitze des Eisbergs.
http://www.welt.de/wirtschaft/article6616995/Griechenland-aechzt-auch-unter-der-Korruption.html

Schuldenkrise
Ifo-Chef rät den Griechen, den Euro aufzugeben
Der bekannte Ökonom Hans-Werner Sinn ist für eine Verkleinerung der Euro-Zone. Damit die Griechen im Euro-Verbund bleiben könnten, müßte man ihnen Geld schenken. Doch da fürchtet er soziale Unruhen. Stattdessen sollten die Griechen die Euro-Zone verlassen. Politiker aus Union und FDP haben noch eine ganz andere Idee.
http://www.welt.de/wirtschaft/article6642778/Ifo-Chef-raet-den-Griechen-den-Euro-aufzugeben.html

Währungen
Nach dem Euro wackelt nun das britische Pfund
Von Daniel Eckert
Wird Großbritannien zum nächsten Griechenland? Unsolide Staatsfinanzen haben das Pfund Sterling auf den tiefsten Stand seit zehn Monaten rutschen lassen. Denn die Lage ist kaum besser als in Griechenland. Und es droht weiteres Ungemach. Die gute Bonität Britanniens ist gefährdet.
http://www.welt.de/finanzen/article6619540/Nach-dem-Euro-wackelt-nun-das-britische-Pfund.html

Britisches Pfund unter Druck
Crash-Wette auf das verwundete Königreich
Von Carsten Volkery, London
Erst der Euro, jetzt das Pfund? Die britische Währung gerät massiv unter Druck. Spekulanten setzen darauf, daß die Regierung in London ihre Schulden bald nicht mehr im Griff hat. Tatsächlich herrschen in dem Land griechische Verhältnisse – und das Königreich hat keine Euro-Partner im Rücken.
http://www.spiegel.de/wirtschaft/unternehmen/0,1518,681543,00.html

Angela Merkel gratuliert Heiner Geißler
Die Vorsitzende der CDU Deutschlands, Bundeskanzlerin Dr. Angela Merkel, hat in einem persönlichen Schreiben Dr. Heiner Geißler zu seinem 80. Geburtstag herzlich gratuliert. Dabei bedankte sich die Parteivorsitzende beim ehemaligen CDU-Generalsekretär für dessen „außergewöhnlichen Einsatz für unser Land und die CDU Deutschlands“. Bis heute setze Heiner Geißler gesellschaftliche Themen und bringe sich „mit Geist und Mut in Debatten“ ein, so Angela Merkel.
Zugleich bescheinigte die Parteivorsitzende dem ehemaligen Bundesminister, daß er wesentlich dazu beigetragen habe, „daß wir eine lebendige Volkspartei sind.“ Als Generalsekretär habe er „Maßstäbe gesetzt“. Bis heute sei Geißler „Schlichter und Mahner“, schrieb Angela Merkel. „Ich sehe uns vereint in dem Bemühen, den Zusammenhalt unserer Gesellschaft zu stärken und die Globalisierung menschlich zu gestalten.“
Anläßlich des 80. Geburtstages von Heiner Geißler veranstaltet die CDU Deutschlands am heutigen Abend ein „Berliner Gespräch SPEZIAL“. Unter der Überschrift „Grundlagen der humanen Gesellschaft“ wird Heiner Geißler in einem Podiumsgespräch mit dem Karlsruher Philosophen Prof. Dr. Peter Sloterdijk diskutieren.
(Mitteilung der Pressestelle der CDU Deutschlands vom 2. März 2010)

Geißler trifft Sloterdijk
„Das Grundproblem der Politik ist Dummheit“
Von Robin Alexander
Die CDU schenkt ihrem Linken, Heiner Geißler, zum 80. Geburtstag einen Streit mit Peter Sloterdijk. Der Philosoph ist der Guido Westerwelle unter den deutschen Intellektuellen. Vor Jahren sind die beiden im „Philosophischen Quartett“ schon einmal aneinandergeraten.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6589752/Das-Grundproblem-der-Politik-ist-Dummheit.html

„Wir müssen Lobbyisten für die Ausländer sein. Denn heute muß es der Hans nicht länger mit der Grete treiben.“ Heiner Geißler (CDU): Zugluft. Die Multikulturelle Gesellschaft, in: Stefan Ulbrich (Hrsg.): Multikultopia, 1991

Mehr von der Sorte hier ...
Das Ziel ist die Aufhebung der ethnischen Identität
http://inge09.blog.de/2010/02/10/ziel-aufhebung-ethnischen-identitaet-7984686/

kas – konservative aktion stuttgart
Wer im Januar Teilnehmer an der Winterakademie des IfS war, kennt die Protagonisten der konservativen aktion stuttgart: ruhige, tatenfrohe, beharrliche junge Männer. Inspiriert durch die konservativ-subversive aktion (ksa) haben sie ihre kas gegründet, eine unabhängige Regionalgruppe gewissermaßen, und gestern abend die zweite Aktion durchgezogen.
Ziel der kas war der Auftritt Janka Kluges, die Mitglied in der linksextremen Vereinigung der Verfolgten des Naziregimes – Bund der Antifaschistinnen und Antifaschisten (VVN-BDA) ist. Kluge durfte im Rahmenprogramm einer Ausstellung zum Thema „Rechtsextremismus“ über die „rechte Musikszene“ referieren. Die konservative aktion stuttgart trat als „Fanclub Janka Kluge“ auf, versehen mit Augenklappen und damit auf dem linken Auge blind.
http://www.sezession.de/12857/kas-konservative-aktion-stuttgart.html#more-12857

Angriff auf die Normalität
Von Ellen Kositza
Ein kleiner Schritt für einen Menschen, aber ein großer für die Menschheit: Neil Armstrong sprach seinerzeit von „man“, was sich mit „Mann“ wie mit „Mensch“ übersetzen läßt. Die Worte Armstrongs bei der Mondlandung lassen sich passabel auf eine andere weltumwälzende Errungenschaft übertragen. Vor fünfzig Jahren hat man die Anti-Baby-Pille auf den Markt gebracht: ein Verhütungsmittel, das die von da an so genannten „Reproduktionsverhältnisse“ gründlich durcheinanderbringen sollte. 1960 hat die Geschlechterdebatte Anlauf genommen, sich forthin warmgelaufen, heute dreht das Räderwerk heiß.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M542547003d8.0.html

JF-Interview mit Barbara Rosenkranz ...
Gender Mainstreaming: „Das Ziel ist der ‚neue Mensch‘“
Von Moritz Schwarz
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5fe69282409.0.html

Hier kann man diesen Dreck „auf Master“ studieren ...
Gender- und Diversity-Kompetenz
Weiterbildender Masterstudiengang – intersdisziplinär und anwendungsorientiert
Der weiterbildende Masterstudiengang vermittelt im Rahmen eines Vollzeitstudiengangs Gender- und Diversity-Kompetenz für Change Agents, die den gesellschaftlichen Wandel mit den Zielen der Herstellung von Chancengleichheit gestalten wollen. Die Qualifikation zur Beratung von einzelnen und Organisationen wird auf der Grundlage der Erkenntnis vermittelt, daß der Abbau von Diskriminierung nicht nur rechtlich geboten ist, sondern auch ökonomische Vorteile bietet. Theoretische Grundlagen für Gleichstellungs- und Integrationspolitik werden im Rahmen von wissenschaftlichen Seminaren unterrichtet und Trainings und Workshops mit Expert/innen aus der Praxis vermitteln das Know-How zur Umsetzung von Strategien wie Gender Mainstreaming und Diversity Management.
http://www.master.fu-berlin.de/gediko/Studium___Bewerbung/index.html

Infelix Austria und Barbara Rosenkranz
Von Martin Lichtmesz
Ich weiß, daß viele Bundesdeutsche Österreich als eine Art Insel der Seligen betrachten, was die politische Kultur betrifft. Nicht nur gibt es dort in Form der FPÖ eine starke, in breiten Schichten der Gesellschaft etablierte Rechtspartei, Österreich hat auch generell den Ruf, daß man dort rechts von der Mitte mehr sagen, denken und tun, pompöser, zünftiger und patriotischer sein darf als in Deutschland.
http://www.sezession.de/12898/infelix-austria-und-barbara-rosenkranz.html

Österreich gewöhnt sich an das Prinzip Negerwitz
„Saugoschn“ und „Schmarotzergesindel“
Eine Wertestudie, die im vergangenen Jahr unter dem Titel Die Österreicher innen veröffentlicht wurde, offenbarte: Jeder fünfte Österreicher wünscht sich einen starken Führer, der weder Parlament noch Wahlen verpflichtet ist, Fremdenhaß, ohnehin weit verbreitet, nimmt zu. Geschürt wird das Klima der Ausgrenzung von der Kronen-Zeitung, dem mächtigsten Medium im Alpenstaat, das in der Vergangenheit ebenfalls vor rassistischen und antisemitischen Übergriffen nicht zurückschreckte.
http://www.zeit.de/politik/ausland/2010-03/Europarat-Ruege-Oesterreich-Rassismus?page=3

SPD nimmt Bündische Jugend ins Visier
BERLIN. Die Sozialdemokraten haben von der Bundesregierung „Aufklärung über völkisch-nationalistische Jugendgruppen des extrem rechten Spektrums“ verlangt.
In der Kleinen Anfrage der SPD-Fraktion, die am Mittwoch veröffentlicht wurde, geht es unter anderem um ein mögliches Verbot des Jugendbunds Sturmvogel, dem von den Fragestellern „enge Verbindungen“ in die rechtsextreme Szene nachgesagt werden.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M586bf42a7d4.0.html

Sarrazin und der Afterwissenschaftler
Von Erik Lehnert
Vor einigen Wochen geisterte die Kunde von einem Gutachten durch die Nachrichtenportale, in dem der Nachweis geführt worden sein sollte, daß Sarrazins Äußerungen im Lettre-Interview als rassistisch zu bewerten seien. Als ich den Autor, den Politikwissenschaftler Gideon Botsch, anrief und um das Gutachten bat, reagierte der äußerst verschreckt und wollte nicht mit mir reden. Nun hat sich Sarrazin selbst zu diesem merkwürdigen Schriftstück geäußert.
http://www.sezession.de/12705/sarrazin-und-der-afterwissenschaftler.html#more-12705

Sarrazin hält nichts von SPD-Gutachten: „Unsauber, schleimig, widerlich“
Anhörung zu Parteisausschlußverfahren
http://www.heute.de/ZDFheute/inhalt/10/0,3672,8045002,00.html

Debatte um Hartz IV
Sarrazin: „Warmduscher sind nie weit gekommen“
Thilo Sarrazin und die Hartz-IV-Debatte: Es komme auf die Einstellung, nicht auf das Geld an, sagt der Bundesbanker. Dem FDP-Chef Westerwelle stellt der einstige Berliner Finanzsenator dennoch ein „intellektuelles Armutszeugnis“ aus – und erinnert an Lukullus.
http://www.sueddeutsche.de/politik/438/504648/text/
http://www.sueddeutsche.de/politik/473/504682/text/
http://www.focus.de/politik/deutschland/thilo-sarrazin-aeusserungen-laut-gutachten-rassistisch_aid_468835.html

Kritik an Hartz-IV-Empfängern
Buschkowsky wirft Sarrazin Rassismus vor
Bundesbank-Vorstand Thilo Sarrazin wird für die Aussage, daß Intelligenz „weitgehend erblich“ ist und soziale Schichtungen durch die Schule nicht veränderbar sind, scharf kritisiert. Heinz Buschkowsky (SPD), Bezirksbürgermeister von Berlin- Neukölln, stuft solche Aussagen als „sehr nah an der Rassentheorie“ ein.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article6618182/Buschkowsky-wirft-Sarrazin-Rassismus-vor.html

Ekstasetechniken vom Apo-Opa
Fast schon Kabarett: Rainer Langhans im Hempels
http://www.daz-augsburg.de/?p=10713

Helmut Schmidt bei „Beckmann“
Ausnüchterung mit Mentholrauch
Von Reinhard Mohr
Altbundeskanzler Helmut Schmidt sitzt bei „Beckmann“ und liest den Sozialstaats-Kritikern die Leviten. Statt Geschrei empfiehlt er Gelassenheit. Die Atmosphäre der Altersweisheit wird nicht mal dann gestört, wenn Schmidt Barack Obama mit Hitler vergleicht.
http://www.spiegel.de/kultur/tv/0,1518,679648,00.html

Von Stiftungen und Anstiftern
Zur aktuellen Kontroverse um Norman G. Finkelstein
Von Moshe Zuckermann
http://www.jungewelt.de/2010/03-02/022.php

Der „Spiegel“ reduziert natürlich alles wieder auf eine eindimensionale NS-Horrorgeschichte im Sinne von Reemtsma und Heer ...
Das Geheimnis des fliegenden Auges
Wer war der Unbekannte, der 1942 an der Ostfront einzigartige Fotos machte? Zahllose Leser halfen mit, als „einestages“ Anfang Februar zur Suche aufrief, bald war die Einheit und sogar das Flugzeug des Anonymus identifiziert. Nun ist auch seine Identität gelüftet – und sein schreckliches Geheimnis. Von Hans Michael Kloth
http://einestages.spiegel.de/static/topicalbumbackground/6182/jagd_auf_das_fliegende_auge.html

14 Tage lebenslänglich
Niemand weiß, wie viele Frauen im Zweiten Weltkrieg vergewaltigt wurden, kaum eine hat je offen darüber gesprochen. Mit 80 Jahren bricht jetzt Gabriele Köpp das Schweigen. In einem erschütternden Buch berichtet sie, wie sie 1945 als 15jährige unzählige Mal zum Opfer von Rotarmisten wurde. Von Susanne Beyer
[ANMERKUNG: Sehr lesenswerter Artikel, auch wenn die Rechtfertigung der Massenvergewaltigungen durch den verinnerlichten impliziten Kollektivschuldvorwurf für zeitlich vorangegangene deutsche Verbrechen (Rationalisierungsstrategie?) in der Darstellung der Journalistin natürlich nicht fehlen darf. Zitat: „Am 26. Januar 1945 brach sie gemeinsam mit ihrer älteren Schwester auf. Später sollte sie erfahren, daß sowjetische Soldaten am darauffolgenden Tag, am 27. Januar, das Konzentrationslager Auschwitz befreiten. Das Martyrium, das für Gabriele Köpp nun begann, hatte seine Ursache in den Verbrechen der Deutschen.“]
http://einestages.spiegel.de/static/topicalbumbackground/6207/14_tage_lebenslaenglich.html

Buchtip zum Thema ...
Ingo von Münch: „Frau, komm!“ Die Massenvergewaltigungen deutscher Frauen und Mädchen 1944/45, 208 Seiten, Hardcover, S/W-Abbildungen, 19,90 Euro
http://www.shop.edition-antaios.de/product_info.php?info=p575_-Frau--komm---Die-Massenvergewaltigungen-deutscher-Frauen-und-M-dchen-1944-45.html&XTCsid=72e39f076fce6ac501b1a61c1281414c


Der Balkan kommt
Dank der großen Freiheit, die durch die Abschaffung des Visumzwanges über sie hereingebrochen ist, kommen vom Balkan die Menschen in Scharen zu uns, was uns einen kleinen Vorgeschmack auf Visumfreiheit mit der Türkei gibt. Sogar die EU-Oberen sind alarmiert. Grund ist – wie 20min.ch auf die Tränendrüse drückend erwähnt – „bittere Armut“. Wenn das neuerdings ein Asylgrund ist, alimentieren wir am besten gleich die halbe Welt.
http://www.pi-news.net/2010/03/der-balkan-kommt/#more-121879

Dynamit für die Sozialsysteme
Stolz posiert die verschleierte Fürsorgeempfängerin vor einem nagelneuen Riesen-Flachbildschirmfernseher in ihrer vom Steuerzahler finanzierten Sozialwohnung. Nein, das ist keine Illustration zur Westerwelle-induzierten deutschen Sozialstaatsdebatte: Dieses Foto entstand im zu „Greater London“ gehörenden Middlesex-Städtchen Harrow.
Die Szene wäre weiter nichts Besonderes, hätte nicht die auf dem Foto sichtlich triumphierende 34 Jahre alte Somalierin Nimco Hassan Ibrahim, alleinerziehende und arbeitslose Mutter von vier minderjährigen Kindern, soeben ein Urteil mit Dammbruch-Qualität vor dem Europäischen Gerichtshof erstritten (EuGH C-310/08).
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5059128d8a7.0.html
http://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2010-02/cp100012de.pdf

Berlin: Multikulturelle Bereicherung im Krankenhaus
Die Freuden multikultureller Bereicherung bezahlte ein Krankenpfleger der Rettungsstelle des Kreuzberger Urbankrankenhauses fast mit dem Leben. Weil er mit seinem verstauchten Fuß als echter Notfall nicht sofort behandelt wurde, griff ein Migrant kurzerhand zum Messer und verletzte den Pfleger lebensgefährlich. Natürlich wurde er nach Feststellung der Personalien umgehend freigelassen.
http://www.pi-news.net/2010/02/multikulturelle-bereicherung-im-krankenhaus/#more-121052
http://www.tagesspiegel.de/berlin/Polizei-Justiz-Urban-Krankenhaus-Kreuzberg-Kriminalitaet-Polizei;art126,3042156

Junge Intensivtäter bleiben auch als Erwachsene kriminell
Der typische Serientäter ist männlich, arabischer Herkunft und behält seine kriminellen Gewohnheiten auch als Erwachsener bei. Das ergibt sich aus einer Zwischenbilanz zum Stand der Umsetzung des Berliner Intensivtäterkonzepts, die Justizsenatorin Gisela von der Aue (SPD) zog.
http://www.tagesspiegel.de/berlin/Intensivtaeter;art270,3047408

BIELEFELD
17jähriger nach Schlägen halbseitig gelähmt
Gewaltexzeß am Bielefelder Jahnplatz: Opfer bewußtlos geprügelt
VON JENS REICHENBACH
Bielefeld/Herford. Die Gewaltausbrüche junger Männer im Bielefelder Nachtleben scheinen kein Ende zu nehmen. Wie Polizeisprecherin Christine Schmitt am Dienstag mitteilte, kam es am Samstagabend auf dem Jahnplatz zu einem beispiellos brutalen Angriff auf einen 17jährigen Jugendlichen. Zwei Männer hatten ihn ohne erkennbaren Grund angegriffen und ihm eine Bierflasche auf den Kopf geschlagen. Das Opfer soll seitdem halbseitig gelähmt sein, hieß es von Angehörigen.
Mit seinem 16jährigen Kumpel hatte der 17jährige gegen 22 Uhr gerade das McDonald’s-Restaurant am Jahnplatz verlassen, als plötzlich zwei Männer die beiden anschrien, sie als „Hurensöhne“ beschimpften und anspuckten. Kaum hatten die Jugendlichen reagiert, flogen auch schon die Fäuste.
http://www.nw-news.de/lokale_news/bielefeld/bielefeld/3416848_17-Jaehriger_nach_Schlaegen_halbseitig_gelaehmt.html

Polizei sucht „Türken-Quartett“
Klartext von der Bielefelder Polizei. Dort werden nach einem nächtlichen Überfall einmal nicht „Personen südländischen Aussehens“ oder „Deutsche mit fremdländischem Akzent“ gesucht, sondern, wie in Wahrheit meist in ähnlich gelagerten Fällen, schlicht und einfach ein „Türken-Quartett“.
http://www.pi-news.net/2010/03/polizei-sucht-tuerken-quartett/#more-121815

Kurden-Clans: Timke attackiert Senator Mäurer
Über die organisierte Kriminalität der kurdisch-arabischen Großfamilien in Bremen und die absolute Hilflosigkeit von Polizei und Justiz diesbezüglich haben wir bereits häufiger berichtet. Jetzt kündigte Innensenator Mäurer (SPD), nach Null-Toleranz und einem heißen Herbst im letzten Jahr erneut an, gegen die Schwerstkriminellen mit einem knallharten Maßnahmenpaket vorgehen zu wollen. Diese Aussagen nahm der BIW-Abgeordnete Jan Timke (39) zum Anlaß, um den Innensenator für seine wiederkehrend verpuffenden Versprechungen äußerst scharf zu attackieren.
http://www.pi-news.net/2010/03/kurden-clans-timke-attackiert-senator-maeurer/

Integration durch Sport?!
http://www.pi-news.net/2010/03/integration-durch-sport/

Enquetekommission
Migranten bei Lehrstellensuche benachteiligt
http://www.fr-online.de/frankfurt_und_hessen/nachrichten/hessen/2359551_Enquetekommission-Migranten-bei-Lehrstellensuche-benachteiligt.html

Frankfurt
Nach Schießerei in Bornheim
Killer für Ex-Freundin angeheuert
http://www.fr-online.de/frankfurt_und_hessen/nachrichten/frankfurt/2370138_Nach-Schiesserei-in-Bornheim-Killer-fuer-Ex-Freundin-angeheuert.html

Rhizome des Geheimen Deutschlands
Ulrich Raulff seziert die schwarzen Netzwerke der "Georgianischen Choräle" und untersucht deren Fernwirkung auf die Bildungsgeschichte der Bundesrepublik Deutschland
http://www.heise.de/tp/r4/artikel/32/32136/1.html

Auch eine Lösung, wenn die Schüler keine guten Noten erreichen ...
US-Schule
Alle Lehrer wegen Unfähigkeit gefeuert
http://www.spiegel.de/schulspiegel/ausland/0,1518,680200,00.html

Gentechnik
EU erlaubt Anbau von Gen-Kartoffel Amflora
Die EU-Kommission in Brüssel genehmigt den Anbau der genveränderten Kartoffelsorte Amflora. Damit erhält der Chemie-Konzern Bayer die Möglichkeit, die Pflanze, die nicht für den Verzehr bestimmt ist, auch in Deutschland anzubauen. Eine Mehrheit der Bevölkerung ist gegen den Einsatz der Gentechnik.
http://www.welt.de/wirtschaft/article6620893/EU-erlaubt-Anbau-von-Gen-Kartoffel-Amflora.html

Amflora-Boykott
Stärkehersteller wehren sich gegen die Genkartoffel
Die Genkartoffel Amflora erzeugt Skepsis bei den Agrarbetrieben: Führende Stärke-Hersteller wollen das umstrittene Gemüse nicht anbauen – sie befürchten, Geschäftspartner zu verlieren. Laut einem Beschluß der EU-Kommission darf die Knolle künftig auf deutschen Äckern sprießen.
http://www.spiegel.de/wirtschaft/unternehmen/0,1518,681473,00.html

Nasa-Berechnungen
Chile-Beben hat Erdachse verschoben
Von Axel Bojanowski
Das Erdbeben in Chile hat heftige Auswirkungen auf den gesamten Globus. Laut Nasa-Forschern haben die Erschütterungen die Erdachse verschoben, die Erdumdrehung beschleunigt – und so die Tage verkürzt. Geologen warnen vor drastischen Folgen: Scheinbar erloschene Vulkane könnten ausbrechen.
http://www.spiegel.de/wissenschaft/natur/0,1518,681385,00.html

Schimmel
Die schwarze Gefahr
Schimmel in der Wohnung ist nicht nur häßlich, er macht auch krank. Vorbeugung und Abhilfe sind möglich – wenn man die Zusammenhänge kennt.
Von FOCUS-Online-Autor Volker Lehmkuhl
http://www.focus.de/immobilien/bauen/tid-8849/schimmel_aid_236946.html

Fertigbau-Branche
Ikea baut jetzt Mini-Siedlungen in Deutschland
http://www.welt.de/wirtschaft/article6647579/Ikea-baut-jetzt-Mini-Siedlungen-in-Deutschland.html
http://www.bild.de/BILD/politik/wirtschaft/2010/03/03/ikea-haus-boklok/erstes-musterreihen-haus-in-deutschland-praesentiert.html

Thüringer Gemeinde
Not macht erfinderisch: Schlaglöcher im Ausverkauf
http://www.abendblatt.de/vermischtes/article1407091/Not-macht-erfinderisch-Schlagloecher-im-Ausverkauf.html

Medienkritik...
Germany’s next Topmodel
Heidi Klum sucht zum fünften Mal ihr Top-Model
Von Patrick T. Neumann
http://www.abendblatt.de/vermischtes/article1406776/Heidi-Klum-sucht-zum-fuenften-Mal-ihr-Top-Model.html

Astronomie
Forscher warnen vor Kontaktversuchen mit Aliens
Von Richard Ingham
Der Wunsch, mit Außerirdischen in Kontakt zu treten, ist alt: Seit Jahrzehnten sind Sonden im Weltraum unterwegs, die Tafeln mit Symbolen oder Tonaufnahmen tragen und die Positionen der Erde übermitteln sollen. Doch menschliche Botschaften gelangen auch auf anderen Wegen ins All. Forscher mahnen zur Vorsicht.
http://www.welt.de/wissenschaft/weltraum/article6620152/Forscher-warnen-vor-Kontaktversuchen-mit-Aliens.html

Morgenlicht ist ausgeknipst
Die „Bewegung Morgenlicht“ ist dingfest gemacht. Ein arbeitsloser Betriebswirt aus Frankfurt am Main, der Ein-Euro-Jobber Thomas R., steckte anscheinend hinter einer kleinen Anschlagserie im Rhein-Main-Gebiet, die im November 2009 begonnen hatte. Zwei Brandanschläge auf Bankfilialen gehen also wohl auf sein Konto, zudem einer auf ein Zeitarbeitsunternehmen und eine Schlecker-Filiale. Außerdem gab es noch eine Bombenattrappe samt Drohbrief an Hessens Ministerpräsident Roland Koch.
http://www.sezession.de/12684/morgenlicht-ist-ausgeknipst.html
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El Cuestionario de Ernst von Salomon

El Cuestionario de Ernst von Salomon

Autore: Julius Evola - Ex: http://www.centrostudilaruna.it/

Ernst von Salomon

salomon_ernst_01_1938_k.jpgEn Alemania tuvo una triste fama el denominado “Cuestionario”: der Fragebogen. Era un formulario que había que llenar y que comprendía 131 preguntas, las cuales no solamente representaban un sistema de información sobre cada mínimo detalle de la persona, de la vida y de las actividades del interrogado, sino que implicaban un verdadero y propio “examen de conciencia”. La única diferencia estaba en que quien lo solicitaba no era la Iglesia sino el gobierno militar aliado.

Justamente con el título El Cuestionario Ernst von Salomon ha escrito un libro que ha tenido en Alemania una vasta resonancia y que ahora ha salido a través de Ediciones Longanesi en versión italiana con el título modificado de Yo sigo siendo prusiano (Io resto prussiano). Von Salomon es ya conocido por otros libros exitosos tales como La ciudad, Los proscriptos, Los cadetes. Aquí emplea casi 900 páginas para darle al aludido “cuestionario” aliado la respuesta deseada de acuerdo a su conciencia. Las diferentes preguntas son ocasiones para una especie de sugestiva autobiografía, que comprende al mismo tiempo el encuadre de acontecimientos, de experiencias y de encuentros de todo tipo, desde el período de la primera posguerra al de la ocupación aliada.

El rubro reservado a las “observaciones” es quizás el más impresionante: se refiere a todo aquello que el autor experimentó con los norteamericanos en sus campos de concentración. En su objetividad es un terrible documento respecto de una brutalidad inaudita, cuanto más odiosa en tanto ha sido producida por aquellos que presumieron de dar a su guerra el carácter de una cruzada en nombre de la humanidad y de la dignidad de la persona humana. Aun queriendo establecer un paralelo con aquello que pudo acontecer en algún campo de concentración alemán, aquí no era ahorrado ni el combatiente heroico, ni el general, ni el alto o digno funcionario, agregándose también aquellas personas arrestadas casualmente que no estaban en condiciones de responder sobre nada en especial. Lo cual fue el caso del mismo von Salomon, nunca inscripto en el partido nazi, y de su compañera, una judía protegida por éste en contra de las medidas anti-hebraicas, a la cual le había hecho poner un nombre falso. Ambos no fueron liberados sino después de más de un año de vida degradante, luego de haberse dado cuenta de que… se trataba de un equívoco.

Respecto al contenido del libro, queremos tan sólo hacer mención a todo aquello que se refiere a aspectos poco conocidos de las fuerzas políticas que en Alemania actuaron durante el advenimiento de Hitler y, en parte, también durante su dictadura. Tal como se ha dicho, Salomon no era nazi. Pertenecía más bien a aquel movimiento que puede denominarse como de la “revolución conservadora“. Luego del derrumbe de 1918 en Alemania tomó forma un movimiento múltiple de entonación nacionalista el cual se proponía la renovación resuelta de formas y métodos, conservando sin embargo los principios fundamentales de la tradición y de la concepción germánico-prusiana del Estado. Con este espíritu estuvieron animadas las formaciones de voluntarios que, al mando del capitán Erhardt, se batieron en la frontera oriental aun luego del derrumbe y que luego, al lado de otras corrientes, actuaron como fuerzas políticas en contra de la Alemania de Weimar, la socialdemocracia y el comunismo. Aquí la consigna era la “revolución desde lo alto”: es decir, una revolución que partiera del Estado y desde la idea de Estado y desde el concepto de autoridad legítima. Estos mismos ambientes forjaron entonces por vez primera la famosa fórmula del “Tercer Reich”.

Ernst_von_Salomon_-_Der_Fragebogen,_157__-_181__Tausend,_Juli_1952.jpgY bien, todo este nucleamiento vio en el nacionalsocialismo no tanto la realización cuanto la traición de sus ideas. Tal como dice von Salomon, el primer serio y gran tentativo del movimiento nacional de provocar un vuelco histórico decisivo partiendo desde lo alto, desde el Estado, fracasó a causa de la existencia de Hitler. Con Hitler, nos agrega, el acento decisivo del nacionalismo se desplazó del Estado al pueblo, a la pura autoridad de la nación como colectividad, y ello fue formulado en el hecho de que para defender una concepción política totalmente opuesta fue utilizada una terminología que se remontaba en gran parte al patrimonio tradicional germano-prusiano.

Todo sumado, nos dice Salomon, el régimen totalitario instaurado por Hitler no sale de los marcos de la democracia, más aun es una democracia exasperada en una especie de tribunado del pueblo. El poder se lo conquista a través de las masas, la legitimación formal del poder es recabada de las masas, mientras que el Estado tradicional autoritario se basa en la jerarquía y sobre un concepto autónomo y superior de la soberanía. Por esto von Salomon no podía ser nacionalsocialista; ni tampoco lo fueron muchos otros que, luego del advenimiento de Hitler y del “partido de masas”, se echaron atrás o bien se afiliaron al movimiento con la sola intención de accionar desde lo interno del mismo en el momento oportuno, luego de que hubiesen sido resueltos algunos problemas improrrogables de política interna y externa. Muchos de tales elementos figuraron entre aquellos que intentaron liberarse de Hitler en junio de 1944. Esta veta escondida de la “revolución conservadora” es en general muy poco conocida, a pesar de su importancia. También a tal respecto los libros de von Salomon son interesantes documentos.

Respecto del último punto, corría por Alemania la siguiente historieta. Se preguntaba: “¿Qué es peor, que se gane la guerra y los nazis sigan estando, o bien que se la pierda y que los nazis desaparezcan?” La respuesta humorista era: “Lo peor de todo es perder la guerra y que a pesar de ello los nazis sigan estando”. Von Salomon nos refiere que, aparte de la broma, los ambientes que le resultaban cercanos habrían considerado una cuarta posibilidad: Ganar la guerra y sobre la base de ello liberarse luego del gobierno de los nazis. Ello en la medida que aun sin ser tan radicales, se hubiese hablado de una acción que, partiendo de las fuerzas combatientes más puras, hubiese removido las estructuras del Estado totalitario tribunalicio en nombre del ideal de un verdadero Estado nacional jerárquico, en esto se habría quizás tenido la fórmula de un futuro mejor, válido no sólo para la Alemania sino quizá también para la misma Italia.

* * *

Roma, 2 de julio de 1954.

Sigrid Hunke et le sens de la mort

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1986

Sigrid Hunke et le sens de la mort

Sigrid Hunke est très connue Outre-Rhin. Le public francophone, lui, ne connaît que son livre sur l'Islam et les rapports intellectuels euro-arabes au Moyen Age (Le Soleil d'Allah brille sur l'Occident, Albin Michel, 1984, 2ème éd.) et sa remarquable fresque philosophico-religieuse "L'autre religion de l'Europe" (Le Labyrinthe, 1985). En 1986, Sigrid Hunke a publié un petit ouvrage fascinant sur le thème de la mort, tel qu'il est entrevu par huit grands systèmes religieux dans le monde, le christianisme, le judaïsme, l'Islam, le classicisme hellénique, la mythologie de l'Egypte antique, le bouddhisme, l'Edda germano-scandinave, les grandes idéologies modernes.

 

Duerer_-_Ritter,_Tod_und_Teufel_(Der_Reuther).jpgPour le christianisme, écrit Sigrid Hunke, le Dieu tout-puissant, depuis sa sphère marmoréenne d'éternité, depuis son au-delà inaccessible, impose la mort à ses créatures en guise de punition pour leur désobéissance et pour leur prétention à devenir égales à lui. Le Christ, fils de ce Dieu omnipotent fait chair et "descendu" parmi les hommes, obéit à son Père, meurt crucifié, descend dans le royaume des morts et revient à la vie. Pour les premiers croyants, le règne paradisiaque, annoncé par ce Messie et par la tradition hébraïque, devait commencer dès la réapparition du Christ. Il n'en fut rien et ce fut le tour de force opéré par Paul de Tarse: cet apôtre tardif annonce que la mort est une parenthèse, qu'il faut attendre un "jugement dernier", où le Christ sépararera les pies des impies et jugera bons et méchants à la place de son "Père". Ce n'est qu'alors que commencera le règne définitif de Dieu, où injustice, misères, maladies auront à jamais disparues.

 

Quant au Dieu juif de l'Ancien Testament, il est, écrit Sigrid Hunke, un dieu des vivants et non des morts, lesquels sont à jamais séparés de lui. Ce Dieu n'entretient aucune relation avec le phénomène de la mort, avec les morts, avec le règne de la mort. Sa toute-puissance s'arrête là. La mort, dans le monde hébraïque, est fin absolue, négation, non-être définitif. Iavhé n'a aucun pouvoir sur Shéol, l'univers des défunts dans l'imaginaire hébraïque. Le corps du défunt rejoint la terre, la Terre-mère, que vénéraient les tribus sémitiques du Proche-Orient. Le Iahvisme, inauguré par Moïse, rompt les ponts avec cette religiosité tellurique des Sémites, entraînant un effondrement et une disparition des cultes voués aux défunts. Plus tard, après l'exil babylonien, les prophètes Ezra, Daniel et Enoch, renforcent cette radicale altérité entre l'au-delà iavhique et l'en-deça terrestre, par une instrumentalisation des dualismes issus de Perse. Dès lors, la césure entre l'esprit et la chair, entre Iavhé et l'homo peccator (l'homme pécheur), entre la Vie et la Mort, se fait encore plus absolue, plus brutale, plus définitive. Mais cette césure terrible, angoissante, se voit corrigée, par certaines influences iraniennes: désormais, à ce monde de larmes et de sang s'oppose l'espoir de voir un jour advenir un monde meilleur, rempli de cette "lumière" dont les Iraniens avaient le culte.  Mais seul le peuple élu, obéissant à Iavhé en toutes circonstances, pourra bénéficier de cette grâce.

 

Le Dieu de l'Islam est l'ami des croyants, de ceux qui lui sont dévoués. Il leur accorde son amour et sa miséricorde. La Terre n'est pas réceptacle de péché: le péché découle du choix de chaque créature, libre de faire le bien ou le mal. L'Islam ne connaît pas de catastrophe dans la dimension historique, comme le iahvisme vétéro-testamentaire et le christianisme, mais bien plutôt une catastrophe globale, cosmique, après laquelle Allah recréera le monde, car telle est sa volonté et parce qu'il aime sa création et refuse qu'on la dévalorise.

 

Les dieux de la Grèce antique sont des immortels qui font face aux mortels. Pour Sigrid Hunke, contrairement à l'avis de beaucoup d'hellénisants, la Grèce affirme la radicale altérité entre la sphère du divin et la sphère de l'humain. Le destin mortel des hommes ne préoccupe pas les dieux, écrit-elle, et les âmes, libérées de leurs prisons corporelles, errent, pendant des siècles et des siècles, souillées par leur contact avec une chair mortelle pour éventuellement ensuite retourner dans l'empyrée d'où elles proviennent.

 

Les dieux de l'Egypte antique et des Germains sont eux-mêmes mortels. Pour les Egyptiens, les dieux ont tous une relation directe avec la mort. Chaque soir, le dieu solaire connaît la mort et, chaque matin, il revient, ressuscite rajeuni par ce voyage dans l'univers de la mort. Le défunt rejoint le dieu des morts Osiris et accède à un statut supérieur, dans le royaume de ce dieu. Dieux et hommes sont partenaires et responsables pour le maintien de l'ordre cosmique. Dans la mythologie germanique, les dieux sont des compagnons de combat des hommes. Lorsque ceux-ci meurent, les dieux les accueillent parmi eux, puisque, durant leurs vies, les hommes ont aidé les dieux à combattre les forces de dissolution.

 

Au XXème siècle, cette idée d'amitié entre dieux et hommes, est revenue spontanément, dit Sigrid Hunke, dans la pensée d'un Teilhard de Chardin, qui demandait à ses contemporains de lutter de toutes leurs forces aux côtés de la puissance du créateur pour repousser le mal". Idée que l'on retrouve aussi dans la mystique médiévale d'un Maître Eckhart qui voulait que les hommes deviennent des "Mitwirker Gottes", c'est-à-dire qu'ils collaborent efficacement à l'oeuvre créatrice de Dieu. Quant au Russe Nikolaï Berdiaev (1874-1948), il écrivait, en exil à Berlin dans les années 20: "Dieu attend la collaboration des hommes dans son travail de création; il attend leur collaboration dans le déroulement incessant de cette création". Cet appel à s'engager activement pour le divin implique une responsabilité de l'homme vis-à-vis du monde vivant, de la nature, de l'écologie terrestre, de la justice sociale, des enfants qui naissent et qui croissent,...

 

Pour Max Scheler, dont Sigrid Hunke admire la philosophie, l'homme doit se débarasser de son attitude infantile à l'égard de la divinité, oublier cette position de faiblesse quémandante et implorante que les religions bibliques lui ont inculquée et accéder à une religiosité adulte, c'est-à-dire participative. L'homme, à côté du divin, doit participer à la création, doit s'engager personnellement, s'identifier à l'oeuvre de Dieu.

 

La conclusion de la belle enquête de Sigrid Hunke est double: 1) il ne faut plus voir la mort sous l'angle sinistre de la négation; 2) le principe "confiance" est supérieur au principe "espérance". Avec les grands penseurs de ce que Sigrid Hunke a appelé "l'autre religion de l'Europe", Héraclite, Hölderlin, Hebbel, Rilke, etc., nous ne saurions regarder la mort comme la négation absolue, ni la craindre comme point final, comme point de non retour définitif mais, ainsi que l'avaient bien perçu Schelling et Tolstoï, comme une "reductio ad essentiam". La mort, dans cette perspective immémoriale, qui remonte aux premiers bâtisseurs de tumuli de notre continent, aux autochtones absolus dont nous descendons, est un retour à la plénitude de l'Etre; elle est un "retour à ce foyer qui est si proche des origines" (Heidegger). Et Sigrid Hunke de rapeller ces paroles de Bernhard Welte, prononcées au bord de la tombe de Heidegger: "... La mort met quelque chose en sûreté, elle dérobe quelque chose à nos regards. Son néant n'est pas néant. Elle cache et dissimule le but de tout un cheminement" (Der Tod birgt und verbirgt also etwas. Sein Nichts ist nicht Nichts. Er birgt und verbirgt das Ziel des ganzen Weges).

 

Ces paroles, si proches de la pensée heideggerienne, si ancrées dans la campagne Souabe et dans l'humus de la Forêt Noire, nous révèlent, indirectement, le principe "confiance". Une confiance dans le grand mouvement de l'Etre qui nous a jeté dans le monde et nous reprendra en son sein (Teilhard de Chardin). Le principe "confiance" est supérieur au principe "espérance" (Ernst Bloch), affirme Sigrid Hunke, car il ne laisse aucune place au souci spéculateur, au calcul utopique au doute délétère: il nous apprend la sérénité, la Gelassenheit.

 

En résumé, un livre d'une grande sagesse, servi par une connaissance encyclopédique des auteurs de cette "autre religion de l'Europe", pré-chrétienne, qui n'a cessé de corriger la folie anti-immanentiste judéo-chrétienne.

 

Bertrand EECKHOUT.

 

Sigrid Hunke, Tod was ist dein Sinn?, Neske-Verlag, Pfullingen, 1986, 164 S., DM 28.    

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